NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 29 LUGLIO 2019

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 29 LUGLIO 2019

SPECIALE CRIMINI DI GUERRA USA – I PARTE

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

La “guerra democratica”

si fa ma non si dichiara.

La si fa con cattiva coscienza,

chiamandola con altri nomi,

preferibilmente

“MISSIONE UMANITARIA”

MASSIMO FINI, La GUERRA DEMOCRATICA, Chiarelettere, 2012, pag. 5

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 e 2019 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com

 

Ibtihal Jassem ha perso una gamba per via dei bombardamenti nordamericani.

Nella foto vediamo il momento in cui suo zio la solleva con la gamba distrutta.
Foto AP/Nabil El Jourana.

https://www.amso.it/w&m0708/Corti%20Luca%204la/sito%20internet.htm

 

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SOMMARIO

Gli Stati uniti e la foto (forse falsa) dell’accoltellatore del carabiniere data in pasto alla stampa neomaccartista

Le 134 guerre che oggi gli Usa stanno combattendo nel mondo 1

DOSSIER SUI CRIMINI USA CONTRO L’UMANITA’ 1

Gli Stati Uniti sono stati in guerra 222 anni su 239 che esistono come stato. 1

Tutte le guerre americane 1

Le guerre di Obama 1

Tutte le dichiarazioni di guerra degli Stati Uniti 1

Dalla fine della Guerra fredda al desert storm

Dal Libano all’Iraq, sessant’anni di interventi Usa in Medio Oriente 1

Afghanistan 2001-2016, la guerra infinita 1

Ieri Iraq e Siria, domani Iran: l’America in Medio Oriente sa solo distruggere (e Trump c’entra poco) 1

Che fare delle altre foto di Abu Ghraib. 1

La lista segreta di tutte le guerre americane 1

 

 

EDITORIALE

Gli stati uniti e la foto (forse falsa) dell’accoltellatore del carabiniere in pasto alla stampa neomaccartista

Manlio Lo Presti – 29 luglio 2019

 

Cosa sono gli stati uniti oggi? (*)

Una “democrazia” dove circolano 380.000.000 di armi con centinaia di cittadini innocenti uccisi per le strade ogni giorno.

Una “democrazia” dove ci sono più detenuti al mondo perché le carceri sono a conduzione privata (lo stesso meccanismo degli scafisti e della immigrazione programmata per scopi monetari) e guadagnano sul numero di detenuti.

Una “democrazia” che ha inventato Guantanamo ed altre aree segrete e tuttora funzionanti dove ancora oggi sono praticate sistematicamente tecniche di violenza psicologica e fisica, con buona pace degli esponenti dell’ONU che però vogliono venire in Italia perché trattiamo male i carcerati!!!

Abu Graib

Abu_Ghraib_17a.jpghttps://it.wikipedia.org/wiki/File:Abu_Ghraib_17a.jpg

Fonte: https://anchetuseiunadonnaguerra.wordpress.com/2014/12/11/le-carnefici-di-abu-ghraib-sullo-sfondo-delle-torture-della-cia/

Una “democrazia” controllata e sovragestita da pochissime, potentissime e selezionatissime Sette segrete contrapposte fra loro, composte di pedofili ed antropofagi che – in particolare dall’era Bush in poi – uccidono a ripetizione tutti coloro che vogliono fare luce sui loro indicibili crimini

Una “democrazia” distrutta dalla droga, dall’uso eccessivo di farmaci e di amfetamine, dall’uso enorme di alcool, di tabacco, di musica assordante distribuita dai creatori di mode e che colpisce i sistemi nervosi e danneggiano l’attività cardiaca, circolatoria e auditiva, dal consumo di cibi spazzatura, dalla diffusione di notizie che non informano ma servono per minacciare il nemico.

Una “democrazia” che continua ad esportare migliaia di basi militari e atomiche in tutto il mondo.

Una “democrazia” che fa uso politico delle sanzioni economiche contro gli Stati demmerda che hanno rifiutato di avere in casa filiali delle loro banche. Sanzioni imposte anche a costo di danneggiare gli alleati/servi/valvassini di cui – nel pieno stile angloamericano – non importa una BEATA e che vengono gettati a mare alla prima occasione. Le sanzioni servono per aumentare il potere americano e non certo va a beneficio, sia pure parziale, degli stati vassalli che IPOCRITAMENTE E COMICAMENTE sono definiti “ALLEATI”.

Una “democrazia” che si ritiene uno STATO DI ECCEZIONE arrogandosi con la forza il compito di dire ed imporre a tutti regole di comportamenti economiche, di sicurezza militare, sociale, ecc. Il tutto seguendo fedelmente i dettami dei manuali americani di tortura fisica e psicologica in uso in tutto l’occidente: Joost Meerloo, Cialdini, Kubark Intelligence Manual, cia, nsa, fbi e con la regia di “MENTORI/CONSIGLIORI” stile Carroll Quigley, l’antesignano del vero e proprio “SPIN DOCTOR” – ma di statura, cultura e qualità nettamente inferiore.

Una “democrazia” che ha provocato 26 conflitti causando milioni di morti in tutto il mondo, con violazioni ripetute dei diritti umani mentre ONU, UNICEF, CASCHI BIANCHI non hanno effettivi poteri per bloccare qualcosa e, anzi, i loro esponenti sono stati ripetutamente sorpresi a violentare le donne dei Paesi in conflitto e a lucrare sulle forniture di derrate alimentari. Sottoposti ad iniziali procedimenti che sono stati ripetutamente insabbiati ed occultati: lo spettacolo non deve subire interruzioni!

Una “democrazia” che fa largo e sistematico uso dei mercenari pagati con i fallimenti pilotati delle banche e delle imprese nazionali ed estere per torturare, bruciare, distruggere, come da OPERAZIONE GOLDMAN.

Una “democrazia” che ricava immensi guadagni dalla guerra. Tutte le colossali “agenzie paramilitari” USA sono guidate da ex generali a diciotto stellette del pentagono che pompano miliardi di dollari al mese dal governo USA. Altra fonte, mai posta in evidenza, è costituita da migliaia di bonifici rivenienti da finanziamenti occulti foraggiati da fallimenti pilotati di banche e di grandi imprese residenti i Stati rasi al suolo e/o residenti in Stati assoggettati (riciclaggio di denaro), dal traffico di droga, di organi umani, di alte tecnologie militari, di bambini per far divertire e ricattare duramente tutti gli alti esponenti delle élite pedofile.

Una “democrazia” che consente all’FBI e alla CIA di massacrare, torturare indiziati nelle strade e dentro le stanze di interrogatorio, soprattutto con la popolazione nera o meno abbiente e alla faccia dei cosiddetti diritti umani ripetutamente disattesi.

Una “democrazia” che fa uso continuo di PSY OPS e di invasioni programmate dal Viet Nam ad oggi, tra la plateale inutilità, impotenza e indifferenza delle istituzioni mondiali.

Una “democrazia” che presta ossessiva attenzione agli assassini e nessun risarcimento per i parenti delle vittime: giustizia riparativa auspicata ma mai realizzata.

TUTTO CIO’ PREMESSO

 

Questa “democrazia” ha la faccia tosta di criticare la benda apposta agli occhi dell’accoltellatore di ben undici fendenti!

AMMESSO CHE LA FOTO SIA AUTENTICA

E PERCHE’ È STATA DIFFUSA CON ASSOLUTO TEMPISMO

POCO DOPO I FATTI

 

Sarà necessario e facile sapere chi ha fotografato (se è vera la foto o sia un falso) e ha diffuso la foto: la solita operazione stile Charlie Hebdo per far estradare impunito l’accoltellatore di undici fendenti?

 

È facile scoprire chi ha fotografato, ammesso che L’immagine sia falsa e alterata. In genere, in una stanza interrogatori ci sono al massimo ci sono due o tre persone.

SALVO PRESENZA DI PRETORIANI DELLA CIA-NSA,

come si usa nei Paesi senza autonomia contrabbandata per

COOPERAZIONE FRA “ALLEATI”

 

Si vogliono creare le premesse per far espatriare impunito l’accoltellatore di 11 fendenti.

I casi Chermiss e Amanda Knox insegnano!

Le sinistre de’ noantri, sempre allineate

con gli stupratori africani,

con gli immigrati paganti perché – è bene precisarlo – quelli poverissimi non li vuole nessuno in quanto non fanno guadagnare scafisti,

ong,

vaticano,

case-famiglia,

coop,

8 mafie,

gruppi politici,

spacciatori,

terroristi imbarcati nelle stive,

commercianti di armi smontate e trasportate nelle stive,

contrabbandieri di tecnologie,

trafficanti di organi umani,

riciclatori di denaro confezionato in balle (sempre nelle ridette stive)

sono gli utili idioti di questa ennesima operazione PSY OPS della Cia nel nostro Paese trattato come una colonia di infimo ordine!

 

Nessuna attenzione ai parenti delle vittime come vorrebbe una opportuna giustizia riparativa, disattesa e vilipesa da un eccesso di garantismo solo per i devianti criminali e assassini, specialmente se pseudo MIGRANTI-PAGANTI

 

P.Q.M.

Come da copione ormai usurato e banale, assisteremo:

 

  • alle solite schermaglie politiche,
  • polemiche buoniste e garantiste di cartone nelle 540 trasmissioni politiche contro i fascisti salviniani,
  • 200 girotondi #metoo, quadrisex, antifa, anpi ed altro generone di anime belle,
  • 000 magliette rose con Rolex,
  • 75-100 ispettori dell’onu,
  • Dichiarazioni della comunità europea,
  • Gli sputi della francia,
  • Gli sputi della germania (notoria esperta di sedazione chimica ai profughi impacchettati su aerei per l’Italia e di cui nessuno trova nulla di ridire),
  • scioperi di sindacati prima mummificati dai governi precedenti e ora onusti di schizofrenico attivismo,
  • L’URLO DI DOLORE DEL PAMPERO,
  • LA “FESTINAZIONE VERBALE” DELL’EFFERVESCENTE INQUILINO DEL COLLE!!!

 

Obiettivo?

Il caos permanente

utile a distruggere questo martoriato Paese

con una classe politica

fra le più ricattate e corrotte del pianeta.

 

NEL FRATTEMPO, QUESTI HANNO LA FACCIA TOSTA DI CRITICARE UNA BENDA AGLI OCCHI MENTRE LE LORO MANI GRONDANO DI ETTOLITRI DI SANGUE E DI MILIONI DI MORTI E DI AVER PROVOCATO 200 ANNI DI GUERRE IN GRAN PARTE PERSE IGNOMINIOSAMENTE!

 

Ne riparleremo …

 

NOTA NECESSARIA

(*) (le minuscole non sono un refuso)

 

 

 

 

 

IN EVIDENZA

Le 134 guerre che oggi gli Usa stanno combattendo nel mondo

L’11 settembre scorso, il segretario di stato John Kerry ha affermato, dopo l’annuncio dell’intervento aereo per combattere l’ISIS, che «La parola guerra è sbagliata: si tratta di uno sforzo globale per reprimere l’attività terroristica». Sembra che la definizione di guerra possa ormai applicarsi solo in determinati casi. Ma se si considerano i conflitti in cui gli USA conducono interventi militari e le operazioni delle forze speciali il numero potrebbe salire a 134. L’ultima volta che il congresso ha parlato ufficialmente di guerra è stata nel 1942, durante la Seconda guerra mondiale.

18 settembre 2014

In fondo, è tutta una questione di terminologia. Formalmente, gli Stati Uniti non si considerano “in guerra” con qualcuno dal 1942, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Questo stando agli atti ufficiali del Congresso degli ultimi 72 anni. Se invece, con maggior elasticità e ragionevolezza, si considerano tutti i tipi di interventi militari che gli USA in questo momento stanno realizzando nel mondo, allora si raggiunge la quota incredibile di 134 operazioni.

Di cosa si tratta. Occorre una doverosa puntualizzazione: naturalmente, non si tratta di 134 guerre vere e proprie come quelle in Afghanistan e Iraq, per esempio. La maggior parte riguardano consulenza e formazione di milizie straniere, operazioni che quindi coinvolgono poche unità non esposte a particolari pericoli; le restanti invece interessano attività di combattimento e missioni speciali. Come immaginabile, dal settembre del 2001 il numero di soldati americani sparsi su tutto il globo è più che raddoppiato (passando da 32 mila a 72 mila unità); i finanziamenti sono aumentati esponenzialmente dai 2.3 miliardi di dollari del 2001 fino ad arrivare ad un tetto di 6.9 nel 2013 (aggiungendo

Continua qui:

http://www.bergamopost.it/occhi-aperti/134-guerre-oggi-gli-usa-stanno-combattendo-nel-mondo/

 

 

 

 

 

 

DOSSIER SUI CRIMINI USA CONTRO L’UMANITA’

Voglia di guerra

Dossier a cura dei COBAS Scuola di Forlì e Cesena

INDICE 

SADDAM ARMATO E PROTETTO DA WASHINGTON

Negli anni ’70, dopo avere flirtato un po’ con l’Unione Sovietica, dalla quale ottiene alcune forniture militari, Saddam Hussein stringe una sempre più stretta alleanza con gli Stati Uniti e con i principali governi europei, ottenendo sostegno economico e ingente materiale bellico.

Dopo la rivoluzione komeinista del 1979, che porta l’Iran verso una politica estera fortemente antisraeliana e antiamericana, Saddam aggredisce improvvisamente l’Iran, scatenando una delle guerre più sanguinose degli ultimi decenni. In questa guerra di aggressione il dittatore riceve il pieno sostegno americano; navi USA pattugliano le coste dell’Iran fornendo a Saddam appoggio logistico, e giungono ad abbattere un normale aereo di linea iraniano pieno di persone.

Il conflitto dura dal 1980 al 1988 e causa oltre un milione di morti. L’esercito iracheno usa in più occasioni gas nervini, sia contro le truppe iraniane, sia contro villaggi curdi nel proprio territorio (Halabja). L’evento allarma l’opinione pubblica mondiale, ma gli USA mostrano totale indifferenza e continuano a sostenere la guerra di Saddam.

 indice

SADDAM DISOBBEDISCE A ZIO SAM

Nel 1990 Saddam Hussein invade il Kuwait, un piccolo ma ricchissimo stato il cui territorio era sempre stato rivendicato dall’Iraq, e lo annette come provincia. Essendo il Kuwait sotto l’influenza USA, la Casa Bianca non approva e chiede a Hussein di ritirarsi. Saddam rifiuta, e il governo USA comprende che ora l’Iraq agisce autonomamente e non è più il servo fedele di prima.

Gli USA decidono quindi di punire l’Iraq con un massiccio intervento militare, ma cercano di ottenere una risoluzione dell’ONU che autorizzi l’uso della forza: ci riescono a fatica, “comprando” i voti di alcuni paesi con la promessa di aiuti finanziari.

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LA GUERRA DEL GOLFO

Nel gennaio 1991, scaduto l’ultimatum entro il quale le truppe Irachene avrebbero dovuto lasciare il Kuwait, inizia l’attacco. L’enorme superiorità tecnologica dell’armamento americano consente una forma di guerra del tutto nuova per l’umanità: mentre all’Iraq vengono inflitte durissime perdite umane, gli “alleati” lamentano solo qualche decina di morti, quasi tutti uccisi per errore dal fuoco amico. La quasi totalità del conflitto non consiste in uno scontro fra due eserciti schierati, ma una sola delle due parti annulla progressivamente l’altra distruggendo inesorabilmente costruzioni e persone  prive di difesa, agendo a tavolino, con rischi quasi nulli per sé.

Oltre che le truppe e le installazioni militari vengono colpiti deliberatamente moltissimi obbiettivi civili, e persino rifugi antiaerei dove si ammassano le famiglie per sfuggire ai bombardamenti. Clamorosa è la distruzione del rifugio numero 25, nel quartiere Amirya di Baghdad: il rifugio viene deliberatamente colpito da due bombe speciali GBU-27 che riescono a perforare i due metri di cemento armato e ad esplodere nell’interno, da cui verranno estratti 314 cadaveri carbonizzati di abitanti del quartiere, fa cui 130 bambini (il Pentagono dichiarerà che si sospettava la presenza di alti ufficiali dell’esercito).

Il 25 febbraio 1991 Radio Baghdad annuncia l’accettazione, da parte irachena, della risoluzione 660 dell’ONU: la ritirata delle truppe dal Kuwait è già iniziata il giorno precedente. Nonostante ciò l’aviazione USA, prolunga la guerra per 5 giorni per potere sterminare  l’enorme colonna di soldati iracheni, sbandati e del tutto indifesi, che lungo l’autostrada da Kuwait City a Bassora si stanno ritirando. Con una operazione sistematica e pianificata la colonna, dal primo all’ultimo veicolo, viene distrutta dal fuoco aereo, lasciando un macabro serpentone, lungo chilometri e chilometri, di lamiere annerite e cadaveri carbonizzati.

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L’EMBARGO E I “PICCOLI” BOMBARDAMENTI QUOTIDIANI

L’Iraq, un paese discretamente sviluppato, con una popolazione fortemente urbanizzata, si ritrova, dopo i bombardamenti, paralizzato da una distruzione quasi totale delle infrastrutture.

Manca l’energia elettrica, quindi i pochi impianti intatti non possono nemmeno funzionare. La ricostruzione è resa difficilissima da un embargo totale voluto da USA e Gran Bretagna, che impedisce qualunque scambio commerciale col resto del mondo. La situazione alimentare e sanitaria del paese, privato di medicinali, strumenti ospedalieri, ecc, precipita e la mortalità raggiunge gli altissimi valori tipici di paesi  sottosviluppati. I bambini in particolare vengono colpiti ripetutamente da epidemie e muoiono in gran numero  per mancanza di farmaci e cure adeguate. Secondo un rapporti del’UNICEF, in dieci anni l’embargo ha causato oltre un milione di vittime.

USA e Gran Bretagna hanno inoltre imposto all’Iraq una vasta zona di interdizione al volo, quotidianamente pattugliata dai loro aerei. Gli aerei iracheni non possono volare, pena l’abbattimento immediato, mentre quelli USA ogni tanto effettuano bombardamenti pur non essendo mai stati attaccati (solo nel 1999 hanno attaccato circa 400 obbiettivi, con ancora molte vittime civili).

Che pericolo militare può rappresentare un paese ridotto ad una simile condizione di sottomissione?

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LE ISPEZIONI

Dal 1992 l’Iraq ha accettato ispezioni nel proprio territorio da parte di una commissione ONU incaricata di accertare l’eventuale presenza di armi non convenzionali (nucleari, batteriologice o chimiche). Le ispezioni sono andate avanti fino al 1998 con la possibilità di controllare qualunque area o edificio, anche il più segreto. Solo nel ’98 il governo iracheno, accusando di spionaggio alcuni membri della delegazione, ha respinto ulteriori ispezioni.

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GUERRA PREVENTIVA

Nel 2002 il governo USA rilancia l’idea di un nuovo massiccio attacco militare all’Iraq, accusato di minacciare il mondo in quanto potrebbe possedere armi di distruzione di massa. Si tratta quindi di un’idea del tutto nuova nel campo del “diritto internazionale”: muovere guerra – e una guerra che causerebbe decine o centinaia di migliaia di vittime – a un paese che non ha fatto nulla, sulla base di un sospettato possesso di armamenti. Un concetto degno solo di menti malate: se lo si accettasse, decine di paesi andrebbero attaccati subito, e l’intero pianeta si trasformerebbe in un campo di battaglia.

 indice

GUERRA AD OGNI COSTO

La verità è che gli USA, come già hanno fatto in Vietnam, Grenada, Libia, Panama, Somalia, Jugoslavia, scatenano guerre per imporre il proprio dominio economico-militare sul mondo. E’ facile smascherare i goffi tentativi della Casa Bianca di presentare l’esercito americano come una sorta di ente di beneficenza che interviene per soccorrere l’umanità.

Il governo americano da una parte si presenta come gendarme difensore del diritto internazionale, pretende che le proprie iniziative siano a nome della “comunità

Continua qui:

http://www.brianzapopolare.it/sezioni/mondo/usa_voglia_guerra_2002dic07.htm

 

 

 

 

 

 

Gli Stati Uniti sono stati in guerra 222 anni su 239 che esistono come stato

 

di Gianfrasket – 26 Febbraio 2015

 

“Siamo un popolo di guerra. Noi amiamo la guerra perché siamo molto bravi a farla. In realtà, è l’unica cosa che possiamo fare in questo cazzo di paese: la guerra. Abbiamo avuto un sacco di tempo per fare pratica e anche perché è sicuro che non siamo in grado di costruire una lavatrice o una macchina che vale un coniglio da compagnia; per contro, se avete un sacco di abbronzati nel vostro paese, dite loro di stare attenti perché noi verremo a sbattere una bomba sul loro viso… ” 
(George Carlin)

Gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, dalla loro creazione nel 1776, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza
Gli anni di pace sono stati solo 21 dal 1776

Qui sotto è riportata una cronologia anno per anno delle guerre degli Stati Uniti, che rivela qualcosa di molto interessante: dal 1776 gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza
Gli anni di pace sono stati solo 21.
Per mettere questo in prospettiva:

* Nessun presidente degli Stati Uniti è mai stato un Presidente di pace. Tutti i presidenti degli che si sono succeduti sono stati tutti, in un modo o nell’altro, coinvolti almeno in una guerra.

* Gli Stati Uniti non hanno mai passato un intero decennio, senza fare una guerra.

* L’unica volta che gli Stati Uniti sono rimasti 5 anni senza guerra (1935-1940) è stato durante il periodo isolazionista della Grande Depressione.

Timeline per ogni anno delle grandi guerre in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti (1776-2015)

1776 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamagua Guerre, Seconda Guerra Cherokee, Pennamite-

1777 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre, Seconda Guerra Cherokee, Pennamite-

1778 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite-

1779 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite-

1780 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite-

1781 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite-

1782 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite-

1783 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite-

1784 – Chickamauga Guerra Guerre Pennamite, Guerra Oconee

1785 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1786 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1787 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1788 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1789 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1790 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1791 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1792 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1793 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1794 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

1795 – Guerra indiana del Nord-Ovest

1796 – 1800 – Nessuna guerra

1801 – Prima guerra Barbary

1802 – Prima guerra Barbary

1803 – Prima guerra Barbary

1804 – Prima guerra Barbary

1805 – Prima guerra Barbary

1806 – Sabine Expedition

1807 – 1809 – Nessuna guerra

1810 – Stati Uniti occupano West Florida spagnola

1811 – La guerra di Tecumseh

1812 – La guerra di Tecumseh, Guerre Seminole, gli Stati Uniti occupano East Florida spagnola

Continua qui:

 

http://informare.over-blog.it/2015/02/gli-stati-uniti-sono-stati-in-guerra-222-anni-su-239-che-esistono-come-stato.html

 

 

 

 

 

Tutte le guerre americane

Quella contro l’Isis è solo l’ultima: ecco l’elenco delle operazioni militari Usa dalla I Guerra Mondiale ad oggi

Michele Zurleni – 17 settembre 2014

 

“Gli Stati Uniti, se necessario, sono pronti ad estendere il ruolo dei consiglieri militari inviati in Iraq”. Questa frase, detta dal capo delle forze armate Usa, Martin Dempsey nel corso di un’audizione al Senato americano, è sembrata l’annuncio di un possibile coinvolgimento delle truppe statunitensi sul campo nella guerra contro l’Isis. La Casa Bianca ha subito smentito un cambiamento di strategia. Obama non vuole inviare altri soldati rispetto ai 1.000 già presenti sul territorio iracheno.

In realtà, i militari sono sicuri che la guerra contro l’Isis si vincerà solo se le truppe scenderanno a terra in Siria e in Iraq. Ne sono certi anche gli esperti. È quindi probabile che nei prossimi mesi Obama si troverà di fronte a una difficile scelta da fare. Lui, che non voleva questo intervento , dovrà scegliere come combattterlo. E’la sua prima guerra. È solo l’ultima dell’America. Negli ultimi 100 anni, i soldati americani sono stati impiegati in 15 conflitti. Questo è il lungo elenco delle guerre americane dell’ultimo secolo.

PRIMA GUERRA MONDIALE 1917-1918

Dopo l’affondamento del Lusitania, dopo un anno di tensioni con la Germania a causa della guerra sottomarina che colpiva anche le navi americane, dopo il Telegramma Zimmermann, la richiesta di Berlino al Messico di diventare alleati in funzione anti statunitense, il 6 aprile 1917 il Congresso Usa dichiara guerra alla Germania di Guglielmo II. Sotto le armi verranno arruolati più di 2 milioni di uomini. L’intervento statunitense determinerà le sorti delle guerra a favore dell’Intesa

GUERRA CIVILE RUSSA 1917- 1922

Gli Usa mandano un piccolo contingente (circa 5.000 uomini) nell’ambito della spedizione internazionale dei paesi dell’Intesa per combattere a fianco dei bianchi contro i rossi bolscevichi nell’ambito della Guerra Civile Russa. L’obiettivo formale della coalizione è quello di aiutare la Legione Cecoslovacca, una formazione militare che era rimasta coinvolta nei fatti russi dopo la Rivoluzione d’Ottobre e l’uscita della Russia dal primo conflitto mondiale. In realtà, l’obiettivo vero del corpo di spedizione era di impedire che il bolscevismo di espandesse in tutta la Russia. Alla fine, vinse l’Armata Rossa e le truppe straniere di dovettero ritirare.

SECONDA GUERRA MONDIALE  1941 – 1945

Il 7 dicembre 1941 gli aerei giapponesi attaccano Pearl Harbour. La flotta del Pacifico degli Usa viene distrutta. Il Gigante (come aveva definito l’America l’ammiraglio Isoroku Yamamoto) si era svegliato. L’America reagisce

Continua qui:

https://www.panorama.it/news/esteri/obamamania/tutte-guerre-americane/

 

 

 

 

Le guerre di Obama

Che presidente è stato, dal punto di vista militare, quello che ha vinto prematuramente il Nobel per la pace e viene accusato di aver bombardato troppo e troppo poco?

12 FEBBRAIO 2017

 

Una delle critiche che circolano di più su Barack Obama, anche in Italia, è quella che lo definisce un “guerrafondaio”: il presidente che nonostante il premio Nobel per la Pace e la pubblica opposizione al ricorso della forza armata si è avventurato in molte operazioni militari in paesi che non erano in guerra con gli Stati Uniti. È un argomento che è stato in parte usato nelle ultime settimane per mettere le mani avanti di fronte a possibili nuovi interventi militari decisi dall’amministrazione di Donald Trump, ma anche legato alle più ampie critiche di chi non condivide l’idea che Obama ha voluto lasciare di se stesso, cioè quella di un presidente riluttante a usare la violenza. È un tema interessante, che non si può però liquidare solo contando i paesi che Obama ha bombardato durante la sua presidenza (spoiler: sette), ma deve essere pensato guardando a molte altre cose, per esempio a come è cambiato il modo di fare la guerra negli ultimi quindici anni e a come sono cambiate le minacce che devono affrontare oggi gli Stati.

Per esempio potrebbe sorprendere che questa critica a Obama è tanto diffusa tra certa stampa e i commentatori online, ma quasi per niente tra gli analisti ed esperti di sicurezza nazionale e di politica estera, di qualsiasi settore: anzi, Obama viene criticato da molti di loro per avere ridotto il ruolo dell’esercito, per avere usato la forza militare con timidezza e per avere parzialmente ritirato i soldati americani da paesi che avevano bisogno di essere stabilizzati dopo interventi militari precedenti, cioè l’Iraq e l’Afghanistan. Quindi, a voler tirare le fila: Obama è stato un guerrafondaio o un presidente riluttante a fare la guerra? Dove ha deciso di attaccare, e in che modo? Partiamo dall’inizio: da quello che sappiamo dell’idea di guerra che ha formulato Obama prima della sua elezione e durante i suoi due mandati presidenziali.

Obama sulla guerra, dall’inizio

Un buon punto di partenza per capirci qualcosa è L’audacia della speranza (PDF), il libro uscito nel 2006 e scritto dall’allora senatore dell’Illinois Barack Obama. L’audacia della speranza conteneva alcuni dei temi che sarebbero diventati parte della campagna elettorale di Obama del 2008, tra cui diverse riflessioni sulla guerra e sull’uso della forza. Per esempio, parlando del mondo post-Seconda guerra mondiale, Obama diceva:

«Analogamente era nell’interesse dell’America lavorare con altri Paesi per dar vita a istituzioni e norme internazionali: non sull’ingenuo presupposto che sarebbero stati sufficienti leggi e trattati internazionali per mettere fine ai conflitti tra nazioni o eliminare la necessità di un intervento militare americano, ma perché più le norme internazionali venivano rafforzate e l’America si dimostrava disposta a esercitare con moderazione il proprio potere, minore sarebbe stato il numero di conflitti che sarebbero sorti; e più legittime sarebbero apparse agli occhi del mondo le sue azioni quando fosse stata costretta a fare uso delle armi.»

Obama riconosceva l’importanza delle istituzioni internazionali non solo come strumento per mantenere la pace, ma anche come mezzo per garantire la supremazia statunitense nel mondo occidentale. Allo stesso tempo non disconosceva il ricorso alla forza, e questo è un punto importante: lo limitava perlopiù a situazioni di estrema necessità.

Per capire cosa significa tutto questo nella pratica, si possono prendere come esempio due guerre iniziate dall’amministrazione di George W. Bush e che Obama si ritrovò tra le mani una volta insediato come presidente: i conflitti in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003). Obama parlò di queste due guerre durante l’importante discorso pronunciato all’Università di Azhar, al Cairo, nel giugno 2009. Nel discorso – che girò attorno all’idea di promuovere nuovi e migliori rapporti tra Occidente e mondo islamico dopo i complicati anni dell’amministrazione di George W. Bush – Obama definì quella combattuta in Afghanistan contro i talebani e al Qaida una “guerra di necessità”, a cui gli Stati Uniti non si sarebbero potuti sottrarre. La guerra rispondeva a una precisa minaccia alla sicurezza nazionale americana, rappresentata dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e Washington.

Per Obama era stata una guerra necessaria, perché minacciava direttamente gli Stati Uniti e perché era un’operazione approvata dalla NATO (quella fu anche l’unica volta in cui fu invocato l’articolo 5 del trattato istitutivo della NATO, che

 

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https://www.ilpost.it/2017/02/12/le-guerre-di-obama/

 

 

 

 

 

Tutte le dichiarazioni di guerra degli Stati Uniti

Prima del prossimo parere sull’intervento nella Siria lacerata da due anni di guerra civile, il Congresso americano si era già pronunciato a favore dell’entrata in guerra undici volte nella storia americana, mentre in altrettanti casi aveva permesso legalmente l’uso della forza.

I deputati di Capitol Hill non dichiarano formalmente guerra dai tempi del secondo conflitto mondiale: all’epoca le risoluzioni passate dal Congresso recitavano formule diplomatiche come «uno stato di guerra è in essere tra il governo del/della […] e il governo e il popolo degli Stati Uniti d’America», gettando le basi legali per l’intervento sul campo.

La lista delle dichiarazioni di guerra americane, così come specificate dal sito del Senato, è la seguente.

Con la Siria si seguirà l’altra procedura, com’è ovvio: quella dell’autorizzazione all’uso della forza. In questo ambito gli esempi sono più diffusi e recenti. L’ultimo placet del Congresso è datato 16 ottobre del 2002 e riguardava l’intervento in Iraq per destituire Saddam Hussein. Sempre in era Bush jr., Capitol Hill si era espressa a favore dell’uso della forza a una settimana dai tragici attentati delle Torri Gemelle, il 18 settembre

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https://www.rivistastudio.com/dichiarazioni-guerra-usa/

 

 

 

 

Dalla fine della Guerra Fredda a Desert Storm: il ritratto di George Bush senior

Chi era il 41esimo presidente degli Stati Uniti, passato alla storia per la sua ‘real politik’ nei rapporti con gli altri Stati

di ANDREA CAPELLO01 dicembre 2018

 

Prima eroe di guerra, poi petroliere e diplomatico. George H.W. Bush, l’uomo che da inquilino della Casa Bianca guidò gli Usa alla fine della Guerra Fredda, è morto all’età di 94 anni. Il 41esimo presidente degli Stati Uniti, a capo di una dinastia che vide poi anche il figlio essere eletto alla stessa carica, passa alla storia per la sua ‘real politik’ nei rapporti con gli altri Stati. Seppe gestire in maniera pacifica le turbolenze legate al crollo dell’Unione Sovietica nel 1989 e, due anni dopo, fu in grado di radunare una coalizione senza precedenti per sconfiggere il dittatore iracheno Saddam Hussein.

Ma l’ex pilota e presidente della Cia subì anche l’onta di non essere eletto per un secondo mandato. Un momento di debolezza dell’economia americana gli costò la Casa Bianca che gli americani affidarono invece a Bill Clinton. Repubblicano fino al midollo, Bush cercò sempre di mediare in favore della stabilità e del consenso internazionale. L’esatto opposto dell’attuale uomo forte del Gop, Donald Trump, per il quale dichiarò pubblicamente di non aver votato alle elezioni presidenziali 2016. Celeberrima la sua frase nel corso di un confronto con i democratici sull’economia: “Leggete le mie labbra: nessuna nuova tassa”. Una promessa che però non riuscì a mantenere e che, insieme alla candidatura del miliardario indipendente Ross Perot, ebbe un grosso peso nella sua mancata rielezione.

Nato il 12 giugno 1924 a Milton nel Massachusetts George Herbert Walker Bush era figlio di un banchiere di successo e senatore degli Stati Uniti per il Connecticut. Dopo aver frequentato la prestigiosa Phillips Academy di Andover ritardò il suo ingresso alla Yale University per arruolarsi nella Marina Militare e combattere nella seconda guerra mondiale. Fu pilota in 58 missioni di combattimento. Abbattuto sul Pacifico dal fuoco antiaereo giapponese, si lanciò con il paracadute e fu salvato da un sottomarino dopo essersi rintanato in una zattera di salvataggio per quattro ore mentre gli aerei nemici volteggiavano nel cielo.

Bush sposò Barbara Pierce nel gennaio 1945, poco prima che la guerra finisse. La coppia ebbe sei figli fra cui Robin che morì da bambino. Invece di scegliere il settore bancario, dopo la laurea a Yale, decise di trasferirsi in Texas per farsi strada nel business del petrolio. Nel 1958 si stabilì a Houston dove divenne presidente di una società di perforazione offshore.

Negli anni ’60 Bush decise di entrare in politica con il partito Repubblicano e nel 1966 ottenne un seggio nella Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. Nel decennio successivo, ha ricoperto diversi incarichi di alto livello che hanno portato lui e Barbara in tutto il mondo: capo del Comitato nazionale repubblicano, ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, inviato in Cina e

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https://www.lapresse.it/esteri/dalla_fine_della_guerra_fredda_a_desert_storm_il_ritratto_di_george_bush_senior-901460/news/2018-12-01/

 

 

 

 

 

Dal Libano all’Iraq, sessant’anni di interventi Usa in Medio Oriente

Il raid della notte tra il 6 e 7 aprile è solo l’ultimo della lunga serie di atti di guerra compiuti dagli Stati Uniti in Medio Oriente dal dopoguerra in poi.

di LORENZO FORLANI

08 aprile 2017

Quello della notte tra il 6 e 7 aprile è l’ultimo in ordine di tempo di una serie di interventi militari diretti degli Stati Uniti in Medioriente dal dopoguerra ai giorni nostri.

Quasi 60 anni fa il primo attacco in Libano

Il primo intervento risale al 1958, negli anni della presidenza Eisenhower, che cinque anni prima aveva approvato l’azione della CIA volta alla rimozione in Iran del primo ministro eletto Mohammad Mossadeq e al reinstallo dello Scià Mohammad Reza Pahlevi. Su richiesta del presidente Camille Chamoun, gli Stati Uniti inviano truppe in Libano, occupando anche l’aeroporto. Siamo negli anni della formazione della Repubblica araba unita (Rau) tra Siria ed Egitto, che divide il Libano al suo interno: i cristiani maroniti, con il presidente Camille Chamoun in testa, vogliono rimanere nel campo occidentale, mentre gran parte della comunità musulmana, in parte rappresentata dal primo ministro Rashid Karami, vuole unirsi alla Rau. Inizia una ribellione armata dei musulmani, e il contestuale rovesciamento della monarchia in Iraq spinge Chamoun a richiedere l’intervento americano. Le truppe statunitensi si ritireranno poi a ottobre 1958.

Nel 1986 fu la volta della Libia di Gheddafi

Trenta anni più tardi, dopo aver preso parte dal 1982 alla forza multinazionale durante la guerra civile in Libano,nell’aprile 1986 durante la presidenza Reagan, le forze aeree e navali statunitensi bombardano alcune installazioni militari nella Libia di Gheddafi nell’operazione conosciuta col nome di El Dorado Canyon, in risposta all’attacco libico ai danni della flotta Usa, che stava conducendo esercitazioni nel Golfo di Sidra.

Nel 1980, peraltro, le forze aeree statunitensi erano giunte nel Sinai nell’ambito dell‘Operazione Bright Star, volta

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https://www.agi.it/estero/dal_libano_alliraq_sessantanni_di_interventi_usa_in_medio_oriente-1660750/news/2017-04-08/

 

 

 

 

 

Afghanistan 2001-2016, la guerra infinita

Iniziava quindici anni fa l’operazione militare «Enduring Freedom», l’attacco anglo-americano al regime dei talebani, in Afghanistan, alla ricerca dei colpevoli dell’11 settembre e del nemico numero uno Osama bin Laden

di Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi

L’attacco

«La nuova guerra americana comincia al mattino presto, cinque ore prima dell’attacco all’Afghanistan. Con una serie di riunioni al Pentagono, nella quali gli ospiti fissi sono il viceministro della Difesa Paul Wolfowitz, il generale Richard Myers, capo delle operazioni militari, il suo numero due, Peter Pace. Briefing domenicali, giudicati “inusuali”. Sono il segnale che qualcosa sta per accadere. Nessuna smentita, anzi». Inizia così, sul Corriere della Sera di lunedì 8 ottobre 2001, l’articolo dell’inviato a Washington Marco Imarisio sull’inizio dell’attacco al regime dei talebani in Afghanistan. La macchina bellica americana era pronta per l’attacco al «Paese canaglia», accusato di ospitare il nemico pubblico Osama bin Laden e altri protagonisti del terribile attentato dell’11 settembre. Il mondo se ne renderà conto poco dopo: «Alle 12.40, ora di Washington, le televisioni interrompono i programmi per mostrare le immagini dei missili sopra la notte di Kabul. Un alto ufficiale si

 

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https://www.corriere.it/extra-per-voi/2016/10/06/afghanistan-2001-2016-guerra-infinita-878da8bc-8bd5-11e6-8000-f6407e3c703c.shtml?refresh_ce-cp

 

 

 

 

 

Ieri Iraq e Siria, domani Iran: l’America in Medio Oriente sa solo distruggere (e Trump c’entra poco)

Gli Usa sono sempre stati campioni di un neocolonialismo “muscolare”. Ma con l’Iran la guerra non implicherebbe nessun progetto di rifondazione o “nation building”. Del resto, i casi di Afghanistan, Iraq, Libia, parlano chiaro. Ciò che conta è distruggere

24 giugno 2019

 

Nuove sanzioni, per rendere ancora più fragile la già precaria economia iraniana. E una pallida apertura diplomatica in forma di polpetta avvelenata: la pace in cambio di una revisione dell’accordo del 2015 sul nucleare, ma a condizioni così umilianti da risultare inaccettabili per Teheran. Ecco l’ultima mossa degli Usa. Da parte dell’Iran, minacce di ritorsione contro gli interessi degli Usa e dei loro alleati nella regione. Inutili nel gioco lungo, perché l’asse Usa-Arabia Saudita-Israele finirebbe comunque col prevalere, ma temibili nell’immediato.

Questo, però, è il giorno per giorno della crisi tra Usa e Iran, l’elenco dei titoli dei Tg. La sostanza è altrove, ed è terribile. Se appena ci guardiamo dietro le spalle, non possiamo non notare il cambio di paradigma. L’invasione internazionale dell’Afghanistan, nel 2001, e quella anglo-americana dell’Iraq nel 2003, avevano un tratto preciso in comune. Nell’uno come nell’altro caso, l’ambizione era di prendere un Paese e ricostruirlo con robuste iniezioni di cultura politica e tecnologia occidentale. Il famoso “nation building”. Magari con il contorno di un regime più o meno fasullo ma amico.

Sappiamo com’è andata. In Afghanistan, dopo diciotto anni, il potere legittimo si esercita sulla capitale Kabul e i dintorni mentre i talebani sono forti come non mai e trattano da pari a pari con gli americani, che non vedono l’ora di tornarsene a casa. Per questo bel risultato sono morti 110 mila afghani, dei quali più di 30 mila civili, accanto a 3.541 soldati della coalizione occidentale, tra i quali 54 italiani. Scenario simile, nella sostanza, in Iraq. Dopo l’invasione del 2003, gli occupanti inglesi e americani cercarono di amministrare il Paese, con risultati disastrosi. Poi passarono la mano a un governo locale, dominato dagli sciiti, che si comportò anche peggio. Risultato: tra mezzo milione e un milione di iracheni morti, migliaia di soldati caduti, un tale livello di insoddisfazione e instabilità da spingere le regioni sunnite a diventare un feudo dell’Isis.

Ultima considerazione. Linda Bailmes, economista di Harvard, ha calcolato il costo di quelle due guerre per i soli Stati Uniti. La cifra è astronomica: tra 4mila e 6mila miliardi di dollari a fine 2016, con operazioni militari prolungatesi per questi tre anni e destinate a durare ancora chissà quanto. Per farla breve: il famoso “nation building” è diventato impossibile, produce disastri. E infatti, come si diceva, il paradigma è cambiato. Siamo passati al disastro puro, senza alcun tentativo di costruire alcunché. È questa la lezione che ci arriva dalla Libia, dalla Siria e, in potenza, dall’Iran.

Il costo di quelle due guerre per i soli Stati Uniti. La cifra è astronomica: tra 4 mila e 6 mila miliardi di dollari a fine 2016

In Libia è stato abbattuto un regime forse odioso. Ma, soprattutto, è stato distrutto un Paese che nel 2011, al momento dell’attacco francese, inglese e americano, era il più sviluppato dell’Africa del Nord, tanto da essere ricettore di cospicui flussi migratori. Distruzione che, come si è visto, non portava con sé alcun progetto di “building”, né alla vecchia maniera del colonialismo classico (ti faccio la guerra e poi governo io) né alla maniera nuova del colonialismo contemporaneo (ti faccio la guerra e poi governa chi dico io).

Idem come sopra in Siria. Anche lì, l’ingerenza occidentale (che comincia nel 2012, con il ritiro degli ambasciatori e l’invio sul campo di tonnellate di armi) e ancor più quella delle potenze regionali (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, che parte già nel 2011, fin dai primi mesi della rivolta) non avevano alcun progetto per costruire una Siria nuova, a meno che non si consideri tale lo slogan “Assad must go” o lo pseudo-califfato di Al Baghdadi. L’idea era: intanto distruggiamo l’unità territoriale della Siria, poi qualcosa sarà.

Chi ha la sensazione che gli Usa abbiano un “piano per l’Iran”? Il progetto è uno solo: buttar giù quello che c’è e che, per una ragione o per l’altra, non ci piace

Con l’Iran si ragiona in modo analogo. Chi ha la sensazione che gli Usa abbiano un “piano per l’Iran”? Non saranno di certo i pur rispettabili esuli iraniani a prendere, domani, le redini del governo del Paese. Tra l’altro, gli esuli sono già stati usati con esiti terrificanti sia in Afghanistan sia in Iraq, meglio lasciar perdere. Certo, agli Usa piacerebbe insediare a Teheran un regime tipo Shah, con le donne in minigonna e la Savak (acronimo di Organizzazione nazionale per la sicurezza e l’informazione) a riempire le carceri. Ma con chi potrebbero farlo, appoggiandosi a quali forze? In realtà, anche qui, il progetto è uno solo: buttar giù quello che c’è e che, per una ragione o per l’altra, non ci piace.

Come si vede, questo c’entra poco con Donald Trump. L’Afghanistan e l’Iraq

 

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https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/24/trump-usa-iran-guerra-crisi/42633/

 

 

 

 

 

 

Che fare delle altre foto di Abu Ghraib

Negli Stati Uniti si discute dell’opportunità di rendere pubbliche migliaia di immagini tenute finora nascoste dal governo sugli abusi dei soldati statunitensi durante la guerra in Iraq

1 SETTEMBRE 2014

Domenica 31 agosto un duro editoriale del New York Times ha ripreso una notizia recentemente tornata di attualità a proposito delle fotografie delle torture subite dai prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib, vicino a Baghdad, durante le prime fasi della guerra in Iraq, tra il 2003 e il 2004. Il 27 agosto scorso un giudice federale della città di New York, negli Stati Uniti, in una causa legale che va avanti dal 2004 tra il ministero della Difesa e la American Civil Liberties Union – un’organizzazione statunitense non governativa che difende i diritti civili – ha annunciato che potrebbe ordinare la pubblicazione di migliaia di fotografie e di altro materiale finora rimasto nascosto se il governo non provvederà a spiegare dettagliatamente i motivi per cui questo potrebbe comportare un rischio per la sicurezza di vite americane, e se non dimostrerà di aver valutato le foto singolarmente, una per una. Una prima udienza a riguardo è fissata per il prossimo 8 settembre.

 

Il NYT scrive che la pubblicazione di più di duemila foto – scattate ad Abu Ghraib e in altre strutture gestite da militari statunitensi in Iraq e in Afghanistan – è finora stata impedita dal governo sfruttando una legge del 2009 che, tra le altre cose, impedisce la pubblicazione di documenti la cui rivelazione potrebbe costituire una minaccia per la sicurezza nazionale. Le foto di Abu Ghraib, pubblicate nell’aprile del 2004, portarono a uno scandalo molto seguito e ripreso dai media di tutto il mondo, causando una larga e condivisa indignazione nell’opinione pubblica.

La notizia dell’esistenza di altre foto oltre a quelle pubblicate circola da diversi anni. Già nel 2009, quando i militari statunitensi erano ancora impegnati in Iraq, il governo riuscì a impedire la pubblicazione di nuove foto appellandosi al Protected National Security Documents Act, una legge del 2009 tramite cui riuscì a ottenere un’esenzione di tre anni dell’applicazione del Freedom of Information Act (la legge federale che invece impone trasparenza alla pubblica amministrazione e permette a cittadini e media di avere accesso totale o parziale a materiali di pubblico interesse). Scaduti i tre anni, nel 2012, il governo fece una nuova identica richiesta, per estendere il periodo del divieto di pubblicazione: il giudice Alvin Hellerstein ha spiegato di comprendere la richiesta fatta dal governo nel 2009 ma non quella del 2012, quando lo scenario in Iraq era già profondamente mutato e gli Stati Uniti non erano più impegnati nella guerra.

«Tre anni è un periodo di tempo molto lungo per la guerra, per il ciclo delle notizie, per il dibattito su come affrontare il terrorismo», ha detto Hellerstein, aggiungendo di non essere a conoscenza dell’esistenza di richieste esplicite da parte delle autorità irachene di mantenere segrete quelle fotografie (richiesta effettivamente giunta, invece, nel 2009 da parte del primo ministro iracheno Nuri Kamal al Maliki, per timore di ritorsioni da parte dei ribelli sunniti). Secondo alcune fonti governative, già citate dal New York Times nel maggio del 2009, le foto mai pubblicate sulle torture e gli abusi nelle strutture militari statunitensi in Iraq e Afghanistan sono “peggiori di quelle di Abu Ghraib”, e sarebbero talmente tante da rendere impossibile sostenere la tesi secondo cui quegli abusi furono compiuti da “poche mele marce” nei corpi militari. «Ho preso visione di alcune di queste foto», ha detto il giudice Hellerstein, «e so che molte di queste fotografie sono relativamente innocue mentre altre richiedono una più seria considerazione».

Lo scandalo degli abusi ad Abu Ghraib scoppiò circa dieci anni fa, quando il programma

 

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https://www.ilpost.it/2014/09/01/foto-abu-ghraib/

 

 

 

 

La lista segreta di tutte le guerre americane

di MAZZETTA | 27/09/2012

 

Il Senato americano ha a sua disposizione questo elenco, che ora è stato reso pubblico grazie all’impegno di alcuni attivisti.

IL DOCUMENTO – La lista è stata prodotta dal Congressional Research Service e il Senato americano ha deciso che non doveva essere messa a disposizione del pubblico. A dire il vero la lista non è per niente compromettente, non contenendo particolari ignoti agli storici o alle cronache, anche se nel suo complesso fa il suo effetto, soprattutto perché si nota visivamente un’escalation d’impegni militari dopo la fine della guerra fredda e che ne sono moltissimi che s’addensano negli ultimi anni, molti dei quali ignorati alla grande da media, politici e opinioni pubbliche, quasi non esistessero.

INCOMPLETA – Rilasciata insieme ad altri documenti sul sito della Federation of American Scientists, la lista peraltro non è completissima e sorvola su alcuni episodi sconvenienti. Nel 1988 ad esempio non è ricordato l’abbattimento di un aereo civile iraniano nello spazio aereo iraniano da parte dell’incrociatore Vincennes, si parla di scorte alle petroliere nel Golfo Persico, ma si dimentica un atto di guerra che è costato la vita a 306 civili (66 bambini) a bordo di un Airbus iraniano abbattuto mentre sorvolava l’Iran. Un’omissione incomprensibile, perché anche se gli Stati Uniti non hanno mai ammesso responsabilità e non si sono scusati con l’Iran, hanno comunque raggiunto un accordo per i risarcimenti. E l’aereo è stato indubbiamente abbattuto durante un atto di guerra “all’estero”, scambiato per un aereo militare ostile nonostante gli iraniani non avessero mai manifestato intenzioni del genere prima. Ugualmente non comprende operazioni di guerra in Colombia e in altri paesi americani comprese in diciture anodine che raccontano del dispiegamento dei militari, ma non della loro operatività.

CURIOSITA’- L’elenco comprende anche iniziative di singoli, prese senza autorizzazione e numerosi interventi nell’800, soprattutto in Sudamerica, che hanno gettato le basi di una politica estera da allora giocata sulla superiorità militare e sulle dimostrazioni di forza. Si va dal comandante di frontiera che occupa una città messicana convinto che sia scoppiata la guerra tra i due paesi e che poi si scusa e si ritira quando gli spiegano la situazione, fino al bombardamento dal mare di una città per rappresaglia dopo una “offesa al rappresentante degli Stati Uniti. Non furono battezzate “banana wars” solo perché tra gli interessi americani c’erano quelli della United Fruit. Ad alcuni paesi come Panama e Haiti gli americani si appassionarono, al punto da “proteggerli” ancora oggi da se stessi. Si chiamavano dimostrazioni di forza nell’800 e il genere era definito “la politica delle cannoniere”, sono diventati “esercizi di libera navigazione” oggi, e consistono di solito nel presentare una forza aeronavale di fronte alle coste di paesi che non hanno i mezzi per obbiettare efficacemente, sperando d’intimorire o di raccogliere reazioni utili ad essere giocate come provocazioni o paradossali aggressioni, visto che gli stessi Stati Uniti non tollererebbero comportamenti del genere nei loro confronti.

LE GUERRE VERE – Solo in 11 occasioni queste azioni militari sono però state accompagnate da dichiarazioni di guerra, invece per lo più si è trattato ufficialmente di azioni motivate dalla salvaguardia di interessi americani o internazionali, ma già il primo caso è stato più che sufficiente a legittimare ogni tipo d’intervento in qualsiasi parte del pianeta. Dalle spedizioni punitive contro i paesi nei quali gli americani incorrevano in disavventure, fino alle pesanti ingerenze nella politica dei paesi centro e sudamericani e in quelli del Pacifico, gli Stati Uniti rivelarono fin da subito un discreto spirito coloniale e la tendenza a ingerire anche militarmente nella politica interna di altri paesi a tutela degli “interessi” o della “sicurezza” nazionale.

LE RAPPRESAGLIE – Nell’800 si parla anche di “vendette” contro le popolazioni di isole del pacifico o del bombardamento di città colpevoli di essere state teatro di qualche sgarbo o delitto ai danni di americani, della flotta del commodoro Perry mandata  ad “aprire il Giappone”, dei numerosi interventi in Cina e dei numerosissimi interventi in America Centrale. Nel secolo successivo gli interventi militari americani nel “cortile di casa” sono numerosi fino alla Seconda Guerra Mondiale e poi si diradano entrando in clandestinità, sostituite con gli appoggi alle dittature fasciste in chiave anticomunista che però non hanno titolo per stare nell’elenco. Riemergeranno frequenti con il disfacimento dell’URSS legittimato dalla “war on drugs”, che ha portato al dispiegamento di truppe americane in molti paesi per combattere la droga.

IL BOOM DOPO LA GUERRA FREDDA – Per tutto il periodo della Guerra Fredda gli interventi militari diretti americani saranno molto più limitati nel numero e a parte le guerre in Corea e nel Sud-est asiatico Washington impegnerà esplicitamente le sue forze solo in Congo per mandare al potere Mobutu e in operazioni limitate in Medioriente. L’aumento di questo genere d’operazioni dopo il 1989 è evidente, così com’è evidente che una volta caduta la minaccia sovietica e la politica dei blocchi gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente in moltissimi altri paesi di tutti continenti, prendendo molto seriamente il ruolo di unica superpotenza.

L’AGONIA DELL’IRAQ – Nell’elenco si legge anche con grande evidenzia l’agonia dell’Iraq di Saddam, che dal 1991 al 2003 aveva subito ogni genere d’attacco punitivo e preventivo che i presidenti americano hanno deciso in piena autonomia e al di fuori di qualsiasi mandato internazionale, per finire con l’invasione platealmente illegale nel 2003 e l’uccisione del dittatore che ai

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https://www.giornalettismo.com/la-lista-segreta-di-tutte-le-guerre-americane/

 

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