Il libro di Paolo Rumiz è elegante ed è il frutto di una lunga ricerca culturale e filosofica. Il racconto inizia con la considerazione che il nostro Paese è stato nel recente passato vittima di attentati, è stato saccheggiato e continuamente distrutto. Di fronte a questo caos, Benedetto da Norcia ritorna ad essere un punto di riferimento per una ricomposizione del sapere e della memoria storica e sociale. Benedetto riesce a creare una rete di monasteri che diventano punti di resistenza da opporre ad un mondo con la cultura in caduta e che ha perduto la felicità.

L’autore afferma che le vocazioni religiose sono diminuite con la fine del canto gregoriano la cui armonia sonora conferiva solennità ed introspezione al cammino spirituale dell’Ordine. Da sempre, il suono armonioso è stato considerato la voce di Dio e la tempistica del lavoro spirituale.

La storia dei benedettini è in gran parte la conversione di vasti territori boschivi d’Europa all’attività agricola. Si recuperano territori inselvatichiti e resi incolti dopo la dissoluzione dell’Impero Romano. Non a caso l’autore fa notare che l’inizio della resurrezione della cultura parte dall’uscita dalla “selva oscura” da cui inizia la Commedia di Dante. Nonostante la loro natura stanziale delle origini, i benedettini sono anche eccellenti viaggiatori. Creano monasteri che crescono con una propria storia e una specificità all’interno dei principi della Regula Monasteriorum (pagina 43). La diversità storica, culturale e geografica dei centri religiosi costituisce un “disordine democratico” (pagina 63). Per i benedettini, il centralismo decisionale è di natura demoniaca perché indebolisce il libero pensiero e favorisce l’appiattimento del conformismo servile (pagina 44). I viaggi sono un’occasione di confronto spirituale, di scambio di idee e di conoscenze tecniche, agrarie e documentali che arricchiscono un lavoro che è l’elemento unificante del movimento benedettino.

Paolo Rumiz fa notare che il caos attuale è simile a quello imperante nell’Europa del VI secolo. La risposta dell’Ordine è la ripresa della capacità di ascolto e di rilancio spirituale e culturale precisando che la Meditazione è un’attività ben diversa dalla Contemplazione e che l’Otium non è l’Otiositas. Papa Ratzinger parte da questo punto per elaborare una teologia della scelta monastica con la quale l’Hostis (nemico) diventa Hospes, facendo dell’ospitalità una pratica operativa e spirituale (pagina 50). Non a caso egli cita “la vigna del Signore”.

Grazie alle conoscenze tecniche, i benedettini realizzano imprese idrauliche imponenti deviando le acque di Guastalla realizzando estese bonifiche e facendo fruttificare la terra con l’uso del letame che diventa sinonimo di lieto agire. Anche la produzione di tessuti nasce dalla filatura femminile e dalla tessitura maschile. Nel mondo dei libri il monaco Sergio De Piccoli salva settantacinquemila volumi dall’orrore dell’oblio digitale (pagina 57). Uno di questi è il Liber Magistris o Codex 65. Si sviluppano tecniche di vinificazione di cui Dom Pérignon è l’esponente più conosciuto. L’evangelizzazione avanza con vino e birra, una bevanda antica che proviene dai Copti egiziani.

L’autore evidenzia come il canto è la gran parte del lavoro della parola. Si valorizza l’organo, strumento che proviene dall’Oriente. I benedettini sono lottatori instancabili in un mondo plurale. La filatura della lana è il simbolo della rete benedettina che è riuscita a tenere insieme tutto l’Occidente (pagina 104).

Il lavoro (filatura dei tessuti, produzione vinicola, birre, agricoltura, restauri di manoscritti e di libri, copiatura di testi), la musica e il Silentium sono talvolta accompagnati dal buio che troviamo nei monaci di Saint Wandrille de Fontenelle (pagina 112). Il lavoro, infine, evita di essere alla mercé della carità altrui e di sperare di non aver mai bisogno degli altri! (pagina 120) L’industriosità attivissima dei benedettini è profondamente diversa dal pauperismo francescano più passivo.

Il libro è una mirabile sintesi dello spirito costruttivo dell’Ordine composto da realtà monastiche con una propria storia e una diversità riassunta in una flessibile “rete democratica” non condizionata da una centrale operativa. L’autore riesce a valorizzare lo spirito “federalista” dei benedettini come punto di resistenza che evidenzia le criticità di un mondo comandato e condizionato da forze esterne sempre più incontrollabili.

Un bel libro che ci ricorda la bellezza della democrazia, dell’operosità collegata ad un intenso lavoro spirituale. Un libro che riesce a descrivere processi di civilizzazione di grande complessità in modo lineare con una prosa accattivante che ci trasmette in un agile racconto l’intera anima del pensiero occidentale.

Paolo Rumiz, Il filo infinito, Feltrinelli, 2019, pagine 161, euro 15.