NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 18 MARZO 2019

https://www.maurizioblondet.it/il-solitary-assassin-e-solo-il-terzo-evento-accaduto-a-christchurch/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 18 MARZO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Colui che non sa, sa; colui che sa non sa.

È noto a coloro che non sanno; è ignoto a coloro che sanno.

(KENA UPANISHAD, 1000 a.C. – India)

In: LO SPIRITO DELLE UPANISHAD, Bocca Ed., 1953, pag. 111

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

Adesso, la sagra dell’ecologismo-fate-presto

La fiaba della piccola Greta, un business che arriva al Nobel 1

Greta Thunberg e i grandi affari dietro gli scioperi sul clima 1

I dati che smontano la “rivoluzione” ecologista dei millennials 1

Operazione Greta, un apparato ingente: come lavora la propaganda 1

Il mondo – e il 5G – nascosto dai ragazzini….. 1

Ma come fate a credere anche a questo?

Todo modo: genesi del film che “anticipò” l’assassinio di Aldo Moro. 1

Correre

Benvenuti nell’epoca dei senza età o dei cronologicamente ambigui 1

“Anaconda”, la NATO prepara la guerra

Blackout e aiuti bruciati, la stampa Usa smaschera Guaidò. 1

Dopo l’indignazione, il conflitto sociale. 1

Il mistero s’infittisce. Pm: “Nessuno deve vedere il cadavere di Imane Fadile” 1

Quando l’élite inventa “il popolo contro l’élite” 1

Migranti, Viminale: nel 2019 sbarchi crollati del 94%… 1

LA GNOSI E LE DOTTRINE ECONOMICHE DEL XX SECOLO. 1

Ing Bank, da Bankitalia stop a nuove operazioni in Italia. 1

“Mafia nigeriana: origini, rituali, crimini” 1

UN SUICIDIO ALLA CORTE DI JUNCKER. 1

Il Solitary Assassin è solo il terzo “evento” accaduto a Christchurch. 1

Via della Seta, un nuovo South Stream. 1

L’unica che è già partita è quella del taglio ai privilegi e ai costi della politica

 

 

EDITORIALE

Adesso la sagra dell’ecologismo-fate-presto

Manlio Lo Presti – 18 marzo 2019

La bimbetta svedese addirittura candidata al prossimo Nobel non ha incontrato il favore di una parte dell’opinione pubblica europea. La parte che si fa domande e non beve tutto acriticamente.

La diffusione delle immagini di una bimbetta fino a poco tempo fa sconosciuta ha destato molti sospetti ed interrogativi, primo fra i quali: chi ha pagato la titanica campagna informativa e di marketing? La potenza mediatica impegnata ha implicato costi enormi.

Perché tutto questa orchestrazione, tenuto conto che non esiste il Dott. Ing. Prof. Cav. N.H. GRATIS?

Tutte le capitali europee sono state invase all’unisono. La mobilitazione di masse presuppone una organizzazione efficientissima, ben oliata e – ripetiamo – molto molto costosa.

La ridetta bimbetta ha iniziato a predicare l’ecologico-pensiero ogni venerdì alla faccia dell’obbligo di frequenza costante delle lezioni. La madre è la sua principale organizzatrice che gestisce l’azione concentrica e martellante della imponente macchina della propaganda TV-GIORNALI-WEB-PIAZZE.

Allora qualcuno alza la testa, la gira per guardarsi intorno, la usa per capire – tanto per iniziare – quali e quanti interessi girano dietro e intorno a questa mirabolante sarabanda massmediologica.

Gli articoli non allineati e guidati da uno “scorretto-non-buonista-antimaccartista” retropensiero e, indagando e riflettendo, ha tirato fuori una serie di riflessioni:

1) La giovinotta è una occasione di emersione da parte di tutti i movimenti ecologisti che ne hanno fatta una rinnovellata Giovanna d’Arco da utilizzare per lavare la sporchissima coscienza degli operatori mondiali che hanno portato il pianeta a questo punto: una sorta di autoassoluzione finale;

2) la spinta ecologista-sostenibile-buonista rivaluta centinaia di aziende impegnate nel settore che ora valgono ben poco e sono di proprietà del potentissimo e ricchissimo Fondo norvegese che, con questa propaganda massiccia, può far rimettere in movimento queste aziende per poi rivenderle ad un valore nettamente superiore a quello attuale;

3) il chiasso di questa azione mediatica propagandistica consente di spostare l’attenzione dalle questioni irrisolte dei conflitti che hanno ucciso in pochi decenni oltre 50.000.000 di persone in varie parti del mondo. Tutti conflitti che l’ONU finge di non vedere, che EL PAPA non commenta, impegnato a parlare ossessivamente di immigrati e a perseguire azioni di limitazione della democrazia in Italia dove tutti fanno finta di niente;

 4) consente di nascondere la ingiustificata ferocia dello sterminio di milioni di umani, per una ampiezza DI MORTE che è oltre il doppio di quella legata ai problemi ambientali. Ma di questo la giovinotta non parla! Tace sui gravissimi problemi planetari della disoccupazione, della fame, dello sfruttamento selvaggio delle materie prime, della ininterrotta corsa agli armamenti, del tripolarismo USA-RUSSIA-CINA che rende instabili gli equilibri mondiali.

5) con l’arma ecologica-sostenibile-buonista, si rilancia in altro modo la pressione sugli stati canaglia Russia e Cina che hanno ancora la sfacciataggine di non obbedire ai sacri dettami del SACRO OCCIDENTALE IMPERO TECNETRONICO USA che ci riprova ad imporre canoni ecologici “sostenibili” a questi cattivoni oramai invisi e tacciati di insensibilità. Il gioco della ecologia “politicamente corretta” avente regole stabilite dagli americani, ovvio, ebbe in passato reazioni molto energiche da parte dei Paesi in via di sviluppo. Tali Paesi contestarono il cambio delle regole in corsa che avrebbero stritolato e frenato le loro economie. Regole definite dopo che l’Occidente si era fatto ampiamente e comodamente i caxxi propri;

Sono queste vistose ed ipocrite “omissioni” del Greta-pensiero che destano enormi sospetti sulla genuinità di questa CAMPAGNA-FATE-PRESTO. Un metodo FATE-PRESTO che, in altri frangenti ha prodotto enormi disastri nel nostro Paese.

Siamo quindi vaccinati e difesi da un pertinace, dispetto e sospetto RETROPENSIERO. (Andreotti docet).

 

P.Q.M.

 

Continueremo a opporre una resistenza culturale a queste SAGRE di informazione ad ondate e per singole tematiche martellate a tappeto che poi svaniscono quando il sospetto della popolazione è tale da farne perde il potere manipolatorio.

Niente paura! La CUPOLA DEL DEEP STATE DE’ NOANTRI passerà abilmente alla irrogazione estesa e martellante dall’alto di un’altra pirotecnica SAGRA, cioè una campagna mediatica a tema per disinformare, stordire, creare caos permanente.

IL GAS SOTTO LA PENTOLA NON DEVE MAI ESSERE SPENTO: VEDIAMO QUALE SARA’ LA PROSSIMA …

 

 

 

IN EVIDENZA

La fiaba della piccola Greta, un business che arriva al Nobel

Scritto il 17/3/19

Greta Thunberg è la vera “rockstar” del momento. Prime pagine di tutti i più importanti giornali del mondo, approfondimenti di ogni tipo, interviste: tutti ne parlano. La consacrazione definitiva è arrivata in queste ore, come riporta l’Ansa: l’attivista 16enne svedese promotrice delle marce dei giovani per il clima in tutta Europa è stata proposta per il Premio Nobel per la Pace da tre parlamentari norvegesi «in segno di riconoscimento per il suo impegno contro la crisi climatica», prodotta dal riscaldamento globale. «Abbiamo nominato Greta perché la minaccia del clima potrebbe essere una delle cause più importanti di guerre e conflitti», ha sottolineato il parlamentare Freddy Andre Oevstegaard. In un’intervista a “Repubblica”, Greta Thunberg ha osservato che «siamo nel pieno di una crisi, ed è la più urgente e grave che il genere umano abbia mai dovuto affrontare. Stiamo segando il ramo su cui siamo seduti e la maggior parte della popolazione mondiale non ha idea delle possibili conseguenze della nostra incapacità di agire». Il 15 marzo, anche in Italia gli studenti hanno aderito al Climate Strike, lo sciopero proclamato nel mondo dai giovanissimi attivisti che, sulla scia dell’iniziativa di Greta, stanno manifestando per chiedere ai governi interventi urgenti sui cambiamenti climatici. Ma chi è davvero la giovane attivista svedese e come ha fatto a diventare così famosa?

Sia chiaro: «Greta è sicuramente una ragazza adorabile e la sua battaglia offre spunti di riflessione importanti, al di là da come la si veda sul tema del riscaldamento globale», scrive Roberto Vivaldelli su “Gli occhi della guerra”. «Il punto è un altro: si tratta davvero di un fenomeno così spontaneo e nato dal nulla oppure di un’abilissima strategia di marketing».

Tutto è nato la scorsa estate, ricorda Vivaldelli. Dall’agosto 2018, ogni venerdì mattina, Greta si reca di fronte al Riksdag, il Parlamento svedese, e rimane lì, con un cartello in mano: “Skolstrejk för klimatet”, sciopero scolastico per il clima. All’inizio era da sola, supportata solo dai genitori, poi la sua protesta è diventata virale. Tanto che a dicembre ha partecipato alla Cop24, la ventiquattresima conferenza sul clima che si è tenuta a Katovice, in Polonia. Lì ha tenuto un discorso che ha fatto il giro del mondo. Come è accaduto? A svelare il segreto del successo di Greta – scrive Vivaldelli – è stato Andreas Henriksson, noto giornalista d’inchiesta svedese. Secondo la sua ricostruzione, lo sciopero scolastico altro non era che parte di una strategia pubblicitaria più ampia per lanciare il nuovo libro della madre di Greta, la celebre cantante Malena Ernman – che nel 2009 partecipò anche all’Eurovision e vanta diverse apparizioni televisive.

Il grande stratega mente di questa campagna sarebbe Ingmar Rentzhog, esperto di marketing e pubblicità, che ha sfruttato a sua volta l’immagine della ragazza per lanciare la sua start up. «Ora posso dire che la persona che sta dietro al lancio del libro e lo sciopero scolastico, nonché la successiva campagna di pubbliche relazioni sul problema del clima, è il “pierre” professionista Ingmar Rentzhog», scrive il giornalista Andreas Henriksson sul suo profilo Facebook. La storia di Greta Thunberg inizia il 20 agosto 2018. Rentzhog, che è fondatore della start-up We Do not Have Time, incontra Greta di fronte al Parlamento svedese e pubblica un post commovente sulla sua pagina Facebook e Instagram. Siamo al primo giorno dello sciopero iniziato da Greta. «Curiosamente, quattro giorni più tardi, il 24 agosto, esce il libro dei genitori di Greta, “Scenes from the Heart”, che racconta i dettagli della vita privata della coppia e della figlia». Una banale coincidenza? Da lì a poco, continua Vivaldelli, We Do not Have Time guarda caso decolla, proprio grazie alla spinta mediatica di Greta. Il 24 novembre Rentzhog la nomina nel board. Solo tre giorni dopo, la start up lancia una campagna di crowdfunding per 30 milioni di corone svedesi (circa 2,8 milioni di euro).

Greta è nominata ovunque.

Lo stesso Ingmar Rentzhog si vanta di «aver scoperto» la ragazza (ma nega, in seguito, di averne sfruttato l’immagine per raccogliere denaro, pur sostenendo di «aver avuto un ruolo centrale nella crescita della sua popolarità».

Il quotidiano svedese “Svenska Dagbladet” lo incalza e accusa la start up di aver sfruttato la ragazza (che è affetta dalla sindrome di Asperger) utilizzando la sua battaglia sul clima per mero tornaconto personale. Dal canto loro, i genitori sostengono che la battaglia di Greta è assolutamente genuina e sincera, ma non smentiscono affatto i rapporti con Rentzhog e il suo abilissimo

 

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/03/la-fiaba-della-piccola-greta-un-business-che-arriva-al-nobel/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Greta Thunberg e i grandi affari dietro gli scioperi sul clima

16 Marzo 2019 DI MAURO BOTTARELLI

ilsussidiario.net

 

Oggi esordisce in grande stile l’ultima pagliacciata politically correct che il sistema si è inventato per rendere non solo accettabile ma anche socialmente apprezzato il proseguire di default nella politica di spesa pubblica indiscriminata e deficit come unica religione laica: la lotta ai cambiamenti climatici.

Vi ho già parlato di questa nuova campagna globale, quando ho messo tutti in guardia dalla profilo da rockstar che la stampa globale sta riservando ad Alexandria Ocasio-Cortez, la giovane deputata democratica, figli di portoricani e cresciuta nel Bronx facendo la cameriera per pagarsi gli studi (sembra un film di Netflix, d’altronde le lobbies i candidati li cercano per bene, fanno i provini e si affidano a esperti di comunicazione e marketing), che ha lanciato il suo Green New Deal, ovvero un colossale piano di indebitamento a fondo perso spacciato per riconversione del sistema in nome della sostenibilità ecologica che, nei fatti, rappresenta la versione non direttamente monetaria del piano di espansione della Fed. Insomma, il Qe con altri mezzi. E, soprattutto, con l’alibi di salvare orsi polari, balene e bambini vittime dell’enfisema da smog.

Come avrete notato, negli ultimi giorni siamo in piena esplosione del fenomeno. E oggi è il giorno del primo sciopero globale per la lotta contro i cambiamenti climatici, il D-day della nuova arma di distrazione di massa.

Non più tardi di mercoledì è stata l’Onu a lanciare l’allarme: l’inquinamento provoca un quarto dei morti nel mondo.

Peccato che altri due quarti siano frutto di guerre che l’Onu finge di non vedere, tipo quella in Yemen.

Poco importa, il commercio di armamento val bene un po’ di ipocrisia. Tipo, casualmente, mettere i sauditi – i quali donne, bambini vecchi yemeniti li massacrano quotidianamente – a capo del Comitato Onu per i diritti umani.

Il giorno precedente, ricordando la tragedia del Vajont, è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a metterci in guardia: siamo alle soglie di una catastrofe climatica. Ma il Presidente – con tutto il rispetto dovuto – lo fa per obbligo formale di moral suasion, visto che è politico di esperienza e grande equilibrio, finissimo studioso di diritto, ma, appunto, uomo dalle competenze accademiche giuridiche. Non un fisico, né un climatologo. E poi, ecco saltare fuori l’anello di congiunzione di due paure: avanti di questo passo, i cambiamenti del pianeta potrebbero portarci entro il 2050 ad avere 50 milioni di migranti climatici.

Quindi, se si vuole fermare l’immigrazione clandestina, oltre ad “aiutarli a casa loro”, occorre intervenire su desertificazione e alluvioni, carestie ed epidemie.

A fare da collante a tutti questi allarmi in ordine sparso, Greta Thunberg, la 16enne svedese che con i suoi scioperi del venerdì in nome della lotta ai cambiamenti climatici sta diventando la vera e proprio guru globale della battaglia del secolo. Ieri, poi, la certificazione della pagliacciata, ma anche del carattere di colossale mistificazione della campagna in atto: la sua proposta di candidatura al Nobel per la Pace. Il quadro è completo. E via, quindi, in grande stile al #fridaysforfuture anche in Italia, ovvero il giorno della settimana dedicato all’impegno ecologista.

Non bastavano gli scioperi strategici dei mezzi pubblici, di fatto weekend lunghi assicurati a fronte di tavoli di trattativa aperti da secoli per rivendicazioni fotocopia, adesso c’è una nuova scusa per allungare il fine settimana e, finita la manifestazione in piazza, caricare l’automobile (la quale, ontologicamente, non inquina) e andarsene al mare o in montagna o a fare shopping al centro commerciale.

Ora, io sono notoriamente cinico e disincantato, ma non ho mire di proselitismo: non mi importa che la gente la pensi come me, voglio solo che sia informata, che senta tutte le campane. E conosca i fatti.

Per questo, mi chiedo e soprattutto vi chiedo: se, giustamente, lottiamo per le vaccinazioni e ci affidiamo a medici e specialisti e non a stregoni e accademici da ricerca su Google per evitare il ritorno di malattie che pensavamo debellate, se chiediamo a ingeneri e architetti di fare in modo che non accadano più tragedie come quella del Ponte Morandi, in base a quale coerenza e criterio scientifico dovremmo intraprendere una battaglia, la cui capofila è una studentessa 16enne svedese con le sue teorie catastrofiste e le sue accuse da ribellismo adolescenziale verso il “sistema”?

Sarà certamente un genio, bravissima, con un QI degno di un docente universitario di Harvard di 55 anni, avrà divorato migliaia di testi scientifici e seguito centinaia di conferenze: ma resta una studentessa di 16 anni, cari lettori.

Affidarsi alla sua guida, fosse anche solo simbolica e di testimonianza, in quella che viene dipinta come la battaglia del millennio, equivale a farsi operare di peritonite da qualcuno con la licenza media, ma che non ha perso nemmeno una puntata di ER o Grey’s Anatomy, ne siete consci vero?

Davvero siamo sicuri che la sua crociata, al netto delle buone intenzioni e del genuino e appassionato impegno per il prossimo, su cui non nutro dubbi almeno fino a prova contraria, si basi su fondamenti reali e non sull’ennesima suggestione collettiva, la stessa che seguì per qualche mese la campagna di Al Gore? Salvo finire in fretta nel dimenticatoio e fuori dalle agende politiche di intervento di organismi proprio come l’Onu, quando la Cina minacciò tutti di far deragliare il commercio globale (e i mercati), se si continuava a romperle l’anima con la questione delle emissioni inquinanti.

Vi faccio qualche esempio, tanto per rifletterci su nella giornata dell’impegno ecologista e nel suo day after.

La prossima panzana che vi rifileranno sul tema, a occhio e croce, sarà quasi certamente legata alla decisione presa venerdì scorso dal Fondo sovrano norvegese, un gigante da 1 triliardo di dollari di assets con forte concentrazione sul comparto energetico fossile, di scaricare i titoli azionari che ha in portafoglio legati ad aziende petrolifere.

Ovviamente, vi verrà spacciata come una decisione frutto di nuova coscienza ecologica di fronte alla catastrofe ambientale che abbiamo di fronte. Una vittoria di Greta e dei suoi venerdì di protesta silenziosa e solitaria.

Balle. È soltanto puro hedging finanziario nei confronti di un comparto che vede i propri prezzi al palo dal 2014 e che all’orizzonte non garantisce prospettive di rinnovato profitto. Anzi, lo scorso anno, bilancio alla mano, è costato al Fondo norvegese un bel -6,1% di return-on-equity, pari a una perdita di 485 miliardi di corone.

E che l’operazione non abbia nulla di “verde” non lo dice il sottoscritto, bensì lo stesso Fondo sovrano nel suo comunicato stampa. Il quale venderà sì titoli azionari legati al comparto, ma soltanto quelli di aziende puramente

Continua qui:

https://www.ilsussidiario.net/news/cronaca/2019/3/15/spy-finanza-greta-thunberg-e-i-grandi-affari-dietro-gli-scioperi-sul-clima/1859212/

 

 

 

 

I dati che smontano la “rivoluzione” ecologista dei millennials

La generazione dei Millenials, piena di debiti, è quella che protesta in piazza contro i cambiamenti climatici. E non è un caso

16.03.2019 – Mauro Bottarelli

 

E se in Europa abbiamo mezze verità spacciate come rivoluzioni e una 16enne come capopopolo, con tanto di candidatura al premio più screditato della storia contemporanea, Oltreoceano non sono messi meglio. Mi riferisco ad Alexandria Ocasio-Cortez e al suo Green New Deal, il quale in base a un sondaggio condotto dalla prestigiosissima Università di Yale vede favorevole addirittura l’80% degli elettori statunitensi. Di più, siamo di fronte a qualcosa di straordinariamente (e strategicamente) bipartisan come supporto, visto che il 92% di chi si dichiara Democratico e il 64% di Repubblicani si sono detti pronti a supportare in maniera più o meno decisa il pacchetto di riforme che trasformerà completamente il settore energetico Usa su modello “verde” nel prossimo decennio. Se il sondaggio è stato condotto da un’istituzione come l’Università di Yale, ci sarà da fidarsi.

Sicuri? Quella che leggete di seguito è la nota introduttiva, uguale per tutti, al sondaggio: Some members of Congress are proposing a “Green New Deal” for the U.S. They say that a Green New Deal will produce jobs and strengthen America’s economy by accelerating the transition from fossil fuels to clean, renewable energy. The Deal would generate 100% of the nation’s electricity from clean, renewable sources within the next 10 years; upgrade the nation’s energy grid, buildings, and transportation infrastructure; increase energy efficiency; invest in green technology research and development; and provide training for jobs in the new green economy (Alcuni membri del Congresso stanno proponendo un “Green New Deal” per gli Stati Uniti. Dicono che un “Green New Deal” produrrà posti di lavoro e rafforzerà l’economia americana attraverso l’accelerazione della transizione da carburanti fossili a fonti rinnovabili e pulite. Il Deal potrebbe generare il 100% dell’energia della nazione da fonti rinnovabili e pulite entro i prossimi 10 anni; migliorare la rete energetica nazionale, gli edifici e le infrastrutture di trasporto; aumentare l’efficenza energetica; investire in ricerca e sviluppo di tecnologia verde; garantire tirocinio e preparazione per posti di lavoro nella muova economia verde, ndr). Scusate, chiunque non sia un inquinatore per scelta o per perversione, il figlio di un petroliere o un feticista dello smog, potrebbe dirsi contrario a un presupposto simile, a una prospettiva di futuro del genere? Di fatto, non si chiede un parere sul Green New Deal, si offre una sinopsi iniziale che è un concentrato di senso di colpa e magnifiche sorti e progressive, roba da regno degli unicorni e poi si finge di voler conoscere il punto di vista dell’intervistato! Cosa dite, un paragrafo simile posto prima delle domande dirette, può configurarsi come vaghissima volontà di indirizzare il parere del rispondente?

Ma tutto questo mica finisce sui giornali o nelle iniziative parlamentari, il messaggio è soltanto quello che si ottiene dal calcolo statistico delle risposte ottenuto: l’80% degli statunitensi è favorevole al Green New Deal, all’impegno per un’energia verde e contro i cambiamenti climatici, a un nuovo approccio. Il quale, ovviamente, oltre a richiedere una decina d’anni almeno, presuppone qualche triliardo di dollari di investimento pubblico e privato in opere di riconversione. Insomma, serve spesa pubblica. Serve deficit, perché è per una buona causa. Nessuno ti fa le pulci, non esiste al mondo un Dombrovskis così cattivo e insensibile da richiamarti perché spendi in difesa dei pinguini o degli organismi monocellulari del Borneo: la strada è spianata. E, cosa più importante, la coscienza collettiva anestetizzata ed euforizzata per bene. Se poi tenti ancora di fare resistenza in nome del buon senso e della scienza, intesa come dati reali, ti piazzano davanti un bambino con la mascherina per l’asma, tipo figurante di un falso attacco chimico in Siria e il gioco è fatto: la nomea di Erode non te la leva nessuno.

Non sarebbe più onesto dire che, visto che anneghiamo nel debito (è dell’altro giorno la rottura di un nuovo record a livello globale e congiunto pubblico-privato, 178 triliardi di dollari, dati Bis) e il sistema non può più disintossicarsi a questo punto, occorre andare oltre, approssimarsi alle rive faustiane del Qe strutturale e perenne? O, quantomeno, decennale e senza la Fed che rompa l’anima, se non per dare una sgonfiata controllata agli eccessi di mercato? No, non si può. E non a caso, i paladini di questa battaglia sono giovani. Sono millennials o poco più grandi. Come la Ocasio-Cortez. Come Greta. Perché solo un giovane può venderti questa balla, senza che tu ti ponga domande e scopra quanto appena confermato proprio dalla Fed. Senza che tu scopra ciò contro cui davvero dovresti ribellarti e chiedere conto. Ovvero che proprio i millennials rappresentano, prima ancora di cominciare la propria vita lavorativa, la generazione più indebitata della storia.

Qualche numero? Ce lo offre appunto la Federal Reserve di New York e parla chiaro: la generazione under-30, solo negli Usa, già oggi annega in oltre 1 triliardo di debito, un aumento del 22% solo negli ultimi 5 anni. Ma non basta. Stando a quanto riportato da Forbes, certamente una fonte non autorevole quanto Greta, le ultime statistiche relative ai debiti scolastici per il 2019 mostrano quanto la crisi di questo comparto stia diventando con il passare del tempo, attraverso la disaggregazione demografica e di gruppi sociali, cronica e sistemica. A oggi, negli Usa ci sono più di 44 milioni di giovani che congiuntamente fanno capo a oltre 1,5 triliardi di dollari in debito studentesco, una voce che è la seconda categoria debitoria nel Paese dopo quella dei mutui immobiliari ed è maggiore di quelle relative a carte di credito e prestiti per l’acquisto di automobili, il tutto in un Paese dove le spese per consumi pesano per il 70% del Pil. Prendendo in esame il dato relativo alla classe debitoria del 2017, la media è di 28.650 dollari a persona, stando a rilevazioni dell’Institute for College Access and Success.

E non basta, perché proprio a causa di questo stato di schiavitù debitoria fin

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https://www.ilsussidiario.net/news/economia-e-finanza/2019/3/16/spy-finanza-i-dati-che-smontano-la-rivoluzione-ecologista-dei-millenials/1859588/

 

 

 

 

 

Operazione Greta, un apparato ingente: come lavora la propaganda

16, marzo, 2019 di Alessandro Meluzzi

 

L’operazione Greta, chi si occupa di comunicazione lo sa, ha bisogno di un apparato ingente. Tecnici, cameramen, regia, esperti, tanti soldi, 950 giornalisti, 110 TV, entrature, copertura quotidiana su tutti i TG del pianeta, Davos, Parlamento Europeo, ONU.

E ora il Nobel.

Un’operazione così potente ha bisogno di mezzi ingenti e di essere orchestrata ai massimi livelli. Per ora sono in possesso di tali mezzi solo coloro che dell’inquinamento planetario, di terra, mare, città e aria, sono gli autori. Tutto qui.

I potenti, perché questa è roba loro, pongono il problema.

 

Si chiama Shock economy.

 

A breve porranno la soluzione. La loro soluzione.

 

Poi quando leggo “anche a Davos la piccola Greta zittisce i potenti” se penso che ci sia al mondo anche solo una persona in grado di credere che i potenti invitino una ragazzina per farsi zittire, allora perdo le speranze.

 

Sono quegli stessi potenti che stanno uccidendo 400 bambini al giorno in Yemen, e 22mila al mondo – da sempre – di fame.

 

Gli stessi che hanno ucciso Sankara e altri ventidue capi africani.

 

E poi Mattei, Moro, Kennedy, Gheddafi, Saddam Hussein.

 

Gli stessi che hanno fatto 228 anni di guerra su 260 di esistenza e 110 colpi

 

Continua qui: https://www.imolaoggi.it/2019/03/16/operazione-greta-un-apparato-ingente-come-lavora-la-propaganda/

 

 

 

 

 

 

 

Il mondo – e il 5G – nascosto dai ragazzini…

15 MARZO: KOLOSSAL DELLA MISTIFICAZIONE, DERESPONSABILIZZAZIONE, DISTRAZIONE

 

17 Marzo 2019 DI FULVIO GRIMALDI

 

Greta: bimba di distrazione di massa

Ciò che gli editocrati di schermo e edicola ci hanno propinato nelle 72 ore, impestate di retorica e ipocrisia climatiche, tra il 14 e il 16 marzo, su ordine di servizio dei mandanti nella Cupola, non suscita solo il sospetto che merita ogni campagna politico-mediatica dell’establishment e dei media incorporati.

Merita l’accusa di ipocrisia, mistificazione, occultamento della realtà. È uno dei più cinici assalti alla nostra integrità intellettuale e morale da almeno l’11 settembre e dalle armi di distruzione di massa di Saddam.

Supera e riunisce tutte le campagne ordite e lanciate nel corso delle ultime sei presidenze Usa, dei contemporanei papati e proconsolati UE, da Delors e Prodi a Barroso e Juncker:

  • terrorismo islamico,
  • migrazioni, diritti umani,
  • “dittatori” arabi e latinoamericani (limitatamente ai non-dittatori disobbedienti),
  • #metoo,
  • “non una di meno”,
  • razzismo-fascismo (da che pulpito!!!),
  • antisemitismo (sulla cui sciagurata identificazione con l’antisionismo imperversa con un inserto di ben quattro pagine il solito “manifesto”), sovranismo,
  • populismo,
  • medicalizzazione,
  • bergoglismo,

eccetera, eccetera.

Il suprematista bianco australiano che, uccidendo una cinquantina di musulmani in Nuova Zelanda, coglie tre piccioni con una serie di raffiche:

1) rilancia lo scontro di (in)civiltà tra razze da colonizzare e razze colonizzanti;

2) pompa a bue la rana esopica della minaccia razzista-fascista finalizzata a oscurare la corsa genocida alla dittatura dei pochi su chi sta fuori;

3) collateralmente distoglie dalla catastrofe climatica che, a dispetto dei bravi ragazzi in piazza in cento paesi, torna a farsi prioritaria nella consapevolezza della gente, insieme, però, all’individuazione dei suoi responsabili.

Quella che manca nelle piazze dei bravi ragazzi.

E che non ci sono neppure nei proclami della nuova Santa Giovanna d’Arco, Greta Thunberg, la ragazzetta svedese affetta dalla sindrome di Asperger (riconosciuta ufficialmente dall’Onu nel 1993, si tratta di una forma di autismo che comprende una serie di difficoltà legate soprattutto all’interazione sociale, alla sfera affettiva e motivazionale), che la campagna ha messo a capo del primo movimento mondiale degli adolescenti.

E già questo ci fa pensare a un’astuta manipolazione.

 

Alcune fonti, subito smentite, parlano di influencer ed esperti del marketing. Più probabile che un fenomeno di questa portata planetaria, con la necessaria mega-organizzazione e relativi finanziamenti, possa far intravvedere qualche altro manipolatore, più grosso, più bravo, più cosmopolita.

 

Più in grado di spostare l’attenzione da problematiche imbarazzanti, come guerre di sterminio, sanzioni antisociali, crimini bancari.

 

Rita Pavone non ha esitato ad andare controcorrente e della nuova icona del bene ha detto: “Inquietante, da film horror”. Il che è un po’ cattivo e non ci dice nulla sulla ragazza, alla quale dovremmo, fino a prova contraria, riconoscere sincerità di sentimenti e altrettanta inconsapevolezza circa chi se ne fa scudo. Perché è qui che casca l’asino.

 

Dove (non) casca l’a(ssas)sino

L’asino precipita con un gran tonfo nella celebrazione che ne fanno compatti il monopolarismo politico-economico-culturale occidentale e i suoi ragazzi di bottega mediatici. Bastano quattro frasette mandate a memoria, assolutamente generiche e indirizzate a un nebuloso orizzonte del passato, sulle colpe degli “adulti”, delle “precedenti generazioni”, di “chi è venuto prima”, poi sull’ultima generazione che ancora può fare qualcosa e, con Greta a Davos, a Bruxelles, al Premio Nobel (quello di Kissinger e Obama) va in atto un meraviglioso lavacro, un processo di autoassoluzione che solo una bimbetta di 16 anni, che non ne dimostra nemmeno 10, quindi ancora più innocente e verginale, una piccola madonna, poteva provocare. L’assassino del clima se ne va tranquillo e nel fiume non passa nessun cadavere.

Non solo. A cosa questa campagna dà nuovo impulso, sotto l’iridato ombrello della lotta per il clima? Forse allo scontro generazionale tra giovani e adulti?

Forse, dato che in prima fila sono le altre grete spuntate come funghi dopo la pioggia, tutte solo femminucce, lo scontro tra i generi?

 

Forse un altro contributo al divide et impera della frantumazione sociale? A pensar male …

 

A pensar male si arriva, per esempio, a Ravenna. In mezzo al tripudio per l’ambientalismo di Greta, sindacati, Confindustria, petrolieri e tutti i loro media, dallo scassapadroni Landini riuniti in larghe intese, celebrano le 90 trivelle che perforano l’Adriatico. Cosa non si fa per un mare più pulito e un clima migliore!

 

Guerre? La corda in casa dell’impiccato.

Ma, soprattutto, fa sembrare lo tsunami che sconvolse l’Asia nel 2004 un ponentino romano il sospiro di sollievo fatto da chi so io per non avere né Greta, né tutti i suoi emuli nell’innocente infanzia mondiale, ansiosa di un mondo risanato, pronunciato la parola guerra.

 

E neppure menzionato le sette guerre d’aggressione condotte da Usa e Nato dal 2001, o i 6 trilioni spesi per esse dagli Usa, con i loro quattro milioni di ammazzati e le decine di milioni di rifugiati, e neanche le sanzioni inflitte a tutti i paesi che non stanno bene alla Cupola, con il risultato di milioni di morti non calcolate e tragedie ambientali peggiori dell’Amazzonia sradicata sotto Bolsonaro, o di Taranto sotto l’Ilva, privata o di Stato.

 

In “Nemo”, una bella trasmissione sulla rete di Carlo Freccero, RAI 2, c’è stata la puntata dedicata a clima e poi TAV. Non poteva mancare il gruppetto di Greti e Grete liceali che, belli e beneducati, ricchi di buone intenzioni e a corto di competenze, ripetevano le giaculatorie sui ragazzi vittime degli adulti. Di tutti gli adulti. Mancava l’adulta Befana che porta carbone. Mancava la Libia, polverizzata a un’ora di volo da qui. Con commossi e compiaciuti apprezzamenti da parte di soggettoni, come l’eterno imprenditore, l’inevitabile madamina Si Tav l’immancabile guru del calcio che, un attimo prima, avevano irriso coloro che, pretendendo di arrestare gli idrocarburi, preferivano tornare alla candela e al carro dei buoi. Sono bastati pochi decine di secondi di Luca Mercalli, Pecoraro Scanio e un’attivista No Tav per sotterrare tutti sotto una frana di dati e, finalmente, dei relativi responsabili.

Bambinocrazia e buchi neri

Già, perché nell’Operazione Greta ciò che manca, polverizzato tra “adulti” e “precedenti generazioni”, è appunto un fattarello come la guerra che devasta clima e ambiente peggio di tutto il resto. E manca un nome. Che so, un Marchionne, una Exxon, una Monsanto, qualche banchiere, Obama, Trump, D’Alema, qualche generale del Pentagono, i fautori di un Tav che in 15 anni di lavori sparerebbe più gas serra in cielo di tutte le vacche del Brasile, pur flatulenti di metano, messe insieme.

 

Tutti, proprio tutti, coloro che hanno distrutto il clima, l’ecosistema, le specie viventi, il 47% dei vertebrati, stanno dentro a quell’1% che, grazie all’ecocidio praticato dall’inizio della rivoluzione industriale e accelerato con la rivoluzione digitale, controlla più ricchezza del resto dell’umanità. Altro che “gli adulti, la generazione precedente, i nostri padri…”

Da noi, sui nostri schermi, si è intestato la protesta dei bravi ragazzini Don Ciotti, beneficiato di una gigantesca sede a Torino dal compianto Gianni-CO2-Agnelli, imperatore dei beni sottratti alla mafia, Gran Maestro della cattoretorica sull’accoglienza universale, furibondo difensore delle Ong che agevolano i minerari, petrolieri, agroaffaristi, bellicisti, multinazionali a svuotare il Sud del mondo delle sue genti e delle sue risorse. Ma anche da lui, che pure è grandicello e uomo di mondo, neanche un nome, una sillaba, un logo. Un sistema. Che so, capitalismo?

Il mondo salvato dai bambini. Per Paperone.

Ma la trasparenza della gigantesca distrazione diventa assoluta quando ti trovi davanti a partiti, edicole e schermi unificati che, ieri, facevano dipendere la sopravvivenza del paese e il suo futuro dalla riapertura di 600 cantieri, dal boicottaggio del referendum contro le mille trivelle in terra e in mare, dallo Sblocca Italia, dai nuovi quartieri di grattacieli, da strade, autostrade, discariche, inceneritori, Tav, Tap, Terzo Valico, Eastmed, Ilva. Tutto, con il benefico effetto di far tracimare i depositi di quattro Zii Paperone e accelerare la fine di tutto il resto.

E oggi, gli stessi identici, senza che nessuno dei bravi, puliti, ordinati ragazzi gli infligga un qualche rilievo di complicità, tutti a infatuarsi per Greta, applaudire la proliferazione di suoi emuli, altrettanto buoni e innocui, auspicare il Premio Nobel per l’innocente burattino.

Sentite un fastidio alla bocca dello stomaco? Andate in bagno e liberatevi.

Domani tutto questo “si sarà perso nel tempo come lacrime nella pioggia”.

I responsabili dei crimini contro l’umanità e gli altri viventi l’avranno scampata e ci diranno che, tanto, fino al 2050 c’è tempo, che ci sarà una tecnologia per trasformare gli escrementi in energia pulita, che non vorremmo mica tornare alla candela e al carro dei buoi. Continueranno guerre, sanzioni, finanzcapitalismo neoliberista e guerrafondaio, colonialismo predatore ed espropriatore di popoli nel segno Ong, buonista, cattolico, sorosiano, dell’accoglienza di schiavi per sostenere le nostre economie sminuzzando i nostri salari.

 

Euroelezioni: con Greta si batte il populismo

Ma ci sarà anche un effetto non tanto secondario e immediato: benedetti dalle sacre imposizioni delle mani di Greta e dell’esercito mondiale dei bambini per il clima, il partito Verde arriverà alle prossime elezioni europee a vele gonfiate da milioni di aliti inquinati in ansia di purificazione.

 

L’equivoco di un partito, eminentemente tedesco, che si dice ecologico, ma ha appoggiato o ignorato tutti i genocidi da neoliberismo, guerre e sanzioni, si perpetuerà. E finalmente il sovranismo populista troverà pane per i suoi denti. A un popolo che, saturo di veleni d’ogni sorta, per illuminare nel buio una via d’uscita, aveva acceso cinque stelle nel firmamento, rimarranno i ricordi. Che “andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia” (facciamo le corna).

Mentre questo accadeva di nuovo si costituiva quello che ho chiamato il monopolarismo: dal pulviscolo della stremata “sinistra”, attraverso la borchia di latta lucidata Bersani, il mortaretto Calenda, il galeotto Berlusconi, la patriota al ketch up Meloni, fino a Hulk-Salvini. Tutti uniti nel patto sacro per Tav, trivelle, F35 e Usa, ma anche per Greta. E tutti uniti, suppongo anche con i bambini ecologici, contro la Cina e per gli Usa nella questione One Road One Belt (OROB), la Via della Seta. E un altro asino casca qui.

Possibile che Greta e tutta la sua ecclesia non si siano accorti, non solo delle guerre e sanzioni che ne ammazzano di più – e volontariamente – dello smog, di quell’altro smog, l’elettromagnetico, non per nulla chiamato elettrosmog, con il quale due superpotenze, le stesse del primato dello smog, preparano il più radicale spopolamento del pianeta dai tempi della quinta estinzione?

 

Via della Seta, o via dell’elettrosmog?

Ennesimo scazzo: 5Stelle pro-memorandum con Xi Jinping (sai che export!), Salvini e tutto il monopolarismo contro (ci comprano e ci spiano. Gli americani invece…).

 

Se dovessi scegliere, a dispetto di quanto aggiungo dopo, non avrei dubbi tra chi dal 1949, con invasioni militari, sanzioni e colpi di Stato, ha aggredito una sessantina di paesi, dalla Corea al Venezuela, facendo una cinquantina di milioni di morti

 

Continua qui: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/03/il-mondo-e-il-5g-nascosto-dai-ragazzini.html

 

 

 

 

 

 

 

MA COME FATE A CREDERE ANCHE A QUESTO?

(Ecco perché…)

Maurizio Blondet  15 Marzo 2019

“182 appuntamenti in Italia, 300 mila in piazza”: per il “Clima”.  La radio pubblica sta   seguendo   le manifestazioni, esulta e fa domande sul “Clima”.  Dicono che il “Clima” “scuote le coscienze di tutti”.  “È fantastico!”, cinguetta la giornalista …

Ora, se non capite l’artificialità di queste iniziative,   l’evidente organizzazione internazionale, se non capite che vi state prestato ad un gioco losco  e falso da allegare i  denti, dovremo concludere che  siete pronti ad applaudire qualunque dittatura orwelliana che può farvi fare qualunque cosa pericolosa, folle e odiosa.  Non vi offende nemmeno l’infantilismo per il quale pensano di convincervi con argomenti da bambini?  Basta che ne parli la tv, ed ecco fra noi trecentomila neo-fanatici marciano per  appoggiare una “direttiva” fin troppo evidentemente dettata dall’alto, dai circoli maltusiano—globalisti e  della dittatura europea – circoli che hanno bisogno di  trasferire il malcontento per le austerità, le deflazioni, le disoccupazioni di massa che hanno creato,  verso uno scopo da loro voluto: imporre nuove austerità per “il Clima”, fino a farvi mangiare insetti perché danno ottime proteine e  in alternativa a quelle di vacche e pollame, che “inquinano”.

Che gente siete? Sapete leggere? Sono settimane che si scrive che “Greta” la ragazzina svedese, viene utilizzata per  “una campagna di pubbliche relazioni”    che deve preparare l’uscita di un nuovo libro della madre di Greta,   la cantante d’opera svedese  Malena Ernman    –   che ha strumentalizzato questa povera  figlia affetta da sindrome di Asperger – e che si conosce anche il nome dello stratega della campagna, il professionista di pubbliche relazione Ingmar Rentzhog.

http://www.occhidellaguerra.it/ecco-chi-ce-davvero-dietro-greta-thunberg/

 

Ma voi, che state fissi sul vostro telefonino,  twittando e facebookando sui tutti i “social”, non imparare niente, niente leggete di  utile   – o non capite quello che leggete.  Siete quelli che credete al mainstream, aderite alle verità ufficiali su tutte le questioni, senza alcun senso critico: vi convincono di qualunque cosa – gender,  bontà di “Francesco”, diritti LGBT, eutanasia –  e diventate i difensori fanatici di qualunque progetto  aberrante, demente e folle,  dettato da gente che vuole, semplicemente, la vostra estinzione.

Siete  fissi sui tablet,   ma è come viveste in un mondo di 500 anni fa:  non capite il potere ipnotico e seduttivo  da cui dovete guardarvi, come   non conoscete  la forza di suggestione dei media.  Ve ne fate   saturare, inzuppare dentro – senza difesa.

E vi credete pure furbi, pronti alla critica, “liberi” e intelligenti.

In questi giorni – e non sembri che stia cambiando argomento – Bagnai, Borghi, Zibordi si rimbalzano un twitter di una persona – che dà pure il suo nome e cognome, il che gli fa onore  non si nasconde dietro l’anonimato – che a proposito della Banca Centrale Europea, esprime questa sua conoscenza:

So leggere e leggo molto. La BCE non può battere conio e non possiede direttamente soldi. Quelli che ha sono versati dai soci e provvede a raccoglierli, distribuirli o prestarli”.

 

Si resta senza parole. Trasecolati.  Sgomenti. Questo signore vive nel 21mo secolo (e nell’esergo si definisce così: “Sono molto sicuro di me.  Se sei d’accordo con me non dirmelo, se non sei d’accordo dimmelo”)  e ha una idea mitologica  – addirittura cavernicola –   di come funzionano le banche centrali – dette anche  “banche di emissione”, e  “prestatori di ultima istanza”. Un’idea che poteva nutrire, che so, un contadino del diciottesimo secolo, non un moderno cittadino di un paese tutto sommato, dell’Occidente evoluto.

Ma purtroppo, succede che questa   ignoranza di come si crea la moneta è enormemente diffusa. Anche a livelli di giornalisti economici. Altrimenti, non si spiegherebbe come Mario Draghi si sia sentito fare la  domanda: “La  BCE può restare senza soldi?  Può fallire?”.

Guardate la faccia di Draghi mentre risponde che no, “tecnicamente” non può fallire, che “abbiamo ampie risorse”:  l’astuto banchiere non fa alcun tentativo di chiarire la verità all’ingenuo imbecille, se la ride sotto i baffi.

 

VIDEO QUI: https://youtu.be/w7HlA_8EkUM

 

E questo è un video che risale al gennaio 2014, e continuamente viene rimbalzato da 5 quattro anni – ma    se lo scambiano coloro che già “sanno”. Quelli che non sanno, non sono interessati a vederlo.

 

No, la  Banca centrale europea, non raccoglie denaro  dai soci. Lo crea dal nulla  – nemmeno lo stampa, lo genera con un click di computer . E a vostra insaputa, ne  ha creato  un oceano:  “la Banca centrale europea nel marzo 2015 e terminato alla fine di dicembre 2018 ha creato dal nulla moneta per ben 2600 miliardi di euro” –  traggo queste righe da Il Fatto Quotidiano, non  da un

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/ma-come-fate-a-credere-anche-a-questo-ecco-perche/

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Todo modo: genesi del film che “anticipò” l’assassinio di Aldo Moro

6 Aprile 2018da Federico Dezzani

Quarant’anni fa si consumava il delitto cardine dell’Italia repubblicana: il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, e la sua esecuzione da parte delle Brigate Rosse. Con la morte di Moro fu definitivamente stroncato il disegno di portare il PCI al governo, il “compromesso storico” che Moro aveva meticolosamente intessuto e che nel marzo del 1978 era sul punto di concretizzarsi. L’ipotesi di un governo DC-PCI era da scongiurare ad ogni costo, non soltanto perché avrebbe messo in forse la permanenza dell’Italia della NATO ma anche, e forse sopratutto, perché avrebbe rafforzato il suo ruolo nel quadrante mediterraneo, ponendo su basi più solide la politica estera di Moro. Contro questa eventualità si scagliò, nel corso degli anni ‘70, il mondo culturale liberal e anglofilo: con “Todo Modo”, uscito nelle sale in vista delle elezioni del 1976, si inscenò persino l’esecuzione del presidente della DC.

Il compromesso storico ucciso al cinema

Perseguire l’interesse nazionale è, per qualsiasi classe dirigente, un’impresa storicamente difficile: significava e tuttora significa, il più delle volte, schierarsi contro quei poteri anglofoni e finanziari che controllano l’Occidente. Fu un impresa ardua e complessa per la Francia del generale De Gaulle, che pure poteva vantarsi di figurare (formalmente) tra le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale ed era dotata di una robusta ossatura militare-burocratica. Fu un’impresa ancora più difficile per l’Italia, uscita sconfitta dalla guerra: eppure, grazie alla tenacia, all’inventiva e all’intraprendenza degli uomini, il nostro Paese riuscì tra, gli anni ‘50 e la fine degli anni ‘80, a riconquistare una potenza economica e una proiezione internazionale impensabili nell’immediato dopoguerra. È la fase interrotta nel 1992 con Tangentopoli, fase cui subentra il lungo periodo di decadenza che sta toccando lo zenit in questi ultimi anni.

Enrico Mattei, Ezio Vanoni, Amintore Fanfani furono gli artefici del primo decollo dell’Italia, basato sulla sostanziale continuazione (benché fossero formalmente abiurate) delle politiche fasciste: intervento dello Stato nell’economia, focus sul Mediterraneo, filoarabismo. Non aveva poi così torto Pier Paolo Pasolini nel definire il “regime democristiano come la pura e semplice continuazione del regime fascista”: suo torto, al massimo, era di non accorgersi che quel regime così denigrato stava riducendo, anno dopo anno, il divario tra l’Italia e le altre potenze europee. Era “il circuito perverso DC-aziende di Stato-governo” contro cui si scagliavano, quasi contemporaneamente, i liberals di Eugenio Scalfari.

Una figura chiave della rinascita italiana fu anche Aldo Moro, sebbene il suo attivismo in politica estera sia stato a lungo misconosciuto, prima perché argomento “riservato” e poi perché elemento chiave per decifrarne l’omicidio: soltanto negli ultimi anni, qui e là (si pensi ai lavori di Giovanni Fasanella), si comincia a parlare dell’Aldo Moro “geopolitico”, del democristiano che aveva una chiara visione dell’Italia nel bacino mediterraneo. Aldo Moro, infatti, era noto ai più “per parlare a lungo senza dire nulla”, per lo sguardo eternamente spento e annoiato, per l’aspetto esangue al limite del malato. Pochi coglievano che dietro all’impassibilità di Moro, ai suoi discorsi indecifrabili, all’assenza di emozioni, si nascondesse un’esigenza: mantenere l’assoluto riserbo, alzando un muro invalicabile tra sé ed il mondo, ostile, che lo circondava. Fare, ma nascondere quel fare in un labirinto inestricabile di parole.

Perché Aldo Moro, definito in una nota del Dipartimento di Stato del 1964 come “uno dei più intelligenti e abili politici che sono apparsi sulla scena italiana dopo la morte di De Gasperi”, faceva. Eccome se faceva.

Durante la sua permanenza alla Farnesina (1969-l974),

si consuma il golpe con cui il colonnello Muammur Gheddafi detronizza il filo-britannico re Idris (settembre 1969),

si svolge il colpo di Stato con cui l’ex-carabiniere Siad Barre sale ai vertici della Somalia (ottobre 1969),

si sventa il piano anglo-francese “Hilton Assignment” per rovesciare Gheddafi (1971),

si fornisce aiuto al premier maltese Dom Mintoff nel suo burrascoso divorzio del Regno Unito (1971).

 

È lo stesso Moro che comprende appieno l’importanza dei servizi segreti (è nota la sua vicinanza al direttore del SID, il generale Vito Miceli, e allo 007 italiano più famoso del Levante, il colonnello Stefano Giovannone), che afferra il nesso imprescindibile tra politica estera e industria degli armamenti1, che è tanto filopalestinese quanto insofferente alle ingerenze angloamericane. Cavalcando il “terzomondismo” già tracciato da Enrico Mattei, Aldo Moro proietta così l’influenza italiana non soltanto sul Mediterraneo, ma sul Medio Oriente allargato.

La progressiva erosione alle urne del centro-sinistra e l’ostilità di molti esponenti della DC ad un terzomondismo dall’inconfondibile sapore anti-atlantico (si pensi al filobritannico Francesco Cossiga, al filoamericano Paolo Emilio Taviani, al “destrorso” Giulio Andreotti), convince Aldo Moro che l’ingresso del PCI al governo sia inevitabile: non soltanto, infatti, si annullerebbe un’anomalia tutta italiana che impedisce al secondo partito di accedere al governo, ma allargando a sinistra la compagine di governo, si regalerebbe all’Italia una stabilità tale da affrancarsi definitivamente dal giogo angloamericano e da condurre una politica mediterranea in piena autonomia. 

Affondare il “compresso storico” non significa, visto da Londra e Washington, soltanto mantenere l’Italia nell’orbita atlantica, ma anche ribadire la sua subalternità alle potenze uscite vincitrici dall’ultima guerra.

Se il “compromesso storico” è il fattore per stabilizzare l’Italia e rafforzare il suo peso geopolitico, le cancellerie straniere non possono che rispondere con una destabilizzazione violenta dell’Italia: le bombe, il terrorismo, le gambizzazioni, quelle “stragi di Stato” che si avvalgono di complicità italiane ma hanno sempre regia straniera.

Si comincia con la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, in risposta all’attivismo “libico e somalo” di Aldo Moro e ai primi progetti di un ingresso del PCI nella compagine di governo, e si termina il 16 marzo 1978, con la strage di Via Fani ed il rapimento dello stesso Aldo Moro. Già, perché se il presidente della DC non fosse stato giustiziato dopo 55 giorni di prigionia, avrebbe quasi certamente vinto l’imminente corsa per il Quirinale (dopo averla mancata per un soffio nel 1971) e, sedendo al Colle, avrebbe finalmente condotto in porto il suo ambizioso piano: un governo esteso anche al PCI di Enrico Berlinguer. Tra questi due estremi, 1969 e 1978, si assiste ad un’escalation di terrorismo che si intensifica quando il “compromesso storico” sembra concretizzarsi e si raffredda quando sembra allontanarsi: i due anni precedenti al rapimento di Moro, il 1976 ed il 1977, quando l’ingresso del PCI nel governo è ormai nell’aria, sono i più terribili.

Si è scritto molto degli “anni di piombo”, delle responsabilità dei servizi nelle stragi, della connivenza del SISMI nel rapimento dello stesso Moro, delle pressioni atlantiche esercite sul governo italiano (e sul Vaticano) perché nessuna trattativa fosse intavolata con i brigatisti e Moro fosse, di conseguenza, giustiziato: è un Moro, quello detenuto nella “prigione del popolo”, che prende progressivamente coscienza di essere stato tradito e abbandonato da tutti e, perciò, dà precise disposizioni perché ai suoi funerali partecipino esclusivamente i famigliari. Il rito funebre nella basilica di San Giovanni in Laterano, presieduto da Paolo VI e presenziato da tutto il mondo politico, sarà infatti disertato dalla moglie e dai figli del defunto Moro.

Un aspetto secondario, forse un po’ effimero, ma sicuramente interessante è, invece, l’assassinio “culturale” del compromesso storico e della DC impersonificata da Aldo Moro.

La temutissima convergenza tra DC e PCI non doveva essere soltanto stroncata con le pressioni politiche, le intimidazioni e persino il terrorismo, ma doveva essere demolita anche a livello di intellighenzia e di opinione pubblica: i “liberals” dell’Espresso e della Repubblica (fondata nel 1976), gli anglofili riuniti attorno a Eugenio Scalfari, furono tra i più severi detrattori di Aldo Moro e del suo “compromesso storico” e per affermarsi dovettero sgomitare in un mondo culturale ancora dominato dal PCI.

Ma la carta stampata è, si sa, un bene di lusso; il piccolo schermo, poi, era in quegli anni monopolio della RAI, lottizzata da democristiani e comunisti. Restava il grande schermo, una delle armi psicologiche preferite dagli angloamericani: demolire il “compromesso storico” al cinema, ecco cosa bisognava fare. Anzi, meglio ancora: inscenare in anteprima un’esecuzione di Aldo Moro sul grande schermo. Chissà che l’ex-ministro degli Esteri, vedendo il film, non si fosse ravveduto…

L’assassinio di Moro è consumato cinematograficamente due anni prima che il cadavere del presidente della DC sia ritrovato in Via Caetani, nel bagaglio della Renault 4 (probabilmente non distante dal luogo in cui Moro era stato tenuto prigioniero, come evidenziato nel libro “La storia di Igor Markevic: Il direttore d’orchestra nel caso Moro”).

L’esecuzione di Moro (cinque colpi di pistola alla schiena, anziché la decina in pieno petto sparati dalla Skorpion usata nella realtà) appare nelle sale nella primavera del 1976, in vista delle imminenti elezioni politiche: è la scena saliente di “Todo Modo”, tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, diretto da Elio Petri, prodotto da Daniele Senatore e dalla Warner Brothers, interpretato da Gian Maria Volonté.

È una pellicola piuttosto rara, che merita però di essere cercata e vista perché rappresenta il punto più alto della campagna mediatico-culturale contro Aldo Moro ed il compromesso storico. Tutto di questo film merita di essere analizzato, partendo, ovviamente, dal testo di Leonardo Sciascia.

Lo scrittore di Racalmuto (1921-1989) è una personalità complessa, senza dubbio più profonda di Eugenio Scalfari e dei “liberals” che ruotano attorno a Il Mondo, l’Espresso e la Repubblica: ciò non toglie che anche Sciascia abbia abbracciato, forse in buona fede, gli stessi ideali cari a quei circoli anglofili (e massonici). 

Non è certo casuale se l’opera omnia di Sciascia sia attualmente pubblicata da una casa editrice “esoterica” come Adelphi. L’opposizione al compromesso storico, la tesi che l’assassinio Moro sia “una strage di Stato” tutta interna all’Italia (“L’Affaire Moro”,  edito nel 1978), l’ingresso nel Partito Radicale, l’avversione al generale Dalla Chiesa e al magistrato Borsellino, il sostegno alle battaglie di Amnesty International, compongono l’identikit di un intellettuale che gravita nell’orbita liberal-anglofila. In particolare, intraprendo un percorso che lo allontanerà dal PCI sino alla rottura definitiva (1977), Sciascia si schiera apertamente contro la convergenza PCI-DC, da lui presentata come una sorta di corruzione del Partito Comunista: opporsi alla degenerata Democrazia Cristiana è la funzione di Botteghe Oscure, non unirsi a lei. Posizioni, ovviamente, gradite a Londra e Washington e che lasciano interdetti i comunisti.

Nel corso degli anni ‘70, quando l’ipotesi di un PCI “governativo” cresce e matura, Sciascia pubblica due romanzi che suonano come una severa condanna al compromesso storicoIl contesto” (1971) e, appunto, “Todo Modo” (1974). Nel primo lavoro, un giallo sui generis, il Partito Comunista è presentato così organico al potere da insabbiare persino, per ragioni di Stato, la verità sull’omicidio del proprio segretario. Nel secondo libro, il protagonista, un pittore disilluso e agnostico, soggiorna nel misterioso eremo Zafer, dove il luciferino padre Gaetano ospita cardinali, ministri e boiardi di Stato per gli annuali esercizi spirituali: due indecifrabili omicidi culminano con l’assassinio dello stesso don Gaetano per mano del pittore, che compie così una sorta di redenzione. Il “giallo” è un durissimo attacco alla Democrazia Cristiana, dipinta come un nido di serpi, un informe ammasso di ladri e bigotti, devoti soltanto al potere e all’arricchimento personale. Il pittore-protagonista sogna “di vederli tutti annaspare dentro una frana di cibi in decomposizione”: è lo stesso sogno che coltivano gli ambienti anglofili e liberal, sogno poi avveratosi nei primi anni ‘90 con la stagione di Tangentopoli eterodiretta da Washington e Londra.

Passa qualche anno e, in vista delle elezioni del giugno 1976 (dove il PCI raggiunge il massimo storico, toccando il 34% dei consensi), crescono i timori che il compromesso storico si inveri: insediatosi il nuovo Parlamento, formato un governo con l’appoggio esterno dei comunisti, eletto Aldo Moro al Quirinale, il PCI potrà finalmente entrare a pieno titolo nella compagine governativa, dando all’Italia una stabilità (ed un peso geopolitico) senza precedenti. La macchina propagandistica si mette perciò prepotentemente in moto: i due romanzi di Sciascia sono un’ottima base per produrre altrettanti film, destinanti al grande pubblico, per denigrare il PCI, la DC ed il temutissimo

Continua qui: http://federicodezzani.altervista.org/todo-modo-la-genesi-del-film-che-anticipo-lassassinio-di-aldo-moro/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Correre

Anastasio, cantante

Correre, tu devi correre
Non devi domandare né rispondere
Ti devi alimentare con le compere
Scattare, commentare, scorrere
In quarta elementare m’hanno detto di
sognare perché il mondo stava pronto per risorgere
E sarebbe stato mio, dovevo solo correre
E gli altri si mangiassero la polvere
Correre, correre, circolare, qui non si può stare già da troppi anni
Vorrei parlare con il titolare, voglio spiegazioni, voglio lamentarmi, voglio i miei vent’anni
Voglio delle scuse ed il rimborso danni, poi la voglio smettere
L’ufficio reclami di Cristo è intasato di lettere
Prova a riflettere che vuoi che dica
Se vedo soltanto sorrisi incollati su facce depresse e promesse firmate a matita, bella la vita
La vedo per come mi arriva
Che tanto domani è finita, sto zitto
Ho scritto una lettera bianca ma non l’ho spedita

Oh, no
E non la spedirò mai
In questo parla parla per salire a galla quanto lotterai
Oh no
Povera verità
Nel calderone dell’opinione lei morirà

Vecchi, come state?
Vi state godendo la festa?
Io non lo so mica, mi manca il respiro ed a tratti mi gira la testa
Mi hanno educato per vivere in bilico
Mai sentito del pensiero liquido? Io te lo amplifico, voglio innovare
Oso pensare a un pensiero gassoso, molecolare
Tra le molecole zero legame, basta guardare il tessuto sociale
Capisci perché stiamo fissi a giocare agli artisti ed a fotografare
Ci vogliamo affermare
Ma sbattiamo nel muro
Siamo chiunque e non siamo nessuno e io sono sicuro soltanto del fatto che sono insicuro
Passo le ore a aggiornare una pagina solo a vedere chi mi ama e chi no
Bruciano gli occhi, lo schermo mi
lacera, guardo la vita attraverso un oblò
Tuo figlio idolatra un idiota che parla di droga e di vita di strada
Scalata sociale di gente normale alla nostra portata
La storia è cambiata compagni miei
Tutto è concesso da adesso in poi
Puoi essere quello che vuoi, basta scordarti di quello che sei
Puoi essere quello che vuoi, basta scordarti di quello che sei
Puoi essere quello che vuoi, basta scordarti di quello che sei
Per essere quello che vuoi devi scordarti di ciò che sei
E tu, puoi essere quello che vuoi, basta scordarti di quello che sei
Puoi essere quello che vuoi, basta scordarti di quello che sei
Per essere quello che vuoi devi scordarti di quello che sei

 

Compositori: Fabrizio Ferraguzzo / enrico brun

 

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Benvenuti nell’epoca dei senza età o dei cronologicamente ambigui

Le stagioni della vita sono mutate. Le lancette si spostano in avanti. Così mostrarsi o avere legami con partner di 15, 20 anni più giovani ed essere complici invece di genitori è sempre più frequente. 

16 marzo 2019


Cronologicamente ambiguo. La definizione viene usata in archeologia quando la datazione di un documento o reperto sono incerti. Da un po’ di tempo però il criterio d’attribuzione cronologico usato per mummiecodici miniati, tele pittoriche e libri antichi, si è trasferito agli umani. Alle persone di entrambi i sessi alle quali è difficile attribuire un’età. Vecchio e giovane, ma allo stesso modo di “età media”, sono da parecchi anni categorie inadeguate a racchiudere con precisione un tempo di vita o un’età anagrafica.

D’altronde non viviamo, come ha scritto Zygmunt Bauman, nell’età dell’ambiguità? In una società liquida, dove la velocissima e devastante transizione non risparmia nulla e nessuno? Punti fermi e approdi sicuri ce ne sono sempre meno: è un dato di fatto e di realtà. Perché tutto è in movimento: persone, merci, immagini, esperienze, ma anche valori, modi di rappresentarsi e relazionarsi. Così come i tempi di vita e della quotidianità si confondono e sovrappongono (davanti al pc sto lavorando o mi sto divertendo?), anche le età della vita sono sottoposte alla stessa pressione e torsione. Si è giovani adolescenti alle prese con l’acne e in un attimo ci si trova vecchi a fare i conti con i problemi dell’incontinenza.

È inattuale chiedere l’età. «Ho gli anni

 

Continua qui: https://www.lettera43.it/it/articoli/cultura-e-spettacolo/2019/03/16/eta-anagrafica-giovinezza/230165/

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

“Anaconda”, la NATO prepara la guerra

© AFP 2018 / Alik Keplicz – 11.06.2016    RILETTURA

Tatiana Santi

La Russia è più pericolosa di Daesh, potrebbe attaccare la Polonia e i Paesi Baltici in ogni momento, una vera minaccia secondo gli amici americani. Proprio per questo in Polonia è in atto “Anaconda”, l’esercitazione NATO più massiccia dalla guerra fredda.

Carri armati tedeschi attraversano la Polonia in lungo e in largo, no, non è una scena della II Guerra mondiale, è la realtà di oggi. L’esercitazione dal gioioso nome “Anaconda”, come anche le precedenti missioni NATO in Europa, hanno lo scopo di preparare i Paesi membri alla guerra.

L’esercitazione “Anaconda”, che vede la partecipazione di 30 mila soldati e si svolge ad un mese dal vertice NATO a Varsavia, sembra più che altro una bella provocazione alla Russia. Perché bisognerebbe prepararsi ad una guerra contro Mosca? Gli Stati Uniti sono stati informati che la guerra fredda è finita?

Sputnik Italia ha raggiunto per una riflessione in merito il giornalista e documentarista Fulvio Grimaldi.

La NATO incontra in Polonia i primi problemi

— In Polonia la NATO sta svolgendo le esercitazioni “Anaconda”, le più grandi dalla fine della guerra fredda. Fulvio, qual è il suo punto di vista in merito?

— Questa esercitazione gigantesca con oltre 30 mila soldati americani segue quella della Trident Juncture dell’ottobre scorso nel Mediterraneo. Queste due esercitazioni indicano apertamente che c’è una strategia di aggressione nei confronti da un lato dei Paesi del Mediterraneo, in particolare la Siria, dall’altro lato nei confronti della Russia.

Sono esercitazioni a carattere provocatorio allucinante, incredibile, perché oltretutto non ci sono i motivi neanche più trascurabili per missioni di questo genere. Questo si aggiunge poi alla collocazione dei missili strategici in Romania e in Polonia, alla costante militarizzazione dei Paesi Baltici. Si sta creando un cerchio, una cintura d’acciaio nei confronti della Russia. Questo non soltanto è pericoloso, ma anche irresponsabile.

— Quale rischio si può correre con queste esercitazioni secondo lei?

— C’è il rischio che a qualcuno sfugga il controllo della situazione, parta una provocazione e ci sia poi una reazione. In quel caso poi chi ferma l’escalation? Abbiamo inoltre in Occidente, soprattutto negli Stati Uniti, una classe dirigente ultra aggressiva, conservatrice e militarizzata, la cui politica economica dipende dal complesso industriale militare. Tutto dipende dalla guerra. Il pericolo è estremo, confidiamo nella capacità dei russi e dei Paesi che non ci stanno con questo tipo di accerchiamento, di mantenere i nervi saldi e di mostrare

Continua qui: https://it.sputniknews.com/opinioni/201606112872222-polonia-nato-anaconda/

 

 

 

 

Blackout e aiuti bruciati, la stampa Usa smaschera Guaidò

Scritto il 12/3/19

Aiuti umanitari per il Venezuela bruciati oltre confine: non da Maduro, ma dal rivale Guaidò, con l’obiettivo di incolpare il governo di Caracas. È la stampa Usa ad accusare lo stesso Guaidò (e Washington) sia per l’auto-distruzione degli aiuti che per il drammatico blackout inflitto al Venezuela, con almeno 14 pazienti deceduti negli ospedali. Le denunce del “New York Times” e di “Forbes”, scrive Gennaro Carotenuto sul suo blog, attestano che in Venezuela la guerra è già cominciata, e che le false notizie dominano incontrastate la costruzione dell’opinione pubblica. «Le guerre di nuova generazione fanno morti come e più di quelle che si combatterono con la clava, la balestra o il fucile Chassepot», scrive Carotenuto. «Rispetto alla gravità del blackout in Venezuela, ai media italiani è piaciuto a scatola chiusa sposare la tesi dell’inettitudine chavista», dato che i chavisti «sono per definizione tutti incapaci, sanguinari e corrotti». Al contrario, «vari media statunitensi hanno preso molto sul serio e considerano credibile che il blackout in Venezuela sia stato causato da un cyber-attacco informatico Usa». Se così fosse, aggiunge Carotenuto, «saremmo di fronte a un atto di guerra», nell’ambito di un conflitto “di quarta generazione”. Tanto per chiarire: «Fossero stati gli hacker russi, parleremmo di terrorismo».

Visto che invece i presunti autori del sabotaggio sono gli statunitensi, bisogna parlare di iniziative belliche «nelle quali viene bypassata la forza militare tradizionale per usare azioni di carattere economico, culturale e psicologico, in particolare usando l’informatica». Un attacco informatico così ben portato e riuscito, spiega Carotenuto, aggirerebbe infatti il veto del Brasile, contrario a una guerra tradizionale: veto al quale il vice di Trump, Mike Pence, «ha dovuto chinare il capo». Ma un simile attacco indurrebbe anche a pensare che, per la prima volta, Maduro non avrebbe più il pieno controllo su una infrastruttura-chiave quale quella elettrica. Non è più necessario far saltare tralicci o avvelenare materialmente gli acquedotti per indurre la popolazione alla disperazione, spingendola a ribellarsi contro il “regime”. «È una cosa mai successa, dalla Barcellona repubblicana martirizzata dagli italiani, alla Roma fascista colpita dagli Alleati, dal Vietnam comunista alla Serbia di Milosevic», scrive Carotenuto. Ma in ogni conflitto si trova sempre «chi è disposto a spergiurare che basti un po’ di disperazione in più», da parte dei civili che si pretende di salvare, «per far trionfare il bene». E ora, nonostante «la cosiddetta crisi umanitaria», sembra che qualcuno si sia convinto che i venezuelani «non siano ancora sufficientemente disperati».

Oggi infatti basterebbero poche righe di codice per “spegnere” un paese intero, continua Carotenuto. «Quelli che plaudono al “regime change” saranno contenti, no? Niente bombardamenti, niente stivali sul terreno, stesso risultato». La storia peraltro si ripete: «Nel 1973 in Cile i sindacati statunitensi finanziarono lo sciopero dei camionisti (che più scioperavano più guadagnavano) che impedì per settimane gli approvvigionamenti, alimentando l’idea di caos contro il governo Allende», in vista del golpe militare dell’11 settembre attuato da Pinochet. Fin qui, premette Carotenuto, ognuno la pensi come gli pare. Ci sono però dettagli che appaiono «inesorabilmente repellenti». Per esempio: l’onnipresente senatore repubblicano Marco Rubio – che nei giorni scorsi era a Cúcuta – “vanta” che il blackout, da lui annunciato in mondovisione appena tre minuti dopo il suo inizio (praticamente una rivendicazione) avrebbe causato la morte di 80 bambini prematuri in un reparto neonatale a Maracaibo. «I media italiani riprendono Rubio senza verifica alcuna, e non hanno alcuna capacità o voglia di collegare l’attivismo del senatore con la semi-rivendicazione del blackout stesso, come se questo fosse un osservatore neutrale».

Se però la presunta morte dei neonati – smentita da fonti locali – fosse davvero dovuta all’attacco informatico statunitense, e non «alla leggendaria insipienza chavista», questo cambierebbe radicalmente le cose: «Sarebbe un giusto prezzo da pagare alla liberazione del Venezuela?». Gli 80 neonati in quell’ospedale dello Zulia sarebbero ufficialmente “danni collaterali” di una guerra combattuta innanzitutto con l’ipocrisia, sottolinea Carotenuto. «Rubio infatti usa la notizia dei neonati morti per rilanciare la necessità di far entrare subito in Venezuela aiuti umanitari». Va per la sua strada, Rubio: il Venezuela è un paese in crisi umanitaria e noi dobbiamo fare entrare gli

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/03/blackout-e-aiuti-bruciati-la-stampa-usa-smaschera-guaido/

 

 

 

CULTURA

Dopo l’indignazione, il conflitto sociale

Dalle mobilitazioni di pura testimonianza degli indignados al conflitto sociale dei gilet gialli. Siamo davanti a una seconda fase dell’indignazione? Una riflessione sui movimenti di resistenza alla ristrutturazione reazionaria del mondo a partire da due saggi di Manuel Castells (“Reti di indignazione e speranza”) e del Collettivo EuroNomade (“Gilets Jaunes”).

 

di Pierfranco Pellizzetti – 1 marzo 2019

 

«La rifondazione delle democrazie, ferite dalla
terapia anti-crisi, è un bene pubblico che i cittadini
possono fare proprio e influenzare. Chi si batte su
ambedue i fronti è chiamato populista perché si è
messo semplicemente in ascolto dei popoli indignati,
grandi assenti nelle oligarchie che fanno e disfano
l’Unione»[1].
Barbara Spinelli

«The real tragedy is that this deep social unease
is currently not producing any focal point for
aggregation and representation»[2].
Pierfranco Pellizzetti

 

Manuel CastellsReti di indignazione e speranza, Università Bocconi Editore, Milano 2012

Collettivo EuroNomadeGilets Jaunes, Manifestolibri, Roma 2019

Sovranismo fuorviante

Mentre gli scenari mutano incessantemente, troppo spesso alla ricerca della comprensione di quanto sta accadendo viene anteposto l’arzigogolo citazionista, al fine di propugnare tesi aprioristiche per partito preso: dall’assunto castellsiano di vent’anni fa sulla «opposizione tra due logiche spaziali: quella dello spazio dei flussi e quella dello spazio dei luoghi»[3] alle analisi coeve di Saskia Sassen in materia delle disconnessioni urbane come enclosures di ritorno; questa volta divides tra quartieri vetrina e periferie precarizzate, le contrapposte concentrazioni di ricchezza e degrado[4]. Il tutto al fine (teorico o ideologico?) di smentire insieme a un geografo francese – Christophe Guilluy – «la rappresentazione dei conflitti che da qualche anno dilaniano le maggiori società occidentali in termini di antagonismo fra popolo ed élite, alto e basso, super ricchi e gente comune»[5].

À quoi bon, dunque?

Un’acrobazia argomentativa per sostenere che l’odierna lotta di classe non sgorga secondo prassi dalle sperequazioni distributive, acuite dalla disuguaglianza postindustriale, bensì dall’antagonismo tra confini e spazio globalizzato. Tesi che consente il passaggio successivo: l’affermazione di un sovranismo di sinistra come ritorno salvifico al passato. In questo caso le “piccole patrie”, quale uscita di sicurezza rispetto ai presunti guasti prodotti dal superamento dell’assetto vestfaliano nel cosiddetto network-State: la governance multilivello sub-statuale, statuale e sovra-statuale; sperimentata in sede europea a fronte della crisi dello stato-nazione.

Un ritorno al passato – quello sovranistico – che suona a riflesso condizionato imputabile al peggiore marxismo “volgare”, inteso quale mentalità scolastica, in cui determinismo fa rima con semplicismo: l’idea balzana (consolatoria e demagogica) che il ripristino di vecchie perimetrazioni comporterebbe l’automatica riaffermazione di una sovranità “popolare” del tutto onirica. L’idea naif della democrazia come rito ecumenico (unanimistico) pacificato; nell’oblio di quanto – in una antico dibattito su il Marxismo e lo Stato – Norberto Bobbio illustrava della sua natura “sovversiva”: «tanto sovversiva è la democrazia che, se fosse pienamente realizzata, sarebbe essa, e non la ipotetica società senza classi, la fine dello Stato, la società senza Stato»[6].

Quel mito ingenuo del popolo, soggettivizzato nel partito “moderno principe”, fatto a brandelli da una preziosa tradizione critica sulle manipolazioni sistematiche di siffatta sovranità, da parte di quanto Michel Foucault denominava Potere-Verità (per cui «la critica designa il movimento attraverso il quale il soggetto si riconosce il diritto di interrogare la verità nei suoi effetti di potere e il potere nei suoi discorsi di verità»[7]). Binomio potenziato dagli odierni arsenali della comunicazione informatizzata. A fronte dell’infantilizzazione sovranistica che presume dietro l’angolo quanto mai fu dato esistere: “la democrazia degli angeli”, in cui la volontà collettiva si afferma senza

 

 

Continua qui: http://temi.repubblica.it/micromega-online/dopo-l-indignazione-il-conflitto-sociale/

 

 

 

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Il mistero s’infittisce. Pm: “Nessuno deve vedere il cadavere di Imane Fadile”

17, marzo, 2019

 

 

Il pubblico ministero ha ordinato all’obitorio milanese che lo ha in custodia di non mostrare neppure a parenti e amici il corpo di Imane Fadil, la 34enne modella di origine marocchina e teste chiave nel processo Ruby morta il primo marzo per un possibile avvelenamento.

 

Non farla vedere a nessuno”, è la scritta che si legge sul fascicolo dell’obitorio

 

Continua qui:

https://www.imolaoggi.it/2019/03/17/il-mistero-sinfittisce-pm-nessuno-deve-vedere-il-cadavere-di-imane-fadile/

 

 

 

 

Quando l’élite inventa “il popolo contro l’élite”

11 Febbraio 2019 da Federico Dezzani

 

Dalla Brexit alla nascita dei gilets jaunes in Francia, passando per l’elezione di Trump e la nascita del governo pentaleghista, il dibattito pubblico è dominato dal tema “il popolo contro l’élite”: gli stessi media avvalorano la tesi di una ribellione “nazional-popolare” contro le élite trans-nazionali ed il loro sistema socio-economico, ormai insostenibile per l’elettore medio Assodato che la storia è scritta delle élite, i leader populisti rappresentano una “nuova élite” contro la precedente? Sono “il meglio” del popolo che sfida il vecchio ordine? No, semplicemente l’élite angloamericana ha “inventato” una ribellione del popolo contro se stessa e ne ha scelto persino i capi: la funzione dei “populisti” è quella di demolire un sistema internazionale che non fa più gli interessi di chi l’ha costruito.

E crearono i populisti a loro immagine

Correva l’ottobre 2016: la Brexit era già cosa fatta e, di lì a poco, Donald Trump avrebbe conquistato la Casa Bianca. Uscimmo allora con un articolo dal sintomatico titolo “Populismo: quando l’oligarchia perde il controllo della democrazia”, dove anticipavamo di circa uno o due anni un tema che avrebbe poi dominato il tema politico successivo : “la rivolta del popolo contro l’élite”. Allora eravamo giovani ed inesperti e commentavamo le ombre sul muro della caverna: ricorrevamo a valide argomentazioni e brillanti spunti, ma commentavamo pur sempre ombre. A distanza di due anni, è tempo di tornare sull’argomento e correggere gli errori, tanto più che il dibattito “popolo contro élite” domina ancora la scena e sembra ingannare la maggior parte dell’opinione pubblica.

Partiamo dai concetti validi del nostro precedente articolo: qualsiasi forma di governo (monarchico, oligarchico, democratico) si basa su un’élite e, di conseguenza, lo scontro tra diversi Stati non è nient’altro che uno scontro tra élite diverse. L’élite esprime una linea politica di medio-lungo termine, sceglie il modello di sviluppo economico, stabilisce persino ciò che è buono e bello. Il popolo si può definire come uno “strumento al servizio dell’élite”, che teoricamente avrebbe interesse al benessere delle masse non soltanto per “usarle” nello scontro contro le altre élite, ma anche per conservare il potere. Nulla vieta, infatti, che in seno al popolo si formi “una nuova élite” che, sfruttando le debolezze della precedente, si lanci alla conquista del potere: illuminanti, a questo proposito sono le “avanguardie del proletariato” di leninista memoria.

Posto che la storia la storia è fatta dall’élite, possiamo quindi smontare (come peraltro avevamo già iniziato a fare nel 2016) la teoria del “popolo contro l’élite”: il popolo segue, l’élite avanza. La domanda successiva è: i populisti rappresentano una nuova élite, in netta opposizione a quella precedente? Si può parlare di uno scontro tra élite? I brexiters, Trump, i pentaleghisti ed i gilets jaunes sono le nuove “avanguardie del popolo”? Beh, se così fosse, se rappresentassero davvero una nuova élite, dovremmo osservare un qualche cambiamento nel loro approccio in politica estera: lungi dal fare l’interesse del popolo, le “nuove élite” sembrerebbero portare avanti la stessa politica di potenza di quelle precedenti: opposizione alla Cina, contenimento della Russia, sfida alla Germania. Tra “l’Occidente” e gli “sfidanti” non si registra nessun cambiamento, lasciando pensare che i rappresentati del popolo siano soltanto un camuffamento della vecchia élite.

È davvero così? E, se la riposta è affermativa, perché l’élite ha dovuto camuffarsi, creando la falsa (poiché priva di qualsiasi fondamento storico) dialettica del “popolo contro l’élite”?

Una risposta avventata ed errata sarebbe quella di affermare che l’élite ha concesso al popolo quel minimo di cambiamento necessario per tenerlo sotto controllo: dopo anni di impoverimento della classe media e di politicamente corretto, era necessario “raddrizzare” un po’ la rotta per evitare di schiantarsi contro gli scogli del malessere popolare. Niente di più errato: purtroppo i mezzi di manipolazione/repressione sono tali che l’élite avrebbe potuto proseguire indisturbata le proprie politiche. E allora perché inventare i populisti e la “guerra all’élite”? La riposta è: perché all’élite serviva distruggere l’attuale ordinamento internazionale, che non rispecchia più i suoi interessi. Ne è derivata la creazione della dialettica “popolo contro élite”, per radere al suolo ciò che la stessa élite aveva edificato negli ultimi settant’anni. I brexiters, Trump, i pentaleghisti ed i gilets jaunes sono strumenti dell’élite per archiviare “il Nuovo Ordine Mondiale” consolidatosi dopo il collasso dell’URSS nel 1991.

Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, l’oligarchia atlantica instaurò un sistema socio-economico, basato sulla libertà di spostamento di persone, merci e capitali, che, ideato per avvantaggiare in primis Londra e Washington, ha finito col beneficiare soprattutto Cina (tramite l’export di prodotti finiti), Germania (sempre tramite l’export di prodotti finiti) e Russia (tramite l’export di

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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Migranti, Viminale: nel 2019 sbarchi crollati del 94%

Da inizio anno sono stati 335. Salvini: finita la mangiatoia

 

Milano, 17 mar. (askanews) – Da inizio anno a oggi gli sbarchi di migranti in Italia sono crollati del 94,37%. E’ quanto si apprende dalle statistiche diffuse dal Viminale, in base ai dati aggiornati al 15 marzo.

Nel dettaglio, dal primo gennaio 2019 al 15 marzo sono 335 i migranti sbarcati in Italia mentre nel 2018, nello stesso periodo di riferimento, erano stati 5.945.

“Azzerati gli sbarchi, finita la mangiatoia!”, commenta sui social il

 

Continua qui: http://www.askanews.it/cronaca/2019/03/17/migranti-viminale-nel-2019-sbarchi-crollati-del-94-pn_20190317_00005/

 

 

 

 

ECONOMIA

LA GNOSI E LE DOTTRINE ECONOMICHE DEL XX SECOLO

Luigi Copertino  13 Marzo 2019

Premessa

Il Novecento è stato il secolo nel quale il Politico, per via delle pulsioni totalitarie che lo hanno afflitto, si è “socializzato” ossia ha gradualmente ceduto al primato dell’Economico. Questa “socializzazione” ha avuto origine nella pretesa totalizzante che, nella prima parte del secolo, il Politico ha accampato dando l’impressione di poter assorbire la Società Civile nello Stato. Invece, una volta eliminata, secondo il paradigma totalitario dell’immanenza tra Stato e Società Civile, la distanza e la differenza tra Politico ed Economico, assorbendo quest’ultimo nel primo, il risultato finale, passato il momento “caldo”, “sacrale”, dell’ideologia totalitaria, ovvero rovesciatasi la premessa iniziale nel vortice dell’eterogenesi dei fini, è stato quello della dissoluzione del Politico nell’Economico. Non a caso sul finire del secolo che aveva conosciuto i totalitarismi, mentre iniziava il XXI secolo, la parola d’ordine è stata quella della sostituzione dei rappresentanti della società civile alla politica tramontante dei partiti di eredità ideologica.

Come è noto il Novecento è stato caratterizzato dal confronto tra due teorie economiche, che si sono contrapposte sia riguardo alla diagnosi circa lo stato di salute della realtà economica sia riguardo al tipo di terapia eventualmente necessaria. I rappresentati più autorevoli di queste due correnti di pensiero sono stati l’inglese John Maynard Keynes (1883 – 1946) e l’austriaco Friedrich August von Hayek (1899 – 1992). Nella prima parte del secolo ha trionfato la teoria keynesiana, coincidente con la fase dell’egemonia statuale tendenzialmente totalizzante, mentre nella seconda parte ha prevalso, benché nella forma più aggiornata del monetarismo di Milton Friedman, la teoria neoclassica della cosiddetta “Scuola austriaca”, della quale von Hayek, insieme a von Mises, fu il maggior esponente. L’indirizzo “austriaco-monetarista” ha corrisposto al subentrare storico, dopo la fase statuale, del momento del raffreddamento mercatista, ossia del momento della dissoluzione del Politico nell’Economico. Keynes è stato l’ispiratore delle politiche interventiste di sinistra, Hayek delle politiche liberiste di destra.

Dobbiamo ad un caro amico, docente universitario di economia, il prof. Adriano Nardi, una approfondita analisi delle implicanze religiose, ma spurie, nel pensiero dei maggiori antagonisti sulla scena delle dottrine economiche del secolo scorso, ossia i citati Keynes e Hayek. Nel trattare, a scopi divulgativi, questo argomento ci dichiariamo, appunto, debitori della fatica del Nardi, alla quale rimandiamo chi voglia usufruire di maggiori cognizioni in argomento (1).

Due teorie contrapposte

La convinzione portante del pensiero di Keynes è che non esiste, in seno all’economia di mercato, alcun automatismo che garantisca il perfetto equilibrio tra le variabili economiche fondamentali, ovvero la domanda e l’offerta di merci e servizi, tale che possa assicurare il pieno impiego di tutte le risorse disponibili e quindi la piena occupazione. Dalla sua analisi pessimistica del funzionamento del mercato Keynes deduceva la necessità di specifici interventi equilibratori da parte dello Stato. I fatti, annotò realisticamente, Keynes smentiscono la “legge degli sbocchi”, formulata Jean-Baptiste Say (1767-1832), per la quale l’offerta crea la sua domanda, rendendo piuttosto palese che semmai è il contrario ossia che senza la domanda non c’è offerta. Il capitalismo tende naturalmente a distruggere la domanda nel momento stesso nel quale per fare profitto è costretto a ridurre i costi ad iniziare da quello del lavoro, che è la base stessa della domanda che poi, secondo la prospettiva settecentesca del Say, dovrebbe assorbire la produzione ovvero l’offerta. Ma proprio la tendenza capitalista a ridurre il costo del lavoro a vantaggio dei profitti attesta, ed i fatti hanno dimostrato, che la convinzione del Say, sulla quale si era fondata l’economia classica ottocentesca, era fallace e che, quindi, come aveva ben intuito Marx, il capitalismo divora sé stesso se, dice Keynes, non opportunamente corretto. La correzione deve intervenire, in particolare nei momenti di recessione del ciclo economico, da parte dello Stato mediante la spesa pubblica a deficit al fine di sostenere la domanda aggregata e rendere possibile la stessa sopravvivenza del capitalismo.

In particolare, il Say sosteneva che in regime di libero scambio non sarebbero possibili crisi prolungate, poiché l’offerta crea la domanda. Difatti, in una economia di libero mercato ciascun soggetto è al tempo stesso compratore e venditore. Se pertanto si ha un eccesso di offerta, la diminuzione del livello dei prezzi renderà conveniente nuova domanda. È in tal senso, diceva Say,  l’offerta sarà sempre in grado di creare la propria domanda. Sicché in caso di crisi da sovrapproduzione il rimedio non deve l’intervento dello Stato ma semplicemente aspettare che la capacità autoregolatoria del mercato ristabilisca il nuovo equilibrio economico. Convinto che ogni produzione trova sempre un naturale sbocco sul mercato, Say era di conseguenza convinto che il mercato lasciato libero di funzionare tendesse a raggiungere l’equilibrio di piena occupazione. I due corollari della legge del Say sono che ogni produzione genera un reddito di importo equivalente e che tutto il reddito viene sempre interamente speso, direttamente o indirettamente.

Say, nel XV capitolo del Libro I della sua opera “Traité d’èconomie politique” del 1803, descriveva in questi termini la legge degli sbocchi: «Un prodotto terminato offre da quell’istante uno sbocco ad altri prodotti per tutta la somma del suo valore. Difatti, quando l’ultimo produttore ha terminato il suo prodotto, il suo desiderio più grande è quello di venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto nelle sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua vendita gli procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora non ci si può liberare del proprio denaro se non cercando di comperare un prodotto qualunque. Si vede dunque che il fatto solo della formazione di un prodotto apre all’istante stesso uno sbocco ad altri prodotti».

Qui il Say non faceva altro che descrivere la regola della contabilità a partita doppia secondo la quale un soggetto è in qualsiasi transazione contemporaneamente sia addebitato che accreditato. Da questo l’economista ottocentesco concludeva, troppo semplicisticamente, che, essendo ogni venditore anche un compratore e viceversa, il denaro ricavato da una vendita sarà sempre

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/la-gnosi-e-le-dottrine-economiche-del-xx-secolo-di-luigi-copertino/

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Ing Bank, da Bankitalia stop a nuove operazioni in Italia

Carenze nel rispetto della normativa in materia di antiriciclaggio

17 marzo 2019

La Banca d’Italia, con provvedimento del 12 marzo, ha imposto alla succursale italiana della Ing Bank di astenersi dall’intraprendere operazioni con nuova clientela. La clientela in essere non viene toccata dal provvedimento.

Bankitalia ha adottato tale provvedimento a seguito di verifiche ispettive, condotte dal primo ottobre 2018 al 18 gennaio 2019, dalle quali sono emerse carenze nel rispetto della normativa in materia

Continua qui:

http://www.askanews.it/economia/2019/03/17/ing-bank-da-bankitalia-stop-a-nuove-operazioni-in-italia-pn_20190317_00003/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

“Mafia nigeriana: origini, rituali, crimini”

11, marzo, 2019

La tragica vicenda della ragazza di Macerata, fuggita da una comunità di recupero e orribilmente mutilata – non si sa se da viva o da morta – da un gruppo di spacciatori nigeriani, non può che suscitare sconforto, paura e terrore. Ci troviamo di fronte al più clamoroso esempio di come la presenza della mafia nigeriana stia progressivamente modificando il contesto della criminalità organizzata in Italia nelle sue manifestazioni più sanguinose. Partendo da una tale premessa, questo libro prova a mettere ordine, tra casi di cronaca e analisi del contesto italiano contemporaneo, a un fenomeno che non è solo di natura criminale, ma che tocca molteplici aspetti del lato più oscuro dell’essere umano: un fenomeno globale che affonda le radici in rituali cannibalici e si mescola con l’anomia sovranista occidentale.

 

Continua qui: https://www.imolaoggi.it/2019/03/11/mafia-nigeriana-origini-rituali-crimini-saggio/

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

UN SUICIDIO ALLA CORTE DI JUNCKER

Maurizio Blondet  15 Marzo 2019

“Laura Pignataro s’è suicidata il 17 dicembre. Questa alta funzionaria del servizio giuridico della Commissione Europea era stata costretta a difendere la nomina, macchiata di irregolarità, di Martin Selmayr, già capo di gabinetto di Jean-Claude Junker, come   segretario generale dell’istituzione”.

Così esordisce un articolo apparso du Libération intitolato: “Selmayrgate, conflitti d’interesse, menzogne e…suicidio”.

https://t.co/KiY7nGEVne

Segue una storiaccia da corte rinascimentale, veleni e pugnali, che immediatamente la Commissione Europea  ha smentito con furia.  Il  guaio è che l’autore dello scoop  è Jean Quatremer, giornalista di rinomanza e prestigio indiscusso, già in passato autore di rivelazioni scandalose sulla Corte (dei Miracoli)  di Bruxelles, smentite  altrettanto furiosamente e poi confermate dai fatti.

Laura Pignataro, giurista italiana di 50 anni, era qualcuno che contava   nella “bolla europea”. Brillante giurista, figliadi un magistrato,  formata in Italia, Usa, Francia e Spagna,  faceva parte del gruppo molto chiuso dei vertici.  Qui in un video del  2015.

VIDEO QUI: https://youtu.be/ov6AhM7xJtQ

Il 17 dicembre, alle 7.30,  Laura Pignataro chiede a Laura B.,   l’amica che ospita a casa sua da qualche tempo, di accompagnare sua figli di 14 anni  al bus della scuola perché  lei, dice, non si sente bene.

In realtà, sbito dopo, la dottoressa sale all’ultimo piano dell’edificio e si  lancia di sotto.  Muore sul colpo.  Perchè questa giurista di 50 anni si è suicidata? Nessuno lo saprà mai con certezza, perché non la lasciato una parola”.

Martin Selmay è il   tedesco che la Merkel ha messo alle costole  di Juncker  come segretario-badante e  egstore reale delle pratiche europee:  autoritario, arrogante, senza scrupoli –  insieme molto competente.   In realtà, Juncker “non ha mai presieduto una sola volta le riunioni di  gabinetto”, ha rivelato Libération: “e tutti quelli che vogliono accedere al presidente, compresi i capi di Stato e di governo, devono passare per Selmayr” .

Juncker non  può  farne evidentemente a meno,  perchè un anno fa, nel marzo 2018,  Selmayr viene di colpo nominato segretario  generale della  Commissione,   ossia il capo supremo dlla “macchina”, con 33 mila dipendenti ai suoi ordini  – che di fatto  manovra lui tutte le pratiche che Juncker non è più in grado di capire.

Selmayr è stato elevato a quella carica massima in violazione di tutte le procedure, scavalcando direttori generali che  hanno diritto di  primazia, con un golpe da bassa  corte ottomana che Quatremer già ha descritto allora:

L’ombdusman europeo ha dichiarato la nomina irregolare;   l’europarlamento l’ha  bocciata;  Juncker  ha minacciato di dimettersi se si fosse costretto Selmayr a dare le dimissioni. Fatto sta che il personagio è restato lì dove non doveva, a conferma di quanto il parlamento europeo non conti   niente e   che quelli che contano nella UE sono favoriti e trame. Adesso Libération collega il suicidio della Pignataro alle pressioni che avrebbe subito dalla cosca  Selmayriana.

L’articolo  è  pieno di   dettagli significativi d di come  la coppia Selmayr-Juncker   calpesta la legittimità della  Commissione; il che spiega il fatto che i due  hanno   cominciato a smantellare l  il servizio legale, per  loro scomodo – e con la Pignataro, anche di più .  Irregolarità inaudite nella salita ddi Selmayr alla massima polrona, tali   che la Pignataro, come responsabile legle, non poteva far finta di nulla.

Costretta a mentire all’ombdusman,  poi  non ce la fa’ e dice la verità, consegnando anche  mail e docuemnti sulla irregolarità della strana promozione del badante. Selmayr le telefona di notte per darle istruzioni.

“Il 12 dicembre, secondo le confidenzhe Laura fa ai suoi,  afferma: “Ho sbagliato carriera”. E poi: “Sono finita. Non puoi immaginare cosa sono stata  obbligata  fare queste ultime settimane.”  Secondo questa fonte, scrive Quatremer, “aveva l’aria terrorizzata  dall’ostilità di Selmayr”.  Quattro giorni dopo, salta nel vuoto.

Il superiore diretto della Pignataro, lo spagnolo Luis Romero  (che l’aveva abbandonata  alla mercé di Selmayr , senza difenderla) , apprende la cosa durante una riunione alle 9.25.  Senza dir niente, lascia la sala.

Nè Selmayr, né Oettinger, il commissario incaricato dell’amministrazione, né Juncker, riterranno utile  mandare le condoglianze alla famiglia,  nè di assistere (o farsi rappresentare)  alla cremazione che  ha luogo il 21 dicembre.

L’esecutivo europeo  rifiuta di dire se sono state condotte indagini interne sulle ragioni del suicidio:  stress? bullismo? Persecuzione morale? Domande da porre tanto più, in quanto il Servizio Giuridico ha conosciuto sei  suicidi (su 250 persone)

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/27057-2/

 

 

 

 

Il Solitary Assassin è solo il terzo “evento” accaduto a Christchurch

Maurizio Blondet  17 Marzo 2019

Brenton Tarrand  ha fatto il maestro  di ginnastica (personal trainer) per  due anni  dopo la scuola. Nel 2011 lascia per “viaggiare all’estero”.   Per ben 7  anni.   Sud Est Asiatico, Nord Corea (turista), paesi islamici.  Brenton è andato in Israele nel 2017 e nel 2018 con una visita di sei mesi.

E’ stato in Pakistan  –  e  su Facebook si fotografa nell’hotel appartenente a musulmani sciiti   e    scrive estasiato di quanto   sia meraviglioso il paese e la sua gente. Ha visitato anche il Nahar, regione turistica meta di escursioni e scalate   verso le cime  oltre i 7 mila metri. Nel mese di ottobre scorso.

Una albergatore se lo ricorda:   “Syed Israr Hussain, proprietario di Osho Thang Hotel a Minapin Nagar, ha dichiarato all’AFP: “(Tarrant) … è rimasto per due giorni prima di partire per Khunjerab (Pass, al confine con la Cina).    Era un tipo decente e tranquillo.”

L’albergatore ha detto di ricordare Tarrant tra i molti turisti che visitano la regione “perché  era  rimasto così colpito dalla zona, e mi aveva  detto di aver sentito tante cose negative sul Pakistan, ma ha trovato il contrario”.

Fonte AFP

Poco più di sei mesi più tardi, questo viaggiatore indefesso   e ammiratore dai pakistani riappare in una finora ignota   neozelandese, di nome Christchurch – come suprematista bianco – e fa una strage di musulmani.

 

 

Patria di jihadisti -express

Città minuscola, ChristChurch, appena 300 mila abitanti. Ma con uno strano primato: è  la città, in questa  zona del mondo così remota dalle destabilizzazioni  medio-orientali,   che ha visto il maggior numero di giovani – bianchi, locali, non di  discendenza islamica –  convertirsi ad Allah, “radicalizzarsi”  di botto, ed andare in Yemen a    combattere   – fino a farsi uccidere.

Due di loro sono stati colpiti ed eliminati da un drone americano Predator nel 2013  “i due uomini, che si crede  fossero ventenni,   sono stati uccisi insieme a tre altri  militanti di Al Qaeda che viaggiavano in un convoglio di macchine ad Hadramout, nello Yemen orientale, il 19 novembre”.   I media australiani   li identificarono all’incirca:  uno “come Christopher Harvard di Townsville e il  neozelandese  con doppia cittadinanza che si chiamava Daril Jones, detto  “Muslim bin John”.

 

L‘arma ben firmata. Nessun antiislamico può farne a meno.

 

https://www.abc.net.au/news/2014-06-04/preacher-denies-australian-killed-in-yemen-was-radicalised-in-nz/5500604

Non solo: nel 2018 un adolescente del posto, un purissimo “kiwi” (così si chiamano i neozelandesi veri), uno che aveva lasciato  la scuola  a 15  anni, ed è descritto come un disadattato,  radicalizzatosi di colpo, progetta di avventarsi in auto  contro dlle persone di Christchurch  e pugnalarne il maggior numero possibile,  “per  Allah”.  Il giovinetto  ha scritto  una lettera di addio alla mamma, e viene fermato in tempo.  Al procuratore Chris Lange dirà: alla fine “ho deciso non far male a nessuno, perché non avevo i mezzi per  uccidere

Continua qui:

https://www.news18.com/news/world/former-pakistan- intel-operativo-trovato-dead-under-misterioso-circostanze-in-islamabad-2067671.html

 

https://www.maurizioblondet.it/il-solitary-assassin-e-solo-il-terzo-evento-accaduto-a-christchurch/

 

 

 

 

Via della Seta, un nuovo South Stream

12 Marzo 2019da Federico Dezzani

 

L’annuncio della firma di un memorandum italo-cinese lo sviluppo della Nuova Via della Seta ha innescato una tempesta: gli USA, anche tramite il canale indiretto di Bruxelles, hanno espresso la loro contrarietà all’iniziativa, scompaginando il quadro politico e alzando un immediato coro di allarmi. La geografia della penisola italiana, collocata nel cuore del Mediterraneo e allo stesso tempo connessa col Continente, ci rende la naturale destinazione di qualsiasi infrastruttura Est-Ovest: le stesse ragioni che hanno affossato il South Stream potrebbero però condannare anche la Via della Seta. Solo la Germania dimostra di essere sufficientemente forte da sviluppare i progetti euroasiatici.

Opportunità e realtà

Correva il maggio 2017 quando, unico premier tra i Paesi del G7, Paolo Gentiloni partecipava al Forum sulla Nuova Via della Seta nei pressi del suggestivo lago Yanqi, a Nord di Pechino. Il viaggio di Gentiloni era giustificato dalla prospettive dischiuse dall’ambizioso piano infrastrutturale cinese, che, nella sua variante marittima, unirà Sud-Est Asiatico, Corno d’Africa e Europa: “L’Italia può essere protagonista in questa grande operazione a cui la Cina tiene molto: per noi è una grande occasione e la mia presenza qui significa quanto la riteniamo importante1. A distanza di quasi due anni, il percorso avviato da Gentiloni dovrebbe fare un ulteriore passo in avanti con la firma di un memorandum d’intesa, durante la prossima visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping: si tratta di uno storico viaggio che, secondo quanto trapelato, toccherebbero anche la Sicilia, cuore nevralgico del Mediterraneo.

La notizia della firma del memorandum (un documento di massima che, si noti, non implica alcuna azione concreta e ribadisce soltanto la volontà di collaborare) ha immediatamente scatenato la reazione euroatlantica: l’imput è partito da Washington, dove si è scomodato Garrett Marquis, portavoce del National Security Council, che ha sconsigliato l’Italia dal dare legittimità internazionale al progetto cinese.

A stretto giro, la Commissione Europea ha rincarato la dose, ammonendo l’Italia dall’intraprendere azioni unilaterali ed invitando ad affrontare la questione della Via della Seta nella cornice dell’Unione Europea: si tratta di un richiamo che nasce certamente al di là dell’Atlantico ed è recapitato all’Italia attraverso le istituzioni europee. Mai come in questo periodo critico, infatti, sta emergendo la natura più atlantica che europea della sovrastruttura di Bruxelles, decisa a bloccare la nascita di grandi colossi industriali (fusione Alstom-Siemens), menomare il Nord Stream 2 imponendo norme restrittive, fermare gli investimenti cinesi ovunque se ne presenti l’occasione, etc. L’azione congiunta di Washington e Bruxelles ha prodotto gli effetti di una granata tra le fila della politica italiana: se fino a quel momento, l’iniziativa della Via della Seta era andata avanti per forza d’inerzia, trascurata pressoché da tutti tranne che pochi addetti ai lavori, improvvisamente la politica si è polarizzata tra favorevoli e contrari al progetto, trovando nella Lega Nord (e persino nel PD di Zingaretti!) una sponda particolarmente sensibile agli ammonimenti di Washington e Bruxelles. L’Italia, così, si trova nella paradossale posizione di dover accogliere il presidente Xi Jinping per firmare un memorandum che, con ampia probabilità, già si riserva di non rispettare: non sarebbe la prima volta che l’Italia dà il via libera a un progetto euroasiatico che, sebbene rappresenti sulla carta un decisivo rilancio dell’asfittica economia nazionale, sia destinato a rimanere lettera morta.

Partiamo da alcune considerazione squisitamente geografiche: lunga circa mille chilometri, la penisola italiana è, per sua stessa definizione, metà isola e metà continente. Le regioni meridionali la proiettano in modo naturale verso i Balcani, il canale di Suez e le coste tunisine, mentre quelle settentrionali la incastonano nel Continente, tanto che, fino alla Prima Guerra Mondiale, il nord-est era considerato parte integrante del sistema economico-militare di lingua tedesca. In sostanza, l’Italia è la cerniera perfetta tra Est ed Ovest, tra Europa ed Asia.

Il primo colosso euroasiatico a cogliere il potenziale dell’Italia è stato, nell’ultimo decennio, la Russia di Vladimir Putin che, non confidando (a ragione) sulla stabilità dell’Ucraina, aveva già valutato nel 2006/2007 (governo Prodi II) di diversificare la rete di gasdotti europei, usando l’Italia come principale testa di ponte in Europa Occidentale: Otranto e Tarvisio sarebbero dovuti diventare i due terminali del gas in arrivo dalla Russia, via Mar Nero, consentendo al nostro Paese di trasformarsi in uno snodo energetico di primo piano, con benefici in termini di minor costi energetici e maggiori introiti per il pedaggio del metano. L’intrinseca debolezza economica e politica dell’Italia, unita alla crisi ucraina (annessione della Crimea del marzo 2014), indussero i russi a rinunciare al South Stream nel dicembre 2014, poi riesumato in forma ridotta col Turkish Stream. L’Italia, così, non solo perse l’occasione di costruire il gasdotto tramite Saipem, ma soprattutto vide sfumare la possibilità di diventare il “ponte energetico” tra Russia ed Europa occidentale. È un ruolo, quello che avrebbe potuto essere dell’Italia, ereditato in buona parte della Germania: questo è punto decisivo, su cui bisogna affermarsi.

Il South Stream aveva un corrispettivo nel Mar del Baltico, il Nord Stream, con una capacità annua di 55 miliardi di metri cubi di gas sull’asse Germania-Russia: nonostante le rimostranze polacche ed angloamericane, il gemello nordico del Nord Stream è stato regolarmente terminato nel 2011. Non solo: i tedeschi hanno colto l’opportunità di trasformare il loro Paese in ciò che avrebbe potuto essere l’Italia, ossia lo snodo tra Est ed Ovest. Hanno così messo in cantiere il raddoppio del Nord Stream che, con i suoi 110 milioni di metri cubi annui di gas, rimpiazza de facto il defunto South Stream. Tutto si può dire, meno che quest’opera sia costata poco alla Germania, che ha dovuto reggere l’assalto angloamericano al sistema Paese (Dieselgate e Deutsche Bank), fronteggiare l’ostruzionismo di Bruxelles, incassare le minacce di Trump all’ONU (dove il presidente americano collocò Berlino, “totalmente dipendente dalla Russia”, fuori dall’emisfero occidentale2). Stando agli ultimi sviluppi, non è nemmeno escludibile che le aziende tedesche coinvolte nella realizzazione del Nord Stream 2 siano oggetto di sanzioni economiche in un prossimo futuro, come una società iraniana o russa qualsiasi. Ciononostante, la Germania tira dritto in vista di un risultato eclatante:

Continua qui: http://federicodezzani.altervista.org/via-della-seta-un-nuovo-south-stream/

 

 

 

POLITICA

L’UNICO TAV CHE È GIA’ PARTITO È QUELLO DEL TAGLIO AI PRIVILEGI E AI COSTI DELLA POLITICA

Antonio Pitoni – 11 03 2019

Taglio dei vitalizi (approvato), sforbiciata al numero dei parlamentari da 945 a 600 (approvata in prima lettura), e alle indennità di deputati e senatori (annunciata). Tre misure targate M5S, meramente simboliche secondo i detrattori di questo triplice intervento. Eppure, calcolatrice alla mano, si direbbe esattamente il contrario. Sommando i risparmi che, a regime, la sfoltita ai costi della politica produrrebbe, il totale è, infatti, tutt’altro che irrilevante. Circa 182 milioni di euro all’anno (su un miliardo e mezzo circa di spesa complessiva tra Camera e Senato), 910 milioni a legislatura. Ma come si arriva a questa cifra

TAGLIO DEI VITALIZI

Con le delibere approvate dagli Uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama, dal 1° gennaio di quest’anno, per effetto del ricalcolo contributivo con efficacia retroattiva di tutti i trattamenti vitalizi, gli assegni erogati agli ex parlamentari o ai loro eredi si sono considerevolmente alleggeriti. Stando al bilancio di previsione 2019 della Camera, la misura produrrà un risparmio di 45,6 milioni di euro. Esattamente la somma che il Collegio dei questori ha deciso di accantonare in attesa che si definiscano gli oltre mille ricorsi presentati dagli ex deputati contro il taglio dei trattamenti previdenziali disposto dalla delibera che porta la firma del presidente di Montecitorio, Roberto Fico. Quanto al Senato, una cifra precisa ancora non c’è. Il bilancio di previsione per l’anno in corso, infatti, non è stato ancora approvato. Ma, in base alle stime circolate in occasione della sforbiciata approvata lo scorso ottobre, il risparmio per le casse di Palazzo Madama dovrebbe aggirarsi intorno ai 16 milioni di euro l’anno. Che sommati ai 45 della Camera, portano il totale a 61 milioni (305 a legislatura).

RIDUZIONE DI UN TERZO DEI PARLAMENTARI

Ci vorrà più tempo, invece, per portare al traguardo la riforma costituzionale che taglia il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200. Il provvedimento ha incassato a Palazzo Madama il primo dei quattro via libera richiesti dall’articolo 138 della Costituzione. E sarà necessario, probabilmente, anche un referendum popolare per tenerlo a battesimo. Solo allora, insieme alla riduzione dei parlamentari, si potrà assestare anche un’altra consistente sforbiciata ai costi della politica. Ma di che cifre stiamo

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https://www.facebook.com/antonio.pitoni.54?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARBDezc87b07Fye0ivo0lYREfo8PkfI-f8bAxJy0rp0lNoXV2ND_NQ_73prpPSTgEbTVwhaOta8B0w2a&hc_ref=ARRgSVaGXMrFcx7ufL3W3YUavgsvkbJuOarRCsm_nYSrYjFxE63YQKFjMIntYTGyLs8&fref=nf

 

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