RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 21 MAGGIO 2020

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

21 MAGGIO 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

L’odio deve rendere produttivi. Altrimenti  è più intelligente amare 

KARL KRAUS, Detti e contraddetti, Adelphi, 1972, pag. 238

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SOMMARIO

L’ex Fiat pretende 6 miliardi da un paese che sta morendo
Molinari: ci opporremo sempre alla visione insita in “Gaia”
IL GOVERNO CONTE: DECRETI, CHIACCHIERE E FANTASIA
Il cinema italiano riparte su RaiPlay con 8 film inediti. Si inizia con Magari di Ginevra Elkann!
Ombre cinesi su Israele
IL COMPLESSO MILITARE-INDUSTRIALE EUROPEO. LE RELAZIONI E GLI INTERVENTI
SARANNO VIETATI ANCHE I BACI
Fondazione Gates finanzierà ricerca operatore telecomunicazioni sudcoreano per sradicare pandemie
Covid, bimbi nati con maternità surrogata “stoccati” a Kiev fanno riflettere
Vogliamo controllare come Roma usa i soldi
La Fase 2 sarà peggio della Fase 1
Novelli: capitalismo al capolinea, la finanza se l’è mangiato
Cedola BTP Italia 2020: anche il tasso definitivo all’1,40%
L’INCIDENZA DELLA DISCIPLINA DEL CREDITORE APPARENTE NELLA FATTISPECIE DI TRUFFA AGGRAVATA EX ART. 640 C. 2 N. 1 C.P.
SULL’IMMIGRAZIONE LA SINISTRA TRADISCE GLI ITALIANI
OMS, da Trump ultimatum di 30 giorni: stop a finanziamenti, gli USA potrebbero uscire
La storia della potente famiglia Saud e la loro amicizia con gli Stati Uniti
QUANDO UNO VALE ZERO
Cos’è l’eXplainabile AI e perché non possiamo farne a meno
Le memorie di un paracadutista ad El Alamein

 

IN EVIDENZA

L’ex Fiat pretende 6 miliardi da un paese che sta morendo

Fca chiede un mega-prestito di 6,3 miliardi di euro allo Stato. Gli Agnelli controllano “Repubblica” che ha una linea nettamente pro-Fca (basta vedere la lite tra il cdr e il direttore Molinari). Conflitto di interessi? Sono francamente sconcertato dalla vicenda Fiat e dalla richiesta di finanziamento allo Stato. Poi non so se in questo caso ci sia un conflitto di interessi, è l’eterna storia della Fiat che ha sempre usato i suoi giornali per fare lobbying e per curare i propri interessi. Quello che stiamo vedendo in questi giorni è solo un altro capitolo di una storia antica. Perché sono sconcertato dalla richiesta di finanziamento allo Stato? Quando un’azienda si sgancia dal paese portando il domicilio legale e fiscale all’estero vuol dire che non sopporta l’onere di essere italiana, però ne vuole i vantaggi e torna attraverso la banca che controlla in buona parte, Intesa San Paolo, e pretende un prestito dallo Stato. Poi l’alibi è che riguarda gli stabilimenti italiani.

Bisogna decidere se essere internazionali o nazionali fino in fondo, non è possibile usare il sistema doppio, e cioè che a seconda della convenienza si è internazionali o nazionali. In questo caso abbiamo il Pd che critica Fca e il centrodestra che la John Elkanndifende. Se mi sento in imbarazzo? Non mi interessano i partiti e che cosa pensano, esprimo liberamente la mia idea. La richiesta di prestito allo Stato è incoerente e fuori luogo. Ci possono poi essere valutazioni di realismo, vista la presenza di fabbriche Fca in tutto il paese; ma non mi sembra proprio il caso di iniziare dalla Fiat, per gli aiuti. Va stabilità una graduatoria di priorità e la Fiat non è una priorità. Salvini ha detto che ci penserebbe due volte prima di dire no al prestito? Pazienza, capisco le valutazioni politiche, ma per chi come me non ha interessi politici conta solo dire la verità: è assolutamente inopportuno che Fca abbia la precedenza rispetto a un paese che sta morendo.

“Repubblica” è ancora un giornale di sinistra, considerando anche la posizione a difesa di Fca? L’unica cosa di sinistra rimasta è probabilmente Teresa Bellanova e la sua battaglia per la regolarizzazione dei migranti. Ma non ci sono segnali di sinistra intesa come patrimonio storico, sociale e ideale di una determinata area ideologica. Devo anche dire che sto seguendo con molta attenzione e curiosità il cambiamento in atto a “Repubblica”. Com’è cambiato il giornale da De Benedetti a Elkann e da Verdelli a Molinari? Ha sicuramente accentuato i motivi di realismo e la posizione filoccidentale. Interessanti anche le valutazioni sul ruolo geopolitico di Israele. Sono tutti elementi che caratterizzano la svolta di “Repubblica”. E ho l’impressione che gli iniziali attacchi al governo Conte, quando l’operazione del prestito sarà compiuta, cesseranno. Ma le mie sono solo illazioni e congetture, osservo la realtà.

(Marcello Veneziani, dichiarazioni rilasciate ad Alberto Maggi per l’intervista “Fiat da sempre usa i suoi giornali, sconcertante la richiesta di soldi”, pubblicata da “Affari Italiani” il 18 maggio 2020).

Molinari: ci opporremo sempre alla visione insita in “Gaia”

21 Maggio 2020 posted by Nicoletta Forcheri

VIDEO QUI: https://www.facebook.com/9ed5de99-33a5-4eb3-a1d5-a0f24bfff409

Gaia, un video pubblicato dalla Casaleggio associati, nel 2008: era un auspicio, una previsione, un monito? In esso si prevede tra le altre cose l’anno 2020 come l’inizio della terza guerra mondiale, con armi non convenzionali come quelle batteriologiche, che durerà 20 anni, e che assisterà alla distruzione dei simboli dell’occidente, ai cambiamenti climatici, alle carestie, alla fine dell’era degli idrocarburi, alla riduzione della popolazione mondiale a un miliardo. Alla fine vincerà “l’occidente” e la “democrazia del NET”, pertanto la distruzione degli Stati e l’avvento, nel 2047, dell’identità digitale (Id2020) a tutti in un mondo digitale creato da Google (earthlink) (testuale nel video).

Ecco, da quando conosco e osservo la Casaleggio e il movimento di Beppe Grillo, non ho MAI visto, dico bene mai, una sia pur minima opposizione critica a questo progetto globale, anzi, tutte le forze, tutte le energie sono state messe a servizio di questa visione imposta dall’alto degli azionisti privilegiati di Google, Microsoft, Apple, Facebook e consociate.

Qua un vecchio articolo su Grillo:
Grillo il Gallo?

 Chiesi quindi a Grillo in quella telefonata del 2006 non già spiegazioni sulla Casaleggio in sé bensì su quel video sconcertante pieno zeppo di simboli esoterici (Gaia) che campeggiava sulla prima pagina del loro sito: mi rispose con un tono canzonatorio e grave due parole: “Casaleeeeeeggio!, massoneeeeeeria!”, e si congedò senza che potessi cavargli più alcun ragionamento di bocca.

 

FONTE:https://scenarieconomici.it/molinari-ci-opporremo-sempre-alla-visione-insita-in-gaia/

 

MOLINARI (LEGA) REPLICA A CONTE (CAMERA DEI DEPUTATI, 21.05.20)

Ora in diretta dalla Camera, per la Lega replica a Conte di Riccardo Molinari.

Gepostet von Matteo Salvini am Donnerstag, 21. Mai 2020

 

Gaia, un video pubblicato dalla Casaleggio associati, nel 2008: era un auspicio, una previsione, un monito? In esso si prevede tra le altre cose l’anno 2020 come l’inizio della terza guerra mondiale, con armi non convenzionali come quelle batteriologiche, che durerà 20 anni, e che assisterà alla distruzione dei simboli dell’occidente, ai cambiamenti climatici, alle carestie, alla fine dell’era degli idrocarburi, alla riduzione della popolazione mondiale a un miliardo. Alla fine vincerà “l’occidente” e la “democrazia del NET”, pertanto la distruzione degli Stati e l’avvento, nel 2047, dell’identità digitale (Id2020) a tutti in un mondo digitale creato da Google (earthlink) (testuale nel video).

Ecco, da quando conosco e osservo la Casaleggio e il movimento di Beppe Grillo, non ho MAI visto, dico bene mai, una sia pur minima opposizione critica a questo progetto globale, anzi, tutte le forze, tutte le energie sono state messe a servizio di questa visione imposta dall’alto degli azionisti privilegiati di Google, Microsoft, Apple, Facebook e consociate.

VIDEO QUI: https://youtu.be/sV8MwBXmewU

Qua un vecchio articolo su Grillo:
Grillo il Gallo?

 Chiesi quindi a Grillo in quella telefonata del 2006 non già spiegazioni sulla Casaleggio in sé bensì su quel video sconcertante pieno zeppo di simboli esoterici (Gaia) che campeggiava sulla prima pagina del loro sito: mi rispose con un tono canzonatorio e grave due parole: “Casaleeeeeeggio!, massoneeeeeeria!”, e si congedò senza che potessi cavargli più alcun ragionamento di bocca.

FONTE:https://scenarieconomici.it/molinari-ci-opporremo-sempre-alla-visione-insita-in-gaia/?utm_medium=push&utm_source=onesignal

 

 

 

IL GOVERNO CONTE: DECRETI, CHIACCHIERE E FANTASIA

Il governo conte: decreti, chiacchiere e fantasiaCosa sta accadendo al governo? Il popolo italiano, da qualche mese, assiste incredulo alla sceneggiata, messa in scena brillantemente (bisogna riconoscere che neanche l’eccellente Scarpetta sarebbe riuscito a tanto), da chi dovrebbe occuparsi dei reali problemi della collettività ed invece continua ad affannarsi nel ribadire ripartenze, riprese, rilanci e grandi manovre economiche, con la scusante che di più non si poteva fare, anzi, secondo chi ci governa, ne andrebbe anche apprezzato lo sforzo, posto in campo, nell’aver partorito tutto ciò in poco tempo. È bene ricordare loro che è passato qualche mese, a dire il vero, ma forse a Palazzo Chigi hanno una diversa misurazione del tempo, eppure la misurazione del tempo è stata la prima scienza esatta degli antichi, chissà questo potrebbe essere anche un utile indizio di come potrebbero andare le cose in futuro.

Infatti, se ci rifacciamo alla storia, il primo modo per misurare il tempo è stato individuare il giorno, cioè ad un periodo di luce seguiva sempre un periodo di buio, non vorremmo che questo sia sinonimo anche per l’attuale governo. Bene, noi diciamo, a lor signori, grazie, ma alla fine della fiera, scusate l’ardire, cosa è giunto ai cittadini e agli imprenditori piccoli, medi e grandi? Perché questi, ancora ad oggi, non hanno visto nulla, a dir il vero hanno ben motivo di agitarsi tanto nelle varie interviste e fanno bene a porsi sul piede di guerra, recriminando l’assenza del governo nell’essere concreto. Senza giri di parole possiamo asserire che a tutti questi non è giunto, nella vita reale, “un fico secco”. Eppure per chi ci governa, anziché restare chiusi nel palazzo o uscirne solo per farsi immortalare in qualche passerella, unicamente per un ritorno di immagine, bastava farsi un banale giro per le stradine adiacenti a Palazzo Chigi per rendersene conto.

Bastava alzare lo sguardo, anche se ci rendiamo conto che forse era rivolto verso il basso per cercare di evitare le buche di Roma, ma sarebbe davvero bastato, tanto poco, per notare le tante saracinesche chiuse, dove non necessitava una buona diottria per notare dei cartelli appesi con su scritto “noi non riapriamo altrimenti falliamo”. La verità è un’altra, ad aver inesorabilmente fallito è il governo Conte 2 portando questi imprenditori, soprattutto quelli piccoli, alla disperazione, forse con il risultato di non vedere più riaperte le loro attività, immaginate voi il loro dramma sia personale che familiare, essere trattati come degli ultimi, sì proprio così “ultimi”, perché come tali sono stati miseramente considerati.

Eppure si è sempre risaputo, fin dai banchi delle scuole superiori, dove ci hanno insegnato che la piccola e media impresa è stata da sempre il traino dell’economia italiana, parliamo di quei tanti, tantissimi imprenditori che si sono da sempre rimboccati le maniche e con sacrifici hanno portato avanti le loro attività, nonostante le eccessive tasse e i meandri burocratici, alcuni di essi hanno portato con successo all’estero il buon nome della nostra nazione. Guardando l’azione politica del governo di oggi si rimpiange la politica di ieri, di altri tempi che si considerava in malo modo, chiariamoci non erano dei chierichetti, ma almeno avevano un senso delle istituzioni, spina dorsale e sapevano dare una direzione anche al Paese. Oggi, purtroppo è triste dirlo, ci ritroviamo con un pugno di mosche in mano, ma forse neanche quello, diciamo che perlomeno ne sentiamo solo il ronzio, lo stesso che ci fa percepire, questo governo, nelle orecchie ogni qualvolta sventola come una grande conquista in ogni, oramai stucchevole, conferenza stampa il varo di un nuovo decreto che viene presentato come una panacea per risolvere la situazione drammatica in cui speriamo di non sprofondare.

La differenza rispetto alla politica di un tempo, al quale sopra facevamo riferimento, è che quei governi del passato criticabili sì, certo, prima di comparire in una conferenza stampa per illustrare un decreto, lo discutevano attentamente, finanche con una dialettica aspra, si confrontavano, ne trovavano le risorse per darne seguito, lo approvavano e poi, in fine, solo allora lo annunciavano. Uno dei maggiori problemi, tra i tanti, di questo governo, è proprio questo, la metodologia, invece stiamo incomprensibilmente assistendo ad una sorta di sfrenata corsa solo per far notizia, renderla strabiliante, per poi inesorabilmente cozzare con la triste realtà, quella che le cose vanno dette unicamente quando sono fatte e non viceversa. Il bello è che poi al governo si stizziscono pure, quando si sollevano delle critiche, legittime, aggiungiamo noi, quando si pone in discussione la loro evidente incapacità, sotto gli occhi di tutti oramai, di comprendere le difficoltà oggettive di chi, davvero, opera nei vari settori lavorativi e ne conosce, meglio di qualunque altro, le necessità e le eventuali soluzioni. A tutto ciò manca quel qualcosa, quel “quid” in più, che un buon governante dovrebbe avere, la capacità di saper intravedere, avere la visione di un Paese per renderlo nuovamente vivo attraverso grandi opportunità e non elemosinare poche risorse, nella maggioranza dei casi mai arrivate, e rendere purtroppo il proprio Paese insicuro economicamente sia nel presente che nel futuro.

FONTE:http://www.opinione.it/societa/2020/05/20/alessandro-cicero_governo-decreti-palazzo-chigi-piccola-media-impresa-passerella-buche-roma-economia-italiana-istituzioni-realt%C3%A0-notizia/

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Il cinema italiano riparte su RaiPlay con 8 film inediti. Si inizia con Magari di Ginevra Elkann!

L’amministratore delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco e la direttrice di RaiPlay Elena Capparelli presentano la nuova iniziativa La Rai con il cinema italiano

21 Maggio 2020

Giovedì 21 maggio prende il via l’iniziativa La Rai con il cinema italiano. Un progetto promosso da Rai Cinema per sostenere il nostro cinema nazionale, dando al contempo sollievo al pubblico che si vede preclusa la possibilità di accesso alle sale, e favorire così anche la diffusione di alcuni film che a causa dell’attuale emergenza sanitaria non sono potuti arrivare nei cinema nel momento inizialmente programmato. Arrivano dunque sulla piattaforma RaiPlay otto film, uno per settimana, in anteprima. Quattro di questi saranno in prima visione assoluta, gli altri quattro saranno invece disponibili per la prima volta in anteprima streaming dopo essere stati recentemente, prima del periodo di lockdown, in sala. I titoli rappresentano un campione eterogeneo per contenuti, linguaggio e genere, pensati dalla Rai per rispondere alle richieste di un pubblico più ampio possibile, e sono film coprodotti o acquisiti da Rai Cinema.

Le parole di Paolo Del Brocco ed Elena Capparelli in merito all’iniziativa La Rai con il cinema italiano

Si è così espresso in merito l’amministratore delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco: “Come tutto il mondo del cinema, ci stiamo interrogando in questi mesi su come riuscire a rispondere concretamente e positivamente al blocco delle nostre attività. Restiamo convinti che l’uscita in sala sia la priorità per un film che è stato concepito e realizzato con questa idea, e lo sarà ancora se vogliamo mantenere una qualità alta e competitiva del nostro cinema. Tuttavia, in accordo con i produttori, abbiamo capito che dobbiamo comunque offrire un’opportunità a quei film che avevano un’uscita programmata in questi mesi e che difficilmente sarebbero riusciti a trovarne un’altra nel medio periodo. L’accordo con RaiPlay va esattamente in questa direzione: offrire una platea vasta, per di più gratuita, come una grande opportunità soprattutto per le opere di registi emergenti.

Lo stesso Del Brocco ha proseguito poi riflettendo sulle attuali possibilità per la distribuzione dei film al di fuori del circuito canonico delle sale al momento non fruibili: “A seguito della deroga concessa dal Mibact al decreto Bonisoli, abbiamo inoltre raggiunto l’accordo per un’offerta di titoli direct to RaiPlay che permette di utilizzare la finestra normalmente dedicata alla first pay, rendendo subito disponibili questi film senza aspettare i tempi canonici. Ringrazio per questo l’Anec che ha condiviso e sottoscritto con produttori e distributori la lettera di richiesta. È importante in questo momento lanciare ogni iniziativa che, senza rinunciare all’idea della centralità della sala, ci consenta di tenere saldo il legame tra il cinema e il suo pubblico, in questi tempi di grande incertezza non possiamo rischiare che resti ferito o danneggiato per sempre. I film non usciti in sala e che ora esordiranno su RaiPlay potranno poi arrivare eventualmente anche nei cinema alla loro riapertura se ci verranno richiesti dagli esercenti”.

Al plauso di Del Brocco si aggiunge poi quello di Elena Capparelli, direttrice di RaiPlay: “Sono molto contenta di annunciare che la collaborazione tra RaiPlay e Rai Cinema, iniziata a fine febbraio con il grande successo de Il Sindaco del Rione Sanità, prosegua con una nuova proposta in esclusiva per RaiPlay: la pubblicazione di otto titoli esclusivi, quattro dei quali del tutto inediti per il pubblico italiano. La nuova offerta ci fa compiere un altro importante passo avanti nella costruzione di un’offerta sempre più originale ed esclusiva, e consolida il ruolo della piattaforma del servizio pubblico a sostegno del cinema italiano e a sostegno dei giovani talenti, anche in un momento così delicato per l’intero settore e per il Paese.”

Quali sono gli 8 film in anteprima disponibili su RaiPlay?

Questo il calendario dei film in uscita su RaiPlay:

INEDITI

  • Magari di Ginevra Elkann, con Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher (dal 21 Maggio)
  • Bar Giuseppe di Giulio Base con Ivano Marescotti e Virginia Diop (dal 28 Maggio)
  • La rivincita di Leo Muscato, con Michele Venitucci e Michele Cipriani (dal 4 Giugno)
  • Abbi fede di Giorgio Pasotti, con Claudio Amendola e Giorgio Pasotti (dall’11 Giugno)

DIRECT TO RAIPLAY

  • Lontano Lontano di Gianni Di Gregorio, con Ennio Fantastichini, Giorgio Colangeli e Gianni Di Gregorio (dal 18 giugno)
  • Ötzi e il mistero del tempo di Gabriele Pignotta, con Michael Smiley, Diego Delpiano e Alessandra Mastronardi (dal 25 giugno)
  • Dafne di Federico Bondi, con Carolina Raspanti, Antonio Piovanelli e con Stefania Casini (dal 2 luglio)
  • Un giorno all’improvviso di Ciro D’Emilio, con Anna Foglietta e Giampiero De Concilio (dal 9 luglio)

FONTE:https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/interviste/il-cinema-italiano-riparte-raiplay-film-anteprima-streaming-data-uscita/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Ombre cinesi su Israele

La Via della Seta passa anche per Israele. E per gli strateghi americani è un problema talmente serio che lo stesso segretario di Stato, Mike Pompeo, si è dovuto recare in visita a Gerusalemme per ribadire alle controparti dello Stato ebraico il netto rifiuto di Washington alla penetrazione di Pechino.

Una visita particolarmente intensa visto che si è parlato di Cina, di piano di annessione della Cisgiordania, di nuovo governo di coalizione e di strategie regionali, ma che si è conclusa anche con un evidente scontro politico tra i due giganti del mondo – Pechino e Washington – che adesso vedono in Israele una delle trincee della loro nuova Guerra fredda. Una trincea che è destinata a essere anche una delle più pericolose e complesse data anche la faglia strategica su cui sorge Israele, avamposto dell’Occidente nel mondo mediorientale e che da qualche tempo ha deciso di aprirsi anche alle sirene orientali. Nonostante la preoccupazione e i continui avvertimenti delle amministrazioni americane.

In questo contesto di tensione, rafforzato con l’arrivo di Pompeo e con una serie di articoli e comunicati usciti da una parte all’altra della barricata su prospettive e rischi della partnership tra Israele e Cina, è piombata l’improvvisa morte di Du Wei, ambasciatore cinese da poco insediatosi a Tel Aviv. Una morte per cause naturali che però non poteva non gettare più di un’ombra di sospetto e di mistero vista la tempistiche del decesso, praticamente a poche ore dal giuramento del nuovo governo e dalla visita del potente segretario di Stato americano ed ex direttore della Cia.

Le indagini della polizia israeliana hanno accertato in maniera definitiva le cause “naturali” della morte. Il diplomatico, 57 anni, trovato senza vita nel letto della sua Herzliya, sarebbe stato colpito da un infarto. Una conclusione a cui è giunto anche il governo di Pechino, che dopo una prima possibilità di inviare una squadra investigativa a Tel Aviv per indagare sulla morte dell’ambasciatore, ha scelto di non mandare nessuno confermando i risultati delle indagini della polizia israeliana.

La possibilità dell’invio di una squadra investigativa cinesi non è stata soltanto frutto delle indiscrezioni di stampa (in particolare del South China Morning Post e di Haaretz): lo stesso portavoce del ministero degli Esteri, Lior Haiat, aveva dichiarato all’agenzia di stampa Dpa che la Cina aveva deciso di inviare un team di esperti. Ma in serata è arrivata la retromarcia del governo cinese, che ha invece confermato quanto appreso dalla polizia israeliana ribadendo che la morte di Du Wei sarebbe avvenuto per un malore. Come già anticipato dall’organo internazionale del Partito, il Global Times.

Una retromarcia particolarmente interessante. Da una parte è chiaro che difficilmente Israele avrebbe avallato un’investigazione straniera sul proprio territorio; dall’altro lato, inviare un team di esperti non fidandosi delle affermazioni degli investigatori israeliani avrebbe di fatto svelato tutti i sospetti di parte cinese oltre che creare un pericoloso precedente nei rapporti tra i due Paesi. In ogni caso, l’annuncio e la successiva smentita hanno fatto comprendere che più di qualcuno, nelle stanze del Partito a Pechino, ha pensato che la morte di Du Wei non sia stata un caso.

Difficile (se non impossibile) fare ipotesi. Le speculazioni in questo caso sono potenzialmente infinite ed è sempre pericoloso pensare alla risposta più facile. È chiaro che una morte del genere, improvvisa e così importante, e il solo fatto che la polizia israeliana abbia indagato su una morte già all’apparenza naturale, siano questioni foriere di dubbi e sospetti. Ma la scelta di Pechino di non inviare il team così come la netta presa di posizione delle autorità dello Stato ebraico inducono a credere che dalle parti di Tel Aviv e di Pechino si voglia mettere un freno al giallo.

Freno che però non può essere messo al tema cruciale dello scontro su Israele tra Cina e Stati Uniti e su cui ora si gioca parte della sopravvivenza internazionale del governo Netanyahu-Gantz. E non a caso tre giorni fa era stata proprio l’ambasciata cinese a Tel Aviv a protestare per le parole di Pompeo sulla minaccia legata alla penetrazione asiatica nel Paese ebraico. Israele interessa alla Cina ed è allo stesso tempo considerato fondamentale per gli Stati Uniti. Benjamin Netanyahu, pur legato a doppio filo all’attuale amministrazione americana, non ha mai disdegnato gli interessi cinesi, specialmente con un’Unione europea molto poco incline ad accettare le scelte dei governi guidati dal Likud e con gli Stati Uniti che, sotto l’era Obama, avevano firmato quell’accordo con l’Iran che Bibi aveva sempre condannato. Scelta che ha provocato una frattura non ancora del tutto sanata tra i due alleati.

La Cina, grazie anche alle posizioni di Netanyahu, si è mossa per cercare di colmare i primi vuoti lasciato dagli Stati Uniti. E sono anni che i servizi segreti israeliani, storicamente saldati con l’America, avvertono le autorità sugli investimenti di Pechino. Lo hanno fatto per le vendite di aziende israeliane a grandi marchi cinesi, ma lo hanno fatto soprattutto per l’interesse del gigante asiatico nel porto di Haifa e nel più grande impianto di desalinizzazione del mondo, Israele starebbe rivalutando l’offerta di una società legata alla Cina, la Hutchison, per la costruzione di un impianto di dissalazione, il Sorek 2, nel kibbutz Palmachim, poco lontano da Tel Aviv.

Sul porto di Haifa i problemi sono legati soprattutto ai rischi del doppio uso civile e militare dei possibili investimenti cinesi. Motivo per cui gli Stati Uniti da tempo chiedono ai partner europei di evitare (con scarso successo) il coinvolgimento di Pechino nelle grandi infrastrutture portuali. Il rischio, per l’intelligence e militari americani e israeliani, è che la Cina possa sfruttare queste opere civili per mettere più di un piede nelle strutture strategiche legate direttamente alla sfera di influenza americana.

Diverso il tema del Sorek 2, che è di natura prettamente politica ed economica: il negoziato con la Hutchinson, azienda di Hong Kong, non è mai piaciuto agli Stati Uniti, tanto che le pressioni nei confronti del governo israeliano sono state tantissime . E non a caso in concomitanza con la visita di Pompeo e l’avvio del nuovo governo, da Israele è arrivata la notizia di un “ripensamento”. Un segnale di dubbi politici prima ancora che economici seguito, a stretto giro di posta, dalla tragica morte di Du Wei.

FONTE:https://it.insideover.com/politica/cina-israele-trincea-guerra-fredda.html

 

 

 

IL COMPLESSO MILITARE-INDUSTRIALE EUROPEO. LE RELAZIONI E GLI INTERVENTI

Sono disponibili i testi integrali delle relazioni e degli interventi al convegno “Il complesso militare-industriale europeo. Crisi della Nato e ambizioni geopolitiche della Ue” organizzato da Eurostop a Napoli.

https://www.flipbookpdf.net/web/files/uploads/3937c5b2c42b72ca579e91940f40540af03b31bf202002.pdf

Sfoglia l”opuscolo

I N D I C E

La complessa costruzione del complesso militare industriale europeo nell’attuale fase di competizione globale interimperialistica.

Walter Lorenzi 3

Spese militari e diseguaglianze nella U.E

Alessandro Giannelli 17

L’insostenibile fedeltà atlantica. L’Italia nucleare, altre ingerenze funeste e nuovi rischi epocali.

Angelo Baracca 35

La Francia, la proiezione di potenza della UE e il neo-colonialismo in Africa.

Giacomo Marchetti 57

La ricerca orientata al Dual-Use civile-militare

Mauro Luongo 79

L’industria dell’aerospazio, della difesa, e della sicurezza Italiana.

Rossana De Simone 89

Il ruolo della Nato nell’Unione Europea.

Claudio Giangiacomo

L’industria aeronautica europea non conosce crisi e LEONARDO è un pezzo fondamentale di questo asset strategico.

Giovanni Giovine

FONTE:http://www.eurostop.info/il-complesso-militare-industriale-europeo-le-relazioni-e-gli-interventi/

 

 

CULTURA

SARANNO VIETATI ANCHE I BACI

Saranno vietati anche i baci Sarebbero tempi difficili oggi per Cyrano de Bergerac e per il suo “apostrofo rosa, messo tra le parole t’amo”, questi giorni della fine della quarantena.

È notizia di pochi giorni fa, apparsa sul quotidiano la Repubblica, dei due giovani sorpresi a scambiarsi un bacio in strada e perciò multati dopo esser stati denunciati alla procura per non aver osservato i divieti. Ovviamente, ligio al dovere nel sentirsi investito del compito di sceriffo e tutore della legge in pectore, a denunciarli sarebbe stato un vicino che, dal proprio appartamento, li aveva notati nell’atto delittuoso e pertanto si era subito prodigato dell’informare la polizia affinché simili atteggiamenti pericolosissimi per la salute pubblica non si ripetessero. Fortunatamente sono stati aboliti i roghi e le pubbliche esecuzioni capitali, altrimenti i due fidanzati non si sarebbero salvati.

Anche Jacques Prévert adesso avrebbe avuto a che ridire, inorridito, per questo gesto criminale che contrasta con i suoi versi

I ragazzi che si amano

I ragazzi che si amano si baciano in piedi

Contro le porte della notte

E i passanti che passano li segnano a dito

Ma i ragazzi che si amano

Non ci sono per nessuno

Ed è soltanto la loro ombra

Che trema nel buio

Suscitando la rabbia dei passanti

La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini

la loro invidia

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Loro sono altrove ben più lontano della notte

Ben più in alto del sole

Nell’abbagliante splendore del loro primo amore

E allora non ci resteranno che i dipinti, l’unico non luogo dell’anima, dove ancora ci si potrà baciare eternamente senza incorrere in sanzioni. Questo è il “nuovo mondo” che vorrebbero per noi, ognuno a distanza di sicurezza dall’altro, senza più abbracci, né carezze. Lasciamo che tutto sia virtuale, che l’esistenza della carne, della passione e degli affetti venga relegata al ciberspazio gelido della rete. A questo tipo di società e di mondo gestito da algoritmi io mi ribello.

Che il bacio dipinto da Gustav Klimt, bizantineggiante e aureo sia il modello al quale ispirarci, siano con esso i vessilli delle labbra e dell’abbraccio voluttuoso, i baci ritratti da Francesco Hayez ma anche quelli meno noti di Italo Nunes Vais, Ancora un bacio, un olio su tela del 1885 circa, oggi alla, Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni a Novara, o ancora Pigmalione e Galatea di Jean-Léon Gérôme, dipinto nel 1890 adesso esposto al Metropolitan Museum of Arts di New York. Baci immortali e non perseguibili per legge, né allora né oggi, restano quello di René MagritteGli Amanti, del 1928, MoMA, New York o l’omonimo acquerello di Dante Gabriel Rossetti con il Romeo e Giulietta al balcone dipinto da Julius Kronberg.

Concludiamo il breve excursus sugli amanti appassionati con Il Bacio, la scultura opera di Auguste Rodin, consapevoli che l’elenco durerebbe ancora per molte pagine, ricordando al tristo delatore piemontese i versi di Gaio Valerio Catullo, che evidentemente a lui e ad altri come lui, indicano soltanto la mestizia delle loro anime

Viviamo, mia Lesbia, e amiamo

e ogni mormorio perfido dei vecchi

valga per noi la più vile moneta.

Il giorno può morire e poi risorgere,

ma quando muore il nostro breve giorno,

una notte infinita dormiremo.

Tu dammi mille baci, e quindi cento,

poi dammene altri mille, e quindi cento,

quindi mille continui, e quindi cento.

E quando poi saranno mille e mille

nasconderemo il loro vero numero,

che non getti il malocchio l’invidioso

per un numero di baci così alto.

FONTE:http://opinione.it/cultura/2020/05/20/dalmazio-frau_bacio-arte-scultura-poesia-rodin-klimt-hayez-magritte-prevert-catullo/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Secondo quanto riferito, un programma di ricerca sull’influenza precedentemente lanciato da Bill Gates ha rilevato il primo caso di coronavirus negli Stati Uniti a febbraio, ma è stato recentemente sospeso dalla FDA per i controlli da effettuare sugli algoritmi utilizzati.

La Bill & Melinda Gates Foundation sta investendo ben 6 miliardi di dollari nella ricerca dell’operatore di telecomunicazioni sudcoreano KT sulla ricerca di malattie infettive e prevenzione della pandemia nei prossimi tre anni, secondo quanto riferito da Dong-a Ilbo, con sede a Seoul, aggiungendo che il magnate della tecnologia ha recentemente applaudito il progresso della Corea del Sud nel frenare la diffusione del coronavirus.

Secondo l’operatore telecomunicazioni sudcoreano, nel corso dell’ultimo mese ha condotto sondaggi sui metodi di prevenzione della quarantena di prossima generazione per contenere meglio la diffusione delle malattie globali, con la Bill & Melinda Gates Foundation che mira a unire gli sforzi con KT per sviluppare presto algoritmo di diagnosi per malattie contagiose e un modello di previsione del percorso di diffusione che si baserebbe su una tecnologia d’intelligenza artificiale e una varietà di dati di comunicazione.

“L’uso della tecnologia mobile e dei sensori abbinati all’analisi intelligente dei dati può aiutare ad affrontare alcune delle sfide che i paesi affrontano nella risposta tempestiva ed efficace alle epidemie di malattie”, così Andrew Trister, vicedirettore del programma sanitario globale della Fondazione Bill & Melinda Gates, ha elogiato il progetto.

Secondo quanto riferito, la Fondazione pagherà la metà del costo del progetto di ricerca in rate annuali.

Secondo quanto riferito, un gruppo di lavoro sull’innovazione dei dati che ha tenuto discussioni durante il World Economic Forum 2018 è stato il punto di partenza nei legami tra KT e la Bill & Melinda Gates Foundation. Dong-a Ilbo ha precisato che la prima discussione si è svolta nell’aprile dello scorso anno, quando la fondazione ha mostrato per la prima volta interesse alla presentazione di KT intitolata Global Epidemic Prevention Platform (GEPP) al Forum ICT ospitato da Right Fund, un gruppo di investimento che si occupa di assistenza sanitaria globale ricerca.

La ricerca di KT coinvolge gli sforzi di un intero consorzio, composto dal professor Kim Woo-joo del Korea University Medical Center, dal Korea Institute of Science and Technology Information (KISTI), dalla società tecnologica blockchain MediBloc e dal business della sanità digitale Mobile Doctor.

Una applicazione mobile

Uno dei primi obiettivi, secondo quanto riferito fissato per ottobre di quest’anno, è elaborare un’applicazione mobile che verrà utilizzata per registrare sintomi sospetti relativi a malattie come l’influenza. I sensori gestiti dall’IoT devono ottenere temperature corporee, con i sintomi ulteriormente riportati alla piattaforma dell’app, che verranno utilizzati dagli algoritmi basati sull’intelligenza artificiale per esaminare le possibilità di epidemie influenzali e prevedere modelli di diffusione del virus.

Bill Gates ha più volte messo in guardia sui pericoli delle pandemie globali, sostenendo apertamente le misure necessarie per prevenirle.

Più di recente, la sua organizzazione no profit ha lanciato un primo programma di test del coronavirus chiamato SCAN – o Seattle Coronavirus Assessment Network, aveva testato 300 persone al giorno dall’inizio di marzo, prima che gli fosse ordinato dalla FDA di fermarsi per controlli più dettagliati.

FONTE:https://it.sputniknews.com/scienza-e-tech/202005189097396-fondazione-gates-finanziera-ricerca-operatore-telecomunicazioni-sudcoreano-per-sradicare-pandemie/

 

 

DIRITTI UMANI

Di 

L’emergenza Covid, bloccando gli spostamenti aerei, ha fatto saltare il business della maternità surrogata. Ha girato il mondo il video di una compagnia ucraina con i neonati “stoccati” in un albergo di Kiev, in attesa dei genitori committenti, fra cui coppie italiane. Un’immagine che fa riflettere più in generale sul cosiddetto “utero in affitto”.

La compagnia ucraina BioTexCom, che si occupa di gestazione per altri offrendo “pacchetti vip e standard”, ha pubblicato un video per rendere nota la situazione in cui versano i bimbi nati in maternità surrogata e ora bloccati a Kiev a causa del Coronavirus. L’azienda attraverso il video preme perché ai genitori committenti in diversi Paesi venga permesso di ritirare i bimbi, collocati in un albergo di Kiev già da un mese.

VIDEO QUI: https://youtu.be/0yzz485b90c

Mentre questi neonati piangono accuditi da qualche infermiera, senza la nuova famiglia a cui sono destinati è opportuno riflettere sul delicato argomento della maternità surrogata. È una pratica corretta nei confronti dei bambini e delle donne che li portano in grembo per poi consegnarli a pagamento ad una coppia di genitori committenti? Qual è l’iter di riconoscimento di questi bambini in Italia vista la legge 40 che vieta la gestazione per altri? Per fare il punto della situazione Sputnik Italia ha raggiunto Marina Terragni, giornalista e scrittrice, attivista della rete Resistenza all’utero in affitto e Franco Antonio Zenna, socio fondatore dello studio legale Intraius, esperti in diritto internazionale.

Anche coppie italiane fra i genitori committenti

– Marina Terragni, so che avete scritto un appello all’Ambasciatore italiano in Ucraina. Che cosa avete chiesto e quali sono gli sviluppi?

– Abbiamo chiesto che lui accertasse la situazione come rappresentante del nostro Paese in Ucraina. L’Ambasciatore ha detto di avere sollecitato le autorità di quel Paese a trovare delle rapide soluzioni per la situazione di quei bambini, di fatto dei fantasmi dal punto di vista civile, i loro certificati di nascita non sono stati registrati, perché per questo sono attesi i cosiddetti genitori. Di solito questi arrivano un po’prima del parto, non essendo potuti arrivare a causa del lockdown questi bambini sono dei fantasmi nelle mani di perfetti sconosciuti, il personale della clinica non ha alcun titolo per avere la tutela dei bambini.

L’Ambasciatore ci ha confermato che ci sono degli italiani fra i committenti, che stanno affidamento provvisorio alle donne che li hanno partoriti in prima istanza o a famiglie affidatarie mettendoli in stato di adottabilità.

Abbiamo sotto gli occhi la Biotexcomclinic perché ha fatto questo filmato, ma dobbiamo moltiplicare la situazione per il numero delle cliniche in Ucraina, che sono decine. E la stessa cosa succede in altri Paesi al mondo. È una situazione drammatica. Quanti sono i bambini in questa situazione?

I motivi “NO” alla maternità surrogata

– Perché siete contrarie alla pratica della maternità surrogata o il cosiddetto utero in affitto?

– Innanzitutto non si fa commercio di essere umani e non si sfruttano le donne povere. Sono motivi rappresentati da una bellissima sentenza della Corte Costituzionale italiana dove si dice che questa pratica pregiudica gravemente le relazioni umane ed è sfruttamento e violazione della dignità della donna. Questo ribadisce quanto rappresentato dalla nostra legge 40. Fra l’altro, la pratica dell’utero in affitto è vietata in tutto il mondo tranne una diciottina di Paesi su 206 nazioni. Per uno strano effetto ottico sembra che l’Italia sia uno dei pochi Paesi che lo proibisce. Non è così, è il contrario. Dovrebbe diventare reato universale.

Rivedere l’istituto dell’adozione

– Molte coppie, non solo omosessuali, per una serie di motivi, non riescono ad avere figli. Che cosa dovrebbero fare?

– Fino ad una quindicina di anni fa le coppie infertili avevano come prima opzione l’adozione e solo secondariamente ricorrevano alla fecondazione assistita. Ora le proporzioni si sono invertite: prima si tenta la fecondazione assistita e la surrogazione e solo in una seconda istanza si considera l’adozione. Bisogna rimettere le mani sul tema dell’adozione, vedere ciò che non sta funzionando e rilanciare questo importante istituto.

Avere un bambino non è un diritto. I diritti si devono fondare seriamente su qualche cosa. Semmai esiste il diritto di un bambino ad avere una famiglia. I bambini non appartengono né ai genitori biologici, né a quelli adottivi; i bambini appartengono a loro stessi e al mondo. Il bambino non è proprietà di nessuno, mai. Non si tratta di oggetti.

Avvocato esperto in diritto internazionale: neonati senza nome

– Avvocato Zenna, qual è il suo punto di vista personale sulla vicenda dei bambini rimasti bloccati a Kiev che non possono essere ritirati dai genitori committenti?

– Ovviamente l’immagine non è bella da vedere. In ogni caso penso che la pandemia abbia preso di sorpresa un po’tutti gli ambiti. In questa vicenda si parla di maternità surrogata, ma il mondo intero è bloccato. Purtroppo il Coronavirus ha creato dei problemi a livello globale.

Si parla tanto di una clinica, ma non ce n’è soltanto una. Il problema di questi bambini dipende dal Paese di origine dei genitori committenti: in alcuni casi possono viaggiare e stanno già con i bambini, come l’esempio dell’Inghilterra e dell’Australia. Per entrare in Ucraina ci vuole una autorizzazione speciale che viene rilasciata dal ministero degli Esteri. Kiev chiede che questa autorizzazione venga richiesta dal consolato del Paese di origine dei genitori. Questo ha creato dei problemi ai genitori di alcuni Paesi, fra cui l’Italia.

In Ucraina è legale la maternità surrogata, credo sarebbe opportuno che l’autorizzazione venga richiesta direttamente dai cittadini italiani al Ministero degli Esteri ucraino. È una questione diplomatica. Ci sono dei bambini, che non sono stati registrati perché in alcuni Paesi è complicato ottenere una delega per una persona di fiducia della clinica. Questo per me è un aspetto grave, perché i bambini hanno diritto ad un nome. Lo avranno e i genitori verranno a prenderli non appena sarà possibile, è una questione momentanea legata al Coronavirus.

Riconoscimento in Italia dei bambini nati in maternità surrogata

– In Italia la maternità surrogata è illegale, ma in diversi Paesi è permessa. Molte coppie italiane ricorrono all’estero a questa pratica e poi portano i bambini in Italia. Come fanno a bypassare la legge? Come riescono a registrare i bambini in patria?

– In Italia la pratica è illegale se effettuata in Italia. Poi ci sono Paesi europei dove è legale, come nel caso della Grecia. I genitori realizzano la pratica all’estero dove è legale. Viene determinata la filiazione per esempio in Ucraina o nella stessa Russia, si ottiene il certificato di nascita in base alle norme del Paese dove nasce il bambino. Qui parliamo quindi non più del fatto se sia legale o no in Italia, ma del riconoscimento della filiazione in Italia così come è stata determinata in un altro Paese.

In Italia si dibatte sul fatto se il certificato rilasciato all’estero sia contrario o meno all’ordine pubblico italiano. Per esempio la poligamia non è permessa in Italia, se arriva un signore con 5 mogli e vuole registrare i matrimoni l’Italia rifiuterà. Il problema quindi è come registrare questi bambini. Quello che devono fare i giudici, secondo la Convenzione diritti del fanciullo di New York, è tutelare l’interesse superiore del bambino. La giurisprudenza in Italia è pacifica. Inoltre si è pronunciata anche la Corte Europea dei Diritti Umani, la quale dice che se il bambino nasce all’estero in un Paese dove è legale la maternità surrogata, c’è l’obbligo di riconoscere la filiazione anche del genitore di intenzione che non è quello biologico, in caso contrario si viola il diritto alla vita privata e famigliare del bambino. La Corte Europea, inoltre, afferma che il riconoscimento deve essere rapido ed effettivo. Qui si apre un altro dibattito.

– Cioè?

– La maggior parte degli Stati riconoscono il padre genetico, perché nel 99% dei casi di maternità surrogata il padre è portatore di materiale genetico. La madre o il partner invece adotta il bambino mediante l’istituto della StepchildAdoption. A fine aprile addirittura la Cassazione Civile ha sollevato la questione di legittimità costituzionale cercando di capire se questi istituti tutelino l’interesse superiore del minore. Bisogna riconoscere il padre genetico e poi il partner adotta o bisognerebbe riconoscere direttamente il certificato straniero? Ora si dovrebbe pronunciare in merito la Corte Costituzionale.

La stepchild adoption, che in Italia è l’adozione in casi particolari pone dei limiti, non è un riconoscimento di filiazione pieno. Il bambino non ha un legame di parentela con i nonni, non può ereditare dai nonni per esempio. In Italia c’è anche il penale in realtà: il genitore che non apporta il materiale genetico o che non ha partorito viene segnalato alla Procura della Repubblica per il delitto di alterazione di stato, delitto che la Cassazione penale ha definito non esistente. Non si sta alterando lo stato civile del bambino, visto che la madre italiana dichiara di essere la madre legale, perché è così nel Paese dove è nato il bambino.

Chi, dove e perchè ricorre alla pratica della surrogata

– In quali Paesi nella maggior parte dei casi gli italiani ricorrono alla pratica della maternità surrogata?

– Vanno molto in Ucraina, perché è più accessibile da un punto di vista economico. Una pratica può costare sui 40-50 mila euro, sono prezzi più accessibili rispetto agli Stati Uniti, dove la pratica può costare 150 mila euro. Le coppie omosessuali vanno in Canada, lì costa 100 mila euro. Vista la vicinanza un Paese abbastanza richiesto è la Grecia. In Ucraina possono andare solo le coppie eterosessuali sposate, è un Paese chiuso a single o coppie omossessuali.

– Chi sono le persone che ricorrono più frequentemente alla maternità surrogata?

– Nella maggior parte dei casi sono coppie eterosessuali con gravi problemi di fertilità che hanno provato in vari modi di ottenere un bambino. La maternità surrogata è l’estrema ratio o ultima spiaggia per avere un bambino. Per una donna che non può avere un bambino subentra un fenomeno anche psicologico di cui tenere conto. Le donne single sono poche. Poi ci sono le coppie omosessuali e per loro è l’unico modo per diventare genitori. L’altra opzione è l’adozione, ma in Italia non è permessa per le coppie omosessuali. Va detto che l’adozione è complicata. Se fosse più semplice le persone opterebbero per questa strada

FONTE:https://it.sputniknews.com/intervista/202005169089419-covid-bimbi-nati-con-maternita-surrogata-stoccati-a-kiev-fanno-riflettere/

 

 

 

ECONOMIA

“Vogliamo controllare come Roma usa i soldi”. Dopo 30 anni di criminale avanzo primario, i “fratelli europei” continuano a farci la morale

Vogliamo controllare come Roma usa i soldi. Dopo 30 anni di criminale avanzo primario, i fratelli europei continuano a farci la morale
di Gilberto Trombetta

Per colpa di una classe politica di incapaci e di venduti agli interessi del grande capitale (straniero e italiano), siamo il Paese che dall’adesione alla UE e dall’ingresso nell’euro ha rispettato di più gli assurdi vincoli europei.

Veniamo da quasi 30 anni di avanzo primario, abbiamo tagliato i diritti dei lavoratori, i salari, la sanità pubblica (le famose riforme strutturali).
Abbiamo inibito l’intervento dello Stato nell’economia – anche in settori strategici e addirittura sui monopoli naturali – riducendolo al ruolo di strozzino.

Eppure i “fratelli” europei continuano a farci la morale. Da Repubblica di oggi:

Ci vogliono controllare.

C’è una sola cosa che temono davvero: la nostra uscita dalla gabbia unionista.

Ovvio che in politica si debba ragionare considerando più scenari, soprattutto per una questione complessa come la disgregazione della UE e dell’Eurozona.

L’ideale sarebbe una disgregazione ordinata fatta in accordo con gli altri Paesi membri. Ma non è detto sia possibile. Anzi, sembrerebbe più probabile contrario.

A maggior ragione è sbagliato puntare tutto su una possibile rottura da parte di Francia o Germania,senza lavorare anche sulla possibilità di un’uscita unilaterale dell’Italia.

FONTE:https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-vogliamo_controllare_come_roma_usa_i_soldi_dopo_30_anni_di_criminale_avanzo_primario_i_fratelli_europei_continuano_a_farci_la_morale/32703_35017/

 

 

La Fase 2 sarà peggio della Fase 1

21 APRILE 2020 – Sebastiano Caputo

Lo stato d’emergenza è quasi superato, dicono, ma nessuno ha fatto i conti con lo stato di depressione in un neo-puritanesimo di sorveglianza, dove tutto è vietato e tracciato.

https://www.lintellettualedissidente.it/editoriale/la-fase-2-sara-peggio-della-fase-1/

A Palazzo Chigi si riuniscono i membri della task force diretta da Vittorio Colao per preparare la seconda fase, che sarà ancora più violenta della prima. A giudicare dalle misure ipotizzate per il futuro, nella convivenza col Covid-19, già si intravede un vero e proprio suicidio sociale collettivo. Che significa rimozione delle passioni, soffocamento della carne, morte delle libertà più autentiche. Si parla di mascherine obbligatorie e app da scaricare su base volontaria per tracciare i movimenti delle persone. Mentre nei luoghi pubblici, bar, ristoranti, stadi, teatri, cinema, spiagge, quando e se riapriranno, sarà vietato sedersi troppo vicini. Né non-luoghi (Augé) né iper-luoghi (Lussault), ma oltre-luoghi, in cui gli spazi di socialità saranno separati, sigillati, circoscritti, e c’è chi addirittura, nel nome del “buon senso”, esalta le strutture in plexiglas (sic) che circolano tra le proposte “creative” di contenimento del contagio.

“Per me, non v’è alcun dubbio: fra tutte le delle anomalie esistenti nella civiltà contemporanea la più evidente, quella che occupa il posto predominante, è proprio questa letteratura giornalistica, per l’azione demoralizzante e perniciosa che esercita sullo psichismo degli uomini”,

 

Georges Gurdjieff 

Queste regole anti-virus non sono sbagliate, tantomeno anomale rispetto a quelle adottate in passato per affrontare le pandemie, ma sono insopportabili per qualsiasi comune mortale. In fondo chi ha studiato l’evoluzione delle paure e delle malattie come Giorgio Cosmacini, ci insegna che nella storia pestilenziale dell’umanità, sono sempre esistite epidemie e sono sempre state gestite allo stesso modo. Tra il Trecento e il Seicento, negli anni della peste, c’erano “patenti” o “bollette” di sanità per fermare i sospetti che provenivano dai luoghi infetti, insieme alle misure sanitarie da parte di tutti gli strati sociali, dalla nobiltà al clero, dalla classe media imprenditoriale alla gente comune. Eppure, dopo una prima fase di panico diffuso, la seconda sfuggiva il più delle volte alle autorità perché la popolazione reagiva alla coattiva gestione dell’emergenza con la rassegnazione e il fatalismo. E tramite la riattivazione dei circuiti dello scambio umano e commerciale si cercava di rendere la paura della morte (civile, fisica, morale, sessuale), legata più ai sentimenti che agli eventi, sopportabile e superabile.

Ogni momento di responsabilità sociale (Fase 1) richiede una risposta sociale. Non si tratta dunque di “decenza comune” perché in realtà si sta diffondendo un clima di paura generalizzata, amministrato da regole e auto-certificazioni, che non consente né fatalismo né socialità. Veniamo proiettati in una Fase 2 che sembra una sorta di neo-puritanesimo della sorveglianza, dove tutto è vietato e tracciato, dal contatto fisico agli spostamenti, con un controllo sempre più verticale tramite app per smartphone che orizzontale secondo il principio di delazioneÈ la conseguenza naturale della psicosi, il regno della diffidenza, il punto di rottura sociale.

Non si vuole negare la contagiosità del Covid-19, bensì sottolineare la percezione paranoica del Covid-19 connessa alla globalizzazione e alla velocità di diffusione. Insomma, queste ipotetiche misure anti-epidemiche forse fermeranno il virus, tuttavia accelereranno, di pari passo con la crisi economica, quella che è già stata definita la “malattia del secolo” o “malattia della civiltà”: la depressione. Definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “la più umana delle affezioni” e che occupa tra i primi posti nella scala delle cause di morbilità. Tutto può cambiare, o forse no.

FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/editoriale/la-fase-2-sara-peggio-della-fase-1/

 

 

 

Novelli: capitalismo al capolinea, la finanza se l’è mangiato

Le Borse festeggiano la fine imminente del lockdown globale ma, a questi livelli, non stanno certamente prezzando il danno che rimarrà sull’economia, sui profitti attesi, sull’occupazione e, soprattutto, sulle insolvenze che arriveranno. Credo che il reale impatto che la pandemia avrà sull’economia globale si capirà solo nei prossimi tre mesi, quando si avrà una evidenza di come effettivamente si delinea il ritorno alla normalità tanto attesa. Se guardiamo a quello che accade in Cina non ci sono motivi per essere particolarmente ottimisti. Sebbene il governo cinese abbia imposto la ripresa dell’attività industriale, quello che accade fuori dal settore produttivo, in gran parte gestito con politiche centralizzate, non lascia spazio a facili entusiasmi. Il settore dei servizi e dei consumi interni, che non è gestito da politiche centralizzate e dipende dalla reale domanda privata, è pesantemente penalizzato dal fatto che i cittadini cinesi non hanno ancora superato lo shock, e la paura del contagio rimane latente. Le vendite al dettaglio sono ancora sotto del 16% rispetto a fine 2019 e gli unici settori che vedono un incremento dell’attività sono il settore pharma (+8%) e quello alimentare (+18%). I consumi di carburante e i ristoranti, che sono settori indicativi di un ritorno alla mobilità della popolazione e quindi dei consumi, sono -20% il primo e -57% il secondo.

In generale la Cina evidenzia una economia ancora in difficoltà e con una attività stimata (ottimisticamente) al 70% rispetto ai livelli di fine 2019. E’ lecito attendersi la stessa dinamica per Europa e Stati Uniti, dato che la popolazione sa benissimo che ilMascherinavirus è ancora in circolazione e tale condizione psicologica rischia di compromettere la mobilità e i consumi e dunque le attese di un veloce recupero dell’economia. Nel frattempo i mercati finanziari stanno entrando silenziosamente nella fase preliminare della nazionalizzazione, dove l’intervento pubblico e il sostegno della Fed saranno elementi portanti di un capitalismo che è praticamente finito. Il sistema ha bisogno di grandi capitali per essere sostenuto, ma non può remunerare questi capitali perché altrimenti fallirebbe. I governi hanno bisogno di fare più debito per sostenere l’economia, ma il capitale richiesto per finanziare il debito non può essere remunerato poiché renderebbe il debito non sostenibile. Le aziende hanno bisogno di emettere debito per finanziarsi ma non possono permettersi di pagare tassi tanto diversi rispetto a quelli dei governi perché anche per loro il debito sarebbe non sostenibile.

L’equity, il capitale per eccellenza, è in crisi già da tempo. La redditività degli investimenti azionari sui mercati internazionali, escludendo gli Stati Uniti, negli ultimi sette anni è stata deludente. L’indice Msci World ex Us è praticamente in un “side market” dal 2013 e i mercati Usa sono riusciti a fare meglio solo grazie ai “buy back”, che hanno fatto salire il mercato ma che ora ha il risultato di aver bruciato 5 trilioni di dollari di “cash flow”, e ora tantissime società si ritrovano piene di debiti e tutte in coda a chiedere l’intervento statale per non fallire. Il fenomeno dei “buy back” è stato l’ultimo estremo tentativo di sostenere una redditività che non poteva essere raggiunta con i normali profitti operativi, quelli che non puoi manipolare con i “buy back” e con gli “adjusted earnings”. Infatti, proprio i profitti operativi di tutta la Corporate America, sono praticamente fermi da 5 anni. Per cercare di evidenziare utili in costante crescita, gli analisti si sono dunque da tempo adoperati per introdurre un doppio sistema contabile, da una parte il sistema Gaap (i cosiddetti principi contabili ufficiali che servono a redigere i bilanci Maurizio Novellicivilistici e fiscali) e dall’altra il sistema “adjusted” (già il nome indica la finalità), dove si possono omettere tutta una serie di passività e costi (ammortamenti, interessi passivi, costi ritenuti transitori, ecc).

Ovviamente gli utili ottenuti con il sistema “adjusted” sono molto seguiti a Wall Street e servono sovente a far apparire utili dove in realtà non ci sono, facendo emergere profitti dove invece ci sono delle perdite operative. E’ certamente vero che molte società americane sono solide e profittevoli ma se l’industria della finanza spinge, o ha spinto, in modo insistente per le strategie d’investimento passive, è ovvio che molti soldi finiscono anche per sostenere i prezzi di società che non valgono quello che capitalizzano e non fanno utili. Per fare un esempio, già prima della crisi il 30% delle società quotate sull’indice Russell 2000 erano in perdita ma l’indice saliva comunque. Accade dunque che in ogni singola crisi dal 2001 a oggi il sistema non regge e collassa a causa degli eccessi speculativi, obbligando le banche centrali a intervenire per salvare un sistema che, appena si riprende, è pronto per progettare un’altra crisi devastante di proporzioni sempre più ampie delle precedenti.

In realtà, è giunto il momento di dirlo con chiarezza: i Policy Makers non controllano nulla e non vigilano sui rischi finanziari di sistema, anzi, li incentivano sempre di più. La commistione che si è creata tra banche centrali, “asset managers”, banche e grandi gruppi di Private Equity ha portato alla costruzione di un sistema che crede che il rischio non esista più per chiunque. A questo punto credo che sia dunque corretto che, proprio perché si deve far credere che il rischio non esiste, il capitale di rischio non venga più remunerato. Se tutti coloro che partecipano a questo meccanismo devono essere sempre salvati, indipendentemente dai rischi che decidono di prendere, è normale che poi il capitale di rischio non può pretendere una remunerazione. Il sistema capitalistico, degenerato a causa di questo modo di operare, è praticamente morto; e la finanza, così come funziona oggi, lo ha ucciso. Gli Stati Uniti, dal 2001 in poi, hanno messo l’economia reale a sostegno della finanza, ribaltando la funzione che la finanza era a sostegno dell’economia reale. Oggi il settore finanziario “fa leva” 4/5 volte Trump e Xisull’economia reale per ottenere rendimenti che l’economia reale non riesce più a produrre, così come le banche nel 2008 facevano leva 40 volte sul capitale per ottenere rendimenti che l’attività caratteristica non poteva dare.

Nell’ultimo ciclo espansivo il debito nel sistema internazionale è cresciuto del 110% ma il Pil mondiale è cresciuto solo del 46%. Per ottenere un dollaro di Pil abbiamo fatto 2,4 dollari di nuovo debito. La domanda è: perché il moltiplicatore del debito peggiora sistematicamente in ogni ciclo espansivo? Se uso questo debito per fare investimenti reali dovrei assistere a un incremento del Pil decisamente più alto. Il motivo per cui il Pil cresce sempre meno a fronte di sempre più debito è perché una parte rilevante di questo nuovo debito serve per fare finanza (”leverage”) e non per fare investimenti nell’economia reale. A questo punto della storia è giusto che il sistema venga nazionalizzato e che la redditività del capitale di rischio faccia la fine che ha fatto in Giappone, dove la banca centrale sostiene il sistema ma il capitale non viene remunerato. I capitali giapponesi infatti vengono investiti prevalentemente sui mercati esteri, e il Qe giapponese non è utile all’economia interna.

Tanto per essere chiari fino in fondo, vorrei anche smitizzare gli effetti del Qe che vengono esaltati da analisti ed economisti della “consensus view”. E’ ormai dimostrato che il Qe non funziona nelle economie che hanno le banche come principale canale di finanziamento del sistema e dispongono di un eccesso di risparmio interno (vedi il caso del Giappone e dell’Europa). In questo caso i tassi a zero (o peggio, negativi) scoraggiano le banche dall’attività di “lending” perché la remunerazione del credito erogato è troppo bassa in relazione ai rischi che si prendono, mentre l’eccesso di risparmio nel sistema, non trovando una adeguata remunerazione in loco, tende ad emigrare verso sistemi in cui i rendimenti sono superiori. Per evitare questa migrazione bisognerebbe impedire la libera circolazione dei capitali, piccolo dettaglio che le teorie monetariste hanno dimenticato. Il risultato di queste “sciagurate” operazioni fatte applicando in modo becero le teorie monetariste sono davanti a Lagarde e Draghitutti. Infatti Europa e Giappone erano già in recessione a fine 2019, con le banche centrali impegnate a stampare moneta e con i tassi negativi (!).

Per quanto invece riguarda le politiche di Qe fatte in paesi dove è il mercato finanziario che finanzia il sistema e il risparmio interno non c’è (vedi gli Stati Uniti), le politiche di Qe sono comunque sempre esposte alla propensione al rischio di chi finanzia il sistema. Quando c’è una crisi i sottoscrittori di “corporate bonds” e “loans” (Ig, Hy, cartolarizzazioni di ogni tipo e “leverage loans”, che in America fanno il 60% del credito all’economia) cercano di liquidare le posizioni (riduzione della propensione al rischio) e la banca centrale diventa il compratore di ultima istanza di quasi tutto quello che deve essere venduto. Questo intervento, come oggi avviene, è finalizzato a frenare il “deleverage” e fornire liquidità ad intermediari del credito che cercano di vendere per fare liquidità ma non trovano compratori. E’ abbastanza ovvio che, in questa fase, il Qe è puramente finalizzato a consentire la liquidazione di asset e impedire il default degli operatori che detengono tali asset. Solo quando tali operatori avranno ristabilito un certo livello di rischio di portafoglio che considerano adeguato al nuovo contesto dell’economia torneranno a finanziare il sistema acquistando bonds e loans cartolarizzati.

In questa fase della crisi quindi il Qe non aumenta il credito all’economia (come quasi tutti sostengono) ma sostituisce solo in parte quello che viene tolto dai precedenti finanziatori. Il risultato è che l’economia si contrae comunque, fino a quando non ritorna la propensione al rischio di chi finanziava a leva l’economia. In conclusione, sia nel caso in cui abbiamo un sistema del credito all’economia basato sul canale bancario, sia nel caso in cui il credito è basato sul mercato finanziario, tutto dipende solo dalla propensione al rischio di chi ti finanzia. A questo punto è chiaro che, se andiamo verso un sistema che non può più permettersi di remunerare il capitale di debito perché non ne regge il costo, chi finanzierà un sistema così? Se la mia propensione al rischio non viene più remunerata, perché dovrei finanziarti? La propensione al rischio di chi deve finanziare un’economia a tassi zero o negativi è pari al livello dei tassi: cioè zero. Quindi la Fed da questo pantano non ci esce più, tanto quanto la Boj e la Bce. Anche per l’equity, come ho avuto modo di evidenziare, la redditività era già compromessa da tempo Gates, Zuckerberg e Bezos(vedi sempre Msci World ex Us) e solo i “buy back” e gli artifici contabili di Wall Street avevano dato l’illusione di una redditività superiore per il mercato americano.

Esistono società e settori redditizi, ma non si possono certamente cogliere attraverso gli investimenti sull’indice e credo nel ritorno della gestione attiva. Occorre inoltre sottolineare che comunque, alla faccia del sistema capitalistico, le aziende Usa che vantano alta redditività e prospettive di crescita godono di una posizione quasi monopolistica o oligopolistica: Amazon ha il monopolio del commercio on line, Apple è in un oligopolio con Samsung e Huawei, Google ha una posizione dominante, Facebook è un monopolista nei social, Microsoft è un monopolista dei sistemi operativi per Pc, Booking è un oligopolista, e altri ancora. Inoltre, tali operatori economici godono di una sorta di “protezione fiscale” perchè non pagano tasse proporzionate ai loro profitti. Altro elemento che conferma che questo sistema capitalistico non ha quasi più nulla di capitalismo, e la redditività è riservata solo a poche società mentre tutto il resto annaspa. Tutto questo non regge. Non reggeva prima e ora regge sempre meno.

Anche la recente crisi del settore petrolifero evidenzia e conferma una degenerazione di fondo. Gli Stati Uniti, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, hanno deciso di perseguire l’indipendenza energetica dall’area mediorientale; per fare questo hanno investito centinaia di miliardi nel settore “shale oil”, che però ha bisogno di un prezzo del petrolio ad almeno 50 dollari, solo per non perdere. Per sostenere prezzi così alti è stato necessario mettere fuori mercato importanti paesi produttori come Iran, Libia e Iraq, chiedere all’Arabia Saudita di tagliare la produzione in cambio di un appoggio militare nello scontro con l’Iran e mantenere il Venezuela in una sorta di agonia politica e tecnologica che incide notevolmente sulle potenzialità produttive del paese. Molte scelte geopolitiche hanno queste motivazioni e la destabilizzazione di alcune aree del mondo, con effetti anche sui flussi migratori in corso, sono la conseguenza di questa strategia. Ora il collasso dei prezzi ha messo in crisi un 11 Settembresettore che pesa circa il 10% del Pil Usa, e anche in questo caso si rendono necessari interventi governativi per sostenere un settore che stava in piedi solo grazie a prezzi tenuti alti in modo “artificiale”.

Una ulteriore evidenza di un’altra parte del sistema che regge solo grazie a meccanismi di prezzo che non hanno nulla a che vedere con il mercato e con la domanda e l’offerta. I rialzi dei listini di questi giorni confermano che il consenso crede ancora che tutto possa tornare come prima, ma già serpeggia il sospetto che forse siamo davanti a un evento che imporrà un cambiamento strutturale. La presenza dello Stato nell’economia è destinata a crescere, la redditività del capitale è destinata a scendere; l’impatto sugli equilibri sociali e politici attuali potrebbe essere l’ultimo tassello che manca per completare uno scenario di cambiamento, dai contorni decisamente incerti. Anche se nei prossimi mesi si troveranno delle cure per contrastare il coronavirus, tali cure non guariranno un sistema capitalistico e un sistema finanziario malato. Se non ci sarà la lungimiranza di modificare le regole del gioco con un cambiamento guidato dall’alto, c’è il rischio evidente che il cambiamento venga imposto dal basso, con evidenti conseguenze poco piacevoli per tutti. Purtroppo la storia insegna che chi detiene la posizione dominante è sempre restio a rinunciare a qualcosa e cerca di mantenere tale posizione fino alla fine. Se anche questa volta si cercherà di proseguire con queste regole del gioco, ci dobbiamo attendere elevata instabilità economica e sociale per il decennio che si apre con questa crisi.

La redditività del capitale in Occidente è destinata a rimanere zero, come in Giappone. Se la Cina e il mondo “emerging market” offriranno una redditività maggiore, i capitali andranno là e produrranno un ulteriore spostamento del baricentro della crescita mondiale verso l’Asia. In questo scenario, la Cina deve solo stare ferma e aspettare che gli Stati Uniti proseguano su questa strada, consegnando definitivamente la leadership dell’economia globale al paese antagonista. I tentativi di Trump di contrastare l’ascesa cinese con una guerra commerciale e tecnologica stavano già producendo danni all’economia mondiale. In questa crisi c’è ora il rischio che l’America si chiuda ulteriormente per sostenere un sistema malato, difendere il proprio modello e distruggendo del tutto le regole che dal dopoguerra hanno creato il benessere per l’Occidente. Negli scenari che si prospettano, le strategie attive sembrano più adatte a navigare in un contesto complicato e sono destinate a trovare uno spazio maggiore e forse dominante nell’”asset allocation” degli investitori. In conclusione si conferma lo scenario a suo tempo già illustrato: l’oro ha aperto una fase di “bull market”, il dollaro è in area “toppish”, i bond rimarranno incollati su questi livelli e i mercati azionari hanno davanti un netto calo della redditività aziendale che può andare oltre le aspettative.

(Maurizio Novelli, “Perché il sistema capitalistico è praticamente morto”, da “Milano Finanza” del 5 maggio 2020. Novelli è gestore del Lemanik Global Strategy Fund).

FONTE:https://www.libreidee.org/2020/05/novelli-capitalismo-al-capolinea-la-finanza-se-le-mangiato/

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Cedola BTP Italia 2020: anche il tasso definitivo all’1,40%

21 Maggio 2020
 BTP Italia 2020: la cedola definitiva è stata appena resa nota

La cedola definitiva del BTP Italia di maggio 2020 è stata finalmente resa nota.

Poco prima dell’avvio della Fase 2, quella destinata solo ed esclusivamente agli investitori istituzionali, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha fornito nuove indicazioni sul titolo di Stato indicizzato all’inflazione comunicando un tasso cedolare definitivo dell’1,40%.

Ben prima dell’emissione, molti si sono interrogati sulla convenienza del titolo di Stato e proprio per questo la cedola del BTP Italia 2020 (sia la minima che la definitiva) è stata monitorata con grande attenzione.

BTP Italia 2020: anche la cedola definitiva all’1,40%

La cedola definitiva del BTP Italia 2020 è dell’1,4%. A confermarlo è stato poco fa il Ministero dell’Economia e delle Finanze tramite il classico e sempre atteso comunicato stampa pubblicato sul suo sito ufficiale.


Ora, dalle 10:00 alle 12:00 prenderà il via la Fase 2 del collocamento, nella quale toccherà agli investitori istituzionali dimostrare il proprio interesse nei confronti del titolo di Stato pensato per far fronte all’emergenza coronavirus. Al seguente link i risultati aggiornati sull’andamento del collocamento.

Cedola minima all’1,40%

Soltanto qualche settimana fa, il Tesoro ha fornito informazioni e dettagli aggiuntivi sul titolo di Stato tanto atteso dai risparmiatori e dagli investitori.

Più nello specifico, il Ministero ha confermato l’inizio dell’emissione il giorno 18 maggio, quando come di consueto è partita la fase dedicata al pubblico retail. Questa, però, non è stata l’unica data da monitorare con attenzione.

Prima di procedere con l’emissione, nella giornata di venerdì 15 maggio il Ministero ha pubblicato la cedola minima del BTP Italia (sulla base della quale è stata poi calcolata la cedola definitiva) che si è attestata all’1,4%.

Un confronto: la cedola del BTP Italia 2019

L’ultima emissione del BTP Italia ha preso il via lo scorso ottobre. In quell’occasione, il Ministero ha comunicato al mercato un tasso cedolare minimo garantito dello 0,6% al quale ha fatto poi seguito un tasso definitivo dello 0,65%.

Come molti avevano previsto, la cedola definitiva del BTP Italia 2020 è risultata di gran lunga più elevata.

FONTE:https://www.money.it/BTP-Italia-2020-cedola-definitiva-1-4

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

L’INCIDENZA DELLA DISCIPLINA DEL CREDITORE APPARENTE NELLA FATTISPECIE DI TRUFFA AGGRAVATA EX ART. 640 C. 2 N. 1 C.P.

 | in Penale  21 MAGGIO 2020
Sommario1. I rapporti tra diritto penale e diritto civile: autonomia o integrazione? – 2. Brevi cenni alla disciplina giuridica del creditore apparente – 3. L’incidenza della buona fede del debitore nell’effetto liberatorio ex art. 1189 c.c. – 4. I’approdo ermeneutico a cui addivengono gli ermellini nella sentenza n. 39958 del 2018 – 5. L’applicabilità della disciplina del creditore apparente alla vicenda esaminata. Una nuova ricostruzione logica – 6. Considerazioni critiche e risvolti applicativi del caso in esame

 

1. I rapporti tra diritto penale e diritto civile: autonomia o integrazione?

Le profonde diversità fattuali che regolano la vita dei consociati, unita ad una superfetazione normativa altamente settoriale, ha portato gli studiosi, fin dall’epoca romana, a dividere il diritto in diverse branche. Tutto ciò, come facilmente intuibile, comportava notevoli riflessi in ordine al grado di incidenza che una branca del diritto poteva avere rispetto ad un’altra. Ogni settore, in particolar modo quello penalistico, era ritenuto un mondo indipendente ed autonomo rispetto agli altri, in piena aderenza ad una visione atomistica. Si consideri, infatti, che un risalente orientamento dottrinale di matrice tedesca assegnava al diritto penale una funzione puramente ancillare e repressiva rispetto alle altre branche del diritto[1].

L’indipendenza del diritto penale si può evincere, peraltro, dalla diversità dei principi che lo regolano, rispetto alle altre branche del diritto nonché, dalla maggiore incisività delle sue sanzioni. Nondimeno, questa prima ricostruzione, ancorata al presupposto secondo cui ogni condotta delittuosa sarebbe comunque sanzionabile anche dalle altre branche del diritto, è stata unanimemente rigettata dalla dottrina nella parte in cui negava al diritto penale un suo grado di autonomia[2].

Si ritiene, infatti, necessario osservare che l’autonomia del diritto penale non può giustificare una lettura atomistica delle norme che lo regolano, posto che anche quest’ultime fanno parte del più ampio mosaico normativo conosciuto come: ordinamento giuridico. Pertanto, nel corso della propria attività ermeneutica, l’interprete sarà chiamato a valutare il tessuto connettivo che lega una norma ad un’altra, anche se appartenete ad una branca del diritto diversa.

Si potrebbe obiettare che la considerazione appena espressa rischierebbe di appesantire eccessivamente il lavoro dell’interprete. A ben vedere, però, proprio la maggiore forza repressiva espressa dalla sanzione penale, rende imprescindibile una ricostruzione ermeneutica più ampia e non ancorata ad una interpretazione logico-sistematica circoscritta alla sola branca del diritto a cui la norma appartiene. In particolare, focalizzando l’attenzione sui fini che riguardano questa trattazione, si cercherà di rinvenire un punto di tangenza tra il diritto civile e il diritto penale, analizzandone, peraltro, le relative implicazioni.

Queste brevi premesse consentono, a questo punto, di valutare le implicazioni che possono avere le norme civili, sub species la disciplina del creditore apparente ex art. 1189 c.c., nella fattispecie di truffa aggravata.    Si vedrà, infatti, che la questione interpretativa appena richiamata, tutt’altro che teorica, conduce ad esiti profondamente diversi, tanto sul piano sostanziale quanto sul piano processuale, a seconda della l’applicabilità o meno della disciplina civilistica.

La problematica in esame desta, peraltro, una notevole importanza pratica se analizzata alla luce di una recente pronuncia della Suprema Corte. Tuttavia, prima di addentrarsi nel merito della questione, si ritiene indispensabile chiarire i presupposti e gli effetti della disposizione di cui all’art. 1189 c.c.

2. Brevi cenni alla disciplina giuridica del creditore apparente

Il nostro ordinamento ha recepito, in maniera ormai consolidata, il principio della necessaria giustificazione causale di ogni attribuzione o spostamento patrimoniale[3]. È stato osservato che il principio in esame porta in seno l’esigenza di salvaguardare la genuinità della circolazione e dello scambio di merci da quelle operazioni neutre; sterili sotto il profilo meramente funzionale. Per l’ordinamento, infatti, non avrebbe alcun senso giustificare un’attribuzione patrimoniale priva di un fondamento causale a sorreggerle, in quanto, dietro quella sterilità causale, potrebbe anche celarsi un intento illecito. Peraltro, non bisogna dimenticare che il fondamento causale delle operazioni negoziali e degli spostamenti patrimoniali, consente all’interprete di verificarne la sua conformità ai parametri e ai valori ordinamentali.

Nel solco di questo fenomeno, si incastra la peculiare fattispecie dell’indebito, che viene in rilievo allorquando un soggetto esegua una prestazione a cui non era obbligato[4]. Orbene, l’anomalia testè rappresentata, può dipendere dall’assenza di un rapporto obbligatorio sottostante alla prestazione eseguita; in questo caso si parla di indebito oggettivo, proprio per rappresentare la carenza della giustificazione causale della prestazione eseguita: l’obbligazione. Qualora, invece, il rapporto obbligatorio esistesse realmente, ma l’anomalia riguardi la qualità di debitore o di creditore, si suole discorrere di: indebito soggettivo[5]. L’istituto in questione, in particolare, mira a preservare il principio poc’anzi espresso, della necessaria giustificazione causale delle operazioni economiche, che in questo caso risultano viziate nei profili soggettivi. Non può infatti ritenersi “giustificata” una operazione suscettibile di valutazione economica, come l’adempimento dell’obbligazione, compiuta nei confronti di un soggetto diverso da quello legittimato.

Ed è proprio la seconda tipologia di indebito che deve essere analizzata con maggiore attenzione, dal momento che penetra, seppur in controluce, nella pronuncia della Suprema Corte. Nondimeno, prima di analizzare meglio il fenomeno, si ritiene opportuno precisare che la dottrina tende a dividere, ulteriormente, l’indebito soggettivo in due accezioni: ex latere accipientis ed ex latere solventis. È stato, infatti, precisato che <<quando chi è debitore adempie ad un soggetto che non è creditore o non è legittimato a ricevere, si verifica l’ipotesi di indebito soggettivo ex latere accipientis e si applica la disciplina contenuta nell’art. 2033 coordinata con la disposizione dell’art. 1189 c.c.>>[6]. Diversamente, invece, nel caso dell’indebito soggettivo ex latere solventis, ove l’adempimento viene eseguito da un soggetto che non riveste la qualifica di debitore, nei confronti di un soggetto che possiede la qualità di debitore.

Nonostante entrambe le fattispecie appartengano alla macro-figura dell’indebito soggettivo, ai fini che riguardano questa trattazione, ci si focalizzerà unicamente sull’istituto dell’indebito soggettivo ex latere accipientis. In particolare, ad essere attenzionata sarà la disciplina del creditore apparente, plasticamente racchiusa nella disposizione di cui all’art. 1189 c.c. Quest’ultima, invero, si sostanzia in un effetto liberatorio che la legge appresta al debitore che, ai sensi della norma sopra riportata, <<esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche… se prova di essere stato in buona fede>>.

Preliminarmente, è d’obbligo precisare che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1188 c.c., l’adempimento ad un soggetto diverso rispetto al creditore o all’adiectus solutionis causa, non libera il debitore, ad esclusione del caso in cui il creditore lo ratifichi o se ne approfitti. Da ciò discende che, salvo i casi previsti dal comma 2 dell’art. 1188 c.c., il debitore adempiente verso chi non è creditore[7], resta obbligato ad eseguire la propria prestazione; nondimeno, il principio di apparenza e di legittimo affidamento, implicano che il medesimo debitore venga liberato qualora adempia verso chi “apparentemente” si presenti come il proprio creditore o come suo rappresentante, ex art. 1189 c.c.[8].

Sul punto, inoltre, si ritiene utile richiamare una interessante pronuncia giurisprudenziale, ove è stato precisato che <<Il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera invece il debitore di buona fede, ai sensi dell’art. 1189 cod. civ., ma a condizione che il debitore, che invoca il principio dell’apparenza giuridica, fornisca la prova non solo di avere confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento è stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel “solvens” in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’”accipiens”>>[9].

Risulta agevole, dunque, sottolineare che la ratio ispiratrice della norma in esame si rinviene nella esigenza di salvaguardare il debitore dal compimento di eccessivi e tortuosi controlli sulla legittimazione del soggetto ricevente. Qualora il debitore fosse tenuto ad effettuare questi controlli, la cui sincronia con la clausola generale della buona fede è oltremodo discutibile, si avrebbe un inevitabile allungamento dei tempi richiesti per l’esecuzione della prestazione; ciò, in ultima analisi, si porrebbe in aperta distonia con le logiche di celerità e snellezza che regolano gli scambi moderni. Le considerazioni che precedono consentono, a questo punto, di affrontare uno dei requisiti richiesti dalla norma di cui all’art. 1189 c.c. per la configurabilità dell’effetto liberatorio sopra richiamato: la buona fede.

3. L’incidenza della buona fede del debitore nell’effetto liberatorio ex art. 1189 c.c.

Il requisito della buona fede, pertanto, si pone come condicio sine qua non della liberazione del debitore dall’obbligo di eseguire nuovamente la prestazione, e rafforza ulteriormente il ruolo che questa clausola generale ha nel nostro impianto normativo. Ma cosa intende la norma per buona fede? Invero, il quesito non è di agevole soluzione, dal momento che la stessa nozione di clausola generale, intesa da autorevole dottrina come valvola respiratoria dell’ordinamento giuridico, per sua natura muta al mutare del contesto in cui si inserisce.

Nondimeno, rimanendo saldamente ancorati all’istituto testé analizzato, il significato del termine “buona fede”, ai fini della liberazione del debitore dal vincolo obbligatorio, può rinvenirsi in un atteggiamento di particolare prudenza e accortezza del solvens nell’adempimento della prestazione, volto proprio a sincerarsi della genuinità dell’identità, o della legittimazione, del soggetto che si trova di fronte a ricevere la prestazione.

L’indiscutibile cogenza della clausola generale in esame, peraltro, risulta essere ulteriormente rafforzata dal suo fondamento costituzionale, pacificamente rinvenuto nell’art. 2 cost, che ne rafforza ulteriormente i suoi connotati solidaristici. È stato osservato, dunque, che <<il codice civile, pur considerando preminente l’interesse creditorio… ha ritenuto, all’art. 1175 c.c., di dover parificare la posizione del creditore a quella del debitore, imponendo, a creditore e debitore, un dovere di correttezza, da intendersi, ai sensi dell’art. 2 Cost., in un’ottica solidaristica che impone alle parti di comportarsi in modo altruistico sì da preservare… la sfera di interessi dell’interlocutore nei limiti di un sacrificio ragionevole…>>[10].

Siffatta costruzione logica, incastonandosi con il dovere di diligenza a cui il debitore è tenuto nell’adempiere la prestazione ex art. 1176 c.c., inserisce all’interno del concetto stesso di buona fede, una serie di comportamenti attivi e passivi, agganciati sempre all’impasse assiologico a cui la clausola generale fa riferimento. L’inserimento di questi ulteriori obblighi comportamentali e prudenziali, che di fatto innalzano gli standard comportamentali a cui il debitore è tenuto, va comunque valutato nei limiti della ragionevolezza; sarebbe, infatti, contrastante con il dovere solidaristico di buona fede, l’imposizione al debitore di nuovi e più stringenti obblighi comportamentali che trascendano le sue possibilità[11].

Sul punto, la Suprema Corte ha recentemente chiarito che, alla base del disposto di cui all’art. 1189 c.c. vi è il principio dell’apparenza del diritto, a cui, tuttavia, fa da contraltare l’eventuale colpa del debitore. In particolare, la Cassazione chiarisce che l’effetto liberatorio per il debitore, non consegue per il sol fatto che, nell’adempiere la prestazione, egli abbia fatto ragionevolmente affidamento sul soggetto che “appariva” come creditore. È necessario, altresì, che non sussista alcuna colpa in capo solvens: <<per aver trascurato l’obbligo, derivante dalla stessa legge oltre che dall’osservanza delle norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, facilmente controllabile, e per essersi affidato alla mera apparenza>>[12].

Da un’attenta esegesi dell’art. 1189 c.c., inoltre, emerge pacificamente che qualora il debitore adempia in “buona fede” nei confronti di chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato dal vincolo obbligatorio, mentre, chi ha ricevuto indebitamente la prestazione è tenuto <<alla restituzione verso il vero creditore>>[13]. In altri termini, a fronte della liberazione del debitore, viene a costituirsi un nuovo obbligo del creditore apparente nei confronti del reale creditore. La disciplina dell’indebito soggettivo, invece, ai fini che riguardano questa trattazione, rileva sul piano dell’individuazione del soggetto legittimato a richiedere la ripetizione della prestazione; dal momento che, nel caso in cui l’affidamento del solvens dipenda da un fatto, anche potenzialmente illecito, riconducibile al creditore apparente, il vero accipiens potrà rivalersi su quest’ultimo con l’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c.

4. L’approdo ermeneutico a cui addivengono gli ermellini nella sentenza n. 39958 del 2018.

Nella sentenza in epigrafe, la Suprema Corte di Cassazione, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, elabora un principio di diritto a suo modo innovativo, ma caratterizzato da forti perplessità logico-giuridiche. La vicenda sottoposta al vaglio della Corte traeva origine da una condotta truffaldina dell’imputato consistita nell’attribuirsi una falsa identità presso l’Agenzia delle Entrate, al fine di ottenere un rimborso destinato ad un altro soggetto, e nel provare ad incassarlo presso un ufficio postale. Orbene, tra le varie ipotesi di reato contestate dalla Procura territorialmente competente, vi erano anche le fattispecie di cui agli artt. <<56 e 640 c.1 e 2 n.1 c.p (CAPO D) unificati sotto il vincolo della continuazione>>[14]. I giudici di piazza Cavour sono stati chiamati a valutare la legittimità proprio di quest’ultimo capo d’imputazione, che a dire della difesa si fondava sull’errata qualificazione giuridica della condotta posta in essere dal ricorrente, consistita nell’attribuirsi una falsa identità al fine di riscuotere presso un ufficio postale un rimborso “indebito”, in quanto spettante ad altro soggetto.

La difesa del ricorrente, invero, riteneva che pur nonostante gli artifizi ed i raggiri fossero stati indirizzati all’ente pubblico, il tentato pagamento presso nei confronti di un soggetto diverso rispetto a quello legittimato, avesse leso in realtà il privato, che di fatto aveva perso il proprio rimborso. Siffatto iter logico, corrobora l’assunto secondo il quale lo status di persona offesa, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere ricondotto al reale creditore della vicenda obbligatoria, ovvero un privato, in luogo dell’ente pubblico Agenzia delle Entrate.

Peraltro, la riqualificazione richiesta dalla difesa, da truffa aggravata contemplata all’art. 640 c.2 n.1 c.p. a truffa semplice ex art. 640 c.1 c.p., avrebbe comportato non solo il mutamento del titolo di procedibilità del reato, da ufficio a querela di parte; ma avrebbe, altresì, condotto all’emissione di una sentenza di “non luogo a procedere”, in relazione alla fattispecie in esame, per assenza proprio della querela come condizione di procedibilità.

5. L’applicabilità della disciplina del creditore apparente alla vicenda esaminata. Una nuova ricostruzione logica

Essendo, a questo punto, chiari i presupposti che rendono possibile l’effetto liberatorio a cui va incontro il debitore nella fattispecie indicata dall’art. 1189 c.c., bisogna chiedersi se la disciplina del creditore apparente possa applicarsi al caso concreto, oggetto della pronuncia della Suprema Corte. In particolare, occorre domandarsi se il pagamento del rimborso, che l’Ente pubblico era obbligato ad erogare, compiuto materialmente dall’ufficio postale, nei confronti di un soggetto diverso rispetto a quello legittimato, possa essere considerato come indebito soggettivo ex latere accipientis.

A ben vedere non sembrano esserci dubbi circa la riconducibilità del caso di specie alla fattispecie contemplata all’art. 1189 c.c., viste le forti similitudini del caso concreto con l’istituto in esame. In particolare, si evidenza che anche la Suprema Corte, forse inconsapevolmente, appella il reo come “apparente titolare del diritto di credito”; dunque, anche questa emblematica scelta lessicale induce a ritenere quest’ultimo come colui il quale, in base a circostanze univoche, appare legittimato a ricevere il pagamento.

In altri termini, seppur in maniera velata, anche la Corte sembra aderire a siffatta qualificazione giuridica. Tuttavia, occorre chiarire quanto ed in quale misura, gli artifizi e i raggiri posti in essere dal reo nei confronti dell’Ente erogatore, in qualità di debitore del rapporto obbligatorio, possano essere considerati come “circostanze univoche”, indispensabili per l’applicabilità della norma di cui all’art. 1189 c.c. In prima battuta preme segnalare che, nonostante il pagamento sia stato materialmente effettuato da un ufficio postale, la qualità di debitore permane comunque in capo all’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima, infatti, attraverso il rimborso consegnato al beneficiario fa insorgere in capo all’ufficio postale l’obbligo di pagare la cifra del rimborso al soggetto munito del titolo autorizzativo, analogamente a quanto avviene con gli assegni bancari.

La fattispecie in esame possiede, invero, forti analogie con il mandato di pagamento. Si evidenzia, infatti, che l’ufficio postale è tenuto ad eseguire materialmente la prestazione senza possibilità di sindacare né l’an né il quantum. Esso, infatti, rappresenta una longa manus dell’Ente, unico e solo soggetto obbligato al rilascio del rimborso e al pagamento, anche se con l’ausilio di un terzo.

Chiarito, dunque, che la qualità di debitore si rinviene unicamente in capo all’Agenzia delle Entrate, e non all’ufficio postale deputato al pagamento, si ritiene indispensabile analizzare la condotta tenuta dell’agente nei confronti dell’Ente. Nel caso in esame, infatti, appare quasi tautologico affermare che la condotta del reo, volta a attribuirsi un’identità fasulla al fine di conseguire indebitamente un rimborso dell’Agenzia delle Entrate spettante ad altro soggetto, possa avere quanto meno influito sulla libertà di autodeterminazione dell’Ente pubblico durante il rilascio del titolo[15].

Il mancato pagamento del rimborso indebito al reo, evitato solo grazie all’accuratezza dei controlli effettuati dall’ufficio postale prima di procedere al versamento, non incide sulla idoneità delle condotte a creare una vera e propria fictio ad hoc per l’Ente erogatore, in grado di far “apparire” il reo come reale creditore. Pertanto, tanto le condotte truffaldine tenute dal reo per ingenerare nel debitore pubblico la convinzione di essere il reale destinatario del rimborso; quanto la buona fede tenuta dal medesimo debitore, consistente nel verificare nei limiti del possibile l’identità del beneficiario, consentono di ritenere perfettamente applicabile la disciplina di cui all’art. 1189 c.c. al caso in esame.

Si ritiene, tuttavia, di dover fare chiarezza su quest’ultimo punto. Come visto in precedenza, la buona fede richiesta dall’art. 1189 c.c. è di stampo squisitamente soggettivo, da intendersi come volontà di rispettare e preservare anche la sfera giuridica altrui. Questo, pertanto, determina una serie di obblighi ulteriori per le parti[16], tesi a salvaguardare la controparte; nondimeno, come si è osservato, la portata di questi obblighi non è illimitata e trascendente rispetto alle possibilità delle parti. Se, infatti, fosse consentito alle parti di fissare sempre più obblighi e oneri comportamentali, ultronei rispetto alla vis ed alle capacità di ciascun obbligato, si andrebbe, paradossalmente, a violare lo stesso canone di buona fede. Non bisogna, difatti, dimenticare l’anima solidaristica che caratterizza la clausola generale della bona fide, emblematicamente racchiusa nell’art. 2 cost[17].

Orbene, rapportando le considerazioni fin qui esposte al caso di specie, risulta chiaro che alla base dell’errata individuazione del soggetto legittimato ad ottenere il rimborso, da parte dell’Agenzia delle Entrate, vi sono delle precise ed incisive condotte truffaldine. Il controllo sull’identificazione del beneficiario, a cui l’Ente era tenuta, non può estendersi fino al punto di ricomprendere le condotte illecite altrui: prevedendole e neutralizzandole. In caso contrario, non solo si caricherebbe l’Ente, e qualsiasi altro soggetto obbligato, a lunghi e articolati controlli, ma si violerebbe un fondamentale principio di civiltà giuridica: il principio di autoresponsabilità[18].

Il ragionamento seguito dai giudici di legittimità, tuttavia, segue una strada diametralmente opposta rispetto a quella tracciata. In particolare, è stato sostenuto che <<con il pagamento da parte dell’ufficio postale a favore del soggetto presentatosi come apparente titolare del diritto di credito, l’Agenzia delle Entrate non si sarebbe certo liberata dal proprio obbligo di rimborso a favore del suo (vero) creditore… ne consegue che l’ente pubblico è indubitabilmente soggetto che, in astratto, ha subito il danno dalla condotta posta in essere dall’agente>>[19], per cui, permane una responsabilità del reo per di truffa aggravata poiché commessa ai danni dello Stato.

Nondimeno, per le ragioni sopra riportate e motivate, non si ritiene di poter aderire alla ricostruzione ermeneutica fornita dalla Corte di Cassazione dovendosi, invece, opinare per l’applicabilità al caso in esame della disciplina del creditore apparente, e del suo conseguente effetto liberatorio per l’ente pubblico.

Ma quanto può incidere questa riqualificazione giuridica strettamente civilistica nel caso di specie, che indubbiamente possiede dei risvolti penali? La risposta a questa domanda risiede proprio nella sentenza esaminata[20]. Gli ermellini, infatti, ritengono il ricorso della difesa infondato e, corroborando in toto il percorso logico seguito dalla Corte d’Appello di Firenze, confermano la condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 640 c.2 n.1 c.p. Tuttavia, applicando al caso di specie la disciplina di cui all’art. 1189 c.c., come si vedrà di qui a breve, l’esito sarebbe stato radicalmente differente: tanto sul versante processuale, quanto sul versante sostanziale.

6. Considerazioni critiche e risvolti applicativi del caso in esame

Ricostruire in questi termini la fattispecie in oggetto, non solo consentirebbe di ritenere liberata l’Agenzia delle Entrate dall’obbligo di ripetizione della prestazione nei confronti del suo (vero) creditore, con tutte le naturali ripercussioni per la finanzia pubblica; ma garantirebbe, altresì, un trattamento più mite al reo. Quest’ultimo, infatti, sarebbe chiamato a rispondere per truffa semplice ex art. 640 c.p., in luogo di quella aggravata di cui all’art. 640 c.2 n.1, poiché commessa in danno dello Stato o di altro ente pubblico, con tutte le conseguenze in ordine alla procedibilità del reato.

Occorre sottolineare, altresì, che nel caso in esame non era stata presentata nessuna querela per truffa nei confronti dell’imputato, per il suo tentativo di incassare indebitamente il rimborso dell’Agenzia delle Entrate, da parte del reale destinatario del medesimo; ragion per cui, seguendo l’iter delineato dalla Corte di Cassazione, permarrebbe una responsabilità del reo per truffa ai danni dello Stato, la quale, essendo aggravata rimane procedibile d’ufficio. Aderendo, invece, alla ricostruzione fin qui offerta la conclusione sarebbe radicalmente diversa. In particolare, il rilascio del rimborso in buona fede nei confronti di chi “appare” creditore sulla base di circostanze univoche,  libera il debitore pubblico dal rapporto obbligatorio ai sensi dell’art. 1189 c. 1 c.c. Per cui, lo status di persona offesa avrebbe dovuto esser più correttamente ricondotto al privato cittadino, in qualità di reale creditore pregiudicato dal mancato rimborso. Quest’ultimo, infatti, è il titolare del bene giuridico leso dalla condotta, nonostante gli artifizi e i raggiri siano stati posti in essere nei confronti del debitore pubblico.

È necessario chiarire che una parte della giurisprudenza ritiene comunque integrata la fattispecie di truffa aggravata nel caso in cui gli artifizi e i raggiri siano stati realizzati nei riguardi di un Ente Pubblico[21]. Il reato di cui si discorre, secondo questa ricostruzione, avrebbe natura plurioffensiva; esso, infatti, lederebbe tanto il patrimonio della vittima, quanto la capacità di autodeterminazione della stessa, intesa come libera formazione del consenso[22].

Tuttavia, nell’individuazione della persona offesa del reato non si può prescindere dal valutare quale soggetto abbia realmente subito una deminutio patrimonii. Invero, gli artifizi e i raggiri considerati dalla norma di cui all’art. 640 c.p. sono rilevanti ai fini dell’individuazione della condotta illecita; tuttavia, il vero bene giuridico oggetto della norma si rinviene nella tutela del patrimonio. Non a caso, infatti, la fattispecie incriminatrice è collocata all’interno del Libro II, Capo II del codice penale, contenente proprio i delitti contro il patrimonio.

Peraltro, giova precisare che applicando la disciplina del creditore apparente al caso di specie, e conseguentemente l’effetto liberatorio per l’Ente pubblico, l’unico soggetto a subire la deminutio patrimonii sarebbe unicamente il privato. È stato osservato, infatti, che <<l’esigenza di tutelare la libertà del consenso non può spingersi fino a prescindere del tutto da una lesione del patrimonio della vittima>>[23].

Pertanto, si sarebbe dovuto riqualificare il fatto da truffa aggravata a truffa semplice, annullando senza rinvio, dal momento che quest’ultima ipotesi è procedibile solo a querela di parte. Appare dunque chiaro come l’applicabilità dell’art. 1189 c.c. nel caso in esame, incidendo sulla identificazione della persona offesa, può ribaltare completamente l’esito della pronuncia e, non di meno, offrire una lettura dei fatti in favor per il reo e più in linea alle norme civilistiche.

NOTE


[1] Cfr. G. FIANDACA E. MUSCO, Diritto Penale Parte Generale, Zanichelli Editore, VII ed., Torino, 2014, p. 35 ss.
[2] G. FIANDACA E. MUSCO, op. cit., p. 35 ss.
[3] Cfr. P. PERLINGERI, Manuale di Diritto Civile, Edizioni Scientifiche Italiane, VI ed., Napoli, 2007, p. 235 ss.
[4] Cfr. P. PERLINGERI, op. cit., p. 232 ss.
[5] F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 2015, Edizioni Scientifiche Italiane, XIX ed., Napoli, 2015
[6] P. PERLINGERI, op. cit., p. 232
[7] Sul tema della legittimazione “attiva” nel rapporto obbligatorio si veda C. M. BIANCA, Diritto Civile vol.- IV, l’obbligazione, ed. I, Giuffrè, Milano, 1990, p. 274 ss.
[8]  F. GAZZONI, op. cit
[9] Cass. Sez. III, 3/09/2005, n° 17742
[10] F. CARINGELLA, MANUALE RAGIONATO di diritto civile il manuale che stimola il pensiero critico, la logica giuridica e l’argomentazione interpretativa, DIKE Giuridica Editrice, I ed., Roma, 2019, p. 79
[11] Cfr. P. PERLINGERI, op. cit., p. 212 ss.
[12] Cass. Sez. III, 4/06/2013, n. 14028
[13] Art. 1189 comma 2 c.c.
[14] Cass., Sez. II, 5/09/2018, n° 39958
[15] Non è ostativo al riconoscimento della fattispecie di truffa il fatto che gli artifizi e i raggiri siano stati posti in essere nei confronti di un soggetto diverso rispetto a quello patrimonialmente leso. Sulla possibile divergenza tra “indotto in errore” e “persona offesa” vi è ormai una consolidata giurisprudenza che, a grandi mani, abbraccia siffatta possibilità. Si veda sul punto: Cass. Pen., Sez. II, 22/10/2013, n. 43143
[16] P. PERLINGERI, op. cit., p. 212
[17] Cfr. F. CARINGELLA, op. cit., p. 79
[18] Il principio richiamato è stato recentemente richiamato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di infortunio sul lavoro: Cass. Pen., Sez. IV, 07/09/2015, n. 36040; nonché in tema di assegno divorzile: Cass. Civ., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287, a riprova della poliedricità e della importanza che siffatto principio riveste nel nostro ordinamento.
[19] Cass., Sez. II, 5/09/2018, n° 39958
[20] Si tenga presente che la fattispecie di truffa “semplice”, contemplata all’art. 640 c.1 c.p. è procedibile unicamente a querela di parte e che, nel caso di specie, il reale destinatario del rimborso dell’Agenzia delle Entrate non aveva mai presentato. Per maggiori info sul reato di truffa si rinvia al testo di F. MANTOVANI, Diritto Penale. Parte Speciale II: delitti contro il patrimonio, VII ed., CEDAM, Padova, 2018, p. 210 ss.
[21] Cass. Pen., Sez. II, 19/07/2017, n. 35638
[22] Cfr. R. GAROFOLI, Compendio di Diritto Penale Parte Speciale con il coordinamento di Stefano Cavallini, ed. V 2017-2018, Nel Diritto Editore, Bari, 2017
[23] R. GAROFOLI, op. cit., p. 615

FONTE:http://www.salvisjuribus.it/lincidenza-della-disciplina-del-creditore-apparente-nella-fattispecie-di-truffa-aggravata-ex-art-640-c-2-n-1-c-p/

 

 

 

IMMIGRAZIONI

SULL’IMMIGRAZIONE LA SINISTRA TRADISCE GLI ITALIANI

Sull’immigrazione la sinistra tradisce gli italianiDel Decreto legge denominato “Rilancio Italia” dovremo parlare a lungo, dopo averlo studiato attentamente. Tuttavia, un giudizio sulla parte del provvedimento dedicata alla regolarizzazione degli immigrati irregolari c’è ed è pessimo. Per molte ragioni, non tutte strettamente connesse ai profili tecnico-giuridici della nuova norma. Nel merito, è nostra opinione che l’articolo 110-bis del Decreto, introdotto dalla fuorviante dicitura “Emersione di rapporti di lavoro”, sia figlio di una chiara scelta ideologica. La sinistra non ha mai smesso di puntare a stravolgere l’identità della comunità nazionale mediante l’immissione indiscriminata di gruppi umani provenienti da aree del mondo esterne al Vecchio Continente. Non vi era riuscita negli anni precedenti, quando ha provato a modificare la legge sulla cittadinanza. E non vi era riuscita anche per il fatto che l’idea di società multiculturale aperta alle migrazioni di massa cozzasse contro la pretesa giustizialista di non consentire in via di principio alcuna forma di sanatoria. La sinistra bacchettona, che ha fatto muro contro la clemenza di Stato, che si manifestasse attraverso le amnistie per i responsabili di reati o mediante i condoni fiscali ed edilizi, non avrebbe accettato di essere colta in fallo nell’invocare un’eccezione per gli immigrati.

Eppure, sul colpo di spugna per i clandestini, la sinistra è sempre stata consapevole di non essere in sintonia con la volontà della maggioranza degli italiani contrarissimi alle regolarizzazioni. Tuttavia, la sua forza sta nell’imporre al popolo, in nome del suo stesso bene, ciò che il popolo non sa di volere. È la funzione pedagogica dell’ideologia progressista alla quale la sinistra non può rinunciare, pena la sconfessione della propria ragione sociale. Come colpire l’obiettivo? Si tratta di cogliere l’attimo, quando il Paese è confuso ed è preso da altre e più importanti incombenze; quando, governando in coalizione con altre forze politiche, gli alleati sono così deboli da non costituire un intralcio al perseguimento dei progetti più indigesti. La crisi pandemica è capitata come il cacio sui maccheroni per assestare quei colpi che in un momento ordinario della vita democratica sarebbe stato impensabile piazzare senza sollevare la protesta degli italiani. Quale migliore occasione del varo del decreto che, a parole, dovrebbe rovesciare sulle imprese e sulle famiglie un fiume di denaro, per infilarci dentro la polpetta avvelenata della regolarizzazione dei clandestini? Allineamento astrale perfetto: la crisi economica incombente, l’alleato grillino che ormai si rappresenta come un esercito in rotta, e il gioco è fatto. Nondimeno, si tratta di un tragico errore di cui pagheremo le conseguenze negative per molto tempo. Col pretesto di dare una mano all’agricoltura che ha bisogno di manodopera per non perdere i raccolti di quest’anno, l’articolo 110-bis del Decreto concede ai datori di lavoro la possibilità di stipulare contratti di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale o di regolarizzarne la posizione quando siano in essere rapporti di lavoro irregolari.

La motivazione addotta dalla ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova ha del surreale: la misura varata cancellerebbe il caporalato e altre forme criminali di sfruttamento del lavoro in agricoltura. Ragioniamo. Dietro la messa in schiavitù dei clandestini ci sono indubbiamente imprenditori, italiani, senza scrupoli che fanno profitto lucrando sul costo irrisorio della manodopera. Le organizzazioni criminali hanno puntato a inserirsi in tale business offrendosi di incrociare la domanda all’offerta. Si chiama caporalato: dei delinquenti che intermediano braccia che si offrono a padroni che non vanno per il sottile. La nuova norma prevede un condono per il datore di lavoro a patto che si denunci e paghi una penale di 400 euro (comma). Il reo confesso, in cambio del perdono dello Stato per averla fatta franca, dovrebbe impegnarsi per il futuro a rispettare le regole sui contratti di lavoro e a pagare una sorta di obolo penitenziale a compensazione delle somme dovute in qualità di datore di lavoro per le pregresse inadempienze retributive, contributive e fiscali.

Somma che non è al momento quantificata ma dovrà essere fissata in un successivo decreto del ministro del Lavoro, scritto di concerto con il “ministro dell’Economia e delle Finanze, con il ministro dell’interno ed il ministro delle politiche agricole e forestali” (articolo 110 bis, comma 6). Ora, se un imprenditore è un farabutto mai accetterà di mettere la testa nel capestro. Contando sulla difficoltà degli enti della Pubblica amministrazione di assicurare controlli capillari, continuerà a fare “nero” come è più di prima. A meno che non colga nelle pieghe della legge l’occasione di fare altro business illegale. Manco a farlo apposta il Decreto spalanca le porte a tale opportunità. Il comma 13 dell’articolo 110-bis prevede che all’atto di presentazione della richiesta di regolarizzazione venga consegnata all’immigrato un’attestazione che gli consenta il soggiorno in Italia fino ad un eventuale (si sottolinei eventuale) comunicazione dell’Autorità di Pubblica sicurezza. Si torna al salvacondotto di ottocentesca memoria, ma che sul mercato odierno delle frodi vale oro per chi lo detiene. Con i mostruosi carichi di lavoro, infatti, che gravano sugli organismi di Pubblica sicurezza, un immigrato che ha nelle mani il pezzo carta potrebbe restare nel nostro Paese per il tempo di durata del contratto di lavoro fittizio (comma 4), magari continuando a svolgere la sua attività abituale, anche se essa non sia propriamente legale. Il costo ufficiale della pratica a carico del lavoratore è al massimo di 30 euro (comma 13). Ripensando a quel tale disonesto imprenditore che su un quintale di patate ricava scarsi 15 euro, sarà una pacchia mettere in piedi il business dei finti contratti di lavoro agli immigrati (paganti) che si aggiunge ad altre specialità di certa agricoltura “noir”: le finte disoccupazioni, le pratiche manipolate per l’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura dei premi previsti dalla Pac-Politica Agricola Comunitaria) e altre mille e una fantasie fraudolente sui fondi comunitari, riscontrate dalla Guardia di Finanza, su 13mila controlli svolti tra il 2014 e il 2016, in 6 casi su 10 (Fonte: Senato della Repubblica-Ufficio valutazione impatto).

Naturalmente tutto ciò alla sinistra non interessa. Lo scopo era aprire la breccia all’afflusso degli immigrati. Il successivo step sarà quello di investire fondi pubblici per sistemarli abitativamente in modo permanente e adeguato alla nuova condizione di emersione. Come potrebbe un lavoratore regolare stare in una baraccopoli? Alla bisogna provvede il comma 17: “le amministrazioni dello Stato competenti e le Regioni, anche mediante l’implementazione delle misure previste dal Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022, adottano soluzioni e misure urgenti idonee a garantire la salubrità e la sicurezza delle condizioni alloggiative”. Dopo il lavoro la casa, quando milioni di italiani da qua a qualche mese non avranno più un piatto di minestra da mettere in tavola e forse neppure un tetto sotto cui stare per colpa degli insoluti con le banche creditrici. E i grillini che minacciavano fuoco e fiamme? Loro, i puri e duri del con-noi-mai-condoni? Hanno calato le brache perché sono stati ricattati dagli alleati.

Quando sembrava che la truppa pentastellata non cedesse sulle regolarizzazioni, a sinistra è cominciata a circolare la voce che si sarebbe potuto prendere in considerazione la soluzione prospettata dalla destra di impiegare i fruitori del Reddito di cittadinanza per i lavori in campagna. Tra i grillini è stato il panico. Solo immaginare di scomodare gli assistiti di Stato, che essi pensano costituiscano l’ultima linea di difesa dal crac elettorale, li ha spinti a piegarsi al progetto della sinistra unita. Sinistra che ancora una volta ha dimostrato “per tabulas” che le divisioni all’interno del suo campo sono solo specchietti per le allodole. Prepariamoci dunque a reggere il primo impatto della nuova normativa: la ripresa dei flussi incontrollati di clandestini dal Mediterraneo meridionale. Quando si spargerà la voce, nelle remote contrade d’Africa, che in Italia si è accolti e messi in regola, un’onda gigantesca si abbatterà sulle nostre coste. Ma non sarà di quelle che stimolano a fare surf.

FONTE:http://opinione.it/editoriali/2020/05/15/cristofaro-sola_immigrazione-sinistra-italiani-rilancio-italia-articolo-110-bis-stato-denaro-clandestini-bellanova-pubblica-amministrazione/

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

OMS, da Trump ultimatum di 30 giorni: stop a finanziamenti, gli USA potrebbero uscire

 

Trump contro l’OMS: il presidente ha lanciato un ultimatum all’Organizzazione minacciando lo stop permanente dei finanziamenti e il ritiro degli Stati Uniti

OMS, da Trump ultimatum di 30 giorni: stop a finanziamenti, gli USA potrebbero uscire

Donald Trump ancora contro l’OMS.

Il presidente degli Stati Uniti ha lanciato un vero e proprio ultimatum all’Organizzazione Mondiale della Sanità, ripetutamente criticata dall’inquilino della Casa Bianca nel corso dell’emergenza coronavirus.

Se l’OMS non risponderà positivamente alle richieste di Trump entro 30 giorni, quest’ultimo congelerà permanentemente i finanziamenti all’Organizzazione e riconsidererà l’appartenenza degli Stati Uniti alla stessa. Ma andiamo per ordine.

Trump contro OMS: l’ultimatum del presidente

Le ultime dichiarazioni di Trump contro l’OMS sono state rese note (via Twitter) in una lettera sottoscritta dal tycoon e inviata direttamente a Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale della World Health Organization.

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“il mio congelamento temporaneo dei fondi USA diventerà permanente e riconsidererò la nostra presenza nell’organizzazione.”

Non è chiaro, al momento, come farà Trump a cancellare i fondi all’OMS visto che la maggior parte di questi viene approvata dal Congresso e che il presidente in genere non ha l’autorità di direzionarli altrove.

Le minacce da Washington però hanno riacceso i riflettori su uno scontro esploso nel pieno dell’emergenza coronavirus, quando gli USA hanno accusato l’organizzazione di aver gestito malamente la situazione. Nella lettera di ieri, comunque, non sono certamente mancati i riferimenti a Pechino.

“L’unica via da seguire per l’Organizzazione Mondiale della Sanità è quella di dimostrare effettivamente l’indipendenza dalla Cina…Non posso permettere che i dollari dei contribuenti americani continuino a finanziare un’organizzazione che, allo stato attuale, non è così chiaramente al servizio degli interessi USA”.

La situazione negli Stati Uniti, al momento, è drammatica. I casi di contagio confermati hanno superato quota 1,5 milioni, mentre i decessi accertati sono stati più di 90.000 (di cui circa 21.000 solo nello stato di New York). Per questo anche il presidente è stato ripetutamente criticato per le sue modalità di gestione dell’emergenza e soprattutto per le sue dichiarazioni fuorvianti sul coronavirus.

Quello delle ultime ore, comunque, è stato soltanto l’ultimo capitolo dello scontro Trump-OMS. Nelle prossime settimane sarà interessante capire che cosa accadrà davvero in seguito all’ultimatum. Gli Stati Uniti usciranno davvero dall’Organizzazione Mondiale della Sanità?

FONTE:https://www.money.it/Trump-contro-OMS-ultimatum-stop-finanziamenti-USA-usciranno

 

 

 

La storia della potente famiglia Saud e la loro amicizia con gli Stati Uniti

FONTE:http://www.madrerussia.com/la-storia-della-potente-famiglia-saud-e-la-loro-amicizia-con-gli-stati-uniti/

 

 

 

POLITICA

QUANDO UNO VALE ZERO

Quando uno vale zeroHanno iniziato il loro iter politico plaudendo il loro vate ed il suo “vaffanculo” verso tutto e tutti. E poi si sono arrampicati su un tetto gridando ai quattro venti che avrebbero aperto i palazzi del potere “come una scatoletta di tonno”. Sono diventati invece pesci e anche di scadente qualità. E poi hanno plaudito alla “decrescita felice”: alla decrescita ci hanno portato, di felice però c’è ben poco. E poi hanno fatto credere che lo streaming era uno strumento di chiarezza e di trasparenza perché “la gente deve sapere”. Adesso le loro assise rassomigliano molto al famoso conclave svoltosi nel Palazzo papale di Viterbo, ma rischiano a breve di sentire i passi del popolo “scoperchiante” sul tetto. E poi si sono opposti ai grandi eventi e alla realizzazione delle grandi infrastrutture perché potenziali fonti di corruzione: invece di perseguire gli eventuali manigoldi, preferiscono fermare direttamente lo sviluppo. E poi ci hanno raccontato che “uno vale uno” dimostrando che, in realtà, non conoscono neppure la possibilità che quell’uno può anche valere zero.

Omettiamo in questa sede di fare nomi e cognomi – la lista sarebbe assai lunga – per evitare possibili querele. E poi li abbiamo visti affacciati da uno dei balconi più simbolici del Paese per annunciarci che era stata abolita la povertà: ecco come siamo ridotti. E poi, pur di entrare nei palazzi che contano, si sono alleati con i rappresentanti del più becero sovranismo nostrano. E poi, pur di rimanere al potere, anche “quelli di Bibbiano” sono andati bene come loro compagni di viaggio. E poi dimostrano di non capire neppure che il loro grande bluff sta per volgere al termine: sarà sufficiente la prossima consultazione elettorale.

FONTE:http://opinione.it/politica/2020/05/15/gianluca-perricone_m5s-uno-vale-uno-grillo-decrescita-felice-bibbiano-blocco-sviluppo/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Cos’è l’eXplainabile AI e perché non possiamo farne a meno

I sistemi di intelligenza artificiale spiegabili hanno la capacità di spiegare la logica delle decisioni, caratterizzare i punti di forza e debolezza del processo decisionale, e fornire indicazioni sul loro comportamento futuro
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La diffusione dell’uso di tecniche di intelligenza artificiale è ormai pervasiva e inarrestabile. Tuttavia, essa porta con sé opportunità ma anche rischi e problemi che devono essere affrontati per non comprometterne un’evoluzione efficace. L’eXplainable AI (XAI) è una delle risposte a questi problemi per riavvicinare l’uomo alle macchine.

 

AI, ML, AGI: tante sigle che possono generare confusione

Oggi tutti parlano di intelligenza artificiale (AI). Il termine, purtroppo, è generico e fuorviante perché richiama alla mente il paragone con l’intelligenza umana, ma questo paragone ha senso solamente per quel settore di studio che viene più correttamente indicato con il termine AGI (Artificial General Intelligence). Si tratta di un argomento estremamente affascinante e controverso, sebbene la strada per arrivare a un’intelligenza artificiale paragonabile a quella del cervello umano appaia ancora molto lunga, piena di incognite, rischi ma anche opportunità.

Molto note a tal proposito sono le posizioni allarmistiche di Stephen Hawking e di Elon Musk. A fronte di questi rischi sono nate anche organizzazioni come FLI (Future of Life organization) o OpenAI con lo scopo di seguirne gli sviluppi e analizzarne e discuterne caratteristiche, opportunità e rischi.

Durante la prima conferenza di FLI, “The Future of AI: Opportunities and Challenges” (2015) è emerso chiaramente il fatto che la sicurezza dell’AI è un argomento critico e richiede particolare attenzione, impegno e serietà per fare in modo che l’intelligenza artificiale rappresenti un reale vantaggio per l’umanità e non un rischio.

A differenza dell’AGI, l’intelligenza artificiale di cui normalmente si parla e che già pervade molti settori, dovrebbe essere chiamata più correttamente “narrow”. Si tratta infatti di tecniche di apprendimento automatico (machine learning) che non sono nuove per la comunità scientifica ma che negli ultimi anni sono “maturate” e divenute efficaci per applicazioni specifiche (da cui il termine “narrow”) grazie alla disponibilità di molti dati (esplosione dei big data e dell’IoT) e di ingenti potenze di elaborazione a costi sempre più contenuti.

Explainable AI (XAI): una necessità concreta

La potenza e l’impatto dirompente dell’AI causa preoccupazioni su molti fronti. A quanto descritto in precedenza si aggiungono infatti altre paure legate all’impatto sociale che queste tecniche possono avere, ad esempio in ambito forza lavoro e privacy.

L’insieme di queste considerazioni, collegate agli aspetti di affidabilità analizzati in precedenza, hanno portato a discussioni sempre più frequenti e animate in relazione alla necessità di avere un’intelligenza artificiale “responsabile”. Le discussioni si sono concentrate sulle garanzie di un uso etico, trasparente e responsabile delle tecnologie di AI che siano coerenti con le aspettative degli utenti, i valori organizzativi, le leggi e le norme della società.

Di fatto la natura di alcuni dei sistemi di intelligenza artificiale più promettenti, non riuscendo a salvaguardare l’etica e la trasparenza, possono erodere la fiducia ostacolando in definitiva l’adozione di massa dell’AI.

Questo non è accettabile né per la società e neppure per le imprese per le quali l’AI sta diventando una capacità aziendale richiesta, un fattore critico di successo, non solo qualcosa di “bello da avere”. Le aziende non hanno più la possibilità di evitare i rischi dell’AI semplicemente facendone a meno, devono imparare a identificarne e gestirne i rischi in modo efficace. Devono definire un piano per l’AI istituendo un quadro etico e creando un linguaggio comune attraverso il quale gestire la fiducia e contribuire a garantire l’integrità dei dati tra tutti gli stakeholder, interni ed esterni. Solo così le aziende potranno applicare una governance dell’AI per tutta l’azienda garantendone un’adozione più rapida e coerente. Questo è in linea con un recente sondaggio di PwC nel quale la stragrande maggioranza (82%) degli amministratori delegati concorda sul fatto che le decisioni basate sull’AI per essere affidabili devono necessariamente essere spiegabili.

Capire perché e come un sistema fa previsioni e prende decisioni diventa quindi un elemento essenziale per accelerare l’innovazione e sfruttare appieno il potenziale dell’AI anche se occorre tener presente che, allo stesso tempo, si aprono le porte alla possibile diffusione di preziose proprietà intellettuali.

Nasce quindi il concetto di sistemi di intelligenza artificiale spiegabili (XAI) definiti come sistemi con la capacità di spiegare la logica delle decisioni, caratterizzare i punti di forza e debolezza del processo decisionale, e fornire indicazioni sul loro comportamento futuro.

La crescita di attenzione sull’XAI

Se dal punto di vista della ricerca le discussioni sull’XAI risalgono ad alcuni decenni fa, il concetto è emerso con rinnovato vigore alla fine del 2019 quando Google, dopo aver annunciato la sue strategia “AI-first” nel 2017, ha annunciato un nuovo set di strumenti XAI per gli sviluppatori.

Questo è avvenuto quasi in contemporanea con un altro importante evento propulsivo in favore dell’XAI: l’entrata in vigore, nel maggio 2018, del Regolamento generale sulla Protezione dei Dati (GDPR). Nell’articolo 22 infatti, il GDPR sancisce che le persone fisiche hanno il diritto di non essere sottoposte a processi decisionali basati esclusivamente su processi automatizzati (compresa la profilazione) e inoltre i criteri per giungere a tali decisioni devono essere resi noti al fine di garantire il diritto di contestazione (art.22 – par. 3).

Dall’altra parte dell’oceano, anche il Dipartimento della Difesa Americano, attraverso l’agenzia DARPA, preposta allo studio delle tecnologie emergenti nel contesto della sicurezza nazionale, sta portando avanti un programma di Explainable Artificial Intelligence (DARPA-XAI) con un investimento previsto di 2 miliardi di dollari.

Non c’è dubbio quindi che l’XAI non diventi un elemento centrale nell’evoluzione delle tecniche di intelligenza artificiale.

Indagare un sistema di AI: Interpretability vs Explainability

Ma cosa vuol dire veramente rendere spiegabile un sistema di intelligenza artificiale?

Alcuni studiosi sottolineano il fatto che spiegare il funzionamento di un sistema di AI può voler dire qualunque cosa, dalla comprensione dei dettagli più specifici degli algoritmi ai concetti di ragionamento di alto livello. Tuttavia si può affrontare la questione pragmaticamente agendo su due livelli.

Un primo livello di indagine riguarda la possibilità di mettere in relazione causale i dati in ingresso con quelli in uscita: si parla in questo caso di Interpretability (interpretabilità). Questa caratteristica consiste nel fornire una spiegazione del perché il modello ha fatto una certa scelta o ha fornito una determinata previsione (WHAT).

Un secondo livello è relativo alla spiegazione, in termini comprensibili ad un essere umano, su come il modello sia arrivato ad una determinata scelta o previsione: si parla in questo caso di Explainability. Questa caratteristica corrisponde a fornire una spiegazione su come funziona il modello (WHY).

Si parla in questo caso di “human style interpretations”. Il livello di comprensione del modello può essere “globale”, nel caso in cui permetta di capire come gli ingressi (‘variabili’ nel linguaggio usato nella comunità scientifica) condizionano i risultati forniti dal modello in relazione all’intero insieme di dati di addestramento, o “locale” nel caso in cui permetta di spiegare uno specifico output (decisione/classificazione).

L’interpretabilità è una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere la “spiegabilità”. Un interprete del modello può infatti generare la rappresentazione di un processo decisionale ma trasformarlo in una spiegazione utile può essere difficile poiché dipende da diversi fattori:

  • il tipo di algoritmo che genera il modello
  • il livello di spiegazione richiesto: a chi è indirizzata la spiegazione? A un utente generico interessato alla decisione? A un Data Scientist? A dirigenti e professionisti che useranno gli output algoritmici per prendere decisioni?
  • il tipo di dati utilizzati nel modello.

Prima di analizzare quali sono le difficoltà da superare e quali gli approcci possibili è opportuno chiederci quali sono gli attori coinvolti e quali le caratteristiche che i sistemi di AI devono avere.

I fattori critici di un piano strategico di utilizzo dell’AI

Per orientarsi nel contesto complicato dell’evoluzione dei sistemi di AI e della interpretability/explainability richiesta è opportuno cominciare considerando gli use case di interesse della singola organizzazione in funzione delle sue caratteristiche operative e del contesto in cui opera.

Occorre quindi in primo luogo effettuare considerazioni:

  • sugli use case;
  • legate alle caratteristiche dell’organizzazione;
  • legate al contesto in cui si opera.

In relazione a queste considerazioni si possono determinare i seguenti fattori critici da valutare per delineare un piano strategico di utilizzo dell’AI adeguato alla propria realtà:

  • impatto economico delle scelte decisionali

Occorre valutare l’impatto della singola decisione e l’utilità economica legata alla comprensione della decisione nel contesto del processo che si è modellato.

  • frequenza dell’utilizzo del modello decisionale

Il numero delle decisioni che l’applicazione di AI deve prendere (es. 1 milione/giorno vs 4/mese).

  • affidabilità del modello decisionale

Robustezza dell’applicazione in termini di accuratezza della previsione/decisione e la sua capacità di generalizzare bene rispetto ai dati sconosciuti.

  • conformità del modello decisionale

La conformità dell’applicazione di AI rispetto a leggi e regolamenti del settore di impiego.

  • reputazione/credibilità del modello decisionale

L’impatto potenziale sul business e sugli stakeholders dell’utilizzo dell’applicazione di AI nel caso di risultati non corretti o pregiudizievoli.

Occorre considerare tutti gli stakeholders

Nell’evoluzione della scienza legata all’uso massivo ed estensivo dei dati, e quindi anche dell’AI, si è alla ricerca di una sorta di “Data Oath” per la Data Science sulla falsariga di quello che si fa da secoli nel campo medico con il giuramento di Ippocrate. Grazie a questo impegno il Data Scientist dovrebbe assumere una posizione deontologica nei riguardi di chi è impattato dall’analisi dei dati.

Per soddisfare questa esigenza è necessario partire dall’analisi di tutti gli attori coinvolti. Come mostrato in figura 1, si tratta di ragionare sia internamente all’organizzazione, dove Business Team e Data Science devono lavorare di concerto, che esternamente nei confronti dei consumatori/clienti e dei legislatori che ne proteggono i diritti e dettano i principi (es. GDPR).

Fig. 1: gli stakeholders per un AI etico, compiti e necessità

Come vedremo in seguito, questi elementi, sebbene considerati importanti, destano preoccupazione nei Data Scientist, preoccupati del rischio di veder compromesse le prestazioni dei sistemi di AI al fine di garantire una capacità di spiegazione degli stessi.

Utilizzare un framework per mitigare i rischi potenziali

Per salvaguardare i principi etici e costruire una strategia di intelligenza artificiale affidabile è certamente utile affidarsi ad un framework come quello proposto da più parti analizzando le sei dimensioni chiave che andrebbero prese in considerazione collettivamente nella progettazione, sviluppo, implementazione e fasi operative dell’implementazione del sistema di AI.

Utilizzare un framework di questo tipo consente di aiutare le aziende a identificare e mitigare i rischi potenziali legati all’etica dell’AI in ogni fase del ciclo di questi sistemi.

Figura 2: gli elementi di un possibile framework per implementare un AI affidabile

Una AI… giusta e imparziale

Un’intelligenza artificiale “giusta” deve includere controlli interni ed esterni per ridurre i pregiudizi discriminatori e deve essere progettata in modo da seguire un processo capace di prendere decisioni eque. Occorre anche far attenzione a che i sistemi progettati diano risultati di “buon senso” evitando decisioni tecnicamente corrette ma socialmente inaccettabili o opinabili. Occorre tener sempre ben presente che l’AI “impara” dai set di dati utilizzati per addestrarlo e se questi contengono una distorsione del mondo reale, i modelli generati possono apprendere, amplificare e propagare tale distorsione a velocità e scala digitali.

Esempi di problemi di questo tipo sono all’ordine del giorno (es. Amazon). Per evitare questo genere di problemi, legati all’equità e alla parzialità, le aziende devono prima definire cosa costituisce “giusto” in un certo contesto e questo può essere molto più difficile di quanto sembri, dal momento che generalmente non esiste una singola definizione su cui tutti concordano. Quando poi viene rilevata una distorsione, essa deve essere compresa e mitigata attraverso processi consolidati in modo da ricostruire la fiducia dei clienti.

…trasparente e “spiegabile”

Affinché l’AI sia considerata affidabile, tutti i partecipanti devono comprendere come vengono utilizzati i loro dati e come l’AI prende le decisioni. Deve quindi essere possibile accedere agli algoritmi e poter avere una spiegazione comprensibile di come operano. In questo caso ci possono essere livelli diversi di “spiegabilità” a seconda dell’audience (e.g. Data Scientist, Business Specialist, End-Users) e dei casi d’uso. Inoltre, per quanto riguarda la trasparenza, vi è una crescente pressione per informare esplicitamente le persone quando interagiscono con sistemi di AI e deve essere possibile stabilire chiaramente chi è responsabile dei dati e delle scelte che vengono effettuate. Incolpare la tecnologia per decisioni errate non è sufficiente: non lo è sicuramente per le persone danneggiate ma neppure per i legislatori (si pensi ad esempio alla guida autonoma o a servizi di gestione patrimoniale basati sull’AI).

Trasparenza e “spiegabilità” consentono di verificare che il sistema prenda le decisioni corrette per le giuste ragioni e questo è alla base della fiducia (trust) nel sistema di AI.

… responsabile

È fondamentale poter individuare con chiarezza chi è responsabile per le decisioni prese dal sistema di intelligenza artificiale. Questo a sua volta richiede una chiara comprensione di come funziona il sistema, di come prende le decisioni e di come impara ed evolve nel tempo. Nel caso di un evento avverso causato dal sistema occorre essere in grado di procedere a ritroso nella catena causa-effetto fino alla persona o all’organizzazione che può essere ragionevolmente ritenuta responsabile dell’evento.

A seconda della natura del problema, la responsabilità potrà essere attribuita a diversi attori nella catena causale; si potrebbe trattare per esempio di una persona che ha preso la decisione di utilizzare il sistema di AI per un’attività per cui non era adatto o il team di sviluppo che non ha integrato sufficienti controlli di sicurezza.

L’attribuzione di responsabilità sarà un elemento sempre più importante a mano a mano che l’AI verrà utilizzata in una gamma di applicazioni sempre più critiche come la diagnosi delle malattie, la gestione patrimoniale o la guida autonoma.

…robusta e affidabile

Affinché i sistemi di AI si possano diffondere veramente occorre che siano affidabili almeno quanto quelli che vanno a sostituire e che forniscano delle decisioni coerenti e consistenti nel tempo, anche quando si dovessero trovare a funzionare in situazioni impreviste. Eventuali errori devono ricadere in qualche modo nel campo della prevedibilità in modo che gli utenti di questi sistemi ne possano essere consapevoli.

…sicura e protetta

Per essere affidabile, un sistema di AI deve anche essere protetto dai rischi di sicurezza informatica che potrebbero causare danni fisici e/o digitali. Sebbene la sicurezza e la protezione siano chiaramente importanti per tutti i sistemi informatici, sono particolarmente cruciali per l’intelligenza artificiale a causa del ruolo e dell’impatto che questa ha nelle attività nel mondo reale (es. sistemi finanziari, sistemi di guida autonoma). Debolezze sul piano della sicurezza dei sistemi di AI possono dar luogo a perdita di reputazione, di denaro/dati o peggio ancora di vite umane.

AI e rispetto della privacy

La privacy è un problema critico per tutti i tipi di sistemi di dati, ma è particolarmente importante per l’AI poiché le previsioni/decisioni generate da questi sistemi di intelligenza artificiale spesso derivano da dati più dettagliati e personali. Occorre assicurarsi di avere acquisito il diritto di trattare questi dati e di rispettare le normative utilizzandolo esclusivamente per gli scopi dichiarati e concordati. Il problema della privacy dell’AI spesso si estende anche al di fuori delle aziende che realizzano questi sistemi (es. privacy dei dati audio acquisiti da AI assistant accessibili a fornitori e partner) e occorre inoltre garantire ai clienti un livello di controllo adeguato dei loro dati (es. diritto di cancellazione o revoca del permessi)

XAI: difficoltà, compromessi e possibili approcci

Come visto in precedenza, in molti casi l’explainability è una caratteristica irrinunciabile. Tuttavia ci sono diversi ostacoli che sviluppatori e professionisti devono affrontare per ottenere sistemi di XAI che rispondano alle esigenze dei singoli casi d’uso. Innanzi tutto è importante osservare che l’interpretabilità di un modello è una caratteristica che è frutto di un compromesso.

In linea di principio infatti, quanto più il modello è complesso, tanto più è preciso ma meno interpretabile. La complessità è in prima istanza legata alla classe di algoritmi di apprendimento automatico utilizzati per generare il modello e secondariamente alla dimensione del modello (es. il numero di strati di cui è composta la rete neurale).

In figura 3 è mostrata la situazione attuale.

Fig. 3: XAI – prestazioni vs spiegabilità (A. Kitterman/Science Robotics)

La figura mostra come le DNN siano le tecniche più performanti ma meno spiegabili mentre i Decision Tree (alberi decisionali), che sono basati su regole, tendono a premiare l’explainability rispetto all’efficacia.

Lo sforzo che si sta facendo da più parti è relativo al miglioramento dell’ explainability a parità di accuratezza.

Spesso la difficoltà sta nel fatto che normalmente gli algoritmi non sono progettati per essere explainable-by-design, cioè non si tiene conto delle caratteristiche di explainability e transparency già nella fase iniziale di concezione del modello.

Quando questo non accade, la ricerca dell’explainability avviene partendo dal concetto di black-box attraverso i paradigmi mostrati in Figura 4.

Fig. 4: Tassonomia dell’explainability di modelli di AI (DSSS 2019-Pisa)

Si tratta in sostanza di fornire una spiegazione del funzionamento della “scatola nera” attraverso specifici strumenti (spesso visuali ma talvolta testuali o basati su esempi come nel caso del What-IF tool della Google Cloud Platform)

Le tecniche di Model Explanation sono tipicamente agnostiche e generano una interpretazione del modello imitandone il comportamento generale mentre quelle di Outcome Explanation interpretano il modello in relazione alla singola istanza (interpretable local predictor). Con le tecniche di Model Inspection invece si fornisce una rappresentazione (visiva o testuale) per comprendere il funzionamento del modello o per capire come certe previsioni siano più probabili di altre.

Le tecniche agnostiche più comuni sono Sensitivity Analysis, LIME (Local Interpretable Model) e SHAP.

Con la Sensitivity Analysis il principio è quello di perturbare i dati in ingresso al modello e verificare come cambia l’output del modello, ripetendo questo processo fino a costruire una rappresentazione grafica del funzionamento del modello rispetto a specifiche features (es. fonemi in un segnale audio o contorni in una immagine). Questo non consente di comprendere le interazioni tra feature diverse del modello. Con LIME si cerca di superare quest’ultima limitazione attraverso una perturbazione del modello multi-feature focalizzata su una specifica predizione del modello.

SHAP si basa invece sulla teoria dei giochi collaborativi (concetto di valore di Shapley): viene misurato quanto ogni feature del modello contribuisce ad un determinato output consentendo quindi di identificare la feature più importante per un certo output.

Questi metodi si basano sull’osservazione di ciò che accade alle uscite del modello quando si modificano gli ingressi. Si tratta quindi di approcci diretti la cui semplicità va in qualche modo a scapito della explainability.

Nel caso di Transparent Box Design si hanno invece modelli che sono globalmente o localmente interpretabili per loro stessa natura, “by design”.

Un esempio classico di modelli “trasparenti” è quello dei decision tree che rende esplicite le alternative e per ogni output consente di ripercorrere a ritroso tutte le scelte fatte che hanno portato a quel determinato output a partire dai dati in ingresso al modello. Questo tipo di modelli paga però lo scotto prestazionale rispetto ad algoritmi basati sulle reti neurali addestrate con un set di dati sufficientemente ampio.

Recentemente si stanno affermando però anche metodi ibridi che utilizzano particolari reti neurali chiamate Switching Neural Network (SNN) che, grazie all’uso della logica booleana nel primo livello della rete e di tecniche specifiche di addestramento, riescono ad ottenere accuratezze simili a quelle delle Deep Neural Network mantenendo una explainability pari a quella dei metodi di Decision Tree (RuleX AI).

AI, tante tecniche diverse

La società di ricerca Gartner stima che l’economia globale dell’intelligenza artificiale aumenterà dai circa 1,2 trilioni di dollari del 2018 a circa 3,9 trilioni di dollari entro il 2022, mentre McKinsey prevede un’attività che generi un’economia globale di circa 13 trilioni di dollari entro il 2030.

Le tecniche di intelligenza artificiale, in particolare i modelli di deep learning (DL), stanno rivoluzionando il mondo degli affari e della tecnologia con prestazioni strabilianti in un’area di applicazione dopo l’altra: classificazione delle immagini, riconoscimento degli oggetti, monitoraggio degli oggetti, analisi video, generazione di immagini sintetiche – solo per nominarne alcuni.

Gli algoritmi di intelligenza artificiale sono utilizzati oramai in moltissimi settori: sanità, servizi IT, finanza, produzione, guida autonoma, riproduzione di videogiochi, ricerca scientifica e persino nel sistema giudiziario e in quello sanitario.

Tuttavia gli algoritmi alla base di questi sistemi di intelligenza artificiale non sono altro che tecniche che permettono ai sistemi informatici di prevedere, classificare, ordinare, prendere decisioni e in generale estrarre conoscenze dai dati senza bisogno di definire a priori delle regole esplicite. Non c’è quindi una programmazione predefinita dei computer per la costruzione del modello predittivo del problema d’interesse ma il modello viene generato in modo automatico attraverso l’analisi dei dati in una fase di apprendimento: si parla allora di machine learning (ML). Spesso nel linguaggio corrente si continua comunque a utilizzare il termine generico AI anche quando si dovrebbero utilizzare termini come narrow AI o ML.

La distinzione principale tra le tecniche di ML viene fatta tra i sistemi basati su regole (cioè costrutti del tipo “if … then … else”) e quelli che non lo sono. I modelli che non si basano su regole sono a loro volta suddivisi principalmente in tre ampie categorie: Supervised Learning (SL)Unsupervised Learning (UL)Reinforced Learning (RL).

CONTINUA QUI:https://www.ai4business.it/intelligenza-artificiale/cose-lexplainabile-ai-e-perche-non-possiamo-farne-a-meno/

 

 

 

STORIA

Le memorie di un paracadutista ad El Alamein

15 maggio 2020 – Cristina Di Giorgi

La storia di Santo Pelliccia raccontata nel volume di Francesco Fagnani, redatto dopo lunghe conversazioni con il vecchio e orgoglioso “folgorino”.

La Storia, quella con la S maiuscola, è sì quella dei personaggi noti e degli avvenimenti epocali. Ma è anche e forse soprattutto quella scritta silenziosamente da Uomini i cui nomi, spesso, restano sconosciuti ai più. È questo, ma solo in parte, il caso di Santo Pelliccia. Un nome e una figura che il cosiddetto “grande pubblico” forse ricorda solo marginalmente ma che chiunque si sia per qualunque motivo accostato alla Folgore e al suo glorioso percorso storico e militare conosce ed apprezza. Pelliccia, scomparso lo scorso 31 agosto all’età di 95 anni, fino a che il fisico glielo ha consentito si è instancabilmente recato a cerimonie, occasioni pubbliche e raduni dei paracadutisti con indosso una accurata riproduzione della divisa coloniale color caki che indossava nel 1942 ad El Alamein.

Se l’era fatta cucire dalla sorella perché voleva, mostrandola, attirare l’attenzione. E sfruttarla per testimoniare e tramandare, in modo originale e arguto, vicende e valori che – giustamente – meritano spazio nella memoria collettiva di tutto il Paese, in particolar modo in tempi come quelli attuali. Tempi in cui occorre più che mai dare un senso, quanto più radicato possibile nel sentire comune, a valori quali amore per l’Italia, perseveranza e coerenza.

VIDEO QUI: https://youtu.be/7s6hZ3W1rtk

Ero quello che sono e sono sempre rimasto quello che ero” è scritto nella prima pagina di “El Alamein. Sabbia d’intorno, roccia nel cuore”, il volume che Francesco Fagnani, ricercatore e divulgatore storico e attuale vicepresidente dell’Associazione De Historia, ha recentemente pubblicato (dicembre 2019) con le Edizioni Menabo. Un volume in cui, in modo estremamente intenso, si ripercorre la vita e la storia di Santo Pelliccia.

Poco più che bambino – racconta l’autore nell’introduzione – avevo letto e riletto un libro appartenente a mio padre, I ragazzi della Folgore. La vicenda di quegli uomini, descritti come baluardo isolato nel deserto contro cui si infrangevano torme di nemici dotati di mezzi soverchianti, mi aveva fortemente impressionato”. Anche in seguito a questa forte suggestione infantile, Fagnani resta colpito dalla figura di Pelliccia, paracadutista e reduce di El Alamein, scoperta sui social. “Mi incuriosirono, nelle immagini che lo ritraevano, l’aspetto fiero ed energico ed il fatto – dice ancora Fagnani – che indossasse spesso l’uniforme del 1942”. Poi il contatto, inizialmente telefonico, con Santo Pelliccia. Che alla proposta di un emozionatissimo studioso (a Fagnani, quando ha raccontato l’episodio nel corso della presentazione del suo lavoro tenutasi in Campidoglio a Roma il 17 gennaio, tremava la voce) di dedicare un libro alla sua storia, risponde con “voce cordiale ma autorevole e allo stesso tempo con tono garbato di altri tempi: Sarebbe per me un onore ed un privilegio!”.

A questa prima conversazione ne seguono molte altre, che l’autore registra e trascrive meticolosamente, integrando e completando quanto gli viene raccontato con documenti, note e fotografie tratte da archivi storici e personali.

Ad arricchire il libro, prezioso già solo per l’evocativa e dettagliata testimonianza di Pelliccia, ci sono poi anche appendici, ricostruzioni e cartine, che chiariscono le varie fasi di una delle più celebri battaglie della Seconda Guerra mondiale: quella di El Alamein. Una battaglia lunghissima, in cui gli Italiani della Folgore (ma non solo), pure sconfitti, hanno dimostrato di che pasta erano fatti. E proprio per questo hanno ricevuto anche dai nemici il riconoscimento del loro valore militare. Nelle pagine di Fagnani, che si leggono tutte d’un fiato come se si stesse guardando un duro ma bellissimo film, non c’è però solo il racconto della guerra nel deserto. Il percorso di Pelliccia infatti, dopo il Secondo conflitto mondiale, lo porta a vestire un’altra divisa: quella della Polizia di Stato. Una divisa con la quale il per sempre folgorino “si fece valere – si legge nella quarta di copertina – sia nei momenti più duri della lotta al banditismo, che nei ruoli della nascente Scientifica”.

Particolarmente significativo, infine, il capitolo conclusivo del libro, intitolato “Epilogo”. Si tratta di pagine che descrivono “come Santo immaginava il suo ultimo lancio, argomento intimo e personale. In queste righe – spiega Fagnani – traspare l’uomo su cui il trascorrere degli anni ha lasciato il segno, senza però alterarne la combattività. Santo fa capire che non vuole pesare sulla famiglia, che pure lo adora, rimanendo fieramente indipendente. Il bilancio che traccia della sua intera esistenza è di straordinaria autenticità, che rende la valenza della figura di Pelliccia ancora maggiore”.

Scritto con interesse ed ammirazione ma senza alcuna velleità eccessivamente agiografica, “El Alamein. Sabbia d’intorno, roccia nel cuore”, arricchito dalla prefazione del Generale Rodolfo Sganga (Comandante dell’Accademia Militare e già Comandante della Folgore), è un libro che, comunque la si pensi, merita senza dubbio di essere letto. Perché ci fa vivere dal di dentro l’esperienza di un Uomo e dei suoi commilitoni, il loro percorso di addestramento in una delle specialità allora ed adesso fieramente più amate, il loro incontro brutale con la guerra e la morte, la loro capacità di reagire. E la voglia di raccontare e raccontarsi perché quello che hanno vissuto non sia dimenticato. In questo senso vale, come particolarmente significativa, la frase dello stesso Santo Pelliccia riportata nel retro del volume di Fagnani, secondo cui “la Folgore vive e vivrà per sempre, anche quando di noi non si saprà più nulla. Finché esisteranno i paracadutisti. La sua leggenda si perpetuerà oltre il tempo e oltre gli uomini”.

Vero. Anzi, verissimo. E questo accadrà anche grazie alle testimonianze di coloro che, come Pelliccia, ne hanno tramandato la storia, contribuendo a scriverla e a diffonderla sia presso coloro che la conoscono e ne apprezzano il valore sia, soprattutto, presso le nuove generazioni. Che proprio da quella storia possono trarre insegnamenti universalmente validi di coraggio e patriottismo. Insegnamenti di cui, oggi come mai, c’è estremo bisogno.

FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/letteratura-2/santo-pelliccia-el-alamein/

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