RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 7 GENNAIO 2021

https://nationsinaction.org/2021/01/press-release-voter-fraud/

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

7 GENNAIO 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Stiamo portando all’apice estremo il nostro corpo organico attraverso la malattia e non mi riferisco solo a questo virus.

Francesca Sifola, scrittrice

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Tutti i numeri della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com

 

 Precisazioni

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La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.

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SOMMARIO

Delirio, disinformazione, gli Antifa, gli oscuramenti
Press Release: Votes Switched throughout U.S. Presidential Race – Institute for Good Governance
“Make America Worst”: Trump scatena la guerra civile
Anche quando accadeva, non stava accadendo
Not Klaus Schwab: Most of you will survive the coming food shortages, so as long as you’re vaccinated
Street Art a Roma: Gola Hundun inaugura un progetto di rigenerazione urbana
7 gennaio. Natale in Russia
Nuove zone rosse, arancioni e gialle: quali Regioni cambiano colore dopo il 10 gennaio
Liceità dei vaccini: approfondimenti morali
Se la periferia cambia immagine a partire da Tor Bella Monaca: un libro smonta i luoghi comuni sul quartiere
Israele approfitta del caos Usa per bombardare nuovamente Damasco
Chinese Soldiers Outfitted With Digital Combat Device That Has “Self-Destruction Mode”
Dal pensiero critico al pensiero unico.
Trincia, Umanesimo europeo. Sigmund Freud e Thomas Mann
I media italiani si aggrappano al “negazionista pentito”
L’ultimo tweet di Mr.Trump
Le storie sulla “mutazione” del Covid fanno capire che i lockdown sono destinati a durare ancora a lungo
Just in case Vs Just in time
Fascicolo sanitario elettronico: i nostri dati in pericolo
Comporto
La complicata agenda di Joe Biden
“I sostenitori di Trump” (Presumibilmente) prendono d’assalto il Campidoglio
L’anno in cui è finita la repubblica.
Addio all’influenza, esiste solo la Covid-19. Lo studio che lo rivela
Conoscenza e ignoranza nell’era del Covid

 

 

EDITORIALE

Delirio, disinformazione, gli Antifa, gli oscuramenti

Manlio Lo Presti – 7 gennaio 2021

Delirio, definizione, caratteristiche, sintomi

Fonte: https://www.crescita-personale.it/articoli/crescita-personale/disagio-psicologico/delirio-definizione-caratteristiche-sintomi.html

 

In attesa di avere maggiori notizie sui disordini in USA, cerchiamo di elaborare una analisi distanziata e fredda.

È un fatto che negli USA sia in corso la SECONDA GUERRA CIVILE AMERICANA.

Le parti in conflitto sono a grandi linee:

  • i neomaccartisti, globalisti, Dem, antropofagi, pedofili, quadrisex, banche private, banche centrali e speculatori finanziari creatori di moneta dal nulla e non più riveniente dalla creazione di beni e servizi (bitcoin e derivati) che ritengono di avere la ragione dalla loro parte tramite il PENSIERO UNICO (*)
  • la concentrazione di imprenditori la cui notevole ricchezza è legata alla produzione di beni e di servizi REALI E NON SPECULATIVI.

Senza alcuna dignità è consentito qualsiasi colpo basso, nefandezza, carognata, falsità, violenza (che è giustificata se viene dalla PARTE GIUSTA, ovviamente).

Non sono esclusi ampi utilizzi di numerosi e atletici componenti delle legioni ANTIFA, AGILITÀ VISIBILE DALLA RAPIDITÀ DEGLI SCAVALCHI PRECLUSI ALLA MAGGIORANZA DI CITTADINI IN CARNE RUMOROSI MA PACIFICI.

Faccio mia la prerplessità avanzata in un articolo diffuso da un informatissimo sito esperto in guerra elettronica e tecniche di sovversione:

Perché non si sono immediatamente alzati in volo gli elicotteri?

Perché gli SWAT hanno tardato a manifestarsi?

Perché – soprattutto – la zona del Campidoglio non è stata preventivamente isolata per evitare che l’orda inferocita arrivasse al palazzo e lo conquistasse con lo stesso entusiasmo con cui nell’iconografia classica i marines conficcano la bandiera a stelle e strisce sulla vetta del monte Suribachi nell’isola di Iwo Jima?” (**)

Il cittadino, bersagliato da una raffica di notizie, deve attendere ulteriori indizi per non cadere nella distorsione cognitiva provocata dalla trappola DUNNING-KRUGER né affondare in una giustificata rabbia che però non aiuta la comprensione degli eventi.

Non appena Biden sarà insediato presidente, questa vicenda si sgonfierà nei modi simili al Bataclàn, Charlie Hebdo, German Wings, le violenze carnali degli immigrati a Monaco, ecc. ecc. ecc.

PER QUESTI MOTIVI

USIAMO PRUDENZA NELLE VALUTAZIONI DI FATTI DI CUI ANCORA NON ABBIAMO ALCUNA CERTEZZA NÉ SAPPIAMO NULLA!

Quindi, con calma cerchiamo di CAPIRE CON LA TESTA.

Evitiamo di diventare i ripetitori meccanici e compulsivi di NOTIZIE SENZA LINK.

EVITIAMO DI DIVENTARE SERVI SCIOCCHI DI QUALCUN ALTRO CHE STA DIETRO LE QUINTE E ACCENDE LE MICCE …

SI, VABBÉ, MA DIMME ‘A MORALE:

 evitiamo di essere UNTORI ELETTRONICI MARTELLANTI RIPETITIVI SCHIZOFRENICI IMPULSIVI OSSESSIVI RIPETITIVI.

Non cominciamo a diffondere notizie prive di un link di riferimento (almeno questo!!!)

TUTTO QUI …

 

NOTE

(*) La creazione infinita di moneta sganciata dai processi produttivi “reali” nasce con l’economista Milton Friedman e sviluppata dai suoi Chicago Boys

(**) https://www.infosec.news/2021/01/07/news/cittadini-e-utenti/make-america-worst-trump-scatena-la-guerra-civile/

 

 

 

PRESS RELEASE

 

Senior IT Expert at Global Defense Contractor Testifies in Italian Federal Court; He and Others Switched Votes throughout America in the U.S. Presidential Race

Rome, Italy (January 5, 2021) – An employee of the 8th largest global defense contractor, Leonardo SpA, provided a shocking deposition detailing his role in the most elaborate criminal act affecting a US election. Corroborating the DNI Ratcliff’s report of international intrusion, Arturo D’elio outlined the scheme that proved successful in using Leonardo computer systems and military satellites located in Pescara, Italy. Recent reports of a hack at Leonardo now appear to have been an orchestrated cover to mitigate blowback on the corporation which is partially owned by the Italian government.

Nations In Action, a government transparency organization, partnered with the Institute of Good Governance to thoroughly investigate and research the election irregularities which yielded the long awaited proof that a flawless plot to take down America was executed with extraordinary resources and global involvement. Americans and elected officials now have proof that the election was indeed stolen.

This provides the mechanism for each state to recall their slate of electors immediately or face lawsuits and request all federal government agencies to lock down all internal communications, equipment and documentation from the Rome Embassy. “Make no mistake, this is a coup d’etat that we will stop in the name of justice and free and fair elections,” stated Maria Strollo Zack, Chairman of Nations in Action.

The Institute for Good Governance issued the following statement:

Our mission is to provide the full truth, expose the perpetrators of this horrific crime, and ensure that every person involved, regardless of position, be prosecuted to the fullest extent of the law. Nations In Action and the Institute for Good Governance are making the following demands on elected officials:

• Depose State Department officials starting with Rome staff including Stefan Serafini
• Immediately strip Leonardo SpA of all contracts and seize assets
• All congressional members must speak out against this foreign and domestic interference or face recalls and suspicion of involvement
• Implement the most severe penalties for participants who had knowledge or participated and refuse to assist in the investigation

Maria Strollo Zack, founder of Nations In Action added, “States must prosecute all illegal voting activities and provide immediate legislative remedies. There can only be zero tolerance for criminal interference in American elections. This international conspiracy must be met with swift action by the President and be fully supported by elected officials for the protection of voting integrity and the prosperity of our great nation.”

Click HERE for related information.

Click HERE to view the General Affidavit.

TRADUZIONE DELL’AFFIDAVIT (Dichiarazione giurata) fuori del presente articolo:

DICHIARAZIONE GIURATA DEL PROFESSOR AVVOCATO ALFIO D’URSO – SATELLITE 🛰 LEONARDO USATO PER PASSARE I VOTI DA TRUMP A BIDEN

Regione Lazio
Paese Italia

1, Prof. Alfio D’Urso, Avvocato, di Via Vittorio Emanuele, Catania 9513I, Italia, fornisce il seguente resoconto dei fatti come comunicato in diversi incontri con un funzionario dei servizi di sicurezza dell’esercito di alto livello.

Arturo D’Elia, ex capo del Dipartimento Informatico di Leonardo SpA, è stato accusato dalla Procura della Repubblica di Napoli per manipolazione dei dati tecnologici e impianto di virus nei principali computer di Leonardo SpA nel dicembre 2020.

D’Elia è stato depositato dal giudice del Consiglio a Napoli e in testimonianza giurata il 4 Novembre 2020, su istruzione e direzione di persone statunitensi che lavorano presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma, ha intrapreso l’operazione per trasferire i dati delle elezioni statunitensi del 3 novembre 2020 dal significativo margine di vittoria di Donald Trump a Joe Biden in un certo numero di stati in cui Joe Biden stava perdendo i totali dei voti.

L’imputato ha dichiarato che stava lavorando nella struttura di Pescara della Leonardo SPA e ha sfruttato le capacità di crittografia della guerra informatica di livello militare per trasmettere voti scambiati tramite satellite militare della Torre del Fucino a Francoforte, in Germania.

L’imputato giura che i dati in alcuni casi potrebbero essere stati scambiati per rappresentare più del totale degli elettori registrati.

L’imputato ha dichiarato che testimonierà a tutti gli individui e le entità coinvolte nel passaggio dei voti da Donald Trump a Joe Biden quando sarà in totale protezione per se stesso e la sua famiglia.

L’imputato afferma di aver assicurato in una posizione segreta il backup dei dati originali e dei dati scambiati in quanto gli è stata data istruzione di fornire prove in tribunale su questo argomento.

Con la presente dichiaro e giuro che i fatti sopra indicati sono stati dichiarati in mia presenza.

DATA di questo giorno 6 Gennaio 2021 a Roma, Italia.

To book a media interview with Maria Strollo Zack, please contact:

Marjorie Meyers, Nations In Action

646-246-8606 or Marjorie.Meyers@NationsInAction.org

FONTE: https://nationsinaction.org/2021/01/press-release-voter-fraud/

 

 

 

IN EVIDENZA

“Make America Worst”: Trump scatena la guerra civile

Si riuscirà a dimenticare il 6 gennaio 2021?

La pagina peggiore nella storia della democrazia americana, la seconda peggior esperienza statunitense dopo quel funesto 11 settembre…

L’assalto a Capitol Hill e la profanazione del tempio del buon governo – comunque la si pensi e qualunque sia l’orientamento politico – costituiscono la più truce ricostruzione delle invasioni barbariche. I ridicoli costumi – a metà tra i raduni di Pontida della Lega 1.0 e gli abiti di scena dei Village People – sono la ciliegina sulla torta.

Da tempo non mi capitava di fare zapping sfrenato sui canali televisivi di informazione internazionale e la sera del 6 gennaio mi ha persino portato a rivisitare vecchi detti popolari, immaginando che “l’Epifania tutti i sogni li porta via”.

Il sogno americano si è infranto crollando giù come una quinta del Truman Show: la terra della Libertà, quella in cui a tutti viene data una chance e prospettata una opportunità di riscatto, è finita sotto i riflettori per una tribale azione che, anche ad allarme scemato, fatica ad esser cancellata dalla mente.

Ogni commento sulla violenta scelleratezza dei manifestanti è senza dubbio superfluo. Ogni valutazione a freddo sul come sia potuto accadere, invece, è d’obbligo.

Qualcuno ha deliberatamente sottovalutato cosa avrebbe potuto succedere, quasi l’atmosfera di odio che trasudava da Twitter e dagli altri social non riguardasse questo pianeta, l’America, Washington.

Per renderci conto della sproporzione tra minaccia e cautela, si può – senza andar lontani – ricordare quel che accadde dalle nostre parti con il referendum in cui gli italiani dovevano scegliere tra il Re o una repubblica. In epoca in cui il sentimento nazionale era percepito senza bisogno di computer, reti e strumenti di analisi informatica, si era sentita la necessità di correre ai ripari prevedendo una possibile reazione inconsulta degli insoddisfatti dal risultato delle urne.

Come si legge sulle pagine web del Quirinale “Il passaggio dalla monarchia alla Repubblica avvenne in un clima di tensione, tra polemiche sulla regolarità del referendum, accuse di brogli, polemiche sulla stampa, ricorsi e reclami”.

Si racconta di schieramenti militari tenuti pronti ad intervenire per sedare le sommosse, qualunque fosse il fronte a promuoverle.

Ovunque e sempre si sarebbe configurato un dispositivo di emergenza per bloccare rivolte o gesti sensazionalistici. Nella capitale degli Stati Uniti non è successo. E quando il Congresso ha chiesto l’intervento della Guardia Nazionale il Pentagono ha inizialmente risposto “no” all’istanza di Nancy Pelosi, il cui ufficio è stato occupato e messo all’aria dai vandali che – non contenti – hanno violato gli scranni parlamentari e si sono seduti trionfanti al posto del Presidente del Senato.

Perché non si sono immediatamente alzati in volo gli elicotteri? Perché gli SWAT hanno tardato a manifestarsi? Perché – soprattutto – la zona del Campidoglio non è stata preventivamente isolata per evitare che l’orda inferocita arrivasse al palazzo e lo conquistasse con lo stesso entusiasmo con cui nell’iconografia classica i marines conficcano la bandiera a stelle e strisce sulla vetta del monte Suribachi nell’isola di Iwo Jima?

Il management militare e di polizia, cui va imputato il buon esito dell’incursione dei manifestanti, probabilmente ha confuso il proprio giuramento di fedeltà. Ha dimenticato di aver giurato alla Patria, agli Stati Uniti, e non al Presidente di turno che li ha collocati in quel ruolo. Ha scordato che era in gioco non solo la libertà, ma addirittura la storia del proprio Paese. Non si è reso conto che i tweet di “Mister President” avevano sui suoi fan la stessa capacità incendiaria del napalm lanciato in Vietnam.

Il tardare ad adottare provvedimenti drastici e rigorosi non può essere giustificato dal timore che si potessero esacerbare gli animi di chi stava assediando Capitol Hill. Cosa mai avrebbero potuto fare di peggio?

Nelle ore più drammatiche della presa del Campidoglio il discorso di Joe Biden da Wilmington, nel Delaware, ci ha fatto capire che l’America, quella “Grande” davvero, è ancora viva. Trump – chiamato in causa dal suo “erede” – è stato costretto a dire ai suoi “patrioti” di tornare a casa, ma troppo tardi. God bless America. E baci anche il resto del mondo che, rimasto ferito dalle immagini di ieri, sappia trarre insegnamento da questo episodio.

FONTE: https://www.infosec.news/2021/01/07/news/cittadini-e-utenti/make-america-worst-trump-scatena-la-guerra-civile/

Anche quando accadeva, non stava accadendo

off-guardian.org

Sapete com’è la storia: se un albero cade nella foresta e nessuno lo sente, ecc…?

Supponiamo che un’intera società vada in frantumi, mentre i nostri media d’elite si rifiutano ostinatamente di notarlo. Che cosa accadrebbe in questo caso?

Supponiamo che i giornalisti, gli esperti e i commentatori ignorino il colpo di stato che sta calpestando le nostre libertà fondamentali fin dal marzo scorso.

Supponiamo che tutti ci assicurino che difendere la democrazia è “anti-scientifico” e continuino a dirci che i diritti civili (eccetto le proteste di Black Lives Matter) non sono altro che un “culto di morte.”

Supponiamo che, dopo un’”elezione” condotta principalmente sulla stampa e basata su fiumi di inutile propaganda, un ben noto maneggione al soldo delle multinazionali stia per insediarsi alla Casa Bianca come massimo imbonitore da fiera per dei vaccini scarsamente testati, venduti da una banda di profittatori che non avevano neanche iniziato a fabbricare il loro prodotto fino a quando non avevano avuto la garanzia della completa immunità penale per qualsiasi danno  che avessero arrecato alle loro vittime.

Ebbene? Neanche l’assassinio delle nostre libertà fa rumore?

C’è stato davvero un anno come il 2020?

Nel 2005, nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel, il drammaturgo Harold Pinter aveva così descritto il modo che ha la stampa occidentale di nascondere i misfatti:

Non è mai successo.

Non è mai successo niente.

Anche mentre succedeva, non succedeva.

Non importava. Non era di alcun interesse.

E non è successo niente neanche quest’ultimo anno!

Quattro quinti degli Stati Uniti d’America hanno sospeso la democrazia e dichiarato obsoleta la Carta dei Diritti. Il Regno Unito ha scatenato un nuovo genere di “polizia,” volti mascherati e manganelli, per massacrare pacifici manifestanti la cui unica colpa è quella di voler respirare. In alcune zone dell’Australia è diventato un reato penale comunicare ad altri l’ora e il luogo di una manifestazione politica. La Germania ha messo al bando la protesta politica.

Ma niente di tutto ciò è accaduto. Non è stato riportato dalla stampa tradizionale. Non era di alcun interesse.

In poco più di nove mesi, le economie dei Paesi un tempo ricchi sono state fatte a pezzi. I social media sono regolarmente controllati dalla psicopolizia. Dopo un’ondata di “ordini esecutivi” che, in tutti gli Stati Uniti, hanno mandato in rovina le piccole imprese, un numero senza precedenti di Americani ha iniziato a rubare cibo per sopravvivere. Nel Regno Unito, l’UNICEF sta distribuendo cibo ai bambini affamati, per la prima volta dopo oltre 70 anni. In tutto il mondo [per colpa del Covid], i bisognosi vengono esclusi dalle cure mediche. Le istituzioni culturali sono state distrutte. Le arti dello spettacolo sono vietate. Cantare è considerato un rischio per la salute pubblica.

Non era importante.

Quest’anno, per la prima volta nella storia, più di 40 governatori degli Stati Uniti si sono attribuiti poteri quasi dittatoriali, in forza di leggi antiterrorismo frettolosamente approvate meno di 20 anni fa e rimesse in vigore per contrastare una “emergenza” medica che non è mai stata un’emergenza. Alla fine del 2020, la maggior parte della popolazione americana vive sotto un regime dittatoriale.

Questo non era di alcun interesse.

Un numero enorme di persone, in Europa come in America, è stato posto (senza l’avallo della magistratura) agli arresti domiciliari. Questa è stata definita una misura protettiva e, come tale, è stata riportata dai media, anche se la pratica vìola sentenze sui diritti civili che risalgono a quasi un secolo fa. Decine di milioni di persone si sono viste derubare dei loro mezzi di sussistenza da funzionari che non hanno mai avuto l’opportunità di affrontare.

Sì, una manciata di stati che non avevano imprigionato le loro popolazioni o distrutto le loro economie hanno affermato di avere ottenuto risultati riguardanti la salute pubblica altrettanto buoni, se non migliori, dei Paesi confinanti che avevano fatto entrambe le cose. Il governatore dell’Arkansas, Asa Hutchinson, il 5 maggio, era arrivato al punto di affermare una cosa del genere sulle pagine editoriali del Washington Post, uno dei principali organi di propaganda sul coronavirus. Ma queste affermazioni non sono mai state approfondite dalla stampa tradizionale. Non avevano importanza.

Ora, le mega-corporation che hanno sostenuto la politica dei lockdown stanno risucchiando la vita stessa dell’economia di quelle piccole imprese che, una volta, erano il pilastro del mondo libero. Per i ristoranti la situazione è talmente cupa che lo chef e autore Edward Lee la definisce “la fine dell’era dei ristoranti indipendenti” e avverte che…

perderemo la cultura tipica delle nostre cittadine americane…. Diventeremo una nazione di catene di ristoranti gestiti da multinazionali, che avranno lo stesso aspetto e lo stesso menù in ogni città.

La cultura è sotto attacco anche da altre direzioni. I teatri di Londra, eredi di un’arte drammatica tra le più antiche al mondo, sono chiusi per la prima volta nella storia moderna e la loro riapertura, o meno, dipende dai capricci dei politici. I musicisti e gli artisti in genere sono stati devastati da regole di “distanziamento sociale” che non hanno mai avuto senso e che non sono mai state rispettate dai potenti.

Anche questo non ha importanza.

In una società rispettabile, non se ne può nemmeno parlare.

Angela Rayner, esponente del Partito Laburista britannico, che recentemente aveva minacciato di espellere “migliaia e migliaia” di membri del suo partito che non ritengono che il loro Paese debba essere governato da Israele, ora si lamenta che…

i nostri bambini non dovrebbero dipendere da associazioni umanitarie abituate ad operare in zone di guerra e in risposta a disastri naturali.

Non vi verrebbe assolutamente da pensare che l’ipocrita Rayner abbia effettivamente sostenuto la follia economica che è alla radice di questa crescente povertà; in realtà, già a maggio, auspicava politiche statali ancora più severe di quelle imposte dal governo.

I governi ci hanno mentito per tutto l’anno sulla natura della minaccia sanitaria che abbiamo dovuto affrontare, su quello che avevano intenzione di fare e su quanto ci sarebbe costato.

Scienziati famosi hanno cercato di spiegarci che l’isteria non aveva senso. “Stiamo cadendo in una trappola di sensazionalismo,” aveva detto, già il 23 marzo scorso, John Ioannidis dell’Università di Stanford. “Siamo entrati in uno stato di panico totale.” L’intervista con questi commenti era stata subito rimossa da Youtube, anche se Ioannidis è universalmente riconosciuto come “uno dei più importanti epidemiologi al mondo.”

Gli eminenti scienziati che hanno firmato la Grande Dichiarazione di Barrington hanno subito un destino simile, denigrati come elementi marginali, promotori di una “vile follia” e di un “brutale tentativo” di “lasciar morire la gente,” in altre parole, nazisti.

Ma non è un problema di insulti. E non si tratta nemmeno di censura, anche se i moderatori di Reddit hanno prontamente cancellato la Dichiarazione. Questi fatti non devono essere menzionati. Mormora la parola “censura” e diventi subito un fanatico di destra.

A proposito di fanatismo: una studentessa universitaria americana di 18 anni è attualmente in carcere alle Isole Cayman. Il suo crimine? Aver guardato, da sola, il suo ragazzo che partecipava all’ultima gara di jet-ski dell’anno, dopo che lei stessa si era sottoposta, non ad uno, ma a due test, entrambi negativi, per il COVID-19. Sembra che alcuni partecipanti alla gara abbiano fatto la spia e la giovane è stata condannata a quattro mesi di carcere per aver interrotto una “quarantena” di quattordici giorni, che, ovviamente, le era stata imposta senza un’ordinanza del tribunale.

Una volta avremmo chiamato questi spioni “collaborazionisti,” se non “fanatici senza cuore.” Ora le loro azioni vengono lodate sia dai media che dai procuratori legali: in fondo, hanno protetto la “salute” pubblica mandando in prigione una giovane donna.

I nuovi vaccini contro il COVID-19 sono un altro modo di proteggere la salute pubblica, naturalmente non hanno nulla a che fare con i miliardi di dollari che le aziende farmaceutiche probabilmente ricaveranno dalla loro vendita.

Non importa che la Food and Drug Administration abbia dovuto cortocircuitare le sue stesse regole per autorizzarne l’uso. Non importa che ai produttori sia stato promesso che “per i prossimi quattro anni, non potranno essere citati in giudizio per lesioni connesse alla somministrazione o all’uso” dei loro nuovi vaccini, un’immunità legale generalizzata “molto rara,” secondo un importante avvocato del lavoro. (Oh, e non si può nemmeno fare causa alla FDA).

Niente di tutto questo ha importanza. Niente di tutto questo è interessante.

Ecco perché l’”analista politico” della CNN, Joe Lockhart, ha potuto recentemente insistere sul fatto che il governo dovrebbe impedire a Tucker Carlson di fare dichiarazioni scomode su questi vaccini nel suo programma su Fox News. Come vedete, il Primo Emendamento non ha più importanza. Lo dice Joe Lockhart. Un rappresentante di un organo di stampa che invoca la censura governativa per un altro organo di stampa, reo di aver espresso un’opinione su cui non è d’accordo.

E allora? Qualcuno nella “stampa libera” si è forse lamentato dell’incredibile tradimento di Lockhart, che, denunciando un collega alla psicopolizia, ha attaccato il diritto, garantito dalla Costituzione, ad una stampa libera? Non che io sappia.

Perché, vedete, non è successo nulla di tutto questo.

Proprio come tutti gli altri aspetti del colpo di stato del coronavirus. Anche mentre accadevano, non stavano succedendo.

Non importa che tutta l’isteria sui “casi” di COVID-19 si basi sui risultati di un test palesemente inaffidabile. Non importa che per la malattia sia disponibile un trattamento economico ed efficace, senza gravi effetti collaterali, che fa uso di farmaci come l’ivermectina e l’idrossiclorochina. Quando il dottor Pierre Kory,  il presidente della Frontline COVID-19 Critical Care Alliance (FLCCC), aveva cercato di ottenere l’assenso del Congresso all’uso di questi farmaci, di cui [visto il prezzo] nessuno avrebbe potuto beneficiare se non i pazienti con i peggiori casi di COVID-19, era stato incredibilmente denigrato da un membro Democratico di alto rango della Commissione per la Sicurezza Interna del Senato.

Questa è stata la tipica reazione ufficiale: dopo che un gruppo di medici aveva annunciato i promettenti risultati degli stessi farmaci, il 4 dicembre…

Nessun importante organo di informazione statunitense ha riferito [le loro] richieste di aiuto al governo federale .. e nessun rappresentante del CDC, del NIH o dell’Organizzazione Mondiale della Sanità li ha contattati,

…secondo una delle rare fonti alternative di notizie che si erano prese la briga di riferire la notizia.

Così, i vaccini non testati a sufficienza si diffonderanno ovunque, Big Pharma diventerà ancora più ricca, ai poveri sarà permesso di morire. Mentre affermazioni fasulle su un numero crescente di “casi” alimentano una rinnovata isteria, un governo dopo l’altro imporrà ai propri cittadini ulteriori arresti domiciliari di massa, anche se l’esperienza della Bielorussia, che non ha mai ordinato lockdown, indica senza ombra di dubbio che la strategia dell’incarcerazione di massa fa più male che bene.

Per chi è al potere, tutto questo non è di alcun interesse. Non ha importanza. Non è mai successo.

E per il resto di noi?

Questo dipenderà, suppongo, dalla fermezza delle persone che si preoccupano più della verità che del conformismo.

Delle persone per cui le parole hanno ancora un significato e i fatti contano ancora.

Delle persone che non si vergognano di toccare con mano e non hanno paura di ribellarsi.

Delle persone che non ingoiano menzogne e non si fanno turlupinare.

Delle persone per cui la parola “libertà” non è un insulto.

Questi sono i veri sopravvissuti all’orribile anno 2020, e da loro dipenderà il nostro futuro.

 

Michael Lesher

 

Fonte: off-guardian.org
Link: https://off-guardian.org/2020/12/31/even-while-it-was-happening-it-wasnt-happening/

FONTE: https://comedonchisciotte.org/anche-quando-accadeva-non-stava-accadendo/

 

 

Not Klaus Schwab: Most of you will survive the coming food shortages, so as long as you’re vaccinated

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(Note: To be clear, this tweet comes from a fake Klaus Schwab account. But the book I quote from is the real deal)

Well, here’s hoping that World Economic Forum founder Klaus Schwab’s twitter was hacked by somebody from 4chan, ’cause if this is for real, it’s really hard not to subscribe to Great Reset conspiracy theories.

Schwab, of course is the founder of the World Economic Forum, where the world’s wealthiest elites meet at Davos each year to reimagine your future.

This year’s theme was The Great Reset. Schwab also wrote book by that same title. One part manifesto, one part think piece on the way Covid has changed the world forever that came out in June. My copy arrived today and I started forcing myself to read it this aft and I was planning to write up a more comprehensive review (subscribe here to get it when that’s done).

In it Schwab opines that The New Normal will

provoke changes that would have seemed inconceivable before the pandemic struck, such as new forms of monetary policy like helicopter money (already a given), the reconsideration/recalibration of some of our social priorities and augmented search for the common good as a policy objective, the notion of fairness acquiring political potency, radical welfare and taxation measures, and drastic geopolitical realignments.

The broader point is this: the possibilities for change and the resulting new order are now unlimited and only bound by our imagination, for better or for worse. Societies could be poised to become either more egalitarian or more authoritarian, or geared towards more solidarity or more individualism, favouring the interests of the few or the many…

you get the point: we should take advantage of this unprecedented opportunity to reimagine our world, in a bid to make it a better and more resilient one as it emerges on the other side of this crisis.

It’s a telling passage, one that boils down to “never let a good crisis go to waste”, and which clearly highlights collective solidarity as the preferred outcome than suffering “more individualism”.

Earlier passages make clear that COVID is not the existential threat in of itself acknowledging that “Even in the worst-case horrendous scenario, COVID-19 will kill far fewer people than the Great Plagues, including the Black Deaths, or World War II did”, but that is has “the potential to be a transformative crisis”.

When I saw the tweet I thought it had to be faked, especially since Biden isn’t even officially the president-elect yet and here’s this guy talking about impeding food shortages, famine, and mandatory vaccinations in exchange for soy rations. The insect emoji is really what has me convinced this is the work of some epic hacking troll.

Here’s hoping.

That tweet is archived here but as I mentioned at the top of the post,  that this is from a fake (albeit brilliant!) Klaus Schwab parody account (and my Twitter is @stuntpope if you want to follow me there).

FONTE: https://outofthecave.io/articles/schwab-and-biden-most-of-you-will-survive-the-coming-food-shortages-so-as-long-as-youre-vaccinated/

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Street Art a Roma: Gola Hundun inaugura un progetto di rigenerazione urbana

di 

La street art approda tra le storiche borgate del Tufello e di Val Melaina: Gola Hundun presenta la sua opera, per inaugurare un nuovo progetto di rigenerazione urbana nella periferia di Roma

Another World, Gola Hundun, Canto d’Antro 2020, ASL Via Dina Galli 8. Foto Moreno Pisegna

La Street Art continua a spopolare nelle periferie di Roma. Questa volta, protagonista è un murales dell’artista Gola Hundun, comparso tra le case-torri adiacenti alle storiche borgate del Tufello e di Val Melaina, presentato alla cittadinanza il 3 dicembre scorso dall’Associazione Eco dell’Arte, con i rappresentanti del III Municipio e della ASL Roma 1. L’intervento, da scoprire all’interno del porticato in cemento al civico 8 di via Dina Galli, inaugura il progetto Another World. Arte in città per immaginare il futuro, patrocinato dalla ASL in collaborazione con Ater Roma e ideato e curato da Elena Paloscia, presidente dell’Associazione, per la riqualificazione del quartiere di Vigne Nuove, in particolare dell’area antistante l’ingresso del TSMREE – Servizio Tutela Salute Mentale e Riabilitazione Età Evolutiva. La struttura, infatti, accoglie minori con difficoltà o disturbi comportamentali, neurologici e psichiatrici, ed è inserita in un complesso architettonico che presenta non poche criticità urbanistiche e sociali, dall’abbandono manutentivo al vandalismo diffuso.

Another World, Gola Hundun, Canto d’Antro 2020, ASL Via Dina Galli 8. Foto d’insieme LAP

Another World raccoglie il desiderio di rigenerazione urbana di medici, operatori e famiglie del posto puntando sulla street art, ancora una volta ritenuta il mezzo privilegiato per attivare un cambiamento sociale e una presa in carico di situazioni che altrimenti rimangono ai margini. All’intervento artistico, infatti, sono già seguite operazioni di pulizia e tinteggiatura e seguiranno ancora una serie di ristrutturazioni e consolidamenti strutturale dell’area, per restituirla gradualmente agli abitanti e ai pazienti nella sua piena vivibilità.

Sono previste ulteriori partecipazioni artistiche – SOLO e Lucamaleonte i prossimi street artist coinvolti – che opereranno in continuità con Gola Hundun, raccontando temi come quelli del ritorno della natura in un paesaggio dominato dal cemento, dell’incontro con i propri eroi e le proprie emozioni, l’identificazione terapeutica nella favola e nelle sue metafore. L’intento è quello di creare un ambiente ospitale e fantastico dove i piccoli pazienti possano riconoscersi e sentirsi accolti.

Another World_Gola Hundun, Canto d’Antro 2020, _ASL Via Dina Galli 8, Leone e fioriera Fot LAP

Una call per giovani artisti darà l’opportunità di operare a fianco degli street artists più noti, mentre dei mosaicisti saranno coinvolti nel rivestimento di alcune parti degradate. Le attività artistiche saranno infine completate da laboratori e azioni partecipate, rivolte ai giovani utenti della ASL e a tutti gli abitanti della zona. Il progetto, ambizioso e importante, si appoggia a un crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal Basso, che si può reperire al seguente link, giusto in tempo per Natale.

Sono inoltre sostenitori: ANSVI Accademia di Neurologia dello sviluppo, Laboratorio apprendimento e collaborano le Associazioni A.I.F.A. Lazio – odv – AIFA Lazio odv – Associazione Italiana Famiglie Adhd, CSV Centro di servizi per il Volontariato.

Another World, Gola Hundun, Canto d’Antro 2020, ASL Via Dina Galli 8

FONTE: https://www.exibart.com/street-art/street-art-roma-gola-hundun/

 

 

 

ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME

7 gennaio. Natale in Russia

Nuove zone rosse, arancioni e gialle: quali Regioni cambiano colore dopo il 10 gennaio

 Fiammetta Rubini – 7 Gennaio 2021

Lazio in zona arancione per la prima volta, Campania in zona gialla, Veneto e Calabria in zona rossa? Venerdì 8 gennaio il nuovo report Iss su cui si baserà la nuova suddivisione delle Regioni per colore da lunedì 11. Ecco quali rischiano di più e cosa cambia.

Nuove zone rosse, arancioni e gialle: quali Regioni cambiano colore dopo il 10 gennaio

Fino al 10 gennaio tutte le Regioni avranno lo stesso colore (7-8 gennaio zona gialla “rinforzata”, 9-10 arancione), poi l’ordinanza del ministro Speranza sancirà le nuove zone rosse, gialle e arancioni dall’11 gennaio in base al nuovo monitoraggio sulla situazione dei contagi dell’Istituto superiore di sanità.

Occhi puntati sul Lazio, che potrebbe essere dichiarato zona arancione per la prima volta dall’introduzione del sistema a colori, e sul Veneto, che ha superato la soglia dell’Rt 1 e viaggia verso la zona rossa. A rischio anche CalabriaLombardia, Basilicata e Puglia; in bilico la Campania, che a Natale registrava uno degli indici Rt più bassi d’Italia ma che potrebbe optare per la zona arancione da lunedì nel caso di soglia di rischio pari a 1.

La riunione della Cabina di Regia è attesa per venerdì 8 gennaio. Il Decreto Legge approvato il 4 gennaio e pubblicato in GU ha cambiato i parametri che sanciscono l’inserimento e il passaggio delle Regioni nella zona rossa, arancione e gialla, rendendoli più rigorosi. Ecco le novità e le cose da sapere.

Nuove zone rosse, arancioni e gialle: si decide venerdì 8 gennaio

Nessuna decisione è stata ancora presa sui nuovi colori delle Regioni dopo il 10 gennaio, anche se stando ai dati attuali è facile aspettarsi che mezza Italia sarà zona arancione da lunedì.

A fare chiarezza ci penserà la riunione della Cabina di Regia per il monitoraggio regionale e la diffusione dei dati epidemiologici attesa per venerdì 8. Sulla base di quei dati e dei nuovi criteri stabiliti dal DL 4 gennaio 2021, il ministro della Salute firmerà domani un’ordinanza che entrerà in vigore lunedì.

Se finora per essere dichiarata zona arancione una Regione doveva avere un indice di contagio pari a 1,25, adesso la soglia è scesa a 1. Per la zona rossa sarà sufficiente un Rt pari a 1,25 e non più 1,50. Aspettiamoci quindi misure più restrittive per molte Regioni che finora sono riuscite a scampare alla zona rossa e arancione.

Quali Regioni rischiano di più

Questa settimana sarà decisiva per capire come saranno suddivise le Regioni dopo il 10 gennaio. Stando ai dati del contagio e ai valori attuali dell’Rt, a rischiare di diventare zona arancione da lunedì 11 gennaio sono Lazio, Emilia Romagna e Lombardia.

Ma le Regioni che al momento temono di più la zona rossa dall’11 gennaio sono Veneto, Calabria, Piemonte e Basilicata, che viaggiano su un Rt maggiore di 1 e sono compatibili con uno scenario di tipo 2. In bilico la Liguria e la Puglia, vicine alla soglia dell’1 ma con un indice Rt in lieve discesa.

Le Regioni in cui la situazione appare migliore, e che potrebbero quindi sperare in una fascia gialla sono Campania, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Molise.

Cosa cambia da lunedì 11 a venerdì 15 gennaio

In attesa di sapere quali Regioni saranno gialle, rosse o arancioni da lunedì 11, l’unica certezza è che bisognerà rispettare le misure anti-Covid previste dalla fascia di rischio in cui ci si trova. Nelle regioni gialle lunedì 11 è previsto il rientro in classe al 50% per le scuole superiori; ristoranti e bar saranno aperti con servizio al tavolo fino alle 18 e i negozi e centri commerciali regolarmente aperti. Non ci si potrà però spostare in altre Regioni se non per motivi di lavoro, salute, necessità o rientro al proprio domicilio, residenza e abitazione.

Anche chi sarà in zona arancione potrà muoversi solo all’interno dei confini regioni, senza necessità di autocertificazione, mentre nelle regioni che si troveranno in zona rossa la deroga che consente a massimo 2 persone non conviventi di andare a trovare amici e parenti sarà limitata agli spostamenti all’interno del proprio Comune e non della Regione come invece previsto durante le festività natalizie.

Il 16 gennaio è atteso il varo del nuovo Dpcm che andrà a sostituire il Dpcm in vigore fino al 15.

FONTE: https://www.money.it/Nuove-zone-rosse-arancioni-gialle-regioni-cambiano-colore-dopo-10-gennaio

Liceità dei vaccini: approfondimenti morali

(Tommaso Scandroglio) Uno dei molti dubbi sorti intorno alla liceità morale dell’uso dei vaccini ricavati da feti abortiti, tema che abbiamo affrontato qualche settimana or sono da queste stesse colonne, riguarda la relazione tra sperimentazione su embrioni (vivi), ritenuta eticamente non accettabile, ed uso di materiale biologico per fini terapeutici (come nel caso dei vaccini), uso considerato moralmente lecito. In breve: perché sarebbe da condannare la sperimentazione sugli embrioni ed invece da accettare la produzione ed uso di vaccini ricavati da quegli stessi embrioni?

Avvaliamoci di alcuni esempi. L’atto materiale di estrarre alcune cellule staminali dall’embrione nello stadio precocissimo di blastocisti è informato dal fine buono della ricerca (fine prossimo) per trovare (fine secondo) possibili cure a varie patologie. Il fine di suo è buono, ma a questo effetto buono si accompagna, tra i molti, un effetto moralmente negativo. Nella stragrande maggioranza dei casi l’embrione morirà o comunque subirà gravissimi danni alla sua integrità fisica. Dunque già qui potremmo dire che non vi è proporzione tra effetti positivi, minimi, ed effetto negativo, di notevole gravità. L’atto allora sarà giudicato dalla ragione come inefficace proprio perché le modalità dell’atto (maggiori effetti negativi rispetto agli effetti positivi) non sono consone al fine buono e lo snaturano facendolo diventare malvagio.

Però si potrebbe così obiettare: se con il sacrificio di un embrione potessimo salvare 1.000 vite allora il gioco varrebbe la candela perché gli effetti positivi supererebbero quelli negativi. Ma c’è un inciampo. Il ricercatore non ha chiesto il permesso alla persona, nel suo stadio di sviluppo embrionale, per sperimentare su di lei, né può essere richiesto ai genitori perché non si possono sostituire al figlio in questa scelta personalissima. La mancanza di consenso rientra nelle modalità dell’atto ed è una di quelle circostanze che possono eticamente incidere sul fine ricercato, sulla natura dell’atto trasformandola da astrattamente buona in concretamente malvagia. Così l’Istruzione Donum vitae della Congregazione per la Dottrina della Fede: «la sperimentazione non direttamente terapeutica sugli embrioni è illecita. Nessuna finalità, anche in se stessa nobile, come la previsione di una utilità per la scienza, per altri esseri umani o per la società, può in alcun modo giustificare la sperimentazione sugli embrioni o feti umani vivi, viabili e non, nel seno materno o fuori di esso. Il consenso informato, normalmente richiesto per la sperimentazione clinica sull’adulto, non può essere concesso dai genitori i quali non possono disporre né dell’integrità fisica né della vita del nascituro» (4).

Il fine voluto denominato «ricerca» diventa nel concreto, a causa della mancanza di consenso, «reificazione» del nascituro. In altri termini la specie morale (il che cosa vado a compiere) non è più sperimentare/ricercare/curare ma reificare, ossia cosificare la persona. Quindi si usa, si abusa di una persona perché non si rispetta la sua dignità. Né più né meno di quello che accadeva con gli esperimenti condotti dai nazisti su ebrei, persone disabili, etc. Così la già citata Donum vitae: «Usare l’embrione umano, o il feto, come oggetto o strumento di sperimentazione rappresenta un delitto nei confronti della loro dignità di esseri umani che hanno diritto allo stesso rispetto dovuto al bambino già nato e ad ogni persona umana» (4).

Di contro invece, tenendo altresì in conto di altri accorgimenti che incidono sulle modalità dell’atto che qui non possiamo indicare, una sperimentazione su persona consenziente è lecita. Ad esempio la sperimentazione dei vaccini su volontari è lecita, nel rispetto di alcune condizioni tra cui, appunto, il consenso. Dunque la sperimentazione sugli embrioni vivi – eccetto nel caso in cui la sperimentazione sia orientata ad un fine terapeutico a vantaggio dell’embrione stesso –  è un atto malvagio. Invece un intervento di carattere terapeutico sull’embrione, preceduto anche da un eventuale atto di sperimentazione, è di per sé atto moralmente lecito, stante l’assenza di consenso, perché non si usa strumentalmente la persona per un beneficio di cui lei non godrà, ma l’effetto positivo della guarigione andrà a suo vantaggio: la persona, in questo caso, non sarebbe mezzo, ma fine. Sempre la Donum vitae dichiara: «Ogni essere umano va rispettato per se stesso, e non può essere ridotto a puro e semplice valore strumentale a vantaggio altrui» (5).

Facciamo ora il caso che questa illecita sperimentazione è stata ormai compiuta. Da questa sperimentazione si ricavano dei dati di conoscenza: le potenzialità delle cellule staminali, le caratteristiche inerenti alla capacità di replicazione, l’uso efficace in alcune terapie di queste cellule, etc. Questi dati sono buoni o malvagi? Potremmo dire che, dal punto di vista morale, sono astrattamente neutri. Sono effetti materiali derivanti da un atto illecito, ma che di per se stessi sono eticamente neutri. Dipende da come useremo, nel concreto, queste conoscenze scientifiche. Dunque bisogna distinguere un atto malvagio dagli effetti materiali che promanano da esso e che potranno poi essere usati per il tramite di un’azione buona o di una malvagia. Ad esempio è noto che spesso lo Stato sequestri case appartenenti ai mafiosi. Quelle case sono frutto di azioni criminose, ma di per se stesse quelle case, dal punto di vista morale, non sono né buone né malvagie. E dunque quelle abitazioni possono essere usate, se non sequestrate, dai mafiosi per progettare al loro interno degli omicidi, oppure venire utilizzate, se sequestrate, come biblioteche, case di accoglienza per i poveri, etc.

Per analogia accade così anche per le sperimentazioni. Non solo i dati di conoscenza sono moralmente neutri e quindi possono essere usati da altri ricercatori per finalità buone o malvagie, ma anche il materiale biologico ricavato da simili ingiuste sperimentazioni è di per se stesso eticamente neutro (tralasciamo, perché non pertinenti, le riflessioni sulla bontà intrinseca di ogni ente). Se dopo tali iniqui esperimenti un ricercatore decidesse di usare questo materiale biologico, ad esempio per produrre vaccini, compirebbe un’azione immorale? No, a patto di rispettare alcune condizioni. In primo luogo dobbiamo appuntare che gli ostacoli morali prima esistenti quando trattavamo del caso di sperimentazione su embrione vivo ora sono scomparsi. Da una parte non vi sarebbe più il rischio che l’embrione muoia perché, ahinoi, è già morto. Su altro fronte, per procedere alla sperimentazione, non si dovrebbe più richiedere il suo permesso perché non saremmo di fronte ad una persona, dato che questa è morta, bensì al suo cadavere o parti del suo cadavere, il cui rispetto non necessita sempre del consenso del defunto (pensiamo per analogia a ciò che accade con le autopsie, in genere condotte senza consenso della persona defunta), ma necessita però del consenso dei genitori se individuabili. Però ci sarebbero altre condizioni da rispettare per evitare che questo tipo di ricerca diventi atto malvagio. Ad esempio il fine di far ricerca (il fine di conoscenza) potrebbe essere accompagnato (modalità dell’atto) dalla svalutazione da parte del ricercatore dell’identità e dello statuto dell’embrione, atteggiamento mentale che porterebbe il ricercatore a considerare il materiale biologico oggetto di esperimento non come resti mortali appartenenti ad una persona defunta, ma come mero materiale organico. Allora la ricerca su questi tessuti non sarebbe condotta con il dovuto rispetto che si deve prestare alle spoglie mortali di una persona, ma con il medesimo atteggiamento che si ha verso un animale o una cosa.

In secondo luogo, anche se la ricerca fosse animata da questo rispetto, occorrerebbe, in ossequio al criterio di efficacia e necessità, fugare l’idea nell’opinione pubblica che tali sperimentazioni reifichino l’embrione, ossia occorrerebbe evitare lo scandalo, dichiarando ad esempio che l’embrione è già persona, che i suoi resti mortali meritano rispetto, che si è contro le sperimentazioni su embrione vivo, etc. Senza questi accorgimenti, infatti, non si potrebbe escludere che gli effetti negativi dello scandalo potrebbero superare per importanza quelli positivi prodotti dalla ricerca. In tal senso, se fosse possibile e se fosse ugualmente efficace (stato di necessità), si dovrebbero battere altre piste di ricerca che non usano materiale biologico proveniente da embrioni. A maggior ragione quando la ricerca, compresa quella per mettere a punto dei vaccini, viene fatta su linee cellulari provenienti da aborti, perché in questo caso all’effetto «reificazione» si sommerebbe l’effetto incentivante l’aborto.

I criteri appena indicati vengono così sintetizzati dalle Istruzioni Dignitas personae Donum vitae della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Una fattispecie diversa [rispetto alla ricerca su embrione vivo N.d.A.viene a configurarsi quando i ricercatori impiegano “materiale biologico” di origine illecita che è stato prodotto fuori dal loro centro di ricerca o che si trova in commercio. L’Istruzione Donum vitae ha formulato il principio generale che in questi casi deve essere osservato: “I cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere rispettati come le spoglie degli altri esseri umani. In particolare non possono essere oggetto di mutilazioni o autopsie se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o della madre. Inoltre va sempre fatta salva l’esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l’aborto volontario e che sia evitato il pericolo di scandalo” (4)» (35). Dunque, a rovescio, se si rispettano questi vincoli la sperimentazione è lecita.

In sintesi la sperimentazione su embrione vivo è illecita, eccetto nel caso in cui la sperimentazione si orienti ad un fine terapeutico a vantaggio dell’embrione stesso. Questa sperimentazione può produrre alcuni effetti materiali, in astratto moralmente neutri, che nel concreto possono essere oggetto di azioni buone o malvagie. Le azioni malvagie possono essere anche quelle di ricercatori che, violando i criteri di efficacia e necessità, rispettano le spoglie mortali degli embrioni o feti ma che non evitano lo scandalo o che, pur evitandolo, avrebbero potuto scegliere altre sperimentazioni ugualmente efficaci che non avrebbero interessato embrioni o feti. (Tommaso Scandroglio)

FONTE: https://www.corrispondenzaromana.it/liceita-dei-vaccini-approfondimenti-morali/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Se la periferia cambia immagine a partire da Tor Bella Monaca: un libro smonta i luoghi comuni sul quartiere

Intervista al docente di Urbanistica de La Sapienza Carlo Cellamare su libro ‘Periferia. Abitare Tor Bella Monaca’, scritto insieme a Francesco Montillo

Tor Bella Monaca ( ANSA/ANGELO CARCONI)

“Fornire una diversa rappresentazione della periferia, a partire dal luogo che a Roma raccoglie la sua immagine più negativa”. Bastano queste prime due righe per capire come il libro ‘Periferia. Abitare Tor Bella Monaca’ (Ed. Donzelli) si addentra in uno dei quartieri più emblematici della Capitale. Il volume è stato scritto a quattro mani da Carlo Cellamare e Francesco Montillo, rispettivamente docente di Urbanistica a La Sapienza e dottore di ricerca in Tecnica urbanistica presso il dipartimento di Ingegneria edile, sempre a La Sapienza, ed è soprattutto il frutto di una ricerca complessa svolta sul campo per alcuni anni da un gruppo di lavoro interdisciplinare che ha partecipato alla stesura del volume con diversi contributi. Per capire quale Tor Bella Monaca ne è uscita Romatoday ha intervistato Carlo Cellamare.

Se la periferia cambia immagine a partire da Tor Bella Monaca: un libro smonta i luoghi comuni sul quartiere

Partiamo dall’inizio: perché un libro su Tor Bella Monaca?

L’idea è nata per raccontare un lavoro sul campo di diversi anni e ha l’obiettivo di smontare i luoghi comuni sul quartiere. Oggi basta pronunciare il suo nome per pensare al peggio della città. Ė vero che le torri di edilizia residenziale pubblica sono brutte e grigie ma la bruttezza del quartiere non significa che siano brutte le persone le quali, al contrario, fanno il possibile per vivere dentro a una condizione difficile, tra infiltrazioni al tetto, fogne che non funzionano e poi, nessuno lo nasconde, lo spaccio. La presenza di famiglie criminali, però, non significa che siano tutti spacciatori o tossici. Ecco nel libro raccontiamo il fatto che i residenti di Tor Bella Monaca cercano di vivere degnamente nonostante le difficoltà mettendo in campo anche energie positive da cui dovremmo imparare. Un altro aspetto che emerge dal libro è la necessità di leggere il territorio in modo più complesso da quello a cui siamo abituati. Per questo mescoliamo i linguaggi e le discipline con l’obiettivo di smontare e destrutturare categorie utilizzate normalmente.

Si tratta di un volume articolato. Anche nella sua struttura sembra voler rispettare la complessità che si propone di indagare. Come è costruito il libro?

Il libro è stato il prodotto di un lavoro collettivo, indice compreso. Volevamo evitare la separazione disciplinare di molti testi accademici per esempio tra l’intervento dell’urbanista, quello dell’ingegnere edile o del sociologo. Proponiamo la lettura integrata di tre grandi momenti della vita collettiva all’interno del quartiere. Il primo è l’abitare che non riguarda solo la casa ma il significato che essa assume nella vita delle persone, le relazioni, la questione delle assegnazioni, ma anche aspetti tecnici. Non è un caso che quando abbiamo lavorato sul campo con i residenti di Tor Bella Monaca il gruppo di lavoro più seguito sia stato quello degli ingegneri edili sul tema della riqualificazione del patrimonio edilizio, uno dei problemi più sentiti nel quartiere.

In cosa consiste il secondo punto?

Il secondo tema riguarda la vita collettiva del quartiere e come sono organizzati gli spazi comuni, come sono vissuti e chi li gescisce. Per esempio a Tor Bella Monaca ci sono tanti spazi verdi che dovevano costituire la dotazione di standard anche per i quartieri limitrofi nati abusivamente che non ne avevano. In realtà molti di questi spazi sono oggi inutilizzati perché il pubblico non c’è. C’è poi chi ne usa un pezzetto per farci un orto, chi cura le piante. E questo con tutti i pro e i contro perché da una parte questi spazi vengono curati ma dall’altra c’è chi se appropria sottraendone un uso possibile ad altri. Le dinamiche interne a uno spazio pubblico assumono forme diverse. Il luogo pubblico spesso è un luogo di nessuno, lasciato al degrado, o un luogo del conflitto tra gli spacciatori e le madri che invece vorrebbero tenerselo per far giocare i propri bambini. Ė uno spazio fisico ma anche di relazioni sociali esistenti. Queste relazioni condizionano lo spazio usato. Il lavoro interdisciplinare è fondamentale per restituire la complessità della vita collettiva in uno spazio collettivo.

E il terzo?

Il terzo tema è come si interviene e cosa significa farlo. Pensiamo a un progetto architettonico. Se viene effettuato dal pubblico e questo spazio diventa terra di nessuno viene distrutto, se parte dal basso scatta un processo di riappropriazione per cui i residenti lo difenderanno. In questo contesto è importante considerare gli elementi immateriali e le energie sociali presenti su un territorio. Per esempio, per intervenire in un quartiere come Tor Bella Monaca bisognerebbe ragionare di più sul tema del lavoro perché la criminalità sfrutta le difficoltà delle persone, la loro carenza culturale ma anche i problemi economici. Mettere in campo un Pru (Programma di recupero urbano, ndr) va sempre bene però non va a toccare gli aspetti importanti. Al contrario, per pensare a un intervento utile bisogna considerare la complessità della situazione. Per questo nel volume ci sono una serie di schede costruite insieme alle associazioni, di racconti e di fotografie: per dire che il territorio non è una tabula rasa ma un luogo dove la trasformazione già avviene e sta nelle azioni di chi lo abita.

Il libro parla di Tor Bella Monaca ma si propone di indagare una tema centrale per le città contemporanee come quello della periferia. Farei un passo indietro: cos’è la periferia?

Il concetto di periferia andrebbe rideclinato. Quando la città era compatta la periferia era un luogo distante dal centro, che non ne aveva né la ricchezza né la complessità. Era anche il luogo del degrado, qualitativamente peggiore del centro, dove abitavano le persone peggiori. Oggi questa distinzione è più difficile. Il Coronavirus ha mostrato bene che il centro storico è abitato a dir tanto da 100mila persone e che Roma è la sua periferia, la vita della città sta lì. Inoltre, come abbiamo potuto vedere per alcune centralità, la ricchezza economica non sempre corrisponde a una migliore qualità dell’abitare. La dicotomia tra centro e periferia va quindi smontata. Senza considerare che la perifera indica realtà differenti: ci sono le centralità, appunto, i vecchi e i nuovi piani di zona, i quartieri abusivi, le gated communities come l’Olgiata. Ciò non toglie che esistono ancora quartieri problematici in periferia. Nei quartieri di edilizia economica e popolare, per esempio, proprio perché le abitazioni vengono assegnate sulla base di determinati criteri come il reddito, si concentrano le persone con il maggior disagio sociale. Quindi oggi direi che la periferia è il luogo dove è più difficile l’accesso alla città, alle sue opportunità. Un luogo di marginalizzazione sociale, culturale ed economica.

A proposito di marginalizzazione, secondo quanto avete osservato, quanto pesa la precarietà abitativa in questo processo?

Parlerei più di precarietà urbana perché è legata anche alla disoccupazione e alla difficoltà di accesso ai servizi esistenti. Le condizioni sociali e culturali spesso rendono difficile l’accesso ad alcuni servizi telematici o al non sapere a chi rivolgerti quando hai un problema. Se pensiamo che non c’è nemmeno un ufficio dell’Ater o del Comune e quando un’abitazione ha una semplice perdita di acqua devi inviare un fax capiamo che si tratta di un processo di marginalizzazione che produce marginalità. In questo senso la precarietà abitativa contribuisce notevolmente. Chi abita in una casa occupata vive con il terrore di uscire e non poterci più rientrare e questo sicuramente aumenta il livello di disagio e di precarietà nel vivere il quartiere. Va detto anche che nel nostro lavoro sul campo la casa è vissuta come un bene rifugio: quando non hai reddito o lavoro hai almeno un tetto sulla testa. Per questo i residenti se la difendono con forza.

Nelle premesse del libro vi ponete come obiettivo quello di dare una “rappresentazione diversa” di un quartiere stigmatizzato come Tor Bella Monaca. Ad alimentare questa narrazione, attraverso l’uso di determinate parole, sono purtroppo i mezzi di informazione e la politica. Ci sono alcune parole abusate sia sui giornali sia nei discorsi istituzionali ed elettorali che invece nel libro restituiscono complessità e profondità di analisi. Me ne sono segnate tre: pubblico, illegalità e degrado. Partiamo dal primo. In un grande quartiere di proprietà pubblica come Tor Bella Monaca che cosa è il pubblico?

Il pubblico a Tor Bella Monaca si identifica come un soggetto assente, che non si rappresenta nell’azione ordinaria. Ė sempre un soggetto lontano, da raggiungere, ed è anche per questo che lo spazio pubblico è di nessuno, perché non corrisponde a una presenza sul territorio. Riprendiamo anche l’idea di un pubblico negativo, inteso come soggetto esterno, estraneo, presente anche nelle riflessioni di Foucault o di Bordieu. Allo stesso tempo, però, è paradossale e interessante verificare come ci sia una forte domanda di pubblico, come si reclami con forza che qualcuno si occupi della dimensione pubblica.

Cos’è illegalità a Tor Bella Monaca?

L’illegalità spopola all’interno di un vuoto. Nessuno vuole difenderla ma l’illegalità non è tutta uguale. Ci sono comportamenti illegali dettati da interessi personali o azioni criminose che sfruttano il fatto che il pubblico arretra e altri prodotti dalla necessità di risolvere da soli i problemi che il pubblico non risolve. Ci sono una pluralità di comportamenti illegali il cui metro di valutazione è dato dalla loro accettabilità sociale. Il padre che dorme per mesi in macchina con il figlio e un giorno decide di occupare un appartamento genera accettazione, la famiglia criminale è giudicata negativamente. Più in generale possiamo dire che a Tor Bella Monaca l’illegalità è un segnalatore di altri problemi per questo non può essere risolta con azioni di legalizzazione.

Che cos’è il degrado a Tor Bella Monaca?

Del degrado se ne fa un uso strumentale. Per esempio viene utilizzato per trasformare un territorio in un capro espiatorio. Così quando va la Raggi si vedono solo topi e non il resto del quartiere. Ciò non toglie che anche a Tor Bella Monaca le persone vivano una condizione di difficoltà legata al degrado fisico ed edilizio del quartiere, che non deve essere associato al degrado delle persone. Anzi, questo degrado fisico misura la situazione di difficoltà in cui vivono. In alcuni casi c’è degrado prodotto intenzionalmente. Lo spacciatore vuole la lampada rotta affinché nessuno veda chi acquista, la panchina inutilizzabile così nessuno si può sedere, il portoncino dei palazzi che non si chiude così tutti possono entrare negli appartamenti in cui si spaccia. La criminalità produce anche bellezza, come gazebo in aree verdi ben curate. Come a dire: siamo noi che facciamo il bene del quartiere. Il degrado è sempre un luogo del conflitto.

Il volume dedica ampio spazio alle forze sociali attive sul territorio. Cosa può imparare l’amministrazione pubblica dalle energie sociali di Tor Bella Monaca?

Premetto che non sono per un’apologia delle forze che vengono dal basso che sono energie positive ma spesso entrano in conflitto tra loro. Hanno però sicuramente una percezione più reale dei problemi del quartiere e sono un presidio sul territorio. Sono un motore potente non come sostitutivo del pubblico ma vanno coinvolte nella progettualità. Proprio perché più attente al territorio innescano infatti dinamiche di riappropriazione e di gestione responsabile. Per esempio c’è un gruppo di madri che ha trasformato un’ex scuola materna abbandonata in una ludoteca, in un luogo protetto per i bambini che vivono proprio in una piazza di spaccio. Per prima cosa queste donne hanno una percezione più reale del problema che devono affrontare, in secondo luogo il fatto che siano loro a gestirlo fa si che lo spacciatore le rispetti e le lasci in pace. Se si trattasse di una riqualificazione pubblica lo spacciatore rovinerebbe quello spazio. Se invece queste madri venissero sostenute quello spazio sarà sempre presidiato e ci sarà più speranza che duri nel futuro perché quelle madri lo sentiranno come proprio e ne avranno cura. Da queste forze sociali andrebbe imparata la complessità dei problemi da affrontare e le modalità per gestirle.

abitare tor bella monaca-2

FONTE: https://www.romatoday.it/attualita/libro-periferia-abitare-tor-bella-monaca-intervista-cellamare.html

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Israele approfitta del caos Usa per bombardare nuovamente Damasco

Le difese aeree dell’esercito hanno intercettato un’aggressione missilistica israeliana contro diversi obiettivi nelle regioni meridionali e ne hanno abbattuti la maggior parte.

Una fonte militare ha riferito all’Agenzia SANA che mercoledì alle 23:22, ora locale, il nemico israeliano ha effettuato un’aggressione missilistica dalla direzione del Golan siriano occupato su alcuni obiettivi nella regione meridionale.

La fonte ha aggiunto che le difese aeree dell’esercito siriano hanno intercettato l’aggressione e abbattuto la maggior parte dei missili.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-israele_approfitta_del_caos_usa_per_bombardare_nuovamente_damasco/8_39032/

 

 

 

Chinese Soldiers Outfitted With Digital Combat Device That Has “Self-Destruction Mode”

Tyler Durden's Photo

BY TYLER DURDEN
TUESDAY, JAN 05, 2021 – 22:25

New Delhi Television has revealed that Chinese soldiers in the Tibet Military Region will soon be equipped with new digital systems embedded in their combat gear.

Chinese soldiers will be outfitted with satellite antennas on the helmets, new night-vision goggles, and a digital control terminal on the arm. They will also receive advanced body armor, a new navigation device, personal radio, camera module, audio converter, information processing, and power supply module.

While the upgrades sound nothing out of the ordinary, there was mention that the new combat gear would be outfitted with “self-destruction mode.”

More importantly, this system is equipped with a self-destruction device. If a soldier is seriously injured but does not want to be captured, activating the self-destruction device will not only maintain the dignity of the soldier, but the enemy will not be able to obtain any information about this system. The Lu media report bluntly wrote, “Another self-destructive method is in the battalion-level command post. If the commander finds on the screen that the individual soldier is farther away from other troops, but the order cannot be contacted. If you’re a soldier, it will also initiate self-destruction.” -NDTV 

There was mention that self-destruction mode could even be triggered remotely by the commander, allowing the soldier to “maintain military dignity” and prevent information leakage.

Many netizens were outraged that soldiers would be outfitted with exploding bombs that could be donated by superiors. Some netizens said: “Isn’t this stuff a human bomb?”

Netizens also said: “This is too ruthless. Keep away from the team and be detonated by the commander. This is a typical control technique for future operations. They are afraid of soldiers running away, pretending to be dead, and rebelling.”

Another netizen said: “In the past, the Communist Army asked each soldier to keep a grenade for himself. Before he was captured, it sounded and died with the enemy. It was also called ‘Glorious Bomb'”.

FONTE: https://www.zerohedge.com/technology/chinese-soldiers-outfitted-digital-combat-device-has-self-destruction-mode

 

 

 

CULTURA

Dal pensiero critico al pensiero unico.

Quando i libri di Bioetica vengono messi all’indice da “La Stampa inquisizione”

Di |Dicembre 31st, 2020
Annamaria Bernardini De Pace
Annamaria Bernardini De Pace

 

di Giorgia Brambilla

 

Bei tempi quando ci dicevano che il vero studioso è colui che ha sviluppato un “pensiero critico”; valore prezioso per chi fa scienza, frutto di anni di ricerca e di confronto onesto e di sintesi tra tesi e autori diversi, una formazione continua che considera la verità una conquista.

Roba da retrogradi o da infaticabili intellettuali? No, semplicemente, il mestiere e il servizio del docente universitario. Peccato che oggi la dedizione per il sapere pare debba allinearsi alla flaccida ideologia uniformante. Meglio non pensare troppo; meglio assorbire l’omogenizzato del pensiero unico. Vietato esplorare tesi diverse dal mainstream – specie se di stampo cattolico – e ovviamente vietato obiettare: il pensiero unico non concede dubbi; bisogna prendere la “medicina”, senza discutere.

Figuriamoci se i temi in questione riguardano la Filosofia morale e nella fattispecie la Bioetica! Ci si permette di disquisire persino sulla scelta dei libri adottati per il proprio corso da parte di un docente universitario. Se poi il docente insegna in un’Università non statale, non si conta nemmeno fino a dieci prima di infamarlo in una testata giornalistica nazionale.

È successo a Claudia Navarini (qui e qui), associato di Filosofia morale all’Università Europea di Roma, che per il suo corso di Bioetica alla facoltà di Psicologia – facente parte i corsi di formazione umana integrale previsti dall’Università come integrazione al curriculum ordinario per arricchire il bagaglio culturale dello studente – adotta il manuale di Elio Sgreccia, testo riconosciuto a livello internazionale dalla comunità accademica per il suo alto valore scientifico oltre che pionieristico della disciplina stessa.

Secondo la giornalista de “La Stampa”, i valori coerenti con il personalismo ontologicamente fondato, ovvero la linea antropologica di riferimento del Manuale, sarebbero “dittatoriali”, “paternalistici”, frutto di “fanatismi religiosi ormai superati”, mediante i quali la Chiesa “insegnerebbe a contrastare le leggi” dello Stato e, dunque, non andrebbero proposti ai giovani universitari. E già qui si potrebbe chiudere il nostro commento, perché livelli del genere non meritano repliche. Ma per amore di scienza e di giustizia – prima ancora che per difendere quella libertà di espressione che evidentemente è passata di moda – è doveroso puntualizzare alcuni passaggi metodologici del Manuale.

Diciamo, innanzitutto, che chi di noi scrive testi scientifici sa benissimo che qualsiasi citazione deve essere rispettosa del testo di origine e dell’opinione dell’autore. Non così hanno riportato le questioni i giornalisti oltremodo ignari del benché minimo ragionamento bioetico, basato da Sgreccia, peraltro, sempre sul dato scientifico (il cosiddetto metodo “triangolare”). Il loro “taglia e cuci” di alcuni passaggi del libro, estrapolati dal contesto, ha restituito una visione a dir poco parziale e volutamente fuorviante di questioni come aborto, omosessualità e fecondazione assistita, presenti nel Manuale. Ebbene, niente di più lontano da quella basica dose di onestà intellettuale che dovrebbe essere parte integrante del lavoro dei professionisti dell’informazione.

Basta considerare la posizione di Sgreccia all’inizio del suo Manuale, infatti, per riconoscere chi ha il coraggio di fare scienza e chi si pregia di diffondere chiacchiere. Nell’edizione del 1993, quindi fin dalle prime edizioni del Manuale, si legge che «le finalità della Bioetica consistono nell’analisi razionale dei problemi morali legati alla biomedicina e della loro connessione con gli ambiti del diritto e delle scienze umane. Esse implicano l’elaborazione di linee etiche fondate sui valori della persona e sui diritti dell’uomo, rispettose di tutte le confessioni religiose, con fondazione razionale e metodologica scientificamente adeguata» (p. 51). Infatti, «il dialogo tra scienza e fede può avvenire soltanto con l’intermediazione della ragione che è comune riferimento per l’una e per l’altra. Di qui nasce ed è nata l’esigenza di una riflessione filosofico-morale anche in campo medico e biologico [n.d.r. la Bioetica]» (p.55).

Secondo Sgreccia, «la vita umana è anzitutto un valore naturale, razionalmente conosciuto da tutti coloro che fanno uso della ragione (..) In effetti, nel dibattito sull’aborto, si è rischiato di pensare che si trattasse di un problema di fede o non fede, mentre la vita umana è tale per tutti gli uomini e l’obbligo di rispettarla è dovere dell’uomo in quanto uomo, non soltanto in quanto credente» (pp.54-55).

Proprio il modo di procedere di Sgreccia, rispetto ad altre scuole o modelli, realizza la vera essenza della Bioetica, non a caso strettamente connessa con la Filosofia, e ne mostra la grande valenza educativa. Così impostata, la riflessione bioetica, caratterizzata oltretutto dall’incontro interdisciplinare di diverse discipline, e sviluppata non come mera “casistica” o applicazione pratica di principi sullo stile anglosassone, corrisponde esattamente a quanto il Comitato Nazionale per la Bioetica nel 2010 raccomandava come “educazione alla Bioetica”, «condotta in modo da garantire alle giovani generazioni la preparazione di base per partecipare attivamente al dibattito bioetico (..), portata avanti progressivamente, in modo coerente con la gradualità dello sviluppo del senso critico e del giudizio morale, facendo corrispondere a tale sviluppo lo studio delle tematiche riguardanti i principi della scienza nonché le problematiche etiche e giuridiche, nel contesto storico e sociale»(qui).

Allora, qual è il problema di presentare la questione bioetica sotto le varie prospettive del panorama scientifico, e dunque anche quella cattolica, adottando un testo di riferimento – di fatto l’unico – che già al suo interno presenta le varie tesi in modo critico e completo? Non dovremmo piuttosto considerarlo un dovere da parte del docente? I rischi veri per la ragione e per la libertà storicamente scaturiscono dal pensiero unico, non dal dialogo o dal confronto e derivano semmai da posizioni lesive nei confronti della dignità persona umana, anni luce evidentemente da quella di Sgreccia.

Che sta succedendo dunque? Come scriveva Francesco Paolo Casavola «Non abbiamo avuto nella nostra storia esempi positivi del pensiero unico nelle Università; quando ci sono stati è perché c’era privazione di libertà in tutto il Paese». Si sperava che quei tempi bui fossero tramontati, ma evidentemente non è così. E a fine anno una riflessione su questo è qualcosa da cui non possiamo proprio esimerci.

FONTE: https://www.sabinopaciolla.com/__trashed-4/

 

 

 

Trincia, Umanesimo europeoSigmund Freud e Thomas Mann

di Stefano Virgilio

Francesco Saverio Trincia: Umanesimo europeo. Sigmund Freud e Thomas Mann, Scholè, 2019

9788828400370 0 0 573 75Umanesimo europeo. Sigmund Freud e Thomas Mann, ultimo lavoro di Francesco Saverio Trincia, uscito nei tipi di Morcelliana/Scholè (2019), è un denso e interessante tentativo di riscoprire alcuni tratti della portata filosofica (termine particolarmente significativo, considerando la diffidenza di Freud nei confronti della filosofia) della psicoanalisi freudiana alla luce del filtro interpretativo di Thomas Mann. Parallelo a tale riscoperta è il proposito di fare chiarezza e di reinterpretare alcuni aspetti del pensiero freudiano in modo tale che, senza facili sensazionalismi o avventurismi ermeneutici, vi si possano accostare categorie apparentemente lontane, attraverso un metodo che procede senza contrapporre elementi opposti (ad esempio “razionalità e irrazionalità”, “progresso e regresso”), bensì mostrando “hegelianamente” una loro reciproca implicazione ossimorica.

Sotto questo punto di vista, degno di interesse è già il titolo, che associa il concetto di “umanesimo” al padre della psicoanalisi. Tale nesso, infatti, non appare affatto immediato, e non è un caso che l’autore dedichi al «senso del problema» l’intero primo capitolo, nel quale illustra gli scopi del lavoro e il percorso attraverso il quale si propone di raggiungerli. Trincia cerca di mettere a fuoco il modo in cui si può parlare di “umanesimo” all’interno del pensiero freudiano e, va detto, si tratta di un’impresa non facile, non foss’altro per il fatto che «Freud non definisce se stesso mai “umanista”. Nessuna dottrina e tanto più nessuna retorica o ideologia dell’uomo è presente nel suo universo concettuale e clinico» (p. 12).

Siamo quindi di fronte a un primo apparente paradosso: ricercare un umanesimo che “non c’è”. Trincia affronta la sfida col supporto essenziale di due saggi di Thomas Mann (uno dedicato direttamente a Freud e uno su Nietzsche), di cui si serve per individuare la presenza di un progetto umanistico all’interno del pensiero di Freud.

Tale sfida richiede, in virtù di quanto appena detto, non solo un notevole lavoro esegetico, ma anche e soprattutto un metodo di ricerca particolare, che

scopra la presenza dell’umanesimo analizzandone l’assenza. In altri termini, poiché non si può rintracciare in Freud una qualche compiuta “antropologia psicoanalitica”, Trincia si propone di ricavare le risposte indirette alla questione sull’uomo attraverso silenzi, negazioni e appunto assenze: la sua convinzione è che, se in effetti non esiste un umanesimo di Freud in Freud, è vero anche che una declinazione freudiana della categoria di umanesimo può emergere lavorando sull’ipotesi che esso sia «una sorta di inconscio che ne condiziona dall’interno il vario configurarsi» (p. 14). Lo stesso vale per la ricerca di un’assiologia freudiana: Trincia ne ricerca le tracce nonostante il fatto che neanche ai valori Freud abbia dedicato una diretta attenzione tematica.

La proposta interpretativa di Trincia ha comunque alcuni autorevoli precedenti. Si pensi per esempio a quei “lumi oscuri” di cui parlano Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’Illuminismo: il riferimento può sembrare banale, dal momento che si tratta di un’opera in cui Freud è largamente presente, ma Trincia non si limita a far notare che anche Freud, pur demolendo l’idealità del progresso di stampo illuminista, «combatte l’alienazione per indicare all’uomo la via della ragione e dell’intelletto» (p. 21). Invece, sottolinea che a questa duplicità ambigua di spinta verso il progresso e di critica dell’idea di progresso fa da contraltare una duplicità fondamentale insita nell’uomo stesso, nel quale le pulsioni tendenzialmente divergenti danno vita a un “intreccio assiologico” che, pur tra ostacoli e resistenze, sta alla base di un significativo anelito morale alla trasformazione, che è uno dei concetti portanti dell’intero lavoro. Tale intreccio evidenzia infatti tutte le peculiarità di un umanesimo, quello freudiano, che appunto si fonda su una “trama” amara e antieroica, così che, se in un certo senso vale per Freud il rimbaudiano “Io è un altro”, questa descrizione dell’io non preclude affatto all’emergere di un umano, sebbene lacerato e mai compatto (e anche per questo caratterizzato, come detto, da una nascostezza che lambisce l’assenza). In altri termini, sebbene l’uomo si configuri essenzialmente come Spaltung, è proprio nel contrasto che egli trova la spinta per superare se stesso, e che i suoi valori si scoprono insiti in pulsioni che, proprio per questo, hanno una dimensione assiologica.

Prova ne sia che, in quest’io lacerato, l’istanza morale non scompare. Naturalmente essa si configura in modo diverso rispetto all’istanza morale per antonomasia, ovvero quella rappresentata dal Sollen kantiano; conseguentemente, di normativismo morale tout court in Freud non si può parlare. Tuttavia, si può parlare, secondo Trincia, di «atmosfera normativa», sebbene avente caratteristiche che a Freud stesso sembrano sfuggire1. Trincia parte dalla negazione da parte di

Freud dell’originarietà della coscienza morale, che è elemento centrale dell’etica kantiana e che invece per Freud è un prodotto derivato dalla reazione alla colpa (il Super-io gioca in questo passaggio, evidentemente, un ruolo determinante). A partire da questa negazione, desumibile in maniera netta dai testi freudiani, Trincia giunge a sostenere che l’impostazione freudiana apre, in un certo senso più di quella di Kant, lo spazio per un elemento importante sul piano dell’umanesimo morale, e cioè, come visto, proprio l’attitudine trasformativa, «una preoccupazione nei confronti di ciò che l’uomo è, deve essere, deve fare, deve creativamente produrre per trasformare il mondo a partire dalla profondità complessa della propria psiche» (p. 26), laddove invece, paradossalmente, l’istanza morale kantiana si impone mentre resta autonoma. Si tratta di un punto fondamentale, che merita una ricostruzione complessiva, anche per meglio cogliere il suo legame col problema dell’assiologia freudiana.

Trincia sottolinea che, essendo indiscutibile il fatto che non si parla di etica solo a partire da una presunta capacità intrinseca all’essere umano, che illumini l’esperienza morale attraverso categorie razionali, è possibile ricollegare anche al resoconto freudiano una riflessione su un nesso problematico come quello tra “morale” e “verità”. In questa operazione gioca un ruolo importante il già citato “filtro” di Mann, specie del suo saggio del 1929, La posizione di Freud nella storia dello spirito moderno. Secondo Mann, infatti, in Freud (che ha ribadito in più occasioni il fatto che, come scienza, la psicoanalisi non può non porsi l’obiettivo di una verità) coesistono da un lato il coraggio di affrontare il problema della verità e dall’altro la discesa nell’inconscio irrazionale, senza che vengano inopinatamente gettate via le possibili soluzioni al problema nel momento in cui si riconosce la centralità dell’inconscio anche nell’esperienza etica umana (e mostrando invece un “rispetto anti-kantiano” per l’uomo come complessità “misteriosa e demonica”). Si tratta, come si vede, di una piccola “rivoluzione” che meglio si comprende tenendo presente il legame che Freud ha non solo con Schopenhauer (è innegabile che la linea Schopenhauer – Nietzsche gli fornisca suggestioni fondamentali) ma anche, per non limitarsi al campo filosofico, con Ibsen (e se è superfluo sottolineare la centralità del concetto di “verità” in Ibsen, lo è forse un po’ meno ricordare l’interesse di Freud per certi personaggi ibseniani, in particolare la Rebekka di Rosmersholm).

L’analisi freudiana, dice Mann, apre dunque a un senso della “verità”, una verità inaudita, in cui a recitare un ruolo fondamentale sono anche il mito (la «vita mitica modellata dall’inconscio») e il gusto, a tal punto che ad essa non accede solo «l’uomo del vero» – lo scienziato – ma anche, appunto, l’uomo del gusto, ovvero il poeta (non casuale è il riferimento a Novalis, poeta e pensatore che anticipa “inconsciamente” Freud nel delineare quella che, come si vedrà a breve, può essere chiamata «filosofia della consapevolezza»2). D’altronde, connesso al valore e al senso dell’impresa per la verità, vi è un legame con la sofferenza (e la malattia) che è elemento centrale della capacità creativa, sia scientifica che poetica, come Nietzsche sapeva più di ogni altro (suona quindi particolarmente appropriata nei suoi riguardi l’espressione di Mann «amarezze della verità»): Mann definisce Nietzsche un genio «a cui sfugge, a motivo della sua genialità, la conoscenza di sé e della propria, costitutiva malattia» (perché la genialità, sana o malata che sia, non è mai riflessiva) (p. 177).

Si configura quindi (coerentemente col modus operandi di Trincia) un’interessante compenetrazione reciproca tra “consapevolezza” e “modestia”, intesa non remissivamente come rinuncia alla grandezza dell’uomo in quanto padrone di sé, bensì in un senso più vicino all’etimologia originaria della parola (Bescheidenheit viene da Bescheidwissen, cioè “giudicare rettamente”, e solo successivamente diventa moderatio): l’inconscio, per così dire, segna il limite tracciato dalla ragione-non-solo-cosciente, un limite che tocca l’inconscio, ma non lo riduce a sé né vuole tradurlo nel suo vocabolario, e per di più, per i motivi già detti, mostra importanti potenzialità proprio in quanto limite. Si tratta di una riflessione densissima di conseguenze e che fa leva su posizioni filosofiche di grande rilievo: si potrebbero riconoscere al suo interno almeno tre echi fondamentali, ovvero quello kantiano della delimitazione-fondazione, quello hegeliano della compenetrazione autocosciente del sé e dell’altro-da-sé (come Hegel spiega magistralmente nelle lezioni su Platone, ciò che è debole soccombe quando sovviene l’Altro, mentre il forte – lo spirituale – «può sopportare la suprema contraddizione»), e infine quello della metafora nietzscheana dell’albero nello Zarathustra, secondo cui solo se le radici affondano in basso, i rami possono essere slanciati verso l’alto.

Per questi motivi, e venendo a una delle tesi centrali del libro, Trincia non contesta lo status di Freud come pensatore genericamente anti-razionalista (e sarebbe del resto difficile farlo, se ci atteniamo alla definizione tradizionale di razionalismo): tuttavia, egli segue Mann nel sostenere che tale anti­razionalismo va inquadrato in una prospettiva nuova, perché è caratterizzato da una “consapevolezza razionale”. Infatti, è vero che Trincia parla di una talvolta affiorante «forzatura di Freud da parte di Mann in senso umanistico», ma è di primaria importanza che Freud, per Mann, rende (e questo è umanesimo) l’umanità più conscia della sua libertà proprio attraverso gli ostacoli dell’inconscio, tanto che (ed è un punto da sottolineare con veemenza) il traguardo futuro gli pare possa essere «la vittoria della ragione e dello spirito». Infatti, così come si può dire, superficialmente, che la pulsione prevale sull’intelletto, in realtà va anche sottolineato come «la voce dell’intelletto è debole, ma non tace finché non si è fatta ascoltare» (p. 47): in altre parole, si potrebbe dire che essa perde le battaglie ma può vincere la guerra.

D’altronde, in una prospettiva ancora evidentemente ossimorica, per Mann le categorie stesse di “progresso” e “reazione” si implicano a vicenda, dal momento che nessun periodo storico è segnato da pura progressività o pura reazione. Quindi, nel momento stesso in cui si accetta la possibile distruzione di un ordine razionale da parte dell’azione psicoanalitica, si mette in gioco il problema di una prassi umana che sia – di nuovo – migliorativa, in quanto fondata sulla coscienza e su una caratteristica della psicoanalisi che risulta qui decisiva: la capacità di mantenere il passato nel e come presente, cancellando lo schema movimento-arresto-restaurazione e scardinando il consueto rapporto tra progresso e regressività. Per questo, la scienza dell’inconscio può essere vista come terapia: perché è una cultura trasformativa dell’intera umanità attraverso il riconoscimento non dell’impotenza della ragione, ma della concezione di una ragione “altra” che non sia timorosa (anzi, tornando a quanto detto sopra, abbia il coraggio) di accettare la potenza dell’irrazionale.

Non v’è dubbio che ci sia Nietzsche, sullo sfondo di questa riflessione, come Trincia spiega nel capitolo dedicato al filosofo tedesco, tradizionalmente considerato un anticipatore di Freud (che, ricordiamolo, lo stimava più di quanto facesse con la quasi totalità dei filosofi, ma che comunque e coerentemente soprattutto lo criticava). In realtà, ciò è vero in questo caso non tanto perché entrambi respingono anti-kantianamente l’altruismo morale (visto anche il fatto che, Trincia lo scrive in una nota di grande rilievo, neanche la morale di Kant è altruista) (p. 156), e nemmeno principalmente per via del ruolo dell’Ts, bensì soprattutto in considerazione di due fattori: innanzitutto, entrambi accettano il compito (che va definito “morale”) di andare oltre la cosiddetta «nausea della conoscenza», una nausea che scuote una connessione consolidata in filosofia, quella tra “sapere” e “desiderio di sapere”; in secondo luogo, in nessuno dei due la rottura della trasparenza della coscienza razionale equivale a un accecamento dell’intelletto.

Ma proprio con riferimento a questo secondo punto le strade di Nietzsche e Freud si separano, con conseguenze davvero notevoli: per dirla con Mann, Freud riesce dove Nietzsche fallisce. Entrambi, infatti, hanno preso le mosse dall’estetismo antiborghese, ma Nietzsche ci è rimasto immerso fino alla fine, così che la sua prospettiva, nonostante appunto non scada in un generico e ingenuo irrazionalismo, si arresta a una romantica “esaltazione” del male, che rischia comunque di trascinare la ragione in un fondo oscurantista, conseguenza che, invece, la concezione di humanitas di Freud riesce a evitare. Secondo Mann (che comunque definisce il filosofo tedesco «il più grande critico e psicologo della morale che la storia della cultura conosca») la psicoanalisi freudiana presenta quindi, rispetto al “martello” nietzscheano, un vantaggio decisivo sotto almeno tre punti di vista (che nel lavoro di Trincia si intrecciano continuamente).

In primo luogo, quello (per nulla secondario) relativo alla malattia e alla sofferenza: la scienza di Freud riesce infatti a oggettivarsi di fronte al suo creatore, laddove Nietzsche, nel quale volontà di farsi spirito libero e missione filosofica fanno tutt’uno, si sobbarca pesi a cui non è in grado di fare fronte e che di fatto lo portano all’auto-crocifissione. I due temi sono assolutamente legati, perché l’autoesaltazione nietzscheana dello Zarathustra, tragica conseguenza del suo insegnamento secondo cui la filosofia non è astrazione, ma sacrificio per l’umanità, non è solo effetto di una malattia, ma anche causa di uno smarrimento della ragione che ha conseguenze morali (e dunque per Mann non è lecito). Zarathustra diventa così per Mann (forse eccessivamente severo nella conclusione, ma coerente nel trarre le conseguenze delle sue premesse di partenza) un “fantasma” falsamente grande.

In secondo luogo, quello della concezione del rapporto tra progresso e regressione: Freud infatti, a differenza di Nietzsche, non esalta il negativo, cioè la vita psichica, in opposizione a una dimensione “falsa” (in questo caso quella della coscienza). L’inconscio si configura quindi già nella vita, che si manifesta appunto come regressività-progressività, e non c’è più bisogno del filosofo trasvalutatore per tirare fuori questo negativo. Allo stesso modo, Freud non ha bisogno di elaborare una storia decostruttiva della cultura che a Nietzsche appare invece necessaria (almeno quanto il fatto che sia lui a compierla).

In terzo luogo, quello dello sguardo sulla dimensione non morale. Nel vitalismo di Nietzsche, la volontà di potenza cui questi guarda estasiato si presenta come immorale (ma forse bisognerebbe dire “amorale”), mentre Freud non solo sa evitare l’enfasi sull’immoralità, ma anche trascendere la dimensione biologico-vitale per poterla osservare criticamente. Inoltre, Nietzsche svaluta completamente l’etica (perché la contrappone alla “vita” in modo per così dire manicheo) mentre Freud le riconosce un ruolo utile proprio nel momento in cui descrive il disagio della civiltà.

Proprio a partire da questo terzo punto si può infine richiamare il tema, particolarmente importante per la costruzione (o piuttosto svelamento) dell’umanesimo freudiano, del rapporto tra Freud e il valore: Trincia sottolinea infatti come, all’interno di un’interpretazione della civiltà certamente di stampo realista, Freud operi una trasvalutazione non dei valori, ma del concetto stesso di valore.

Fondamentale è il fatto che sui valori dell’uomo lacerato e “scisso” descritto da Freud incombano innanzitutto la caducità e l’incombere della morte, che da un lato li mettono a rischio proprio in quanto valori, ma dall’altro sono la condizione “del loro permanere non usurabili” e quindi del loro sottrarsi alla distruzione, riaffermandosi su un piano che Freud non definirebbe “trascendente” ma che di fatto è tale: in altri termini, essi coincidono sì con la minaccia della morte, ma per superarla, restando al contempo valori al suo cospetto. Trincia parla di pietas per riferirsi all’ergersi della trascendenza, della continuità e della resistenza al declino e alla morte da parte della sfera morale e più propriamente assiologica dell’uomo. Tale resistenza, si badi bene, non si oppone all’inconscio; al contrario, è proprio quest’ultimo a indicare l’essenza antagonistica del valore rispetto alla fine naturale delle cose, ed è dunque l’inconscio stesso a contenere una forma di normativismo etico che si configura innanzitutto come resistenza alla consumazione e alla morte. Tale normativismo è alla base di un umanesimo inteso perciò anche come insieme dei valori che non soccombono alla morte, di cui è portatore appunto un «uomo della pietas» che sa sopportare l’inconscio e la caduta della centralità della coscienza proprio perché ciò permette l’apertura a quella che, suggestivamente, Trincia chiama «morte immortale»3.

Naturalmente, si tratta di una trascendenza da intendere in senso peculiare, allo stesso modo del suo rapporto col concetto di “valore”. Freud, come è noto, sottrae alla religione il ruolo di “presidio esclusivo” del valore, ma rispetto ai critici settecenteschi e ottocenteschi della religione (“grandi”, ma tra i quali non vuole essere annoverato proprio per la diversità del suo approccio) egli va oltre la sua “semplice” confutazione, perché si concentra sul suo senso, non sulla sua verità, e quindi tenta di superarla non cancellandola, ma, in puro stile psicoanalitico, trasformandola in discorso. Inoltre, il valore freudiano della Kultur, in particolar modo, non viene decostruito né distrutto, bensì “sfidato dall’interno”, nel momento in cui – di nuovo, ossimoricamente – ospita al suo interno il suo avversario (questo sì, “distruttivo”).

In sostanza, il lato difensivo della costrizione e della rinuncia può configurare – anche più esplicitamente di quanto sembri nel testo di Freud – un bastione, una “gabbia assiologica” che fa della Kultur stessa un blocco valoriale, pur nella sua ambivalenza. Potremmo quindi dire, traendo le conclusioni del discorso di Trincia, che il compromesso e la resistenza alla distruzione sono la cifra fondamentale di un’etica che può essere definita “anti-etica”, purché la seconda parte del termine composto abbia almeno tanto risalto quanto la prima, e non venga invece a essa sacrificata: la sfida del mantenimento dell’equilibrio psichico di fronte alle pulsioni all’interno del singolo individuo e al contempo all’interno della civiltà rende il valore della Kultur un valore desacralizzato, umano e ambivalente, ma in un contesto assolutamente etico, caratterizzato dall’intrecciarsi a livello personale e sociale di spinte contrapposte e coabitanti, nelle quali è impossibile individuare il polo positivo e quello negativo. In tal senso, seguendo la linea “stato di natura-civiltà-difesa-repressione”, ogni elemento si spiega solo nel rapporto con gli altri, e in base a tale rapporto acquisisce il suo valore, così che la rinuncia pulsionale, necessaria per la vita associata, è un valore sebbene sia una nevrosi, e la trasvalutazione della religione (più che la sua negazione) porta a un progresso nel senso di un genuino umanesimo proprio perché compiuto (nell’immanenza) nel momento stesso in cui l’uomo rinuncia alla sua onnipotenza terrena, non sostituendo alcuna religione nuova a quella trasvalutata.

In questo continuo richiamarsi di alcuni dei temi fondamentali dell’opera, spicca una conclusione (di nuovo assolutamente etica) particolarmente significativa e con essi del tutto coerente: non si parla più di un uomo che ha valori, ma che è valore, nel senso proprio dell’umanesimo nella sua versione freudiana. Una versione che, fondamentalmente, valorizza la sfida dell’essere umano a se stesso (un essere in cui la ragione non nega e non domina l’altro da sé) non nonostante si fondi su un’atavica debolezza dell’uomo e sulla sfiducia nel progresso come prospettiva di una vittoria di un qualche ordinamento morale (o, nietzscheanamente, extramorale) del mondo, ma proprio per questo. Uno sguardo realista e disincantato, quello di Freud, che però, come Trincia fa bene a ricordare, non preclude a uno sguardo sul futuro che porti in sé una speranza; di nuovo, non si tratta di essere progressisti (à la Kant) o pessimisti. Se ben interpretiamo la proposta umanistica di Freud, il progresso di cui egli parla è basato su un ultimo, decisivo ossimoro: comprendendosi come essere portatore di coesistenti contraddizioni e cercando il modo di conviverci costruttivamente, l’uomo fa un passo avanti solo nel momento in cui ne fa uno indietro.


Note
1 Trincia tocca qui un tema che gli è particolarmente caro, al quale ha dedicato un saggio spe­cifico (Kant dopo Freud) e di cui ha trattato alcuni aspetti anche in un altro lavoro sulla “morte” dell’etica in Freud. Si noti en passant che la parola “atmosfera” pare particolarmente calzante, visto che si tratta di un qualcosa che spesso percepiamo senza che propriamente siamo in grado di dire come l’abbiamo percepito, o che sentiamo un’atmosfera di un certo tipo senza che appa­rentemente ci siano degli elementi oggettivi che giustifichino la nostra percezione: appunto, un’assenza che “ci parla”.
2 Trincia, qui, segue Mann nel dichiarare che il freudismo, preceduto in modo appunto meno consapevole dal romanticismo, mira «non ad un aggiustamento compromissorio dei sintomi nevrotici dei singoli, ma all’istituzione di un ordine emanante da un superiore equilibrio vitale dell’umanità in quanto tale» (p. 58).
3 Nella trattazione della pietas si intrecciano due tematiche alle quali Trincia si è spesso inte­ressato, ovvero il problema della “trascendenza” dei valori, ricorrente nelle sue opere di etica (si pensi a Il governo della distanza), e il tema della caducità, affrontato da ultimo nel saggio Il pensiero come pietas, del 2016.

FONTE: https://sinistrainrete.info/cultura/19466-stefano-virgilio-trincia-umanesimo-europeo-sigmund-freud-e-thomas-mann.html

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE I media italiani si aggrappano al “negazionista pentito”
Francesco Santoianni – 5 01 2021

Grande enfasi su tutti i media per le dichiarazioni del “negazionista pentito” Daniele Egidi, da lui rilasciate per telefono al Resto del Carlino:

“Sono attaccato all’ossigeno ma respiro ancora male. La polmonite c’è. Volevo anche dire che sul Covid-19 non avevo capito niente o non volevo capire niente. Rifiutavo inconsciamente l’idea che la pandemia fosse grave, minimizzavo culturalmente l’ emergenza sanitaria. Appena arrivato in ospedale, prima ancora di andare in camera, ho visto passare davanti a me 7 codici rossi per covid, cioè sette persone gravissime che avevano la precedenza. Lì, in quel momento, mi sono detto che ero stato fuori dal mondo, cieco di fronte alla realtà. Forse è anche brutto dirlo e nemmeno giusto ma per rendersi conto davvero su ciò che stiamo vivendo, bisogna passarci. Ho visto che non c’era nulla di inventato in quelle immagini televisive degli ospedali stracolmi, delle terapie intensive al collasso, degli ospedali da campo, della gente che muore. Sto cercando di capire perché rifiutavo di accettare l’allarme per il Covid-19. Forse non condividevo la gestione dell’emergenza, pensando che ci fosse un altro modo, e questo mi portava a non dare reale importanza alla pandemia. E poi sminuivo il lavoro sanitario, quei medici e infermieri che come palombari curavano i malati. Li credevo più o meno attori magari inconsapevoli di una generale messinscena. Invece è tutto vero. Vederli impegnati allo spasimo per noi, a loro rischio, visto che anche oggi 4 infermieri sono risultati positivi, è una sensazione straordinaria. Mi si è spalancato un mondo che nemmeno immaginavo, qui tutto segue una logica e un suo percorso. Se posso dare un giudizio a quello che sto vivendo qui dentro, dico non sempre va messo in discussione quello che ci capita, bisogna fidarci e affidarsi agli altri. Io non mettevo la mascherina fuori dal lavoro, la ritenevo inutile, una recita anche se non avevo comportamenti contrari alla legge. All’esterno semplicemente non la mettevo per scelta. Ma solo ora, qui, ho capito che sbagliavo”.(…) Ieri, al San Salvatore, non c’era nemmeno più l’acqua per i ricoverati. Ho dovuto chiamare un negozio di mia fiducia per farmi portare 10 bottiglie al pronto soccorso. C’è anche quest’emergenza, che spero venga superata. Niente è facile qui dentro: né bere né respirare”

Una dichiarazione davvero lunga per uno che respira male.

Ma poi è credibile che in un ospedale non ci sia acqua per i ricoverati tanto da fargli telefonare ad un negozio di fiducia per farsi mandare dieci bottiglie al Pronto soccorso? Al Pronto soccorso? Ma non era ricoverato in un reparto Covid (“Appena arrivato in ospedale, prima ancora di andare in camera, ho visto passare davanti a me 7 codici rossi per covid, cioè sette persone gravissime che avevano la precedenza”)? E poi, quando e dove Daniele Egidi avrebbe espresso le sue tesi “negazioniste”? Può essere che qualcosa mi sia sfuggita, ma dopo un’ora passata sui social l’unico suo post a riguardo che ho trovato (su Twitter) risale al 26 maggio e non mi sembra affatto di tono “negazionista”. Del resto, stessa sfortuna deve essere toccata ai tanti giornalisti che non documentano affatto la “criminale” attività di Daniele Egidi limitandosi a ripetere a pappardella quanto già pubblicato sul Resto del Carlino.

Un’altra bufala come per il mitomane “negazionista” americano Tony Green la cui cena in famiglia avrebbe provocato una decina di contagiati e la “morte della suocera”? Può essere. Intanto aspettiamo qualche ragguaglio dai tanti giornalisti che ci hanno illuminato sulla redenzione di Daniele Egidi, “negazionista pentito”.

Francesco Santoianni
FRANCESCO SANTOIANNI
Cacciatore di bufale di e per la guerra. Autore di “Fake News. Guida per smascherarle”

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_media_italiani_si_aggrappano_al_negazionista_pentito/6119_39001/

 

 

 

L’ultimo tweet di Mr.Trump

La notizia delle notizie, secondo chi Vi scrive, è che un social abbia potuto bloccare, per ben dodici ore, (e con minaccia di inibire per sempre l’ uso del social stesso) la “pagina” del Presidente della Repubblica più potente del mondo. Mai avrei pensato, qualche tempo fa, infatti, di sentire un simile comunicato.

Guarda caso, prima di cambiare canale, avevo appena finito di guardare una puntata dellla serie “The Crown”. L’ episodio in questione – se non ricordo male si intitolava “ Fumo negli occhi” – illustrava le liturgie, per noi oramai incomprensibili, della monarchia all’ atto della incoronazione della giovanissima regina Elisabetta. In particolare il tutto culminava con l’unzione della sovrana, (circa settanta anni fa), da parte di Dio e per mano dell’ arcivescovo di Canterbury. A quel punto, essendo stata unta dal Signore, Elisabetta cessava di essere se stessa per divenire prima di tutto la monarca, tanto da pretendere e ottenere che Filippo, il di lei marito obtorto collo, si dovesse genuflettere e giurare assoluta fedeltà (a costo della propria vita) in segno di massimo rispetto e totale sottomissione alla corona inglese. Poco importava che nello specifico quella corona fosse poggiata sul capo della moglie. Allora, “l’ unica trasgressione” era costituita dalla presenza, per la prima volta nella storia inglese, della televisione

Quella stessa televisione che dopo circa settanta anni, da quei “fatti” così lontani, mostrava un signore, apparentemente un selvaggio, sedicente sciamano, ricoperto da pelli e non privo soprattutto, come spesso capita, di due belle corna sulla testa, invadere il tempio di una delle democrazie mondiali.

Morale della favola: la differenza per non farsi bannare da un social è indossare una bella corona piuttosto che ostentare due bellissime corna proprie o in prestito? Ed a questo punto, chi può dare più lezioni di democrazia, visto che non solo i vichinghi li abbiamo esportati noi ma soprattutto le corna in politica?

FONTE: https://www.infosec.news/2021/01/07/wiki-wiki-news/lultimo-tweet-di-mr-trump/

 

 

 

DIRITTI UMANI

Le storie sulla “mutazione” del Covid fanno capire che i lockdown sono destinati a durare ancora a lungo

Brandon Smith – 03 01 2021
alt-market.us

Da molti mesi ormai avverto che il progetto che sta alla base dei lockdown pandemici non è di tipo temporaneo e che l’INTENZIONE è quella di renderli permanenti. Possiamo capirlo dai pretesti che le élite al potere usano per promuovere i loro mandati; il loro argomento preferito è che le restrizioni pandemiche sono la “nuova normalità “. Questa affermazione è ribadita da globalisti come Gideon Lichfield del MIT che, nel suo articolo “We’re Not Going Back To Normal “, afferma:

“In definitiva, tuttavia, prevedo che ripristineremo la capacità di socializzare in modo sicuro quando avremo messo a punto modi più sofisticati per identificare chi è a rischio di malattia e chi non lo è, discriminando, legalmente, chi lo è.

…si può immaginare un mondo in cui, per prendere un aereo, dovrete probabilmente disporre di una app per il tracciamento dei contatti nel vostro telefono. La compagnia aerea non sarebbe in grado di controllare i vostri spostamenti, ma riceverebbe un avviso se foste stati vicino a persone infette o se vi foste recati in zone particolarmente ‘calde’. Ci sarebbero requisiti simili per poter accedere alle strutture pubbliche, agli edifici governativi e ai mezzi di trasporto collettivi. Ci sarebbero scanner della temperatura ovunque e il datore di lavoro potrebbe obbligarvi ad indossare apparecchiature per il monitoraggio della temperatura corporea o di altri parametri vitali. Se, fino ad ora, nei bar si verificava all’ingresso l’età degli avventori, in futuro potrebbe essere necessaria una prova di immunità, una carta d’identità o una sorta di verifica digitale tramite smartphone, che dimostri che si è guariti o che si è stati vaccinati contro l’ultimo ceppo virale.”

Nel mio articolo “Waves Of Mutilation: Medical Tyranny And The Cashless Society “, avevo smontato le argomentazioni di Lichfield sottolineando il fatto che i controlli che l’establishment sta cercando di mettere in atto erano già stati pianificati con largo anticipo. Il cosiddetto “Grande Reset ” e la “Quarta Rivoluzione Industriale” sono in fase di sviluppo almeno dal 2014, quando questi termini erano stati usati per la prima volta dai principali media economici. Il concetto di una società senza denaro contante, l’”economia della condivisione “, la sorveglianza biometrica di massa, i punteggi di credito sociale, ecc., fanno parte dell’agenda globalista da decenni. Il coronavirus, per loro, è solo un’utile crisi da sfruttare come razionale per le misure draconiane che hanno sempre voluto.

Il piano era talmente prevedibile che, all’inizio dell’epidemia di coronavirus, avevo già fatto notare che i lockdown non sarebbero finiti anche se avessero messo a punto un vaccino efficace, perché tutto quello che avrebbero dovuto fare sarebbe stato dichiarare di aver scoperto una “nuova mutazione” del virus resistente ai trattamenti in atto. Oppure, per far avanzare la macchina del Reset, potrebbero progettare un virus completamente nuovo e diffonderlo tra la popolazione.

Non sorprende che, proprio quando si è diffusa la notizia che i vaccini di Pfizer e Moderna, a malapena testati e altamente sospetti, sarebbero stati resi disponibili al pubblico, sia subito trapelata la notizia di mutazioni “più infettive” del Covid scoperte nel Regno Unito, in India e in Sud Africa.

Più trasparenti di così le élites non potrebbero essere.

Se acconsentirete a farvi iniettare il vaccino di Pfizer potreste ricevere un passaporto di immunità valido per qualche mese, che diventerebbe inutile alla successiva mutazione del virus. Dovreste quindi sottoporvi a CONTINUE vaccinazioni, molte delle quali con prodotti non testati e potenzialmente pericolosi. Come hanno avvertito l’ex vicepresidente di Pfizer e altri professionisti del settore medico, questi vaccini sono una roulette russa e potrebbero provocare una risposta autoimmune con gravi rischi di sterilità o di altre reazioni avverse.

I vaccini stessi, anche quando funzionano, sono una soluzione convenientemente di breve durata. Richiedono dosi mensili da ripetersi possibilmente più volte. In sostanza, non si finisce mai. Con le mutazioni e con gli anticorpi prodotti dai vaccini di così breve durata, l’élite potrebbe mantenere lockdown e restrizioni per molti anni a venire.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiarito che la vaccinazione non sarà sufficiente ad impedire la diffusione virale. Una cosa del genere significa che, anche da vaccinati, si sarà comunque considerati potenziali portatori in grado di trasmettitore il Covid, quindi lockdown e mascherine continueranno ad essere in vigore. Questo porta alla domanda: qual è lo scopo del vaccino?

Il ricercatore capo dell’OMS cita il fatto che non ci sono prove sufficienti che dimostrino che i vaccini impediscono la trasmissione virale. Con questa logica, potremmo anche sostenere che non ci sono prove che i vaccini siano efficaci al 95%, o che siano minimamente sicuri.

Nel frattempo, l’OMS e il nostro amichevole fascistello, il dottor Anthony Fauci, stanno diffondendo la narrativa che il “peggio dell’epidemia deve ancora arrivare. Bisogna continuare a tenere in marcia il treno della paura che avanza verso il “Grande Reset,” giusto?

A tutti quelli che credono veramente che la crisi del Covid finirà dopo le vaccinazioni di massa, mi dispiace dirlo, ma siete stati ingannati. Ogni singolo elemento della risposta dell’establishment e ogni loro dichiarazione pubblica indica che hanno tutte le intenzioni di violare le vostre libertà civili ancora per molto tempo. Le promesse di allentare la morsa? Tutte bugie. L’affermazione che se vi rassegnerete e andrete avanti, tutto tornerà alla normalità? È una balla. È vuota retorica progettata per farvi stare zitti e sottomettervi alla tirannia medica per  il tempo necessario a renderla irreversibile.

Sospetto che la loro speranza sia quella di poter condizionare nei prossimi anni il pubblico ad adattarsi alle restrizioni, fino a fargli dimenticare com’era la vita prima della pandemia e del reset. Tuttavia, sembra che il piano del reset globalista non stia andando a gonfie vele.

Le campagne di vaccinazione e le notizie sulle nuove mutazioni del virus sono state, a dir poco, affrettate. Inizialmente, l’establishment aveva detto che ci sarebbero voluti almeno 18 mesi solo per la sperimentazione e i test preliminari di un nuovo vaccino e che i lockdown sarebbero continuati ben oltre quel periodo di tempo, almeno fino a quando non fosse stato dimostrato che la maggioranza della popolazione aveva raggiunto l’immunità. Invece, nel giro di 6 mesi, hanno fatto uscire diversi vaccini e la storia della mutazione virale è già una notizia di cronaca.

Credo che questo sia dovuto al fatto che sta crescendo la resistenza ai lockdown pandemici e il numero di persone che rifiutano di farsi vaccinare sembra essere alto. Come si dice, la rivoluzione non la trasmettono in televisione, ma è impossibile nasconderla del tutto.

In Europa, un’enorme percentuale della popolazione (circa il 50% o più a seconda dei vari Paesi) esita a prendere il vaccino. Negli Stati Uniti, i sondaggi mostrano che almeno il 30% della popolazione si rifiuterà del tutto, mentre il 60% dubita della sua efficacia.

Anche numerosi operatori sanitari respingono il vaccino e queste sono le persone che devono affrontare la scelta fra sottomettersi alle pressioni o affrontare le conseguenze di un rifiuto.

Fatto curioso, i media sostengono che, sebbene ci siano state “alcune reazioni allergiche” all’iniezione, non ci sono “prove di gravi effetti collaterali a lungo termine“. Forse sarà perché NON ESISTONO STUDI sugli effetti a lungo termine e i vaccini sono stati registrati solo dopo una sperimentazione ridotta all’osso. Voglio dire, non avrebbe dovuto essere una cosa logica fare le cose per bene? Pensano davvero che siamo così stupidi?

Finora sembra che centinaia di milioni di persone non siano poi così stupide. Sorprendentemente, anche gli sceriffi e le forze dell’ordine di tutto il Paese si rifiutano apertamente di far rispettare i mandati e di sanzionare a norma di legge i cittadini che non si sottomettono. Questo è davvero un enorme ostacolo per i globalisti e il loro reset.

Il virus ha un IFR (Infection Fatality Ratio) dello 0,26% nelle persone non residenti in case di riposo e prive di comorbilità. Oltre il 40% dei decessi da Covid sono rappresentati da pazienti anziani che già soffrivano di numerose  patologie. Solo il 10% circa delle persone ospedalizzate a causa del Covid é portatore di patologie croniche (in atto da più di tre mesi). E, in tutti gli Stati Uniti, solo il 15% circa dei letti di terapia intensiva sono attualmente occupati, il che significa che le affermazioni di sovraffollamento e di ospedali al completo sono solo intimidazioni.

Considerate il fatto che centinaia di migliaia di persone muoiono già ogni anno per malattie infettive come l’influenza e la polmonite e che il Covid inizia a sembrare molto meno minaccioso. Non è certamente una scusa per i lockdown sanitari e le misure orwelliane di tracciamento dei contatti.

Inoltre, numerosi studi rivelano che l’isolamento e le mascherine sono del tutto inefficaci nell’arrestare la diffusione del virus. Gli stati e i Paesi con le restrizioni più severe tendono ad essere anche quelli con i più alti picchi di infezione.

Per questo motivo, è logico che molte persone rifiutino di attenersi alle normative. I media sostengono che sono teorici della cospirazione, secondo cui il virus “non esiste“, ma non è così. In realtà, da un po’ di tempo ho il sospetto che la narrativa secondo cui il virus “non esisterebbe” possa essere una psyop o un’argomentazione pretestuosa da utilizzare contro i movimenti libertari per screditare la resistenza ai lockdown sanitari.

La maggior parte di noi sa bene che il virus esiste. Alcuni di noi lo hanno anche sperimentato di persona e ne sono guariti. Quello che stiamo dicendo è che il CDC, l’OMS e le STATISTICHE STESSE della comunità medica dimostrano che Covid non è una vera minaccia per più del 99% della popolazione. Anche ammettendo che le loro statistiche non siano esattissime, il Covid è un non-problema per la maggior parte delle persone.

Ancora una volta, porrò la domanda che il mainstream si rifiuta di porre:

Perché al 99% della popolazione viene detto che deve sacrificare il proprio lavoro, le proprie attività e le proprie libertà in nome della sicurezza di meno dell’1% della popolazione? Perché non chiedere allo 0,26% delle persone minacciate dal virus di offrirsi volontarie per rimanere a casa, in modo che il resto di noi possa andare avanti con la vita normale? Perché facciamo il contrario di ciò che dice il buon senso?

Il fatto è che la risposta alla pandemia è una questione di predominio, non di salute pubblica. La gente comincia a rendersene conto e sta per ribellarsi.

Quindi, il prossimo passo logico per l’establishment, se vuole davvero rimanere fedele suo programma di reset, sarà quello di introdurre una nuova minaccia. Hanno bisogno di una “mutazione” del virus o di un virus completamente nuovo per creare quel tipo di paura necessaria a manipolare il pubblico e indurlo ad accettare ulteriori restrizioni.

Verrà scoperto un virus nuovo e più letale? Forse. Nella maggior parte dei casi i virus tendono ad evolvere in ceppi meno letali di quello di partenza. Tendono anche a bilanciare il tasso di diffusione con il tasso di mortalità. In altre parole, come qualsiasi altra creatura, i virus si evolvono per sopravvivere e un virus non può sopravvivere se uccide la maggior parte dei suoi ospiti potenziali. Mutano per diventare più infettivi, ma sempre meno mortali.

Se sulla scena dovesse comparire una “mutazione” più letale dell’attuale forma di Covid-19, sarei molto sospettoso sulle sue origini. Ciò che è più probabile è che le élite siano in preda al panico e che stiano usando la narrativa della mutazione come strumento di propaganda per intimidire e mettere in riga la popolazione. Potrebbe non esserci alcuna mutazione, o le mutazioni potrebbero non avere un’influenza significativa sul tasso di mortalità.

Ironia della sorte, accelerando i tempi dei vaccini e delle storie di mutazioni virali, le élite si sono date la zappa sui piedi. Volevano imporre i lockdown alla popolazione con una guerra lampo ma hanno incontrato una resistenza più forte del previsto. Così, hanno accelerato al massimo il programma di vaccinazione ed ora la gente è diffidente a farsi iniettare un prodotto a malapena testato. Hanno promosso lo spauracchio della mutazione, con l’unico risultato che ora la popolazione si chiede perchè dovrebbe farsi vaccinare. Se il virus muta in continuazione, perché allora assumere un vaccino discutibile che potrebbe rivelarsi inutile nel giro di pochi mesi?

Tutto ciò che la narrativa della mutazione fa è esporre ulteriormente le vere intenzioni delle elites: lockdown senza fine. Non c’è nessun programma per salvare vite umane o appiattire la curva dei contagi. L’intera argomentazione sulla salvaguardia della salute pubblica è una totale assurdità. Nulla di ciò che è stato fatto finora conferma l’idea che la salute pubblica sia la priorità. Al contrario, quello che stiamo vedendo è una folle corsa verso il totalitarismo utilizzando il Covid come pretesto, e lo sforzo sta fallendo.

Brandon Smith

Fonte: alt-market.us
Link: https://alt-market.us/covid-mutation-stories-show-that-the-lockdowns-are-designed-to-last-forever/

FONTE: https://comedonchisciotte.org/le-storie-sulla-mutazione-del-covid-fanno-capire-che-i-lockdown-sono-destinati-a-durare-ancora-a-lungo/

 

 

 

ECONOMIA

Just in case Vs Just in time

Tonguessy – 3 gennaio 2021

C’era una volta uno Stato che si prendeva cura dei cittadini. La nostra favola inizia così: nel patto per la Modernità ognuno aveva un ruolo con diritti e doveri. I cittadini si facevano in quattro, spostandosi dove il capitale aveva organizzato la loro vita industriale. Grazie all’impianto costituzionale i compiti erano assegnati scrupolosamente. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro secondo l’art.1, quindi ogni cittadino è chiamato a questo dovere. In cambio (art.32) la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.

Insomma il contratto si basava sulla reciprocità, il vecchio do ut des di diritto romano. Il Just in Case (lo si fa come precauzione, per prevenire danni possibili) si fonda proprio su tale reciprocità: nel caso succeda qualche problema ci si cautela con un dimensionamento abbondante. Se il massimo danno possibile è 10 ci si attrezza per 10 anche se normalmente il danno è solo 1. Just in case…..

Dal punto di vista commerciale questa era la prassi di gestione dei ricambi, ad esempio. Ogni rivenditore aveva un magazzino che sapeva offrire quanto l’attività richiedeva. Metti che ci siano due identiche rotture, si rende necessario almeno due pezzi di ricambio identici. Di solito non succede, ma just in case…..

Poi qualcosa cambia. La gestione delle risorse affonda le proprie radici nel terziario avanzato, ovvero nei servizi ad alto valore aggiunto, pilastro fondante del nuovo capitalismo. La logistica diventa preda dell’ottimizzazione, ovvero del taglio di quei “rami” che nel Just in Case erano importanti per garantire risultati positivi in caso di criticità e che nel nuovo sistema sono improvvisamente diventati secchi, quindi da tagliare.  L’economia occidentale tardo-industriale si basa, in buona sostanza, sull’affidabilità dei trasporti più che sulle scorte in loco.

Il tempo in cui questo avviene è quello della frantumazione dell’afflato modernista e dell’impetuoso affacciarsi sulla scena del capitalismo speculativo. La postmodernità sta entrando prepotentemente nelle nostre vite.

Alla base della filosofia del JIT qualsiasi scorta di materiale, semilavorato o prodotto finito è uno spreco, uno spreco di risorse economiche, finanziarie e un vincolo all’innovazione continua. Con il JIT si riducono enormemente i costi di immagazzinaggio, gestione, carico e scarico di magazzino.

Fu negli anni ottanta una delle principali cause del vantaggio competitivo giapponese. [1]

Esiste una coincidenza temporale: quando entra in funzione il JIT , inventato dalla Toyota, entra in funzione anche il capitalismo speculativo.

La prima notevole diffusione dei derivati si ebbe nel periodo 1989-1992, al termine del quale la loro consistenza complessiva arrivò a sfiorare i 20.000 miliardi di dollari.[2]

Le due manovre, quella riorganizzativa dei settori produttivi e quella speculativa sono sincronizzate. Lo Stato nel frattempo, aizzato da Maître à penser quali Dalla Luna (“Silvio Berlusconi…i suoi soldi gli consentono di fare politica senza dover soggiacere al marcio e inefficiente sistema precostituito” [3]) con Berlusconi al governo decide di non essere più stato ma azienda: la logica dello Stato, “marcio e inefficiente sistema” va inevitabilmente sostituita. Lo Stato deve diventare azienda. Privato è bello, e tutti nel mondo sembrano adorare le nuove regole di filosofia economica: Reagan, Thatcher, Prodi, Berlusconi… La deregulation è, secondo la Treccani, il “processo di snellimento di norme e regolamenti originariamente intesi a regolare, nell’interesse pubblico, determinati settori dell’attività economica.”[4]

Notate la finesse: snellimento nel nostro interesse. Una figata, insomma. Come non averci pensato prima? Snellire nel nostro interesse, nel vocabolario economico italiano, ha un cognome ben preciso: Cimoli.

Chi era costui? Un manager dalla carriera fulminante, arrivato ai vertici delle industrie italiane (Montedison, Montefibre, Enimont, Edison) per passare, grazie a Prodi, a “risanare” (a suon di stipendi milionari) le Ferrovie dello Stato, trasformate in Trenitalia.

I risultati dell’amministrazione di Cimoli sono deleteri e portano le Ferrovie Italiane al disastro economico e ad una totale inefficienza del servizio. Lascia FS nel 2004 con un premio di buona uscita di 6.700.000 euro e viene nominato dal governo Berlusconi al vertice della compagnia Alitalia.[5]

Se il “taglio dei rami secchi” ferroviari aveva generato disfunzioni epocali dovute alla filosofia del JIT (le pulizie ad esempio si fanno solo dopo insistenti lamentele, non preventivamente), allora valeva la pena di replicarle anche per l’altro sistema di trasporto nazionale, quello aereo.

Secondo i pm, Cimoli e soci volevano fornire al mercato un’apparenza di risanamento per ottenere un aumento di capitale di 1 miliardo di euro, che poi sarebbe lo scopo del taglio dei “rami secchi” in piena assonanza con il JIT neoliberista: avere un momentaneo guadagno per pochi a fronte di un duraturo svantaggio generale.

La dissipazione del patrimonio di Alitalia sarebbe avvenuta «attraverso attività e operazioni abnormi sotto il profilo economico e gestionale» che in sei anni e fino al 2007 avrebbero causato perdite per circa 4,7 miliardi di euro, fatto che non gli impedì di avere una buonuscita di 3 milioni di euro.[6]

Trovo significativa la carriera di Cimoli perché dimostra dove stia andando a parare la filosofia del JIT: dare ampia libertà di azione al motto “meno Stato, più privato” dove privato è sinonimo di efficienza e competenza. Beh, in quel film è così, nella realtà un po’ meno. Tant’è che addirittura Boeri, quando ancora era a capo de “La voce”, parlando di AD e CDA pubblicava frasi del tipo “tra emolumenti e utile generato non si riscontra una relazione diretta. Insomma, il costo di questi organi sembra largamente immotivato e determinato da fattori endogeni.”[7]

Bene, torniamo alle procedure JIT largamente sostenute dal AD e CDA dai costi “largamente immotivati”. Cosa pensate siano diventati i vecchi ospedali oggi aziende ospedaliere? Già il nome azienda dovrebbe mettervi sul chi va là. Azienda ospedaliera come azienda Italia, tutto deve concorrere al mantenimento del diktat neoliberista che mette ordine nel caos dello statalismo (ordo ab chao, motto massonico) grazie agli interventi di AD e CDA, rigorosamente bocconiani. Si è così passati da “primario ospedaliero” a “direttore sanitario” con le relative trasformazioni semantiche. Primario deriva da “primis inter pares” (ovvero primo tra pari) che gestisce l’ospitalitas (da cui ospedale), mentre direttore è colui che dirige seguendo regole decise altrove. In cambio laute prebende e nessuna garanzia di risultato (Cimoli docet). L’importante è generare utili e se per farlo è necessario fottere i cittadini, beh, tanto peggio per loro. Si arriva così a direttori sanitari che, emuli di Cimoli, operano all’interno della filosofia JIT che negli ultimi 10 anni opera tagli per 37 miliardi di euro.[8]

La ratio è sempre la stessa: mentre la filosofia Just In Case di stampo keynesiano opera prevedendo la maggiore difficoltà possibile quindi fornendo attraverso lo sforzo statale dimensioni abbondanti ai servizi essenziali, la filosofia Just In Time opera valutando il quadro medio (che tipicamente sottostima i periodi di crisi) e quindi tagliando quei “rami secchi” che assorbono risorse senza generare in quel preciso momento servizi. Ancora una volta la statistica e la sua media del pollo viene usata contro i cittadini. Si assiste così alla drastica riduzione di posti letto e di personale che 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori. [9]

L’elevazione a divinità intergalattiche dei vari AD e CDA e relative stratosferiche prebende non segue minimamente le priorità dello Stato votato a tutela dei più deboli, quanto la logica di svuotamento delle funzioni dello Stato ridotto sempre più a mera rappresentazione di ente inutile, anzi dannoso, a tutta vantaggio del privato, fenomeno di altruismo coniugato ad impareggiabile efficienza.

La filosofia JIT ha ormai soppiantato quella JIC, e sono convinto che tutta la pantomima della supposta-pandemia sia soltanto la punta dell’iceberg dell’operazione postmodernità/neoliberismo (qualcuno sa distinguere le due ontologie?) che pretende di fare il benessere della collettività attraverso operazioni propagandistiche che alla luce dei fatti si sono dimostrate e si dimostrano fallimentari. Per noi cittadini intendo, non per loro. Per le elites sono la precisa realizzazione dei loro piani.

 

    “Lo Stato non rappresenta un fine ma un mezzo. Esso è la premessa della formazione d’una superiore civiltà umana, ma non è la causa di questa. La causa è riposta solo nella presenza d’una razza idonea alla civiltà.”

Adolf Hitler

NOTE

[1]https://it.wikipedia.org/wiki/Just_in_time_(produzione)

[2https://it.wikipedia.org/wiki/Strumento_derivato

[3] Marco Della Luna “Le chiavi del potere” pg 66

[4]treccani.it/enciclopedia/deregulation/

[5]https://it.wikipedia.org/wiki/Giancarlo_Cimoli

[6]https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-15/dissesto-alitalia-guida-cimolimengozzi-174028.shtml?uuid=AaTrVoLE

[7]https://www.lavoce.info/archives/26597/cda-quanto-mi-costi/

[8]https://www.panorama.it/news/politica/governo-taglio-sanita-fondi-monti-renzi

[9]https://www.huffingtonpost.it/entry/i-numeri-del-grave-logorio-del-sistema-sanitario-nazionale_it_5fc21e31c5b61d04bfa9f8a5

FONTE: https://comedonchisciotte.org/just-in-case-vs-just-in-time/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Fascicolo sanitario elettronico: i nostri dati in pericolo

di Valentina Bennati – 6 01 2021
comedonchisciotte.org

In questo periodo si rincorrono sul web notizie allarmanti riguardo il giorno 11 gennaio, data che sarebbe stata fissata dal Governo per l’acquisizione automatica del consenso al trattamento di tutti i nostri dati sanitari, a meno che non si neghi esplicitamente tale autorizzazione. Questo comporterebbe anche usare tali dati e trasmetterli a terzi (altri stati o società private che operano a fine di lucro) secondo l’associazione European Consumers che ha parlato di “un nuovo attacco alla privacy dei cittadini nel totale silenzio dei media”. 

“Non è un caso” – si legge appunto nel recente articolo – “che questa nuova forma di schedatura di massa si sviluppi durante un tragico periodo storico caratterizzato dalla sottrazione di diritti civili individuali e collettivi, con la scusa di un’epidemia enormemente amplificata tramite falsificazione dei dati medici e bombardamento terroristico della popolazione mediante evidenti psico-programmazioni di massa”. E ancora: “European Consumers ritiene questa azione un grave abuso commesso dal governo verso la privacy individuale e uno strumento coercitivo verso la vaccinazione obbligatoria. Non è stata data una corretta e ampia informazione e il servizio digitale regionale per apporre il proprio diniego è disattivato causa COVID! Il procedimento è inoltre farraginoso e non alla portata di tutti, con particolare riferimento agli anziani, spesso poco avvezzi alle nuove tecnologie”.

Oltre a European Consumers anche alcuni giuristi e avvocati hanno segnalato questa scadenza imminente dell’11 gennaio che riguarda il FSE, Fascicolo Sanitario Elettronico. Per il resto, invece – e per il resto s’intende TV e stampa tradizionale – silenzio totale su questo argomento.

Almeno finora.

Cosa sta succedendo dunque?

La questione è indubbiamente degna di approfondimento. Abbiamo chiesto chiarimenti all’Avvocato Francesco Scifo, esperto di diritto europeo, di diritti umani e patrocinante in Cassazione e la CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo).

 

Di cosa stiamo parlando Avvocato? Cos’è il fascicolo sanitario elettronico e qual è la situazione attuale in Italia dal punto di vista normativo?

“Parliamo della vita degli italiani posta dal Governo al servizio della sperimentazione, della ricerca e della scienza senza il loro consenso. La definizione di fascicolo sanitario elettronico (FSE) la fornisce l’art.12 del d.l. n.179 del 2012: “è l’insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e sociosanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi, riguardanti l’assistito”.

La situazione dal punto di vista normativo è molto grave, in quanto il Governo è intervenuto a gamba tesa nella materia della gestione dei dati sensibili sanitari, con il d.l. del 19 maggio 2020 n. 34. Con tale decreto legge il Governo italiano ha rovesciato il principio base della democrazia sancito in tutti i trattati internazionali ratificati dall’Italia e dal diritto dell’Unione europea: ovvero il diritto di ciascun cittadino a non essere oggetto di studio e sperimentazione medica senza il suo consenso.

In sostanza, è stato abrogato uno dei capisaldi della democrazia: il diritto dei cittadini alla riservatezza dei propri dati sanitari e sensibili. Ciò è avvenuto semplicemente prevedendo nell’art. 11 del d.l. succitato l’eliminazione della prescrizione originariamente sancita che Il FSE puo’ essere alimentato esclusivamente sulla base del consenso libero e informato da parte  dell’assistito,  il  quale può decidere se e quali dati relativi alla propria salute non devono essere inseriti nel fascicolo medesimo”.

Il Parlamento ha poi dato il colpo di grazia, alla riservatezza dei dati sanitari dei cittadini, prevedendo la conversione del decreto legge senza minimamente rendersi conto della portata di tale modifica; quest’ultima viola tutte le norme internazionali e i regolamenti dell’Unione Europea, anche il famoso GDPR, cioè il reg. EU n.679/2016 art.5. Va da sé, che tale normativa italiana dovrebbe essere disapplicata per tali motivi da tutti i Giudici, dato il contrasto con il diritto europeo, se fossimo un paese normale, vedremo se lo faranno”.

 

Un problema riguarda la sicurezza. Lo Stato è in grado di proteggere i dati personali di ognuno di noi? I dati dei tamponi per la positività al Covid, ad esempio, non sono stati conservati a dovere e il Garante della Privacy si è fatto sentire, avviando un’istruttoria nei confronti di Ats Milano per la violazione della privacy. Non solo: il Garante ha anche fatto un esposto relativo alla piattaforma di Regione Lombardia Tampone in un click. Il Covid ha accelerato la digitalizzazione, ma i risultati, nonostante gli sforzi fatti da enti, aziende e istituzioni, non sembrano tranquillizzanti. I nostri dati sanitari, quindi sensibilissimi, che sorte potrebbero avere? 

“La carenza di sicurezza è il problema principale. Lo Stato italiano attualmente non è in grado di proteggere alcuno dei nostri dati sanitari che gli vengono affidati e che vengono inseriti nel FSE. La gestione sicura dei dati non è affatto garantita e le nostre informazioni più intime saranno ora preda di tutte le organizzazioni private e degli Stati stranieri.

Se andiamo sul sito del Governo possiamo vedere chi gestisce oggi i codici dati e l’obsolescenza dei codici stessi in uso in Italia. E’ come usare un software vecchio, una via minata pericolosa per la sicurezza dati che nessuno oggi sa dove vanno. Referente internazionale: Organizzazione Mondiale della Sanità, National Center for Health Statistics e Centers for Medicare and Medicaid Services. Quindi il Governo Italiano è garante? Non credo sinceramente.

Ora, la Commissione europea stessa ha affermato il 26.11.2020, tramite la Commissaria Margarete Vestagher, che è necessario un “nuovo regolamento che fornirà un quadro legislativo per garantire innanzitutto la protezione della privacy dei titolari dei dati che potranno decidere se condividerli o meno”. 

Di seguito, la Commissaria Europea afferma che l’Unione Europea ambisce a creare una piattaforma condivisa dei dati nei vari paesi europei in modo da facilitarne l’accesso al mondo delle imprese, con benefici economici notevoli.

L’Unione europea, quindi, passa da una visione incentrata sulla protezione dei dati personali, come abbiamo visto con l’adozione del Regolamento generale sulla protezione dei dati, il GDPR , alla creazione di una banca dati condivisa che crea di fatto un’economia dei dati.

La Commissione europea, poi, vorrebbe rompere il monopolio del possesso dei dati delle grandi aziende tecnologiche come Google, Facebook e Amazon.

Da quanto sopra, emergono quattro conseguenze indiscutibili:

a) Non è oggi più chiaro chi sia in Italia l’Autorità effettivamente titolare dei dati personali sanitari, dato l’elenco aperto e non tassativo dei soggetti abilitati al trattamento dei dati sensibili, ed indicati all’art.17 bis del d.l. n.18/2020 in via assolutamente generica e contra legem in violazione palese del GDPR (regolamento 679/2016), pur richiamato nella norma ma ivi violato.

b) I dati sensibili inseriti su piattaforme e applicazioni dai soggetti di cui sopra oggi vengono condivisi su base transnazionale, non solo Europea ma anche euroatlantica, dato che le piattaforme che hanno oggi il monopolio del possesso dei dati hanno la sede negli Stati uniti d’America.

c) Allo stato attuale la condivisione dei dati sanitari individuali non è sicura perché il Ministero della Salute, indicato quale titolare del trattamento, non può oggi garantire la sicurezza del percorso dei dati sensibili, dopo l’inserimento nelle piattaforme da parte dei generici soggetti abilitati di cui sopra: vi è un probabile se non certo vulnus nel tragitto che lede i diritti fondamentali dei soggetti titolari perché non sussistono le condizioni individuate all’art.5 lett. f) succitato e all’ 6, co. 1 lett. c)d) ed e) e all’art. 9, co. 2, lett. b)c) (il Considerando 46 fa esplicito riferimento alle epidemie), g) e i) GDPR.

d) È il titolare legale dei dati indicato nella legge nel Ministero della Salute che deve comprovare di rispettare il paragrafo uno dell’art.5 del GDPR che prevede: “ Il titolare del trattamento è competente per il rispetto del paragrafo 1 e in grado di comprovarlo (‘responsabilizzazione’)”.

Dunque, di fatto, i nostri dati sono stati messi sul mercato e nessuno sa quale prezzo ciascuno di noi pagherà per questo”.

 

Qualcuno afferma che la scadenza dell’11 gennaio 2021 si riferisce alla possibilità di oscurare solo i dati sanitari antecedenti al 19 maggio 2020 e che, se anche neghiamo il consenso, il FSE verrà alimentato automaticamente, perché la differenza sta nella visibilità o meno dei dati da parte del personale sanitario. Inoltre pur negando il consenso la legge consentirebbe comunque a Ministero della Salute e altri enti di visionare i nostri dati (resi anonimi, si dice) per motivi di studio e ricerca e “in condizioni di emergenza sanitaria”. Queste informazioni che stanno circolando in rete sono corrette? 

“Questo è vero, ma se una parte considerevole di persone negasse il consenso al trattamento dei dati  nel fascicolo sanitario elettronico, questo sarebbe un segnale chiaro e forte da parte di tutti gli italiani che non sono più disposti a tollerare questi veri e propri abusi governativi e parlamentari dei loro diritti fondamentali, compiuti nel silenzio delle tenebre e senza previa, adeguata, informazione pubblica”.

 

C’è anche chi suggerisce di fare attenzione a negare il consenso, perché un’eventuale negazione potrebbe generare una sorta di lista, una specie di schedatura, dal momento che ogni visita medica, terapia, operazione e ogni tampone eseguito o vaccino inoculato verrà registrato nel FSE. C’è questo rischio?

“In tutti i regimi totalitari esiste questo rischio. Perciò, la risposta giusta è che la legge prevede una schedatura di chi presta il consenso e di chi dissente ma prima o poi occorre schierarsi e lottare. Del resto, se si ritiene che l’Italia sia ancora una democrazia non esiste rischio legale nell’esercitare un proprio diritto”.

 

Ovviamente tutti sono liberi di farsi vaccinare e pure di dare i loro dati sanitari a chi vogliono, ma qui si tratta di fornire informazioni chiare alla gente in modo che ognuno possa prendere le proprie decisioni in consapevolezza. Quindi, ricapitolando, che conseguenze potrebbe generare, secondo Lei, non fare nulla oppure, al contrario, negare il proprio consenso entro l’11 gennaio prossimo? E cosa deve fare chi desidera muoversi in tal senso? Può fornire ai nostri lettori un modulo da riempire con le indicazioni per compilarlo in modo corretto e per inviarlo?

“Non fornirò alcun modulo perché il dissenso al conferimento dei dati pregressi nel FSE può essere espresso utilizzando qualsiasi formula scritta nella quale si dice esplicitamente che si nega il consenso al trattamento ed all’uso dei dati nel FSE. La richiesta può essere inviata ad ogni Regione all’indirizzo del responsabile dei dati locale del FSE, anche via pec o per raccomandata a.r. oppure barrando la relativa casella nel fascicolo sanitario elettronico nel caso in cui sia già stato attivato.

Ogni Regione ha il suo responsabile dei dati personali per il FSE ed il suo indirizzo email è, di regola, pubblicato sul sito regionale alla pagina del FSE. Per completezza si può inviare in cc anche al Garante della Privacy”.

 

Basterà questo o le istituzioni  potrebbero comunque non rispettare la volontà di un cittadino che ha espresso formale dissenso? 

“Se non la rispetteranno si potrà chiedere la disapplicazione del decreto legge ad un Giudice e l’applicazione delle norme internazionali e il diritto dell’Unione Europea che prevale sulla norma dello Stato membro contrastante”.

FONTE: https://comedonchisciotte.org/fascicolo-sanitario-elettronico-i-nostri-dati-in-pericolo/

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

Comporto
com-pòr-to

SIGNIFICATO   Ritardo ammesso, discrepanza tollerata; tempo che il treno attende per la coincidenza con un altro; periodo in cui il lavoratore assente per malattia o infortunio ha diritto di conservare il posto di lavoro

ETIMOLOGIA   voce dotta recuperata dal latino comportare ‘portare insieme’, derivato di portare col prefisso con-.

Ci pare subito chiaro che il comporto sia parente del comportare, ma considerando i significati con cui li conosciamo sembra che abbiano poco da spartire. Ebbene, questo avviene perché il più grosso ramo del comportare si è disseccato.

Il comportare latino era un ‘portare insieme’, e quindi un ‘riunire’. Per dare un’immagine, si potevano comportare offerte al tempio. Ma in italiano, già nel Duecento, viene recuperato con una suggestione di significato lontana da quel senso di accatastamento che poteva evocare: questo ‘portare insieme’ prende il profilo di un ‘sopportare’. Pensiero molto delicato, che coglie la situazione di questo portare come l’accettazione tollerante e il resistente sostegno di un fardello, sfruttando la meravigliosa sintesi del con-. Se comporti qualcosa te lo porti insieme e perciò sopporti. E sempre in quel secolo prende anche il senso di permettere, in un’immagine non troppo dissimile dal concedere, in un portare che ha il volto del donare, dell’accordare.

Solo nel XVI secolo affiora il significato di implicare, portare come conseguenza che noi oggi di solito riconduciamo al comportare — come nel caso della violazione che comporta una sanzione, dell’imprevisto che comporta un ritardo. È l’unico a restare vitale: non comportiamo lontananze, non si comportano angherie altrui. Ma è da quel ramo secco del comportare-sopportare che spunta e verdeggia il comporto.

Margine di tolleranza, specie temporale, il comporto è una discrepanza ammessa, praticamente prevista. Facendo la tabella di marcia calcoliamo alla fine un paio di giorni di comporto, per il pagamento si usa attendere qualche giorno di comporto, e si prevede qualche decina di minuti di comporto sapendo che gli altri saranno di certo in ritardo.
Poi più specificamente si parla del periodo di comporto in cui chi lavora conserva il proprio posto in casi di assenza per malattia o infortunio, o del comporto del treno che attende la coincidenza; ma sono tutti casi di tolleranza, della più normale, naturale, perfino giusta — per un di più da sopportare che però è… comportato dalla situazione. Il passo fra la valle del comportare che tollera e quella del comportare che fa conseguire è agevole, alla fine.

Parola pubblicata il 07 Gennaio 2021

FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/comporto

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

La complicata agenda di Joe Biden

Francesco Laureti intervista Lucio Caracciolo

Il 7 dicembre 2020 CrossfireKM ha avuto il piacere di conversare con il prof. Lucio Caracciolo, fondatore e attuale direttore di “Limes – Rivista Italiana di Geopolitica” e docente di Studi Strategici presso l’Università Luiss a Roma. L’Osservatorio ha l’onore di poter presentare la traduzione italiana di questa conversazione per la quale ringraziamo di cuore l’autore, Francesco Laureti, e l’intera redazione di Crossfire.

Sebbene originariamente il fulcro dell’intervista dovesse essere l’evoluzione delle relazioni tra Unione europea e Stati Uniti d’America a seguito del successo elettorale di Joe Biden, l’intervistatore poteva trattenersi dall’ampliare il campo di analisi, coprendo così una varietà notevole di questioni. Tra queste, si possono menzionare la guerra commerciale tra Pechino e Washington, le relazioni tra Stati Uniti e Germania, il gasdotto Nord Stream 2 e l’evolversi del conflitto libico nei mesi a venire.

* * * *

Francesco Laureti: Il nostro ospite odierno è un esperto di geopolitica e docente italiano. Editorialista per “La Repubblica” e “L’Espresso”, fonda “Limes – Rivista Italiana di Geopolitica” nel 1992 e ne riveste da allora la carica di direttore amministrativo.

I suoi principali ambiti di competenza sono la geopolitica e la storia contemporanea, che analizza avvalendosi di un approccio interdisciplinare. prof. Caracciolo, la ringrazio per aver accettato il nostro invito.

Lucio Caracciolo: Grazie a voi per l’invito.

 

FL: Benché la transizione dalla precedente alla nuova amministrazione americana sia ancora in divenire, ci possiamo interrogare su come le relazioni tra Unione europea e Stati Uniti evolveranno per effetto delle recenti elezioni statunitensi. Innanzitutto, l’amministrazione del presidente Trump ha mantenuto una posizione risoluta sullo scenario internazionale portando a guerre commerciali tra Stati Uniti e Cina e a tensioni tra Stati Uniti e Unione europea. Come si ridisegneranno le relazioni economiche e diplomatiche degli americani con alleati e rivali in ragione dell’elezione di Joe Biden? L’amministrazione entrante allevierà le tensioni con la Germania?

LC: Non penso ci sia alcuna relazione tra Stati Uniti e Unione europea per il fatto che i primi sono un’entità statuale e la seconda non lo è e le relazioni internazionali si svolgono principalmente tra entità statuali. Da questa considerazione deriva una seria problematica nell’ambito delle relazioni tra ogni singolo Stato membro dell’Unione con gli Stati Uniti, ovverosia il fatto che molti dei membri dell’Unione aderiscono, nel contempo, alla Nato e, per altro, quelli che non aderiscono (si veda la Francia emula della Svezia nella mentalità strategica) sono più atlantisti di quanti sono membri dell’Alleanza atlantica. Le differenze nella disposizione dei Paesi europei nei riguardi degli Stati Uniti contano notevolmente. Ad esempio, dato che lei menzionava le tensioni tra Stati Uniti e Germania, Washington e Berlino hanno alle spalle i precedenti storici di due guerre mondiali nel XX secolo (due guerre “calde”) e, in aggiunta, una “guerra fredda”, che vide gli americani amministrare e occupare militarmente la Germania occidentale. In una certa misura, gli americani non hanno mai allentato la presa sul territorio tedesco, se solo si guarda ai numeri, all’estensione, alle caratteristiche delle basi Nato a gestione americana ancora presenti in Germania, mentre non figurano basi americane in Francia, poiché la seconda fu considerata, e sottolineo “considerata”, quale potenza vincitrice al termine della Seconda guerra mondiale a fronte di una sconfitta schiacciante della Germania.

Tuttavia, permane un atteggiamento di autentico sospetto da parte americana rispetto alle aspirazioni future della Germania. Essa non è mai stata una nazione veramente occidentale, bensì qualcosa a metà strada. I tedeschi parlano di “Mitteleuropa”, che è il nome di un’Europa centrale sottoposta all’influenza germanica. Ciò che costituisce un pericolo reale da una prospettiva strategica (posto che assumiamo il punto di vista americano) sta nel fatto che storicamente i tedeschi hanno intrattenuto relazioni piuttosto significative in diversi ambiti con la Russia, persino al tempo dell’Unione sovietica. Pertanto, l’attuale interdipendenza di fatto tra Germania e Russia fu architettata nel corso della “guerra fredda” dopo che il cancelliere della Repubblica Democratica Tedesca Willi Brandt e il segretario generale del PCUS Leonid Breznev ebbero firmato un accordo incentrato sull’ingresso del gas sovietico al mercato tedesco e sul ricorso a tecnologie tedesche per l’edificazione del gasdotto, necessario alle finalità di approvvigionamento energetico. Quindi, l’idea che la Germania possa sbilanciarsi da un momento all’altro verso Mosca (uno dei principali avversari degli Stati Uniti insieme alla Cina) suscita forti sospetti negli americani con conseguenze visibili nel modo in cui interagiscono con la Germania.

Queste riflessioni mi riportano alla prima delle sue domande, per la quale mi concentrerò sulle relazioni sino-americane. A dir la verità, l’idea di un divorzio in termini economici basato sulla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina era nient’altro che un’utopia, giacché l’interdipendenza e le interconnessioni tra imprese e corporation americane con quelle cinesi sono troppo profonde perché possano essere spezzate. Non è cosa facile separare un complesso tanto fitto di forme di cooperazioni, accordi e simili. Per certi versi, si potrebbe pensare di dividere il sistema economico americano da quello cinese, ma i costi risulterebbero eccessivamente elevati e i benefici non necessariamente convenienti per gli Stati Uniti. Quel che vale la pena notare adesso (con la pandemia posta sotto controllo dalla Cina) è un balzo impressionante del Pil cinese lo scorso novembre. Insomma, per quanto è possibile prevedere, permarrà una sostanziale interdipendenza economica e finanziaria tra Cina e Stati Uniti.

Quanto all’amministrazione di Biden, quanto detto non equivale ad affermare che i recenti rivolgimenti provocheranno un cambiamento della posizione americana nei riguardi della Cina. L’approccio dell’amministrazione entrante sarà più pragmatico, forse meno ideologico al confronto con l’atteggiamento assunto dal segretario di Stato Mike Pompeo, che aveva tracciato il nuovo corso dell’amministrazione Trump. A mio avviso, gli americani sono ancora convinti che la Cina resterà un problema di primaria importanza nel futuro prossimo e l’unica minaccia all’egemonia globale detenuta dagli Stati Uniti. Questa rappresenta una sfida ineludibile, che sarà auspicabilmente affrontata con mezzi pacifici.

 

FL: In una certa misura, la prima parte della sua analisi ci proiettava alla seconda questione cruciale: la strategia energetica dell’Unione europea. Il cambio al comando della presidenza americana porterà con sé un nuovo atteggiamento rispetto al progetto del gasdotto Nord Stream 2?

LC: Come è noto, esiste già un gasdotto Nord Stream che lega insieme Russia e Germania per via diretta, poiché la funzione dell’infrastruttura è di collegare due partner economici attraverso il mar Baltico, aggirando così l’Europa centrale e i gasdotti preesistenti che si snodano attraverso Polonia e Ucraina. Questa connessione diretta tra Berlino e Mosca è strategicamente inconciliabile, come già detto, con la necessità americana di sventare qualsiasi tentativo cooperazione russo-tedesca, perché da ciò potrebbe scaturire l’emergere di una nuova potenza regionale in Europa centrale. Questo rappresenterebbe una sfida per il predominio globale “a stelle e strisce”. Riguardo al Nord Stream 2, il nuovo gasdotto, che dovrebbe garantire il doppio del volume del precedente, è ancora in fase di realizzazione, benché quasi completato (circa il 96% del progetto). Dunque, anche in caso di pesanti sanzioni imposta da Stati Uniti e alleati americani contro Russia e Germania (si tenga a mente che quest’ultima è formalmente un alleato sulla base di un trattato), nulla impedirà il raggiungimento dell’obiettivo finale, ovverosia il raddoppiamento degli approvvigionamenti di gas assicurati dal preesistente collegamento strategico tra Berlino e Mosca.

 

FL: Per concludere, restringiamo il raggio di analisi al fronte meridionale della Nato. Non dobbiamo tralasciare la guerra a bassa intensità in Libia, che si intreccia con la gestione della crisi migratoria nel Mediterraneo centrale e con l’instabilità nella regione del Mediterraneo allargato. Il ritiro imminente degli americani dal Medio Oriente sarà controbilanciato da un più deciso impegno sul terreno libico?

LC: Penso di sì. È molto probabile. Ciò che lasciava interdetti negli ultimi due anni era l’assenza di un impegno operativo da parte americana precisamente su questo dossier, ossia sulla Libia: in primo luogo, perché gli Stati Uniti erano parte della coalizione che riuscì a sconfiggere Gheddafi e a imbastire quella che doveva fungere da ossatura istituzionale di una Libia più democratica e benevolente verso le nazioni occidentali. Non fu così, poiché francesi, britannici e americani sopravvalutarono le condizioni favorevoli al raggiungimento di un simile obiettivo, convinti forse che esistesse un Paese che porta il nome di Libia. Di nuovo, non è così: la Libia è un complesso intreccio di corpi armati non regolari e tribù che perseguono ciascuna i propri interessi e non appartenevano né a un unico Stato, né a un’unica nazione prima che l’Italia sbarcasse sulle coste libiche nei primi anni del XX secolo. Ora, il fatto che i turchi abbiano consolidato la loro presenza a Tripoli e i russi in Cirenaica porterà necessariamente a un innalzamento del grado di attenzione prestata dall’amministrazione americana. Non sono in grado di prevedere che cosa significhi nello specifico, sembra chiaro che né gli Stati Uniti, né l’Italia possano esser disposte ad accettare che sul fronte meridionale della Nato siano state collocate basi militari che rientrano nel sistema difensivo russo, nonché una forte presenza turca nella Libia occidentale. Presumibilmente, la seconda riveste il ruolo dell’alleato atlantico che si considera una potenza regionale di grande spessore con ambizioni politiche e militari, tanto da concepire il Mediterraneo come proprio spazio di espansione.

 

FL: La ringrazio per il suo tempo, prof. Caracciolo, sfortunatamente i minuti a nostra disposizione si sono esauriti e per il momento è tutto.

FONTE: https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19448-lucio-caracciolo-la-complicata-agenda-di-joe-biden.html

 

 

 

“I sostenitori di Trump” (Presumibilmente) prendono d’assalto il Campidoglio

Off-guardian.org

Come sempre nei momenti di conflitto politico, abbiamo il dovere collettivo di rimanere calmi e chiederci “a chi giova?

I media mainstream stanno censurando Donald Trump.

I Democratici chiedono a Pence di rimuovere Trump dal suo incarico.

Ci sono video in cui sembra che la polizia faccia entrare i manifestanti in Campidoglio.

Gli account di Trump sui social media sono bloccati, la certificazione [del voto elettorale] sembra essere ripresa e a Washington DC c’è il coprifuoco fino alle 06:00, pena l’arresto in caso di violazione.

I Repubblicani usano il caos come pretesto per abbandonare la sfida elettorale.

Gabinetto di governo discute l’utilizzo del 25° Emendamento per rimuovere dall’incarico un Trump “mentalmente instabile.”

La sessione del Congresso in cui Joe Biden doveva essere confermato come prossimo Presidente degli Stati Uniti è stata sospesa dopo che il Campidoglio è stato presumibilmente “preso d’assalto” dai sostenitori di Donald Trump.

Come uno degli edifici più sicuri del pianeta sia diventato improvvisamente vulnerabile all’”assalto” di un paio di centinaia di sostenitori di Trump rimane un mistero. Ci sono state solo poche notizie di violenze, nonostante il leggendario grilletto facile delle forze di polizia militarizzate americane.

Questa apparente contraddizione non è passata inosservata, nemmeno dai giornalisti mainstream:

Come sempre accade con le notizie sensazionali destinate a creare una narrativa, la storia è in continua evoluzione. Ci sono state segnalazioni di “bombe fatte in casa,” ma non di esplosioni. Un altro articolo ha accusato i “rivoltosi” di “aver fatto uso di sostanze chimiche.”

Negli ambienti politici “progressisti“, questa assurda serie di eventi viene usata come catalizzatore per innescare la potenziale rimozione dall’incarico di Donald Trump, tramite il 25° Emendamento:

O anche l’espulsione di qualsiasi membro repubblicano del congresso che osi mettere in dubbio il risultato delle elezioni presidenziali:

Il cosiddetto “Presidente eletto” Joe Biden è stato rapido ad etichettare le proteste come “caos che rasenta la sedizione.”

La risposta sta crescendo di ora in ora. Il sindaco di Washington DC ha subito emanato un ordine di coprifuoco e si parla dell’intervento della Guardia Nazionale.

Quindi, l’intero scopo delle elezioni americane, palesemente truccate e fraudolente, non potrebbe essere stato quello di quello di dare il via alle rivolte, e magari anche ad una “guerra civile,” per giustificare un colpo di stato e la legge marziale da parte di qualche fazione?

Questo è comunque un caso da manuale di “rivoluzione colorata.” Viene forse portata avanti dai sostenitori statunitensi del New Normal?

Crediamo davvero che per alcuni cosiddetti “rivoltosi” abbiano dovuto chiudere il Congresso?

Questa ha tutte le caratteristiche di un’azione pianificata…

AGGIORNAMENTO: Donald Trump ha postato sui social media un breve video,dove ripete le sue affermazioni sui brogli elettorali, ma dove invita i manifestanti ad “andare a casa“:

VIDEO QUI: https://youtu.be/tcfcTB9-S2s

Facebook aveva bannato il video. Mentre Twitter, all’inizio, aveva impedito alla gente di commentarlo o di condividerlo, aggiungendo l’allarmante avvertimento orwelliano:

Questa denuncia di brogli elettorali è contestata, e a questo Tweet non è possibile rispondere, ritwittarlo o assegnarli un like a causa del rischio di violenza

…ma poi avevano completamente rimosso sia il video che questo tweet, che invitava i manifestanti a tornare a casa “in amore e in pace“:

Si tratta di porre fine al “rischio di violenza“? O si tratta di eliminare tutte le prove di Trump che invita i manifestanti a tornare a casa, in modo da poterlo incolpare in un secondo tempo?

AGGIORNAMENTO: La deputata democratica Lucy McBath ha chiesto al VP Mike Pence di rimuovere Trump dall’incarico:

AGGIORNAMENTO: La polizia ha facilitato la “rivolta“? Emerge un video che sembra mostrare la polizia che rimuove le barriere e fa passare i manifestanti:

FONTE: https://comedonchisciotte.org/aggiornato-i-sostenitori-di-trump-presumibilmente-prendono-dassalto-il-campidoglio/

 

 

 

POLITICA

L’anno in cui è finita la repubblica.

Di |Gennaio 2nd, 2021|Categorie: NewsOpinion|Tag: |0 Commenti

Propongo all’attenzione dei lettori di questo blog la riflessione sulla democrazia in Italia scritta dal prof. Leonardo Lugaresi pubblicata sul suo blog.

 

Parlamento italiano

 

Non credo di esagerare se dico che l’anno che sta per chiudersi ha visto la fine della Repubblica Italiana (o, piuttosto, di ciò che ne restava). Io sono abbastanza vecchio per ricordarmi com’era: non certo uno stato perfetto, anzi era pieno di difetti, però corrispondeva al nome che sta scritto in testa alla sua Costituzione.

Era una repubblica democratica, parlamentare, in cui i governi esprimevano la volontà della maggioranza degli elettori. In libere elezioni condotte con il sistema proporzionale (che è l’unico pienamente rispettoso dell’orientamento del corpo elettorale) e a cui prendeva parte più dell’80% degli aventi diritto al voto, si formavano maggioranze parlamentari che rappresentavano più del 50% dei votanti. Dunque un parlamento pienamente corrispondente al popolo sosteneva, con una maggioranza reale, un governo pienamente legittimato ad esercitare il potere esecutivo. Il presidente della repubblica, a quel tempo, svolgeva un’importante funzione di rappresentanza dell’unità nazionale e aveva dei poteri di controllo e di garanzia sul corretto funzionamento della “macchina politica”, ma i tentativi – che pure vi erano stati – di fargli assumere anche un ruolo determinante nell’indirizzo politico del paese avevano incontrato resistenze e non avevano ancora portato ad un mutamento stabile del suo ruolo istituzionale. Vigeva inoltre la separazione dei poteri e la magistratura non interferiva (o interferiva relativamente poco) con il potere legislativo ed esecutivo. Infine, la Repubblica Italiana era, almeno formalmente, uno stato sovrano, anche se, come sempre succede, l’esercizio di tale sovranità sul piano internazionale faceva ampiamente i conti con i rapporti di forza tra le nazioni ed in particolare con l’alleanza asimmetrica con gli Stati Uniti. Sul piano interno, invece, la sovranità era effettiva.

Di tutto questo, ormai da tempo non resta quasi più nulla: la cessione di larga parte della sovranità nazionale, anche dal punto di vista formale, è ormai un fatto compiuto e, benché l’articolo 11 della Costituzione affermi che «l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni», ognuno può vedere se, nella sostanza, la cessione di sovranità del nostro paese all’Unione Europea sia stata non dico pari ma almeno proporzionata a quella, tanto per dire, della Germania.

Allo stesso modo, è sotto gli occhi di tutti che da molto tempo la magistratura partecipa a pieno titolo al governo del paese, condizionando in modo pesante, quando non addirittura svolgendo di fatto anche la funzione legislativa e quella esecutiva. Come nel caso della rinuncia alla sovranità, so bene che sarà sempre possibile sostenere che anche qui “le forme sono salve”, ma la sostanza è quella che ho detto, dura come un muro su cui la repubblica è andata a sbattere e si è rotta le ossa. In entrambi i casi, infatti, l’enorme problema che si è aperto (e che si finge di non vedere) è quello della legittimazione democratica dei poteri. Se ormai il sistema è evoluto in modo tale che i magistrati “fanno politica”, e se si ritiene che non sia più possibile tornare indietro (infatti nessuno ci ha seriamente provato negli ultimi trent’anni e chi ha fatto anche solo cenno di volerci provare è stato bastonato a dovere), sarebbe doveroso porre il problema della sovranità popolare (art. 1 Cost) e quindi prevedere, tanto per fare un solo esempio, che l’organo di autogoverno della magistratura sia eletto dal popolo. (Fa ridere anche solo a dirlo, non è vero?)

Ma lo stesso vale per il presidente della repubblica. C’è qualcuno che possa seriamente negare che ormai da molti anni il capo dello stato svolge anche un ruolo primario nella determinazione dell’indirizzo politico? In sostanza che decide lui se un governo si può fare o non si può fare? O se deve andare a casa, abbia o meno i voti in parlamento (ricordiamoci del 2011)? Dunque quella che c’è adesso in italia sarebbe semmai una repubblica semipresidenziale (quantomeno). Non sarebbe sano, dal punto di vista democratico, che un potere di questo genere, non più di garanzia e di controllo ma di indirizzo politico, venisse esercitato da una persona legittimata dal voto popolare? (Anche a dire questo vien da sorridere, non è vero?)

Si potrebbe continuare a lungo, facendo osservare, ad esempio, che ormai ci siamo perfino scordati dell’esistenza del principio di maggioranza (che è l’elemento fondamentale del metodo democratico) tanto che diamo tutti per scontato che una forza politica “vinca le elezioni” e sia legittimata a governare quando prende, mettiamo, il 40% di quel 60% di cittadini che sono andati a votare, cioè quando gode della fiducia di meno di un quarto degli Italiani. Abbiamo metabolizzato il principio che la democrazia sia il governo della minoranza più grossa, in attesa di abituarci all’idea che democrazia sia il governo della minoranza dei migliori.

Queste son tutte cose note, e ormai così vecchie che ci abbiamo fatto il callo, purtroppo. Nel 2020, però, è successa un’altra cosa, che a mio parere segna la rottura definitiva con l’antica Repubblica Italiana, perché costituisce un salto di qualità nella vita delle persone. Un governo che non si può che definire tecnicamente mostruoso, nel senso di contrario ad ogni elementare principio della grammatica politica per come è nato e per come è stato formato, trovandosi nella situazione di emergenza più grave vissuta dal paese dopo il 1943, invece di farsi da parte (o di essere indotto a farsi da parte) per dar luogo ad un esecutivo di “salvezza nazionale”, come si sarebbe fatto in un paese ancora vitale, ha impunemente fatto strame di ciò che restava della carta costituzionale, cancellando (temporaneamente?) diritti fondamentali dei cittadini da essa solennemente garantiti, a forza di semplici provvedimenti amministrativi, nella incomprensibile acquiescenza del capo dello stato, del parlamento e della magistratura. I costituzionalisti (perlomento tutti i costituzionalisti serî) lo hanno sia pur flebilmente lamentato, ma non è successo nulla. Ora, quando un corpo non dà segno di vita, come direbbero i dottori di Pinocchio, è segno che è morto.

Per questo, da semplice ex cittadino della Repubblica Italiana, abbastanza vecchio per ricordarsela, mi sento di dire che tra i tanti morti del 2020 c’è anche lei.

FONTE: https://www.sabinopaciolla.com/lanno-in-cui-e-finita-la-repubblica/

 

 

 

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Addio all’influenza, esiste solo la Covid-19. Lo studio che lo rivela

Continua il percorso di approfondimento in merito all’emergenza Covid-19. Dopo aver affrontato il tema a livello locale e regionale, cerchiamo di capire e analizzare la natura del fenomeno attraverso i dati e le fonti ufficiali, per orientarsi al meglio rispetto a ciò che sta accadendo in Italia, senza perdere di vista la caratura globale degli accadimenti.

ADDIO ALL’INFLUENZA, ESISTE SOLO LA COVID-19. LO STUDIO CHE LO RIVELA

Di Jacopo Brogi e Filippo Della Santa, ComeDonChisciotte.org

Quello che viviamo oggi esiste ogni anno per l’influenza” [1]. Queste parole, riferite all’attuale situazione degli ospedali, non sono del complottista di turno o dell’irresponsabile che minimizza l’emergenza sanitaria pandemica. Queste parole sono del Viceministro della salute del governo italiano Pierpaolo Sileri.
Sileri non è uno sprovveduto messo lì a far figura, ma è un medico e docente universitario: una persona competente, che peraltro riveste un ruolo politico appropriato al suo curriculum vitae.

Il virus non andrà più via. L’influenza fa un’ondata l’anno. Probabilmente sarà così anche per il coronavirus. Diventerà una malattia stagionale autunno-invernale” [2] .

Così l’epidemiologo star tv Pier Luigi Lopalco, da poco promosso assessore alla sanità della Regione Puglia.

Covid-19: micidiale peste del secolo o robusta sindrome influenzale?

In premessa, teniamo ben a mente ciò che ci mostra l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms): nel 2020, a livello globale, la circolazione dell’influenza si è completamente esaurita da metà aprile [3] [Fig.1,2].

 

Fig.1 – Circolazione dei virus influenzali, World Health Organization, Emisfero nord [4]
Fig.1 – Circolazione dei virus influenzali, World Health Organization, Emisfero nord [4]
Fig.2 – Circolazione dei virus influenzali, World Health Organization, Emisfero sud [5]
Fig.2 – Circolazione dei virus influenzali, World Health Organization, Emisfero sud [5]

E’ scomparsa. Com’è possibile? Per cercare di comprenderlo analizziamo i dati ufficiali, avendo peraltro già approfondito in precedenza la situazione della Toscana, dove – numeri alla mano – non c’è ancora mai stata una emergenza Sars-Cov-2 (acronimo di severe acute respiratory syndrome coronavirus 2): se hai sintomi influenzali stai a casa, tuonava l’amministrazione regionale sui manifesti affissi in ogni dove. Era la scorsa primavera, tempo di prima ondata e di lockdown generale.

Un manifesto della campagna informativa promossa dalla Regione Toscana, aprile 2020
Un manifesto della campagna informativa promossa dalla Regione Toscana, aprile 2020

Prendiamo adesso in considerazione i decessi avvenuti per ogni tipo di causa, al 31 agosto scorso, includendo anche le altre regioni.

Ad eccezione delle Marche, tutte le regioni colpite dall’emergenza si trovano a nord: Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte [Fig.3].

Fig.3 - Decessi per tutte le cause a livello regionale al 31 agosto, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.3 – Decessi per tutte le cause a livello regionale al 31 agosto, elaborazione CDC su dati ISTAT

Oltre la metà del territorio nazionale non è stata interessata da un incremento della mortalità complessiva; elaborando i dati forniti dall’Istat (Istituto nazionale di statistica) [6], possiamo osservare cosa è accaduto, dal 2015 al 2020, prendendo in considerazione i primi otto mesi dell’anno .

È evidente come, nel 2020, si sia verificato un maggior numero di decessi totali rispetto agli anni precedenti [7]: l’incremento è stato di 37.788 unità (+8,63%) [Fig.4].

Fig.4 Decessi complessivi al 31 agosto, anni 2015-2020, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.4 Decessi complessivi al 31 agosto, anni 2015-2020, elaborazione CDC su dati ISTAT

Ad ogni modo, è possibile evidenziare come l’aumento della mortalità, rispetto al 2019 (+34.228), sia paragonabile a ciò che è avvenuto negli anni precedenti [8]:

• 2014/2015 (+39.000)*

• 2016/2017 (+31.209)

Dopo aver valutato quella che è stata la situazione al 31 agosto di ogni anno, andiamo a considerare l’andamento mensile.

Dal grafico di Fig.5, possiamo osservare come il numero dei decessi, nei primi mesi del 2020, sia in linea con quello della media degli anni precedenti, ad eccezione del netto incremento di marzo e aprile  (+27.516  e  +20.287 ), con una marcata flessione avvenuta a gennaio (-7.221).

Fig.5 Andamento mensile decessi per tutte le cause, anni 2015-2020, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.5 Andamento mensile decessi per tutte le cause, anni 2015-2020, elaborazione CDC su dati ISTAT

In genere, nel primo mese dell’anno si raggiunge il maggior numero di decessi, causati dalle consuete ondate invernali [Fig. 6].

 

Fig.6 Media mensile dei decessi, anni 2015-2019, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.6 Media mensile dei decessi, anni 2015-2019, elaborazione CDC su dati ISTAT

Dal dossier “COVID-19, la malattia da nuovo coronavirus (SARS-CoV-2)” pubblicato sul sito ufficiale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici: “i coronavirus sono un genere di virus a RNA che possono causare diverse malattie nell’uomo, principalmente infezioni del tratto respiratorio superiore e del tratto gastrointestinale. La gravità di queste condizioni è molto variabile, dal momento che i coronavirus sono responsabili sia di una buona parte delle comuni sindromi da raffreddamento sia di sindromi respiratorie gravi come la SARS (sindrome respiratoria acuta grave, Severe Acute Respiratory Syndrome) e la MERS (sindrome respiratoria mediorientale, Middle East Respiratory Syndrome)” [9].

Quali sono i sintomi più comuni, se non arriviamo a trascurare la malattia? Ce lo spiegava già il 5 marzo scorso Pier Luigi Lopalco, ordinario di Igiene all’Università di Pisa (oggi promosso politico), in piena pandemia: “Ripeto, [i sintomi, ndr] sono quelli di una condizione simil influenzale: febbre, tosse, rinite (raffreddore), congestione nasale, congiuntivite. Sono quelli di una persona che potrebbe avere un brutto raffreddore. Ma soprattutto bisogna fare attenzione alla comparsa della febbre. Alla prima linea di febbre bisogna starsene a casa, starsene buoni e vedere che cosa sta succedendo. Se tutti seguissero questa semplice precauzione, già abbatteremmo il 90% dei contagi [10].”

Nel nostro Paese, il monitoraggio integrato dell’influenza è condotto dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e inizia generalmente dal mese di ottobre: “il sistema di sorveglianza prende in considerazione il numero di decessi per tutte le cause perché i dati dei decessi per influenza non sono disponibili in tempo reale. Infatti l’Istat ogni anno codifica tutti i certificati di morte, compresa l’influenza, e ne attribuisce la causa principale, un processo che richiede per rendere disponibili i dati di mortalità per specifica causa mediamente un periodo di due anni“ [11]. Per la Covid-19, questo iter procedurale sembra essere stato ampiamente sottovalutato sia dalle maggiori istituzioni preposte, che dai grandi media.

Risulta importante notare come “ogni anno l’influenza determina un eccesso di mortalità. Se, infatti, osserviamo l’andamento della mortalità totale (cioè per tutte le cause) in un periodo di tempo, notiamo un andamento sinusoidale con dei picchi in corrispondenza dei mesi invernali e degli avvallamenti nei periodi estivi e i picchi si osservano soprattutto tra le persone anziane. Dunque, il razionale della sorveglianza della mortalità giornaliera (Sismg) è quello di evidenziare aumenti del numero di decessi osservati che supera il numero atteso in presenza di una stagione influenzale particolarmente aggressiva [12]”.

Sempre l’Istituto Superiore di Sanità, ci fa sapere che soltanto il 3,1% delle persone decedute positive al Sars-Cov-2, non presentava altre patologie [13]. In Italia, “il 90% dei morti sono per e non con Covid (…). Mentre da noi tutti coloro che muoiono e risultano positivi al tampone vengono classificati come decessi per Covid, non è così in altri Paesi.” È ciò che ha recentemente dichiarato a “La Stampa”  Graziano Onder, geriatra dell’Ospedale Gemelli di Roma e responsabile del rapporto sulla mortalità da coronavirus dell’Iss. Perchè in Germania si muore di meno? “Devo presupporre che anche loro abbiano un diverso metodo di conteggiare le morti da Covid” [14].

Quindi, l’Italia sovrastima i morti di Covid, per cui il nostro indice di letalità ci fa posizionare al terzo posto nel mondo dopo Messico e Iran [15] : “siamo la nazione con la maggior percentuale di popolazione anziana in Europa. La media anagrafica dei morti per coronavirus è di 82 anni. Persone di età avanzata e con più patologie” [16], chiarisce Antonio Clavenna responsabile dell’unità di farmacoepidemiologia dell’Istituto Mario Negri di Milano.

Ma cosa ci insegna la storia dell’influenza? Che, molto banalmente, essa ciclicamente esplode diventando epidemia, per poi via via esaurirsi naturalmente. Questo andamento può essere osservato in Fig.7:

Fig.7 Incidenza delle sindromi influenzali (ILI) in Italia
Fig.7 Incidenza delle sindromi influenzali (ILI) in Italia, fonte “EpicentroISS, FluNews17”

La stagione invernale è generalmente la più fertile per la diffusione dei virus influenzali ed una buona parte della popolazione, rischia di ammalarsi.

Ciò vale per il 2020, varrà per il 2021 ed è valso anche per gli anni precedenti, come risulta anche dall’importante studio pubblicato sull’International Journal of Infectious Diseases nel novembre 2019 [17]: “Osserviamo due picchi, uno per la stagione 2014/2015 e uno per la stagione 2016/2017. Queste due stagioni sono inoltre caratterizzate da una forte incidenza di sindromi simil influenzali, particolarmente alta per le persone sopra i 65 anni“ [Fig.8].

Fig.8 Picchi di mortalità nei periodi invernali
Fig.8 Picchi di mortalità nei periodi invernali – INTERNATIONAL JOURNAL OF INFECTIOUS

Purtroppo, riscontriamo ciclicamente una stretta relazione tra picco di mortalità – per ogni tipo di causa – e decessi da influenza. “Influenza, inverno killer: tra gli anziani il 42% dei decessi in più durante il picco rispetto alle attese”, titolava il Quotidiano Sanità. Era il 2017 [18].

Le affinità tra il virus Sars-Cov-2 ed i virus influenzali non sono certo un mistero: “presto lo Spallanzani (Istituto Nazionale Malattie Infettive, ndr) sperimenterà i test naso-faringei in grado di distinguere tra influenza stagionale (sia di tipo A che di tipo B) dal Covid-19“. Così dichiarava il 18 ottobre scorso l’assessore regionale alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato. “Uno strumento che se validato sarà preziosissimo questo inverno” [19].

Da Il Sole 24 Ore del 15 dicembre: “In aiuto dei medici che nei prossimi mesi saranno comunque sempre più chiamati a distinguere tra forme influenzali e Covid è appena arrivato anche un test che riesce a capire con un unico tampone di che virus si tratta, che ha appena ottenuto il marchio Ce. Il test molecolare, spiega la compagnia Abbott che lo ha messo a punto, può rilevare e differenziare tra i virus SARS-CoV-2, influenza A, influenza B e virus respiratorio sinciziale (RSV) [uno degli agenti patogeni responsabili della polmonite virale, ndr] “ [20].

E allora qualche semplice domanda sorge spontanea: come abbiamo finora identificato la famigerata Covid-19? Come la distinguiamo dall’influenza?

Il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, era stato abbastanza chiaro in una conferenza stampa dello scorso agosto: “Noi tratteremo tutte le sindromi influenzali come Coronavirus“,

VIDEO QUI: https://youtu.be/yDsjCBtSfZ8

con uno sguardo sempre rivolto al futuro: la prossima influenza è da trattare come fosse il Coronavirus“.

Un altro aspetto da sottolineare è quello relativo ai decessi dovuti a patologie respiratorie che, in Italia, annualmente si contano a decine di migliaia: 51.756 nel solo 2018, Fig.9 [dati Istat].

Fig.9 Decessi per malattie del sistema respiratorio, Italia, anno 2018
Fig.9 Decessi per malattie del sistema respiratorio, Italia, anno 2018 (fonte ISTAT)

Dal nostro studio, appare chiaro come il picco dei decessi (per ogni tipo di causa) venga generalmente raggiunto con l’ondata di gennaio [Fig. 10]:

Fig.10 Andamento mensile decessi per tutte le cause, gennaio 2015-dicembre 2019, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.10 Andamento mensile decessi per tutte le cause, gennaio 2015-dicembre 2019, elaborazione CDC su dati ISTAT

Solitamente, il picco di mortalità invernale dipende dalla tipologia di virus influenzale che si manifesta, certamente correlata ad altri fattori, fra cui: le basse temperature atmosferiche, la mortalità degli anni precedenti, l’età media molto elevata della popolazione.

Pur non rappresentando una costante, un’ondata annuale di decessi elevata è ordinariamente succeduta da una più blanda in termini numerici, essendo tali virus maggiormente pericolosi per le persone anziane e/o con patologie pregresse; pertanto è possibile aspettarsi, durante una fase di epidemia influenzale aggressiva – successiva ad una non particolarmente acuta – un aumento dei decessi [21].

Come vediamo, il picco di mortalità verificatosi nell’invernata 2019/2020 risulta inferiore ai valori raggiunti negli anni precedenti [Fig.11].

Fig.11 Andamento mensile decessi per tutte le cause, gennaio 2015- febbraio 2020, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.11 Andamento mensile decessi per tutte le cause, gennaio 2015- febbraio 2020, elaborazione CDC su dati ISTAT

E cosa è successo la scorsa primavera? Il picco dei decessi (verificatosi tra marzo e aprile) attribuito al virus Sars-Cov-2, è evidente [Fig.12].

Fig.12 Andamento mensile decessi per tutte le cause, gennaio 2015- agosto 2020, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.12 Andamento mensile decessi per tutte le cause, gennaio 2015- agosto 2020, elaborazione CDC su dati ISTAT

Abbiamo realmente assistito ad un fenomeno straordinario ed epocale mai avvenuto prima?

Prendendo in considerazione la mortalità complessiva (mensile) degli ultimi sei anni, ci rendiamo conto come il picco del 2020 sia facilmente paragonabile a quello del dicembre-gennaio 2016-2017.

A marzo di quest’anno, abbiamo registrato complessivamente 85.000 decessi, un numero certamente molto elevato, ma non dissimile dal picco di 78.000 morti del gennaio 2017 [Fig.13].

Fig.13 Confronto marzo-aprile 2020 con i picchi invernali degli altri anni, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.13 Confronto marzo-aprile 2020 con i picchi invernali degli altri anni, elaborazione CDC su dati ISTAT

In ultima istanza, è fondamentale porre l’attenzione sulla distribuzione geografica dei decessi complessivi. Non è certo un mistero che, in questa annata tragica, la Lombardia sia la regione più colpita in assoluto; nei picchi degli anni precedenti, l’incidenza della mortalità era mediamente intorno ai 10.000 decessi mensili, ma clamorosamente la scorsa primavera, essa è più che raddoppiata, superando le 25.000 unità. Paradossalmente, se escludessimo la regione più industrializzata del Paese dal saldo finale, oggi l’Italia avrebbe un picco inferiore a quello delle stagioni influenzali 2014/2015 e 2016/2017, e quindi in linea con gli altri anni [Fig.14].

Fig.14 Rappresentazione grafica dell’incidenza della regione Lombardia nell’emergenza coronavirus, elaborazione CDC su dati ISTAT
Fig.14 Rappresentazione grafica dell’incidenza della regione Lombardia nell’emergenza coronavirus, elaborazione CDC su dati ISTAT

Alla luce di quanto emerso, sarebbe naturale provare a sollevare qualche interrogativo alquanto cruciale:

– Cos’è successo in Lombardia?

– Dov’è finita la normale influenza, che – in tutto il mondo – è del tutto scomparsa?

“Il virus non andrà più via. L’influenza fa un’ondata l’anno. Probabilmente sarà così anche per il coronavirus. Diventerà una malattia stagionale autunno-invernale” [22]. Così l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, ormai nelle vesti di politico.

La terza ondata è certa, avremo il record europeo di morti“, prevede il microbiologo –  e star della tv – Andrea Crisanti, “ci attende un inverno preoccupante” [23].

Secondo l’ex attore Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma nonchè attuale consigliere del ministro della Salute: “Siamo entrati in un periodo storico in cui questi virus e queste pandemie saranno sempre più frequenti” [24].

Forse sarebbe più corretto definirle in altro modo. “Bisognerebbe parlare di pandemia di influenza, non di pandemia in generale”[25], parola del Prof. Enos Bernasconi, vice primario del reparto di malattie infettive dell’Ospedale Regionale di Lugano. Fu intervistato dalla radiotelevisione svizzera durante il programma “Il fantasma della pandemia”, nel lontano 2010: l’emergenza del momento si chiamava A H1N1, antenato del ben più temibile Sars-Cov-2.

E quindi, cos’è questa maledetta e tragica Covid-19 che sta stravolgendo la vita di tutti?

Magari la risposta ce l’ha già data l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dati alla mano: da aprile 2020, la circolazione dell’influenza è letteralmente scomparsa [Fig.15]. Mentre la Covid-19: “ non andrà più via. L’influenza fa un’ondata l’anno [26]”.

 

Fig.15 Diffusione mondiale dei virus influenzali
Fig.15 Diffusione mondiale dei virus influenzali, fonte WHO (Oms), 2020 [27]

—Di Jacopo Brogi e Filippo Della Santa, ComeDonChisciotte.org

Ricerca ed elaborazione statistica dati ufficiali: Filippo della Santa, ComeDonChisciotte.org

21.12.2020

Jacopo Brogi. Autore e documentarista; freelance United Photo Press. “La realtà ha bisogno di più testimoni. Per mostrarla e per cambiarla.”

Filippo Della Santa. Ingegnere, appassionato di musica. Insofferente alla mancanza di logica e agli abusi di potere, trascorre le sue giornate immerso nell’attualità, cercando rifugio nelle “Terre dell’Eterno Inverno” per ricaricare le energie.

PER APPROFONDIRE SCARICA LA DOCUMENTAZIONE ELABORATA PER LO STUDIO:

FOGLI DI CALCOLO – Decessi complessivi 2015-2020 –  Comuni italiani (Comune per Comune)

FOGLI DI CALCOLO – Media decessi complessivi 2015 – 2020 – Regioni italiane (Regione per Regione)

FONTI PRINCIPALI E SITOGRAFIA

Sito ufficiale World Health Organization (WHO)

EuroMomo – euromomo.eu

FluNews – Europe

Sito ufficiale ISTAT

Sito ufficiale Istituto Superiore di Sanità

Sito Il Sole 24 ore, sezione”Coronavirus in Italia, i dati e la mappa

NOTE

[1] https://www.la7.it/piazzapulita/video/coronavirus-pierpaolo-sileri-sulla-situazione-negli-ospedali-quello-che-viviamo-oggi-esiste-ogni-19-11-2020-351285

[2] https://www.raiplayradio.it/audio/2020/11/Pier-Luigi-Lopalco-a-Un-giorno-da-pecora-81220aeb-0e4d-43b4-9d57-b2dd377dfe41.html

[3] https://www.thejournal.ie/winter-flu-cases-ireland-2020-5296226-Dec2020/?fbclid=IwAR0Dgolwpddm8eNriq4fJ71hM8PM5srYxjRk07oFdCwqGk2xmgH0Net-H2s 

https://www.who.int/influenza/surveillance_monitoring/updates/2020_12_07_surveillance_update_382.pdf

https://flunewseurope.org/

[4] https://www.who.int/influenza/surveillance_monitoring/updates/2020_12_07_surveillance_update_382.pdf
[5] https://www.who.int/influenza/surveillance_monitoring/updates/2020_12_07_surveillance_update_382.pdf

[6] https://www.istat.it/it/archivio/241428#
[7] al 31 agosto di ogni anno preso in esame

[8]
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/10/morti-boom-dei-decessi-in-italia-nel-2015-i-motivi-caldo-grande-guerra-e-influenza/2447008/

https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-02-24/perche-2015-italia-sono-morte-54mila-persone-piu-9percento-173100.shtml

[9] https://portale.fnomceo.it/wp-content/uploads/2020/03/dossier_coronavirus_def_12-03-2020-compresso.pdf

[10] = https://iltirreno.gelocal.it/regione/toscana/2020/03/05/news/coronavirus-il-professor-lopalco-a-casa-anche-con-sintomi-lievi-cosi-abbattiamo-il-contagio-del-90-1.38553290

[11] https://www.epicentro.iss.it/influenza/sorveglianza-mortalita-influenza
[12]  Ibidem

[13]  https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-decessi-italia – dati agg. al 5 dicembre 2020[14] https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/11/19/news/graziano-onder-viviamo-a-lungo-ma-non-in-salute-ecco-perche-la-mortalita-e-cosi-alta-1.39555884

[14] https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/11/19/news/graziano-onder-viviamo-a-lungo-ma-non-in-salute-ecco-perche-la-mortalita-e-cosi-alta-1.39555884
[15] https://www.notizie.it/cronaca/2020/11/18/mortalita-covid-italia-terzo-paese-mondo/
[16] Reitter Floder Patrizia, “L’Italia sovrastima i morti di Covid”, La Verità, 20 novembre 2020
[17]“Investigating the impact of influenza on excess mortality in all ages in Italy during recent seasons (2013/14–2016/17 seasons)” a cura, tra gli altri, del Dott. Antonino Bella, del Dipartimento Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, responsabile del bollettino “FluNews-Italia“ di sorveglianza dell’influenza. [“We observed two peaks, one for the 2014/15 and one for the 2016/17 season. These two seasons were also characterized by a high ILI incidence, particularly high for people aged 65 years and over “] – fonte:https://www.ijidonline.com/article/S1201-9712(19)30328-5/fulltext
[18] https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=48850
[19] https://tg24.sky.it/roma/2020/10/18/coronavirus-test-spallanzani-covid-influenza-roma

[20]https://www.ilsole24ore.com/art/influenza-virus-frenata-arrivo-test-che-rileva-differenza-covid-ADWtyQ8?utm_term=Autofeed&utm_medium=TWSole24Ore&utm_source=Twitter#Echobox=1608043400

[21] istat.it/Indicatori-demografici_2015.pdf

[22] https://www.raiplayradio.it/audio/2020/11/Pier-Luigi-Lopalco-a-Un-giorno-da-pecora-81220aeb-0e4d-43b4-9d57-b2dd377dfe41.html

[23] https://www.repubblica.it/cronaca/2020/12/08/news/crisanti_la_terza_ondata_e_certa_in_italia_avremo_il_record_europeo_di_morti_-277547027/
[24] https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/11/14/ricciardi-iniziata-era-pandemie-sempre-piu-frequenti_zappusNJWLElRU506vWidJ.html?refresh_ce
[25] https://www.rsi.ch/la1/programmi/informazione/falo/tutti-i-servizi/Il-fantasma-della-pandemia-1876920.html – dal min. 34,18

[26] https://www.raiplayradio.it/audio/2020/11/Pier-Luigi-Lopalco-a-Un-giorno-da-pecora-81220aeb-0e4d-43b4-9d57-b2dd377dfe41.html

[27] https://apps.who.int/flumart/Default?ReportNo=10

( *) = periodo 01/01 – 31.07.2017

Ulteriori fonti Istat

http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_CMORTE1_EV

https://www.istat.it/it/files/2016/02/Indicatori-demografici_2015.pdf

ALTRI APPROFONDIMENTI

ESCLUSIVA CDC: In Toscana mai nessuna emergenza Covid-19, lo studio che lo rivela – 5 ottobre 2020 (Di Filippo della Santa) – https://comedonchisciotte.org/esclusiva-cdc-in-toscana-mai-nessuna-emergenza-covid-19-lo-studio-che-lo-rivela/

 

FONTE: https://comedonchisciotte.org/esclusiva-cdc-addio-allinfluenza-esiste-solo-la-covid-19-lo-studio-che-lo-rivela/

 

 

Conoscenza e ignoranza nell’era del Covid

La nostra società e la nostra epoca sono segnate da un’evoluzione dei mezzi di comunicazione (i “new media”) ancora relativamente recente ma che viene considerata epocale. Del resto anche l’intervallo plurisecolare che intercorre tra l’invenzione della stampa a caratteri mobili e l’alfabetizzazione di massa dei paesi avanzati, quello che Marshall McLuhan ha definito come “galassia Gutenbergh”, ha provocato uno sconvolgimento tecnologico e culturale certo non minore di quello del quale oggi siamo spettatori e protagonisti.

La banale premessa è necessaria per comprendere le difficoltà che molti di noi avvertono quando si confrontano con il sovraccarico informativo e con il conseguente “effetto Dunning-Kruger”, cioè la paradossale distorsione per cui chi sa poco tende ad accontentarsi delle informazioni che già possiede, mentre chi sa molto tende a dubitarne di più.

La nostra incertezza, cioè, aumenta proporzionatamente al bagaglio culturale che possediamo. Cosa che non sarebbe forse troppo grave se le persone più sprovvedute fossero in grado di discriminare tra le fonti da cui attingono, di “gerarchizzare”, riconoscendo quelle attendibili.

Proviamo a fissare alcuni paletti. Intanto, dobbiamo distinguere tra gli ambiti di opinione – convinzioni di fede, gusti personali, passioni e tifoserie, etc. – e la sfera della realtà concreta, dove dovremmo assumere regole comuni, pur nella consapevolezza della loro imperfezione. In politica e in economia, in matematica e in storia, le divergenze dovrebbero cioè arrestarsi davanti al dato oggettivo, ma sappiamo bene che così non è, che anche in questi ambiti prevalgono spesso ideologizzazione, manicheismo e soggettività. Quando poi si passa alle discipline naturali e dure, quella che per tante persone è la “scienza” tout court, il margine di opinabilità si riduce ulteriormente, dato il livello molto specialistico di competenza necessario per sostenere una posizione credibile.

La scienza, insomma, “non è democratica”, come si ripete spesso, poiché afferma verità che obbediscono al dato di realtà; d’altra parte ogni scienziato sa che qualunque verità raggiunta sarà prima o poi superata: la “fallibilità” è proprio il criterio identificativo della scienza, secondo il filosofo Karl Popper. Si dice quindi che la scienza si avvicina alla verità in maniera asintotica, come la curva che unisce i punti nei quali il prodotto tra le coordinate cartesiane è sempre uguale e che quindi non potrà mai toccare l’asse delle ascisse o delle ordinate.

L’intrinseca imperfezione di quanto stiamo dicendo è evidente. Proviamo a precisarlo con un esempio, quello dei cosiddetti terrapiattisti che dubitano della sfericità della Terra (della sua forma geodetica, per la precisione), nonostante l’infinità di prove addotte sin dall’antichità, le navigazioni colombiane e post-colombiane, le osservazioni satellitari. Delle persone convinte di vivere su un pianeta a forma di pizza napoletana, con il cornicione alto che impedisce alle acque di cadere di sotto, possiamo anche sorridere, ma il problema gnoseologico ed epistemologico (cioè di conoscenza generale e scientifica) che esse pongono è ben più serio. Se su questo tema riteniamo di affermare una verità assoluta e definitiva, allora vuol dire che l’avanzamento della conoscenza umana è in grado di professarne?

Ad aumentare la complessità e contraddittorietà della situazione, consideriamo che le più recenti acquisizioni della fisica quantistica ci propongono idee sconvolgenti per la nostra idea di realtà, per esempio quella che un gatto possa essere morto o vivo a seconda delle condizioni nelle quali lo osserviamo. La distinzione tra soggettivo e oggettivo sembra irrisolvibile. Ma anche gli esperimenti delle “grandi macchine” della fisica ci dicono quanta distanza passi tra la formulazione teorica e le conferme sperimentali dell’“esistenza”, per esempio, di una particella, come nel caso del “bosone di Higgs” e dell’acceleratore Lhc di Ginevra.

Il nodo sta tra l’altro proprio in questo iato temporale, nella necessità dell’avanzamento scientifico di procedere lentamente, mentre la cultura indotta dai new media ci vizia a ottenere per ogni nostro quesito risposte immediate, ma non corrette. Lo abbiamo compreso bene con le ricerche sui vaccini contro la Covid-19, tra la necessità di accelerare e i passi prudenti che i protocolli prevedono, la comprensibile ma non consigliabile fretta di uscirne in modo definitivo, la contrapposizione tra eccessi allarmistici e diffusi negazionismi complottistici. In tale scenario una minima alfabetizzazione scientifica sarebbe un dovere delle agenzie formative, altrimenti l’innovazione tecnologica e mediologica rischia di aumentare progressivamente confusione e, paradossalmente, ignoranza.

Purtroppo le istituzioni e gli opinion leader non sembrano sempre pronti a rispondere in modo opportuno e talvolta, di fronte alle cosiddette “fake news”, paiono voler rovesciare l’onere della prova e addossarne in toto la colpa a coloro che le propalano in buona fede. Pensare di imporre “top down” l’accettazione delle acquisizioni scientificamente corrette è però un’utopia, non tiene conto dell’ormai avvenuto sovvertimento socio-culturale: dalla società “verticale”, caratterizzata dalla sottomissione alle autorità, all’attuale società “orizzontale” degli influencer, dei follower e dei like, in cui le opinioni prevalgono quantitativamente sulla competenza qualitativa. Eppure alcuni semplici criteri di discernimento e orientamento potrebbero essere spiegati, al fine di fornire a ogni cittadino una bussola per orientarsi nella bolgia di notizie e commenti in cui siamo sommersi.

Prendiamo l’esempio recente di Adriano Panzironi, che tramite un programma andato in onda su una syndication di emittenti private ha costruito un’ampia notorietà, celebrata in un’oceanica convention svoltasi a Roma. Il giornalista è il profeta di un verbo che promette la longevità fino a 120 anni e la cura di un’amplissima serie di disturbi e sintomatologie grazie a un piano dietetico al quale, guarda caso, si associa un’attività commerciale di prodotti alimentari, integratori e manuali. Contro Panzironi si sono mosse diverse istituzioni e il guru di Life 120 ha già collezionato alcune condanne.

In altri casi, però, l’identificazione è meno semplice. Se il binomio genio e sregolatezza è ormai consolidato nell’immaginario comune, al punto da essere divenuto uno stilema retorico, quello di scienza e follia potrebbe apparire più dissonante. Eppure, a prescindere dalla ovvia considerazione che gli scienziati sono esseri umani identici dal punto di vista psicofisico a tutti gli altri, la constatazione che persino molti genii della ricerca abbiano assunto posizioni borderline e talvolta del tutto eterodosse, dentro o fuori dai loro ambiti disciplinari, è suffragata da moltissimi esempi, basta una rapida occhiata alla cronologia dei premi Nobel per rendersene conto. Ma in questo ambito si inserisce una categoria intermedia di grande interesse socio-culturale, in particolare nella contingenza in cui la pandemia ci ha costretto a vivere.

Enti di ricerca e giornali sono spesso approdi di personaggi curiosi, provenienti da un limbo indefinito tra la ricerca e la mitomania, che vantano intuizioni rivoluzionarie, tecnologie innovative e panacee per tutti i mali, tentando di dimostrarle o millantandole con grande capacità affabulatoria. Si finisce quasi sempre per liquidarli cortesemente, inoltrarli a un altro destinatario, farsi negare. Per chi deve giudicarli o semplicemente incontrarli, però, il dubbio rimane. La memoria corre a Guglielmo Marconi e all’impiegato dell’ufficio brevetti che ne consigliava il ricovero in manicomio. E alle molte polemiche sull’insufficienza degli attuali parametri di giudizio per distinguere la verità e il merito scientifico.

A questa varia umanità, Paolo Albani ha dedicato alcuni anni fa una galleria dal titolo un po’ semplificatorio e irriverente, I mattoidi italiani. I ritratti vanno dalla linguistica all’astrofisica, dalla filosofia agli inventori, dagli architetti di opere monumentali agli ideatori di pensieri politici, religiosi ed economici di scarsa fortuna ma molta fantasia. Fino a settori dove il limite tra conoscenza riconosciuta e sedicente è particolarmente delicato al fine di tutelare la comunità da ciarlatani e speculatori, come la medicina o l’alimentazione.

In casi di teorie insussistenti e spesso pericolose, anche se magari non infrangono alcuna legge, quali sono però gli essenziali criteri di discernimento? Il primo è forse il tono: la bufala non si ipotizza, la si urla, la si strilla, la si rivendica ponendosi contro un “sistema” consolidato che non accoglie la novità o che nasconde la verità per fini occulti, in genere politico-finanziari. Ci sono poi casi più incomprensibili, tra cui quello delle “scie chimiche”, le strisce di condensa che gli aerei talvolta rilasciano e che secondo alcuni sono segno della dispersione di sostanze nocive per la salute psicofisica delle sottostanti persone. Spesso, mattoide e bufalaro si pronunciano su temi controversi senza ombra di incertezza, come a dire: “Io so la verità, ho trovato la soluzione”. Lo spettro tematico è ampio e include complessi temi scientifici, leggende e storie come il mostro di Lochness o i templari, problematiche planetarie, obiettivi condivisibili ma irrisolti quali debellare la fame nel mondo o le malattie.

Se alcuni elementi sono più identificabili, solo che si tenga a mente la barzelletta del tizio che imbocca l’autostrada dalla parte sbagliata e si lamenta perché vanno tutti contromano, ben più insidiosa è la pretesa di competenza accampata da molti propalatori. Un titolo di studio come la laurea è considerato autorevole, soprattutto in Italia che ne conta una percentuale ancora  bassa, ma un medico che si occupa di archeologia o un ingegnere che si occupa di sanità hanno diritto di parlare solo come cittadini, non come specialisti. Inoltre, un titolo di studio superiore non è sufficiente per qualificarsi come esperti di un tema, occorrono come minimo un dottorato ma soprattutto un’esperienza autorevole. Per questo bisogna diffidare di chi si presenta con qualifiche cui non corrisponde un riconoscimento preciso, quali esperto, tecnico o scienziato: quest’ultimo termine, peraltro, in italiano traduce due accezioni che sarebbe bene tener separate, quelle di ricercatore “researcher” e di “scientist”.

Alla confusione sui titoli corrisponde quella sulle pubblicazioni: produrre propri scritti e opere pur edite significa ignorare o fingere di ignorare che questo tipo di certificazione non avvalora nulla se non rientra in un sistema condiviso e ufficiale. Articoli e saggi sono considerati attestati di competenza solo se vagliati da comitati editoriali e di revisione, se inseriti nelle misurazioni di impact factor, h index, quotation index e sistemi similari. Un metodo peraltro insoddisfacente, che non garantisce in assoluto contro errori e vere e proprie truffe, come ricordano i clamorosi casi di Andrew Wakefield, che pubblicò su Lancet l’articolo su cui si fonda la bufala del nesso tra vaccinazioni pediatriche e insorgenza dell’autismo, o quelli con risultati inventati di Jan Hendrik Schön, ricercatore presso i Bell-Labs statunitensi che giunse alle soglie del Nobel.

Sempre indipendentemente dalla buona o cattiva fede, inoltre, talvolta chi asserisce di aver compiuto scoperte mirabolanti senza produrre prove ricopre effettivamente ruoli accademici e istituzionali, dal rapporto di collaborazione fino alla cattedra universitaria come ordinario. Ed è questa la copertura più insidiosa per chi voglia smascherare un mattoide o un bufalaro, ancor più quando ad essa si unisca la notorietà pubblica. Se un comune cittadino non può fidarsi neppure quando una ricerca è svolta in un ateneo, come può distinguere il vero dal falso o dal verosimile?

Infine, se è sospetto produrre scoperte sensazionali in settori dove il resto della comunità scientifica ancora si affanna a cercare, non lo è meno spacciare quali contributi originali e inediti banali considerazioni di buon senso, magari efficaci sintesi di nozioni scolastiche, senza riferimento alle fonti utilizzate al fine di accentuarne la paternità, ma impedendo così il controllo da parte del lettore. La scienza non è sempre intuitiva, così come raramente può porsi in aperta contraddizione con le posizioni ufficiali; la verità oggettiva non può essere decisa a maggioranza, d’altro canto la prevalenza del consenso nella comunità degli esperti di un tema è un indice attendibile dell’autorevolezza di una teoria. In sostanza, per quanto si possano cercare di stabilire dei criteri distintivi, non è possibile tracciarne di automatici e assoluti. Il progresso della conoscenza è segnato da molti casi di verità negate da autorità politico-istituzionali e religiose, ma non si presta altrettanta memoria alle ancor più clamorose negazioni opposte dagli scienziati stessi ai portatori di novità poi rivelatesi fondamentali, bastino i nomi di Pasteur, Semmelweis, Lister. (Leonardo Rizzo)

FONTE: https://www.corrispondenzaromana.it/conoscenza-e-ignoranza-nellera-del-covid/

 

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