RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 14 APRILE 2020

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 14 APRILE 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

“C’è un’ideologia reale e incosciente che unifica tutti: è l’ideologia del consumo.
Uno prende una posizione ideologica fascista, un altro adotta una posizione ideologica antifascista, ma entrambi, davanti alle loro ideologie, hanno un terreno comune, che è l’ideologia del consumismo.
(…) Ora che posso fare un paragone, mi sono reso conto di una cosa che scandalizzerà i più, e che avrebbe scandalizzato anche me, appena 10 anni fa. Che la povertà non è il peggiore dei mali, e nemmeno lo sfruttamento. Cioè, il gran male dell’uomo non consiste né nella povertà, né nello sfruttamento, ma nella perdita della singolarità umana sotto l’impero del consumismo.”

– Pier Paolo Pasolini, Lettere Luterane

CITAZIONE TRATTA DA: https://m.facebook.com/waldganger22/photos/a.876552882358238/3492176784129155/?type=3

 

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SOMMARIO

Il “contratto” choc agli anziani: “Firmate per rifiutare le cure”
Riflessioni su deferenza e rispetto
Lettera a Conte: task force governativa con membri di organizzazioni che odiano i popoli
L’incubo totalitario dalla quarantena al comunismo
L’ottantena
Ci tengono chiusi in casa perché non sono capaci di gestire l’epidemia.
Il numero dei morti
A “POMERIGGIO 5” L’INSEGUIMENTO IN ELICOTTERO DI UN UOMO CON IL CANE IN SPIAGGIA
Blade Runner, quel futuro immaginario potrebbe non essere così lontano dalla realtà
Filippo Facci: “Io da martedì uscirò liberamente e sfacciatamente per le strade del mio Paese”
Decreto Liquidità: prestiti per mangiare
Trump non vuole perdere l’Italia
Trump lancia la guerra al suprematismo bianco (ma l’obiettivo è la Russia)
Voltaire e l’illuminismo oscurato dalle catastrofi
Il Principio della Rana Bollita di Noam Chomsky
Bufale, informazione e Minculpop
ECCO COME FUNZIONA LA DISINFORMAZIONE FASCISTOIDE DI UNA CERTA SINISTRA REGRESSIVA
È UNA TUTELA O UNA MINACCIA?
La pandemia adesso “diventa” cyber
BIG DATA E CORONAVIRUS: VERSO UNA NUOVA CITTADINANZA?
Tamponi, una storia inquietante
La signora astronauta, sua moglie ex-spia e il conto online
Eutanasia dei disabili: quando lo Stato diventa assassino
Eutanasia: suicidio assistito anche per gli anziani non gravemente ammalati
“Il Decreto Liquidità del Governo è destinato a fallire”. Money.it intervista Giulio Tremonti
Il caso Germania: 1.000 miliardi a imprese e lavoratori subito (e tutto funziona)
La fragilità delle Teorie Economiche al tempo del Coronavirus e del MES
Conte e Monti hanno mentito. Ecco la verità sul MES
ONG INVENTANO NAUFRAGIO MAI AVVENUTO IN COMBUTTA CON I MEDIA ITALIANI
I porti italiani “non sicuri”, ma gli sbarchi continuano
Golpisti all’ombra del coronavirus
Fenomenologia di Giu’ Conte
Conte rivendica il diritto di attaccare l’opposizione a reti unificate
Ecco perché la protezione dati è fondamentale anche in tempi di emergenza
ALTRI TASSELLI PER COMPORRE IL QUADRO: IL RUOLO DEL 5G, OVVERO QUANDO I BIG DATA INCONTRANO IL BIG BROTHER

 

 

IN EVIDENZA

Il “contratto” choc agli anziani: “Firmate per rifiutare le cure”
I medici di famiglia olandesi chiedono ai propri assistiti più anziani di firmare una sorta di contratto. Due sono le opzioni in caso di contagio da Covid-19: lunga ventilazione o eutanasia

Federico Giuliani – 29/03/2020

Fa discutere il modo con cui i medici olandesi si prendono cura dei loro pazienti più anziani al tempo del coronavirus Come racconta il quotidiano Libero, in Olanda i dottori di famiglia chiedono a tutti i cittadini che abbiano superato una certa età di firmare un contratto a dir poco inquietante.

Al fine di evitare affollamenti all’interno degli ospedali, e soprattutto nei reparti di terapia intensiva, pare che le autorità sanitarie nazionali abbiano invitato i medici a contattare i propri assistiti per chiedere loro il da farsi di fronte alla malaugurata ipotesi di contagio. E così, nelle ultime ore, sempre più senior olandesi ricevono telefonate in cui li si invita a prendere una decisione forte.

Per farla breve, questa potrebbe essere la forma della fatidica domanda medica: nel caso in cui tu dovessi incappare nel Covid-19 e la situazione dovesse aggravarsi, che cosa vuoi fare? Le opzioni sono due: essere curati con una “lunga ventilazione”, quindi con i respiratori, oppure, lasciare che la malattia faccia il suo corso.

Il motivo di una simile pratica sta nel fatto che gli ospedali olandesi iniziano a essere saturi. Nonostante la scelta di attuare un lockdown sui generis, il Paese deve fare i conti con più di 9mila casi accertati e con quasi 700 decessi. Ieri sera le misure per il contenimento del coronavirus sono stati inasprite, con il divieto di riunioni di più di tre persone fino al primo giugno. Tutti devono mantenere una distanza di almeno 1,5 metri dagli altri, anche ei negozi. I sindaci possono chiudere parti della città dove queste regole non sono rispettate. Nel paese sono già chiusi scuole, bar, ristoranti e parrucchieri. La popolazione deve rimanere in casa, salvo che per andare al lavoro e fare la spesa.

Eutanasia o selezione naturale?
Gli istituti sanitari sono quasi al limite della capienza, dunque – hanno pensato gli scienziati – tanto vale che gli anziani attratti dall’idea del suicidio, qualora dovessero ammalarsi, cedano il posto letto che spetterebbe loro a qualcuno più giovane e con più probabilità di scampare alla malattia.

Insomma, siamo di fronte a una sorta di selezione naturale mascherata da eutanasia selettiva. Certo, il provvedimento è stato definito agghiacciante dal leader del Partito per la Libertà, Geert Wilders. Eppure il Parlamento olandese sta ragionando sull’introduzione del suicidio assistito per “vita completata”. Di che cosa si tratta? Di un’eutanasia non tanto dettata dalla mancanza di prospettiva di vita di un soggetto ma da una scelta puramente personale dello stesso, condizionata da un’età minima.

I citati anziani che ricevono le telefonate dei medici, tra l’altro, sono invitati a mettere nero su bianco la loro volontà. Queste persone sono costrette, in un certo senso, a prendere una decisione sotto forte pressione e con pesanti implicazioni di natura psicologica.

Ma c’è poco da stupirsi: quanto sta accadendo in Olanda non è altro che l’applicazione in una situazione di emergenza del concetto di eutanasia. Wilders ha chiesto l’immediato intervento del ministro della Salute e del vicepremier Hugo de Jonge ma al momento tutto tace sul fronte olandese. Nel frattempo i telefoni continuano a squillare.

FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/mondo/olanda-medici-chiedono-ai-pazienti-anziani-rifiutare-cure-1847356.html

 

Riflessioni su deferenza e rispetto

10 luglio 2019 – di Paola Mastrocola

HumanitiesSocietà

Mi folgora la parola deferenza. Non la incontravo da decenni e ora mi arriva da un libro di Kenneth Minogue, che mi passeggiava per casa e ho aperto per curiosità, al capitolo 2, “Il progetto di livellare il mondo”.

Il libro è uscito nel 2012 per IBL Libri, s’intitola La mente servile.

Leggo: “Il rango generava autorità e comportava deferenza. In quell’epoca (l’Europa del XV-XVI secolo) la deferenza era la chiave dei rapporti sociali perché implicava un rispetto più o meno automatico”.

La deferenza è ossequio, riverenza, rispetto. È un movimento, in un certo senso, verso il basso (de-ferre), è un abbassarsi, dovuto, doveroso, davanti a qualcuno riconosciuto come superiore.

Intanto c’è l’idea che qualcuno sia superiore. Che esista un sopra e un sotto, un alto e un basso. Può essere un grado socialmente elevato, o una funzione, un ruolo, un’autorità riconosciuta, o anche soltanto una maggiore esperienza, o l’età.

E poi c’è l’idea di un automatismo: il “rispetto automatico” è il rispetto dovuto a qualcuno a priori, non per i suoi meriti personali, ma per la sua funzione, o ruolo, o posto nella società, a cui tutti riconoscono un valore di per sé. Un anziano, un insegnante, un preside, un ufficiale dell’esercito, un vescovo, un direttore di banca.

Minogue dice che nell’Inghilterra dei secoli passati la deferenza era dovuta ai “rappresentanti di una classe che includeva non solo gli aristocratici e i nobili di campagna, ma anche i datori di lavoro, i padroni di servi, i maestri e i docenti universitari, le gentildonne, i preti, i giudici, le donne di una certa età e molti altri”.

Il rispetto non automatico sarebbe invece quello che ognuno di noi sente di dovere a qualcuno, perché gli riconosce dei meriti speciali, a esempio un talento artistico, una genialità, una grandezza d’animo, una nobiltà di sentimenti. Un rispetto che ci verrebbe naturale, e avrebbe molto a che fare con l’ammirazione, persino con la riverenza.

Molti della mia generazione provavano riverenza verso i propri insegnanti, i maestri, i grandi scrittori, artisti, scienziati, registi.

Ricordo che a vent’anni mi capitava di chiudere certe lettere (non so ora dire rivolte a chi) con l’espressione: Deferenti saluti. Mi chiedo se si usi ancora, o sia ritenuta una formula ridicola.

Deferenza oggi? Potrebbe significare non dire parole volgari, non fare gesti triviali, vestirsi in modo acconcio (non andare dal Preside con gli infradito, per esempio), usare il lei, e anche le maiuscole (tipo Professore, Ingegnere, Direttore).

Mantenere distanza. Una certa distanza.

Minogue: “La deferenza richiedeva formalità nei rapporti, il cui scopo era di mantenere la distanza tra le persone. Dietro questo formalismo c’era la convinzione che la distanza fosse una condizione necessaria del rispetto”.

Oggi non vogliamo deferenza anche perché non vogliamo distanza, ma il più possibile vicinanza, contiguità. Non facciamo altro che “abbattere le distanze”. Ci fa sentire più uniti, più fratelli.

Non vogliamo mostrare deferenza verso altri, ma non vogliamo nemmeno essere noi oggetto di deferenza. Ci metterebbe fortemente a disagio. Così come ci mette a disagio ogni forma che sia segnale di una qualche superiorità che noi attribuiamo ad altri o che altri attribuiscono a noi. Sarebbe la crisi del nostro credo egualitario.

Oggi una donna anziana potrebbe anche offendersi se un giovane sul tram le cedesse il posto. Lei sta facendo di tutto per apparire giovane, va in palestra, fa dieta, prende gli integratori giusti, si veste alla moda, e un giovane che le cedesse il posto la smaschererebbe, rendendo vano il suo duro lavoro.

Anche una donna, di fronte alla cavalleria di un uomo, oggi potrebbe sentirsi offesa. Ma come? Mi apri la portiera, mi offri il pranzo? Magari mi prendi anche in braccio, in una gita in montagna, per attraversare un torrentello, in modo che io non mi bagni le scarpe? Ma sei matto? E dove starebbe l’uguaglianza? Io sono uguale a te, quindi dividiamo il conto, io mi apro la portiera, io vado a piedi sulle pietre del ruscello perché sono perfettamente in grado di farlo, almeno quanto te. Se poi mi mandi dei fiori, attento! Ti denuncio per molestie.

Non voglio dire, con tutto ciò, che c’è un abisso tra il 1500 e oggi, o anche solo tra i nostri anni ’60 e oggi, o addirittura rispetto a quand’ero giovane io, cioè quarant’anni fa. Sarebbe piuttosto ovvio. Mi sto solo chiedendo se dobbiamo davvero, oggi, lasciar cadere tutto ciò, se davvero parole come rispetto e deferenza debbano farci venire l’orticaria e le vogliamo espellere per sempre dal nostro lessico, e soprattutto dalla nostra vita.

D’altronde, se i politici vanno in felpa, se appaiono in tivù in camicia con le maniche arrotolate e il colletto slacciato (perché è estate e sì, in estate fa caldo); se le condizioni atmosferiche dunque prevalgono sul concetto di rispetto e formalità; se odiamo la parola forma e connessi (formalità, formalismo) perché ci paiono irredimibilmente lontani da quella autenticità-spontaneità-naturalezza che è  attualmente il nostro mito da aspiranti neoselvaggi; se “mettere distanza” ci fa orrore e non facciamo altro che “ridurre le distanze”, abbracciandoci tra sconosciuti in un amplesso selfico (voglio dire “da selfie”);  se mantenere la nostra posizione eretta difronte a un bambino ci fa problema e sentiamo subito l’esigenza di metterci in ginocchio per essere alla sua altezza; se l’idea di una predella in classe, che sopraelevi la cattedra, ci fa vergognare perché ci sembrerebbe ignobile anche solo immaginarlo.

Se tutto ciò è vero, non vedo come potremmo auspicare la presenza, nella nostra vita sociale, di deferenza e rispetto.

In realtà noi usiamo molto, oggi, la parola rispetto. Aleggia ovunque. È una delle parole più gettonate. Anzi, ne abbiamo fatto una stucchevole litania. Ma è sempre e soltanto il rispetto in relazione a ciò che è diverso, straniero, in qualche modo vulnerabile. Sempre e dovunque predichiamo il rispetto per le minoranze etniche, per i migranti, i profughi, i disabili, i poveri, e ogni sorta di sventurati e svantaggiati. Sacrosanto, ci mancherebbe! Quel che però non ci viene nemmeno in mente è il rispetto per chi è di più, per chi è più in alto e sta meglio, o è più bravo in qualcosa, o ne sa di più: per chi insomma è superiore, come abbiamo detto, in grado, funzione, talento o altro. Questo non ci piace. Non ci pare dovuto. Anzi, ci pare indebito e scorretto. Perché contraddice il principio di uguaglianza. Sarebbe come ammettere che no, non siamo tutti uguali, tu sei meglio di me, o sei più in alto. Quindi, il rispetto che ti dovrei sarebbe la prova di una insopportabile, inaccettabile, disuguaglianza tra me e te.

Lo dico meglio con Minogue: “La democrazia ha concepito la deferenza come una forma di servilismo (…). Non c’è qualcosa di degradante, o di servile, nel mostrare deferenza verso un altro essere umano? Non siamo sostanzialmente tutti uguali? Non accade spesso che molti personaggi altolocati non ci siano affatto superiori per saggezza, sapere o competenza? La deferenza si potrebbe estendere al concetto di saper stare al proprio posto e saper stare al proprio posto è diventato un problema nel momento in cui la società è ormai sempre meno un insieme di posti”.

E ancora: i politologi hanno concettualizzato la deferenza “come un residuo irrazionale del feudalesimo e, di conseguenza, anche come un insulto alla democrazia”.

Ecco. Ma allora, se rispetto e deferenza portano in sé il virus di un’antidemocraticità, se implicano un’ammissione di non uguaglianza; se, quindi, in nome dei valori democratici, umanitari, solidali, siamo convinti che il rispetto e la deferenza siano un male, non dovremmo mai indignarci né protestare di fronte al genitore che va a picchiare l’insegnante perché ha dato un quattro a suo figlio. In fondo, sta dimostrando una condizione paritetica: lui, l’insegnante e il figlio studente sono finalmente – e a dispetto del ruolo, dell’età, dell’esperienza (e magari anche dell’intelligenza, sapienza, e altre innominabili doti) – tre entità perfettamente uguali, che non si devono niente l’un l’altro, meno che mai deferenza. Non è così?

Fine.

Era solo un inizio di riflessione, pensieri errabondi di inizio estate, su parole molto complesse, e molto desuete.

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 1 luglio 2019

FONTE:http://www.fondazionehume.it/societa/riflessioni-su-deferenza-e-rispetto/

 

 

Lettera a Conte: task force governativa con membri di organizzazioni che odiano i popoli
12 APRILE 2020

Gentile Presidente del Consiglio,

Le scrivo il giorno di Pasqua, perché una giornata di pace e di amore mi obbliga ad abbassare i toni e a rivolgermi a lei in maniera pacata.

In questi giorni il suo governo ha annunciato la nascita di una Task force governativa. Un comitato di esperti guidato da Vittorio Colao, che avrà il compito di accompagnare l’Italia verso la cosiddetta fase 2 dell’emergenza pandemia. Di concerto con il comitato tecnico-scientifico, la task force dovrà elaborare le misure necessarie per una ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali, come ha rimarcato lei stesso.

La parola “misure necessarie” fa suonare in me un campanello dall’allarme. Approfittando dello stato di necessità, spesso si costringono i popoli ad accettare misure che vanno contro i loro interessi ma che in situazioni ordinarie non avrebbero accettato mai. E’ la strategia della shock economy preconizzata dai padri fondatori di quel pensiero neoliberista, che oggi sta infettando l’Unione Europea, creando più danni di qualsiasi pandemia.  La teoria a cui si riferiva sicuramente Monti quando dichiarò “abbiamo bisogno di crisi e di gravi crisi per fare passi avanti. Perché i passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni delle parti sovranità nazionali “.
Concetto ribadito da Prodi parlando dei nuovi strumenti di politica economica da introdurre: “proporli adesso è politicamente impossibile ma un bel giorno ci sarà una crisi e si creeranno nuovi strumenti”. Milton Friedman il fautore di questa dottrina dello shock fu estremamente chiaro: “bisogna sviluppare alternative alle politiche esistenti e tenerle in vita e disponibili finché il politicamente impossibile diventi il politicamente inevitabile”.
Oggi mi rendo conto che quel “politicamente inevitabile” può abilmente essere celato dietro la parola “misure necessarie” e che un commissariamento del paese possa essere nascosto dietro la parola “task force”.
Per questo, dopo aver letto che lei ha istituito una “Task Force” per portare avanti “misure necessarie”, sono iniziate a risuonare nella mia coscienza tante sirene d’allarme. Sarà lo spirito pasquale che mi spinge a questa metafora, ma non vorrei che questo comitato d’esperti si rivelasse un uovo pieno di spiacevoli sorprese per gli italiani. 
 
Oggi è un giorno dedicato a tutto ciò che risorge e odio doverlo passare sospettando, invece,  che ci sia qualcuno che voglia affossarci. Allora sono andato a spulciare la lista degli esperti da lei scelti, per confrontarla con le liste di quelle organizzazioni che ho trattato nelle mie inchieste, e che fanno gli interessi dei grandi capitalisti, delle grandi multinazionali straniere, dell’alta finanza. Purtroppo le dico che la maggior parte dei nomi coincidono con la lista da lei proposta.
A capo della task force c’è tale Vittorio Colao, vicepresidente della lobby Europea “Round Table of Industrialists” una lobby che in pochi conoscono ma a cui io ho dedicato il capitolo “le lobby di Bruxelles”della mia inchiesta “La Matrix Europea” perché si tratta di una organizzazione nata per tutelare gli esclusivi interessi delle grandi multinazionali, soprattutto straniere. Tra i membri di spicco oltre a Colao troviamo, infatti, Peter Sutherland della Goldman Sachs, la banca che nel 2011 attaccò l’Italia, ma troviamo anche il presidente del Bilderberg, lo spietato Etienne Davignon. Questi sono gli ambienti che frequenta Colao alla European Round Table. Oltre alle grandi banche d’affari internazionali come la Morgan Stanley, dalla quale proviene il capo della task force che lei ha istituito, e che hanno sempre speculato nel nostro paese. Anzi, tornando al Bilderberg, ho notato che il nome Colao appare nelle liste di quella organizzazione per la prima volta proprio nel 2018. Indovini insieme a chi ? insieme a Mariana Mazzuccato, altro personaggio che lei ha scelto per la task force governativa. Ora mi chiedo: si è fatto suggerire da qualcuno o in quegli ambienti dell’alta finanza speculativa hanno davvero la sfera di cristallo, se meno di due anni fa hanno convocato per la prima volta Colao e Mazzuccato e oggi se li ritrovano in una posizione per loro utile al Governo italiano? Opto per la seconda risposta, dato che a quella riunione con loro c’erano anche Ursula Von der Leyen, poi diventata presidente della Commissione europea e Charles Michel, poi diventato presidente del Consiglio Europeo. L’anno prima c’era anche Christine Lagarde diventata poi governatore della Banca Centrale europea. Quindi l’unica risposta attendibile e che questi speculatori internazionali abbiano davvero una sfera magica, altrimenti dovremmo pensare che questi personaggi siano proprio loro ad imporli.
 
https://bilderbergmeetings.org/meetings/meeting-2018/participants-2018
 
Ma non sono questi gli ambienti da cui dobbiamo difenderci? Lo ha visto lei stesso in queste settimane che le parole della Lagarde hanno fatto schizzare senza motivo il nostro spread. Le avrà ascoltate sicuramente le inaccettabili  frasi contro di noi della Von der Leyen, talmente gravi, che io non sono neanche riuscito ad accettare le sue scuse. Dovrei magari riascoltarle oggi che è Pasqua. Ma allora perché ha scelto tra i membri di quelle stesse organizzazioni quelli che invece dovrebbero salvarci? Guardi che io non le sto dicendo che appartenere a quelle lobby voglia dire far parte di uomini incappucciati che si riuniscono in segreto per comandare il mondo. Ma sappiamo bene che sono ufficialmente organizzazioni di categoria, dai metodi marcatamente antidemocratici, nate per portare avanti gli interessi di una ristretta élite di persone o comunque di categorie che nulla hanno a che vedere con i popoli. Cosa c’entrano allora questi personaggi con la task force per risollevare i popoli da una delle peggiori crisi che abbiano mai attraversando? Eppure li avete scelti tutti in quegli ambienti. Enrico Giovannini è uno dei membri del board del Club di Roma ideato da Rockefeller. Cosa c’entrano questi personaggi con noi ? Chi glieli ha suggeriti? Possibile che non esistano in Italia esponenti che amano il proprio paese e che provengano da sindacati, da associazioni, da organizzazioni nate per fare gli esclusivi interessi del popolo italiano?
 
Allora i sospetti mi vengono. Capirà che se ritrovo l’ex Ad di Vodafone, Colao, esperto di telecomunicazioni, in una task force governativa in un periodo in cui si vorrebbe far accettare al paese la folle transizione verso la tecnologia 5G, comincio a pensare che questa cosa la proporranno tra quelle “misure necessarie” che hanno però bisogno di un popolo sotto shock per essere accettate. Colao è sempre rimasto uno dei più grandi estimatori di questa tecnologia di quinta generazione, nonostante sia pienamente consapevole, non tanto dei possibili danni alla salute del 5G, che qualora ci fossero, certamente non ce li verrebbe a raccontare l’Ad di Vodafone, ma dei danni sociali. Riporto un virgolettato di un articolo pubblicato da Dagospia con le parole proprio di Colao a riguardo.

https://m.dagospia.com/un-pechino-di-colao-l-ad-vodafone-in-difesa-della-cinese-huawei-accusata-dagli-usa-di-spiare-168190

L’amministratore delegato di Vodafone Group si dichiarava ottimista sulle sfide del futuro ma non nasconde le possibili conseguenze della nuova era dell’intelligenza artificiale e del 5G:

“C’è molta paura per i posti di lavoro che spariscono e per i salari che potrebbero scendere – osserva – ma ci sono anche dei requisiti rispettare per governare il cambiamento”.

Posti di lavoro che spariscono? salari che potrebbero scendere? E’ questo quello di cui abbiamo bisogno per uscire dalla crisi? Nell’articolo è scritto anche (riporto testualmente):

“l’Ad di Vodafone Group cita più volte l’Italia come esempio di sperimentazione intelligente delle reti 5G di prossima generazione”.

Sperimentazione intelligente? sulle nostre teste? Chi l’ha autorizzata? Quando abbiamo firmato per essere delle cavie di un laboratorio a cielo aperto? Che queste cose le dica l’amministratore delegato di una azienda di telefonia mobile lo trovo poco etico, ma plausibile, ognuno porta avanti i propri interessi in questo mondo basato sugli egoismi. Ma che queste parole siano di colui che oggi guida il gruppo nato per risollevare il mio paese dalla crisi dovuta alla pandemia, lo trovo inaccettabile. Come fanno a non sorgermi dubbi, se alla sua prima uscita pubblica nella nuova veste, ci fa sapere che:  “L’Hi tech è decisivo contro la crisi e per il controllo della popolazione”. Frase ripresa poi da tutti i media.

https://www.corriere.it/politica/20_aprile_12/coronavirus-prima-riunione-conte-colao-hi-tech-decisivo-contro-crisi-5b099da0-7c72-11ea-9e96-ac81f1df708a.shtml

Mi dica la verità è il 5G la sorpresa nell’uovo di Pasqua per gli italiani? Io non sono contro il progresso, ma non è questo il modo di imporre certe misure. Che cosa avete promesso, invece, alle banche straniere e agli speculatori che fanno capo al Bilderberg? di riaprire il mercatino Italia? cosa gli daremo? Autostrade per l’italia? Alitalia? i nostri porti? O semplicemente a costo zero gli farete raccogliere tutte le aziende che nel frattempo farete fallire? Perché questa è la strategia che hanno già usato nel 92. Come si dice: cavallo vincente non si cambia. Ed infatti analizziamo il copione:

Approfittare di uno stato di shock del paese: Il 1992 quando partirono le privatizzazioni fu l’anno più scioccante per gli italiani. In pochi mesi ci furono le stragi eccellenti e l’inizio di tangentopoli. Ci dissero che “servivano misure necessarie” e una “task force”. La mini-crociera sul Britannia con il gotha della finanza internazionale venuto a largo di Civitavecchia per acquistare le nostre aziende e le nostre banche a prezzi di saldo, la organizzarono 10 giorni dopo l’attentato a Falcone. Il popolo era terrorizzato. Il paese era in lutto. Pezzi del governo, tra cui Mario Draghi, erano invece, a brindare con i membri dei potentati bancari e finanziari internazionali. Neanche il lutto nazionale li fermò. Bisognava approfittare del momento. Shock economy docet.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/01/22/britannia-la-vera-storia/5681308/

E da dove provenivano i vari Prodi, Draghi, Monti? Esattamente dal Committee di quelle medesime organizzazioni internazionali dalle quali provengono oggi i salvatori della task force.

https://bilderbergmeetings.org/background/steering-committee/former-steering-committee-members

Non hanno cambiato una sola virgola. Caro Presidente, me lo dica. Tanto non ci ascolta nessuno. Ho colto nel segno vero? Sono quelle le “misure indispensabili”? lo dica solo a me. Le ho dedicato la domenica di Pasqua per scrivere, nonostante il movimento delle mie dita sia rallentato dalla digestione dello splendido casatiello napoletano di mammà.

Non si preoccupi della reazione degli italiani. Non le diranno nulla. Ci pensa Rocco Casalino. Le scriverà un discorso in cui comunicherete agli italiani che avete scoperto che il sito dell’Inps si bloccava a causa del 3G ma che risolverete subito con il 5G, in modo che i soldi possano arrivare finalmente sui loro conti. Tirerete giù qualche albero e alzerete qualche antenna tanto ora non vi vede nessuno e qualora vi scoprissero, voi lo avete già anticipato che l’hitech ci salverà. Quindi vi crederanno. Poi dirà di aver sbattuto i pugni sul tavolo per evitare il Mes, che non ci serve più, dato che con un po’ di privatizzazioni le cose si sistemano. Ed aprirà finalmente il mercatino. Sconto covid19, suona anche bene. Se non vuole dirmelo, ancora una volta mi toccherà fare una previsione e pubblicarla. Le ultime volte mi è andata bene. Non c’è nulla che non si sia verificato. A pensar male tante volte si fa peccato ma spesso ci si indovina. In fin dei conti, se noi non abbiamo scelto la task force e non abbiamo scelto manco quelli che l’hanno scelta la task force, è ovvio che qualcuno dovesse scegliere per noi.

Buona Pasqua Presidè.

Se non sapesse nulla di come operano quelle organizzazioni le lascio il link de La Matrix Europea:

La Matrix Europea

FONTE:https://www.francescoamodeo.it/lettera-a-conte-task-force-governativa-con-membri-di-organizzazioni-che-odiano-i-popoli/

 

L’incubo totalitario dalla quarantena al comunismo

Marcello Veneziani – La Verità 7 aprile 2020

La cattività prolungata genera cattivi pensieri. Di chi la subisce, di chi la decreta. Malus mala cogitat, chi vive male pensa male, potremmo tradurre. Così in dormiveglia, tra la notte e l’alba, ho avuto un incubo. Ho visto, ho pensato, ho sognato – non so dire bene – dove avrebbe portato la lunga detenzione per ragioni sanitarie: a un regime totalitario mai visto che arrivava a privare i cittadini delle libertà più elementari e non ammetteva alcun dissenso nel nome della suprema emergenza sanitaria. Negati i diritti principali, che precedono perfino quelli democratici: uscire di casa, passeggiare, incontrare familiari ed amici, abbracciarsi, vivere all’aperto, andare a messa. Veniva poi spenta ogni attività produttiva, distrutta ogni possibile forma di lavoro, di ricreazione, dalla lettura al caffè; solo distrazioni centralizzate e controllate, perché somministrate dalla rete e dal web direttamente ai domiciliari.

Nell’incubo l’obbligo di mascherine era diventato permanente, allo scopo di mettere la museruola ai cittadini, impedire loro di parlare liberamente e farsi capire, con la scusa di salvaguardarli la salute. Sotto la minaccia della malattia, l’ospedalizzazione e la morte, il popolo impaurito diventava docile, non opponeva resistenza. Era severamente proibita ogni riunione da tre persone in su e vietata ogni manifestazione che richiamasse un’assemblea. Sradicata ogni fede, ridotta solo al segreto della propria intimità (chiusi in bagno a pregare), la politica costretta al privato, concessi invece il fumo e il cane da passeggio.

A un certo punto, il divieto assoluto di uscire fu rimosso ma con quattro pesanti condizioni. La prima fu che persino respirare all’aria aperta, uscire di casa, passeggiare, fu considerata come una concessione, una grazia del potere clemente, e dunque la gente doveva esser grata ai suoi carcerieri che finalmente poteva fare quello che nessuno nell’umanità aveva proibito a un popolo intero. La libera circolazione, però limitata. Anche sulle opinioni e i dissensi restava divieto di circolazione, c’era una commissione apposita per reprimerle.

La seconda condizione fu il prezzo richiesto per quella grazia; considerando che un virus può evolversi e rigenerarsi in altre forme, allora la profilassi, i controlli, il distanziamento sociale, i viaggi vigilati e tutte le limitazioni vigenti furono solo temperate e regolate ma non sparirono. Si potevano fare due passi, senza esagerare, rispettare i turni per prendere l’auto e andare al supermercato, regolare la propria vita al ritmo del Campanone di Stato che scandiva orari, permessi e divieti. In cambio di questa libertà limitata i sudditi dovevano essere controllati da braccialetti elettronici e collari-guinzaglio, telefonini di sorveglianza, retromascherine alla nuca che segnalavano la presenza, lo spostamento e il tempo scaduto di uscita. Fu vietato il mare, sinonimo di libertà.

Ma il regime totalitario-sanitario diventò davvero efferato quando affrontò la poderosa crisi economica e sociale che il contagio aveva creato, il fallimento di milioni di attività, la perdita del lavoro per milioni di lavoratori, la miseria e la fame. Dopo aver promesso interventi statali a protezione, a sostegno, dei tanti rimasti per terra, dopo aver promesso redditi e finanziamenti per ripartire, le casse si vuotarono, e allora si decise dopo un prelievo forzoso in forma di patrimoniale, di adottare un rimedio più radicale. Azzerare ogni stipendio, tutti ricevono lo stesso reddito universale di cittadinanza. Ovvero a ciascuno secondo i suoi bisogni. Negato ogni riconoscimento ai meriti e alle capacità, agli studi e ai curricula, all’inventiva e all’intraprendenza. Si avverava così l’utopia del comunismo, ma veniva chiamata in altro nome per rassicurare la gente; e veniva promossa da gente che non veniva dal comunismo ma dal nulla o dal circo. A’ livella diventò l’inno universale, acclamato dai nuovi proletari affamati. Nessun regime, neanche il più sanguinario, era riuscito a estendere in modo così radicale il controllo totalitario e il reddito egualitario. Ci riuscì la paura del contagio e la crisi che ne seguì. Si affacciò allora il sospetto che il virus fosse stato indotto o almeno veicolato, manipolato, cavalcato. E che gli stessi paesi da cui era partito prendessero il sopravvento estendendo il regime comunista all’occidente.

Infine, la miseria economica e sociale, i sussidi di stato e il controllo a scopo sanitario, produssero di fatto l’estinzione delle sovranità politiche, popolari e nazionali e il trasferimento del potere a un protettorato medico-economico-tecnocratico che garantiva i flussi finanziari, i divieti e il bilancio. Fu così che il comunismo cooptò gli oligarchi della finanza. Col dispotismo maocapitalista furono insediati i cavalli di Troika, terne di comando costituite da un banchiere, un manipolatore mediatico e un militare. Sbaragliati i paesi sviluppati e smantellate le loro produzioni, ridotti alla fame i paesi che vivevano del petrolio, livellata la società e revocata la democrazia, il comunismo implicito era dominato da un clan di falsi scienziati e di veri satrapi.

Un raggio di sole filtrato nella stanza mi liberò dall’incubo ma restò negli occhi, nella mente, nei polmoni, in gola. Certo, sono cattivi pensieri; anche Paul Valéry scrisse i suoi Cattivi pensieri in tempo di cattività sotto la guerra mondiale e durante l’occupazione tedesca.

La dolcezza proibita di aprile, che era il mese più bello e più promettente – bello per la primavera che effonde, promettente per l’estate che annuncia – è diventato con la prigione domestica “il più crudele dei mesi”, come scrisse T.S. Eliot.

E il divieto di Resurrezione per motivi igienici, imposto nella Settimana Santa, ha reso ancora più atroce la detenzione. Se neghi a un uomo la Pasqua, nel nome della salute gli neghi la possibilità di salvezza.

FONTE:http://www.marcelloveneziani.com/articoli/lincubo-totalitario-dalla-quarantena-al-comunismo/

 

 

 

L’ottantena

Dobbiamo restare a casa. Dobbiamo essere ottimisti. Dobbiamo essere mansueti. Le parole pandemia, coronavirus e covid-19 sono ripetute migliaia e migliaia di volte, come se dovessero radicarsi nell’inconscio collettivo. Un fulminante incipit di uno di quei romanzi storici o distopici che danno forma alle nostre paure primordiali. L’epidemia, la morte per contagio. Lo spazio intorno a noi che credevamo salvato e sicuro e improvvisamente si fa ostile. Invalicabile. “State a casa” (ma non troppo). “Stare a casa” è una doverosa scelta assunta dalla politica in vista del minor danno per tutti, ma viene assunta perché né la medicina né la politica hanno saputo offrire una benché minima risposta alternativa. “Stai in casa”, ti dicono, guarda la tivù. E noi si obbedisce. Accoccolati in poltrona, davanti la tivù. Sbalorditi di fronte alle immagini di patrioti da balcone e da divano. Fra bandiere sventolate e parole dette e scritte come lockdown, droplet, smart working, clickday (mai sentite prima d’ora), e streaming, jogging, runner, rider (mai sentite in tale misura). Mai visti tanti tricolori, mai sentito tanto inglese. Al di là degli aspetti pittoreschi, non si può obbligare troppo a lungo la gente in casa. Ci sono problemi psicologici di cui bisogna tener conto. Non siamo in Cina. Quello è un regime. Un altro modo di pensare. Ci vogliono messaggi chiari. Non possiamo dare quaranta deadline due volte al giorno: una volta la riapertura dovrebbe essere a Pasqua, poi dopo Pasqua, e poi ancora dopo il primo maggio. La verità è: nessuno può realisticamente dire cosa accadrà. Predizioni su curve, picchi e numerologia varia, collegati ai numeri ogni sera vengono snocciolati in tv. Quante le persone contagiate? C’è chi il test non lo fa. Tamponi, vittime, guariti: l’importanza del criterio con cui si contano. Vedere poi il capo della Protezione civile che l’altra giorno con un certo rigorismo calvinistico-sadico annuncia che staremo in quarantena anche il primo maggio, o sentire (chi li ascolta, veramente, ancora?) l’assembramento dei virologhi da salotto tv (proiettati alla ribalta dall’epidemia) che discettano ancora su mascherina sì mascherina no, senza avere la benché minima idea di come curare i malati se non attaccandoli all’ossigeno. Ogni giorno siamo in affannosa ricerca di informazioni. Quando finirà il contagio? Quando potremo tornare alla normalità? Quando non avremo più paura? Sono domande che ci ripetiamo quotidianamente, e a cui non sappiamo dare risposta. La sete di informazione non trova soddisfazione, e allora spesso ci si affida a informazioni inattendibili. C’è un solo modo per dare risposta alle tante domande sulla più grande emergenza sanitaria del dopoguerra: ammettere che sappiamo molto, troppo poco sull’evoluzione della pandemia in Italia. Abbiamo accettato responsabilmente la quarantena, pur nutrendo qualche dubbio e facendo fatica a mettere insieme le domande con le risposte. Ma ci è stato detto che questa era la cosa da fare, così la stiamo facendo. C’è gente che spera di uscire presto. Ne usciremo migliori, peggiori. Tutto, purché se ne esca. Ci stiamo stancando.  Mi sto stancando. Stamattina, sfidando il contagio per recarmi all’edicola, ho studiato un po’ i rari passanti: il salvacondotto di immediato impatto visivo è il guinzaglio del cane, o la busta della spesa da supermercato. Nella strada vuota di persone, vuota di auto (a proposito, le prestazioni della mia auto sono di molto migliorate. Adesso con venti euro ci faccio un mese), mi sono fermato a guardare la bacheca comunale: solo manifesti mortuari, nient’altro. Sembravano di un decennio fa. Rientri a casa, accendi la tv e ti accorgi che anche la programmazione è invecchiata precocemente. Lo vedi negli spot che passano in tv, e capisci che tanti altri spot sono finiti in un cassetto, dagli aperitivi in gruppo del Campari, dal sorriso smagliante al rossetto dietro la mascherina e alle città vuote della Barilla, evidentemente i creativi si staranno organizzando. I talk show, ormai quasi tutti via Skype, vivono una loro stagione fortunata, ma in maggior parte recitano tutti lo stesso copione e indulgono all’antico riflesso condizionato del confronto tra destra e sinistra, tra esperto ed esperto, tra il pro e il contro. La quarantena si appresta a trasformarsi in un’ottantena. Non si vede la luce, non sappiamo quando, come e perché riprenderemo la routine di un mese e mezzo fa. Stiamo vivendo una sorta di sperimentazione di massa all’interno di quattro mura domestiche. Senza alcuna valvola di sfogo. La frustrazione di stare chiusi in casa per molti si sta già trasformando in rabbia. Non ci sentiamo rassicurati. La paura del futuro (economico e sociale) dilata i problemi non li restringe. Pensare di tranquillizzarci perché ci danno 600 euro è trattarci da imbecilli. Uno sta in casa, in più con l’idea che il bar non si sa quando aprirà, la pizzeria non sa se e quando alzerà o meno la saracinesca, e poi l’estate, il sogno di tutti, me la sono giocata, o no? Adesso la domanda da farsi è la seguente: tutto chiuso quanto duriamo? Quale rischio possiamo correre, e come, e quando? Gli esperti sono utili, ma non c’è scienza esatta davanti al nuovo. Dicono che saremo a rischio zero solo quando arriverà un vaccino. Addio Pasquetta, quindi, e anche Primo Maggio. C’è da sperare qualche bagno, ben distanziati e con mascherina, ma non quella con il boccaglio.

FONTE:https://raffaelepengue.wordpress.com/2020/04/09/lottantena/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Ci tengono chiusi in casa perché non sono capaci di gestire l’epidemia.

Intervista a Luca Ricolfi

7 aprile 2020 – di Luca Ricolfi

Come sta messo il paziente Italia?
Non benissimo, a giudicare dal valore del nostro indice di temperatura.

Come funziona l’indice messo a punto dalla Fondazione Hume che misura la temperatura?
L’indice si basa sugli unici dati relativamente affidabili forniti quotidianamente dalla Protezione Civile, ovvero morti, ricoveri ordinari e ricoveri in terapia intensiva. Queste informazioni vengono rapportate a quelle dei giorni precedenti, e sintetizzate in un indice molto semplice e intuitivo, che si può leggere come una temperatura: quando il termometro segna 42 gradi significa che l’epidemia sta galoppando, quando ne segna 37 vuol dire che si è virtualmente spenta.

E stasera qual è la temperatura?
È 37.8, poco meno di ieri. Ma il cammino da 38 a 37 è più lungo e difficile di quello da 39 a 38.

Quali sono le realtà più critiche?
La Valle d’Aosta e la Calabria. Lo abbiamo scoperto ieri, quando abbiamo applicato il nostro termometro a tutte le regioni. Nel cammino di avvicinamento a 37 gradi la Valle d’Aosta, con oltre 40 gradi, è la regione più lenta, la Calabria è di un soffio sotto i 40 gradi.

E la più veloce?
Se la Valle d’Aosta è la lumaca, la lepre è la Sardegna, che è già scesa sotto i 38 gradi, 37.6 per l’esattezza.

Alcuni studi dimostrano che il dato dei morti non è certo, quello reale, confrontando gli andamenti comunicati dalla Protezione civile con le medie degli ultimi anni, sarebbe di almeno tre volte tanto. Le risulta?
Mi risulta eccome. La mia stima più recente è che, almeno a marzo, i morti effettivi possano essere anche 3 volte quelli ufficiali. Il 31 marzo i morti ufficiali erano 12.428, il numero effettivo potrebbe essere di 40-45 mila: i morti silenti, dimenticati nelle loro abitazioni e nelle case di riposo, potrebbero essere 30 mila nel solo mese di marzo. E la differenza, credo che ne avremo le prove nei prossimi giorni, potrebbe essere dovuta in misura non trascurabile alle regioni del Sud, dove la diffusione del virus è molto più sottostimata che al Nord.

Ma se così fosse, il numero dei contagiati reali rispetto a quello degli accertati a quanto sale?
Questo è quello che tutti si stanno domandando, le stime che girano (talora relative al 28 marzo, talora aggiornate ai primi di aprile) spaziano da circa 2 a circa 16 milioni. Il valore più basso (1 milione e 900 mila) è il limite inferiore stimato dall’Imperial College, ed è a mio parere abbastanza irrealistico: sono parecchi di più. Il valore più alto, anch’esso di fonte Imperial College (15 milioni e 600 mila) è anch’esso poco credibile, a dispetto che sia stato recentemente accreditato dal nostro rappresentante presso l’Organizzazione Mondiale della sanità, che ha congetturato che gli infetti potessero essere il 20% della popolazione, ossia 12 milioni di persone.
In mezzo si situano ormai almeno 3-4 gruppi di studiosi, che convergono su una stima di 5-6 milioni di contagiati.

E lei ha una sua stima?
No, non ho una stima. Ne ho molte, perché – allo stato dell’informazione disponibile qualsiasi stima dipende da congetture su parametri che non abbiamo.

Quali parametri?
Essenzialmente quattro: il numero effettivo di morti rispetto al numero ufficiale, il tempo medio che intercorre fra il momento in cui si viene contagiati e la morte, il tasso di letalità in Italia (non è detto sia il medesimo in tutti i paesi), il peso degli asintomatici rispetto ai sintomatici e pauci-sintomatici. A seconda dei valori che si attribuiscono a questi parametri, la stima del numero di contagiati può variare notevolmente, anche se – a mio parere – non nel range indicato dall’Imperial College, che è troppo ampio ed equivale a non avere nessuna idea dell’ordine di grandezza del fenomeno: se dici che qualcosa può essere 1 o 10, come di fatto fa lo studio inglese (il rapporto fra massimo e minimo è 8.125), è come dire che non conosci nemmeno l’ordine di grandezza del fenomeno.
La “regola Crisanti” (moltiplico per 10 il numero dei contagiati ufficiali) porterebbe, ad esempio, a una stima di 1 milione e 325 mila contagiati (al 7 aprile). Se si usassero le morti ufficiali, e si ipotizzasse un tasso di letalità dell’1.5%, si potrebbe congetturare che i contagiati siano circa 1 milione. Ma se dovessimo accettare le congetture che molti studiosi stanno formulando in questi giorni, le cifre cambierebbero ancora, e di molto.

Che cosa si sta congetturando in questi giorni?
Il caso di Bergamo, in cui la mortalità fra marzo 2019 e marzo 2010 è esplosa ben al di là di quel che risulta dai morti ufficiali per Covid-19, ha indotto diversi studiosi a considerare come stima della mortalità da Covid non i decessi ufficiali della Protezione Civile bensì l’eccesso di mortalità osservato a marzo in una parte dei comuni italiani (l’Istat non è stata in grado di fornire i dati di tutti i comuni, ma solo di un campione distorto). Ebbene, i dati sulla mortalità pubblicati finora suggeriscono che il numero di morti effettivi possa essere il triplo del numero ufficiale. In tal caso il numero di contagiati non sarebbe di poco più di 1 milione, ma di poco meno di 4.
Ma anche assumendo per buona questa linea di ragionamento, resterebbe l’incertezza sul tasso di letalità, che per la maggior parte degli studiosi è compreso fra l’1 e il 2%, ma secondo i più pessimisti potrebbe anche essere maggiore del 3%.

Ma tenuto conto di tutto ciò, se la sente di azzardare una stima?
Sì, a me la stima più ragionevole pare quella che assume una mortalità tripla di quella ufficiale, e una letalità dell’ordine dell’1.5, forse del 2%, il che porta il numero di contagiati vicino ai 4 milioni (1 cittadino su 15), a metà strada fra la stima inferiore dell’Imperial College (2 milioni) e le stime pessimistiche dei colleghi che in questi giorni si sono spinti a parlare di 6 milioni di contagiati.

Come mai in Germania ci sono meno morti che da noi?
Non lo so. In un primo tempo, sono state avanzate due spiegazioni: il fatto che, essendo l’epidemia partita dopo, i malati tedeschi “non hanno ancora avuto il tempo di morire”, e l’ipotesi che il sistema di attribuzione delle cause di morte sia radicalmente diverso dal nostro. Ora però il tempo è passato, ed emerge che anche altri paesi hanno tassi di letalità apparente molto più bassi dei nostri. Quindi ribadisco la mia risposta: non lo so.

Abbiamo superato il picco?
Il concetto di “picco” è fuorviante. C’è un picco dei contagiati, un picco delle ospedalizzazioni, un picco della mortalità. E sono temporalmente sfasati fra loro. Il vero problema, però, non è se abbiamo superato il picco (io ritengo che abbiamo superato sia il picco delle ospedalizzazioni, sia quello dei morti), ma quanto lentamente scenderemo la collina: non è la stessa cosa metterci 5 settimane o 5 mesi, vuol dire riaprire a fine aprile o a settembre, dopo l’estate.
Il confronto con la Corea è scoraggiante: lì dopo il lockdown l’epidemia è scesa a precipizio, noi stiamo comodamente scendendo la collina.

Intanto c’è il rischio di una recessione profonda e duratura dell’economia?
No, non c’è un rischio, c’è una certezza. Purtroppo, per ora, il governo non sembra aver compreso le vere esigenze dell’imprese: si parla di prestiti a tasso zero garantiti dallo Stato, ma i problemi sono altri: pagare i fornitori e coprire i costi fissi quando il fatturato viaggia verso zero. Se vuole aiutare le imprese, lo Stato dovrebbe pagare istantaneamente tutti i suoi debiti verso il settore privato, e fornire aiuti a fondo perduto agli operatori che hanno subito un crollo del fatturato.
Ma le sembra che un imprenditore cui vengono a mancare alcune mensilità di fatturato può pensare di risolvere il problema aumentando l’indebitamento verso il sistema bancario? Che se ne fa di un prestito a tasso zero se ha un buco di fatturato del 20 o 30% rispetto all’anno precedente?

Il vaccino potrebbe arrivare forse il prossimo anno. Da più parti si chiede di mettere a punto una fase due di uscita graduale dalle misure di contenimento (lettera dei 150), con uso massiccio delle mascherine, test diffusi per scovare gli immuni e tamponi per i contagiati sommersi, ospedali dedicati per il Covid. Sperimentazioni stanno partendo in tal senso. Su quali basi e in quale tempo secondo lei si può pensare di allentare la stretta senza ritrovarsi in una situazione di ritorno più grave di quella di partenza?
La mia sensazione è che, non essendo capace di “fare come in Corea”, il governo caricherà quasi interamente sui cittadini l’onere di sconfiggere il virus, mettendo un intero paese agli arresti domiciliari piuttosto a lungo. Il fatto che negli ultimi giorni si siano moltiplicati gli avvertimenti che la fase di lockdown potrebbe essere lunga, io lo interpreto così: cari cittadini, noi non riusciremo a fare granché, quindi armatevi di santa pazienza, perché isolarvi e segregarvi è l’unica cosa che siamo davvero capaci di fare.
Se non fosse così, avremmo già visto: tamponi ed esami sierologici di massa, mascherine per tutti; sistema di tracciamento dei positivi funzionante; dati dell’Istituto Superiore di Sanità non secretati; campione statistico nazionale, per conoscere la diffusione dell’epidemia e tutti i dati necessari a governare la fase di riapertura.
Invece siamo ancora qui, a dibattere ogni giorno di cose che dovrebbero esistere da un pezzo.

Intervista a cura di Alessandra Ricciardi pubblicata su Italia Oggi del 7 aprile 2020

FONTE:http://www.fondazionehume.it/societa/ci-tengono-chiusi-in-casa-perche-non-sono-capaci-di-gestire-lepidemia-intervista-a-luca-ricolfi/

 

Il numero dei morti

Federica Francesconi – 13 04 2020

Sapete cosa succederà a maggio? Se i morti continueranno a calare fino ad andare sotto le 50 unità il governo e il comitato del MinCulPop che lo affianca, ops scusate, il Comitato tecnico- scientifico, si autoincenseranno. Grideranno a gran cassa che la segregazione di 60 milioni di italiani è stata cosa buona e giusta per sconfiggere il virus e che loro sono dei ganzi per aver indovinato la strategia vincente.
Se invece il numero dei morti non calerà in modo significativo, allora riverseranno la colpa sugli italiani, popolo di indisciplinati ed irresponsabili, che osano uscire per farsi una corsetta all’aperto e fare una grigliata sul terrazzo di casa. A questo punto potrebbero decidere di prolungare la segregazione o addirittura di inasprire le misure in stile modello cinese. La Cina, che fino a 3 mesi fa era disprezzata in Europa perché impero palesemente antidemocratico, diventerà il faro per l’Italia. Di fatto solo Cina, Filippine, India, Italia e Spagna stanno applicando alla lettera le disposizioni dell’OMS. Gli altri paesi hanno fatto di testa loro. E infatti non registrano il numero di morti che abbiamo in Italia, segno che il problema del contagio non è l’italiano che esce di casa per sgranchirsi le gambe.
Negli ultimi giorni ho letto di testimonianze agghiaccianti di una recrudescenza dei controlli delle forze dell’ordine e dei pretesti demenziali con cui multano i cittadini. I cieli dell’Italia sono continuamente sorvolati da elicotteri e droni in dotazione delle forze dell’ordine. Non si era mai visto un dispiegamento così potente di mezzi nelle stazioni delle principali città italiane, prese d’assalto ogni giorno da spacciatori e altri delinquenti comuni. In quelle circostanze il pololo italiano non rischiava di essere aggredito, scippato e stuprato? No. Ora il nemico è invisibile, è nell’aria, ci racconta la narrazione falsata del Comitato.
Arriveranno a bastonare i cittadini che osano uscire di casa come hanno fatto in Cina e in India, o a sparargli a vista, come ha ordinato il re delle Filippine? I trasgressori delle restrizioni contenute nell’ultimo decreto a livello nazionale sono il 3,5% secondo i dati ufficiali. Non pensate che sia un insulto alla nostra intelligenza continuare a pensare che la curva dei morti e dei contagi non scende per colpa di questi quattro trasgressori?
Di una cosa non dovrete mai dubitare, voi sciocchi miserabili mortali: qualsiasi cosa facciate, per il sistema e per i citrulli che ne slinguazzano le parti intime, è sempre colpa vostra. Vi fanno nascere con l’idea che il debito pubblico è colpa vostra, vi faranno morire con l’idea che la diffusione del contagio è colpa vostra, che facciate o meno grigliate all’aperto.
Ordunque, penitenziagite!
Piegatevi a 90 gradi e continuate ad espiare
gli atroci peccati che
la pretaglia del mondialismo non vi perdonerà mai.

A “POMERIGGIO 5” L’INSEGUIMENTO IN ELICOTTERO DI UN UOMO CON IL CANE IN SPIAGGIA 

13 APRILE 2020

I SOLDI DELLE NOSTRE TASSE SPESI PER SOLLAZZARE I GIORNALISTI DELLA D’URSO E ANDARE A CACCIA DI PERICOLOSI BAGNANTI, MAMME CON BAMBINI E GENTE CHE MANGIA SULLE TERRAZZE: MENTRE I CLANDESTINI SBARCANO DAVANTI AI RADAR DELLA MARINA. AVETE ROTTO IL CAZZO.

RadioSavana@RadioSavana

Fermi tutti blitz in diretta: elicottero della Finanza, unità navale e uomini a terra per fermare una signora rea di portare il proprio cane a fare i bisogni. Forse la situazione è scappata di mano. #CoronaVirus

436 utenti ne stanno parlando

Pomeriggio 5

@pomeriggio5

In diretta l’inseguimento della Guardia di Finanza dopo aver individuato delle persone sulla spiaggia a Venezia

Video incorporato

412 utenti ne stanno parlando

Immagini degne dei film distopici americani degli anni Novanta a Pomeriggio 5, con l’invasata inviata che racconta dall’elicottero della Guardia di Finanza le operazioni di controllo nella giornata di Pasquetta e offre la cronaca degna della fuga di un criminale, mentre le telecamere inquadrano una persona che porta il suo cane a fare i bisogni.

Italiani perseguitati come pericolosi assassini se escono di casa:

Dopo Venezia l’elicottero si è spostato anche su Jesolo, ma sulla spiaggia le telecamere del programma di Barbara d’Urso hanno individuato una persona a passeggio in spiaggia. Subito è partito l’allarme e gli agenti da terra hanno provato a raggiungere il furbetto che, però, è riuscito a scappare:

Ci mancava la D’Urso che va a caccia di pericolosi ‘furbetti’. Dal Grande Fratello trash a quello di Stato.

State a casa a guardare i programmi trash di Mediaset, sarete sudditi perfetti della dittatura sanitaria.

Ora, capiamo che Mediaset è milano-centrica, come è normale che sia, ma ci sono zone d’Italia dove il virus non esiste in termini di epidemia.

Intanto, a Milano il contagio aumenta. Forse per i rider che fanno avanti e indietro senza controlli, usando treni e tram, mentre voi andate a caccia di runner?

FONTE:https://voxnews.info/2020/04/13/a-pomeriggio-5-linseguimento-in-elicottero-di-un-uomo-con-il-cane-in-spiaggia-video/

 

 

 

Blade Runner, quel futuro immaginario potrebbe non essere così lontano dalla realtà

Francesco Carraro – 9 GENNAIO 2020

Durante le feste, periodo ideale per le “rimpatriate” cinematografiche, è stato riproposto un classico d’autore: Blade Runner. Il celebre cult di Ridley Scott, con Harrison Ford, è ambientato nell’anno… scorso. Infatti, proprio in un piovigginoso e iper-avveniristico 2019 si snoda la trama della caccia all’androide interpretato da Rutger Hauer, programmato per vivere come uno schiavo e per soli quattro anni.

Ci può aiutare, in questo esercizio di catastrofico ma salutare realismo, un recente libro di Marco Pizzuti dal titolo Criptocrazia non autorizzata (edizioni Il punto d’incontro). Nel suo saggio, l’autore ripercorre tutti i più recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale (passando a volo d’uccello anche sulle implicazioni della tecnologia blockchain, delle criptovalute e del “magico” monopolio privato della creazione del denaro). Già ora, ci ricorda l’autore, si parla di un possibile impiego politico dell’Ai, con tanto di candidature per cariche elettive (a prova di corruzione).

Ora, tutto questo va rapportato alla velocità con cui il processo si svolge: e cioè, grossomodo, quella esponenziale della seconda legge di Moore. A questo punto, si pongono tutta una serie di questioni che, nel breve volgere di qualche lustro, potrebbero relegare al rango di quisquilie le tematiche politiche su cui oggi ci azzuffiamo. Per esempio: il fatto che la quarta rivoluzione industriale (intelligenza artificiale, robotica, internet delle cose, stampa 3D, ingegneria genetica, computer quantistici et similia) è “condannata” a generare un vero e proprio terremoto sul piano occupazionale. Milioni di lavoratori si avviano a diventare superflui e, quindi, ad essere letteralmente rottamati da un sistema artificiale in grado di sobbarcarsi non più solo le mere fatiche manuali, ma anche quelle più sofisticate e intellettuali.

Lo tsunami conseguente – come paventa lo stesso Pizzuti – potrebbe addirittura portare all’implosione del sistema capitalistico “tradizionale”: se spariscono i salariati, anzi i lavoratori retribuiti in genere, chi comprerà le merci prodotte dalle macchine? Con quali soldi?

Di più: saranno ancora necessari i soldi in una società in cui ogni tipo di funzione può essere esercitata mille volte meglio da una macchina che da un uomo? E il lavoro che fine farà? Forse, da un lato e per molti, terminerà l’alienazione marxianamente intesa. Ma quale sarà il destino degli individui privati della necessità stessa di esercitare un impiego qualsivoglia in grado di dare un senso “nobilitante” all’esistenza?

A un tratto, persino il concetto di “occupazione” come motore dell’economia potrebbe farsi obsoleto. Bisognerà “occupare” la gente non già con una logica e secondo finalità produttive, ma solo in una prospettiva di controllo delle masse: onde evitare lo sbocco anarcoide di una popolazione altrimenti abbandonata ad un ozio improduttivo. E magari mantenuta in vita con un “reddito minimo di cittadinanza universale”.

In tutto ciò, l’aspetto più inquietante è bio-politico, come avrebbe detto Michel Foucault. A chi spetterà la governance di questa inerziale deriva? Continuando di questo passo, a coloro che già la detengono e che si stanno (proprio ora) esercitando nell’uso: un manipolo di “signori” a capo di corporation private destinate a divorarsi reciprocamente finché non ne resterà che un paio, o addirittura una sola.

A “lavori ultimati” potremmo trovarci di fronte al capovolgimento integrale della nozione classica di democrazia: non più il governo del popolo (e quindi di uno Stato) sugli egoismi privati, ma il trionfo assoluto di pochi privatissimi eletti su un popolo pascolato al guinzaglio. Le tinte fosche di Blade Runner risultano quasi rosa pastello se rapportate a questo scenario. Soprattutto perché la parte dello schiavo, con data di scadenza incorporata, potrebbe toccare – anziché agli androidi sfruttati del film – agli esseri umani non appartenenti all’elite. Cioè quasi tutti.

www.francescocarraro.com

FONTE:https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/09/blade-runner-quel-futuro-immaginario-potrebbe-non-essere-cosi-lontano-dalla-realta/5656228/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Filippo Facci: “Io da martedì uscirò liberamente e sfacciatamente per le strade del mio Paese”

(Filippo Facci – Libero Quotidiano) – Io da martedì uscirò liberamente e sfacciatamente per le strade del mio Paese, e lo farò in spregio a un governo indegno e cialtrone che si illude di poter giocare a tempo indeterminato con le mie libertà individuali e con il mio diritto di parola e di espressione. Voglio chiarire una cosa: io non ho il coronavirus, non chiedetemi come lo so, ma lo so. Io continuerò a mettere guanti e mascherine e rispetterò le distanze come tutti i cittadini devono fare, e come dovranno fare ancora per molto tempo.

Ma non mi farò mettere «app» sul telefono che equivalgono al braccialetto dei carcerati o alla dittatura cinese, non mi farò spiare da un drone, anzi, se ne vedrò uno lo abbatterò con la fionda. Io non ho affollato e non affollerò autostrade e raccordi come gli idioti ufficialmente ligi alle regole che si sono spostati per Pasqua e Pasquetta ma col giustificativo il tasca, magari perché devono andare proprio in quella farmacia di Sabaudia o in quell’ ipermercato di Courmayeur.

TUTTI A COURMAYEUR

 Io continuerò a rispettare le forze dell’ ordine per cui ho una deferenza quasi maniacale, patirò le conseguenze delle mie azioni quali che siano, ripeto, quali che siano: ma non canterò canzoni al balcone come un esibizionista deficiente e non appenderò bandiere in genere buone per quando la nazionale vince mezza partita, anzi, appenderò una gigantografia della nota dell’ Agicom del 19 marzo in cui si intima di «contrastare la diffusione in rete sui social media di informazioni relative al coronavirus false o non corrette, o comunque diffuse da fonti non scientificamente accreditate».

Che è la ciliegina finale sulla dittatura: quali sarebbero le «fonti scientificamente accreditate»? Ma se non ci capiscono un cazzo neanche al governo: è tutto in mano a cosiddetti esperti del tutto privi di una guida politica, magari ecco, una fonte accreditata dovrebbe essere il belga Gunter Pauli, l’ amico di Grillo che è diventato consulente del Giuseppe Conte e che ha dichiarato che grazie al coronavirus la terra torna finalmente a respirare.

Abbiamo giornali che fanno disinformazione ogni giorno – è un fatto – ma che devono avere il diritto di farla, se credono; abbiamo un governo che procede a decreti legge che poi partoriscono infiniti altri decreti amministrativi poi corretti e ricorretti (col Parlamento che ogni volta sta a guardare, in attesa di votare ciò che poi potrebbe anche non votare, invalidando tutto) e abbiamo pure i medici che non possono parlare alla stampa senza l’ autorizzazione delle autorità sanitarie: in sostanza può parlare solo il governo, magari insultando l’ opposizione e prendendo pure dei granchi colossali come l’ altro giorno. E non facciamo polemiche, mi raccomando, sennò siamo degli irresponsabili: l’ unica voce che dovremmo ascoltare, insomma, è quella di un avvocato digiuno di politica, mai eletto, e di un ex concorrente del Grande Fratello. Beh, col cazzo.

Io martedì esco, venitemi a prendere. Le leggi e le regole (soprattutto la Costituzione) le conosco meglio di voi, e lo so bene che un periodo di emergenza può giustificare la limitazione della libertà personale proporzionata al pericolo in corso: ma qui non lo è, non lo è più, perché qui il pericolo non sono io.

VENITEMI A PRENDERE

Cioè: non sono io se prendo la macchina a vado a farmi un giro in montagna dove rischio di incontrare al massimo una capra; il pericolo siete e vi siete rivelati voi, inetti e incompetenti, partiti col «siamo prontissimi» e «abbraccia un cinese» e aperitivi contro la paura per poi ritardare su tutto, fare ridicole gare Consip che hanno fatto perdere tempo decisivo, emesso decreti al rallentatore che hanno fatto partire per il Sud mezza Italia, dato il tempo agli stati confinanti di non venderci più neanche una mascherina, fatto zone rosa, poi rosso annacquato, mandato i militari in val Seriana salvo dirottarli altrove – facendo nascere il focolaio peggiore del mondo, se non lo sapete – e dando la colpa alla Lombardia come se avrebbe potuto fare una grande zona rossa da sola, senza un esercito.

I colpevoli siete voi, un governo che ha rinchiuso i bambini ma liberato i cani, fatto inseguire i runner dalla polizia, e tutto questo senza un piano chiaro, un’ idea seria di via d’ uscita, selezionando le aziende «fondamentali» con criteri tutti vostri, facendoci deridere dal mondo intero nonché prendere come esempio negativo.

Bene: il tempo è scaduto.

Se il mio Stato si chiamasse Lombardia, continuerei a obbedire come ho sempre fatto, perché è gente seria o farei il mio dovere civico anche se fossi in disaccordo, perché loro – loro sì – hanno fronteggiato uno tsunami da soli.

Ma da questo governo non accetto (più) la privazione dei miei diritti fondamentali a tempo indeterminato – non meno importanti del diritto alla salute, sappiatelo – come in altri stati non accade: perché alzi la mano chi ha capito se e come finirà il lockdown, che peraltro – di questo neppure ho parlato – sta economicamente ammazzando il Paese e chi non ha da mangiare, non ha risparmi, e ora non ha più neppure le libertà fondamentali.

Io sono stato d’ accordo e ho rispettato tutte le misure di contenimento, prendendomela pure con chi sgarrava.

Non ho bar dove andare, non faccio vita sociale, praticamente vivevo già in quarantena. Ma sarò io a deciderlo, e lo farò: ma da martedì esco. E se mi ammalerò, se schiatterò, sarò libero di andarlo a fare in una spiaggia vuota, guardando il mare, non Netflix.

FONTE:https://infosannio.wordpress.com/2020/04/12/filippo-facci-io-da-martedi-usciro-liberamente-e-sfacciatamente-per-le-strade-del-mio-paese/

 

 

 

Decreto Liquidità: prestiti per mangiare

Quella del Decreto Liquidità di ieri è una beffa di dimensioni colossali: dinanzi a un popolo affamato che urla alle finestre del potere tutta la sua disperazione, il Governo risponde con un piano di prestiti alle imprese.
di Savino Balzano – 10 Aprile 2020

uella di oggi è una giornata importante per la storia del nostro Paese, gli avvenimenti che ci vedono stritolati tra gli ingranaggi dell’Unione Europea dimostrano nella loro tragicità il vero volto di una comunità non comune, non coesa, non compatta. L’Italia è sola in ambito comunitario e troppo ghiotta è l’occasione di vederci schiacciati dai debiti e dai buffi per i cravattari che dalle nostre ipoteche vorranno trarre il maggior profitto possibile. E, come condannati da uno spietato contrappasso per analogia, solo è anche il nostro popolo, sola è ogni singola famiglia, ogni singolo cittadino. Lo Stato non c’è: è venuto meno al contratto sociale posto a fondamento stesso della sua esistenza e ha rinunciato a proteggere coloro i quali gli infondono legittimità.

Abbiamo ampiamente parlato del Decreto Cura Italia in precedenza: vogliamo semplicemente ricordare che è nostra assoluta convinzione il fatto che le misure in esso contenute siano assolutamente inadeguate a fronteggiare la crisi in corso e che molte delle disposizioni presenti nel decreto fossero assolutamente tardive già al momento della sua emanazione. Come se ciò non bastasse, delle risorse con esso stanziate nemmeno un euro è ad oggi pervenuto nelle tasche degli italiani.

Il Paese avvizzisce, appassisce: i cittadini sono ormai allo stremo delle forze e la gente rischia letteralmente di morire di fame. Sono documentati casi di persone, di bambini persino, che si rivolgono al 112 per elemosinare qualcosa da mangiare: si sta consumando un dramma epocale, siamo vicinissimi a una carestia che lascerà una cicatrice indelebile sul percorso storico dell’Italia e se qualcosa non cambierà drasticamente le immagini di quell’Atene spolpata e depredata, con la sua popolazione a mendicare in ginocchio, saranno anche quelle della nostra Roma. Non è una guerra: è una pandemia e lo Stato può e deve intervenire. Il Covid non è un virus “democratico” o indiscriminatamente “egualitario”: balle! Questo virus sta mettendo in ginocchio gli ultimi, i più deboli, i più fragili e si prepara a divaricare e slabbrare le divergenze sociali già presenti nel Paese prima della sua comparsa: i poveri sempre più miseramente poveri e lontani dai primi.

Quella del Decreto Liquidità di ieri è una beffa di dimensioni colossali: dinanzi a un popolo affamato che urla alle finestre del potere tutta la sua disperazione, il Governo risponde con un piano di prestiti alle imprese. Se non fossero a rischio la tenuta del Paese e la vita delle persone ci sarebbe da ridere e invece si resta letteralmente atterriti dinanzi alla drammaticità degli eventi. Semplifichiamo all’osso il problema, servono soldi e liquidità: servono alle persone per mangiare e servono alle imprese per poter far fronte alle spese vive presenti anche durante le chiusure indotte dalla pandemia, banalmente per pagare gli stipendi e garantire sussistenza al mondo del lavoro.

Difronte a tali esigenze uno Stato serio non potrebbe fare altro che distribuire risorse: denaro, denaro a fondo perduto, senza alcun vincolo di destinazione. Denaro ai Comuni più colpiti, denaro alle imprese in difficoltà, denaro alle persone che non dispongono dei mezzi necessari a portare il piatto in tavola. Denaro e denaro: non c’è altra soluzione.

Il nostro Governo ha pensato di quadrare il cerchio in un altro modo: prestiti. Prestiti riservati a chi dovrà risolvere il problema per lui. Il Governo non caccia una lira (magari!) per sostenere lo Stato Sociale, ma pensa di fornire liquidità alle aziende al fine di scaricare su di esse il barile: disporranno delle risorse necessarie a restare in piedi ancora per un po’, forniranno sostegno ai lavoratori che rischiano di rimanere senza stipendio e quindi leveranno al Paese le castagne dal fuoco di una eventuale bolla sociale, che ormai appare imminente più che incombente. Lo Stato riserva per sé il solo ruolo di garante: come fanno i genitori per consentire ai figli precari di comprare casa in tempi normali. Se tuo figlio però ha fame, non gli fai un prestito garantito: gli dai da mangiare.

Quando tutto sarà finito, e nulla lo sarà per davvero, le imprese dovranno restituire ogni cosa, fino all’ultimo centesimo, e con gli interessi! Qualcuno ha parlato di finanziamenti a tasso zero: balle anche queste! Gli imprenditori dovranno pagare il costo della garanzia fornita dallo Stato e il costo calmierato del finanziamento. Per i prestiti più piccoli la garanzia costa lo 0,25% il primo anno, lo 0,5% il secondo anno e l’1% dal terzo al sesto anno. Per i prestiti più grandi la garanzia costa lo 0,5% il primo anno, l’1% il secondo anno e il 2% dal terzo al sesto anno. A questi tassi si dovrà aggiungere il costo calmierato del finanziamento.

Tutto ciò ha dell’incredibile: già è assurdo che si parli di prestito, ma si resta davvero esterrefatti dinanzi al fatto che per esso sia necessario riconoscere un interesse, peraltro niente affatto contenuto se si considera quanto fossero a terra i tassi di interesse prima della pandemia. Si consideri che in una eventuale parentesi di stagnazione deflattiva persino un tasso zero costituisce un rendimento reale per chi eroga finanziamenti. Abbiamo perso la bussola della decenza. La ciliegina: nel caso in cui un’azienda non riuscisse a restituire l’importo e fosse necessario l’intervento dello Stato a garanzia, quest’ultimo si trasformerebbe in creditore privilegiato col diritto di prelazione e precedenza nell’affondare gli artigli su chi non è riuscito a sostituirglisi efficientemente. Il progetto non è costituzionale, non rispecchia lo spirito del nostro Paese e non è Stato Sociale: questo è Stato criminale.

Nulla è casuale: tutto è frutto di una scelta, tutto quello che stiamo vivendo. Prima della pandemia il Paese ha scelto di ridurre notevolmente gli spazi riservati allo Stato sociale e ha drammaticamente ridotto la possibilità di curare efficacemente oggi i nostri malati.

Questo ci costa morti. Durante l’epidemia si è scelto di costringere i lavoratori ad affollare metropolitane e mezzi pubblici per recarsi a lavoro mentre i padroni erano in smart working e non rispettavano i presidi sanitari contenuti negli accordi sindacali e nelle disposizioni di legge. Questo ci è costato l’esplosione dei contagi al nord e altri morti. Ancora oggi si sceglie di subordinare la sopravvivenza del Paese ai ricatti dell’UE e questo ci costerà ulteriore e viziosa erosione dello Stato sociale e altri morti, per malattie e fame. Lo Stato ha scelto di introdurre misure limitate e tardive col Cura Italia e questo ci costerà nuovi disoccupati, disordini sociali e altri morti. Il Governo col Decreto Liquidità ha intrapreso la strada dell’inganno, raccontando di erogare centinaia di miliardi mentre non caccia una lira (magari!) e questo ci costerà fallimenti, licenziamenti, povertà, conflitti sociali e altri morti.

La situazione è grave, non è più tempo di giocare o traccheggiare: servono misure straordinarie e scelte sane e coraggiose. Chi detiene il potere si assuma le sue responsabilità: avete giurato sulla Costituzione, fate il vostro dovere, siano giuste le vostre scelte, salvate il popolo italiano!

FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/italia/decreto-liquidita-prestiti-per-mangiare/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Trump non vuole perdere l’Italia

La scelta di Donald Trump di portare gli Stati Uniti, già presi sul fronte interno nel contrasto alla pandemia, in campo a fianco dell’Italia per contenere gli effetti del Covid-19 nella penisola è una delle notizie più importanti delle ultime settimane.

Con un memorandum ad hoc la Casa Bianca ha dato istruzione per un coordinato e attivo sostegno da parte del personale militare stanziato sul nostro territorio, delle istituzioni a stelle e strisce, del mondo dell’industria privata, delle organizzazioni caritatevoli.

Trump sistematizza politicamente un processo di sostegno che era già attivo da tempo. Dalla costruzione di un ospedale da campo da parte dell’Ong Samaritan Purse a Cremona alle decine di milioni di dollari donati da parte di colossi finanziari, multinazionali del farmaco e aziende dei servizi e del digitale al nostro Paese il sostegno statunitense non si è fatto attendere. Tuattavia Washington fino ad ora è apparsa sulla difensiva nel campo della capitalizzazione politica di questi aiuti. Tanto è vero che recentemente il segretario di Stato Mike Pompeo era dovuto intervenire in prima persona per frenare una  percepita tendenza all’avvicinamento tra l’Italia e la Cina sulla scia dei vistosi aiuti garantiti dall’Impero di Mezzo.

Una percezione che preoccupa l’amministrazione americana. Tanto è vero che Trump ha dato ulteriore sostanza a questo processo di convergenza e di sostegno degli Stati Uniti con l’Italia puntando con il suo memorandum a estendere l’azione a 360 gradi e a includere sia il necessario coordinamento tra attori pubblici e privati (una mossa “cinese”) che l’estensione degli aiuti al vitale comparto del business, su cui Washington può giocarsi le carte più importanti nella contesa politica del coronavirus.

Gli Stati Uniti sanno che l’Italia è strategica e non possono permettersi di vedere uno storico alleato della superpotenza dubitare dei legami transatlantici. Il governo Conte II, in perenne equilibrio tra Unione europea e Usa, ma con uno sguardo ben fermo anche verso Pechino, ha cercato sin dalle prime battute una legittimazione oltre Atlantico. A baluardo dei rapporti transatlantici è più volte assurto il Quirinale, con Sergio Mattarella attento a definire sin dalle prime battute della XVIII Legislatura la permanenza senza ambiguità dell’Italia nell’area della Nato come una priorità della sua azione di legittimazione degli atti di governo. La chiamata di Melania Trump alla figlia del presidente della Repubblica, Laura Mattarella, ne è la decisa testimonianza. Così come la costanza dei contatti tra Mattarella e Mario Draghi, immaginato come Cincinnato per la prossima fase della risposta all’emergenza politica, sociale ed economica e dotato di salde credenziali di affidabilità oltre Oceano.

Il problema è che tra instabilità politica, crisi economica ed emergenza sanitaria, l’Italia, agli occhi delle grandi potenze, appare come uno Stato vulnerabile su cui è possibile esercitare influenza. O su cui è possibile puntare per cambiare equilibri dati ormai per certi da decenni. Lo ha capito la Cina, lo ha compreso la Russia, non lo ignorano gli Stati Uniti. E si inseguono sospetti sui presunti avvertimenti dei servizi di intelligence agli apparati federali circa i rischi di una scarsa tenuta del sistema italiano, tra rischi interni e pericoli esterni. Motivo per cui Trump, insieme alla movimentazione degli aiuti, ha ancora ricordato di avere dalla sua, pronti all’azione, 30mila soldati di stanza in Italia pronti ad attivarsi per sostenere il Paese nella lotta al coronavirus.

“È normale questa rivalità tra Usa, Cina e Russia”, ha dichiarato a La Stampa il politologo Moisés Naím. “L’Italia soffre da sempre per l’instabilità politica, a cui ora si è aggiunta questa tragedia. Trump ha l’ abitudine di dare la colpa agli altri quando si mette nei guai, ma anche gli Usa sono entrati nel gioco della propaganda” e Trump “ha bisogno degli alleati e non può permettersi di perdere l’Italia”.

Il peso concreto dell’influenza statunitense contrasterà la sottile e affilata infiltrazione russo-cinese nel Vecchio Continente (sharp power)? Nelle intenzioni di Trump sì. Ma il problema maggiore per gli Stati Uniti resta l’inversione dell’inerzia politica: gli States, in questo caso, non hanno il controllo dell’agenda e della narrazione sugli aiuti e il sostegno a Paesi come l’Italia. Le quali tendono piuttosto a enfatizzare, anche per ragioni comprensibili di urgenza, i sostegni di natura sanitaria dispiegati sul breve periodo. Sottovalutando le strategie di lungo periodo, è nei prossimi mesi che gli Usa dovranno giocare bene le loro carte per mantenere solidi legami con Roma.

FONTE:https://it.insideover.com/politica/gli-aiuti-di-trump-allitalia-e-la-partita-per-il-post-coronavirus.html

 

 

 

Trump lancia la guerra al suprematismo bianco (ma l’obiettivo è la Russia)

SUPPORT INSIDE OVER

Nella giornata di lunedì l’amministrazione Trump ha assunto una storica decisione: iniziare a catalogare le organizzazioni che promuovono l’ideologia del suprematismo bianco all’interno del variegato ventaglio del terrorismo, una categoria eterogenea e fluida della quale fanno sostanzialmente parte movimenti che uccidono nel nome della religione e della politica.

È la prima volta in assoluto, però, che nella lista delle organizzazioni terroristiche ufficialmente riconosciute dagli Stati Uniti viene inserito un gruppo del suprematismo bianco. La scelta di iniziare la campagna anti-suprematista prendendo di mira un’entità russa, che non sembra svolgere alcuna attività sul territorio statunitense, è molto emblematica.

Lo storico annuncio

Gli attentati e i crimini d’odio commessi dalla galassia del suprematismo bianco sono aumentati a dismisura a partire dall’era Obama, subendo una brusca accelerata nel corso della breve ma intensa esistenza dell’amministrazione Trump. Gli attacchi più recenti hanno colpito le comunità ebraiche di Pittsburgh, 11 morti, e di Poway, 1 morto e 3 feriti, e la comunità latina di El Paso, lo scorso agosto, 22 morti e 24 feriti.

Ma non sono soltanto gli Stati Uniti l’unico paese occidentale travolto dal fenomeno. La Nuova Zelanda, il 19 marzo scorso, è stata teatro di uno dei più sanguinosi attentati mai commessi nel nome del potere bianco; nel massacro di Christchurch hanno perso la vita 51 persone.

Infine, la presidenza Trump ha deciso di raccogliere l’appello delle minoranze e nella giornata di lunedì il Dipartimento di Stato ha inserito un gruppo suprematista nell’elenco delle organizzazioni terroristiche ufficialmente riconosciute, sanzionate e perseguite da Washington. Il gruppo in questione è il Movimento Imperiale Russo, anche conosciuto come MIR, ha sede a San Pietroburgo, ed anche la leadership, composta da Stanislav Anatolyevich Vorobyev, Denis Valliullovich Gariev e Nikolay Nikolayevich Trushchalov, è stata integrata nella designazione.

Come sottolinea la nota ufficiale del dipartimento “queste designazioni sono senza precedenti, è la prima volta di sempre che gli Stati Uniti designano dei suprematisti bianchi come terroristi, illustrando quanto seriamente questa amministrazione prenda la minaccia […] azioni che nessuna precedente amministrazione ha preso per contenere questa minaccia”.

Il documento prosegue, evidenziando che la lotta contro il suprematismo bianco “colpirà ogni gruppo terroristico straniero, al di là dell’ideologia, che minacci i nostri cittadini, o i nostri interessi all’estero, o i nostri alleati”.

La rivalutazione del concetto stesso di terrorismo, allargato quindi anche alla galassia del potere bianco, e dei metodi utilizzati per contrastarlo e combatterlo, è stata resa possibile da un ordine presidenziale, firmato da Trump lo scorso settembre, che il dipartimento di Stato ha definito “la più significativa espansione dell’autorità di sanzionare il terrorismo dall’11 settembre”. L’ordine consente al dipartimento di Stato di accusare di terrorismo gruppi e singoli individui molto più facilmente, anche “senza il bisogno di mostrare che sono coinvolti in attacchi particolari”.

Il Movimento Imperiale Russo: chi sono?

Il RIM viene definito dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti come un “gruppo terroristico che offre addestramento di tipo paramilitare a neonazisti e suprematisti bianchi e che gioca un ruolo prominente nel cercare di riunire europei ed americani che hanno le stesse opinioni in un fronte comune contro quelli che percepiscono come nemici”.

Il gruppo, come suscritto, ha sede in Russia e avrebbe due centri d’addestramento a San Pietroburgo nei quali verrebbero somministrati corsi di combattimento corpo a corpo, utilizzo di armi da fuoco, sopravvivenza in luoghi selvaggi e ostili e l’arte della guerriglia urbana.

Il RIM non ha connessioni ufficiali con gli Stati Uniti, non ha simpatizzanti né affiliati, e non ci sono prove di eventuali viaggi di neonazisti e suprematisti statunitensi in Russia per partecipare alle attività del gruppo. È noto e di dominio pubblico, però, che il Traditional Worker Party di Matthew Heimbach, uno dei più nazionalisti bianchi più in voga negli Stati Uniti, abbia ricevuto un membro del RIM a Washington nel 2017.

L’organizzazione non rappresenta quindi un problema per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti ma, come esplicitato nella nota del Dipartimento di Stato, la campagna contro il suprematismo interesserà tutte quelle entità che minacciano tanto i cittadini americani quanto “gli alleati” – e la circostanza vuole che il RIM sia collegato ad alcuni eventi che hanno avuto luogo recentemente in Svezia.

Due di tre cittadini svedesi, condannati per aver commesso una serie di attentati con esplosivo non letali di matrice xenofoba a cavallo fra il 2016 ed il 2017, avevano trascorso 11 giorni a San Pietroburgo prima di darsi al terrorismo. La corte che li ha condannati ha accusato il RIM di averli radicalizzati ed addestrati.

Perché colpire un’organizzazione russa?

Gli Stati Uniti hanno un problema di suprematismo bianco, termine omnicomprensivo all’interno del quale rientrano movimenti del separatismo e del nazionalismo bianco, del fondamentalismo protestante ultra-identitario, del neonazismo, del neo-confederatismo e della destra alternativa. La semplice esperienza storica del Ku Klux Klan, il precursore dell’ideologia del potere bianco nato nel contesto della guerra civile, è già di per sé eloquente.

Fra il 2017 ed il 2019 la galassia statunitense del nazionalismo bianco ha registrato un’espansione considerevole secondo il Southern Poverty Law Center, il principale ente che si occupa di razzismo e crimini d’odio nel paese. Le organizzazioni censite dal centro sono infatti aumentate da 100 155 e sono ormai attivate in quasi tutti gli stati federati, ed operano parallelamente o congiuntamente agli oltre 100 movimenti neonazisti esistenti.

La proliferazione di queste organizzazioni è stata seguita anche da un incremento dei crimini d’odio: 49 morti soltanto nel 2018.

Alla luce di questi numeri, viene spontaneo chiedersi perché l’amministrazione Trump abbia preferito iniziare la battaglia al suprematismo bianco designando un’organizzazione che non ha legami con il paese e contro la quale esiste soltanto un caso giudiziario in tutto l’Occidente. La spiegazione potrebbe essere fornita dalla nazionalità del gruppo, perché la scusante di una nuova guerra transcontinentale, combattuta per difendere cittadini ed alleati, potrebbe legittimare nuove pressioni su Mosca.

Sono le stesse dichiarazioni dell’ultima ora a sostenere questa visione. Il Dipartimento del Tesoro, che ha iniziato ad indagare sul MIR, avrà l’incarico di congelare ogni proprietà, o assetto, collegata al gruppo e presente nel paese. Inoltre, ai cittadini statunitensi sarà impedito di effettuare operazioni finanziarie con l’organizzazione, mentre verrà facilitata l’implementazione di sanzioni contro i suoi membri, come il divieto di ingresso nel paese e il monitoraggio dei loro movimenti all’estero.

L’accusa di una connessione formale con il Cremlino non è ancora stata lanciata ma, secondo Washington, le attività del MIR sarebbero “tollerate” da Vladimir Putin perché coinvolto nella difesa degli interessi russi all’estero, in primis il reclutamento di combattenti da inviare nel Donbass.

Anche la polizia federale, la FBI, è interessata a raccogliere informazioni sul fenomeno del suprematismo bianco made in Russia, perché l’attuale guida di un movimento neonazista nordamericano noto come La Base (The Base) si sarebbe trasferita a San Pietroburgo, proprio dove ha sede il MIR, e avrebbe stabilito dei “collegamenti” con i servizi segreti russi.

La nuova agenda anti-suprematismo bianco dell’amministrazione Trump potrebbe quindi rivelarsi meno “sociale” di quanto sia stata e sarà pubblicizzata, perché tutti gli indizi, per ora, la rendono un nuovo paragrafo dello scontro a distanza con Mosca. Questa volta, però, le sanzioni non riguarderanno gasdotti e separatismo nell’Ucraina orientale ma potrebbero essere legate al presunto finanziamento del nazionalismo bianco nel mondo.

FONTE:https://it.insideover.com/politica/trump-lancia-la-guerra-al-suprematismo-bianco-ma-lobiettivo-e-la-russia.html

 

 

 

CULTURA

Voltaire e l’illuminismo oscurato dalle catastrofi

Commentando il terremoto di Lisbona del 1755 il filosofo rifletteva sui limiti della ragione umana

Mentre nel mondo infuria il Covid-19, rileggersi Voltaire, come faceva il compianto Piero Ostellino nei suoi ultimi anni, può essere un tonico per l’intelligenza e un richiamo alla virile accettazione della realtà. Voltaire, è noto, rimase, come i suoi contemporanei del resto – philosophes e uomini comuni – sconvolto dal terremoto di Lisbona che nel 1755 provocò vittime e macerie non solo in Europa ma, altresì, in Africa (nel regno di Fez).

Nella sola capitale del Portogallo crollarono ottanta edifici su cento e morirono sessantamila persone su duecentomila. Il terribile evento ispirò al filosofo un poema di struggente bellezza, Le désastre de Lisbonne (1756) che più di altri scritti, non meno famosi, compendia la sua visione del mondo, della natura, degli uomini, di Dio.

Principe indiscusso dell’età dei Lumi, Voltaire è sempre meno letto o, almeno, se ne conoscono alcune opere teatrali (sia pure indirettamente, ad esempio, Semiramide, che ispirò il melodramma di Gioacchino Rossini, o Alzira, messa in musica da Giuseppe Verdi), l’evergreen Trattato sulla tolleranza o il celeberrimo Dizionario filosofico. Della sua vastissima produzione filosofica e letteraria, però, si sa ormai poco.

Per questo si è grati a Domenico Felice – uno dei maggiori studiosi italiani di Voltaire e di Montesquieu – per aver distillato il meglio delle riflessioni voltairiane sulla condizione umana in un voluminoso ma godibilissimo Taccuino di pensieri. Vademecum per l’uomo del terzo millennio (Mimesis, con una sobria e illuminante Prefazione di Ernesto Ferrero). Gli ideari non sostituiscono la lettura diretta delle opere di un autore ma attivano l’attenzione su quelle che interessano di più e di cui spesso non si era nemmeno sentito parlare.

In riferimento al tema della catastrofe che da mesi occupa le prime pagine dei giornali, il Taccuino può costituire un’ottima guida al Disastro di Lisbona, nel senso che ci permette di inquadrarne il messaggio nel più vasto ambito dell’etica di Voltaire. Innanzitutto ci fa capire che il suo illuminismo non ha nulla a che vedere con «le magnifiche sorti e progressive» su cui ironizzava il nostro Leopardi. Per Voltaire la ragione non è la pietra filosofale che rende immortali, onniscienti e dominatori delle forze avverse di natura, ma è il bastone che permette all’umanità sofferente di non inciampare nelle passioni perverse, nelle superstizioni, nelle tirannidi che aggiungono ai mali che già ci ritroviamo quelli dovuti alla nostra insipienza. «Se questo è il migliore dei mondi possibili, che mai saranno gli altri?», dirà Candido, il più famoso dei suoi personaggi.

«Dai più piccoli insetti sino al rinoceronte e all’elefante – si legge in Prendere partito – la Terra non è altro che un vasto campo di guerre, di imboscate, di carneficina, di distruzione; non vi è animale che non abbia la sua preda e che, per catturarla, non impieghi l’equivalente dell’astuzia e della ferocia con cui l’esecrabile ragno cattura e divora l’innocente mosca». Eppure queste considerazioni che sembrano preleopardiane non gli impediscono di prendere «il partito dell’umanità» contro quel «sublime misantropo» che è Pascal. L’uomo, obietta al filosofo, «non è un enigma. L’uomo appare al suo posto nell’ambito della natura: superiore agli animali ai quali è simile per gli organi, inferiore ad altri esseri ai quali probabilmente somiglia per il pensiero. Egli è, come tutto ciò che vediamo, un misto di bene e di male, di piacere e di dolore. È dotato di passioni per agire, e di ragione per governare le proprie azioni. Se l’uomo fosse perfetto, sarebbe Dio, e i pretesi contrasti, che voi chiamate contraddizioni, sono gli ingredienti necessari che costituiscono quel composto che è l’uomo, il quale è ciò che deve essere».

Ma come è lontano da Pascal, così Voltaire lo è da Rousseau il quale, in una lettera dell’agosto 1756, sempre parlando di Lisbona, lo accusava di ateismo e di non considerare che «questo universo materiale non deve essere più caro al suo Autore di un solo essere che pensa e sente. Ma il sistema di questo universo che produce, conserva e perpetua tutti gli esseri che pensano e sentono, gli deve essere più caro di uno solo di questi esseri. Può dunque, nonostante la sua bontà, o piuttosto grazie alla sua bontà, sacrificare qualcosa della felicità degli individui alla conservazione del tutto». Sembra quasi che nella lettera Rousseau anticipi i temi dell’ecologismo contemporaneo: a Lisbona «dovete convenire che non era stata la natura a raccogliere là ventimila case dai sei ai sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti in modo più uniforme e in abitazioni più piccole, il disastro sarebbe stato minore, e forse non vi sarebbe stato».

Ma Voltaire, critico implacabile sia dell’ottimismo razionalistico di Leibniz e di Alexander Pope, sia di quello preromantico di Rousseau, non trovava nessuna ragione – dal peccato originale, al quale non credeva, all’ordine immutabile dell’universo – per consolarsi delle tante vittime innocenti del terremoto. E scrive: «La natura è muta e la s’interroga invano/ si ha bisogno di un Dio che parli al genere umano/ Solo lui può spiegare il suo disegno/ consolare il debole, illuminare l’ingegno».

E tuttavia questa sensibilità che fa di Voltaire più il figlio di Montaigne che il padre di Condorcet si traduce in un atteggiamento stoico che lo porta – allontanandolo dal trionfalismo illuministico – a una sorta di etica del destino. «Come voi – scrive ad Allamand nel dicembre 1755 – ho pietà dei Portoghesi, ma gli uomini si procurano più male gli uni agli altri sul loro piccolo mucchio di fango di quanto faccia loro la natura. Le nostre guerre massacrano più uomini di quel che ne inghiottono i terremoti. Se a questo mondo fosse da temere soltanto la sorte di Lisbona, ci si troverebbe ancora abbastanza bene». La ragione ci serve per evitare il peggio, non certo per costruire una città dell’uomo immune da ogni imperfezione. Per questo Robespierre si oppose alla traslazione al Pantheon dei suoi resti mortali.

FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/voltaire-e-lilluminismo-oscurato-dalle-catastrofi-1852845.html

 

 

 

Il Principio della Rana Bollita di Noam Chomsky

Conoscete il “principio della rana bollita”? E’ utilizzato dal filosofo americano Noam Chomsky per descrivere la Società e i Popoli che accettando passivamente, il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica, accettando di fatto la deriva.

Non ci sono basi scientifiche a dimostrare questo principio, ma è un ottimo spunto, valido in sociologia e psicologia, per spiegare determinati comportamenti.

Ma cominciamo dall’inizio, di cosa stiamo parlando? Mica penserete davvero che vogliamo mostrarvi come bollire una rana!! Assolutamente no, questo principio serve a spiegare la capacità di adattamento che ha l’uomo e che spesso questo adagiarsi e accettare gli eventi porta inesorabilmente alla morte, e infatti c’è chi afferma che non ha importanza la durata della vita, ma la qualità.

Il principio della rana bollita

Cosa dice questo principio?

❝ Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.❞

Si può affermare che questa sia una metafora della vita (PS: non provate a replicare questo esperimento) per avvisare le persone che l’adattarsi non è sempre la scelta migliore da fare, anzi, spesso è la peggiore. Possiamo applicare questo principio ad una gran varietà di situazioni che affrontiamo nella vita come il lavoro, una relazione, una situazione famigliare…. insomma guardandosi intorno si possono scoprire troppe situazioni nelle quali si ha la tendenza ad adagiarsi anziché lottare o “scappare”.

Fondamentalmente la paura più grossa che le persone hanno quando si tratta di andare contro a qualcosa che bene o male ci porta ad una stasi è quella del cambiamento: inevitabilmente quando la rana dovrebbe saltare fuori dalla pentola dovrebbe anche cambiare la sua situazione e questo la spaventa molto più dell’acqua che si sta scaldando.

Accettare ogni cosa e adeguarsi, adagiandosi sul fondo e lasciando che le cose accadono è il modo più facile e veloce per distruggersi la vita e su questo non ci piove, ma davvero vogliamo sopportare fino a quando non brucia? Fino a quando la situazione non diventa più sostenibile?

Questo porta ad accumulare piccole dosi di dolore, piccole frustrazioni, che magari sul momento non crediamo neppure importanti o deleterie ma che a lungo andare possono sfociare in frustrazioni, depressioni e sostanzialmente all’infelicità.

Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni.
~ Paulo Coelho

Immaginate di trovarvi in una relazione che non vi da quello che cercate, però tutto sommato non vi fa mancare niente, dove il partner antepone i suoi bisogni ai vostri, e voi vi mettete da parte per il bene della coppia, giorno dopo giorno questa relazione vi logora da dentro, proprio come l’acqua calda fa con la rana, fino al giorno in cui il dolore è così forte che non siete più in grado di affrontarlo e la situazione inizia a precipitare velocemente.

Tutta la rabbia, lo stress e l’insoddisfazione accumulata in giorni e giorni di adeguamento, dicendo sempre “ma si in fondo va bene così“, esplodono in una volta sola e le conseguenze di solito sono disastrose.

Per evitare di adagiarsi ed adeguarsi c’è però qualcosa che possiamo fare: accettare il cambiamento!

Non è un percorso semplice ma per cominciare potete essere un pochino più egoisti con voi stessi, prendervi delle pause, dedicare qualche momento a voi stessi, basta una passeggiata, un regalino, un caffè con un amico…

Questi piccoli piaceri quotidiani sono la base per l’autostima e per coltivare piccole soddisfazioni personali, da qui in poi è tutto più semplice anche il non accettare più passivamente ogni situazione e far crescere la propria determinazione a voler cambiare la propria situazione.

La rana poverella muore e sicuramente qualcuno di voi ha pensato che la propria vita non è così a rischio come la sua, ma se accettate passivamente ogni cosa che accade non state vivendo, state solo sopravvivendo e lo scopo dell’uomo è “vivere”. Voi state lentamente cadendo in quello che la psicologia definisce stress dormiente, quello che corrode lentamente, il più subdolo e pericoloso.

Osservate la vostra condizione come se la vedeste da fuori, siete certi di conoscere le minacce che incombono o forse state vivendo come la rana, crogiolati in un limbo di passività che non fa altro che portarvi alla distruzione?

Non vivete la vita degli altri, non siete uno specchio, costruitevi la vostra vita, prendete le vostre decisioni, cambiate rotta, navigate in mari agitati, non sedetevi ad aspettare che l’acqua bolla… RISPETTATEVI, saltate via dalla pentola prima di finire bolliti!

Articolo scritto da Valeria Bonora – valeria2174.wix.com

FONTE:https://www.eticamente.net/58655/il-principio-della-rana-bollita-di-noam-chomsky.html?cn-reloaded=1

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Bufale, informazione e Minculpop

In questi giorni è stata istituita l’Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al COVID-19 sul web e sui social network. Una commissione contro le fake news, insomma, annunciata ufficialmente dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Informazione e all’Editoria, tal Andrea Martella (Pd, faccia dell’ideologia meritocratica della Leopolda). Una sorta di ministero della verità sul Covid-19. Un nome che crea disagio anche se il nome del virus non è questo. Covid-19 è la malattia. Il virus si chiama SARS-CoV-2. Non fa niente. Non è questo il problema. Quello che invece non si riesce a capire è come una commissione governativa possa stabilire cosa sia vero e cosa falso. La cattiva informazione la combatti con la buona informazione. Le menzogne le combatti con la testimonianza di verità inoppugnabili. E quindi, la caccia alle fake news può avere un senso se la task-force provvederà a smentirle, a dimostrare che ciò che è scritto è sbagliato e, in quanto tale, può essere pericoloso. Non certo per mettere il bavaglio oltre che la mascherina a voci fuori dal coro. Allora mi chiedo: come faranno a giudicare il vero e il falso? Cosa sanno di un virus davanti al quale gli stessi virologi sembrano avere più dubbi che certezze? Con quale autorità scientifica e morale assolveranno o condanneranno? Sono davvero preoccupato per loro. Non metto in dubbio la sapienza e il buon senso di nessuno di loro, ma davvero se la sentono di sentenziare la verità sul virus? Di riconoscerla al di là di ogni ragionevole dubbio? E perché proprio ora dobbiamo ritornare a parlare di fake news? Ma cos’è questa roba? Il problema sono anche gli uomini scelti per questa bizzarra Unità di monitoraggio. Persone che, in quanto “chiamate”, sono necessariamente “di parte”. Scelte in quanto appartenenti alla solita cerchia riconosciuta, della comunicazione e giornalisti, finalmente abilitati a dare addosso, a zittire, a intimorire chi non appartiene al loro giro. Il nuovo organismo avrà vari compiti: dall’analisi delle modalità e delle fonti che generano e diffondono le fake news, al coinvolgimento di cittadini ed utenti social per rafforzare la rete di individuazione, al lavoro di sensibilizzazione attraverso campagne di comunicazione. Ma cosa ci garantisce che non sia un Minculpop strabico? Che chiuda un occhio benevolo sulle fake news di una parte, e sbarri l’occhio indignato sulle fake dell’altro? Verrebbe da sorridere perché in prima linea nella guerra a menzogne e distorsioni ci sono proprio gli addetti ai lavori dei cosiddetti giornaloni che da più di due mesi contribuiscono a un’operazione di “rappresentazione” spettacolare dell’epidemia in termini sensazionalistici, tra sussurri e grida in sostituzione dell’informazione, con le supposizioni al posto dei dati, favorendo l’irruzione dell’immaginario all’interno della realtà, promuovendo una percezione avvelenata dalla paura, condizionata dall’imposizione di quello che vogliono mostrarci le telecamere.

Basta con questa retorica. L’aria è già abbastanza morbosa, e non solo per il coronavirus. Cominciamo col dire la verità agli italiani chiusi in casa agli arresti domiciliari: siamo in una situazione drammatica. Bisogna fare un discorso di verità. Siamo in una situazione drammatica a livello sanitario, economico, finanziario, sociale, e noi parliamo di task-force contro le fake news relative al COVID-19, come non bastassero i programmi di “informazione” frequentati, o meglio infestati, da personaggi che rimasticano da mezzo secolo le stesse quattro idee posticce e che, come Don Abbondio, non sapendo cosa sia il coraggio non saprebbero neppure come fingerlo. Un granitico blocco di potere – il solido muro – contro cui tutto si spezza. Chi vi si mette all’ombra, al contrario, campa tranquillo. Personaggi che pensano che per ripianare il debito pubblico dovremmo venderci Montecitorio e il Colosseo. Il problema sono le priorità degli italiani. La salute degli italiani. Non certo le bufale. Quelle basta riconoscerle. Le fake news, come l’odio, non sono di destra o di sinistra: sono balle e basta, floride ovunque ci siano ignoranza, creduloneria e rancore.

Mi chiedo allora quali siano le conseguenze di tutto questo. Oggi è il virus, domani potrebbe essere altro. L’idea che possa esistere una verità di Stato francamente mi mette paura.

FONTE:https://raffaelepengue.wordpress.com/2020/04/08/bufale-informazione-e-minculpop/

ECCO COME FUNZIONA LA DISINFORMAZIONE FASCISTOIDE DI UNA CERTA SINISTRA REGRESSIVA

13 APRILE 2020

Negli ultimi 15-20 giorni, sarà perchè il governo è alle strette, sarà perchè la gente è a casa, troll compresi, ma negli ultimi giorni si è assistito ad un boom, letteralmente, di troll di vario genere.

Si varia dai commenti fuori-luogo o offensivi, o spesso di vere e proprie fake news cioè di notizie false, lanciate solo per creare fumo. Bisogna dire che la via alle fake news l’ha data proprio lo stesso Conte, attaccando FdI e Lega per avere “Votato” il MES, quando invece in aula è accaduto, nel 2012, l’esatto contrario. Si è proseguito poi con una serie di post falsi nel quale si accusava la Meloni di averlo votato, quando in aula fu votato sotto il governo Monti, poi si è andata avanti con varie falsità. Balle, perchè ormai non c’è nulla da dire, se non le balle.

Il nostro autore Antonio Maria Rinaldi è stato poi vittima di un caso clamoroso.Un tizio, che si dice pentastellato, di Genova gli ha messo in bocca un posto contro la Lega, del 2017, che era in realtà scritto da un gruppo dell’Estrema Sinistra. Potete vedere qui la storia:

Il post , subito segnalato al professore è stato rapidamente smascherato. Ora l’autore rischia una bella querela penale e civile da sanarsi con un costoso rimborso che andrà completamente al Don Rione di Roma, che si occupa di bambini svantaggiati. Un bell modo di tirare fuori in bene anche dal male.

Fa sorridere che il Governo abbia creato una commissione di “Sbufalatori”.Tutta gente che, evidentemente, o non lavora, o lavora solo a senso unico…..

FONTE:https://scenarieconomici.it/ecco-come-funziona-la-disinformazione-fascistoide-di-una-certa-sinistra-regressiva/

 

 

 

È UNA TUTELA O UNA MINACCIA?

Giudicando il conformismo su un piano di avalutatività weberiana, non si può non riconoscere come esso rappresenti un elemento fondamentale nell’evoluzione sociale dell’uomo.

Sebbene l’enorme sviluppo della scienza e della tecnica abbia sempre più affrancato gli individui dalla necessità di conformarsi a modelli di comportamento univoci, particolari condizioni di allarme collettivo, come nel caso del Covid-19, risvegliano nella psiche della massa dei cittadini questa antica modalità collettiva di sopravvivenza. E dato che l’emergenza in atto è di natura sanitaria, gli specialisti più accreditati, con le debite proporzioni, si trovano a svolgere il ruolo degli antichi stregoni, ai quali le popolazioni primitive si rivolgevano allorché dovevano affrontare situazioni gravi e minacciose di cui non comprendevano l’origine. Ora, non mi sembra che la situazione attualmente sia tanto diversa. Al cospetto di una infezione di cui si conosce ancora piuttosto poco, la sovraesposizione mediatica di una pletora di scienziati più o meno noti e più o meno accreditati a livello internazionale, ha posto questi ultimi su un piedistallo di superiorità, persino al di sopra della sfera politica. In tal senso a nessuno è venuto in mente di ricordare che questi moderni santoni della medicina non sono stati eletti da nessuno. Ma tant’è: nel marasma di una pandemia molto seria, ma che viene ingigantita a dismisura sul piano dell’effettiva letalità da un sistema mediatico impazzito, il Comitato tecnico-scientifico, che sulla carta dovrebbe solo consigliare il Governo sulle misure più idonee da prendere, di fatto ha assunto le sembianze di un novello Comitato di salute pubblica di antica memoria giacobina, avendo acquisito un potere di reale intervento senza precedenti in Italia per un simile organismo.

Accade quindi che, dopo aver spinto la mano pubblica a chiudere il Paese, segregando la cittadinanza in casa e bloccando gran parte del sistema economico, gli stessi santoni hanno già messo le mani avanti per il futuro prossimo. Non crediate di poter riprendere a vivere come prima anche quando daremo l’ok alla riapertura del Paese, questo il messaggio forte e chiaro che questi illustri luminari quasi all’unisono stanno mandando da alcuni giorni ad una popolazione letteralmente annichilita.

In tal senso, al di là di una spiccata deformazione professionale che li porta a voler regolare la nostra esistenza dall’alto della loro riconosciuta sapienza scientifica, l’idea di dover continuare ad organizzare la vita di tutti i giorni sulla base di rigidi criteri sanitari mi riporta alla mente sinistri regimi di scomparsi alcuni decenni addietro.

A questo proposito, non vorrei che le strada delle indubbie buone intenzioni di questi luminari, unicamente interessati alla salute pubblica, fosse lastricata di infernali precetti, tali da rendere ancor più complicata la nostra già difficile esistenza di cittadini italiani. Da questo punto di vista, valutando le misure restrittive fin qui adottate per fermare il contagio, che personalmente continuo a ritenere assolutamente sproporzionate, l’impegno legittimo a volerci seguire anche dopo la fine della grande emergenza di questi giorni per qualcuno, più che una tutela, potrebbe rappresentare una minaccia sul piano delle libertà costituzionali. Ovviamente si tratta solo di un eccesso di scrupolo democratico.

FONTE:http://www.opinione.it/editoriali/2020/04/10/claudio-romiti_medici-comitato-scientifico-sovraesposizione-mediatica-santoni-salute-virus/

 

 

 

La pandemia adesso “diventa” cyber

“Quando il sangue scorre per le strade è un buon momento per fare soldi”, pare sostenesse Nathan Rotschild. Ma nella nostra contemporaneità sembra essere anche un buon momento per compiere crimini cibernetici, che sotto diverse vesti incombono sulla rete in sovraccarico. E che sempre il “fare soldi” hanno come obiettivo.

L’allarme è stato lanciato dal Federal Bureau of Investigation, che, in quegli Stati Uniti investiti da uno tsunami di contagi da Covid-19 (tanto da essere diventati il principale focolaio mondiale), hanno riscontrato un aumento di “truffe cibernetiche” rivolte a quelli che la Cnn ha descritto come “americani medi”: in larga parte strettamente collegate all’emergenza da virus. Un problema cui si affianca la necessità di blindare le reti delle strutture sanitarie dai malware che potrebbero infettare anche i terminali degli ospedali, facendo piombare nel caos realtà dove è già complesso tenere a bada la situazione.

L’Fbi ha divulgato un‘informativa, stilata in collaborazione con il Dipartimento della sicurezza interna e i servizi segreti (Nsa / Cia), per esortare i cittadini a guardarsi da “un numero crescente di minacce provenienti dal cyberspazio”. Ma le accortezze prese dall’uomo della strada non sono sempre sufficienti ad impedire agli hacker di violare la rete e rubare i dati più sensibili o direttamente il nostro denaro.

“La pandemia di Covid-19 ha portato a un picco nelle imprese di telelavoro per comunicare e condividere informazioni su Internet” – spiega nel suo avvertimento il Bureau – “Essendone a conoscenza, i pirati informatici sono alla ricerca di modi per sfruttare le vulnerabilità del software di telelavoro al fine di ottenere informazioni sensibili, intercettare chiamate in conferenza o riunioni virtuali o condurre altre attività dannose”. Questo può portare a diversi gradi di rischio. Essi si possono “limitare” a trafugare dati relativi a un particolare conto bancario, personale o aziendale, ma anche a compiere azioni di spionaggio industriale e addirittura militare. Un tema non di secondaria importanza dato che, ad esempio, in Italia anche dipendenti della Lockheed Martin che lavorano al programma F-35 sono stati dirottati sullo “smart-working”.

L’Fbi cita specificamente tentativi dei criminali di compromettere, ad esempio, il popolare programma per effettuare videoconferenza Zoom, utilizzato in questo periodo di quarantena per portare aventi progetti che riguardano anche infrastrutture e siti sensibili. “L’Fbi ha ricevuto numerose segnalazioni di conferenze interrotte da immagini pornografiche e / o di odio e da un linguaggio minaccioso”, afferma inoltre l’avviso dell’Fbi. Ma è noto come molti “trojan” vengano iniettati nei nostri dispositivi proprio attraverso siti pornografici e video affini. Per questo il consiglio è stato quello di impostare password per accedere ai desk multimediali dove si effettuano riunioni a tutti i livelli. Ma è chiaro che per coloro che si cimentano nell’hackeraggio di siti governativi, il perforare protezioni di questo tipo di conferenze telematiche rappresenti un gioco da ragazzi.

Non secondario è invece l’uso malevolo di piattaforme sviluppate su internet che, sfruttando l’emergenza coronavirus, possono indurre privati cittadini a fornire tutte le loro informazioni spontaneamente per sottoporti a test fittizi per il contagio o peggio per inviare donazioni di denaro che non finirebbero ad alcun ente benefico, ma fungerebbero solo da “cavallo di Troia” per trafugare dati personali. Un funzionario responsabile dell’informazione della Homeland Security ha rilevato alle Cnn che un’analisi dei siti web di recente creazione associati a Covid-19 dimostrano come quasi un centinaio fra quelli esaminati siano “malevoli”, mentre oltre duemila sono stati considerati altamente “sospetti”. Un ulteriore rischio segnalato è quello di “attori” che attraverso il violazioni cibernetiche potrebbero entrare in contatto con i minori, che come gli adulti sono soggetti alla quarantena e investiranno molto del loro tempo sui social, incombendo nel rischio già estremamente diffuso dell’adescamento per fini pedopornografici. I genitori, suggerisce l’Fbi, dovrebbero “condurre ricerche periodiche su Internet delle informazioni dei minori per monitorare l’esposizione e la diffusione delle loro informazioni su Internet” – “considerare il monitoraggio del furto di credito o identità per verificare eventuali usi fraudolenti dell’identità dei propri figli”.

Gli agenti federali sottolineano come i pirati informatici stiano sviluppando quelle che vengono definite “tattiche di ingegneria sociale” per scegliere più accuratamente i loro bersagli e impiegare di volta in volta le armi più efficaci per compiere le loro malefatte. La crisi globale causata dalla pandemia da Covid-19 non ha fatto altro che accentuare queste dinamiche, ampliando il campo d’azione dei possibili obiettivi di un cyber-attacco. E il motivo è da ricercare nel fatto che anche chi in precedenza non era particolarmente “attivo” nell’ambito di acquisti telematici, oggi potrebbe aver aperto fino a dieci profili nelle ultime settimane per reperire beni di consumo altrimenti reperiti nei consueti punti vendita. O che potrebbe essersi, per la prima volta, iscritto in social network. Attraverso i social media, gli hacker selezionano i loro obiettivi e poi passano all’azione su quello che potremmo paragonare ad un “grande banco di pesci” nell’oceano telematico. Il tutto giocato sulla paura.

Per quanto questa informativa sia stata sviluppata da un’organizzazione governativa americana per gli americani, nulla deve indurci a credere che i medesimi rischi e le medesime accortezze non debbano verificarsi ed essere applicate nel nostro Paese. Nella guerra al virus e ai pirati informatici che voglio approfittarne, l’Italia non è diversa dagli Stati Uniti d’America. E le minacce che incombono non devono mai essere sottovalutate.

FONTE:https://it.insideover.com/societa/la-pandemia-adesso-diventa-cyber.html

 

 

 

BIG DATA E CORONAVIRUS: VERSO UNA NUOVA CITTADINANZA?

big data sono saliti alla ribalta nei primi mesi del 2018, quando un ex dipendente di Cambridge Analytica, Christopher Wylie, ha ammesso sulle pagine del Guardian che l’azienda era in possesso dei dati di 50 milioni di profili Facebook, senza il consenso degli utenti (qui l’articolo).  In contemporanea il New York Times rivelava come questi dati fossero stati usati a fini di propaganda politica, per favorire l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca (qui l’articolo).

Big data

Sono passati due anni e lo sfruttamento dei big data è ancora all’ordine del giorno, il data mining una pratica scontata e il silenzio circa l’utilizzo dei dati personali da parte di governi e grandi aziende assordante. C’è però una novità: l’emergenza Coronavirus ha portato molti governi a decidersi sull’utilizzo dei big data, nella fattispecie a usare l’ingente mole di dati dei propri cittadini per monitorare la situazione, controllare il rispetto delle regole, favorire la convivenza col virus una volta aperta la fase 2 e, ovviamente, per sorvegliare e punire.

Big data: come sono utilizzati dai governi?

È noto che in Corea del Sud è stato applicato un modello di controllo basato sul tracciamento degli individui: tramite un’app si avvertono i cittadini degli spostamenti dei malati, di modo da individuare se si è entrati in contatto con essi. Il Ministero della Salute sudcoreano ha messo in rete i dati, oscurando l’identità delle persone, ma c’è chi si sta preoccupando che un tale metodo leda la privacy: si fa notare infatti come sia facile per chi conosca la routine di una persona risalire tramite gli spostamenti all’identità del malato.

Gli altri paesi come stanno utilizzando i big data per arginare il contagio? Il manifesto (la cui versione online è tra l’altro divenuta gratuita per tutto il periodo di emergenza sanitaria, dunque non avete scuse) ha pubblicato venerdì 10 aprile un interessante speciale, che vi consigliamo caldamente di leggere (qui l’articolo d’introduzione), dove si spiega approfonditamente cosa stia accadendo su questo tema in vari paesi. In questa parte riprendiamo lo spunto e riportiamo qualche esempio.

In Israele si monitorano i malati come si monitoravano i palestinesi
A metà marzo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato, senza sottoporre la decisione alla Knesset, di voler consentire al servizio di sicurezza interno, lo Shin Bet, il monitoraggio dei proprietari di smartphone, di modo da poter ricostruire i movimenti di coloro a cui viene diagnosticato il virus, con chi sono venuti in contatto, se le persone rispettino la quarantena e l’autoisolamento. Questo sistema permette al Ministero della Salute di avvisare una persona che ha avuto contatti con un positivo e metterla in quarantena o convocarla per il test del tampone.

Da Il Sole 24 Ore

A seguito delle proteste, Netanyahu ha istituito una commissione ministeriale il cui compito è di controllare l’operato dello Shin Bet, che avrebbe accesso a un’enorme banca dati contenente tutte le comunicazioni elettroniche effettuate in Israele. Scrive Michele Giorgio su il manifesto:

Nota come «Lo Strumento», la banca dati include anche le telefonate e l’utilizzo del web nel Paese. I server e le compagnie di telefonia mobile devono, per legge, condividere i registri sulla durata delle chiamate, le loro posizioni e l’uso di internet. Pare che lo Shin Bet non riceva informazioni su ciò di cui la gente parla ma ottiene i dati su dove si trovava, chi ha chiamato e per quanto tempo. Sa inoltre quali siti si visitano e per quanto tempo ma non il contenuto che si sceglie.

La Russia è la Russia

Con l’annuncio del lockdown, Mosca è diventata terreno di prova per nuovi modelli di controllo sociale. Il sindaco Sergey Sobyanin ha obbligato le persone presenti a Mosca a registrarsi presso il sito del comune, fornendo dati anagrafici, codice fiscale, numero di cellulare e domicilio di residenza. Scrive Yuri Colombo su il manifesto:

Quest’ultimo risulta il dato più interessante dal punto di vista del controllo (visto che non si può imporre alla popolazione di spostarsi dai luoghi di residenza ufficiale) perché va a determinare non sono solo l’area territoriale in cui la persona che si registra possa muoversi, ma soprattutto dove possa essere rintracciata in ogni momento.

Da Il Messaggero

La registrazione al sito permette di scaricare un’app che fornisce ai residenti dei codici QR usa e getta, i quali permettono alle autorità di visionare tramite scanner i motivi degli spostamenti. Ma non basta: a quest’app se ne aggiunge un’altra, la quale fornisce assistenza sanitaria. Appena scaricata, chiede all’utente l’autorizzazione per accedere al servizio di geolocalizzazione, agli SMS e alla fotocamera. Il suo utilizzo è vincolato dalla condivisione con l’app da parte dell’utente del numero di telefono e dei dati personali.

A Mosca si risponde all’emergenza con un ibrido fra vecchi metodi biopolitici, quali videosorveglianza e monitoraggio degli spostamenti, con le più fluide tecniche di autocontrollo o di controllo benevolo.

Scrive Daniela Sanzone su il manifesto:

L’istituto di ricerca Mila, a Montreal, in Québec, la provincia più colpita del Canada, ha creato un’app per gli smartphone. Valérie Pisano, Presidente del Consiglio di Amministrazione del Mila, ha spiegato che al momento si ritiene debbano essere i singoli individui a poter decidere se scaricare l’applicazione e condividere i dati relativi alla propria posizione. L’app dovrebbe essere completata a breve, con il sostegno del governo del Québec e quello federale. “A questo punto si tratta di salvare vite umane – ha dichiarato invece Park – e la gente deve capire che rinunciare alla libertà individuale e ad alcuni dati personali in tempo di crisi potrebbe salvare molte persone”.

Il Canada possiede una legislazione specifica riguardo alla limitazione delle libertà personali in tempo di emergenza sanitaria, la quale permette la riduzione della privacy a fini di salute pubblica. Le leggi sulla privacy rimangono tuttavia in vigore, ma tale legislazione permette uno spazio di manovra chiaro e democraticamente controllato.

Frattanto Google ha diffuso, in forma anonima, i dati raccolti da Google Maps, mostrando gli spostamenti dei canadesi, i luoghi più frequentati e dove si affollano diverse persone nel medesimo momento.

E l’Italia?

La ministra per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano ha annunciato l’8 aprile, davanti alla Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera, un’app per il tracciamento degli infetti di Covid-19. Non si sa chi sarà il produttore, né quale sarà l’ente pubblico che gestirà i big data. Quale sia il gestore pubblico è una nota alquanto delicata, che ne va della democratica riuscita del progetto, ma su ciò la ministra dice solo che «verranno raccolti da un soggetto pubblico competente» (ci mancherebbe!).

Da tg24.sky.it

L’applicazione è però descritta con precisione dalla ministra: essa non avrà «l’obbiettivo di geolocalizzazione» bensì quello «di tracciamento/memorizzazione per un determinato periodo di tempo degli identificativi dei cellulari con il quale il nostro è venuto in contatto ravvicinato»; come riporta La Stampa,

L’applicazione crea un registro dei contatti in cui ci sono tre informazioni: 1) qual è il dispositivo con il quale sono stato in contatto, 2) a che distanza, 3) per quanto tempo. Nel caso in cui un cittadino fosse identificato come positivo, l’operatore medico autorizzato dal cittadino positivo, attraverso l’identificativo anonimo dello stesso, fa inviare un messaggio di alert per informare tutti quegli utenti identificati in modo anonimo che sono entrati in contatto con un cittadino positivo. I quali quindi dovranno monitorare il loro stato di salute e verosimilmente sottoporsi a un periodo di autoisolamento di due settimane.

In ogni caso c’è da rilevare che la presenza nel governo di un partito, anzi, no, perdon, di un movimento la cui piattaforma è stata pluri-multata dal Garante della privacy non fa ben sperare circa la salvaguardia dei nostri dati. Ma adesso parliamo delle cose interessanti.

Dataismo: una nuova costituzione del sé con i big data

Negli Stati Uniti esiste una comunità di persone chiamate Quantified-self, le quali praticano lifelogging, ossia automonitorano costantemente la propria salute psicofisica tramite computer e sensori integrati nell’abbigliamento che rilevano battiti cardiaci, tasso glicemico, pressione sanguigna, percentuale di grasso nel corpo, assunzione e consumo di calorie. Il loro motto è «self-knowledge through numbers» e il loro fine è il miglioramento del sé, delle performance psichiche e fisiche, della gestione delle espressioni emotive. Quando si ritrovano insieme condividono i loro dati, li analizzano e discutono su come auto-ottimizzarsi. Il loro metodo di riconoscimento non passa attraverso l’altro, ma è filtrato da un apparato di produzione e analisi dei big data. In questo senso il riconoscimento non emerge dall’interazione fra pari, ma è successivo all’interpretazione non cosciente di una macchina, è l’emergenza di operazioni a priori, di calcoli che non riguardano la vitalità del sé, ma piuttosto i suoi parametri vitali. In questo senso è il riconoscimento del sé come cosa, la certificazione della propria mera fattualità, la costituzione del sé come simbionte natural-tecnologico, che integra nell’ermeneutica del soggetto una mole irriflessa di dati, i quali dovrebbero fornire la base reale sulla quale migliorarsi. Tralasciando l’ideologia sottesa dell’uomo come imprenditore di sé stesso, il problema fondamentale sembra essere il postulato dell’uomo come accolta di dati, come cosa innanzitutto quantificabile. quantified-self rendono un’accolta di unità informative il proprio corpo, smaterializzano la struttura biologica del proprio sé: il loro corpo è ancora il loro corpo? Non è piuttosto un corpo generico, semplicemente presente? Una relazione contingente di parti analizzabile, unità informatiche innanzitutto utilizzabili, un pacchetto di dati?

Il quantified-self è la forma estrema, l’asintoto patologico del più ampio fenomeno detto dataismo. Il dataismo è la fede circa l’assoluta veridicità dei big data, il postulato che tutto sia quantificabile e analizzabile. Nel 2013 sul New York TimesDavid Brooks scriveva:

If you asked me to describe the rising philosophy of the day, I’d say it is data-ism. We now have the ability to gather huge amounts of data. This ability seems to carry with it certain cultural assumptions — that everything that can be measured should be measured; that data is a transparent and reliable lens that allows us to filter out emotionalism and ideology; that data will help us do remarkable things — like foretell the future.

[Se mi chiedeste di descrivere la filosofia oggi in ascesa, risponderei che è il dataismo. Oggi abbiamo l’abilità di raccogliere un ingente numero di dati. Questa abilità sembra portare con sé un certo carico di assunzioni culturali -che tutto possa essere misurabile, che debba essere misurato; che i dati siano trasparenti e siano lenti affidabili che ci permettono di filtrare i pregiudizi emotivi e l’ideologia; che i dati ci aiuteranno a realizzare cose straordinarie, come predire il futuro.]

Big data

«Il carico di assunzioni culturali» è ciò che ci interessa. La considerazione del dato come trasparente e affidabile messaggero della cosa introduce un mutamento dello statuto conoscitivo, e per riflesso reale, della cosa dataizzata, per cui l’essenza appare conoscibile attraverso l’informazione, composta essa stessa da particelle informative. Vi è un ribaltamento gnoseologico: la cosa non è più ciò che mi sta davanti, l’oggetto sensibile, ma un gruppo relato di unità informative che sono l’affidabile messaggero dell’essenza della cosa, donde la sensibilità della cosa decade a mero fenomeno fallace. L’oggetto non è più ciò che mi sta davanti, piuttosto ciò che mi sta davanti è il luogo dove si nasconde l’informazione, l’unica risorsa per conoscere la cosa. Ma il dato non è qualcosa che un oggetto possiede a priori, piuttosto è il prodotto di un processo di formazione e informazione, che riscrive la cosa sotto certi parametri interpretativi. In questo senso non può essere «reliable» se «reliable» non sono i presupposti operativi e la metodologia adottata. Non solo, ma bisogna giustificare che in qualche modo l’operazione decifri davvero la cosa in quanto tale, e non piuttosto crei un simulacro totalmente altro dalla cosa, la cui validità è solo apprezzabile pragmaticamente, per gli effetti. Ma qui si dovrebbe aprire una lunga parentesi epistemologica.

Calata sull’umano il dataismo rende il soggetto oggettivato e oggettivabile, non più soggetto della comunicazione, ma oggetto comunicato; la sua psiche, i suoi comportamenti, il suo corpo diventano l’epifenomeno totale di unità informative precedenti e veritiere, messaggeri della vera struttura dell’individuo, non rinvenibile nel suo quotidiano essere nel mondo ma piuttosto nelle parti analizzabili da cui si ritiene formato e che esperti di marketing e data mining si occupano di analizzare. Si assiste a una reificazione, ossia a un farsi cosa dell’inoggettivabile essenza umana. Si trasforma l’inesatta vita di un corpo nell’inerte prodotto di una funzione. Se le tecniche di reificazione dell’uomo sono massimamente utili nella medicina e nella biologia, praticate come gestione socio-individuale diventano oscure ortopedie del sé, meccanismi di individuazione, dispositivi di controllo. Il dataismo è «the rising philosophy of the day» perché si presta a fornire la giustificazione teorica della prassi di controllo e autosorveglianza in atto.

Dalla talpa al serpente: una nuova cittadinanza nell’epoca dei big data?

Che ne è del dispositivo moderno della cittadinanza nell’interazione coi big data, nuova, ipermoderna o postmoderna, tecnica di addomesticamento?

Se la cittadinanza impone un giuridico e materiale assenso ai doveri imposti dallo Stato, insieme a una tutela circa determinate condizioni e possibilità d’azione, opinione e pensiero, i big data forniscono il silenzioso sorvegliante per monitorare il rispetto di queste. I big data bagnano le mutande degli autoritari di tutto il mondo: permettono una sorveglianza leggera, non opprimente, ma spontanea; se la società disciplinare, così come descritta da Michel Foucault in Sorvegliare e punire (acquista), esibisce il suo potere tramite manifesti occhi sorveglianti, quali la torre di sorveglianza nelle prigioni, la società del controllo, ipotizzata da Gilles Deleuze nel Poscritto sulle società di controllo, agisce subdolamente tramite l’autocertificazione del controllato circa il proprio essere controllato. La cittadinanza si staglia come meccanismo di gestione degli individui da parte dello Stato sulla società disciplinare, emerge come polo individualizzante, che certifica l’essere corpo e uomo sociale del cittadino, e massificante, che segna con un numero di matricola la sua posizione nella massa:

Le società disciplinari hanno due poli: la firma che indica l’individuo, e il numero di matricola che indica la sua posizione in una massa. Le società disciplinari non hanno mai riscontrato incompatibilità tra i due, il potere è al tempo stesso massificante ed individualizzante, cioè costituisce come corpo quelli sui quali si esercita e modella l’individualità di ciascun membro del corpo.

Gilles Deleuze, Poscritto sulle società di controllo

Le società disciplinari sono costituite da spazi chiusi: la famiglia, la scuola, la caserma, la fabbrica, l’ospizio, l’ospedale e il carcere. Ciò che Deleuze individua nella società del controllo è uno slittamento dallo spazio chiuso, striato, allo spazio aperto e liscio: dalla fabbrica al tele-lavoro, dalla caserma al supermercato, dall’ospedale ai servizi senza paziente e dottore. Lo spazio, un tempo suddiviso e assegnato, diventa deterritorializzato, assente di caratteristiche predefinite, ma trasformantesi al passaggio dell’uomo: esso ha come modello lo spazio digitale, con le sue fluttuazioni e i suoi automatisimi operativi, le sue strade composte da codici e il suo ambiente asettico. Si assiste al passaggio dall’uomo della società disciplinare all’uomo della società del controllo, dalla talpa al serpente:

Non ci si trova più di fronte alla coppia massa/individuo. Gli individui sono diventati dei “dividuali”, e le masse dei campioni statistici, dei dati, dei mercati o delle “banche”.

Gilles Deleuze, Poscritto sulle società di controllo

Il self-trackinge più in generale la geolocalizzazioneforniscono la più aperta manifestazione dello spazio della società del controllo, uno spazio potenzialmente illimitato, non contrassegnato direttamente da barriere, ma costantemente codificato, segnalato, sorvegliato. Il percorso non è prescritto, ma si dischiude a seconda del movimento: il serpente lascia le tracce delle sue spire, costantemente segnala il suo passaggio sulla rena dove scivola. In questo senso, pur muovendosi in libertà, rende sempre noto il suo percorso. Con inquietante chiaroveggenza, nel 1990 Deleuze scriveva:

Non c’è bisogno della fantascienza per concepire un meccanismo di controllo che dia in ogni momento la posizione di un elemento in ambiente aperto, animale in una riserva, uomo in una impresa (collare elettronico). Félix Guattari immagina una città in cui ciascuno può lasciare il suo appartamento, la sua strada, il suo quartiere grazie alla sua carta elettronica (dividuale) che faccia alzare questa o quella barriera, e allo stesso modo la carta può essere respinta quel giorno o entro la tal ora; ciò che conta non è la barriera ma il computer che ritrova la posizione di ciascuno, lecita o illecita, ed opera una modulazione universale.

Gilles Deleuze, Poscritto sulle società di controllo

Più che da una differenza sostanziale, il passaggio dalla società disciplinare alla società del controllo è segnato da una differenza nello stile: la seconda non impone direttamente, tramite una torre di controllo, la sorveglianza, ma sono gli stessi sorvegliati a desiderare la sorveglianza e a sorvegliarsi: per usare internet devo accettare che i motori di ricerca raccolgano i miei dati e li rivendano, così per i social network e per il cellulare. Si acconsente spontaneamente alla propria sorveglianza, ci si autosorveglia. Si tratta di una persuasione leggera, non violenta come il panopticon foucaultiano, ma delicata, accettata come compromesso o, nel caso in cui applicata per combattere un’epidemia, per un fine superiore.

Panopticon

Il panopticon di Jeremy Bentham

I big data forniscono la possibilità attuale di dissolvere l’individualità disciplinarmente costituita in favore della dividualità fluttuante della società del controllo. L’emergenza Coronavirus rende possibile l’aggiornamento dei governi circa le nuove tecniche biopolitche e psicopolitiche di controllo sociale. In quest’ottica la cittadinanza assume un volto diverso, seppure simile, all’esercizio individualizzante che possiede l’analogica carta di identità, o la patente, la tessera elettorale, il certificato di nascita. Passando attraverso la rete, materializzandosi in applicazioni che permettono l’identificazione del cittadino, il suo costante monitoraggio e tracciabilità, il cittadino perde la sua consistenza territoriale e fisica: la cittadinanza si svuota della carica territoriale per rigenerarsi in semplice monitoraggio. Se la cittadinanza legava a un qui determinato, non legava circa la permanenza o il percorso interno al territorio; una cittadinanza dataizzata, invece, lascia libero circa il territorio e lo spostamento, ma non circa la loro trasparenza e visibilità: la tessera elettorale impone di andare a votare in un comune, ma non di partecipare a un circolo di partito nella parte opposta d’Italia.

Reso carcerato consensuale, il cittadino diventa cittadino virale, potenzialmente pericoloso poiché potenzialmente malato. Si assiste ad una pre-ospedalizzazione della cittadinanza, al controllo preventivo del cittadino. E chissà se la cittadinanza, la quale già obbliga a doveri che non si è chiesto in cambio di benefici comunitari, possa divenire un giorno vincolata a nuovi obblighi, quale la costante reperibilità e l’auto-tracciamento, prima di oggi impensabili.

La dataizzazione della cittadinanza pone un’altra, problematica questione: chi gestirà i big data raccolti? Quasi certamente, visto lo strapotere oligopolistico, le grandi aziende di data mining e data analysis. Bisogna aspettarsi un’alleanza fra i centri del potere statale, forza essenzialmente disciplinare, e il capitalismo delle piattaforme digitali, antesignane della società del controllo?

Lo Stato può diventare non solo un Leviatano autoritario, ma anche copia parodistica delle aziende di data mining, più inefficiente e altrettanto pericolosa, la cittadinanza programma di governo, il cittadino consumatore sorvegliato. Probabilmente è solo una farneticazione postmoderna, ma la teoria critica, pur non contrassegnando adeguatamente la società effettiva, ne disegna il modello, descrive l’asintoto patologico alla quale tende. In questo senso è un costante campanello d’allarme che suona per mettere all’erta, qualora assopiti, delle distopiche possibilità delle società umane: non è che la società disciplinare fosse davvero costituita da carcerieri che sognavano un sogno d’incarcerazione totale, siccome le prime comunità umane non sono sorte nel modo e con gli intenti descritti dai giusnaturalisti. Piuttosto entrambe le analisi forniscono un’interpretazione logica delle immanenti forme sociali, ne ipotizzano la giustificazione e ne vagliano le derive. Certo è che, nei suoi primi vagiti, la società del controllo manterrà ancora moduli operativi disciplinari, quali il diffuso uso di esercito e polizia per controllare il rispetto delle regole, la disposizione di un domicilio per determinare l’area di movimento, l’assegnazione familiare dei sussidi, eccetera.

Solo l’idiotismo ci può salvare: ipotesi per una fuga

Etimologicamente, “idiota” significa “colui che non ha cariche politiche”, “l’individuo privato”, o, ancora, “particolare, che sta a sé”. Nel suo significato è nascosta l’estrema possibilità dell’essere autentico, il farsi straniero del cittadino, almeno virtualmente, per stravolgere ogni prospettiva politica e sociale, ogni direzione che nella normalità conduce sempre e soltanto al centro grigio dello status quo. In una società profondamente comunicativa e informativa, bisogna moltiplicare i punti di rottura, le bolle rarefatte che non comunicano, ma esprimono: divenire irreperibili e irrintracciabili, non nel senso neo-luddistico dell’abbandono della tecnologia, ma nel senso di un utilizzo incomprensibile del mezzo, la profanazione dello strumento, ossia l’eterogenesi del suo scopo.

Durante l’iperinflazione, nella Repubblica di Weimar giravano un mucchio di contanti. Ci sono foto di bambini che giocano con pile enormi di banconote. Essi instauravano uno spazio di gioco sul corpo serioso e sacro del denaro, controvertivano il suo uso, lo espropriavano del senso, profanavano il suo cadavere. La profanazione è un atto di profonda libertà, significa restituire all’uomo ciò che da prima gli era interdetto, liberare dalla divinità il sacro.

Profanare i big data significa rendersi un’unità informativa incerta, eccentrica, non riporre sé stesso online ma mostrare soltanto un giocoso simulacro; rendersi indecifrabile, inoggettivabile, benché ciò forse non sia totalmente possibile.

L’idiotismo come pratica politica è un continuo sfuggire dal pregiudizio del dispositivo, farsi da parte per non sostare dove si annodano gli interessi, praticare l’ascesi dello stilita che riceve solo flebili nozioni del mondo. In questo senso, è essere «idiosincratico», come scrive Byung-Chul Han nel suo bellissimo Psicopolitica. Il neoliberalismo e le nuove tecniche di potere, ossia rappresentare l’impedimento, rallentare col proprio corpo l’accelerazione neoliberale:

l’idiotismo rappresenta, di fronte alla coercizione alla comunicazione e alla conformità, una pratica di libertà. L’idiota è, secondo la sua essenza, il non-connesso, il non-informato. Egli abita l’esterno che non può essere pensato in anticipo e che si sottrae a ogni comunicazione.

Abitare l’esterno, ossia non-connettersi, portarsi fuori dalla sacralità dei big data pur permanendovi, profanandoli, pervertendoli.

Sì, lo sappiamo. Te lo chiedono già tutti. Però è vero: anche se tu lo leggi gratis, fare un giornale online ha dei costi. Frammenti è una rivista edita da una piccola associazione culturale no profit, Il fascino degli intellettualiNon abbiamo grandi editori alle spalle, anzi: siamo noi i nostri editori. Per questo te lo chiediamo: se ti piace quello che facciamo, puoi sostenerci con una donazione. Libera, a tua scelta. Anche solo 1 euro per noi è molto importante, per poter continuare a essere indipendenti, con la sola forza dei nostri lettori alle spalle.

FONTE:https://www.frammentirivista.it/big-data-e-coronavirus-verso-una-nuova-cittadinanza/

 

 

 

Tamponi, una storia inquietante

30 marzo 2020 – di Luca Ricolfi

RILETTURA DI UN ARTICOLO PROFETICO

Oggi vi racconto una storia, ma spero vivamente che il mio racconto sia sbagliato. Sì, spero di sbagliarmi, e che le cose non siano andate come le ho ricostruite io. Perché se fossero andate come sembra a me, o anche solo più o meno così, dovremmo essere tutti molto preoccupati, ancora di più di quanto già siamo. E, forse, dovremmo chiedere che qualche politico faccia un passo indietro, o almeno ci chieda scusa.

Ed ecco la storia.

31 gennaio: appena appreso che due turisti cinesi sono positivi al Coronavirus, il Governo dichiara lo stato di emergenza fino al 31 luglio, e con ciò si auto-attribuisce poteri speciali; possiamo presumere che, almeno da quel momento, il Governo stesso sia consapevole della gravità della situazione

In realtà avrebbe potuto (e forse dovuto) esserlo già molto prima. In una serie di articoli pubblicati fra l’8 gennaio e la fine del mese, il sito di Roberto Burioni (Medical Facts) aveva fornito tre informazioni cruciali: una parte non trascurabile degli infetti è asintomatica ma può ugualmente trasmettere il virus; il controllo della temperatura negli aeroporti è una misura insufficiente; l’esperienza cinese suggerisce che è difficile fermare l’epidemia se non si intercettano almeno due terzi degli infetti.

21 febbraio: scoppiano i due focolai di Codogno (Lombardia) e Vo’ Euganeo (Veneto), si aggrava la situazione in Cina; Giorgia Meloni chiede la quarantena per chi viene dalla Cina o da altre zone ad alto rischio; anche Walter Ricciardi, nostro rappresentante nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), critica il governo per essersi limitato a bloccare i voli diretti con la  Cina, ignorando il problema dei voli indiretti; ma il governo liquida la proposta della Meloni come “allarmismo” ingiustificato, e quanto alle critiche di Ricciardi se la cava nominandolo consulente del ministro della Sanità.

21-28 febbraio: mentre Roberto Burioni consiglia i tamponi anche a chi ha solo 37.5 gradi di febbre, parte l’offensiva del Governo contro i tamponi, che culmina con un’intervista a Walter Ricciardi in cui viene aspramente criticata la linea dei tamponi di massa adottata dal Veneto, contraria alle direttive mondiali ed europee, volte a minimizzare il numero di tamponi; contemporaneamente, in barba allo “stato di emergenza” dichiarato un mese prima, parte la compagna politico-mediatica per “riaprire Milano” e far ripartire l’economia.

28 febbraio: mentre l’epidemia dilaga, il ministro degli esteri Luigi Di Maio minimizza la gravità della situazione, dichiarando che “in Italia si può venire tranquillamente” e che i comuni coinvolti sono solo 10 su 8000; la linea del Governo è minimizzare i tamponi per non scoraggiare il turismo.

5 marzo: il prof. Andrea Crisanti, che sta conducendo un fondamentale studio epidemiologico sul comune di Vo’, congettura che il peso degli asintomatici possa superare il 30% (intervista rilasciata ad Alessandra Ricciardi su “Italia Oggi”); circa una settimana dopo, a conclusione della seconda rilevazione a Vo’, la congettura diventa certezza: il peso degli asintomatici è dell’ordine del 75%; e poiché gli asintomatici possono trasmettere il virus, diventa chiaro a tutti che il vero problema è individuarne il maggior numero possibile.

10-16 marzo: a seguito dell’indagine di Vo’, nel mondo scientifico si rafforzano le posizioni di quanti, diversamente dal nostro governo e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ritengono che minimizzare il numero di temponi sia stato un grave errore, e che – per quanto tardivamente – il numero di tamponi vada aumentato sia rendendo meno restrittivi i criteri per effettuare i tamponi, sia effettuando tamponi a tappeto alle categorie più a rischio (dai medici ai poliziotti, dagli edicolanti alle cassiere).

16-17 marzo: spettacolare giravolta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, per bocca del suo Direttore, ora invita a massimizzare il numero di test (“il nostro messaggio chiave è: testtesttest”), dopo settimane in cui li aveva scoraggiati in tutti i modi; anche il nostro rappresentante presso l’OMS, che 4 settimane prima aveva aspramente criticato le Regioni che volevano fare più test, aderisce istantaneamente alla giravolta dell’OMS, retwittando il messaggio “test, test, test”.

17-25 marzo: nel frattempo l’epidemia è esplosa in tutto l’Occidente, e ogni stato tenta di approvvigionarsi come può di materiale sanitario, compresi tamponi e reagenti per i test; il materiale per i test comincia a scarseggiare, ma i nostri governanti non sembrano avere fatto 2+2, ovvero: se l’OMS ingiunge di fare più test, e l’epidemia sta partendo in tutto il mondo, è inevitabile che vi sia una corsa di tutti a procurarsi il necessario, ed è ovvio che occorra immediatamente aprire una campagna di approvvigionamento sui mercati internazionali, specie per quei materiali che è più difficile produrre in patria (in particolare i reagenti, che servono per analizzare i campioni prelevati con i tamponi).

26-28 marzo: puntualmente accade quel che era logico aspettarsi; ovvero, proprio ora che il Governo si è convinto a non ostacolare le Regioni che vogliono fare più test, si scopre che scarseggiano i materiali per effettuarli, anche perché altri se li sono procurati prima di noi.

Ho seguito nei giorni scorsi quel che sta succedendo nelle varie Regioni, e il quadro è sconsolante. Tutte, o quasi tutte, vorrebbero moltiplicare i test per proteggere le persone più esposte e per individuare il maggior numero possibile di asintomatici, ma né la Protezione Civile né altri organismi dello Stato sono in grado di assicurare quel che serve. Soffre il Veneto, che vorrebbe fare 10 mila tamponi al giorno e riesce a farne solo 4000. Ma soffrono anche diverse altre regioni, come la Toscana e la Puglia.

A due mesi esatti dalla dichiarazione dello stato di emergenza, succede che il numero di tamponi che siamo in condizione di effettuare non solo sia del tutto inadeguato a scovare gli asintomatici, che sono il veicolo principale del contagio, ma non basti neppure ad assicurare i test per il personale sanitario. Nel frattempo, anche – se non soprattutto – per la mancanza di tutto ciò che servirebbe per proteggerli (dalle mascherine ai tamponi) i morti fra i medici sono più di 50, mentre ancora si attende di conoscere il numero delle vittime fra infermieri, operatori del 118, personale sanitario in genere. E non mi vengano a tirare in ballo i tagli alla sanità dell’ultimo decennio, perché chiunque abbia un’idea delle cifre in gioco sa benissimo che la mancanza di dispositivi di protezione individuale dei medici è una goccia nel mare magnum dei costi della sanità, e che per non trovarci nella condizione di oggi sarebbe stato sufficiente provvedere in tempo, quando si è capito che l’epidemia sarebbe arrivata (fine gennaio) e gli ospedali non erano al collasso.

Che dire?

Nulla, per parte mia. Mi limito e riportare le parole di uno dei pochi veri esperti italiani di epidemie, incredibilmente ignorato dal governo centrale (ma tempestivamente reclutato dal governatore del Veneto), il professor Andrea Crisanti, l’ideatore dell’indagine su Vo’: “Abbiamo voluto difendere il Paese dei balocchi e l’economia anche di fronte alla morte. Questo è un fallimento della classe dirigente del Paese”.

Pubblicato su Il Messaggero del 29 marzo 2020

FONTE:http://www.fondazionehume.it/societa/tamponi-una-storia-inquietante/

 

La signora astronauta, sua moglie ex-spia e il conto online

Due donne di carattere, forse troppo, si separano e scatta il primo furto di identità compiuto dallo spazio

La scia del gossip si lascia dietro uno scandalo divampante, un gossip atipico, che per la prima volta varca la soglia dello spazio. Protagoniste della contesa un’astronauta di spicco della NASA e la sua ex coniuge.

Le dinamiche della vicenda poggiano su ardenti questioni di natura familiare e, a suon di accuse reciproche, sono ormai finite in mani giudiziarie.

L’astronauta della NASA Anne McClain è stata più volte accusata da parte della ex coniuge Summer Worden, a marzo e ad agosto del 2019 ,di crimini, effettivamente “spaziali”, in quanto i suddetti sarebbero stati compiuti quando Anne McClain ancora si trovava nello spazio. In virtù di accuse ritenute false dalla controparte, l’offesa ha di tutta risposta accusato la Worden di aver riportato accuse infondate.

Summer Worden, una ex ufficiale dell’intelligence dell’Aeronautica militare che vive in Kansas, è stata nel mezzo di un’aspra disputa sulla separazione e sull’affidamento del figlio per gran parte dell’anno passato. In qualche modo si accorse che la ex coniuge pareva sapere fin troppe cose sulle proprie finanze. Mettendo a frutto il suo background di intelligence, chiese alla sua banca le posizioni dei computer che avevano recentemente avuto accesso al suo conto bancario usando le sue credenziali di accesso. La banca le rispose che si trattava di una rete di computer registrata presso la National Aeronautics and Space Administration.

La ex coniuge della Worden, Anne McClain, è una blasonata astronauta della NASA, per conto della quale svolse una missione di sei mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Stava per far parte della prima passeggiata lunare per sole donne della NASA quando i problemi domestici della coppia hanno interferito.

L’accusata ha riconosciuto di aver avuto accesso al conto bancario dallo spazio, insistendo attraverso un avvocato che stava semplicemente gestendo le finanze intrecciate della coppia. La signora Worden la pensava diversamente. Ha presentato una denuncia alla Federal Trade Commission mentre la sua famiglia all’Ufficio dell’ispettore generale della NASA, accusando la McClain di furto di identità e accesso improprio ai documenti finanziari privati ​​della signora Worden nel tentativo di ottenere la custodia del giovane figlio di Worden, Briggs. (Gran parte della disputa riguardava infatti anche il figlio della signora Worden, che era nato circa un anno prima che i due si incontrassero. In particolare oppose resistenza alla richiesta della signora McClain di adottare il bambino anche dopo essersi sposati alla fine del 2014.)

Gli investigatori hanno quindi contattato le due controparti, cercando di arrivare al fondo di quella che potrebbe essere la prima accusa di illecito criminale nello spazio.

Le cinque agenzie spaziali coinvolte nella stazione spaziale – dagli Stati Uniti, dalla Russia, dal Giappone, dall’Europa e dal Canada – hanno procedure consolidate per gestire eventuali questioni giurisdizionali che sorgono quando gli astronauti di varie nazioni si trovano in orbita, ma, come afferma Mark Sundahl, direttore del Global Space Law Center della Cleveland State University, non vi sono precedenti accuse di un crimine simile commesso nello spazio.

La signora McClain, tornata sulla Terra, si è sottoposta ad un interrogatorio sotto giuramento con l’ispettore generale. Sostiene che stava semplicemente facendo ciò che aveva sempre fatto, con il permesso della signora Worden, per assicurarsi che le finanze della famiglia fossero in ordine.

L’accesso alla banca dallo spazio, a detta dell’avvocato di Anne McClain, sarebbe stato un tentativo, ordinario, di assicurarsi che ci fossero fondi sufficienti nel conto della signora Worden per pagare le bollette e prendersi cura del bambino che stavano crescendo. Avrebbe fatto lo stesso durante la relazione, con la piena consapevolezza della signora Worden, continuando a usare la password già usata in precedenza senza aver mai ricevuto delle proibizioni dalla Worden.

All’inizio del 2018, mentre la coppia era ancora sposata, la signora McClain si era rivolta a un tribunale locale nell’area di Houston per chiedere a un giudice di concedere i suoi diritti di genitore condivisi e “il diritto esclusivo di designare la residenza principale del bambino”; secondo i registri non fu possibile raggiungere un accordo condiviso. Ha sostenuto che la signora Worden aveva un carattere turbolento e inadatto e stava prendendo decisioni finanziarie sbagliate.

Più tardi nel 2018, la Worden ha chiesto il divorzio dopo l’accusa di aggressione da parte della coniuge.

Alcuni mesi più tardi, dopo che la signora McClain si era lanciata alla stazione spaziale, la loro disputa ha continuato a intensificarsi. La signora Worden ha reso note le sue accuse e, quando la notizia delle sue preoccupazioni è arrivata alla NASA, i funzionari hanno immediatamente sollevato il problema con la signora McClain, che ha inviato un’email alla signora Worden.

La McClain, nel frattempo, stava guadagnando l’attenzione nazionale per un’altra ragione. La NASA stava promuovendo la prossima passeggiata spaziale per sole donne, con quest’ultima pronta a lavorare fuori dalla stazione spaziale con la sua collega astronauta Christina Koch. Ma all’improvviso pochi giorni prima della passeggiata spaziale, la NASA ha eliminato il ruolo della signora McClain, a quanto pare, per motivi tecnici che nulla hanno a che vedere con questi accadimenti.

Non essendovi prove fondanti, attualmente a rischiare maggiormente è la signora Worden per aver presentato false accuse. Si prevede che farà la sua prima apparizione in tribunale il 13 aprile. Se condannata, potrebbe rischiare fino a cinque anni di carcere e una possibile sanzione massima di 250.000 dollari.

Una cosa è certa… l’autorevolezza della giurisdizione, che non sembra presentare limiti di natura fisica. Come ha affermato infatti Sundahl: “Solo perché è nello spazio non significa che non sia soggetto alla legge”.

FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/13/news/aerospazio/la-signora-astronauta-sua-moglie-ex-spia-e-il-conto-online/

DIRITTI UMANI

Eutanasia dei disabili: quando lo Stato diventa assassino

27 gennaio 2020 – Carlo Saletti

EUTANASIA DEI DISABILI

Il termine “eutanasia” (che letteralmente significa “dolce morte”) in genere si riferisce alla scelta di procurare una morte senza dolore ai malati cronici o terminali destinati altrimenti a soffrire inutilmente. Nel contesto del periodo Nazista, però, la parola “eutanasia” venne usata come eufemismo per indicare il piano segreto per l’uccisione sistematica dei pazienti disabili ospitati negli istituti di cura sia della Germania sia dei paesi che le erano stati annessi. Questo programma (Programma T4 https://it.wikipedia.org/wiki/Aktion_T4) costituì la prima vera politica di sterminio di massa della Germania nazista. Gli ideatori del programma “eutanasia” – così come coloro che più tardi pianificarono il genocidio degli Ebrei – intendevano creare una società pura dal punto di vista razziale, da difendere poi con leggi specifiche sulla riproduzione umana; per far sì che tale visione divenisse realtà, essi utilizzarono metodi radicali con cui eliminare di tutti coloro giudicati inadatti a farne parte.

United States Holocaust Memorial Museum. “Il programma eutanasia”, Holocaust Encyclopedia
https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/euthanasia-program-abridged-article

EUTANASIA DEI DISABILI E SHOA

Anche se in pochi se lo ricordano, il programma eutanasia fu il banco di prova per il successivo sterminio di massa degli ebrei, una specie di macabra prova generale della Shoa. Gli ideatori della “Soluzione Finale” si ispirarono, per l’eliminazione degli Ebrei, proprio alle camere a gas e ai forni crematori realizzati nell’ambito del programma T4, mentre il personale che vi aveva partecipato e che aveva dimostrato di essere particolarmente affidabile, ebbe poi un ruolo centrale nei centri di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka.

In occasione del Giorno della Memoria e in ricordo delle vittime dell’eugenetica nazista pubblichiamo una breve nota di Carlo Saletti, che sul tema ha tradotto e curato, insieme a Ernesto De Cristofaro, Precursori dello sterminio. Binding e Hoche all’origine dell’«Eutanasia» dei malati di mente in Germania.

LO STATO ASSASSINO

Due sono le ricorrenze che si celebrano in questi giorni. Il 75° anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945, data che una legge dello Stato dal 2000 invita a ricordare con il Giorno della memoria; la seconda, gli ottant’anni trascorsi dall’inizio della prima campagna di uccisione di massa, avviata in Germania agli inizi del 1940. Campagna, si è scritto, nel senso militare che assume il termine, quando si intende indicare un’azione bellica preordinata, organizzata coordinata, supportata e prolungata nel tempo. Non una semplice battaglia, ma una guerra. Perché la soppressione deliberata di circa 200.000 “vite indegne di essere vissute”, come venivano definite nella Germania del Terzo Reich, ebbe tutte le caratteristiche di una guerra che lo stato tedesco mosse contro propri cittadini inermi: fu una guerra a civili avviata nel 1940 che affiancò, negli anni, la guerra simmetrica che le sue forze armate combattevano sui diversi fronti europei. L’operazione Eutanasia, come siamo abituati a chiamarla, fu voluta da Hitler e dalla sua cerchia più intima e affidata a burocrati, tecnocratici e medici convinti. Infierì contro i più indifesi: deboli di mente, disabili, disadattati… esseri umani verso cui quello stato assassino aveva perduto ogni interesse e che, per questo, andavano “disinfettati”. E così fu.

FONTE:https://www.anteocoop.it/eutanasia-dei-disabili-quando-lo-stato-diventa-assassino/

 

 

Eutanasia: suicidio assistito anche per gli anziani non gravemente ammalati

SVIZZERA – Proprio in queste ore è riesploso il dibattito dopo che, l’organizzazione di assistenza al suicidio Exit intende aiutare a mettere fine alla loro esistenza anche persone anziani in condizioni non gravi, alle quali è compromessa pesantemente la loro vita. Sin da subito, come sovente accade quando si tratta di temi “forti”, il web si è mobilitato con posizioni contrastanti a sostegno o meno della decisione. In futuro l’organizzazione di assistenza al suicidio Exit intende aiutare a mettere fine alla loro esistenza anche persone anziane che soffrono di malanni che, per quanto non mortali, compromettono pesantemente la loro vita. Lo ha deciso a Zurigo l’assemblea generale dell’associazione, che ha proceduto ad adattare in tal senso gli statuti. Concretamente l’anziano che vorrà accedere ai farmaci necessari per il suicidio forniti da Exit dovrà sottoporsi a valutazioni mediche meno intense di quelle richieste a un paziente più giovane. Il grado di sofferenza potrà inoltre essere minore. Exit verificherà però a fondo le motivazioni della persona che vuole mettere fine alla sua vita, per evitare che la decisione venga maturata su pressione esterna, per esempio dei parenti. Al minimo segnale di questo tipo l’organizzazione rifiuterà il suo aiuto. Sono una trentina invece in tutto gli italiani andati in Svizzera per non fare più ritorno.

FONTE:https://www.pressitalia.net/2014/05/eutanasia-suicidio-assistito-per-gli-anziani-non-gravemente-ammalati.html

 

 

 

ECONOMIA

“Il Decreto Liquidità del Governo è destinato a fallire”. Money.it intervista Giulio Tremonti

14 Aprile 2020

Decreto liquidità, MES, ruolo dell’Unione Europea e dell’Italia di fronte all’emergenza coronavirus: di tutto questo abbiamo avuto il piacere di poter parlare con Giulio Tremonti, nell’intervista in esclusiva che il Professore ha gentilmente concesso a Money.it.

I temi trattati sono davvero molti, altrettanti i dubbi. Più di un’ora di conversazione in cui il Professor Tremonti ci ha consentito di approfondire alcune importanti questioni, tutte di strettissima attualità.

Non è semplice, infatti, trattare questioni politiche, economiche, sociali e fiscali che si intrecciano in modo evidente con giudizi di merito, sempre complessi da fornire e valutare.

Domanda: Professore, nel suo ultimo libro “Le tre profezie. Appunti per il futuro”, recentemente aggiornato alla luce dell’emergenza globale che stiamo vivendo, Lei parla di tre diversi scenari che erano stati in qualche modo anticipati in passato: la deriva del capitalismo globale di cui parlava Marx, il potere mefistotelico del denaro e del mondo digitale di cui parlava Goethe e la crisi delle civiltà cosmopolita di cui parlava Leopardi.

Quali considerazioni possiamo aggiungere oggi alla luce dell’incredibile situazione che stiamo vivendo in Italia e nel mondo per effetto della pandemia in corso?

Risposta: La quarta profezia, dopo quelle da lei citate, è che ci hanno preso, pur non avendo l’iPad o il computer ma 200 anni fa avevano intuito o previsto quello che sarebbe successo se l’uomo avesse fatto quello che poi effettivamente ha fatto con la globalizzazione.

Cosa emerge dal passato? Indizi e miti millenari che in qualche modo ci indicano quello che sta succedendo.

Faccio un esempio, il paradiso terrestre: non crediamo certo alla storia della mela o del serpente ma nella Bibbia si legge “valicate le montagne, i popoli venendo da Oriente sono scesi nelle nostre pianure”; vuol dire che c’era stata una variazione drammatica nelle vite umane. Il paradiso prima c’è e poi no. Oppure un altro mito millenario è quello del diluvio universale, poi si sale sull’arca…

Ecco, io credo che tutte queste storie abbiano un fondo di verità.

La cacciata dal paradiso terrestre, rapportata ad oggi, potrebbe essere associata alla fine del trentennio dorato di illusioni prodotte dalla globalizzazione.

Adesso vediamo che c’è un lato oscuro nella globalizzazione. Peraltro già nel 1995, se mi consente di autocitarmi, ebbi modo di prevedere quanto sarebbe accaduto nel mio libro “Il fantasma della povertà”.

Pensare che fosse sufficiente la caduta del muro di Berlino o il libero mercato “per aprire agli uomini il giardino dell’Eden” non era realistico.

D: Sempre nel suo libro Lei parla di un’Unione Europea “troppo elitaria, troppo totalitaria, troppo finanziaria”. Evidenzia, inoltre, la necessità di un cambio di struttura, soprattutto finanziaria, che passi necessariamente da strumenti come gli eurobond, peraltro da Lei proposti in modo informale già nel 1994, poi ancora dal Governo Berlusconi IV di cui era ministro nel 2010.

Siamo nel 2020 e ancora se ne parla. Per quale motivo? E, secondo Lei, il prossimo Eurogruppo, fissato per la fine di aprile, riuscirà ad andare oltre mere dichiarazioni di intenti?

R: Quella degli eurobond è un’idea nata nel 1994 dal presidente Delors; poi fu ripresa dal Governo italiano durante il secondo semestre di presidenza europea del 2003. La misi dentro come idea per sviluppare l’Europa. Per inciso, Delors parlava di infrastrutture, io avevo aggiunto la difesa.

Ricordo la reazione inglese che fu: “questo vuol dire nation building, sarebbe la costruzione di un’Europa politica”, e disse di no. La ripresi nel 2010 con un articolo sul Financial Times e la discussione stava andando avanti.

Se lei guarda le carte nel marzo 2011 in due giorni il Parlamento europeo approva una mozione che riguarda il famigerato Mes e gli eurobond, relatore l’Onorevole Gualtieri, oggi Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Po arriva il Governo Monti e mai immaginato un’azione di quel tipo, fatta di colpo per salvare le banche tedesche e francesi e per usare i nostri soldi per distorcere l’attenzione come se la crisi fosse sui bilanci pubblici e non su banche mezze fallite in attesa del crollo.

Non vi erano solo i rischi sulla Grecia ma anche i rischi sui derivati.

Detto questo, quello che doveva essere uno strumento per fare gli eurobond è diventato uno strumento per la riscossione coattiva in Grecia, in nome dell’Europa ed in nome delle banche tedesche e francesi.

Tornando a quel tragico agosto del 2011, quando arriva una lettera “atipica”, è divertente che oggi il Professor Monti, beneficiario di quell’operazione, accusi la BCE di aver scritto quella stessa lettera…

FONTE:https://www.money.it/decreto-liquidita-intervista-giulio-tremonti

 

 

 

Il caso Germania: 1.000 miliardi a imprese e lavoratori subito (e tutto funziona)

Lo stimolo della Merkel per combattere la crisi del coronavirus sta già impattando positivamente sulle imprese tedesche e sui lavoratori dipendenti e non.

Il ministro tedesco dell’Economia, Peter Altmaier, lo scorso 6 aprile ha presentato un programma di emissione di prestiti rapidi a beneficio delle piccole e medie imprese in Germania, la spina dorsale dell’economia più grande d’Europa, con garanzie illimitate che coprono il 100% del rischio di credito.

La Germania, che ha sorpreso tutti con il suo aver quasi azzerato la burocrazia per cui è ben nota, mostra così un approccio pratico nel tentativo di proteggere la crescita economica in un contesto in cui il coronavirus ha portato alla chiusura di negozi, aziende e fabbriche in tutto il mondo.

Come riporta Bloomberg, il governo della cancelliera Angela Merkel ha promesso aiuti per un valore di oltre 1.000 miliardi di euro in garanzie statali, prestiti e capitale diretto alle imprese, e ha anche semplificato l’accesso al sostegno salariale per i lavoratori da parte dello Stato.

L’aiuto della Germania alle sue aziende sta funzionando

Nel resto del mondo sviluppato la situazione è ben diversa: secondo un sondaggio inglese solo l’1% delle aziende nel Regno Unito si è visto accettare un prestito di emergenza, mentre in Italia sono assai diffuse le lamentele tra esborsi lenti e tanta burocrazia. Negli Stati Uniti, il Paycheck Protection Program (“programma di protezione dello stipendio”) del governo, che mira a erogare prestiti destinati ad aiutare le piccole imprese, è oggetto di confusione e ritardi sin dalla sua introduzione.

Eppure l’emergenza esiste ed è reale. L’economia tedesca si ridurrà di quasi il 10% nel secondo trimestre del 2020, una contrazione grande di più del doppio di quella subita al culmine dell’ultima crisi finanziaria, stando a quanto riportano gli istituti di ricerca in Germania.

Ben consapevoli dell’estrema necessità di agire in fretta, le autorità di Berlino hanno reso disponibili 1,3 miliardi di euro da dedicare a lavoratori indipendenti e piccole aziende, elaborando 140.000 domande in pochi giorni. Il denaro è arrivato nei conti bancari di alcune aziende solo dopo 24 ore.

La Germania ormai da anni è abituata a mettere a disposizione delle misure piuttosto generose in risposta alle crisi ed è forse questo che giustifica la sua prontezza ad affrontare quanto sta succedendo oggi a causa del coronavirus. Il sostegno statale agli stipendi dei dipendenti, ad esempio, ha salvato centinaia di migliaia di posti di lavoro durante la crisi finanziaria del 2008. Ai tedeschi è bastato perfezionare un programma che esiste già dagli anni ’50.

Il supporto alla liquidità erogato dalla banca statale del paese, KfW, esisteva anche prima ed oggi è oggetto di espansione. Un portavoce del governo ha affermato che sono già stati approvati prestiti per un valore di diversi miliardi di euro e che le domande (fino a un massimo di 3 milioni di euro) vengono elaborate praticamente all’istante.

I nodi (ancora) da sciogliere

Non tutto però va a gonfie vele, è il caso di ammetterlo. Le banche stanno sofferendo e resta da vedere con quale rapidità verrà erogato il sostegno agli stipendi da parte del Governo (e aziende lo anticipano con la promessa di essere rimborsati dallo Stato quanto prima).

Le piccole e medie imprese tedesche temono che la Germania sarà comunque troppo lenta nell’uscita dalla crisi e richiedono indicazione su un possibile orizzonte temporale così da poter pianificare il riavvio della produzione.

Attenzione però, i programmi di aiuto in Germania non sono certo una panacea.

Alcune società più piccole potrebbero avere difficoltà a rimborsare i prestiti e un sondaggio condotto alla fine di marzo dall’Associazione tedesca dell’industria e del commercio (DIHK) ha mostrato che una PMI su cinque riscontra rischio di insolvenza. Oltre due terzi hanno affermato che gli aiuti sotto forma di iniezioni di denaro sono i più efficaci e dovrebbero essere ampliati.

FONTE:https://www.money.it/Il-caso-Germania-1-000-miliardi-imprese-lavoratori

 

La fragilità delle Teorie Economiche al tempo del Coronavirus e del MES

di Davide Amerio – 12 APRILE 2020

Coronavirus, crisi, e soluzioni economiche. Quando gli economisti danno risposte differenti a chi dobbiamo credere? come distinguere il giusto dallo sbagliato?

Un amico, qualche giorno fa, mi poneva alcune domande: sento economisti affermare tesi completamente opposte, su ciò che va fatto. A chi bisogna dare credito? Come faccio a capire chi ha ragione?

Il tema è quanto mai attuale, in queste difficili settimane di epidemia, di confusione, di annunci e contraddizioni palesi nelle azioni di molti politici. Proviamo a gettare un po’ di luce partendo da qui:

Nel nostro tempo la sventura consiste nell’analfabetismo economico, così come l’incapacità di leggere la semplice stampa era la sventura dei secoli precedenti
(Ezra Pound)

La nostra epoca (XXI sec) è iniziata con l’auspicio di essere l’era delle idee, dopo la caduta delle ideologie. Una nuova stagione fertile di riflessioni da condividere attraverso gli strumenti tecnologi, per riuscire a risolvere, almeno in parte, i problemi che attanagliano il mondo, e rendono la vita di molti difficile, al punto da chiedersi se valga la pena di essere vissuta.

Ci troviamo invece, troppo sovente, a parlare di analfabetismo, funzionale o meno, rilevando che alla capacità massiva della comunicazione non corrisponde un livello qualitativo adeguato: lo scambio d’opinioni è sconfitto dallo scontro tra fazioni. Il sistema dell’informazione, sempre troppo schierato, non contribuisce a migliorare la situazione: si evita di fornire al pubblico criteri per formulare giudizi critici. Nella scuola le questioni economiche vengono toccate a livello universitario, negli altri livelli di   non si parla mai, se non in termini generici.

Proviamo a farci qualche riflessione.

In primo luogo occorre sfatare, magari definitivamente, un mito: che l’economista sia un deus ex machina, sia il profeta, sia l’interprete assoluto, sia il “verbo”, sia il predicatore errante che dispensa la verità ‘divina’.

Non è per cattiveria, nemmeno per disprezzo, nei confronti degli economisti, ma questo “mito” è stato coltivato dai media per decenni, sino a diventare un luogo comune, un pre-giudizio: ciò che dice l’economista è sempre qualcosa di sensato… perché lui sa!

Ci è stato sempre “nascosto”, nel dibattito pubblico, che la scienza economica, come tutte le scienze contemporanee, implica una certa visione del mondo e della .
I fisici, con la ricerca quantistica, hanno scoperto da tempo che l’osservazione implica una influenza su ciò che viene osservato. Anche le contemporanee scienze sociali pongono l’attenzione sull’influenza dell’osservatore nella ricerca e nella conseguente formulazione delle teorie.

Presentare quindi l’economista come un soggetto asettico che esamina il mondo dentro un laboratorio sterile, incontaminato, e osservato solamente con modelli matematici precisi, è una idea sballata non corrispondente al vero.
L’economista è un interprete del mondo, oltre a esserne studioso; la sua concezione dello stesso influenza la ricerca, e le sue conclusioni.

Un liberista ha una fede assoluta nel mercato che si auto regola, e vede nello Stato un soggetto terzo incomodo, che deve svolgere pochissime mansioni, e sopratutto non deve intervenire nelle vicende dell’economia di scambio.
L’egoismo dei singoli è inteso come propellente per l’economia; la ricerca individuale della ricchezza materiale rappresenta un bene per l’intera collettività che ne beneficia in conseguenza. La libertà dell’individuo prevale su qualsiasi altra considerazione etica o morale. Le scelte individuali sono sempre concepite come “razionali”.

Il neo-liberista ripone nella globalizzazione gestita con un sistema finanziario globale, privo di controlli, la massima fiducia, ritenendola la migliore soluzione possibile per la diffusione della ricchezza.

Un Keynesiano ritiene, all’opposto, lo Stato svolga una funzione essenziale nel regolare il sistema economico; esso deve intervenire (con la Spesa Pubblica, la gestione della , e la Tassazione) per gestire i fallimenti del mercato, che producono cicli di “alti e bassi”. Durante i cicli bassi, lo Stato deve stimolare il sistema economico; durante i cicli alti, deve intervenire per evitare che si creino scompensi troppo forti che possano provocare danni, come l’inflazione.

Un Monetarista vede nella gestione della quantità di moneta in circolazione lo strumento migliore per amministrare l’economia. Nei momenti di recessione è necessario immettere moneta (stampandola e diffondendola); all’inverso, nei momenti di troppa crescita economica, è necessario dragare  dal sistema con la leva fiscale.

Questa è, ovviamente, una semplificazione. Me ne perdonino gli specialisti.

La storia dell’economia presenta molti studi, grandi intuizioni, e altrettanti grandi fallimenti. Il crollo del 1929 ebbe tra le cause errori di analisi e l’assenza di una branca della scienza economica che sarebbe nata con Keynes: la macroeconomia.

La grande sfida che si trovarono ad affrontare gli economisti di allora era capire come la somma dei comportamenti individuali conducesse a un risultato completamente diverso dalle aspettative.

L’esempio classico è quello del risparmio. A livello del singolo individuo è un fattore positivo ma, se tutti risparmiano contemporaneamente e nessuno si decide a spendere il proprio reddito, il sistema, a livello macroeconomico, entra in crisi: non si acquistano più i beni prodotti, non circola moneta, le aziende non vendono, quindi licenziano, quindi cresce la disoccupazione, quindi meno redditi disponibili con cui alimentare il sistema, quindi… spirale recessiva.

L’assegnazione del premio “Nobel” per l’economia (che viene chiamato così impropriamente, perché non esiste la categoria per la fondazione Nobel, ma è un premio equivalente emesso dalla banca di Svezia), è stata talvolta oggetto di forti critiche: non è stato assegnato ad alcuni economisti di valore, mentre altri lo hanno ricevuto per teorie piuttosto discutibili.
Per esempio: lo sapete che i due economisti che hanno inventato i “derivati” (causa dei principali guai finanziari contemporanei) sono stati insigniti di questo premio? E che quando l’hanno ricevuto erano a capo di una società finanziaria che operava con questi prodotti ed era già in passivo di 2 milioni di dollari? Le premesse non erano granché.

«La guerra moderna, fortemente tecnologica, mira ad eliminare il contatto umano: sganciare bombe da un’altezza di 15.000 metri permette di non sentire quello che si fa. La gestione economica moderna è simile: dalla lussuosa suite di un albergo si possono imporre con assoluta imperturbabilità politiche che distruggeranno la vita di molte persone, ma la cosa lascia tutti piuttosto indifferenti, perché nessuno le conosce” (*)

Il punto centrale della domanda iniziale del mio amico è domandarsi, di fronte ad un economista, a quale “filosofia” appartenga. Qual’è il suo reale pensiero sulla società, come pensa debba essere prodotta la ricchezza, quale deve essere il ruolo dello Stato, e, non meno importante, come dovrebbe essere distribuita la ricchezza prodotta.

L’Unione Europea è l’emblema delle contraddizioni causate dall’avere assunto una filosofia economica di stampo neo-liberista, avendo escluso dal dibattito sia i cittadini, sia gli economisti “critici” che avevano individuato i problemi che si sarebbero generati.

“[…]Sebbene l’euro fosse un progetto politico, la coesione politica -specie attorno al concetto di delega dei poteri dai paesi sovrani all’UE – non è stata sufficiente a creare istituzioni economiche che avrebbero dato alla moneta unica una possibilità di successo.
Inoltre i fondatori dell’euro si sono ispirati a un sistema di idee e concetti sul funzionamento dell’economia che, sebbene in voga all’epoca, erano semplicemente sbagliati.
Credevano nei mercati, senza però conoscerne i limiti e ciò che occorre per farli funzionare. La fiducia incrollabile nei mercati viene talvolta definita fondamentalismo o neoliberismo.
[…] Sebbene quasi ovunque nel mondo il fondamentalismo di mercato sia caduto in discredito, specie all’indomani della crisi finanziaria del 2008, queste idee sopravvivono e continuano a trovare propugnatori in Germania, potenza dominante dell’eurozona. Immuni a qualsiasi prova contraria […] hanno assunto i contorni di un’ideologia. […]” 
(*)

Oggi il dibattito tra MES, Eurobond, Elicopter Money, è il sintomo di questa illusione. C’è chi vorrebbe proseguire sulla linea della rigidità dei parametri (austerità) per costringere i paesi su binari predefiniti che favoriscono la finanza internazionale e le speculazioni, piuttosto che i cittadini. Invece c’è chi sostiene che, in tempi di recessione, l’austerità aggrava la situazione, se non si permette allo Stato di spendere per stimolare l’economia.

Il caso dell’Italia è emblematico: da 25 anni il paese è in ‘avanzo primario’, ovvero spende meno (per i servizi, il welfare, gli stipendi, le pensioni, i contribuiti) di quanto incassa. E sappiamo quanta diminuzione nei servizi questo ha comportato: abbiamo sotto gli occhi gli effetti devastanti che l’ (e le privatizzazioni) hanno prodotto sul Sistema Sanitario Nazionale.

L’avanzo primario (Spese – Tasse) viene completamente assorbito dagli interessi passivi sul . Quindi tutti i “nostri” sacrifici vengono ingoiati dal sistema finanziario, anche se parte di questi interessi tornano nelle tasche di cittadini italiani che detengono titoli di stato.

Il punto è che lo Stato non può finanziare la spesa pubblica (perché le risorse sono assorbite dagli interessi, e non può stampare moneta perché privato della sovranità) per stimolare l’economia. Senza questo stimolo (bloccato dai principi dell’austerity) il  stenta, e i parametri Deficit/, e Debito/ sono insoddisfacenti perché il denominatore non aumenta.

Insomma un circolo vizioso creato dalle burocrazie europee che hanno sposato in toto la filosofia neoliberista che ripone fiducia cieca nel mercato e pretende libertà assoluta per i mercati finanziari. Gli accordi di Maastricht si preoccupano della stabilità dei prezzi, e dell’inflazione, come sufficienti per garantire il benessere.

Attenzione: quando parliamo di spesa dello Stato dobbiamo sicuramente fare altre riflessioni su quale tipo di spesa sia opportuno fare. In Italia siamo abituati a parlare di Debito Pubblico in termini quantitativi assoluti, mai in termini relativi alla “qualità” del debito, cioè a come impieghiamo realmente i soldi.
Le iniziative utili sono quelle che consentono l’effetto moltiplicatore della spesa: ogni euro che investo viene messo in circolazione e produce ricchezza passando per diverse mani.
Di certo questo non accade se la spesa diventa eccessiva e a beneficio di pochi (corruzione), o la moneta viene trattenuta da alcuni (con l’evasione fiscale), oppure buttando soldi in opere inutili o mal progettate (, MOSE).

Come uscirne? Ci sono difficoltà in merito. Primo perché occorre cambiare paradigmi di politica economica. Secondo perché l’informazione che arriva al pubblico è imbevuta delle teorie pro-euro. Terzo perché queste teorie, corrispondono a un progetto politico elitario di gruppi sociali che possiedono anche i mezzi di informazione.
Altro che gli spot sull’informazione seria, degli editori “seri” di cui infarciscono la Tv in questo periodo!

Nelle ultime 48 ore abbiamo avuto l’esempio di un dibattito economico più dedicato ad alimentare fazioni, e soddisfare le necessità elettorali, che a promuovere soluzioni concrete.
Il documento dell’ è piuttosto indicativo di un linguaggio politichese che rimanda le decisioni e cerca di accontentare tutti i membri.

E’ vero che l’Italia non ha firmato il MES, com’è stato inopportunamente dichiarato da alcuni esponenti politici. Però l’Italia non è riuscita a far escludere il MES come strumento di finanziarizzazione degli stati (perché lo vogliono Germania e Olanda).
Quindi non c’è nulla di deciso, ma non c’è nemmeno da festeggiare. Ciò che vorrebbe il nostro governo è previsto, così come lo è il MES, e sono strumenti insufficienti a cui si oppongono gli stessi che sono favoreli al MES.

Ciò di cui non si è ancora discusso, sarebbe l’ipotesi di immettere liquidità nel sistema in modo da non aggravare i debiti delle aziende, e dell’intero paese; dal momento che la crisi, e la conseguente recessione, avvengono in una condizione di eccezionalità. Il MES è uno strumento molto pericoloso, che consegnerebbe il paese in mano a un organismo che esautorerebbe le istituzioni italiane provocando ciò che è già accaduto in Grecia. Le soluzioni alternative ci sono. Ma i tempi sono stretti e l’impegno dei leader europei sembra essere molto più rivolto a regolare la propria situazione politica interna che essere consapevoli della drammaticità della situazione, e delle conseguenze.

Speriamo di cavarcela.

(D.A. 12.04.20)

(*) Joseph E. Stiglitz – economista e saggista premio Nobel per l’economia

FONTE:https://scenarieconomici.it/la-fragilita-delle-teorie-economiche-al-tempo-del-coronavirus-e-del-mes/

 

 

Conte e Monti hanno mentito. Ecco la verità sul MES

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma – 12 APRILE 2020

Stiamo al gioco. Nell’ultima conferenza-stampa il presidente del consiglio Giuseppe Conte, invece di occuparsi degli italiani chiusi in casa da più di un mese senza un centesimo di aiuto dallo Stato, ha pensato di scagliarsi contro le opposizioni. Solo in un regime autoritario il capo del governo utilizza la Tv pubblica, senza contraddittorio, per attaccare le opposizioni. Conte ha accusato Salvini e Meloni di appartenere ai partiti che facevano parte del governo che nel 2011 firmò il MES, il governo Berlusconi IV.
Bugiardo. Ma non è il solo. Venerdì anche Mario Monti rincara la dose sul “Corsera”.

Ecco la verità su quello che è accaduto in quegli anni.

Primo. È vero che il Meccanismo Europeo di Stabilità è una evoluzione del Fondo-Salva Stati del 2010, ma l’iter del trattato merita alcune precisazioni che Conte e Monti hanno dimenticato di raccontare. Il MES è frutto delle modifiche al Trattato di Lisbona (per precisione all’art. 136 del Tfue) approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo. Tra i voti contrari espressi dall’Europarlamento quelli della Lega (appartenente al gruppo parlamentare “Europa della libertà e della democrazia” – Efd). Matteo Salvini, all’epoca europarlamentare, non partecipò a quella votazione, ma il suo partito votò contro. Popolari, liberali e Socialdemocratici votarono a favore, per noi PdL e Pd. Due giorni dopo, il 25 marzo 2011, la decisione fu ratificata dal Consiglio europeo al quale il governo italiano partecipò con l’allora presidente del consiglio Berlusconi. Una scelta non facile quella di Berlusconi, infatti l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti era propenso all’introduzione degli “eurobond” (che non sono dunque un’invenzione di Conte). Addirittura Tremonti pose gli “eurobond” come condizione all’approvazione del MES, ma poi lo spread spazzò via il governo Berlusconi e degli eurobond non se ne fece più nulla.

Secondo aspetto. Il MES venne firmato in via definitiva il 2 febbraio 2012 dagli allora 17 Paesi dell’eurozona, quando al governo non c’era più Berlusconi ma proprio Mario Monti. La ratifica del trattato da parte del Parlamento italiano avvenne nel mese di luglio 2012 (al governo c’era sempre Mario Monti), col voto contrario della Lega. La Lega non votò né la fiducia al governo Monti né la ratifica del MES. Chi invece votò a favore della ratifica del MES, senza neanche una voce fuori dal coro, fu proprio quel Partito democratico che sostenne il governo Monti e che oggi sostiene l’esecutivo presieduto da Giuseppe Conte. Se dunque il presidente del Consiglio cerca i responsabili del MES, si guardi attorno: li troverà nel PD, partito che fa parte del suo governo e che esprime sia il ministro dell’economia che il commissario europeo agli affari economici.
Nello specifico: alla Camera dei deputati il PD espresse 168 voti a favore della ratifica del MES, nessuno contrario, zero astenuti e 34 assenti. Il PdL ebbe invece al suo interno parecchie voci critiche, infatti, pur trattandosi allora del gruppo parlamentare di maggioranza relativa, espresse soli 83 voti a favore, 2 contrari, 20 astenuti e 91 assenti. La Lega espresse 51 voti contrari, zero a favore, zero astenuti, 7 assenti. Situazione similare al Senato, dove la Lega votò compatta contro la ratifica, a differenza del PD che, anche a Palazzo Madama, votò a favore con tutta la sua pattuglia di senatori.

Terzo aspetto. La lettera della Bce del 5 agosto 2011 che il senatore Monti cita nel suo articolo rappresentò una indebita intromissione della banca centrale europea, allora presieduta ancora da Trichet, nel potere di autodeterminazione del governo italiano, che travolto dall’imbroglio dello spread cercò inutilmente di correre ai ripari. Per poco più di un punto percentuale di Iva un governo espressione della volontà popolare fu costretto a dimettersi per far posto proprio a Monti, che accettò l’incarico dopo essersi fatto nominare senatore a vita in quattro e quattr’otto, senza passare per la tradizionale istruttoria prevista in questi casi.

Ultimo aspetto. Il senatore Monti, sempre nel suo articolo, scrive che alcune posizioni critiche assunte dalle opposizioni “potrebbero mettere in difficoltà il premier Giuseppe Conte in vista del Consiglio europeo del 23 aprile”. Vorremmo ricordare al professore che siamo ancora in democrazia, e che principale compito delle opposizioni è proprio quello di sollevare critiche al governo per poterne migliorare l’azione. Suggerire alle opposizioni di non assumere posizioni critiche nei confronti del governo è tipico dei regimi autoritari. Ed è un regime autoritario quello che consente ad un presidente del consiglio di parlare alla nazione ogni tre giorni a reti unificate, attaccando con veemenza le opposizioni senza diritto di replica. Nessuna reazione, i media hanno subito dirottato l’attenzione sulla ” storia del mes”, di cui non frega niente a nessuno, e così è passato inosservato l’attacco alle regole democratiche.

Salvini ha telefonato a Mattarella ed ha fatto bene. Ma non basta. Le opposizioni dovrebbero ora chiedere ai vertici Rai una conferenza stampa congiunta (Salvini, Meloni e Tajani), da mandare in diretta televisiva alle 20;30, nella quale poter rispondere a Conte. Sarebbe il minimo.

Tornando all’articolo di Monti, forse il senatore a vita scrive perché vorrebbe essere richiamato alla guida del paese – non gli basta, si vede, il danno che il suo governo ha inferto al popolo italiano -, ma Conte sta svolgendo bene il ruolo di un “Monti bis”, il suo ormai è un governo di Monti senza Monti, il quale può pertanto limitarsi a scrivere editoriali privi di significato che un giornale serio non dovrebbe neppure prendere in considerazione. Il professore scrive che l’Italia di oggi non è la Grecia di allora, “che se fosse esplosa avrebbe mandato anche l’euro in frammenti“. A dire il vero stiamo ancora aspettando di vedere come la Grecia abbia rappresentato il più grande successo dell’euro.

FONTE:https://scenarieconomici.it/conte-e-monti-hanno-mentito-ecco-la-verita-sul-mes-di-p-becchi-e-g-palma/

 

 

 

IMMIGRAZIONI

ONG INVENTANO NAUFRAGIO MAI AVVENUTO IN COMBUTTA CON I MEDIA ITALIANI

13 APRILE 2020

“Nessun naufragio”. La Guardia costiera italiana, in una nota, smentisce l’ong Sea Watch e il radiotaxi degli scafisti Alarm Phone che avevano parlato del “naufragio di un gommone con migranti a bordo”.“Il mezzo ripreso da un velivolo Frontex e segnalato quale pericolo per la navigazione, era un gommone alla deriva, in area SAR libica, senza motore, verosimilmente oggetto, nei giorni scorsi, di un intervento di soccorso avvenuto da parte delle competenti autorità libiche”, spiega la Guardia costiera.

Le autorità libiche hanno poi lasciato il natante vuoto alla deriva, “traendo in salvo i migranti che si trovavano a bordo. Dalle immagini trasmesse non si rileva la presenza di corpi, relitti o oggetti galleggianti in mare, nelle vicinanze del gommone né nell’area circostante, che possano far pensare ad un recente naufragio”.

Insomma, per due giorni i media hanno veicolato una notizia falsa prendendo per oro colato le false informazioni delle ong. Compresa la Rai, la televisione di Stato che prende i soldi del Canone per spacciare notizie false.

Le Ong usano la disinformazione per dare visibilità al tema dell’immigrazione clandestina e riprendere il traffico in grande stile nonostante il coronavirus.

42 utenti ne stanno parlando
FONTE:https://voxnews.info/2020/04/13/ong-inventano-naufragio-mai-avvenuto-in-combutta-con-i-media-italiani/

 

 

 

I porti italiani “non sicuri”, ma gli sbarchi continuano

Il governo dichiara i porti italiani “non sicuri”, secondo quanto previsto da un decreto firmato lo scorso 8 aprile dai ministri dei Trasporti, Esteri, Interni e Salute e valido per l’intero periodo dell’emergenza da Covid-19, con l’obiettivo di evitare l’arrivo di navi di soccorso straniere con a bordo i migranti. Secondo il documento, i porti italiani “non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di ‘Place of safety’ (‘luogo sicuro’) in virtù di quanto previsto dalla convenzione di Amburgo sul salvataggio marittimo” per i soccorsi effettuati da navi con bandiera straniera al di fuori dell’area Sar Italiana.

 

Gli sbarchi continuano

Nonostante il nuovo decreto gli sbarchi però continuano, l’ultimo dei quali nella notte tra venerdì e sabato a Porto Empedocle, dove sono arrivati 73 immigrati, traghettati da due motovedette, una della Guardia di Finanza e l’altra della Guardia Costiera. Il gruppo era giunto con una propria imbarcazione davanti alle coste di Lampedusa, scatenando però l’ira degli abitanti che erano già scesi in piazza per protestare contro una serie di sbarchi avvenuti nei giorni scorsi, al punto che il sindaco, Salvatore Martello, li aveva incontrati per fornire spiegazioni. Tra le preoccupazioni dei lampedusani vi è anche il fatto che tre immigrati posti in quarantena all’interno della struttura di accoglienza erano usciti dall’hotspot raggiungendo via Roma. Insomma, cittadini in quarantena e “profughi” in giro per l’Isola, ennesimo episodio che rischia di alimentare quel sentimento dei “due pesi e due misure” già ampiamente condiviso tra gli italiani.

In poco più di 24 ore a Lampedusa sono arrivate ben 140 persone con una serie di sbarchi autonomi che hanno messo in crisi le strutture, in un momento delicatissimo in pena emergenza da Covid-19. La tensione è altissima e nelle ultime ore gli imprenditori lampedusani hanno scritto una lettera al governatore della regione Sicilia, Nello Musumeci, per chiedere di non far sbarcare sull’isola la nave Alan Kurdi, che da diversi giorni è in navigazione nel Mediterraneo con a bordo 150 immigrati, nell’attesa di farli scendere in qualche porto. Gli imprenditori hanno espresso le giuste preoccupazioni: “Non ci sono le condizioni e potrebbe essere una ecatombe per tutti noi se anche solo uno di loro fosse positivo al coronavirus…Nel centro di accoglienza ci sono già migranti in quarantena”, come già riportato da Il Giornale.

Intanto nell’hotspot di Pozzallo un cittadino egiziano di 15 anni, approdato lo scorso 6 aprile a Lampedusa con un’imbarcazione autonoma, è risultato positivo al Covid-19 e sintomatico (temperatura di 38 gradi); la Procura di Ragusa ha aperto un fascicolo contro ignoti per rifiuto e omissione di atti di ufficio e per delitto colposo contro la salute pubblica. Il procuratore Fabio D’Anna vuole verificare se ci sono state negligenze o responsabilità nel trasferimento del giovane migrante da Porto Empedocle a Pozzallo. A questo punto c’è solo da sperare che l’egiziano non abbia contagiato altre persone, con un rischio di diffusione del Virus che metterebbe in crisi una situazione già estremamente complicata.

Come se non bastasse, nella mattinata di sabato veniva riaperto il centro di accoglienza strutturato all’interno dell’ex hotel Villa Sikania di Siculiana, piccolo comune in provincia di Agrigento. La struttura, già finita al centro di numerose polemiche, era stata chiusa lo scorso ottobre ma, con una mossa improvvisa e tra l’altro non comunicata al sindaco se non a fatto compiuto, la struttura è stata riaperta per poter ospitare 70 immigrati.

Un episodio che ha mandato su tutte le furie il sindaco Leonardo Lauricella: “Non ci è stata data una preventiva comunicazione, ma una chiamata dell’ultimo minuto in cui mi si annunciava il tutto ad operazione conclusa. Dalla Prefettura hanno ritenuto opportuno avvisarmi nel momento in cui le operazioni di trasferimento nella nostra città sono state concluse. Nessuna comunicazione preventiva, nemmeno dal gestore della struttura e nemmeno da altre Autorità…Ritengo questo gesto poco corretto nei confronti dell’intera comunità di Siculiana. Perché avvisarmi solo dopo? Perché nascondere questa decisione? Non ci si comporta così in un Paese democratico”, come riportato da Il Giornale.  Il sindaco Lauricella ha inoltre reso noto di essere pronto a alle vie legali pur di mantenere chiusa la struttura, come già stabilito a ottobre del 2019.

Come se non bastasse, in queste ore Mediterranea Saving Humans ha annunciato su Facebook che “la nave di soccorso Aita Mari, dopo essere partita poche ore fa da Siracusa verso la Spagna, senza equipaggio medico e di soccorso, è stata informata di una barca alla deriva con 47 persone a bordo e ha deviato la rotta per le ricerche”.

La “bomba” Africa”

Venerdì 10 aprile, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha reso noto in conferenza stampa che nonostante il rallentamento del Virus in paesi come Italia, Spagna, Francia e Germania, i numeri sono invece diventati preoccupanti in Africa, con una diffusione del Covid nelle aree rurali e con focolai registrati in più di 16 Paesi.

A inizio aprile, dati ufficiali del Centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie indicavano inoltre 10.075 casi in ben 52 Paesi; a questi vanno però ad aggiungersi i casi non manifesti o non rilevati. Del resto nemmeno in Italia si può fornire una stima precisa e c’è chi addirittura ha ipotizzato che i casi positivi potrebbero essere fino a dieci volte le cifre registrate.

Il Direttore della Oms fa bene a dirsi preoccupato, considerato che i Paesi africani non sono soltanto privi dei necessari mezzi di rilevazione dei dati, delle adeguate strutture sanitarie per isolare e trattare i malati, ma non sono neanche in grado di implementare le adeguate misure di contenimento del Covid-19 (limitazione degli spostamenti, quarantene, sorveglianza). Se a ciò si vanno ad aggiungere i continui e sistematici flussi legati al traffico di esseri umani verso le coste della Libia, si rischia di dar vita un fenomeno devastante con l’arrivo di barconi carichi di persone potenzialmente infette da Covid-19, in un momento in cui l’Italia (e l’Europa intera) è in piena emergenza.

Le strutture siciliane, già in crisi in tempi di normalità, non sono certo in grado di gestire il fenomeno degli sbarchi allo stato attuale.Tutte le risorse, pubbliche e private, dovrebbero infatti essere concentrate sulla crisi da Covid-19; non avrebbe del resto alcun senso chiudere in confini, limitare gli spostamenti dei cittadini per poi far entrare i flussi di irregolari via mare e spostarli da una struttura all’altra, mettendo così a serio rischio la salute della cittadinanza.

Allo stato attuale, nonostante i quasi 20 mila morti causati in Italia dall’epidemia da Covid-19 e a prescindere dalle rigidissime misure messe in atto per contrastare la pandemia, l’Esecutivo non sembra in grado di gestire il problema dell’immigrazione clandestina proveniente dall’Africa e il fenomeno non può che peggiorare con l’arrivo della bella stagione. La chiusura dei porti è doverosa e va fatta rispettare con i necessari mezzi, incluso un eventuale blocco navale, se ne va della salute pubblica.

FONTE:https://it.insideover.com/migrazioni/i-porti-italiani-non-sicuri-ma-gli-sbarchi-continuano.html

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Golpisti all’ombra del coronavirus

Mentre le popolazioni hanno gli occhi puntati sui dati della progressione del contagio da coronavirus, nei governi è in atto un profondo riassetto, che consente ai gestori della salute pubblica di prendere il sopravvento sui politici. Dietro le quinte, banchieri e militari si agitano sperando d’accaparrarsi il potere e d’usarlo a proprio vantaggio.

 | DAMASCO (SIRIA) 
JPEG - 31.4 KbIl 1° febbraio il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Mark Esper, ha dato istruzioni al generale Terrence J. O’Shaughnessy di tenersi pronto. Il 13 febbraio, davanti alla Commissione Senatoriale per le Forze Armate, il generale ha dichiarato di prepararsi allo scenario peggiore. In caso di catastrofe sanitaria, il piano di “continuità del governo” farebbe di O’Shaughnessy il dittatore (nel senso antico del termine) degli Stati Uniti.

Il primato della logica amministrativa sulla logica politica

Numerosi governi di Paesi industrializzati hanno deciso di rispondere all’epidemia di COVID-19 mettendo in isolamento la popolazione. Questa strategia non si fonda sulla medicina, che mai ha confinato le persone sane, bensì sulla necessità di gestire al meglio gli strumenti sanitari, per prevenire l’ingorgo degli ospedali provocato dal riversamento in massa dei malati. Pochi sono i Paesi industrializzati che, come la Svezia, hanno rifiutato un approccio amministrativo dell’epidemia, optando invece per una scelta di carattere medico, che non impone un isolamento generalizzato.

Quindi, la prima lezione da trarre è che nei Paesi sviluppati la logica amministrativa prevale sull’esperienza medica.

Pur privo di competenza specifica, non dubito che, per contrastare una malattia, millenni di tradizione medica possano essere più efficaci degli accorgimenti burocratici. Del resto, se osserviamo i dati, constatiamo che la Svezia al momento registra dieci morti ogni milione di abitanti; l’Italia ne piange invece 166. Naturalmente siamo solo all’inizio dell’epidemia e Italia e Svezia sono Paesi tra loro molto diversi. È però probabile che l’Italia dovrà fronteggiare una seconda e poi una terza ondata di contaminazione, mentre la Svezia, avendo raggiunto l’immunità di gregge, ne sarà protetta.

La preminenza dei gestori della Sanità sugli eletti del popolo

Stabilito questo, l’isolamento generalizzato delle persone sane nuoce non solo all’economia, ma anche alle modalità di governo. Un po’ ovunque vediamo la parola dei politici farsi da parte e lasciare posto a quella degli alti funzionari della Sanità, ritenuti più autorevoli. Ed è logico, giacché la misura dell’isolamento è un provvedimento puramente amministrativo. Abbiamo collettivamente accettato di batterci per gli ospedali e di metterci al riparo dalla malattia, invece di combatterla.

È però sotto gli occhi di tutti che, al di là di quanto ci viene mostrato, non abbiamo migliorato in efficacia. Per esempio, gli Stati dell’Unione Europea non sono in grado di fornire con tempestività equipaggiamenti sanitari e medicine. La colpa è delle regole ordinarie. Un esempio: la globalizzazione economica ha fatto sì che ci sia un solo produttore di respiratori artificiali e che sia cinese. Le procedure ordinarie degli appalti richiedono diversi mesi prima di vederne gli esiti e i politici non sono più lì per scavalcare le procedure. Soltanto gli Stati Uniti sono stati in grado di risolvere immediatamente il problema, grazie alla requisizione d’imprese.

La Francia, che durante la seconda guerra mondiale ha vissuto con Philippe Pétain una dittatura amministrativa denominata Stato Francese, ha già vissuto tre decenni di occupazione del potere politico da parte di alti funzionari. Si è così parlato di ENArchia [monopolio delle alte funzioni pubbliche da parte degli enarchi, i diplomati dell’École Nationale d’Administration, Scuola Nazionale di Amministrazione, con sede a Strasburgo, ndt]. Un sistema che, come accaduto con Pétain, pur senza esserne consapevole, ha privato i politici della conoscenza dei meandri dell’amministrazione, che consentiva loro la somma di mandati locali e nazionali. Ora gli eletti sono meno ben informati degli alti funzionari e li controllano con grande difficoltà.

Così come gli alti funzionari della Sanità si trovano all’improvviso investiti di un’autorità che normalmente non compete loro, anche i banchieri e i militari aspirano ad analogo avanzamento a spese dei politici.

I banchieri rintanati nell’ombra

L’ex cancelliere dello scacchiere (ministro delle Finanze) e in seguito primo ministro britannico, Gordon Brown, ha pubblicato una libera tribuna sul Financial Times [1] ove auspica che la paura del COVID-19 possa servire a realizzare quanto non si è riusciti a fare con la crisi finanziaria del 2008. All’epoca, Brown non riuscì a ottenere l’istituzione di un governo finanziario mondiale e dovette accontentarsi di una semplice concertazione con il G20. Secondo Brown, oggi si potrebbe cogliere l’opportunità di creare un governo della Salute Mondiale e pensare a quali potenze dovrebbero essere associate ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

Non c’è ragione alcuna di ritenere che un governo mondiale sarebbe più efficace dei governi nazionali. Una cosa però è certa: sfuggirebbe a qualunque forma di controllo democratico.

Questo progetto non ha maggiori possibilità di successo del governo finanziario mondiale. Del resto, Gordon Brown era anche un accanito sostenitore della permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. E anche in quest’occasione ha perso.

Lo Stato profondo rintanato nell’ombra

Il 30 gennaio 2020 l’OMS ha dichiarato lo «stato d’emergenza della sanità pubblica di portata internazionale». Il giorno successivo, il segretario alla Difesa, Mark Esper, ha firmato in segreto un Warning Order (messa in stato d’allerta) con cui si stabilisce che il NorthCom deve prepararsi a un’eventuale applicazione delle nuove regole di “continuità di governo”.

Queste regole sono classificate Above-Top Secret, ossia vengono comunicate esclusivamente a chi ha il massimo livello di abilitazione e dispone di un accesso nominativo speciale (Special Access Program).

Ricordiamo che il principio di “continuità del governo” è stato elaborato agli inizi della guerra fredda allo scopo di proteggere gli Stati Uniti in caso di guerra nucleare con l’Unione Sovietica e di morte o impedimento del presidente, del vicepresidente e del presidente della Camera dei Rappresentanti. Secondo una direttiva scritta del presidente Dwight Eisenhower, in tal caso, un governo militare avrebbe dovuto subentrare per assicurare immediatamente la continuità del comando, per l’intera durata della guerra, e comunque fino al ristabilimento delle procedure democratiche [2].

Il governo sostitutivo è stato richiesto una sola volta: l’11 settembre 2001 dal coordinatore nazionale per la lotta al terrorismo, Richard Clarke [3]. Ma, sebbene il Paese stesse subendo un tremendo attacco, né il presidente né il vicepresidente né il presidente della Camera dei Rappresentanti erano morti o incapaci, il che m’indusse a ritenere si trattasse di un colpo di Stato. In ogni caso, il presidente George Bush Jr. è rientrato nelle sue piene funzioni la sera stessa, ma non è mai stato spiegato quanto sia accaduto nelle dieci ore di sospensione dell’autorità presidenziale [4].

In un articolo pubblicato su Newsweek [5] il migliore specialista del Pentagono, William Arkin, afferma che oggi esistono sette piani distinti:
- Rescue & Evacuation of the Occupants of the Executive Mansion (RESEM) per la protezione del presidente, del vicepresidente e delle loro famiglie.
- Joint Emergency Evacuation Plan (JEEP) per la protezione del segretario alla Difesa e dei principali capi militari.
- Atlas Plan per la protezione di membri del Congresso e della Corte Suprema.
- Octagon, di cui non si sa nulla.
- Freejack, parimenti sconosciuto.
- Zodiac, di cui s’ignora il contenuto.
- Granite Shadow, che prevede il dispiegamento di unità speciali a Washington, nonché stabilisce le condizioni per l’utilizzo della forza e per il trasferimento degli spazi sotto l’autorità militare [6].

Sia chiaro che il RESEM ha lo scopo di proteggere il presidente e il vicepresidente, ma può essere messo in atto solo dopo la loro morte o in caso di loro impedimento.

Comunque sia, la messa in atto di questi sette piani spetterebbe al Comando militare degli Stati Uniti per l’America del Nord (NorthCom), sotto la responsabilità di un illustre sconosciuto, il generale Terrence J. O’Shaughnessy.

È bene ricordate che, secondo il diritto statunitense, O’Shaughnessy diventerebbe il dittatore degli Stati Uniti solo in caso di morte o impedimento delle tre principali cariche elettive dello Stato federale, ma che invece il suo predecessore, generale Ralph Eberhart, ha esercitato questi poteri straordinari senza che ne ricorressero le condizioni. Oggi Eberhart dirige, a 73 anni, le principali società di avionica militare USA.

Il 13 febbraio il generale O’Shaughnessy ha affermato davanti alla Commissione senatoriale delle Forze Armate che il NorthCom si sta preparando al peggio ed è in collegamento quotidiano con gli altri dieci comandi centrali degli Stati Uniti, che hanno in carico altrettante regioni del pianeta [7].

Il NorthCom ha potere non soltanto sugli Stati Uniti, ma anche su Canada, Messico e Bahamas, e, in virtù di accordi internazionali, può, di propria iniziativa, dispiegare truppe USA in questi tre Stati.

Nel 2016 il presidente Barack Obama firmò la segretissima Direttiva Politica Presidenziale n. 40 (Presidential Policy Directive 40) sulla «Politica di continuità nazionale» (National Continuity Policy). L’amministratore dell’Agenzia per la Gestione delle Emergenze (FEMA), Craig Fugate, due giorni prima che Donald Trump assumesse le funzioni di presidente firmò la Direttiva di Continuità Federale n. 1 (Federal Continuity Directive 1) che ne precisa alcune modalità di funzionamento a livello inferiore.

Hanno pensato a tutto e sono pronti al peggio. L’epidemia è la scusa per passare ai fatti. All’improvviso, gli interrogativi del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, su una possibile disseminazione deliberata del virus da parte delle forze armate USA assumono pieno significato.

NOTE

[1] “End the dog-eat-dog mentality to tackle the crisis”, Gordon Brown, Financial Times (UK), Voltaire Network, March 26, 2020.

[2Continuity of Government: Current Federal Arrangements and the Future, Harold C. Relyea, Congresionnal Research Service, August 5, 2005.

[3Against All Enemies: Inside America’s War on Terror, Richard Clarke, Free Press (2004).

[4A Pretext for War: 9/11, Iraq, and the Abuse of America’s Intelligence Agencies, James Bamfort, Anchor Books (2005).

[5] “Exclusive: Inside The Military’s Top Secret Plans If Coronavirus Cripples the Government”, William M. Arkin, Newsweek, March 18, 2020.

[6] “Top Secret Pentagon Operation “Granite Shadow” revealed. Today in DC: Commandos in the Streets?”, William Arkin, Washington Post, September 25, 2005.

[7Hearing to receive testimony on United States Northern Command and United States Strategic Command in review of the Defense Authorization Request for fiscal year 2021 and the future years Defense Program, Senate Committe on Armed Service, February 13, 2020.

FONTE:https://www.voltairenet.org/article209574.html

 

 

POLITICA

Fenomenologia di Giu’ Conte

Marcello Veneziani – Panorama n.41 (2019)

Giuseppe Conte non è. Non è un leader, non è un eletto, non è un politico, non è un tecnico, non è nulla. È il Nulla fatto premier. E lo conferma ogni giorno adattandosi come acqua corrente alle superfici che incontra. È la plastica rappresentazione che la Politica, dopo lo Scarso, lo Storto, il Pessimo, ha raggiunto lo Zero, la rappresentazione compiuta del Vuoto.

Luogotenente del Niente, Conte è oggi il fenomeno più avanzato della politica dopo i partiti, i movimenti, le ideologie, la politica e l’antipolitica, i tecnici e i populisti, le élite e le plebi. È la svolta avvocatizia della politica che pure è da sempre popolata di avvocati: ma Conte non scende in politica, assume solo da avvocato l’incarico di difendere una causa per ragioni professionali; ma i clienti cambiano e così le cause. Andrebbe studiato nelle università del mondo perché segna un nuovo stadio, anonimo e postumo della politica. Non si può esprimere consenso né dissenso nei suoi confronti perché non c’è un argomento su cui dividersi; lui segna la fine del discorso politico, la fine della decisione, la fine di ogni idea, di ogni fatto. È la somma di tante parole usate nel gergo istituzionale, captate e assemblate in un costrutto artificiale. È lo stadio frattale del moroteismo, il suo dissolversi. Ogni suo discorso è un preambolo a ciò che non accadrà, il suo eloquio è uno starnuto mancato, di cui si avverte lo sforzo fonico e il birignao istituzionale ma non il significato reale. Altri semmai decideranno, lui si limita al preannuncio.

Ogni volta che un tg apre su di lui, non c’è la notizia, è solo una presenza che denota un’assenza; si spalanca una finestra nel vuoto. I fatti separati dalle opinioni, si diceva; lui è nello spazio intermedio dove non ci sono i fatti e non ci sono le opinioni. Dopo che Conte avrà parlato lascerà solo una scia di silenzi e di buchi nell’acqua. Non darà risposte, sceneggerà un ruolo e dirà lo Zero virgola zero. Nelle sue citazioni saccenti vanifica l’autore citato, lo rende vuoto e banale come lui. Conte non rientra in nessuna categoria conosciuta, eppure abbiamo avuto una variegata fauna di politici al potere. Lui non è di parte, eccetto la sua, è piovuto dal cielo in una sera senza pioggia.

Conte è portatore sano di politica e di governo, perché lui ne è esente. È contenitore sterile di ogni contenuto. Non ha una sua idea; quel che dice è frutto del luogo, dell’ora e delle persone che ha di fronte. Parla la Circostanza al suo posto, la Circumstancia, per dirla con Ortega y Gasset; Conte è la somma dell’habitat in cui è immesso, traduce il fruscio ambientale in discorso.

Figurante ma senza neanche figurare in un ruolo, è l’ologramma di una figura inesistente, disegnato in piattaforma come un gagà meridionale degli anni 50. Un po’ come Mark Caltagirone, il fidanzato irreale di Pamela Prati; è solo una supposizione. Trasformista, a questo punto, sarebbe già un elogio, comunque un passo avanti, perché indicherebbe un passaggio da uno stadio a un altro. Conte, invece, è solo la membrana liquida che di volta in volta riveste la situazione, producendo un molesto acufema in forma di eloquio. Conte cambia voltura a ogni utente e rispetto a ogni gestore (non fu un caso nascere a Volturara).

Conte è fuoco fatuo, rappresentazione allegorica del niente assoluto in politica, ma a norma di legge. Quando apparve per la prima volta dissero che aveva alterato il curriculum e in alcune università da lui citate non era mai stato, non lo conoscevano; ma Conte è un personaggio virtuale, il curriculum può allungarsi, allargarsi, restringersi secondo i desiderata occasionali.

Conte non ha una storia, non ha eredità e provenienze, non ha fatto nessuna scalata. È stato direttamente chiamato al Massimo Grado col Minimo Sforzo, anzi senza aver fatto assolutamente nulla. Una specie di gratta e vinci senza comprare nemmeno il biglietto, anzi senza aver nemmeno grattato. Da zero a Palazzo Chigi. Come Gregor Samsa una mattina si svegliò scarafaggio, lui una mattina si svegliò premier. Un postkafkiano.

Conte è di momento in momento di centro di destra di sinistra cattolico laico progressista, medieval-reazionario con Padre Pio, democratico-global con Bergoglio, fido del sovranista Trump e al servizio degli antisovranisti eurolocali; è genere neutro, trasparente, assume i colori di chi sta dietro. Un passe-partout. Il Conte Zelig, come lo battezzammo agli esordi, ha assunto di volta in volta le fattezze gradite a tutti i suoi interlocutori: merkeliano con la Merkel, junckeriano con Juncker, trumpiano con Trump, macroniano con Macron, chiunque incontra lui diventa quello; è lo specchio di chi incontra. In questa sua capacità s’insinua e manovra.

Conte non dice niente ma con una faticosa tonalità che sembra nascere da uno sforzo titanico, la sua parlata cavernosa e adenoidea è una modalità atonica, priva di pensieri o emozioni, pura espressione vanesia di un dire senza dire, il gergo della premieralità. Il suo vaniloquio è simulazione di governo, promessa continua di intenti, rinvio sistematico di azioni; è un riporto asintomatico di pensieri, la somma di più uno e meno uno. Indica con fermezza che si adatta a tutto e non comunica niente.

Dopo Conte non c’è più la politica; c’è la segreteria telefonica, il navigatore di bordo, la cellula fotoelettrica. Il drone. Conte però ha una funzione, e non è solo quella di cerniera lampo tra sinistra e M5S, punto di sutura tra establishment e grillini. È la spia che la politica non c’è più, nemmeno nella versione degradata più recente. Lui è oltre, è senza, è il sordo rumore del nulla versato nel niente.

FONTE:http://www.marcelloveneziani.com/articoli/fenomenologia-di-giu-conte/

 

 

 

Conte rivendica il diritto di attaccare l’opposizione a reti unificate

Palazzo Chigi sugli attacchi a Salvini e Meloni: giusto smentire le fake news sul Mes per “senso di comunità”

Palazzo Chigi rivendica il diritto di attaccare l’opposizione nel corso di una conferenza stampa su un decreto che influenza la vita di oltre sessanta milioni di italiani e per questo trasmessa in diretta dai più importanti canali tv. Lo si evince da una lunga nota dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi che rivendica tra l’altro la facoltà del premier Giuseppe Conte di smentire quelle che definisce “vere e proprie fake news” per l’urgenza di difendere, così si legge nel comunicato, il “senso di comunità”. E attacca anche testate e giornalisti che hanno osato esprimere “la singolare opinione” che non si attaccano gli avversari politici durante una comunicazione istituzionale. Il riferimento, naturalmente, è agli attacchi a Giorgia Meloni e Matteo Salvini durante la diretta del 10 aprile, quella del prolungamento del lockdown per il coronavirus, e le critiche per lo sfogo del premier fuori luogo in un contesto istituzionale come sottolineato, tra gli altri, dal nostro giornale e dal direttore del Tg di La7 Enrico Mentana.

Per approfondire leggi anche: Pasticcio Mes, il premier Conte a reti unificate contro l’opposizione

Così scrive l’ufficio stampa di Palazzo Chigi: “Alla luce del dibattito che sistematicamente si crea intorno alle conferenze stampa del Presidente del Consiglio, riteniamo doveroso fare alcune precisazioni:

1. Non c’è stata alcuna Conferenza Stampa a reti unificate. Palazzo Chigi non ha mai chiesto che la conferenza stampa venisse trasmessa a reti unificate; e infatti è stata trasmessa solo da alcuni canali tv e solo per una parte e non interamente.

2. tutti gli interventi del Presidente del Consiglio si sono sempre svolti secondo le consuete modalità e, in particolare, nella forma di conferenze stampa, salvo qualche rara eccezione.

Sin dall’inizio del primo mandato del Presidente Conte, dal giugno 2018, Palazzo Chigi trasmette il segnale audio video in Hd mettendolo a disposizione di tutti e di tutte le reti televisive, le quali liberamente decidono se e cosa mandare in onda sui propri canali. Lo stesso è avvenuto in occasione delle dichiarazioni alla stampa di sabato 21 marzo (per le quali alcuni hanno parlato, del tutto impropriamente, di ‘diretta facebook‘) e della conferenza stampa di venerdì 10 aprile (per la quale alcuni, anche qui del tutto impropriamente, hanno parlato di “discorso alla nazione a reti unificate”)”.

Poi si arriva alla serata incriminata. “In particolare il 10 aprile il Presidente del Consiglio ha tenuto una conferenza stampa, come tante altre volte avvenuto in queste settimane. E come ogni volta ha illustrato i provvedimenti adottati, ha spiegato e chiarito i fatti più rilevanti e ha risposto a tutte le domande dei giornalisti, tanto sull’emergenza coronavirus quanto sul Mes. Nell’occasione ha smentito vere e proprie fake news che rischiavano di alimentare divisioni nel Paese e di danneggiarlo, compromettendo il “senso di comunità”, fondamentale soprattutto in questa fase di emergenza. In conclusione, anche questa volta non c’è stata richiesta, da parte della Presidenza del Consiglio, di trasmettere un discorso alla nazione a reti unificate”, si legge nella nota.

“La decisione di trasmettere o meno le conferenze stampa del Presidente del Consiglio spetterà – come è sempre stato – sempre e solo ai responsabili delle singole testate giornalistiche. Questi ultimi sono anche liberi di sostenere la singolare opinione secondo cui il Presidente del Consiglio non dovrebbe smentire fake news e calunnie nel corso di una conferenza stampa rivolta al Paese, nè dovrebbe parlare di un tema rilevante e di interesse generale come il Mes. Facciamo notare, infine, che Conte non avrebbe potuto evitare di affrontare il tema del Mes e chiarire le relative fakenews veicolate dell’opposizione, visto che questo tema è poi stato oggetto delle domande poste dai giornalisti. A conferma del fatto che si tratta di argomento di interesse generale”, scrive l’ufficio stampa del capo del governo. Omettendo il fatto che la trasmissione a reti pressoché unificate era dettata dall’urgenza delle misure necessarie per l’uscita dall’emergenza del Coronavirus, non da personali esigenze politiche.

FONTE:https://www.iltempo.it/politica/2020/04/13/news/giuseppe-conte-fake-news-diretta-tv-matteo-salvini-giorgia-meloni-palazzo-chigi-reti-unificate-mes-1313878/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Ecco perché la protezione dati è fondamentale anche in tempi di emergenza

Gran parte del clamore mediatico ha riguardato i diritti relativi alle libertà individuali, ma superata l’emergenza è prospettabile un ritorno alla normalità

Gran parte del clamore mediatico ha riguardato inizialmente i diritti relativi alle libertà individuali in riferimento alle restrizioni agli spostamenti, ma superato lo stato di emergenza è prospettabile un graduale ritorno ad una situazione di normalità. Ciò che invece solleva non poche criticità è stata in seguito l’invocata sospensione del diritto alla privacy, intesa come l’auspicio di una disapplicazione diffusa delle norme a tutela della protezione dei dati personali. Senza soffermarsi sul fatto che lo stesso GDPR prevede pur nella sua applicazione un bilanciamento continuo e il contemperamento con altri diritti fondamentali, occorre comprendere il motivo per cui un’eventuale scelta di sospendere la normativa in materia di protezione dei dati personali tout-court è un pericolo per il presente e anche per il periodo successivo alla conclusione dello stato di emergenza.

La protezione dei dati personali, è noto, riguarda due aspetti principali: qualità del dato e sicurezza delle attività di trattamento svolte, fra cui rientrano ad esempio le fasi di raccolta, elaborazione e conservazione.

L’aspetto della qualità rappresenta una tutela per l’interessato ma è anche strumentale ad una piena fruibilità dei dati per i soggetti che svolgono operazioni sui dati. Deve essere garantita, ad esempio, l’esattezza e tale parametro è imprescindibile per ogni attività svolta soprattutto nel contesto emergenziale sanitario per cui è assolutamente prioritario avere garanzie e certezze sulla genuinità e aggiornamento di un dato. In tal senso, accettare un rischio di non genuinità del dato comporta conseguenze gravi ed irreparabili sia nella gestione dei pazienti che delle misure di prevenzione e contrasto dell’epidemia.

L’aspetto della sicurezza è altrettanto fondamentale. I rischi per le informazioni personali sono riconducibili, infatti, agli eventi perdita di confidenzialità, integrità e disponibilità dei dati e ai derivanti impatti sui diritti e libertà fondamentali delle persone fisiche.

Nel caso in cui ad un dato non sia garantita un’adeguata protezione e sono realizzati accessi illeciti o abusivi, ne conseguono perdite di riservatezza che gravano in primo luogo sull’interessato ma che potenzialmente possono compromettere anche i sistemi dell’organizzazione. Non è infrequente, infatti, che un database di contatti possa essere riutilizzato non soltanto per campagne di phishing nei confronti dei singoli utenti ma anche per coordinare un attacco massivo “di ritorno” nei confronti dell’organizzazione (ad esempio di tipo ransomware o DDoS).

Qualora invece non sia tutelata l’integrità, il dato non è in grado di offrire garanzie di genuinità e le conseguenze prospettabili, nell’ambito dell’emergenza da COVID-19, possono spaziare per vari scenari tutti con esiti di rilevante impatto sia per le persone che per il sistema sanitario e la società. Basti pensare infatti ad un errore di emotrasfusione per errata indicazione del gruppo sanguigno, o all’errata indicazione di positività per un cittadino non infetto o, al contrario, all’errata indicazione di immunità per un paziente portatore sano.

Considerando invece la perdita di disponibilità del dato si va incontro a scenari altrettanto catastrofici soprattutto se si considera l’ambito sanitario. Se non è più utilizzabile il dato, infatti, la somministrazione di diagnosi, cure e il monitoraggio diventa impossibile. Inoltre, recuperare un dato perduto è un’attività che consuma tempo con le operazioni di ripristino o riacquisizione. Tempo che, operativamente, viene sottratto all’erogazione di servizi di urgente e primaria necessità.

Concludendo: siamo davvero sicuri che si possa ancora affermare di poter prescindere tout-court dalle più basilari “regole del gioco” della protezione dei dati personali? Sembra che il trade-off non profili orizzonti particolarmente confortanti.

FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/12/news/riservatezza-dei-dati/ecco-perche-la-protezione-dati-e-fondamentale-anche-in-tempi-di-emergenza/

 

 

 

ALTRI TASSELLI PER COMPORRE IL QUADRO: IL RUOLO DEL 5G, OVVERO QUANDO I BIG DATA INCONTRANO IL BIG BROTHER
(Marco Crisciotti, in merito a quello che non sono riuscito a finire di dirti l’altro giorno per telefono).
Tutti i progetti che sono stati messi in cantiere negli anni scorsi hanno subito un’accelerazione vertiginosa, segno che si stava attendendo soltanto un opportuno detonatore.
In sostanza il coronavirus ha fatto da scintilla per dare fuoco alle fascine della rivoluzione economica e sociale del futuro.
Come volevasi dimostrare in mezzo al fumo delle boiate da “terrapiattisti” sul 5G, c’era dell’ottimo arrosto in cottura.
Visto in quest’ottica, il pezzo che ho scritto la volta scorsa intitolato la “VACCINAZIONE DELLE COSCIENZE”, acquisisce valenza ancora maggiore, soprattutto nella chiosa finale.
Conte ha nominato a capo della task force per la cosiddetta FASE 2 Vittorio Colao (a mio parere l’ennesima quinta colonna che opererà per conto dei nostri padroni anglofoni).
Di seguito il ritratto che Repubblica fa dell’ex numero uno di Vodafone:
“Il candidato a numero uno della task-force per la ricostruzione post-coronavirus ha guidato per 10 anni (dopo esperienze in Omnitel e Rcs) il colosso inglese, trasformandolo da gruppo tlc in una realtà integrata con il mondo digitale e i media”.
Per facilitare la correlazione dei puntini, aggiungo un estratto tratto dal testo dell’Audizione di Vodafone Italia S.p.A presso la Camera dei Deputati, IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni – 8 aprile 2020, ore 14:45 (Le date sono importanti).
[…] UNA RETE FORTE ADESSO E IN FUTURO.
In conclusione, credo che sia importante incastonare questo periodo in una prospettiva che vada al di là dell’emergenza e che offra anche una opportunità per il futuro.
A mio parere bisogna ragionare lungo tre diversi assi: la progressività della ripartenza, il ruolo della tecnologia per aiutare a compensare il distanziamento sociale, e la ridefinizione dei comportamenti sociali.
In queste tre direttrici le reti di telecomunicazione avranno un ruolo sempre più rilevante. Credo che questa fase sia e sarà anche una grande accelerazione alla digitalizzazione del Paese e che porterà a cambiamenti duraturi nei meccanismi di funzionamento della nostra e di tutte le aziende.
Serviranno molti investimenti, non solo in infrastrutture, in software e architetture digitali. Ci sarà una grandissima spinta a rendere i sistemi sanitari più flessibili, digitali e in grado di operare da remoto con benefici evidenti. Dalla sanità alla filiera logistica, ai servizi, alla produzione. Il 5G renderà molte di queste cose possibili e tutto l’ecosistema potrà beneficiarne.
Grazie alla collaborazione tra il Gruppo Vodafone e università e centri di ricerca, siamo riusciti a sviluppare in poche settimane una app basata sulle tecnologie GPS e Bluetooth, finalizzata al tracciamento di soggetti potenzialmente entrati in contatto con il virus.
Servirà inoltre una nuova governance pubblica e la definizione di principi condivisi che regolino l’applicazione di queste nuove tecnologie. Riteniamo che queste tecnologie debbano basarsi su quattro principi condivisi: 1) devono essere controllate dalle autorità 2) i dati devono essere limitati alle informazioni strettamente necessarie, trattati solo per la durata dell’emergenza e residenti sui device; 3) devono basarsi sul consenso esplicito da parte degli utilizzatori; 4) devono essere le istituzioni nazionali a giustificarne l’esigenza ai cittadini e a confermarne la compatibilità con l’ordinamento vigente. Abbiamo una grande opportunità di costruire una società più digitale e quindi più resiliente.
Grazie.
Concludo la requisitoria allegando un post di qualche mese fa, che spiega a cosa possa servire REALMENTE la tecnologia 5G.
L’uso militare nascosto della tecnologia 5G
di Manlio Dinucci
L’operazione organizzata dai “Cinque Occhi” contro Huawei mira esclusivamente ad assicurarsi che in Occidente la tecnologia 5G non sia controllata da una società cinese. Come attesta un rapporto del Pentagono, questa tecnologia civile ha infatti innanzitutto un utilizzo militare.
Al Summit di Londra i 29 paesi della Nato si sono impegnati a «garantire la sicurezza delle nostre comunicazioni, incluso il 5G». Perché questa tecnologia di quinta generazione della trasmissione mobile di dati è così importante per la Nato? Mentre le tecnologie precedenti erano finalizzate a realizzare smartphone sempre più avanzati, il 5G è concepito non solo per migliorare le loro prestazioni, ma principalmente per collegare sistemi digitali che hanno bisogno di enormi quantità di dati per funzionare in modo automatico. Le più importanti applicazioni del 5G saranno realizzate non in campo civile ma in campo militare. Quali siano le possibilità offerte da questa nuova tecnologia lo spiega il rapporto Defense Applications of 5G Network Technology, pubblicato dal Defense Science Board, comitato federale che fornisce consulenza scientifica al Pentagono: «L’emergente tecnologia 5G, commercialmente disponibile, offre al Dipartimento della Difesa l’opportunità di usufruire a costi minori dei benefici di tale sistema per le proprie esigenze operative». In altre parole, la rete commerciale del 5G, realizzata da società private, sarà usata dalle forze armate statunitensi con una spesa molto più bassa di quella che sarebbe necessaria se la rete fosse realizzata unicamente a scopo militare.
Gli esperti militari prevedono che il 5G avrà un ruolo determinante nell’uso delle armi ipersoniche: missili, armati anche di testate nucleari, che viaggiano a velocità superiore a Mach 5 (5 volte la velocità del suono). Per guidarli su traiettorie variabili, cambiando rotta in una frazione di secondo per sfuggire ai missili intercettori, occorre raccogliere, elaborare e trasmettere enormi quantità di dati in tempi rapidissimi. Lo stesso è necessario per attivate le difese in caso di attacco con tali armi: non essendoci il tempo per prendere una decisione, l’unica possibilità è quella di affidarsi a sistemi automatici 5G. La nuova tecnologia avrà un ruolo chiave anche nella battle network (rete di battaglia). Essendo in grado di collegare contemporaneamente in un’area circoscritta milioni di apparecchiature ricetrasmittenti, essa permetterà ai reparti e ai singoli militari di trasmettere l’uno all’altro, praticamente in tempo reale, carte, foto e altre informazioni sull’operazione in corso.
Estremamente importante sarà il 5G anche per i servizi segreti e le forze speciali. Renderà possibili sistemi di controllo e spionaggio molto più efficaci di quelli attuali. Accrescerà la letalità dei droni-killer e dei robot da guerra, dando loro la capacità di individuare, seguire e colpire determinate persone in base al riconoscimento facciale e altre caratteristiche.
La rete 5G, essendo uno strumento di guerra ad alta tecnologia, diverrà automaticamente anche bersaglio di ciberattacchi e azioni belliche effettuate con armi di nuova generazione. Oltre che dagli Stati uniti, tale tecnologia viene sviluppata dalla Cina e altri paesi. Il contenzioso internazionale sul 5G non è quindi solo commerciale. Le implicazioni militari del 5G sono quasi del tutto ignorate poiché anche i critici di tale tecnologia, compresi diversi scienziati, concentrano la loro attenzione sugli effetti nocivi per la salute e l’ambiente a causa dell’esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza. Impegno questo della massima importanza, che deve però essere unito a quello contro l’uso militare di tale tecnologia, finanziato indirettamente dai comuni utenti.
Una delle maggiori attrattive, che favorirà la diffusione degli smartphone 5G, sarà quella di poter partecipare, pagando un abbonamento, a war games di impressionante realismo in streaming con giocatori di tutto il mondo.
In tal modo, senza rendersene conto, i giocatori finanzieranno la preparazione della guerra, quella reale.
Accanto all’utilizzo prettamente militare, il 5G sarà la piattaforma fondamentale del sistema di sorveglianza di massa che presto sarà implementato.
Il potenziale terrificante della rete 5G.
Il futuro della tecnologia wireless promette una connettività totale. Ma sarà anche particolarmente suscettibile agli attacchi informatici e alla sorveglianza.
[…] Insieme al riconoscimento facciale e all’intelligenza artificiale, i flussi di dati e le capacità di localizzazione del 5G trasformeranno l’anonimato in un artefatto storico;
[…] la tendenza sarà quella di voler regolare il modo in cui pensi, come agisci, cosa fai. Il problema è che la maggior parte delle persone non pensa molto a come sarebbe quel mondo.
Già mi immagino il mio rating dopo una settimana di post su FB.
Gli zombi saranno sicuramente quelli con i punteggi massimi.
L’era della sorveglianza di massa è arrivata.
Il credito sociale sarà il prossimo passaggio.
Anche in questo caso la Cina ha fatto scuola.
Big data sta per congiungersi al BIG Brother.
O si fa muro in questo momento o è finità.
Siamo le cavie da laboratorio di un colossare esperimento di ingegneria sociale.
Unite i puntini dannazione.
Giorgio Bianchi 11 04 2020

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