NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 11 APRILE 2019

https://voxnews.info/2017/07/19/epidemia-meningite-in-centro-profughi-venezia-infetti-ricoverati-in-segreto/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

11 APRILE 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Non intingere la penna per recare danno ad un altro.

(Amenemope, scriba egizio, 1200 a.C. – XIX Dinastia)

In: La saggezza dell’antico Egitto, Guanda, 1990, pag. 55

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

Il Colle manovra per nominare l’ennesimo governo tecnico

L’Italia a Draghi, il “Monti 2.0” pronto per dopo l’estate. 1

Correlazione tubercolosi-immigrati?

Infezioni di serie B, anzi NO

Con Haftar, la Francia riprova a sfrattare l’Italia dalla Libia 1

Luigi Di Maio sta con Angela Merkel 1

Cosa è il museo del design più grande d’Europa. 1

Ilaria Cucchi rischia il processo per aver «diffamato» un leghista. 1

La rivoluzione apparente. 1

Che bel regalo, Draghi senatore a vita e poi al Quirinale 1

Sanità, l’apertura del M5S ai fondi privati per me è un tradimento politico. 1

Le conseguenze della vittoria di Netanyahu sulla Palestina. 1

Pietro Citati, artigiano della parola. 1

CAROFIGLIO AL GRANDE ORIENTE / LA VERITA’ IN 21 ANAGRAMMI 1

MOBY PRINCE / UNO SPIRAGLIO DI VERITA’ DOPO 28 ANNI DI DEPISTAGGI 1

Ora Trump indaga chi ha indagato sul Russiagate 1

S&P dà un ranking (valutazione) anche alle Prigioni costruite con i Junk Bonds 1

DOVE FINISCONO LE PAROLE: UN ESTRATTO.. 1

Grecia 2019: Xenocrazia. 1

Parola di Landini 1

Tom Luongo: l’economia tedesca è un morto che cammina. 1

Se dovesse cadere questo governo …

L’Unione Europea è un impero. 1

 

 

EDITORIALE

Il Colle manovra per nominare l’ennesimo governo tecnico

Manlio Lo Presti – 11 aprile 2019

Non si sono mai interrotte le manovre dell’effervescente inquilino del Colle per la nomina di un governo tecnico che porti a compimento le operazioni interrotte dalla inaspettata ascesa dell’attuale governo demmerda antibuonista, antimaccartista, antieuropeista e che ha la sfacciataggine di contrastare una Europa-caserma a trazione anglo-franco-tedesca-USA.

Le operazioni da concludere con la velocità del FATE-PRESTO-vers. 65.12.6.0, sono le seguenti:

  • Svendita delle residue imprese che non si è fatto in tempo a cedere a causa di questo governo-demmerda-di-subumani-che-non-hanno-votato-bene;
  • Immigrazione senza limiti con apertura totale dei confini nazionali, con il ritorno di immensi guadagni per tutto l’apparato buonista, neomaccartista. Felici le industrie che avranno neoschiavi a 3 euro al giorno, felici i partiti che ne vogliono fare la propria platea elettorale; felici le strutture buoniste di accoglienza (coop, ong, 8 mafie, vaticano, case famiglia, alberghi in disuso, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.);
  • Eliminazione dei Carabinieri e delle loro unità antisofisticazione, di recupero dei beni artistici, ambientali. Una fattura da pagare alle 8 mafie e come contropartita per i loro “lavori in pelle” non ufficiali richiesti dal Deep State de’ Noantri;
  • Sanità interamente privatizzata che sarà preda delle industrie farmaceutiche libere di fare ulteriori esperimenti umani ed imporre i propri farmaci senza limiti (in questa ottica, sarà probabile la eliminazione dell’AGENZIA DEL FARMACO) e delle assicurazioni che riceveranno la titanica fetta di soldi ora destinati alla sanità pubblica;
  • Eutanasia, approvazione di una legge per il suicidio anche non terapeutico da praticare ad insindacabile giudizio del medico (la cerniera si collega al travaso della sanità pubblica alle farmaceutiche e soprattutto, alle assicurazioni che pagheranno il ticket del suicidio di vecchi e malati che costerebbero troppo!). Con il sostegno di una martellante campagna disinformativa propagandistica del sistema TV, dei giornali, del web, delle 20 trasmissioni politiche e quant’altro sarà resa accettabile e giustificata la eliminazione di una importante fetta di popolazione improduttiva, cioè di anziani che si ammalano e che costano, e di malati lungodegenti;
  • LGBT: ulteriore spinta alla eliminazione del nucleo familiare, alla ulteriore disarticolazione della struttura sociale e alla atomizzazione di individui soli e quindi più ricattabili e manipolabili con il web-matrix. Imbarazzante il silenzio de EL PAPA sul tema della famiglia ma molto presente su quello della immigrazione (i soldi dell’operazione sono il motivo VERO);
  • Spese militari in ascesa. Gli USA devono vendere i propri prodotti per incrementare la propria industria e l’occupazione interna;
  • Secessione: attuazione di una serie di fratture territoriali alle quali sarà data autonomia statuale. Un Paese balcanizzato è più manovrabile.
  • Patrimoniale sulle prime case di proprietà che, dopo pignoramenti in massa, saranno razziate da ben note finanziarie immobiliari nordeuropee saldamente possedute da una precisa antica identità sociale;
  • Risparmio italiano, risucchiato dai paesi nordeuropei mediante una nuova ondata di fusioni ed acquisizioni di banche e finanziarie italiane con strutture europee.

Purtroppo, la lista non è esaustiva e ce ne sarà per tutti i soliti noti …

La recente cerniera fra le industrie e i sindacati è una parte del corollario totalitario antidemocratico che trova dell’effervescente inquilino del Colle il massimo mentore. Ecco quindi la logica della nomina di Draghi a Senatore per poi farlo diventare il Primo ministro del V, VI, VII, VIII, IX governo non eletto avente lo scopo di ridurre l’Italia ad un deserto socioeconomico stile paese latinoamericano e ad un campo di raccolta razziale di tutta l’Europa che avrebbe così un cuscinetto per contenere la prima ondata di almeno 2.000.000 fra libici, tunisini, marocchini, algerini ma soprattutto le incombenti ondate di nigeriani che ora hanno una popolazione di oltre 180.000.000 di abitanti.

P.Q.M.

Questo governo di sporchi populisti, da ricondizionare in appositi campi di rieducazione – come nello stile democratico del GRANDE BALZO IN AVANTI CINESE MAOISTA – deve essere abbattuto al più presto (FATE-PRESTO, appunto) entro l’estate.

Importa una BEATA …  del voto di oltre metà del Paese!

Essi avranno la platea elettorale multietnica e possono tranquillamente mandare la popolazione italiana allo sterminio.

Si tratta di non-persone-che-non-hanno-diritti, di minus habens da ridurre all’angolo e da stritolare con una ulteriore dose pilotata dal DEEP STATE di crisi economica e ulteriore disoccupazione per metterli in ginocchio.

La macelleria sociale riprende in grande stile.

La DEMOFOBIA AUTORAZZISTA CRIMINALE SERIALE

della attuale marmaglia politica italiana

sarà il tritacarne del popolo italiano.

Diciamocelo senza i soliti infingimenti ipocriti gesuitico-doppiopesisti all’italiana.

Ne riparleremo …

 

 

 

IN EVIDENZA

L’Italia a Draghi, il “Monti 2.0” pronto per dopo l’estate

 

DI MAURO BOTTARELI – 9 aprile 2019

ilsussidiario.net

Temo che ormai stiano scorrendo i titoli di coda. Lenti, accompagnati da una bella canzone che ti fa indulgere seduto sulla poltrona del cinema invece di uscire subito, ma, pur sempre, meri titoli di coda. Les jeux sont faits, direbbero al casinò. E, come volevasi dimostrare, con timing ampiamente anticipabile: arriva il Def, arrivano le elezioni europee e tutto comincia a sfarinarsi alla luce del sole, come neve a primavera appunto. E non servono tante prove per capire che, ormai, è solo questione di tempi e modi, basta l’ultima, scoordinata mossa del ministro Di Maio a confermarlo. Il quale, volendo utilizzare una metafora mutuata dai fumetti, ha fatto squillare il telefono rosso di Batman, quello delle emergenze sul tavolo della bat-caverna. Perché ci vuole davvero molta buona volontà per credere che il leader 5 Stelle abbia preso coscienza soltanto ora del fatto che all’interno di Alternative fur Deutschland esista un’esigua minoranza di esponenti con simpatie naziste. In Germania lo sanno tutti, da tempo. E oltre il 10% degli elettori pare non dar troppo credito o peso alla cosa, stante i risultati e i sondaggi. Ci sono stati scandali finiti sui giornali, allontanamenti, addirittura fronde interne e un cambio della leadership, con Frauke Petri che ha detto addio proprio perché contraria alla deriva estremista presente in alcune aree del movimento. Lo sanno anche i sassi. Ragione di più, dovrebbe ben saperlo chi fa politica di lavoro e con ruolo apicale.

E invece, il vicepremier salta fuori solo ora – senza vergogna, né rispetto -, alla vigilia della kermesse sovranista della Lega e delle europee e scomoda la parola da lettera scarlatta: olocausto. Capite da soli che quando si arriva a tanto, significa che è terminata non tanto la pazienza politica, quanto la volontà di far proseguire la pantomima. E soltanto un disattento o un interessato nel giudizio potrebbe fingere di non accorgersi di come quella tardiva presa d’atto rispetto alle frequentazioni europee dell’alleato sia, casualmente, saltata fuori al ritorno di Luigi Di Maio dagli Usa. Nella fattispecie, dopo l’incontro con il potentissimo consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton. L’uomo della guerra, il regista dell’operazione Guaidó in Venezuela, per capirci. E dopo le intemperane filo-Maduro del novello falegname Di Battista, il buon ministro del Lavoro avrà dovuto cospargersi per bene il capo di cenere per ottenere udienza e attenzione.

Anche perché, stranamente, da qualche giorno circola un’inchiesta giornalistica riguardo la penetrazione russa nella politica italiana: ovviamente, i due bersagli del Cremlino al fine di operare come cavalli di Troia in Italia sarebbero proprio Lega e M5S. Per ora nulla di eclatante, poca eco mediatica. Ma l’importante era far arrivare il messaggio prima delle europee: qualcosa, se vogliamo, può saltare fuori. Magari senza particolare costrutto, poca “ciccia”. Ma non importa, ciò che conta è gettare guano nel ventilatore nel pieno della campagna elettorale: il Russiagate, alla fine, non è finito in gloria, ovvero con Donald Trump scagionato da ogni accusa? Eppure, ha garantito alla politica americana un bel giocattolino di distrazione di massa per due anni. Figuriamoci cosa accadrebbe in Italia, dove si costituiscono Commissioni d’inchiesta anche per le file ai caselli autostradali a Ferragosto.

È tutta una colossale pantomima che sta per giungere alla fine. Peccato che ci sia un effetto

Continua qui:

https://www.ilsussidiario.net/news/economia-e-finanza/2019/4/9/spy-finanza-italia-e-draghi-il-monti-2-0-pronto-per-dopo-lestate/1868956/

 

 

 

Correlazione tubercolosi – immigrazioni?

Lisa Stanton 10 04 2019

 

I media qualche anno fa avevano negato alcuna correlazione tra l’immigrazione ed alcuni casi accertati di TBC, da allora hanno preferito disinteressarsene. Ma poiché la malattia, di fatto eradicata alla fine degli anni ’60, è tornata prepotentemente alla ribalta, il Commissario UE alla Salute dell’Europa Andriukaitis, nell’imminenza delle elezioni ha dovuto dichiarare che si è prefisso di eliminarla dal continente entro il 2030.

In Italia si è assistito ad una recrudescenza della patologia, specie in ambito scolastico, non accompagnata da una pari attenzione dei media, il cui atteggiamento è conforme per tutte le malattie non prevenibili con vaccino.

Come per le infezioni ospedaliere e le morti ad esse associate,

la TBC non interessa ai media e neppure al SSN, così prodighi di “raccomandazioni” quando si tratta di varicella o rosolia.

Per il SSN il problema è più complesso: l’intera gestione delle malattie infettive ha

 

Continua qui:

https://www.facebook.com/100000248554468/posts/2370061973012065/

 

 

 

 

 

INFEZIONI DI SERIE B – ANZI NO

4 aprile 2019

In generale i grandi media italiani sulla TBC sono paranoici (perché il tema in un modo o nell’altro viene legato all’immigrazione). Se per una volta un caso di TBC pediatrica viene coperto da ANSA (http://www.ansa.it/friuliveneziagiulia/notizie/2019/04/01/bimba-con-tubercolosi-in-scuola-friuli-profilassi-compagni_1da452cf-f6c9-4b25-9ae7-4b801bdb85fa.html), capita anche che si arrivi alla paranoia istituzionale, con la prevedibile reazione (http://www.ilgiornale.it/news/cronache/pistoia-tubercolosi-scuola-elementare-e-nessuno-informa-1670608.html?mobile_detect=false )

Qua siamo oltre il focolaio politicamente scorretto. Ad Agliana (PT) si è arrivati a silenziare istituzionalmente un caso di TBC alle elementari. E giustamente i coinvolti si sono infuriati.

L’atteggiamento nei confronti delle sempre più frequenti notizie di TBC in ambiente scolastico comincia ad essere francamente sospetto, nel suo insieme.

Fa pensare a un problema deliberatamente tacitato, ed è facile rilevare che un pugno di casi di varicella, senza andare a vedere i singoli casi eccellenti, avrebbe conosciuto le pagine di cronaca nazionale dei grandi quotidiani.

Ma è facile notare che questo atteggiamento dei media è comune a tutte le malattie non prevenibili con vaccino.

Le infezioni ospedaliere, con le morti associate, restano notizie locali. Una ragazza che muore di polmonite dopo una tripla mancata diagnosi pure (https://www.lanazione.it/pistoia/cronaca/decesso-giovane-polmonite-1.4464652 e se le cose continuano su questa china, un’antipneumococcica diventa una scelta da prendere seriamente in considerazione).

Ennesima riprova che il tema vaccinale non è un tema sanitario, ma un tema politico

 

Continua qui: https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2019/04/infezioni-di-serie-b-anzi-no.html

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi Di Maio sta con Angela Merkel

“LONTANI DA ORBAN”. Intervista a Die Welt del vicepremier in cui cerca la sponda della Merkel nei giorni in cui Salvini parla con l’Afd

 

By Pietro Salvatori – 5 aprile 2019

“Non ho mai attaccato la Germania, anzi ho più volte ribadito che in Italia ci avrebbero fatto bene più politici come la Merkel”. È un Luigi Di Maio che lancia messaggi profondamente distensivi a Berlino e a Bruxelles quello che parla dalle colonne di Die Welt. E che, nel giorno di Sum, la kermesse annuale in ricordo di Gianroberto Casaleggio, ma soprattutto a quarantott’ore dal lancio della campagna europea di Matteo Salvini, prende seccamente le distanze da Orban e dalle ultradestre nazionaliste. Citando esplicitamente l’Afd, che prova a colorare di nero la Germania e che sarà seduta al tavolo con il segretario del Carroccio lunedì a Milano.

Il capo politico M5s parla al quotidiano tedesco affinché la cancelliera intenda: “Penso che all’Italia debba ambire al prossimo commissario per le imprese e l’industria Ue nella nuova Commissione. Potremmo fare molto per una politica industriale comune europea”. Parole indirizzate anche queste a Salvini, le cui mire guardano più a portafogli con competenze su sicurezza e immigrazione.

Ma la mano tesa alla kanzlerin va oltre: “Il dibattito sul surplus commerciale tedesco non è la panacea di tutti i mali. Mi piacerebbe lavorare di più con la Germania nella politica industriale. Vorrei una maggiore collaborazione tra le due industrie automobilistiche, dovremmo lavorare insieme all’esportazione”. E su reddito e quota100, le due misure cardine della manovra

Continua qui: https://www.huffingtonpost.it/2019/04/05/luigi-di-maio-sta-con-angela-merkel_a_23707187/?utm_hp_ref=it-homepage

 

 

 

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Cosa è il museo del design più grande d’Europa

La nuova struttura sorgerà nel 2021 in zona Sarpi a Milano. La celebrazione della creatività made in Italy.

MAURIZIO STEFANINI – 11 aprile 2019

Non ci sarà ancora al momento del Salone del Mobile del 2019, ma in qualche modo il Salone del Mobile lo anticipa e lo annuncia. È il Museo del Design più grande d’Europa che aprirà a Milano nel 2020 in zona Paolo Sarpi. Una superficie di 5.135 metri quadrati, di cui 3 mila riservati alle aree espositive, aperto al grande pubblico e fortemente digitalizzato, a partire da un progetto iniziato nel 2011.

UN NUOVO POLO DEL DESIGN

Ubicato nell’ex area industriale rinnovata tra via Ceresio e via Bramante, intende costituire un polo del design costantemente in contatto con tutte le realtà contemporanee del settore. Promotrice è l’Associazione disegno industriale (Adi). «Adi e la Fondazione Adi Collezione Compasso d’Oro hanno scelto di uscire dai confini disciplinari del design per aprirsi alla realtà di oggi in tutte le sue manifestazioni», ha spiegato il presidente Luciano Galimberti. «Quella che è stata per un sessantennio un preziosa collezione di

 

Continua qui: https://www.lettera43.it/it/articoli/cultura-e-spettacolo/2019/04/11/museo-design-milano-piu-grande-deuropa/230605/

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Ilaria Cucchi rischia il processo per aver «diffamato» un leghista

Parlando di Gianni Tonelli, ex sindacato di polizia Sap e ora parlamentare del Carroccio, la sorella di Stefano disse: «Persona sgradevole e ignobile». Chiusa l’indagine a Bologna dopo la querela.

10 aprile 2019

Le vicissitudini processuali sembrano non finire mai per Ilaria Cucchi. E questa volta riguardano direttamente lei, anche se per fatti sempre legati alla tormentata vicenda della morte del fratello Stefano.

Dopo le rivelazioni del carabiniere Francesco Tedesco, imputato per omicidio preterintenzionale, che ha confermato di fronte alla Corte d’Assise di Roma la versione del pestaggio contro il giovane romano morto nel 2009, c’è un’altra questione dovuta ad alcune frasi pronunciate da Ilaria che potrebbe avere delle ripercussioni legali.

 

Durante la trasmissione televisiva L’aria che tira estate parlando di Gianni Tonelli, ex segretario generale del sindacato di polizia Sap e parlamentare della Lega, Cucchi disse: «Oltre che essere a mio avviso una persona sgradevole e ignobile… che spesso mi accusa di strumentalizzazioni, posso dire serenamente che si è fatto la campagna elettorale sulla pelle di mio fratello

Continua qui: https://www.lettera43.it/it/articoli/cronaca/2019/04/10/ilaria-cucchi-diffamazione-gianni-tonelli/231072/

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

La rivoluzione apparente

Marcello Veneziani, La Verità 4 aprile 2019

 

Ma dov’è la rivoluzione culturale di un governo che si è presentato come una svolta radicale rispetto all’establishment, alle “élite” e ai poteri precedenti? Dieci mesi sono pochi per cambiare ma sono abbastanza per indicare una direzione, per delineare almeno un’intenzione, l’avvio di un nuovo percorso. E invece non s’intravede l’accenno di un inizio. Né sul piano delle idee e dei programmi né sul piano degli uomini e dei criteri di selezione.

Totale continuità, piatta prosecuzione dell’ancien régime, conformità al politically correct, permanenza dell’egemonia culturale precedente. Vedete la Rai, vedete le istituzioni e i luoghi della cultura, vedete il clima generale.

Come già accadde al tempo del centro-destra, oltre l’ossequio formale al governo in carica, magari l’intervista-marchetta al leader di turno e il trattamento di favore ad personam ai personaggi governativi, la narrazione generale è sempre la stessa, gli uomini che la somministrano sono pressoché gli stessi, i criteri e le priorità sono rimasti invariati. Nei telegiornali la musica non è cambiata, l’impostazione è la stessa.

Sembra che al Tg1 il carneade che ne ha assunto la guida vada a lezioni private dal predecessore. Ad eccezione del Tg2 diretto da Gennaro Sangiuliano, sembra che tutto sia rimasto invariato in tutte le testate, a partire dalla linea, salvo lo spazio inevitabile alle iniziative del governo e un minuto di celebrità ai suoi esponenti.

Il linguaggio è lo stesso e la suddivisione degli spazi risulta sbilanciata ancora a favore della sinistra: in generale le voci filogovernative vengono di solito sommerse e doppiate dal coro invariante e polemico delle opposizioni. In media: due opinioni governative contro quattro antigovernative. La formula è stanca e si ripete in modo meccanico, le dichiarazioni dei microfonisti di partito suonano come nenie e mantra, testi imparati a memoria da foche ammaestrate. Non diverso è il clima che si respira nelle reti televisive, dove l’immagine della Rai resta ancorata a personaggi-simbolo, come Fabio Fazio che cercando il martirio ha perfino aumentato le dosi del suo sinistrismo becero e untuoso per rimarcare la sua gloriosa opera di Dissidente Eroico, pagato pochi milioni di euro per dire, fare, invitare tutto ciò che è contrario a quel che dice, pensa e fa l’opinione “salviniana” oggi prevalente in Italia.

Ma il coro resta lo stesso ed è linciaggio se qualcuno osa dire qualcosa di buon senso, come per esempio, restituire la compagnia di giro della sinistra televisiva a un suo canale dedicato, come era RaiTre, evitando lo sconfinamento che ferisce la maggioranza degli utenti non allineati al loro catechismo. Pagano un canone e non vogliono subire un canone ideologico. Ma il discorso sulla Rai fa il paio con le istituzioni culturali rimaste invariate nei loro assetti. Un esempio tra tanti, la Dante Alighieri in cui è stato confermato il fondatore della comunità di sant’Egidio ed ex-ministro dei governi di sinistra, Andrea Riccardi; ma la stessa cosa accade nelle direzioni dei musei e degli istituti culturali in Italia e all’estero, rimasti d’impronta renziana e franceschiniana, o all’Enciclopedia italiana, il cui direttore generale, il dalemiano Massimo Bray, è anche presidente della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura. Per non dire del ruolo dell’Anpi e di altri organismi politicamente orientati a sinistra nelle scuole, nelle istituzioni pubbliche e nelle ricerche finanziate con denaro pubblico.

Non basta l’egemonia culturale nelle università o nell’editoria, i festival del libro, gli organismi culturali ma anche ciò che dipende direttamente dal governo, resta tutto invariato. Certo, alcuni ruoli non sono in scadenza, altri non dipendono direttamente dal governo, ma tutto resta come prima.

Qualcosa faticosamente si muove a livello locale, ma la spiegazione di questa diversità è semplice: nei governi locali non ci sono i grillini che sono il cavallo di troia del politically correct, i portatori sani di cultura radical-progressista.

Oltre l’acquiescenza e la complicità dei grillini quali sono i motivi di questa neutralità o remissività sul piano culturale? Paura di attacchi e quieto vivere; ignoranza della materia; assenza di nomi e conoscenze alternative; penuria di visione culturale, di strategia e lungimiranza. Non capiscono, i governativi, che nessuna rivoluzione sarà mai possibile se non parte e non passa dalle idee, dai luoghi chiave in cui si forma e si stratifica il consenso, dai messaggi, dalla cultura e dalla mentalità.

Pensare di cambiare un paese solo a colpi di tweet e boutade, appelli di pancia e grandi annunci di leggi e riforme, senza nessun racconto, nessuna profonda trasformazione, nessun cambiamento di verso e di simboli, è una puerile, rovinosa illusione. Così facendo e persistendo, passeranno senza lasciar traccia quando il vento cambierà e gli umori si sposteranno su altri temi e altre facce. Non è bastata la lezione del centro-destra che non ha lasciato eredità di alcun tipo sul piano culturale-istituzionale? Tutto questo accade mentre Zingaretti e gli altri esponenti della sinistra, con sprezzo del ridicolo, continuano a denunciare la spartizione dei posti e l’occupazione vorace delle poltrone da parte del governo. Col supporto e la risonanza della stampa e propaganda fiancheggiatrice. Se lo occupano loro è norma, se lo fanno gli altri è anomalia. Ma il ridicolo è che nemmeno lo fanno, e restano quasi dappertutto le tanto detestate “élite” del precedente establishment. Accusati di spartirsi le poltrone che restano saldamente sotto i glutei sinistri…

(Marcello Veneziani, “La rivoluzione apparente”, da “La Verità” del 4 aprile 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).

Ma dov’è la rivoluzione culturale di un governo che si è presentato come una svolta radicale rispetto all’establishment, alle “élite” e ai poteri precedenti? Dieci mesi sono pochi per cambiare ma sono abbastanza per indicare una direzione, per delineare almeno un’intenzione, l’avvio di un nuovo percorso. E invece non s’intravede l’accenno di un inizio. Né sul piano delle idee e dei programmi né sul piano degli uomini e dei criteri di selezione. Totale continuità, piatta prosecuzione dell’ancien régime, conformità al politically correct, permanenza dell’egemonia culturale precedente. Vedete la Rai, vedete le istituzioni e i luoghi della cultura, vedete il clima generale. Come già accadde al tempo del centro-destra, oltre l’ossequio formale al governo in carica, magari l’intervista-marchetta al leader di turno e il trattamento di favore ad personam ai personaggi governativi, la narrazione generale è sempre la stessa, gli uomini che la somministrano sono pressoché gli stessi, i criteri e le priorità sono rimasti invariati. Nei telegiornali la musica non è cambiata, l’impostazione è la stessa.

Sembra che al Tg1 il carneade che ne ha assunto la guida vada a lezioni private dal predecessore. Ad eccezione del Tg2 diretto da Gennaro Sangiuliano, sembra che tutto sia rimasto invariato in tutte le testate, a partire dalla linea, salvo lo spazio inevitabile alle iniziative del governo e un minuto di celebrità ai suoi esponenti. Il linguaggio è lo stesso e la suddivisione degli spazi risulta sbilanciata ancora a favore della sinistra: in generale le voci filogovernative vengono di solito sommerse e doppiate dal coro invariante e polemico delle opposizioni. In media: due opinioni governative contro quattro antigovernative. La formula è stanca e si ripete in modo meccanico, le dichiarazioni dei microfonisti di partito suonano come nenie e mantra, testi imparati a memoria da foche ammaestrate. Non diverso è il clima che si respira nelle reti televisive, dove l’immagine della Rai resta ancorata a personaggi-simbolo, come Fabio Fazio che cercando il martirio ha perfino aumentato le dosi del suo sinistrismo becero e untuoso per rimarcare la sua gloriosa opera di Dissidente Eroico, pagato pochi milioni di euro per dire, fare

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/04/rai-e-cultura-restano-al-pd-nessuno-racconta-i-gialloverdi/

 

 

 

Che bel regalo, Draghi senatore a vita e poi al Quirinale

Scritto il 10/4/19

Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere.

Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico.

Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storiacrisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.

Folgorante, l’ascesa di Draghi nell’élite finanziaria mondiale: dal vertice di Bankitalia a quello della Bce, la mega-banca che emette l’euro, cioè la moneta che sarebbe stata “impossibile” e letteralmente insostenibile, per il giovane studente Mario. Determinante, si dice, il transito negli Usa: Draghi è stato uno stratega della Goldman Sachs, la banca speculativa più temuta al mondo: quella che, tra l’altro, truccò i bilanci della Grecia, creando le premesse per il crollo di Atene. A disastro avvenuto, Draghi si occupò dei greci anche nelle vesti di inflessibile censore della Troika europea, in rappresentanza della Bce. Una conversione, la sua – da Keynes al neoliberismo – che lascia stupefatti: il geniale economista inglese aveva ispirato le politiche espansive che hanno arricchito l’Europa, mentre i suoi avversari (da Von Hayek a Friedman) hanno impoverito i nostri popoli, espropriandoli del potere statale di spesa a beneficio dell’oligarchia finanziaria, divenuta l’unica padrona del denaro. Come si spiega, un simile voltafaccia, da parte di quello che, ai tempi di Caffè, si presentava come un promettente economista post-keynesiano? L’immenso potere del denaro, certo: il dominio di Wall Street è divenuto assoluto, specie dopo che Clinton abolì il Glass-Steagall Act, la norma con la quale Roosevelt aveva tagliato le unghie alla speculazione (separazione netta tra banche d’affari e credito alle imprese). Franata la diga, la finanza predatoria è diventata una lotteria perversa, capace di piegare gli Stati. E oggi infatti eccoci qui, a elemosinare decimali di deficit, implorando una tecnocrazia di non-eletti.

Ma non è tutto. Nel suo saggio, Magaldi svela un retroscena illuminante: il massone Draghi milita in ben 5 Ur-Lodges. Le superlogge sovranazionali sono in tutto 36 organismi occulti e molto trasversali, in grado di controllare il pianeta, ben al di sopra dei governi.

Per la cronaca, il presidente della Bce sarebbe affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa” e alla “Der Ring”, nonché alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Three Eyes”, veri e propri santuari della supermassoneria “neoaristocratica”, protagonista dell’attuale globalizzazione finanziaria e post-democratica imposta a mano armata anche con la guerra e, all’occorrenza, persino il terrorismo e la strategia della tensione, oltre che con l’arma dell’austerity che ha precarizzato il lavoro e impoverito le popolazioni occidentali.

Tutto merito loro: a imporre le durezze della crisi sono i signori del “back office” supermassonico. Sono questi, dice Magaldi, i veri “azionisti” di Mario Draghi, comicamente celebrato – dai media– come una specie di salvatore della patria. E’ vero l’esatto contrario: l’Italia ha patito le conseguenze dell’azione di Draghi, che appartiene a un’oligarchia apolide, senz’altra patria che il denaro. «Viene presentato come il santo protettore dell’Italia? Mettetelo a Palazzo Chigi, e poi vedrete di che pasta è fatto», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”.

Certo, visto dall’Italia oggi sembra remotissimo, Super-Mario, impegnato a vegliare sull’Europa dall’alto dell’Eurotower di Francoforte. Per questo, gli italiani riescono a bersi la versione del mainstream, che poi è questa: se non ha potuto fare abbastanza, per l’Italia, è perché il povero Draghi «aveva le mani legate dalle presunte regole della Banca Centrale Europea», e magari «era costretto a mediare con Jens Weidmann della Bundesbank». Tutte storie: «Fatelo governare, e vedrete di cosa sarà capace». Quanto sono fondate, le voci secondo cui Mattarella lo promuoverebbe senatore a vita, come già fece Napolitano con Monti, per poi proiettarlo a Palazzo Chigi? L’incarico alla Bce scadrà in autunno, e si sa che Draghi ambirebbe a prendere il posto di Christine Lagarde al vertice del Fmi. Secondo Magaldi, potrebbe anche concedersi un periodo sabbatico. Certo è che qualsiasi decisione sarà come sempre concertata con il superpotere finanziario, di cui Draghi resta una pedina di prima grandezza a livello mondiale. Senatore a vita, dunque? Non è dato saperlo. Probabilmente, dice Magaldi, la nomina potrebbe gradirla non tanto come “ascensore” verso la guida del governo, ma come viatico per un obiettivo più ambizioso: la presidenza della Repubblica. In ogni caso, aggiunge Magaldi, se mai dovesse fare il premier «sarebbe un regalo, per noi che combattiamo contro ciò che Mario Draghi rappresenta».

Un simile esito sarebbe perfettamente speculare rispetto all’esperienza di Monti, che nel 2011 era osannato dai media, quando dalle pagine del “Corriere della Sera” «dispensava saggi consigli, ma non aveva mostrato come li avrebbe messi in pratica». Duro l’impatto con la realtà: «Averlo visto governare ci ha liberato per sempre dall’idea che Monti sia un uomo saggio e soprattutto preoccupato del bene collettivo degli italiani». Non pensate che con Draghi sarebbe diverso, chiarisce Magaldi, dal 2015 presidente del Movimento Roosevelt e ora promotore del “Partito che serve all’Italia”, per recuperare la perduta sovranità democratica. Draghi? Tuttora, viene proposto dal mainstream come il paladino degli interessi italiani, «l’uomo che ha risolto la crisi economica e che dalla Bce ha assicurato il “quantitative easing”, salvando le banche».

Tutto falso: «Come banchiere centrale, è intervenuto quando i buoi erano già scappati dalla stalla, cioè quando l’economia europea era in picchiata e parecchi paesi erano ormai stati commissariati con l’avvento dei tecnocrati al governo». A quel punto, «Draghi ha fatto in modo che i denari arrivassero alle banche e non all’economia reale, per aiutare la quale non

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/04/che-bel-regalo-draghi-senatore-a-vita-e-poi-al-quirinale/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sanità, l’apertura del M5S ai fondi privati per me è un tradimento politico

10 aprile 2019 – Ivan Cavicchi

 

Nel mio precedente post che denunciava l’apertura del M5S alle mutue (fondi sanitari privati), molti sono stati i commenti: alcuni di questi chiedevano maggiori spiegazioni. Precisiamo che la proposta del M5S – che per me vale come un vero e propriotradimento politico – è contenuta nell’articolo 5 della bozza di patto per la salute che la ministra Giulia Grillo ha sottoposto alle regioni per giungere a un’intesa. Non si capisce bene se è una proposta personale della Grillo o una proposta del M5S, qualcuno ci spiegherà. L’articolo 5 dice sostanzialmente che:

  1. fondi integrativi(mutue) sono complementari al Ssn, cioè sono parte di esso avendo lo stesso scopo di garantire la tutela della salute. Quindi si tratta di istituire quella che in gergo si chiama “seconda gamba”, dando attuazione alla proposta dell’ultimo governo Berlusconi di sostituire il sistema pubblico universalistico e solidale con un sistema multipilastro (un po’ di pubblico, un bel po’ di mutue, e anche da un bel po’ di assicurazioni private);
  2. si deve rivedere la normativa attualmente in vigore per incrementare, attraverso maggiori incentivi fiscali, le prestazioni integrativefacendole diventare sostitutive. Cioè lo Stato, oltre a finanziare il sistema pubblico, deve finanziare le mutue private;
  3. si permette ai fondi di utilizzare anche le strutture pubbliche.

Queste le cose principali. La ragione politica di questo inaccettabile ribaltone, si legge testualmente nell’articolo 5, riguarda la “sostenibilità del sistema e l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse pubbliche”. Prima di commentare l’articolo 5 (in questo post mi limiterei a ciò) vorrei ricordare due cose:

  1. l’attuale sanità pubblica, invidiata da tutto il mondo, è nata dal fallimento del precedente sistema mutualisticoe in particolare per risolvere i due grandi problemi che accompagnano da sempre questo tipo privato di tutela:
  • l’insostenibilitàfinanziaria che causò il default delle mutue (sono sistemi che tendono a costare sempre di più e in ragione di ciò a dare sempre di meno);
  • l’inadeguatezza dell’assistenza sanitaria (lo scopo per questi sistemi è il profitto, non la soddisfazione dei bisogni: per fare profitto essi non garantiscono mai il giusto riconoscimento delle reali necessità di cura del malato);
  1. la legge di riforma del 1978con la quale abbiamo istituito il Ssn – e quindi superato le vecchie mutue, con l’articolo 46 – prevedeva comunque la libertà per chiunque di farsi una mutua volontaria, ma vietava la possibilità per le mutue di avere finanziamenti sia privati che pubblici (con un Ssn non ha senso finanziare con degli incentivi forme di tutela privata concorrenti con il pubblico).

Ciò detto torniamo all’articolo 5:

  1. i fondi integrativi, se si limitassero a passare quello che lo Stato non passa (per esempio odontoiatria, oculistica ecc.), potrebbero essere perfino un’estensionedell’universalismo, ma il problema è che essi puntano deliberatamente a scalzare lo Stato per privatizzare il mercato della salute, cioè nei fatti sono fondi sostitutivi, che vogliono marginalizzare il ruolo del pubblico o almeno tagliargli l’erba sotto i piedi. Ammettere questi fondi, che ora con un eufemismo si chiamano “complementari”, significa fare cittadini di serie A (con due tutele: quella di diritto e quella per reddito) e cittadini di serie B (con un’unica tutela pubblica marginale e definanziata). I fondi in sostanza significano ingiustizie e diseguaglianze e pessima medicina;

 

  1. non è vero che i fondi – come è scritto nell’articolo 5 – perseguono scopi di salute pubblica, perché la tutela della salute per questi sistemi è strumentale al conseguimento del profitto. Con i fondi, in parte i soldi dei premi e degli

 

Continua qui: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/10/sanita-lapertura-del-m5s-ai-fondi-privati-per-me-e-un-tradimento-politico/5092743/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Con Haftar, la Francia riprova a sfrattare l’Italia dalla Libia

Scritto il 08/4/19

La Francia ci sta riprovando: vorrebbe sfrattare l’Italia dalla Libia, come già tentato da Sarkozy all’epoca dell’omicidio di Gheddafi. La nuova pedina francese si chiama Khalifa Aftar, uomo forte della Cirenaica: l’ordine di marciare su Tripoli è partito dall’Eliseo, dove ora a comandare è Macron. Ma la “guerra lampo” per conquistare la Tripolitania è già fallita. Rischi enormi di guerra civile, ovviamente, ed esplosione del caos. Vie d’uscita? Una sola: pazienti pressioni diplomatiche, per rimettere insieme i cocci di una Libia plausibile, che oggi è il vero campo di battaglia di tutte le potenze che si stanno contendendo l’egemonia sul Mediterraneo. L’analisi è firmata da Renato Farina sul “Sussidiario”. Premessa: bisogna «uscire da una meschina restrizione d’animo (e anima) per cui quelli che conterebbero sarebbero solo gli immediati interessi italiani». Più che mai, in questo caso, le chance dell’Italia «coincidono con il bene di questa parte di mondo, il Mediterraneo, ormai terreno di scontro tra le superpotenze, e il retroterra umano: l’Africa e le sue genti». Sconsigliabile limitarsi al “particulare” nazionale, avverte Farina: per servire davvero l’Italia conviene «alzare lo sguardo», oltre l’immediato orticello (petrolio e gas, Eni e migranti). Come? Fungendo da “ponte” credibile tra mondi diversissimi, oggi sul piede di guerra.

«Khalifa Aftar punta ad essere il nuovo Gheddafi», spiega Farina. «Per questo ha preso la rincorsa con le sue troppe mobili per prendersi tutta la Libia». Haftar è partito da Bengasi, capitale della Cirenaica, per occupare la Tripolitania, e sconfiggere «quelli che chiama – non del tutto a torto – “i terroristi”». Sulla carta, a Tripoli siede il governo unitario di tutta la Libia, guidato da Fayez al Serraj. «Costui in effetti è un re travicello, espressione dei Fratelli Musulmani, piazzato dall’Onu e in rapporti di sudditanza con i gruppi islamisti coinvolti con il traffico di migranti, che gli tengono la pistola sulla tempia». Tuttavia, aggiunge Farina, Serraj è anche l’uomo che tutti i recenti governi italiani «hanno accettato, sostenuto, e con cui hanno trattato». Per due ragioni: «Partivano dalle coste della Tripolitania i battelli dei migranti condotti dai trafficanti d’uomini; ed è soprattutto in quel territorio che l’Eni pompa petrolio e gas, e per noi è strategico preservare le forniture d’energia». Il problema? In una Libia frantumata, abbiamo preteso di risolvere le questioni «occupandoci solo dell’ultimo miglio, e da soli». E l’abbiamo fatto «prima con una meritoria opera di salvataggio e accoglienza, poi con una chiusura senza brividi di umanità». In un caso e nell’altro, sostiene Farina, «senza visione geopolitica», ovvero senza la capacità di «mettere al servizio degli ideali la conoscenza del rapporto tra le potenze nella consapevolezza dei fattori in gioco».

Certo non è facile, ammette Farina, che però ricorda che l’Italia vanta «un patrimonio storico rappresentato dal filone De Gasperi, Moro, Andreotti, Cossiga, Craxi», ovvero «gente capace di dialogo, uomini che vedevano la collocazione dell’Italia nel Mediterraneo come un’occasione di amicizia e di pace, cerniera positiva tra l’Occidente dalle radici cristiane con il mondo musulmano ed ebraico». Tutto questo è stato dimenticato, osserva Farina. Nella Libia del dopo-Gheddafi ci siamo limitati a «guadagnare legami superficiali e spesso ricattatori di convenienza, senza lungimiranza, con chi capitava e poteva garantirci un minimo di tranquillità sui confini». Secondo Farina, dal 2011 in poi il solo Marco Minniti – ministro dell’interno con Gentiloni, ha «provato a spezzare le catene di un minimalismo pragmatico», cercando di «andare con Tripoli ma oltre Tripoli, non riducendo la politica delle migrazioni al tentativo illusorio di tamponare il flusso». Anziché limitarsi alla gestione del “rubinetto”, Minniti avrebbe cercato di stabilire rapporti di fiducia «sia con le tribù che proteggevano gli schiavisti, sia con i governi

 

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Le conseguenze della vittoria di Netanyahu sulla Palestina

Supera Gurion come premier più longevo di Israele grazie ai seggi della destra più estrema e razzista. E al via libera di Trump all’annessione della Cisgiordania. 

BARBARA CIOLLI – 10 APRILE 2019

Ha i suoi motivi Benjamin Netanyahu per festeggiare la «vittoria immensa» del voto anticipato in Israele, così come hanno i loro motivi i palestinesi a intonare il requiem.

Il 9 aprile, il testa a testa con il rivale Benny Gantz (35 seggi ciascuno) e soprattutto la coalizione con la destra più estrema creata con la massima spregiudicatezza gli hanno fruttato l’ingresso nel pantheon di Israele come premier più longevo. Ancora una volta l’astuzia ha premiato il leader del Likud. Ben Gurion governò per 13 anni e 127 giorni il nuovo Stato, tra il 1948 e il 1963. Netanyahu, premier per la prima volta tra il 1996 e il 1999, era arrivato a 13 anni e 28 giorni con il terzo mandato consecutivo dal 2009 e supererà certamente il fondatore di Israele con lo storico quinto mandato che inizia dal 10 aprile, dopo le elezioni Legislative convocate ad arte.

A RISCHIO LO STATO PALESTINESE

La tattica di precedere processi e sentenze che avrebbero potuto accavallarsi nel 2019 gli è valsa una riconferma che suggella lo spostamento in blocco a destra di Israele e la sconfitta della soluzione dei due popoli in due Stati maturata dagli accordi di Oslo del 1993. È un percorso irreversibile, tanto per la sinistra quanto per i palestinesi, a giudicare dal verdetto elettorale che ha affossato i laburisti ancora al di sotto del disastro elettorale pronosticato nei sondaggi. Si prevedeva per loro un crollo dai 19 seggi della Knesset uscente a 9, ne hanno ottenuti 6 pari al 4,5% dei voti, qualche decimo percentuale in meno anche della coalizione araba Hadash–Ta’al (4,6%), minata da sempre dall’assenteismo degli arabi-israeliani. Altri 4 deputati sono andati all’altra lista araba Ra’am–Balad, quanto i verdi di Meretz.

 

LA DESTRA PIÙ ESTREMA FA VINCERE IL LIKUD

Un ipotetico fronte progressista non avrebbe i numeri per una maggioranza con i centristi di Blu & Bianco di Gantz e Yair Lapid. Anche l’ultimo partito Hatnuah di Tzipi Livni, coalizzato con il Labor, si è dissolto a febbraio con l’uscita dalla politica dell’ex ministro di Netanyahu che era passata dal Likud all’opposizione. A destra invece il leader dei conservatori può accorpare 65 seggi sui 120 del parlamento israeliano, grazie alla tenuta degli ultraortodossi di Shas e Giudaismo unito nella Torah (8 deputati ciascuno), ai 5 seggi del partito di estrema destra di Avigdor Lieberman, ai 4 dei centristi di Kulanu e – ago della bilancia – agli altri 5 seggi decisivi

 

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CULTURA

Pietro Citati, artigiano della parola

www.lintellettualedissidente.it

Critico, narratore, giornalista, artista della parola e paladino della letteratura mondiale: il ritratto che Chiara Fera realizza ne “Il libero invisibile di Pietro Citati” è un invito ragionato alla scoperta del suo operato. Un’opera colossale, poliedrica che travalica i semplici confini della critica per giungere a quelli più complessi ed eterogenei dell’arte..

Un critico letterario ha quasi sempre due facce. Una da studioso e una d’artista. È il Giano Bifronte in grado di guardare al passato e allo stesso tempo al futuro, permettendo all’umanità di attraversare le strette porte della conoscenza. Nella sua duplicità ellittica e premonitrice si costituisce come tramite tra lo scrittore e il lettore comune, tra la sua interpretazione della realtà e il suo desiderio di scoperta, sancendo tra loro un patto sacro e inviolabile di unione e alleanza.

Ciò che il critico si trova a maneggiare è una materia non sempre agevole, compatta, anzi il più delle volte è costretto a distruggere totalmente un romanzo, a scardinarne le fondamenta, molto spesso deve stravolgerlo interamente, capovolgerne le dinamiche e i personaggi, per poi ricostruire il tutto in una forma nuova, una sintesi di armonia che nella sua naturale imperfezione, porta alla luce la vera essenza dell’autore, la sua autentica sensibilità creatrice. La sua è un’incessante operazione di distruzione e costruzione, di eliminazione e di assemblaggio, di strappi e di cuciture, una guerra di logoramento. Uno scontro a viso aperto con le parole, con l’arte, con la vita stessa.

Nondimeno, tutto questo non basta. La critica migliore non dimentica nello svolgimento del suo lavoro, tutte quelle persone lontane dai circoli accademici, dai salotti letterari, dalle aule universitarie e dal mondo culturale. Volge il suo sguardo soprattutto a loro, senza far sentire sulle loro spalle il peso dell’inesperienza. Riduce al minimo non già le differenze, di per sé evidenti tra loro, quanto piuttosto le incomprensioni che potrebbero venirsi a creare, sgomberando quanto più possibile il campo da equivoci di ogni genere, adoperando una prosa limpida, senza sotterfugi di sorta, utilizzando un linguaggio preciso ed efficace. Sembra invece che il critico, alle volte, si diverta, quasi provasse una inconfessabile gioia, ad ingarbugliar ancor di più la matassa, e allora viene il sospetto, a volte fondato, che nemmeno lui abbia capito sino in fondo cosa stesse cercando di dire, e che in ultima istanza il suo lavoro si riveli essere in realtà solamente un vuoto e inerme sfogo di erudizione.

D’altronde, molti critici hanno smarrito la strada in questi oscuri labirinti della letteratura, producendo solamente vano chiacchiericcio che nulla ha a che fare con essa, e anzi allontana ogni giorno quei pochi coraggiosi che decidono di accostarvisi. Si direbbe che solo una manciata di nomi siano stati all’altezza del compito. Il bravo critico tuttavia, non teme di affrontare una sfida del genere, sebbene sia consapevole che non sempre riuscirà a riemergere in superficie con il tesoro che faticosamente si è cercato di conquistare. Riprendendo una citazione di Francesco De Sanctis:

Il critico deve presentare il mondo poetico rifatto ed illuminato da lui con piena coscienza, di modo che la scienza vi presti, sì, la sua forma dottrinale, ma sia però come l‘occhio che vede gli oggetti senza però vedere sé stesso.

Una delle personalità contemporanee a cui si attaglia meglio questa descrizione è, senza ombra di dubbio, Pietro Citati. Lui, il critico italiano per eccellenza, prosatore abile e studioso raffinato quanto unico nella sua semplicità espositiva che non è mai sinonimo di insufficienza concettuale. Lui, che considera la critica letteraria come un’arte di seconda mano che deve tutto al tesoro irraggiungibile della letteratura, e che pensa a se stesso come a un ente invisibile, che non ha niente di sé da confidare al lettore. È così che ce lo presenta Chiara Fera, giornalista e studiosa di letteratura, nel suo lavoro Il libro invisibile di Pietro Citati (Rubettino Editore).

Potremmo considerare questo lavoro non solo un modo per conoscere un grande uomo di

 

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CAROFIGLIO AL GRANDE ORIENTE / LA VERITA’ IN 21 ANAGRAMMI

Paolo Spiga – 8 aprile 2019

 

Gran festa, al Palacongressi di Rimini, per l’annuale appuntamento con il Grande Oriente d’Italia, terminato con la “installazione” dei condottieri che guideranno il GOI per i prossimi anni, a partire dal riconfermato Gran Maestro Stefano Bisi.

Il quale nella sua allocuzione finale ha invitato la politica a lasciare in pace i 16 mila e passa affiliati al Goi, viste le turbolenze degli ultimi anni, dalle richieste di elenchi della precedente presidente dell’Antimafia Rosy Bindi, alle ricorrenti richieste dei 5 Stelle di non far accedere i massoni agli alti ranghi della pubblica amministrazione.

La kermesse di Rimini ha visto la partecipazione di non poche guest star: dall’astronauta Paolo Nespoli al divulgatore tv Michele Mirabella, fino al magistrato e scrittore Gianrico Carofiglio, accolto con una vera ovazione.

Ecco alcune sue riflessioni e alcuni commenti riportati nel sito del Goi.

Scrivono al Goi: “Le verità è una locuzione che ha 21 anagrammi di cui tre interessanti: evitarla, rivelata, relativa”.

Mumble mumble.

“Parole che corrispondono curiosamente ciascuna ad un differente approccio filosofico:

  • allo scetticismo per il quale essa è irraggiungibile la prima;
  • alla metafisica e alla religione che la impongono la seconda;
  • alla pluralità dei punti di vista, che nulla ha a che fare con il relativismo, ma molto con la libertà di pensiero, la terza”.

 

Un po’ oscuretto ma procediamo.

 

Carofiglio al summit del GOI di Rimini

“Lo scrittore Gianrico Carofiglio ha introdotto così, con il racconto di questa sua scoperta fatta per gioco, il tema ‘ I mille volti della verità’ che ha affrontato nel suo intervento tenuto nel tempio aperto al pubblico durante la

 

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CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

MOBY PRINCE / UNO SPIRAGLIO DI VERITA’ DOPO 28 ANNI DI DEPISTAGGI

8 Aprile 2019 di: Andrea Cinquegrani

Voilà, stiamo arrivando alla verità. A 28 anni esatti dal rogo del Moby Prince, si sveglia il Fatto quotidiano e annuncia la quasi lieta novella: “Il patto segreto tra Snam e Moby. La terza inchiesta 28 anni dopo quella firma”.

Meritorio, Il Fatto, perché almeno squarcia l’assordante silenzio mediatico intorno alla tragedia del 10 aprile 1991 in cui persero la vita 140 innocenti. Per il resto tivvù e giornali allineati e coperti nella disinformazione più totale.

E permette di alzare il velo sul ruolo del tutto assente, anzi omissivo e quindi complice, della magistratura, che in questi 28 anni non ha cavato neanche una formica dal buco: due inchieste flop, altrettante richieste di archiviazioni, motivazioni da brividi e – ora sta emergendo – concrete ipotesi di depistaggio. Come è successo nel caso di Ilaria Alpi Miran Hrovatin, e nella strage di via D’Amelio che ha massacrato Paolo Borsellino e la sua scorta.

Ma procediamo con ordine.

Titola il Fatto online del 6 aprile: “Il patto segreto tra Snam Moby Prince. La terza inchiesta 28 anni dopo quella firma”. E spiega: “Due anni dopo la tragedia del 10 aprile 1991 un accordo narcotizzò tutte le inchieste”. “Una patto segreto siglato il 18 giugno 1991 (dopo 2 mesi e 8 giorni) tra Snam e Navarma, del gruppo Onorato”.

Quella rivelazione era tra l’altro contenuta nella relazione finale stilata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince.

Relazione completata un anno e mezzo fa, a dicembre 2018, nella quale venivano soprattutto denunciati i tanti buchi neri della storia, la totale inerzia – nel migliore dei casi – della magistratura e una serie di altre coperture istituzionali.

Sorgono spontanee le prime domande. Come mai è passato un altro anno e mezzo prima che la circostanza ritornasse a galla?

Come mai i media hanno dormito?

Ancora di più: come mai la magistratura ha ficcato la testa sotto la sabbia per la terza volta?

Per finire: perché l’esecutivo gialloverde se ne è abbondantemente fregato, come del resto le (sic) opposizioni?

A seguire vi riproponiamo l’articolo pubblicato nella sezione ‘Misteri’ della Voce il 18 gennaio 2018, dal titolo che parla da solo: “Moby Prince – Le non indagini su Navarma e Snam”.

Proprio come il Fatto oggi.

Una notte, quella del 10 aprile di 28 anni fa, durante le quale la visibilità era ottima e non c’era alcuna nebbia né nebbiolina. Al contrario di quanto hanno sempre sostenuto gli inquirenti. Depistaggi anche sul meteo!

La prima notte di pace, visto che era appena terminato il conflitto in Iraq, o meglio la guerra assassina e di conquista (per il petrolio) degli Usa contro Saddam, che non disponeva neanche di un temperino di “distruzione di massa”, come solo dopo una dozzina d’anni ha ammesso l’allora premier britannico Tony Blair, complice degli statunitensi in tutta la tragica sceneggiata e nel più tremendo depistaggio internazionale di sempre.

Nella rada di Livorno quella notte c’erano strani movimenti, con un misterioso via vai di imbarcazioni. E i carichi erano più che sospetti: soprattutto a base di armi, armi che provenivano da quel conflitto e che andavano “ricollocate”.

Il magistrato-coraggio Carlo Palermo, anni dopo, ha ricostruito i dettagli di quella

 

Continua qui: http://www.lavocedellevoci.it/2019/04/08/moby-prince-uno-spiraglio-di-verita-dopo-28-anni-di-depistaggi/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora Trump indaga chi ha indagato sul Russiagate

L’attorney general ha costituito un team per investigare sulle origini dell’inchiesta dell’Fbi sulla campagna del tycoon del 2016: «La squadra del presidente è stata spiata».

10 aprile 2019

 

L’inchiesta sul Russiagate «era illegale, è partita illegalmente, è stata un tentativo di golpe, di far cadere un presidente»: ha detto Donald Trump parlando con i cronisti, auspicando che l’attorney general William Barr indaghi sull’origine dell’inchiesta. Una mossa che Barr aveva già annunciato in giornata: quello che sarebbe il nostro ministro della Giustizia ha costituito un team investigativo per indagare sulle origini delle indagini dell’Fbi sul Russiagate nel 2016. Barr ha individuato una lista di membri del Dipartimento di giustizia che vuole siano ascoltati per ricostruire come l’Fbi decise di indagare l’allora candidato presidenziale Donald Trump e la sua

 

Continua qui: https://www.lettera43.it/it/articoli/mondo/2019/04/10/trump-russiagate-elezioni-2020/231098/

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

S&P dà un ranking (valutazione) anche alle Prigioni costruite con i Junk Bonds

9 Aprile 2019 DI AMANDA ALBRIGHT

Bloomberg.com

Nel 2015 scoppiò una rivolta nel centro di detenzione della contea di Willacy, in Texas, quando i detenuti protestarono per gli allagamenti dei gabinetti, per i topi e per il sovraffollamento della struttura gestita e sorvegliata dalla Management & Training Corp.  Questo spinse il Federal Bureau of Prisons a spostare i detenuti e a chiudere la prigione, tagliando alcune entrate necessarie per ripagare i debiti.

Quella chiusura mostrò il livello di volatilità a cui possono andare incontro gli investitori che posseggono i prison bonds – le obbligazioni delle carceri. In effetti, gli analisti di Wall Street non sono ancora sicuri su come valutare il rischio di insolvenza su $ 13 milioni di debito in sospeso legato a altri asset della Willacy County, per una ragione completamente diversa.

Si tratta di obbligazioni e debito contratto per altri tre carceri del Texas che avevano già un rating sul valore del credito – classificato junk-credit- da S & P Global Ratings, un fatto strano che però ben riflette le deboli aperture finanziarie in un angolo di mercato che vale 3,8 trilioni di dollari, valore che un tempo era stato gonfiato dal governo locale che mandava qui i carcerati federali. Questa incertezza è stata gonfiata dal presidente Donald Trump che, con i suoi cambiamenti politici non ha chiarito se i contratti federali verranno rinnovati o se saranno messi a repentaglio per effetto dei tagli fatti che farà il Congresso.

S & P ha emesso una dichiarazione con cui ha ritirato il precedente rating, dopo ripetuti e infruttuosi tentativi di parlare con il Bureau of Prisons e con il US Marshals Service, cosa che ha lasciato dubbi ai suoi analisti sul fatto che  “si possa contare su un concreto dialogo in tempi brevi o in modo continuativo”. Lo scorso dicembre la società ha affermato che un contatto regolare con le agenzie federali sta diventando sempre più importante.

Oltre a quello sulla prigione della contea di Willacy, S & P ha anche ritirato il suo rating sul debito venduto per i centri di detenzione nella contea di Fannin, nella contea di Hudspeth e nella contea di Garza.

“Come investitore, bisogna pensare che: no news is bad news per un credito”, ha detto Matt Fabian, partner del Municipal Market Analytics. ” S & P si basa solo su basi solide per emettere le sue valutazioni”.

Effetto a Catena

Le indiscrezioni finanziarie giunte agli investitori nel mercato delle obbligazioni municipali sono meno controllate rispetto a quelle che arrivano dalle società che vendono azioni e obbligazioni, i cui depositi sono monitorati dalla U.S. Securities and Exchange Commission. Certi rendiconti finanziari certificati del governo ci possono mettere un anno o più per essere divulgati.

Ma gli effetti a catena provocati dal governo federale sono piuttosto strani. La S & P ha detto che le informazioni delle agenzie di Washington stanno diventando importanti, se si deve stare a sentire quello che si dice nei dibattiti come quello dello scorso febbraio sul bilancio, quando i democratici hanno cercato di tagliare i fondi da destinare all’immigrazione e alle dogane USA per fermare gli immigrati travolti dalla repressione di Trump contro chi entra il paese illegalmente. S & P ha anche affermato di avere “pochi elementi” su questioni come i rinnovi contrattuali.

Il giudice della contea di Garza, Lee Norman, ha detto che pensa che parte del problema sia che il centro di detenzione, gestito dalla MTC, non è stato in grado di firmare un contratto a lungo termine con il Bureau of Prisons. I problemi del carcere sono iniziati quando l’amministrazione del presidente Barack Obama decise di mettere fine all’utilizzo di prigioni gestite

 

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/sp-da-un-ranking-anche-alle-prigioni-costruite-con-i-junk-bonds/

 

 

LA LINGUA SALVATA

DOVE FINISCONO LE PAROLE: UN ESTRATTO

di minima&moralia pubblicato lunedì, 8 aprile 2019

Pubblichiamo, ringraziando editore e autore, un estratto dal libro di Andrea Delogu Dove finiscono le parole, uscito per RaiLibri. Il testo racconta la scoperta, la convivenza e il confronto con le difficoltà legate alla dislessia, ed è stato stampato con una font ad alta leggibilità, EasyReading, adatta sia ai dislessici che ai non dislessici.

 

di Andrea Delogu

 

Papà, ho trovato un amico (1991). Ovvero quando non conoscevo la differenza tra mamma e mucca

Che strana cosa, penserete voi. Come si fa a confondere la mamma con una mucca? Impossibile. Certo, sono due parole di cinque lettere ed entrambe cominciano per emme, ma le somiglianze finiscono qui. Qualsiasi bambino già a un anno è capace di cogliere la differenza tra la sua mamma e una mucca, sa che la mucca fa “muuu” e adora stare tra le braccia della mamma. Ebbene, per me evidentemente la differenza non era così palese.

E dire che all’epoca di anni ne avevo sei e da poche settimane avevo cominciato a frequentare la prima elementare. Be’, è stato proprio alle elementari che, insieme alla maestra, ai compagni di classe e ai grembiuli è arrivato anche il mio primo vero nemico: il libro degli esercizi.

La scena che sto per descrivervi ce l’ho stampata in testa, è una specie di pietra miliare del disagio che già allora cominciavo a provare nei confronti della parola scritta, e il caso ha voluto che sia stata subito mia madre a farne le spese, o una mucca o forse entrambe. Ho vissuto felicemente in un posto particolare, gli altri la chiamavano “comunità di recupero”, io la chiamavo semplicemente “casa”. I miei genitori si erano innamorati lì ed è lì che io sono cresciuta fino ai dieci anni, circondata da molti bambini della mia età, con tantissimo spazio per giocare all’aperto e un appartamento molto grande che dividevamo con altre tre famiglie, tra cui quella del mio migliore amico.

Ora, immaginate con me. Interno giorno. Una stanza con un letto matrimoniale sulla sinistra della porta, un lettino proprio davanti all’ingresso con appesa sopra, quasi a protezione sindonica, una stampa della Primavera di Botticelli. All’angolo, una finestra di quelle da chalet di montagna, con i vetri a fondo di bottiglia. Fuori, una bella giornata di sole. Oltre ai letti c’erano un armadio a tre ante, una cassettiera e cinque mensole sparse sui muri, tutto dello stesso tipo di legno, un legno chiaro, giovane, ma resistente. Insomma, di spazio vitale non ce n’era moltissimo, ma stavamo bene.

Per personalizzare l’ambiente e dar sfogo alla mia creatività, mia madre mi aveva aiutato a disegnare delle farfalle con gli stencil: erano blu, di un blu un po’ pallido, però risaltavano bene sulle pareti bianchissime e ruvide, grezze ma non troppo. Il pavimento era di cotto bordeaux e la scuola era appena cominciata, faceva caldo e andavamo ancora in giro a piedi scalzi. Ecco, immaginate di essere con me in quella stanza, dopo un pomeriggio di giochi in cui avevo dato libero sfogo alla fantasia. A un certo punto, mia madre dice: “Prendiamo il libro che dovete portare a scuola domani e proviamo a fare qualche esercizio”.

Un proposito del tutto legittimo, un modo per rendere i primi approcci allo studio meno noiosi. Eppure, da quel momento in poi la mia visione del mondo è cambiata. Non sempre in peggio, ma è cambiata. Insomma, stavamo sul letto, mia madre seduta al centro e io e il mio amico Marcellino, compagno di giochi e di vita di tutta l’infanzia, un fratello quasi, accanto a lei. Fino ad allora io e Marcellino avevamo trascorso le nostre giornate così: scalavamo montagne di paglia nelle stalle dove c’erano gli animali da fattoria (anche qualche mucca, che non si pensi che non ne avessi mai vista una e per questo potessi essermi sbagliata) e andavamo in escursione nel boschetto dietro casa, un bosco che contava ben otto alberi e una decina di cespugli. In effetti, chiamarlo “bosco” era un po’ azzardato, ma a noi allora sembrava più grande e avventuroso del parco nazionale dello Stelvio. Sfrecciavamo coraggiosamente in due in bicicletta in discesa senza freni e, quando si cadeva, il meno dolorante riportava a casa l’altro. E soprattutto soffrivamo insieme in silenzio quando a cena c’era pesce bollito. Ecco, io e Marcellino eravamo inseparabili, fino a quel fatidico “mamma o mucca”.

Già, perché le cose belle, spesso, a un certo punto finiscono e i nostri pomeriggi immersi nella natura erano destinati a scontrarsi con la dura realtà della scuola dell’obbligo. Quindi, dicevo, eravamo tutti e tre sul letto e stavamo sfogliando questo libro che aveva delle immagini molto colorate con sotto scritte le rispettive parole: la parola “tavolo” e il disegno di un tavolo, la parola “tovaglia” con sotto l’immagine tutta variopinta di una tovaglia e via così, per tutto il libro. Bimbo e bolla, tela e trottola, pane e palla e infine l’incriminato “mamma e mucca”. Marcellino le aveva indovinate tutte, oppure le aveva già sapute leggere.

All’epoca stavo appena cominciando a rendermi conto che qualcosa non funzionava nel mio rapporto con le lettere, perché lui le gestiva benissimo e non mostrava alcuna esitazione nella lettura (per quanto possa essere veloce un bambino di sei anni), mentre io stavo lì a riflettere, a guardarle, capovolgerle, ribaltarle, e continuavo a faticare da matti per dar loro un senso. Però, visto che ancora non c’erano altri bambini con cui confrontarsi e che io sono sempre stata un tipo ottimista, niente affatto portata all’autocommiserazione, già allora pensavo che Marcellino fosse una specie di genio e io, in fondo, una bambina normale. Era lui quello speciale, che aveva

 

Continua qui: http://www.minimaetmoralia.it/wp/finiscono-le-parole-un-estratto/

 

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Grecia 2019: Xenocrazia

 

DI PANAGIOTIS GRIGORIOU – 11 aprile 2019

greekcrisis.fr

 

Nelle feste popolari si ricordano i tempi della Rivoluzione del 1821, che liberò la Grecia dagli Ottomani, e i politici cercano di non parlarne, per non parlare dell’odierna Xenocrazia (il governo degli stranieri) e del recente tradimento sulla Macedonia del Nord. Ma l’esercito ignora gli ordini superiori (e politici) e, durante le parate, canta gli inni alla Macedonia greca: lo fanno tutti, dai corpi speciali agli Evzoni e perfino gli allievi della scuola ufficiali disobbediscono e cantano, sommersi dagli applausi della gente, che contesta apertamente e – sempre più spesso – aggredisce fisicamente i politici, non appena osano farsi vedere in giro.

In campagna la vita diventa mera sopravvivenza, e può tirare avanti in qualche modo solo grazie alla rete informale dei rapporti, che ancora tiene e permette di curare i malati senza assicurazione, non chiede i danni dopo un incidente stradale, garantisce piccoli lavori saltuari, rigorosamente in nero. Ma in città tutto questo non esiste, e l’ultimo, evidentissimo fenomeno è quello della progressiva sparizione della classe media, attraverso pauperizzazione dei loro introiti e la sparizione delle loro proprietà immobiliari, prima tassate ferocemente e poi comprate da stranieri per essere infine trasformate in entità destinate all’affitto (Airbnb e dintorni). L’ultimo colpo, proprio di questi giorni, con l’accoglimento dell’ennesima richiesta della Troika: un miliardo di “aiuti” in cambio della possibilità di pignorare anche la prima casa, a fronte di debiti non pagati. E intanto, lo Stato incamera (e rivende agli speculatori stranieri) migliaia di appartamenti che i greci ricevono in eredità alla morte dei propri avi, e che rifiutano, nell’impossibilità di pagare i debiti pregressi, che arriverebbero insieme all’immobile.

 

Da “Enfants de la patrie” – Lunedì 25 marzo, 2019

Alcuni momenti popolari, nel senso pieno e completo del termine, materializzano accuratamente il… coacervo di sensazioni e pensieri presente in gran parte nel parere. Soprattutto durante le festività nazionali e soprattutto nei periodi di Xenocrazia [NdT. Governo degli stranieri] , quelli del… tradimento delle presunte élite e, in primo luogo, dei politici. Questo 25 marzo è uno di quei momenti, una festa nazionale che commemora la rivoluzione nazionale e sociale greca di 1821 che liberò il paese dal giogo degli ottomani. Quelli di Tsípras, quando hanno osato mostrarsi in pubblico, sono stati apostrofati come traditori in tutta la Grecia. Bella, bella giornata di sole.

Le sfilate degli scolari sono state organizzate in tutto il paese, così come la tradizionale grande parata militare del 25 marzo ad Atene. (…) Il governo del burattino Tsípras ha mobilitato quasi 2000 poliziotti ad Atene solo per proteggersi dal popolo durante le sfilate del 24 e 25 marzo, ma invano. Senza annunciarlo in anticipo, e per questa ultima festa nazionale di SYRIZA al pseudo-potere, Tsípras ha fuggito la capitale per “celebrare” la giornata a Agathonísi, nel Mar Egeo, vicino alla Turchia(…). Poi durante la grande sfilata ateniese del 25 marzo, tutte le unità militari che marciavano, così come i musicisti della Marina nazionale, hanno ignorato gli ordini dei loro comandanti e del governo, che vietavano [di cantare] quella vecchia canzone patriottica (ma notissima) che inneggia alla gloria della Macedonia storicamente greca.

Prima la guardia Evzone, guardia presidenziale e primo corpo d’élite dell’esercito greco dagli anni 1860, poi quelli delle forze speciali tra cui i commando della Marina, hanno cantato la Macedonia greca, tra gli applausi dei cittadini presenti (…) Prima di loro, quelli della scuola militare, l’equivalente della scuola militare speciale di Saint-Cyr in Francia, hanno anche cantato in parata, tra le ovazioni dei cittadini. Secondo il giornalista Ypofándis che ha immortalato la scena, “tutti gli allievi cantavano la Macedonia, mentre i loro ufficiali tacevano”, il video è qui.

E alla fine della grande parata militare ad Atene, i cittadini presenti davanti a molti poliziotti, visibilmente imbarazzati, alla vista delle limousine dei funzionari, gridavano lo slogan: “Tsípras, bastardo, sarai impiccato”, il video è qui.

Altrove, a Kalamata nel Peloponneso, per esempio, la baby-ministro agli affari esteri Katroúgalos… pietrificata, ha sofferto molto… quando il canto proibito è stato ancora intonato dalla fanfara e raccolto dalla folla, il video è qui. Poi, a Salonicco, la capitale della Macedonia greca, un uomo che faceva parte della parata, si è fermato per qualche istante di fronte alla tribuna ufficiale, mostrando loro un cartello dal messaggio molto esplicito: “traditori, Dio perdona, i macedoni greci mai”, il video è qui.

 

(…) a Kateríni, la città della Macedonia greca, alla fine della sfilata del giorno, il parlamentare locale di SYRIZA, è stato assediato dai cittadini e dagli scolari arrabbiati, la folla gli gridava: “traditore, pagherai”, e il deputato è stato tratto in salvo dalla Polizia (qui), il video corrispondente qui.

Lontano dal paese, completamente respinto dai greci, Varoufakis il 25 marzo 2019, ha inaugurato da Bruxelles la cosiddetta “coalizione progressista sotto la bandiera della “primavera europea” per le prossime elezioni di maggio, un’Alleanza transnazionale di movimenti progressisti… (…) Una formazione, nell’umile opinione di Greekcrisis, e senza perdersi in dettagli inutili, manifestamente legata a George Soros.

Nel paese, gli altri di Tsípras, quando osano salire in pubblico, vengono spesso chiamati traditori in tutta la Grecia. Tempo di lotte. (…) Bella, bella giornata di sole!

 

Da “Cronaca degli umili” – Venerdì 29 marzo, 2019

 

(…) piccolo popolo, umile, e anche “bioconservativo” [NdT: contadino che usa tecniche antiquate] secondo alcuni transumanisti e misantropi, sopravvive come può. (…) A volte anche solo con un po’ di fortuna, come ieri mio cugina Evanthia nel villaggio della Tessaglia [in cui vive].

 

Evanthia stava tornando dal suo lavoro notturno, al panificio del villaggio. Guadagna 12 euro al giorno, lavorando tra le 4 e le 8, ovviamente in nero. Suo marito, Pétros si prende cura dei magri campi ancora appartenenti alla famiglia, esegue piccoli lavori di riparazione meccanica per le persone del quartiere, ed è occupato occasionalmente durante l’anno come un autista sui camion dei cantieri. Questo, quando c’è lavoro. La coppia cura anche i due figli della loro figlia e marito, per permettere loro di andare a lavorare un po’. La famiglia allargata occupa una singola casa, riscaldata a legna, e hanno mantenuto solo una vecchia auto per tutti, assicurata, più lo scooter.

Evanthia utilizza lo scooter di famiglia, per il quale non riesce a pagare l’assicurazione. Più della metà degli abitanti del villaggio fanno lo stesso, soprattutto per un secondo veicolo o uno scooter: hanno appena abbastanza soldi per mettere un po’ di benzina nel serbatoio e questo è tutto. Evanthia non è attenta ieri mattina, così il suo scooter è colpito dal furgone che il vicino di casa, Nikos, aveva appena avviato per raggiungere i suoi campi. Evanthia viene prima curata dal medico e dal farmacista del villaggio, poi è stata trasferita all’ospedale della capitale dove è stata operata urgentemente. Ha diverse fratture ai piedi, ma i suoi giorni non sono in pericolo, la famiglia è sollevata, Nikos, il loro vicino e amico, lo è altrettanto.

Essendo persone di campagna, nessuno chiederà i danni ad Evanthia, Nikos riparerà [il furgone] in famiglia, quelli della polizia locale chiuderanno gli occhi davanti alla pauperizzazione che li circonda e che li riguarda, il sistema sanitario per ora accetta ancora di guarire Evanthia come paziente in urgenza, pur sapendo che non è più tra coloro che godono dell’assicurazione sanitaria. Altrove, e soprattutto nelle aree urbane, il regime antisociale, quello del lento genocidio mostra invece tutti i suoi denti. (…) Questa settimana, la polizia ha fermato Suzana Iliádou, 90 anni di età, che vende le sue maglie al mercato settimanale nel suo quartiere di Salonicco. È stata tenuta in fermo alla stazione di polizia per quasi 12 ore dopo avere ricuvuto un verbale, un poliziotto l’ha anche apostrofata non senza ironia per la sua mano tremante mentre forniva… l’impronta digitale su un dito già precedentemente inchiostrato.

La scena è stata comunque trasmessa dai media, e questo ha creato scandalo in Grecia. I vicini della vecchia signora, scioccati e spaventati, sono incaricati di vendere la sua maglieria al mercato settimanale, mentre il ridicolo ministro SYRIZA Papakósta (dagli apostati, dalla nuova democrazia), dichiara che “l’ammenda inflitta alla vecchia signora pari a €200 è giustificata, ma sarà congelata” (stampa greca della settimana). Nel frattempo ad Atene, i pensionati hanno protestato in Parlamento per la 125 ª volta dall’inizio della cosiddetta crisi nel 2010; iniziativa dignitosa, ma ormai del tutto simbolica. (…)

“Signor primo ministro. Mi hai chiamato ultra di estrema destra, populista, decerebrata, idiota. Io ti ficco quei termini in bocca e te li faccio ingoiare” L’episodio di Suzana Iliádou, 90 anni, venditrice di maglieria al mercato settimanale nel distretto di Salonicco, i greci l’hanno giudicato conclusivo… (…)

Cronaca degli umili, come la notizia di mia cugina Evanthia, che sta meglio stasera e soprattutto, non è sola.

Da “Vivi semplicemente !” [Titolo originale: in italiano] – Martedì 2 aprile, 2019

 

Il sole splende, il crepuscolo è stagionale. Atene è trasformata: poteri, territori, proprietà, regole di pianificazione e quindi anche gli usi. (…) Atene, nuova cittadella della globalizzazione, una globalizzazione “felice” che beneficia in primo luogo di coloro che arrivano, e va detto che ce ne sono molti. (…)

(…) La Grecia è costretta a diventare una società globalizzata come qualsiasi altra, disuguale e, se possibile, anche multiculturale. Da un modello ampiamente egualitario, acquisito dall’avvento della classe media alla fine della dittatura dei colonnelli nel 1974, si passerà gradualmente a una società socialmente disuguale e con tensioni identitarie. (…) “La globalizzazione ha infatti generato l’esistenza di nuove cittadelle, le metropoli, dove si sta concentrando una nuova borghesia, che si prende la maggior parte dei benefici del modello globalizzato. In nome della società aperta, accompagna e sostiene le scelte economiche e sociali della classe dominante, con la conseguenza di respingere inevitabilmente le classi di cui sistema economico non ha più bisogno nelle periferie territoriali e culturali” (Christophe Guilluy, “Il crepuscolo della Francia dall’alto”, Flammarion 2017).

(…) La predazione in corso su tutto il parco immobiliare privato di grandi aree metropolitane, ieri di proprietà delle classi popolari, non ha equivalenti nella storia. Meglio, si realizza in silenzio, senza che in nessun momento sia messa in discussione, ancor meno fermata. Va detto che la concentrazione di alta borghesia dove si crea la maggior parte della ricchezza e dell’occupazione è accompagnata anche da una occupazione da parte di queste categorie del dibattito pubblico e della sua espressione”

In Grecia e prima di tutto ad Atene, la predazione che di parte dei beni dei borghesi greci [avviene] in primo luogo da parte dei rapaci internazionali, e si rivolge a tutto il parco di abitazioni private, passando per Alberghi e uffici, ieri ancora in mano all’immensa classe media greca. Predazione che non ha alcun equivalente nella storia del paese. Tranne che sotto l’altra occupazione (tedesca), quella degli anni 1940, quando in soli tre anni, quasi 250.000 immobili passarono di mano, a beneficio della casta degli approfittatori e di molti collaboratori dell’altro… occupante.

Il vostro … povero Blog aveva detto fin dai suoi inizi che la cosiddetta crisi greca era solo una forma di guerra non dichiarata contro la società e contro il popolo greco, un genocidio a volte lento e talvolta accelerato, genocidio anche economico e demografico. (…)

Ora lo sappiamo. (…) la Grecia, un paese di piccola proprietà, soprattutto immobiliare, è stato distrutto e questo abbastanza in fretta. L’aumento della tassazione è stato di circa il 400% dal 2010, così come il rapido impoverimento inflitto alla classe media, passata dal 70% a meno del 25% della popolazione, in corrispondenza al massiccio afflusso di capitale predatorio e globalista, che ha comprato la spina dorsale del sistema economico, culturale e persino familiare greco, una conquista per la quale le cosiddette “élite politiche ed economiche greche” devono congratularsi tra di loro.

(…) Ma fare di Atene una nuova cittadella di globalisti non sarebbe stato possibile senza l’eliminazione della resistenza culturale ed economica della valorosa classe media greca, per la quale lo stato greco stesso era ai suoi occhi un nemico strutturale. (…) Nel frattempo, nel 2018, 150.000 eredità (di beni immobili) sono state rifiutate dagli eredi in Grecia, con un aumento di oltre 400% dal 2013 (stampa greca del 2 aprile 2019). Questi beni andranno così allo stato, che li… offrirà ai rapaci internazionali perché in qualsiasi modo e potenzialmente, tutta la proprietà dello stato greco appartiene ai cosiddetti creditori e per un periodo di 99 anni, secondo il memorandum

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/grecia-2019-xenocrazia/

 

 

 

Parola di Landini

 

10 Aprile 2019 DI ANDREA ZHOK

facebook.com

Ieri le maggiori sigle sindacali, capitanate dal segretario della CGIL Maurizio Landini, hanno unito le loro forze a quelle di Confindustria per sottoscrivere un comune appello.

In esso si esortano “i cittadini di tutta Europa ad andare a votare alle elezioni europee per sostenere la propria idea di futuro e difendere la democrazia, i valori europei, la crescita economica sostenibile e la giustizia sociale”.

L’appello è specificamente rivolto contro “quelli che intendono mettere in discussione il progetto europeo per tornare all’isolamento degli Stati nazionali, richiamando in vita gli inquietanti fantasmi del novecento”.

Chiosando l’appello, conclude Landini: “Noi pensiamo di aver bisogno di più Europa, di un’Europa diversa da quella dell’austerità, lontana dai cittadini e dai lavoratori. Indichiamo un’Europa capace di dare prospettive di lavoro ai giovani, aperta al mondo, fattore di stabilità e pace, che sa accogliere. Un’Europa capace di compensare e ridurre le diversità economiche e sociali che vivono al suo interno”.

Ci sarà un giorno in cui nei libri di storia si chiederanno come tutto ciò sia stato possibile.

Ci si chiederà come è stato possibile che la totalità dei rappresentanti dei lavoratori di un paese si siano uniti in un fronte comune a difesa di un meccanismo istituzionale, l’Unione Europea, che ha demolito per vent’anni la dignità del lavoro in Italia e in gran parte d’Europa.

Dopo vent’anni di dumping fiscale e sociale, di austerità, di monetarismo, di

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/parola-di-landini/

 

 

 

 

 

Tom Luongo: l’economia tedesca è un morto che cammina

Di Malachia Paperoga – Aprile 8, 2019

 

Luongo commenta i dati economici provenienti dalla Germania. L’economia tedesca è vicina a un tracollo, a causa dei problemi strutturali della UE. Gli espedienti con cui per anni sono stati tenuti insieme i cocci di un’unione economica disfunzionale sembrano ormai mostrare la corda: si avvicina il momento della verità. E la Merkel sembra aver già perso la guerra per tenere insieme la UE, qualunque sia l’esito finale della Brexit.

 

Di Tom Luongo, 6 aprile 2019

 

 

La Germania è decisiva per l’economia UE. Non è una novità.

 

La novità è che l’economia tedesca sta collassando. Non rallentando… nemmeno attraversando delle turbolenze.

 

I tedeschi sono una potenza industriale ed esportatrice. E il trend di queste due cose è in declino da più di un anno.

 

La bilancia commerciale degli ultimi due trimestri è stata la peggiore dal 2016. E l’euro si è deprezzato del 13% da gennaio 2018. Questo è possibile perché gran parte delle esportazioni tedesche sono dirette agli altri paesi UE e questi sono pieni di debiti fin sopra i capelli.

 

Inoltre, il dato di marzo del PMI tedesco (Indice gestionale per gli acquisti manifatturieri), ben al di sotto delle attese,  è stato confermato questa settimana dai numeri di aprile, che sono semplicemente orribili. La previsione del 22 marzo ha sbagliato di più di 3 punti, il dato è del 44,7 contro aspettative del 48,0 (qualunque dato sotto il 50 significa una contrazione). Una contrazione si è verificata (sorprendendo ancora una volta i mercati) anche a febbraio.

 

Infatti, non ci sono stati che dati in ribasso, alcuni dei quali analogamente orribili, a partire dall’inizio dello scorso anno.

 

Questo è soltanto il più drammatico tra gli gli indici economici tedeschi. Ma i dati sono tutti pessimi.

 

Ciò mette la Germania sulla via della recessione.

 

Di nuovo, non è una novità per chiunque stesse guardando attentamente i mercati. Ne parlo per smascherare la follia che circonda la Brexit e fornire un contesto sensato.

 

Ho definito la Brexit una minaccia esistenziale per la UE. Lo è, e anche di più. Questo è il motivo per cui tutti, su entrambe le sponde della Manica, stanno lavorando alacremente per sabotarla.

 

Nel mio ultimo articolo per Strategic Culture faccio i nomi dei responsabili.

 

L’UE non vuole la Brexit e se dovesse accadere, infliggerebbe un danno incredibile al sistema politico britannico e alla sua integrità.

 

Non c’è alcuna vera differenza rispetto a quanto accaduto in Grecia nel 2015. Tutto fu pilotato da Angela Merkel allora ed è pilotato dalla Merkel oggi.

 

L’intransigenza della UE nelle negoziazioni, a parte non avere altre alternative, è un bluff elaborato per separare e dividere la classe politica britannica, ora che il popolo ha votato per l’uscita.

 

Trovo patetico vedere la Merkel impegnata questa settimana in un affascinante tour in Irlanda per presentare il suo lato materno e contribuire ad alleviare il dolore dell’aperto tradimento del sistema politico britannico da parte di Theresa May.

 

Ora che la soluzione si avvicina, la Merkel e Donald Tusk stanno giocando la parte del poliziotto buono, mentre Guy Verhofstadt interpreta il poliziotto cattivo con la bava alla bocca.

 

La discesa tedesca nei guai economici è ora il principale problema per la Merkel, anche se dubito che lei sia pienamente consapevole delle implicazioni. Tutti tendono a giudicare erroneamente normale la situazione, e per lei il Progetto Europeo dovrebbe essere abbastanza forte da superare qualsiasi tempesta.

 

Ma se non dovesse esserlo?

 

L’opinione diffusa è che tenere il Regno Unito nella UE, nel ruolo di mucca da mungere, sia importante per assicurare il prolungarsi del dominio tedesco sull’Unione. E penso che questo sia quello di cui sono convinti a Bruxelles.

 

Tuttavia, inizio a credere che la realtà sia differente da quello che pensano i burattinai.

 

Quindi, sostengo che, di fatto, la Germania e la Merkel hanno già perso la guerra per tenere insieme la UE, a prescindere dalla Brexit. La distruzione del sistema politico britannico non renderà gli inglesi più facili da controllare, ma più difficili.

 

Non spaventerà i recalcitranti come l’italiano Matteo Salvini o Marine le Pen in Francia. Li farà infuriare.

 

Il fallimento dell’economia tedesca nel tenere insieme l’Unione colpirà molto velocemente e come un boomerang la leadership tedesca della UE. Già lo vediamo quando il Presidente francese Emmanuel Macron si discosta apertamente dalla Germania sulla Brexit.

 

Moltissime persone, inclusi i Remainer di Londra, sostengono di non poter

 

Continua qui: http://vocidallestero.it/2019/04/08/tom-luongo-leconomia-tedesca-e-un-morto-che-cammina/

 

 

 

POLITICA

Se dovesse cadere questo governo …

Federica Francesconi 8 04 2019

 

In pochi hanno capito che se dovesse cadere questo governo, consentitemi il “francesismo” fuori dai miei abituali schemi linguistici, saremmo nella merda.

E’ vero, non bisogna illudersi: questo governo non è rivoluzionario e nemmeno sovranista. Tuttavia, a differenza delle ciofeche di governi eterodiretti che lo hanno preceduto, ha a cuore, almeno in quantità di minimo sindacale, le condizioni del popolo e la sorte del nostro paese. Purtroppo il minimo sindacale di questo governo non è sufficiente a mettere all’angolo le componenti filosistema  ed filoeuropee presenti sia dentro la Lega che dentro il M5S. E il tradimento, mi spiace dirlo, in questa congiuntura storica a breve termine, viene dal M5S. A provarlo sono le folli dichiarazioni che Di Maio ha rilasciato ad un quotidiano tedesco dove si è esibito in uno slinguazzamento masochistico alla Merkel e all’UE. Non pago della performance degno del suo compare, il ruzzolamerda Tsipras, Di Maio ha lanciato un duro attacco al sovranismo nel corso della trasmissione Che tempo che fa, ribadendo, da perfetto studentello che se la fa addosso al primo esame universitario, il suo atto di vassallaggio all’UE.

Nubi scure si addensano sopra l’Italia. Il Presidente dell’anti-Stato ha già pronto il governo ammazzapopolo bis, una riproposizione in salsa più sanguinaria del governo Monti. A guidarlo sarà l’uomo che Francesco Cossiga, in uno dei suoi pochi momenti di lucidità definì un “vile affarista”, “il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica italiana”. Insomma, un bijou d’uomo.

Ma ciò che più sconcerta è l’assoluta immaturità dei due vicepremier, impegnati

 

Continua qui: https://www.facebook.com/1165264657/posts/10215920592185423/

 

 

L’Unione Europea è un impero

Di Saint Simon – 1 aprile 2019

Wolfgang Streeck, sociologo ed economista, direttore emerito del Max Planck Institute, in questa intervista alla rivista spiked non si tira certo indietro: denuncia l’Unione Europea come impero neoliberale, volto allo smantellamento di tutte le normative commerciali e sociali che impediscono il libero dispiegarsi delle “quattro libertà” del mercato unico; un impero in cui il centro impone le sue politiche e i suoi valori alla periferia, se necessario anche rimuovendo governi sgraditi a favore di governatori imperiali come Monti. E ne ha anche per la sinistra, specie quella britannica, che troppo pavida e ottusa si è bevuta qualsiasi narrazione irenica e sembra preferire il limbo dei diritti dei lavoratori all’interno dell’Unione che l’organizzazione sindacale e la lotta di classe fuori da essa.

 

 

Sono passati due anni da quando il governo ha attivato il processo dell’Articolo 50. Ormai la Gran Bretagna dovrebbe essere fuori dall’Unione Europea. Ma oltre alla capitolazione del primo ministro di fronte a Bruxelles nelle negoziazioni per l’uscita, e al disprezzo del parlamento per il risultato referendario, ci sono ragioni strutturali più profonde che spiegano perché lasciare la UE si sia dimostrato così difficile? Per il sociologo ed economista, Professore Wolfgang Streeck, la UE è un “impero liberale”. Streeck è direttore emerito del Max Planck Institute for the Study of Societies [Istituto Max Planck per lo studio delle società, ndt] in Germania. spiked lo ha raggiunto per fare quattro chiacchiere.

 

spiked: Come si sono sviluppati il ruolo e le priorità della UE negli ultimi decenni?

 

Wolfgang Streeck: All’inizio, la UE era un’organizzazione per la pianificazione economica congiunta tra sei paesi confinanti. La pianificazione riguardava specifici settori, limitati all’estrazione del carbone e all’industria metallurgica, successivamente anche l’energia nucleare, nel contesto del capitalismo guidato dallo stato del periodo post-bellico. Quindi si è trasformata in una zona di libero scambio, sempre più consacrata a diffondere l’internazionalismo neoliberale, in particolare la libera circolazione di beni, servizi, capitali e forza lavoro, sotto le regole del Mercato Interno.

 

Mentre crescevano in continuazione il numero e l’eterogeneità degli stati membri, l’”integrazione positiva” divenne sempre più difficile. Al contrario, c’è stata un’integrazione “negativa”: la rimozione di normative fondamentali che impedivano il libero scambio all’interno dell’area. Dopo la fine del Comunismo nel 1989, la UE divenne un progetto geostrategico, strettamente intrecciato con la geostrategia degli Stati Uniti in relazione alla Russia. Dai 6 paesi originari, che cooperavano nella gestione di pochi fattori chiave delle loro economie, la UE è diventata un impero neoliberale di 28 stati molto eterogenei. L’idea era ed è quella di disciplinare questi stati a livello centrale tramite l’obbligo di farli astenere dall’intervento dello stato nelle proprie economie.

 

spiked: La Ue è riformabile?

 

Streeck: La costituzione de facto della UE consiste nel Trattato dell’Unione Europea, che è praticamente impossibile da modificare, e nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che soltanto la corte stessa può cambiare. Il nucleo neoliberale dell’istituzione UE e i risultati dell’integrazione europea sono destinati, nelle intenzioni dei loro autori, ad essere eterni e irreversibili. Ciò è mostrato dalla dura opposizione di Bruxelles all’uscita della Gran Bretagna, e dall’intenzione di renderla quanto più sgradevole possibile.

 

Ciò si può anche vedere, e forse in modo ancora più significativo, nell’incapacità delle istituzioni della UE di rispondere costruttivamente alle richieste di una maggiore autonomia nazionale, come affermato dai vari contro-movimenti “populisti”. Questi movimenti oggi stanno bloccando il processo di integrazione europea e c’è un alto rischio che l’insistenza di Berlino, Parigi e Bruxelles nel prolungare ed estendere le istituzioni europee porterà a gravi conflitti tra le nazioni europee, come non ne abbiamo più visti dal 1945.

 

spiked: Perché l’opposizione alla UE viene vista come immorale?

 

Streeck: Molto semplicemente, penso che la natura neoliberale e geostrategica della UE post-1990 non sarebbe capace di generare nulla di simile alla legittimità necessaria affinché un regime politico sia sostenibile. Deve essere inventata ogni sorta di narrazione sentimentale per far dimenticare alla popolazione la spoliazione delle politica democratica nazionale che è alla base della costruzione della UE.

 

Oggi, l’ideale dell’internazionalismo della sinistra liberale è stato dirottato dall’anti-statalismo neoliberale, e la solidarietà internazionale è identificata col libero mercato. Tutto ciò è puramente ideologico, e non depone bene per l’acutezza del ceto medio di sinistra che si è bevuto la versione “Terza via” della pace e dell’amicizia internazionale. In nessun punto della storia del socialismo, ad esempio, si trova l’idea che i lavoratori sono moralmente obbligati a competere fino a perdere il lavoro con lavoratori in paesi dove gli stipendi sono più bassi. Invece, la solidarietà ha sempre significato che i lavoratori cooperano, nel senso che si organizzano insieme, per proteggersi contro i tentativi dei datori di lavoro di metterli gli uni contro gli altri.

Poi c’è l’Unione Monetaria Europea, che funziona come un regime internazionale gold-standard. Si sa dagli anni ’30 del Novecento che il gold standard è incompatibile con la democrazia e la pace internazionale. Mette i governi contro i popoli e i popoli gli uni contro gli altri, in competizione per i mercati internazionali. La propaganda UE recluta il desiderio di pace e amicizia dei popoli per derubarli del loro retaggio istituzionale più importante: lo stato nazione. Lo stato nazione è l’unico posto per una politica favorevole a qualcosa come uno stato redistributivo o una democrazia egualitaria.

 

spiked: Perché la sinistra è diventata così attaccata alla UE?

 

Streeck: Vorrei saperlo. Forse perché confondono la UE con l’Europa? La UE è un costrutto istituzionale deplorevolmente antidemocratico, così complesso che non si può capire come funziona a meno di inchieste dettagliate – e anche allora si potrebbe non capire bene di cosa si tratta. Ciò significa che ci si può leggere quasi tutto. La si può identificare con i propri sogni personali di un mondo libero dai fardelli della storia. O la si può vedere come la personificazione di un piacevole stile di vita consumistico: diritti senza doveri, libera circolazione, nessuna tassa, forza lavoro immigrata, un mercato internazionale del lavoro per laureati che parlano inglese. L’”Europa” è l’ostrica personale: un parco giochi per la nuova classe media, i bobos, come li chiamano i francesi: i Bohémien borghesi, gli autoproclamati cosmopoliti che credono che importando manodopera a basso costo per le loro famiglie stiano facendo qualcosa per il progresso dell’umanità.

 

Molte persone oggi vogliono lasciarsi alle spalle il proprio bagaglio storico nazionale. Per molti cittadini britannici, il Regno Unito significa colonialismo. Sembrano credere che l’”Europa” non abbia mai avuto colonie, così vogliono essere “europei” anziché “piccoli inglesi”. In Germania è pure peggio, per ragioni comprensibili. Se si è all’estero, dovunque nel mondo, e si incontra qualcuno che dice di venire “dall’Europa”, si può essere sicuri che viene dalla Germania.

 

spiked: In che misura la UE ricorda un impero?

 

Streeck: La UE ha un centro e una periferia, con un ripido gradiente di potere tra il primo e la seconda. Il centro impone e fa rispettare il suo ordine politico ed economico nella periferia, sotto forma delle moneta unica, le “quattro libertà” del mercato comune, e l’obbligo generale di aderire ai “valori europei”.

 

Inoltre, l’obbedienza è ricompensata dai trasferimenti fiscali, in particolare i fondi strutturali e sociali. Il centro – che sia la Germania soltanto o la Germania e la Francia assieme è una domanda ancora aperta – offre protezione militare ai paesi della periferia in cambio della lealtà imperiale (si vedano la Polonia e gli stati baltici in particolare).

 

I paesi periferici che non seguono le regole, come la Grecia sotto il governo Syriza, vengono puniti dalle istituzioni centrali come la Banca Centrale Europea, mentre paesi centrali come la Francia sono esentati dalla punizione. A volte, governi imprevedibili nei paesi membri periferici vengono rimpiazzati dal centro con governatori imperiali, come è successo con la sostituzione di Silvio Berlusconi con Mario Monti in Italia, o di George Papandreou con Lucas Papademos in Grecia. E l’uscita

 

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