NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 1 MARZO 2019

https://comedonchisciotte.org/black-axe-lorrore-che-ignoriamo/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

1 MARZO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Le mode cambiano, esse stesse nate da un’esigenza di cambiamento.

MARCEL PROUST, La ricerca del tempo perduto, I vol. Meridiani,

Mondadori, 1983, Pag. 522

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

SOMMARIO

 

Le cosiddette migrazioni, l’odio internazionale e la sicurezza nazionale dell’Italia

Black Axe, l’orrore che ignoriamo. 1

Black Axe: l’orrore che ignoriamo (2) 1

MUOS Niscemi -1 – Protocollo Niscemi 1

Come (e perché) l’Fbi riscrive i film di Hollywood 1

La chiesa condanna Salvini, ma con che faccia?

Cosa sta succedendo tra India e Pakistan? 1

ELOGIO RAGIONATO DEL LIMITE. 1

La Bestia – Misteri d’Italia e democrazie manovrate dai poteri occulti 1

La CIA usa la Turchia per far pressione sulla Cina 1

McLuhan, cinquant’anni dopo 1

La fabbrica di migranti che Salvini non toccherà mai

Il Nazismo di questa generazione. E i suoi repubblichini. 1

Scuola di golpe: è nato in Serbia l’oscuro progetto Guaidò. 1

CFA: tutte le bufale sulla “bufala”. 1

 

 

EDITORIALE

Le cosiddette migrazioni, l’odio internazionale e la sicurezza nazionale dell’Italia

Manlio Lo Presti – 1 marzo 2019

Dopo aver esercitato sull’Italia una spaventosa pressione politica continuando a relegare il Paese ad un ruolo di serie C, a dispetto delle affermazioni dell’opposizione che ADESSO L’ITALIA STA PERDENDO PESO E CREDIBILITÀ CON QUESTO GOVERNO (ricordiamo le risate di Sarkozy con la Merkel, i borbottii derisori di Hollande sempre con la Merkel, l’ostilità e l’ostruzionismo permanente degli esponenti di Bruxelles contro il Paese sanzionato per sforamenti inferiori a quelli compiuti ripetutamente dai Paesi appartenenti all’asse infernale anglofrancotedescoUSA e loro satelliti).

Finché resta dentro l’unione europea, l’Italia è e rimane il Paese dei compitini a casa SEMPRE DOVUNQUE E COMUNQUE. Non facciamo finta di non saperlo,

dopo aver isolato il Paese sui temi della gestione collegiale e comunitaria dei flussi migratori (sperando in un crollo imminente dell’attuale governo),

dopo aver usato lo spread come un randello smascherandone il ruolo coercitivo e non segnaletico di un vero mercato,

dopo l’atteggiamento ricattatorio mafioso delle istituzioni comunitarie che spingo ossessivamente per l’adozione di misure depressive mentre è in atto una recessione continentale (ad un esame di Politica Economica questi pretoriani sarebbero stati impietosamente bocciati),

dopo la riapparizione di fantasmi del recente passato riferentesi al precedente governo che si aggirano nelle 17 trasmissioni politiche tv, sui 300 giornali ecc.,

dopo la martellante campagna di insano malato odio virulento (non esistono quindi altri argomenti costruttivi e di progetto politico di medio e lungo termine) da parte di gruppi politici della vecchia maggioranza,

dopo le minacce della Francia, della Germania, le pericolose blandizie degli USA (che può sterminarci perché esiste una potentissima minoranza italoamericana che ha parenti nella penisola e incide con il voto pesantemente sulle candidature presidenziali

il nostro martoriato Paese deve prendere decisioni radicali con particolare riguardo alla sua politica estera (oggi inesistente o platealmente servile. Il ministro degli esteri è da sempre indicato dagli USA, lo stesso dicasi per il Ministro del Tesoro che è in quota FMI, BCE, NATO, NSA, CIA, ecc. ecc.).

La crescente ostilità dell’UE, la pressione degli USA, l’ostruzionismo distruttivo di Francia e Germania che NON vogliono una Italia sviluppata (perché avere un terzo concorrente con cui spartirsi la torta quando si sta meglio in due?). Stanno aspettando – con l’aiuto dei loro servizi segreti – che questo governo cada al più presto per:

1) comprarsi a due soldi le ultime imprese: una operazione interrotta dall’insediamento di questo governo demmerda!

2) completare il trasferimento del ricco bilancio della sanità al settore privato (assicurazioni e cliniche).

3) contemporaneamente spingere il Parlamento a votare una legge sulla eutanasia di massa attraverso motivazioni di costi sanitari eccessivi (come accade da tempo in inghilterra), rinuncia all’accanimento terapeutico (con l’aiuto del movimento radicale e suoi simili in piazza), ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.

4) tagliare almeno del 50 percento l’erogazione delle pensioni;

5) precarizzazione selvaggia con l’effetto malthusiano di ridurre ancora di più i salari a circa, ripeto circa, 3 euro medi l’ora;

6) fronteggiare la ulteriore crisi dei consumi con indebitamento della popolazione con la forma del CREDITO ALCONSUMO con tassi medi del 17%, invece di adeguare i redditi da lavoro mediante una libera contrattazione fra le parti sociali interessate. Altra tendenza prossima sarà quella di creare FINANZIAMENTI EROGATI DALL’ALTO PER IL SOSTEGNO DEL REDDITO UTILE AD EVITARE UN RAPIDO COLLASSO ECONOMICO DEL PAESE (il c.d. reddito di cittadinanza vi ricorda qualcosa?);

7) ulteriore privatizzazione della scuola i cui fondi correlati andrebbero alle scuole vaticane e alle strutture di sotf power USA;

8) distruzione della scuola pubblica residua dove NON SI DEVE INSEGNARE NULLA, ma solo creare meccatronici per le linee di montaggio estere in Italia (la “buona scuola” consiste in questo, appunto);

9) privatizzazione quasi totale dei trasporti ferroviari con taglio dei rami improduttivi (quasi tutti al Sud ancora più penalizzato e sterminato);

10) privatizzazione dei trasporti aerei

11) privatizzazione totale della rete stradale ed autostradale senza assoggettamento a controlli nazionali a solo a quelli comunitari.

P.Q.M.

Il nostro Paese – ridotto alla stregua di una nazione desertificata sul modello sudamericano o africano – verrà invaso da ondate successive di circa 15- 20.000.000 di nordafricani che voteranno i partiti di opposizione e saranno disposti a ricevere 3 euro medi al giorno per il loro lavoro, con il plauso di Confindustria che va a braccetto con il maggiore partito di opposizione.

A questo punto, non sarebbe una sorpresa l’autoproclamazione di un esponente del partito di ostruzionismo permanente (l’opposizione è una cosa seria) che semina il caos e la guerra civile in Italia assieme a due o tre secessioni del territorio, con l’aiuto della NATO e dei CASCHI BIANCHI.

Ne riparleremo …

 

 

 

IN EVIDENZA

Black Axe, l’orrore che ignoriamo

28 Ottobre 2018 DI ROSANNA SPADINI     (DA LEGGERE ATTENTAMENTE – L’INFERNO NIGERIANO I PARTE)

comedonchisciotte.org

Un fenomeno preoccupante e largamente diffuso sul territorio italiano, anche se ampiamente sottovalutato è quello della mafia nigeriana. L’episodio di Roma San Lorenzo, del truce omicidio della povera Desirée, come quello precedente di Pamela a Macerata, violentata, uccisa e fatta a pezzi dai nigeriani, sembrano confermare l’allarme. Del resto il presunto quarto assassino della ragazza di Roma, Salia Yusif, in fuga dalla polizia, aveva lasciato Roma per tornare a Borgo Mezzanone, nel Foggiano, dove aveva già soggiornato fino al 2014 presso il C.A.R.A. Si era anche tagliato i capelli per non farsi riconoscere e viveva nella baraccopoli adiacente, ove è sorto  un insediamento di immigrati che non hanno più titolo ad essere ospitati all’interno della struttura, e dove la mafia nigeriana ha creato dei potenti feudi di controllo sull’intera area.

Li chiamano «cult», dominano il racket da Torino a Palermo, tengono legami anche con i clan di Ballarò. «Ho fatto tre informative a tre procure diverse, Roma, Bologna e Palermo, interessate al fenomeno che si sta espandendo a macchia d’olio in tutta Italia e tutta Europa», ha detto alla Commissione parlamentare sulle periferie il commissario della municipale Fabrizio Lotito. Gerarchia mafiosa, riti d’iniziazione, cosche: «Torino è la città con il maggior numero di immigrati nigeriani, a ruota segue l’Emilia Romagna. Le nostre indagini su questo fenomeno mafioso vedono come attori principali i ‘cult’, nati nelle università nigeriane degli anni Settanta, poi evolutisi fuori e giunti anche in Italia».

Probabilmente anche l’agguato dello scorso settembre ai giardini Alimonda di Torino contro due poliziotti antidroga circondati e pestati da una trentina di spacciatori africani, dimostra la violenza del fenomeno. La mafia nigeriana comanda ormai in molte periferie italiane, anche in quel corso Giulio Cesare così multietnico che gli ultimi bottegai locali espongono in vetrina il cartello «negozio italiano».

VIDEO QUI: https://youtu.be/BlatVV73kkA

Black Axe, Maphite, Supreme Eiye Confraternity, Ayee sono nomi di «cult» che riempiono ormai da anni le cronache giudiziarie, molto bene lo sanno gli inquirenti e gli abitanti delle zone più interessate, il fenomeno però è meno conosciuto per l’opinione pubblica. Le prime vittime dei «don» (i capi) sono ragazze nigeriane vendute come schiave e giovani nigeriani (baseball cap) ridotti a elemosinare davanti ai bar delle grandi città per ripagare debiti di famiglia contratti in Nigeria.

Il traffico di giovani nigeriane verso l’Europa, che diventano schiave del racket e di riti vudù,  è in continua ascesa. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), in Italia nel 2014 sono arrivate dalla Nigeria, via mare, 1.450 donne, 5.600 nel 2015, oltre 11.000 nel 2016, in buona parte minorenni. Il 2017 sembra confermare il trend, con 4.000 ragazze sbarcate nei primi sei mesi dell’anno. Le stime di OIM dicono che l’80% delle giovani in arrivo dal Paese africano è destinato alla prostituzione. Le nigeriane sono diventate una fetta consistente del mercato italiano che vale 4 miliardi di euro all’anno: il 55% delle prostitute in Italia sono straniere e il 36% di loro è di nazionalità nigeriana (Istat). L’85% delle prostitute nigeriane proviene dalla stessa città: Benin City, l’hub africano della prostituzione.  

Il traffico degli esseri umani è una delle sue più importanti fonti di sostentamento, con introiti che non sfamano diversi strati della popolazione, comprese le famiglie delle vittime. «Ti chiamano trafficante e vogliono processarti», dice Exodus che per venti anni ha vissuto tra Benin City e la Libia e si è arricchito grazie alla tratta. «Guardiamo però alle operazioni del Naptip: arrestano un trafficante, ma poi si scopre che la famiglia era coinvolta, era d’accordo. Quindi anche loro sono trafficanti. E il passeur non è un trafficante? I poliziotti? La polizia prende i soldi dalle persone e permette loro di andarsene. Vuoi dirmi che non ci sono poliziotti nelle città al confine con il Niger? Vuoi dirmi che non ci sono funzionari dell’immigrazione? Vuoi dirmi che non ci sono posti di blocco? Dove sono tutti, dormono? E i giudici? Anche loro trafficanti! Le Ong? Ti dico solo una cosa: soldi, soldi, soldi. In America dicono ‘Money talks, bullshit walks’».

Exodus dice di non sentirsi in colpa, anzi di considerarsi un benefattore perché ha aiutato i suoi concittadini ad andarsene da un Paese povero e corrotto, inoltre secondo lui Tv, giornali e social media spaccerebbero dati gonfiati sulle morti «Nessuna delle ragazze che ho portato in Libia è mai morta nel Sahara. A non farcela sono le persone che partivano già malate». Purtroppo, non è così, come dimostra anche l’ultimo ritrovamento, a novembre 2017, di 26 corpi senza vita di donne arrivate a Salerno, tutte di nazionalità nigeriana. Comunque non esiste un boss in questo business, dicono sia lui che il comandante del Naptip, là chiunque può diventare un trafficante, basta conoscere delle ragazze che vogliano partire e non serve nemmeno sforzarsi troppo per convincerle.

È un errore di valutazione dunque sottovalutare la mafia nigeriana, perché interessa almeno venti città (Torino e Bologna in testa) e dieci regioni coinvolte nella sua rete, e che conta in giro per il mondo trentamila affiliati in quaranta Stati.

Al Sud dove le mafie autoctone mantengono il controllo militare, la mafia venuta da Benin City ha stretto patti, come a Ballarò. Al Nord picchia duro: nel 2017, su 12.387 reati firmati dalla criminalità nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi), 8.594 avvengono al Nord, 1.675 al Centro, 1.434 al Sud, 684 nelle Isole.

A Torino si è aperta l’operazione dei carabinieri Athenaeum,

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/black-axe-lorrore-che-ignoriamo/

 

 

 

 

Black Axe: l’orrore che ignoriamo (2)

DI ROSANNA SPADINI – 28 febbraio 2019   (DA LEGGERE ATTENTAMENTE – L’INFERNO NIGERIANO II PARTE)

Arriva la seconda puntata di “Black Axe: l’orrore che ignoriamo”, per approfondire il diffondersi in Italia di questa nuova mafia, i cui boss non sono nati in Sicilia e non parlano il siciliano, ma vengono da lontano, e la loro organizzazione ha un una storia cresciuta nel continente africano.

Dalla Nigeria si sta espandendo da tempo in Italia, c’è la Supreme Eiye Confraternita, ci sono i Vikings, e poi c’è Black Axe, la più potente tra i cults. Arrivata in Italia parallelamente ai flussi migratori, è protetta da un vincolo di omertà e da una capacità intimidatoria molto simili a quelli usati dalla piovra nazionale. Quando la Procura di Palermo ha portato alla sbarra i boss di Black Axe, nessun nigeriano in tutta la Sicilia ha accettato di fare da perito o da interprete.

Da qualche anno i tentacoli di questa nuova piovra criminale sono arrivati anche in Italia, dove i boss nigeriani hanno iniziato a dettare legge nei sobborghi di diverse città. La struttura criminale nigeriana è frazionata in bande aggressive, i cults, organizzazioni nate in patria all’interno delle università locali, e cresciute al fianco di gruppi più articolati e complessi, definiti vere e proprie holding del crimine. Infatti, la struttura delle cellule criminali nigeriane varia a seconda dei contesti in cui i clan si trovano a operare, dimostrando una elevata adattabilità ambientale.

Ciò che accomuna i diversi gruppi criminali è l’assenza di una reale affiliazione all’organizzazione, perché chiunque può partecipare, chiunque può essere membro di un clan che gestisce traffico di droga, di organi o sfruttamento della prostituzione. Il sistema organizzativo reticolare appare privo di una struttura gerarchica, al contrario del processo di affiliazione all’interno dei clan, che invece sono spesso dotati di un assetto piramidale.

La sua eterogeneità strutturale poi produce cellule di piccole dimensioni, spesso dotate di maggiore fluidità, che permettono l’assenza di particolari clausole di affiliazione per i giovani iniziati, se non una buona dose di propensione al rischio. Del resto, la popolazione nigeriana, spesso oppressa da gravose dittature, estrema povertà, eccessiva violenza, è molto sfiduciata nei confronti del futuro, quindi maggiormente assuefatta ad affrontare azioni rischiose.

L’Italia rappresenta la principale piazza di sfruttamento delle donne nigeriane, le quali giungono principalmente dallo Stato meridionale di Edo, e vengono sfruttate dalle loro connazionali, le madame, ex vittime di tratta entrate a far parte del medesimo circuito criminale da cui sono state assoggettate.

Molte sono le domande rimaste ancora inevase che ruotano intorno a queste organizzazioni criminali, dunque proveremo ad approfondire l’argomento con un’intervista fatta ad un giornalista infiltrato che vivendo a Torino ha conosciuto questi ambienti.

Ciao. Hai mai avuto contatti con qualche affiliato della Mafia Nigeriana?

Assolutamente, sì. Non è stato difficile entrare in contatto con persone affiliate alla mafia nigeriana, anche perché la maggior parte dei nigeriani presenti nel territorio, se non tutti, un 98% appartengono o vogliono appartenere alle associazioni per delinquere. Le organizzazioni sono molte, quali Aye Confraternite, Eiye, Black Axe, e non mi è possibile stabilirne le intensità sul territorio, essendo queste tristemente dinamiche. Cosa diversa vale per gli africani francofoni e anglofoni.

La piramide sociale che compone la ”mafia” nigeriana è composta dai nigeriani puri in primis, poi dai francofoni e, successivamente, dal resto degli africani appartenenti al continente. Tra di loro vi sono alcuni che per varie ragioni parlano francese e che godono di una diversa percezione da parte dell’organizzazione. Quest’ultima, qualsiasi essa sia, è una lanterna che attira innumerevoli francofoni africani, giovani, giovanissimi e donne.

Tutti quelli con i quali sono venuto in contatto ‘lavoravano’ in gruppo e vivevano in simbiosi, felici di spacciare e dediti all’alcolismo. I capi branco scimmiottavano e scimmiottano molto lo stereotipo del ”nigga”, il nero americano tipico dello stile rap statunitense. Ci sono diverse etnie e, nonostante abbia girato i bassifondi di Torino e Milano in lungo e in largo, infiltrandomi tra i tossicodipendenti

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/black-axe-lorrore-che-ignoriamo-2/

 

 

 

MUOS Niscemi -1 – Protocollo Niscemi

 

Nero su bianco si è sentenziato che il MUOS è legittimo e non lede il diritto di nessuno. dobbiamo evitare che la rabbia si trasformi in rassegnazione.

26 febbraio 2019 di Giovanni Rodini.

 

Il terrore che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse anche di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato sapere e narrare, con una barchetta di carta di giornale che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia. La barchetta beccheggiò, s’inclinò, si raddrizzò, affrontò con coraggio i gorghi infidi e proseguì per la sua rotta…

 

“It” (Incipit), Stephen King.

 

Con gli aeroplanini e le barchette di carta devono aver giocato a lungo anche i bambini di Niscemi. Forse lo fanno ancora, cercando di far durare il più a lungo possibile il volo dei primi e la navigazione delle seconde. I giochi dell’infanzia sono giochi a metà e perfino la durata e l’eleganza dei loro lanci contribuirà a separare i migliori dagli scarsi, chi verrà lodato da chi verrà sbeffeggiato.

Tra gli adulti le cose non vanno diversamente: spesso è con viaggi di carta che si decide chi prospera e chi soccombe. Con la carta che serve per stampare una sentenza, per esempio; la sentenza n. 21/2019 del CGA Sicilia sul MUOS di Niscemi, più precisamente.

Le ventidue pagine con cui la magistratura siciliana ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dai cittadini avverso la pronuncia del TAR siciliano del 2016, ha prosciugato i procedimenti esperibili sul piano amministrativo. Nero su bianco si è sentenziato che il MUOS è legittimo e non lede il diritto di nessuno.

Non importa se il complesso di parabole satellitari dista solo sei chilometri dal centro cittadino e meno di duecento metri dalle prime costruzioni abitate; non importa se quell’area si trova nel bel mezzo della riserva naturale della Sughereta di Niscemi; non importa nemmeno se manca del tutto una seria analisi del rischio e dell’impatto ambientale; e, pare banale solo scriverlo, ancora meno importa se gli abitanti della zona si sono opposti con ogni mezzo e maniera.

Nulla importa perché la magistratura ha visto bene di considerare il complesso del MUOS come un nuovo quartiere del piccolo comune in provincia di Caltanissetta. Una borgata speciale che si aggiunge a quello che già c’era, una porzione di paese che non è immobile ma ha il dono di fluttuare e, silenziosa, s’irradia tra le strade e dentro le case di tutta Niscemi. Il nuovo rione ha anche un’altra caratteristica: nessuno lo può visitare, perché oltre il recinto che lo abbraccia tutto diventa off limits.

C’è qualcosa di sinistro che corre giù dalla collina su cui è stato innalzato il MUOS, un vento denso che ammorba ogni cosa lì attorno e che è carico di informazioni riservate che non ci è permesso decifrare. Quello che ancora possiamo fare, però, è raccontare la storia di Niscemi e del mostro che è venuto a farle visita. Possiamo mettere su carta ogni cosa e ricostruire, per quel che ci è dato sapere, tutto quel sentiero di fogli d’intesa e concessioni, revocate e nuovamente concesse, che hanno permesso a quelle antenne e parabole di prendere forma e di minacciare la salute di migliaia di persone. Possiamo soprattutto descrivere quell’effetto domino che si è azionato con l’incubo di un’ingiustizia, il tentativo di trasformarlo in sogno, dando forma alla protesta, fino ad arrivare all’incredula delusione, per non dire alla rabbia che si prova alla lettura di sentenze come questa.

Ma dobbiamo evitare che la rabbia si trasformi in rassegnazione, perché dopo la rassegnazione, l’ultimo gradino di questa scala finisce con l’indifferenza. E si sa che l’indifferenza rende tollerabile tutto, anche vivere come cavie perché qualcuno al di là della teca possa studiarci ed eventualmente replicare l’esperimento altrove.

C’è da scommetterci che esiste un Protocollo Niscemi. Forse è ancora in fase di ultimazione, alcuni passaggi devono ancora essere completati, ma, a pensarci bene, la storia del MUOS è anche il terreno di prova per testare modelli di comunicazione, manipolazione ed esclusione delle masse dal processo decisionale.

In una cittadina al confine di un continente, dei militari costruiscono un complesso di antenne e parabole satellitari a poche centinaia di metri dalle abitazioni di periferia. Tutto viene fatto in punta di piedi, col sorriso sulle labbra e soddisfacendo ogni adempimento burocratico. Non c’è forzatura o violenza, solo si omettono i rischi collegati alla salute che la base militare comporta. Poi, quando qualcuno inizia a fare domande, si occultano i dati, si raccontano le cose stando attenti a minimizzare gli effetti negativi e si invita la gente

 

Continua qui: https://megachip.globalist.it/legalita/2019/02/26/muos-niscemi-1-protocollo-niscemi-2037974.html

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Come (e perché) l’Fbi riscrive i film di Hollywood

 

TOM SECKER – 27 FEBBRAIO 2019

Proprio come altre agenzie governative, l’Fbi è profondamente coinvolto nell’industria dell’intrattenimento, collaborando con produttori televisivi e cinematografici per tirare a lucido l’immagine pubblica del Bureau e progettare la propria comunicazione diretta alle menti degli spettatori cinematografici. I documenti recentemente rilasciati in virtù del Foia mostrano che l’Fbi apporta regolarmente modifiche alle sceneggiature dei film cui dà supporto, al fine di incoraggiare il pubblico a rispettare la sua autorità e proteggere la reputazione sia del Bureau che del suo capo scomparso da tempo, J. Edgar Hoover.

ENGLISH VERSION

L’Fbi è coinvolto nelle attività di Hollywood sin da quando fu creato negli anni Trenta, quando Hoover si oppose all’uso del termine “Federal Dick” e lo rimosse dai dialoghi e dai titoli dei film. Il film Paramount del 1935 Men Without Names era originariamente intitolato Federal Dick, ma Hoover insistette per cambiarlo, definendolo “un titolo alquanto umiliante e ripugnante”.

Unthinkable

Più recentemente, l’FBI ha fornito consistente supporto al thriller su terrorismo e tortura Unthinkable, incentrato sul personaggio di Yusuf (Michael Sheen), un ex operatore della Delta Force divenuto un islamista radicale. Yusuf piazza tre bombe nucleari in alcune città degli Usa ed invia al governo dei video che mostrano le bombe e il loro countdown, impostato su una settimana. Una volta catturato Yusuf, un’agente antiterrorismo dell’Fbi (Carrie-Anne Moss) viene incaricata di interrogarlo per trovare le bombe. Presto viene messa da parte da un interrogatore della Cia/Dia conosciuto come H (Samuel L Jackson) specializzato nell’uso della tortura per costringere i sospettati a fornire informazioni.

VIDEO QUI: https://youtu.be/UGMVFpYveQY

I produttori si misero in contatto con l’Fbi alla fine del 2006, per richiedere di effettuare un tour degli uffici di Baltimora e valutarli come possibile location per le riprese, e per ricevere aiuto nelle ricerche per il copione. Un rapporto interno dell’Fbi riporta un’annotazione che dice che lo staff degli uffici di Baltimora riteneva che “il tour avesse avuto un impatto positivo sull’eventuale esito del film, che avrebbe ritratto l’Fbi in modo positivo”.

Una registrazione nel database riguardo Unthinkable descrive come la prima bozza dello script mostrasse “l’agente dell’Fbi prendere parte a una tortura illegale per estorcere una confessione, e altre attività discutibili”. L’Investigative Publicity and Public Affairs Unit (Ippau) del Bureau ha poi “suggerito delle modifiche” al copione durante “numerosi confronti” con i produttori, in cambio di ulteriore supporto alla produzione. Questo ha incluso visite alle strutture dell’Fbi, assistenza per i costumi e le scenografie, consulti col personale dell’Fbi e il permesso di usare i distintivi dell’Fbi nel film. Una lettera ai produttori ha reso chiaro che tale supporto sarebbe stato fornito solo “partendo dal presupposto che i cambiamenti al copione suggeriti sino a quel momento erano stati presi in carico”.

Più avanti nel corso delle riprese una mail dell’Fbi fa capire come “lo scrittore stia lavorando duramente per riflettere il nostro impegno e la nostra integrità con rispetto per il giuramento che abbiamo prestato per sostenere e difendere la Costituzione e i diritti civili”. Mentre nello script originale l’agente dell’Fbi veniva mostrato mentre partecipava alla tortura di Yusuf, nella versione finale essa ricopre più il ruolo di osservatrice passiva, che si oppone ripetutamente alle brutali torture di H. Cita anche la Convenzione di Ginevra e la Costituzione degli Stati Uniti, infine rifiutando la richiesta di H estendere la tortura anche ai figli di Yusuf, al grido di “siamo esseri umani!”.

Allo stesso modo, la sceneggiatura iniziale mostrava H che uccideva due agenti dell’Fbi che si erano presentati a casa sua, e al Bureau “veniva richiesto di chiudere un occhio e nascondere il tutto sotto il tappeto, in quanto si trattava di una risorsa governativa molto delicata”. L’email prosegue dicendo che gli scrittori sono “rimasti colpiti dal fatto che ciò non sarebbe successo e che l’uccisione di due agenti non sarebbe stata “nascosta sotto al tappeto”. Nella versione finale del film nessun agente dell’Fbi viene ucciso (H si limita a rapire i due agenti e viene verbalmente ripreso per tale azione).

Public Enemies

Sulla stessa linea è il dramma storico biografico Public Enemies, che racconta la storia dell’agente dell’Fbi Marvin Purvis (Christian Bale) e della sua caccia al rapinatore e nemico pubblico numero uno John Dillinger (Johnny Depp). I produttori hanno richiesto aiuto per rendere il film storicamente accurato e si sono consultati con gli storici e gli specialisti di armi dell’Fbi. Hanno anche richiesto centinaia di migliaia di pagine di file dell’Fbi su casi come quelli di Dillinger, Pretty Boy Floyd e Bonnie e Clyde.

VIDEO QUI: https://youtu.be/kBVnnHv-Pp0

Sebbene l’Fbi fosse felice di aiutarli, una delle richieste degli sceneggiatori fu negata. Una e-mail interna che descrive le conversazioni con lo sceneggiatore Ronan Bennett dice che questi voleva alcuni dettagli sui “primi metodi di intercettazione… Come avrebbe fatto ai tempi l’Fbi per registrare le telefonate… dall’allestimento delle apparecchiature al recupero delle informazioni, come avrebbe funzionato?”.

L’Fbi ha rimosso o minimizzato in maniera consistente le scene di film e programmi Tv in cui i propri agenti intercettavano i sospetti. Il film Crime Does Not Pay e la longeva serie The F.B.I. avevano entrambe scene di intercettazioni rimosse dalla sceneggiatura da parte del Bureau, mentre un progetto per un film del 2012 della Mill River Films è stato rifiutato dall’Fbi a causa della rappresentazione di un agente che usava “tattiche intimidatorie di intercettazione e altri tipi di sorveglianza”. Di conseguenza, se Public Enemies mostra brevemente gli agenti dell’Fbi che ascoltano le telefonate tra Dillinger e la sua ragazza (Marion Cotillard) le apparecchiature e i metodi di intercettazione non vengono mostrati.

Non è solo la reputazione del Bureau che la Ippau stava cercando di proteggere, ma anche quella dello storico capo dell’Fbi J .Edgar Hoover. Uno storico dell’Fbi ha revisionato la bozza della sceneggiatura e ha osservato che la rappresentazione sia di Hoover che del Bureau “alimenta l’immagine dell’Fbi come di un’agenzia decisa a vincere ricorrendo a qualsiasi mezzo necessario”. I funzionari della Ippau convinsero lo sceneggiatore ad “apportare delle modifiche per minimizzare questa impressione”. Ironicamente, un documento rende chiaro che gli agenti dell’Fbi fecero ricerche sui nomi “della casa di produzione, dello sceneggiatore [e] di altri associati al film proposto” nel proprio database, ma non trovarono “informazioni negative”.

I documenti su Public Enemies mostrano anche perché l’Fbi sia stato coinvolto nelle attività di Hollywood e cosa sperava di ottenere. Un fax dell’ufficio del direttore dell’Fbi che accorda supporto al film dice che collaborare alla realizzazione del film era coerente con gli “interessi della loro missione” di “sviluppare l’immagine pubblica dell’Fbi” in modo da “incoraggiare il pubblico a collaborare con l’Fbi nello svolgimento della suo mandato”.

The Company You Keep

Anche il thriller The Company You Keep ha sofferto per mano della Entertainment Liaison Division del’Fbi. Incentrato sul personaggio di Jim Grant (Robert Redford), racconta la storia di diversi ex membri del Weather Underground, il gruppo militante di sinistra di maggior successo in America. Ambientato decenni dopo il periodo di attività del Weathermen, si tratta di una storia del passato che ritorna a galla, in quanto Grant deve darsi alla fuga e provare a scagionare se stesso dopo essere stato individuato come sospetto di una rapina in banca avvenuta negli anni Settanta.

VIDEO QUI: https://youtu.be/NAIQDCe8Q2o

Le prime bozze della sceneggiatura erano critiche sia per il Weathermen che per l’Fbi poiché riflettevano la vera storia di quando il vicedirettore dell’Fbi Mark Felt ordinò la sorveglianza illegale e delle irruzioni al fine di far crollare il Weather Underground. Questa versione fu modificata dal Bureau che, in cambio del permesso di utilizzo dei distintivi dell’Fbi all’interno delle scenografie e dei set, “ha fornito suggerimenti e apportato cambiamenti a circa 30 scene”.

Una e-mail interna dell’Fbi elenca tali cambiamenti, che di nuovo comprendono la

Continua qui: http://www.occhidellaguerra.it/perche-lfbi-riscrive-film-hollywood/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

LA CHIESA CONDANNA SALVINI, MA CON CHE FACCIA?

(mettere preti, immobili e miliardi dove stanno le preghiere)

 

La Chiesa di Bergoglio si cucia la bocca prima di condannare Salvini, ipocriti.

E’ facile sparare su Matteo Salvini il “razzista“, il “sorridente sui cadaveri color scuro“, perché Matteo Salvini è in effetti colpevole di ambiguità umanitaria. Primo, non ha mai preso chiare distanze dal razzismo becero e disumano a cui il suo trionfo ha dato la stura in Italia. Chi non vive sui Social non immagina l’orda di bruti e soprattutto brute fasci-nazi-razzisti che dilaga là fuori al grido “Non toccate Salvini” e il porcile agghiacciante che arrivano a pronunciare su quella che è una tragedia storica. Secondo, il leader leghista si contenta di risbattere il problema là dove si è originato, e non ha neppure l’ombra di un disegno politico sistemico di cui l’Italia si faccia portavoce nel G7 per fermare gli immensi flussi (fra 12 anni 1,3 miliardi d’indiani avranno la metà dell’acqua per vivere, e dove vanno?). Questo è meno che umano nel momento in cui Salvini non dice che i migranti, soprattutto quelli economici, hanno crediti di trilioni di dollari e di centinaia di milioni di vittime verso le nostre società, perché sulle loro risorse è stato creato tutto ciò che abbiamo, e ancora accade. Sarebbe gradito che un Paolo Becchi suggerisse a Matteo Salvini di rimediare con urgenza a entrambi i punti, mentre giustamente ferma gli arrivi caotici in Italia.

Ma che a crocifiggere il leghista sia la Chiesa è molto oltre l’inaccettabile.

Nel 2014 il Ministro delle Finanze Vaticane, Cardinale George Pell, disse che “… abbiamo scoperto centinaia di milioni di euro nascosti in conti dimenticati di cui non avevamo rendicontazione”. E questi sono solo gli spiccioli di Papa Bergoglio.

Secondo l’International Business Times, il Vaticano gestisce strumenti d’investimento per 6 miliardi di euro; ha 700 milioni investiti sulle Borse; tiene 20 milioni di dollari in oro alla Federal Reserve in USA.

Il gioielliere Bulgari a Londra paga l’affitto alla Chiesa di Roma in uno dei palazzi meglio prezzati del mondo a New Bond Street. L’investment bank Altium Capital idem, nella prestigiosa St James’s Square. Secondo il Consiglio d’Europa il merchant banker dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), Paolo Mennini, nel 2012 da solo gestiva 680 milioni di euro per i Cardinali, i quali solamente dallo IOR ricevono dividendi per 60 milioni annui.

 

I valori delle proprietà immobiliari usate per profitto commerciale e speculativo dalla Santa Sede sono impossibili da calcolare, ma ecco un’idea: il Sole24Ore ha stimato che la sola ‘agenzia immobiliare’ vaticana chiamata APSA, diretta fino al 2016 dal Cardinale Domenico Calcagno, gestisce 10 miliardi di euro in immobili commerciali (esclusi quindi chiese, canoniche, seminari ecc.) che, si ribadisce, è solo una vaga idea del totale in mano alla Santa Sede nel mondo.

 

Allora, è accettabile che le ‘belle anime’ cattoliche italiane, di cui l’innominabile Catto-Sinistra è pregna, si permettano di tuonare dalle pagine ad esempio di Famiglia Cristiana contro Salvini perché “ha mosso critiche al mondo cattolico che accoglie i migranti“? Accoglie i migranti? Ah, davvero? E come li accoglie? Con quanti denari concretamente sborsati fra i sopraccitati miliardi che tengono in speculazioni finanziarie e di Borsa? Può la Santa Sede mostrarci le cifre? In quanti immobili milionari che posseggono li hanno accolti, quanti sono stati allestiti per loro? Può la Santa Sede, che millanta di “accogliere“, fornirci le mappe? Ma con che inguardabile faccia questi ipocriti

 

Continua qui: https://www.doppiozero.com/materiali/mcluhan-cinquantanni-dopo

 

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Cosa sta succedendo tra India e Pakistan?

 

MAURO INDELICATO – 28 FEBBRAIO 2019

La storia del Pakistan è un “unicum” nel panorama internazionale: è infatti l’unico Stato nato per aggregare una determinata comunità di musulmani. L’islam è religione maggioritaria in diverse nazioni mediorientali, ma l’identità nazionale nasce prima dell’avvento della fede musulmana. Invece Ali Jinnah, padre della patria pakistana, immagina una Repubblica musulmana in grado di dare una nazione ai seguaci dell’Islam presenti nell’India posta ancora sotto la colonizzazione inglese. Per molti quello, compreso per lo stesso Jinnah, è un modo per evitare tensioni tra la componente induista e quella islamica. Jinnah muore pochi mesi dopo la fondazione del Pakistan, non fa in tempo a guidare la nuova nazione e, di conseguenza, ad evitare che con l’India sorgesse una rivalità in grado di innescare potenziali gravi conflitti.

 

La questione del Kashmir 

Per la verità il conflitto più importante tra Pakistan ed India risale per ben altro contenzioso. Nel 1971 i due paesi entrano in guerra mentre il Bangladesh attua la sua secessione. Quest’ultimo fino a quell’anno è una provincia orientale del Pakistan, staccato però dalla madrepadria e diviso dalla presenza dell’immenso territorio indiano. Essendo però territorio a maggioranza musulmana, nel 1947 si decide di incorporarlo al Pakistan. La Lega Awami guida il Bangladesh alla totale indipendenza del paese da Islamabad, l’India appoggia il nascente governo bengalese. Da qui un conflitto durato appena due settimane, ma terribilmente cruento tanto da creare da allora dei gruppi di contatto volti ad evitare altri scambi di colpi lungo il confine. Ma in realtà la vera rivalità si ha riguardo al Kashmir. Nonostante questa montuosa regione sia a maggioranza musulmana, nel 1947 viene assegnata alla federazione indiana.

Da allora il Pakistan ne rivendica la sovranità e subito dopo l’indipendenza scattano offensive e vere e proprie battaglie su entrambi i fronti. Proprio il conflitto del 1971 fa sì che tra i due paesi regni un clima di equilibrio, seppur sempre sospeso e regolato da una certa tensione. Il problema odierno, è che sia Pakistan che India oggi sono potenze nucleari. Ed anche una piccola provocazione può degenerare e destare non poca preoccupazione. Figurarsi poi, come avvenuto in queste ore, se tra i cieli del Kashmir si verificano escalation che riguardano reciproci abbattimenti di mezzi militari e di scambio di colpi di artiglieria.

Il perché dell’escalation

Eppure, lungo questo delicato asse asiatico sembra palesarsi una certa stabilità negli ultimi mesi. Proprio di recente Pakistan ed India vengono toccate dalla visita del principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman, accolto in grande stile in entrambi i paesi. Tra contratti energetici e forniture di armi ed infrastrutture, Islamabad e New Delhi sembrano accantonare le divergenze. Ed invece pochi giorni dopo arriva l’escalation. Alla base di tutto ciò sussistono motivazioni sia di politica interna che estera. A livello interno, India e Pakistan affrontano momenti molto delicati: in India si vota in primavera, il governo guidato dai nazionalisti Indù non può esimersi dal mostrare i muscoli proprio contro la potenza rivale

Continua qui: http://www.occhidellaguerra.it/le-ragioni-dell-escalation-tra-india-e-pakistan/

 

 

 

 

CULTURA

ELOGIO RAGIONATO DEL LIMITE

27 Febbraio 2019 di Roberto Pecchioli – I parte-

La cultura può essere definita come “l’insieme dei valori che determinano le frontiere di un gruppo umano” (Serge Latouche). Si costruisce dunque con riferimento allo statuto di limite: ogni civiltà si è caratterizzata per i limiti che si è assegnata. Tutte, tranne la civilizzazione dell’Occidente contemporaneo. Sfidare i limiti è l’imperativo di quest’epoca. Forzare i confini del possibile, passare il segno, trasgredire nel senso letterale di spingersi più in là. L’andare oltre contemporaneo è l’emblema di un’idea di dominio, un modello esistenziale inteso come unico e universale la cui regola è ignorare ogni limite, superare qualsiasi confine, territoriale, culturale, geopolitico, morale, antropologico, simbolico. La resistenza è considerata un’insignificante remora passatista della quale liberarsi. In realtà, come cercheremo di dimostrare, l’obiettivo è consentire alle forze selvagge del mercato e dell’accumulazione di dispiegare tutto il potenziale messo a disposizione da un doppio dominio, finanziario e tecnoscientifico.

Èuna novità assoluta, uno scenario che contraddice millenni di storia delle civiltà umane. La nostra nasce da una precisa cosmogonia, descritta nel Genesi, secondo cui Dio “maschio e femmina li creò”, quindi “prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: tu puoi mangiare da tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare” (Gen, 2,15). Quella conoscenza è il privilegio di Dio usurpato dall’uomo con il peccato originale, il quale altro non è che la volontà di passare il segno, decidere da sé sul bene e il male, la rivendicazione di autonomia morale attraverso la quale l’uomo rinnega la sua condizione di creatura.

La prima trasgressione è l’attentato di Adamo ed Eva alla sovranità di Dio. Non diversa fu la concezione del mito greco. Prometeo è punito per aver rubato il fuoco agli dei. La vendetta di Zeus, scontata dall’umanità intera, è affidare il vaso contenente tutti i mali del mondo a Pandora, che non tarderà ad aprirlo. Prometeo incarna oggi l’ideale del progresso, perfino la rivolta contro il potere, ma in realtà la sua figura è il simbolo della nostra inquietudine rosa dall’incessante desiderio, dalla perenne insoddisfazione. Riflette il tormento, il rovello esistenziale dell’uomo in lotta con la caducità della sua presenza nel mondo. Sarà Goethe a esprimerla in grande poesia nel celebre brano in cui Faust supplica “fermati, attimo, sei così bello”, un grido straziante di angoscia senza speranza. Icaro è punito con la morte per aver tentato ciò che all’uomo non è dato, volare come gli uccelli del cielo.

Ancora più stringente è l’idea di limite nell’Islam, la religione il cui significato sta nell’accettazione attiva della volontà di Allah, la ferma fiducia nel governo divino sulle cose umane, contenuta nel primo dei cinque “pilastri”, la professione di fede.  La spiritualità orientale esprime la medesima accettazione del limite sia nell’idea della “via di mezzo” proposta da Budda, sia nell’armonia e organicità del Tao, “la via “, iconograficamente iscritta in un cerchio a sua volta diviso nello ying e nello yang, il bianco e il nero, ciascuno dei quali contiene una parte del suo opposto.

Dante, immenso poeta e grande filosofo, scrisse versi straordinari sulla necessità del limite e l’assurdità di superarlo. “State contenti, umana gente, al quia/ che se potuto aveste veder tutto/mestier non era parturir Maria”, dice Virgilio, simbolo della ragione umana, riguardo l’insufficienza costitutiva della conoscenza umana. Le sue parole, pronunciate con gran turbamento nel Purgatorio, sono precedute da una terzina che è un trattato di teologia e filosofia morale: “matto è chi spera che nostra ragione/ possa trascorrer la infinita via/ che tiene una sustanza in tre persone.” Parole forti che Dante fece precedere, nel canto XXVI dell’Inferno, da quelle di Ulisse, simbolo della tensione umana verso l’infinito. L’uomo di Itaca esorta i compagni alla scoperta poiché “fatti non foste a viver come bruti, ma a seguir virtute e canoscenza”, ma riconosce che il viaggio oltre il limite è “un folle volo”. Ciononostante, il destino dell’uomo – è la lezione di Dante, poeta cristiano – è lo stesso di Ulisse, mettersi “per l’alto mare aperto”, “infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.” Solo l’abbandono, la constatazione che non possiamo “veder tutto” può farci accettare la nostra condizione imperfetta.

Dante ci consegna un’altra verità bruciante, l’arbitrarietà del limite, il cui rispetto si basa sull’idea di trascendenza, sul collocare l’Oltre in una dimensione altra e assoluta. La civilizzazione occidentale moderna è la prima ad aver rinunciato alla trascendenza, per questo non sa e non può riconoscere un limite, accettare una barriera invalicabile. Vani e patetici sono i richiami di diversi intellettuali all’autolimitazione. Uno fu Ivan Illich, che pure era un sacerdote cattolico, con il suo debole richiamo a riconoscere la profondità della crisi dell’uomo moderno accogliendo “il solo principio di soluzione che è offerto: stabilire, per accordo politico, una autolimitazione”.  Uguale è la ricetta di Cornelius Castoriadis, per il quale “abbiamo bisogno di eliminare questa follia di espansione senza limite, abbiamo bisogno di un’ideale di vita frugale”, occorre la “padronanza del desiderio di controllo, una autolimitazione.”

Corrette diagnosi e prognosi, del tutto impraticabile la terapia, come curare il cancro con impacchi e tisane. Più penetrante l’analisi di Emile Durkheim, per il quale i bisogni e desideri umani possono essere soddisfatti soltanto se orientati da un’autorità morale riconosciuta legittima, in mancanza della quale gli uomini precipitano in quella che definisce anomia, assenza di regole, cioè di limiti. Ma quale autorità è moralmente legittima se il criterio di fondo è negare la legittimità stessa, una delle infinite varianti culturali del limite? Solo il richiamo ad un giudizio esterno che eccede e trascende l’essere umano può persuadere a non oltrepassare la soglia, convincendolo innanzitutto che la soglia esiste.

L’uomo occidentale moderno si è abbandonato a una sorta di caccia all’infinito, il programma di Francis Bacon nella Nuova Atlantide “far arretrare i confini dell’impero umano per realizzare tutte le cose possibili”, giacché, scriveva il pensatore inglese, sapere è potere. Abbandonati i limiti, varcata la frontiera, prestata fede alla concezione di Dio di Feuerbach, invenzione consolatoria dell’uomo, una nuova fervida credenza si è impadronita del Faust d’Occidente: la scienza e la tecnica forniranno ogni risposta, risolveranno “tecnicamente” qualsiasi problema. Il limite, la morale, la stessa precauzione diventa così una camicia di forza di cui liberarsi, la trasgressione diventa un imperativo per la cui via siamo entrati nell’ipermodernità, il trionfo dell’illimitatezza.

Ha vinto il pessimismo pratico di Hobbes. Lasciato a se stesso, l’uomo diventa un feroce predatore, è la guerra di tutti contro tutti dell’homo homini lupus, il cui rimedio è il potere assoluto del Leviatano, un demone oggi sostituito dalla scienza e dalla tecnica onnipotenti, irrefrenabili, imperativo di se stesse, sciolte da qualsiasi precetto etico. Ciò che si può fare tecnicamente, si fa, anzi si deve fare; per le conseguenze, la soluzione si troverà e proverrà dalla tecnica. Vittoria dell’immanenza su tutta la linea, più una fiducia superstiziosa nella potenza infinita della ragione tecnoscientifica.

La democrazia stessa, feticcio della modernità, è darsi dei limiti, organizzare il conflitto degli interessi e dei principi escludendo la violenza ed assegnando a procedure condivise il compito di designare chi detiene il potere per un tempo definito.  L’assenza di limiti detronizza anche il libero arbitrio, declassato a volontà ossessiva di fare, correre, sperimentare, negando l’altro suo aspetto, la libertà di giudicare, eventualmente di non praticare, rifiutare come ingiusti, immorali, disumani, atti e principi in contrasto con il sistema di valori che è cornice della civiltà, limite a cui attenersi. Il Faust di Goethe, indicato come personaggio chiave, epitome, simbolo dell’uomo moderno, in realtà conserva un’alta considerazione per i limiti. Vuole conoscere tutto, ma la sua azione ha un fondo di disinteresse, non agisce per sete di dominio, è frenato da Margherita e, nel fondo del cuore, dall’idea di Dio.

Più sincero, più vicino allo spirito contemporaneo, è l’altro Faust, quello del Faust elisabettiano di Christopher Marlowe.  La sua smania da alchimista di penetrare i segreti fisici è strumentale, volta al dominio, accecata dall’avidità, il godimento cui aspira è il potere, essere Dio in terra, il pentimento finale è tardivo e insincero. Un elemento contemporaneo è nel Doktor Faustus di Thomas Mann, il cui protagonista, il musicista Adrian Leverkuehn aspira al genio della creatività. Il maligno gli appare solo in sogno, ma ciò non significa, sono le sue parole, “che io non esista”.

La differenza con i tanti Faust contemporanei è la presenza della

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/elogio-ragionato-del-limite/

 

 

 

 

 

La Bestia – Misteri d’Italia e democrazie manovrate dai poteri occulti

L’ultimo libro di Carlo Palermo – Un direttorio internazionale radicato negli apparati politici e militari degli Stati, nella Chiesa, nei vertici delle oligarchie finanziarie e le sue trame

 

16 novembre 2018 di Luisa Martini.

 

 

Recensione del saggio di Carlo Palermo, La Bestia, Sperling & Kupfer, 2018

 

Chiudo questo libro sentendomi come qualcuno che abbia preso un gran pugno nello stomaco: quell’impressione di non riuscire più a respirare, per qualche istante addirittura il timore di non riuscirci mai più. Poi l’ossigeno che arriva di nuovo ai polmoni, il dolore e una specie di stordimento. Ho letto con fatica ciò che scrive Carlo Palermo, per diversi motivi. Ho bisogno di metabolizzare, di rendermi conto per davvero, di lasciare che domande prendano forma da tanti collegamenti sconcertanti.

 

A dispetto di una copertina che sembra ammiccare ai romanzi di Dan Brown, questo volume appena pubblicato da Sperling & Kupfer (ottobre 2018) tutto è tranne che un’opera di fantasia. E’ invece il resoconto delle indagini di una vita, quella di un magistrato, oggi avvocato, che – da uomo di legge – è abituato a seguire i fatti e le carte, disciplinando intuito e ricostruzioni a quei rigorosi termini. Segue gli stessi criteri anche qui: cita persone, relazioni, passaggi, istituzioni e vicende reali e documentati; pubblica in fac-simile documenti, rimanda ad altri consultabili pubblicamente; lascia aperte questioni laddove il segreto di Stato o l’omertà di alcuni bloccano il passo a ulteriori chiarimenti. Non un romanzo, dunque. Lo stile asciutto e scabro concede pochissimo ai commenti, così come ai riferimenti autobiografici che sono comunque sufficienti a lasciare intravedere quale sia stato il prezzo di certe scelte coraggiose.

 

Sostituto procuratore negli anni Ottanta, Carlo Palermo subisce un attentato a Pizzolungo, in Sicilia, il 2 aprile 1985: nell’esplosione di un’autobomba destinata a lui restano uccisi, al posto suo, due gemellini di sei anni e la loro mamma. Questo fatto drammatico getta una luce ancora più inquietante sui traffici di armi e droga oggetto delle sue indagini di allora, prima a Trento e poi a Trapani. Indagini clamorose, che avevano già portato alla luce il coinvolgimento di ufficiali dei servizi segreti italiani affiliati alla Loggia P2 e di boss della mafia turca e siciliana.

 

Per fermare l’inchiesta a Trento era intervenuto l’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, con un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura in seguito al quale a Carlo Palermo era stata tolta l’indagine. Il magistrato aveva chiesto allora il trasferimento a Trapani, dove due anni prima era stato assassinato il collega Ciaccio Montalto, anch’egli collegato a quell’inchiesta. L’attentato di Pizzolungo non impedisce il ritrovamento, da parte degli inquirenti, della più grande raffineria di morfina-base in Europa, nei pressi di Alcamo. Le minacce nei confronti di Carlo Palermo e della sua famiglia si fanno tuttavia sempre più gravi, e alcuni mesi dopo egli accetta il trasferimento a Roma, presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Nel 1990 lascia la magistratura dedicandosi all’avvocatura. Fra vari impegni anche politici (tra il 1992 e il 1993 è deputato alla Camera per la Rete, poi consigliere provinciale e regionale a Trento, dove oggi vive), continua a cercare la verità sui fatti che lo hanno coinvolto, formulando varie ipotesi.

 

Tra il 1987 e il 2002 pubblica alcuni volumi, nei quali rielabora in tappe successive aspetti emersi dalle sue ricerche, in particolare l’esistenza di quello che lui chiama ‘quarto livello’. Nel 1997 difende Rosaria Costa e tutta la famiglia di Vito Schifani, agente della scorta di Falcone, nel processo sulla strage di Capaci a Caltanissetta. Nel 2014 acquisisce elementi nuovi su alcuni snodi essenziali delle sue vecchie indagini, che lo spingono a una rilettura delle stragi mafiose che segnarono la fine della Prima Repubblica. Nel corso di questa rilettura, di cui il volume oggi pubblicato dà conto, emerge il ruolo di gruppi di potere trasversali e sovranazionali di natura occulta, in primis la massoneria, con un corollario di apparati militari, paramilitari e finanziari ad essi collegati. La cifra esoterica diventa sorprendentemente centrale, tratteggiando un quadro nuovo che attende ancora di essere completato del tutto.

 

Il racconto di questa ricostruzione, che si dipana in poco più di quattrocento pagine, è faticoso da seguire. La prosa, attenta più all’esattezza dei contenuti che all’eleganza della forma, non è sempre fluida. La struttura narrativa non asseconda l’esigenza di chiarezza di un lettore profano, ma piuttosto segue e rispecchia lo svolgersi reale delle indagini, con interruzioni, spostamenti, riprese, interferenze, ripensamenti, zone d’ombra. Una sorta di diario nel quale mancano quasi del tutto commenti e interpretazioni. Traspare chiaramente l’abitudine a “lasciar parlare le carte”, criterio di somma potenza in un’inchiesta giudiziaria, non sempre però altrettanto efficace in una pubblicazione di denuncia come questa, letta non solo dagli addetti ai lavori ma da chiunque voglia (pur privo di una preparazione specifica sulla storia contemporanea o su metodi e strumenti di un’indagine) conoscere una lettura inedita e ben documentata degli avvenimenti recenti della storia italiana. D’altra parte, una scelta stilistica andava pur fatta, e di fronte alla complessità dei fatti analizzati, che sfida qualsiasi autore, Carlo Palermo opta per la soluzione più credibile e più condivisibile: quella di rimanere se stesso, anche quando si avventura in ambiti a lui poco famigliari come quelli segnati dall’esoterismo. Si avverte pure, nella sua scelta, un criterio di urgenza, l’esigenza di non rimandare oltre la divulgazione di quanto fin qui scoperto, nella consapevolezza che passi ulteriori saranno comunque necessari verso una più chiara comprensione degli eventi. In questo senso il libro è anche un perfetto strumento di ricerca, aperto ad approfondimenti e sviluppi sui quali l’autore stesso dichiara di continuare a lavorare. La volontà di divulgare e condividere il frutto delle ricerche svolte è confermata anche dalla creazione di un sito dedicato alla pubblicazione, sul quale sono fruibili liberamente informazioni e documenti. Tuttavia, leggere La Bestia è faticoso e difficile soprattutto a causa di ciò che vi viene raccontato.

 

Che cosa racconta dunque Carlo Palermo di così sconcertante?

 

Racconta innanzitutto di aver avuto accesso soltanto in questi ultimi anni testimonianze e documenti che riguardano le sue indagini di allora, e che gli furono negati da chi, all’epoca, aveva il potere di farlo: segreto di Stato. Fin dal primo capitolo, Carlo Palermo rafforza il quadro delle rivelazioni su un fatto agghiacciante, ovvero che le stragi degli anni Novanta non furono semplicemente opera della mafia come a lungo si è fatto credere, ma che dietro quelle azioni agiva un’altra forza, in grado di andare molto oltre, ovvero in grado addirittura di manipolare la democrazia nel nostro Stato. Palermo racconta che in quei documenti ci sono conferme importanti e ulteriori elementi per comprendere meglio ciò che egli aveva già intuito, in modo quindi corretto ma inevitabilmente incompleto.

 

Racconta che questi elementi hanno in comune una caratteristica strana, ovvero rimandano tutti a un livello di potere superiore a quello dei vari governi, italiani e stranieri; un potere trasversale agli Stati e non necessariamente connotato in senso nazionale; un potere effettivo, tale da pianificare, ordinare, condizionare, coordinandoli in tutte le loro fasi, il movimento, l’azione, l’occultamento delle prove e la comunicazione interna ed esterna di interventi criminali (compresi quelli terroristici e mafiosi) in molte parti del mondo, nonché le azioni dei governi stessi. Racconta che questo livello di potere si esprime e si configura secondo codici esoterici. Racconta che esso ha al suo servizio organizzazioni molto concrete, come logge massoniche, servizi segreti, reparti speciali di vari eserciti, istituti di credito, circoli culturali, cosche mafiose, nonché singole persone collocate in posizioni chiave di organismi politici, finanziari, giudiziari, militari, mediatici ed ecclesiastici. Sì, anche la Chiesa è coinvolta. Racconta che alla luce di tutto ciò, assumono valenza e significati nuovi molti episodi drammatici degli ultimi decenni, come il caso Moro, le stragi degli anni Novanta, l’attentato alle torri gemelle di New York, ma anche cose apparentemente assai lontane da tutto ciò, come la piramide del Louvre, le pubblicazioni di Penthouse, il Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana di Erice.

 

E’ un discorso duro da intendere, quello che fa Carlo Palermo, perché ci costringe a colmare le molte lacune presenti nella nostra conoscenza dei fatti di cui parla: chiunque abbia oggi più di quarant’anni ricorda senza dubbio le notizie di cronaca e i titoli dei giornali, e spesso con questo è convinto di sapere, non si pone altre domande. Al lettore medio mancano invece non soltanto molte informazioni, ma anche un quadro chiaro del contesto in cui vanno collocate. Palermo amplia poi ancora a dismisura le dimensioni di quel quadro, creando, in chi davvero si sforza di capire, una specie di smarrimento, una vertigine. Se davvero, per esempio, dietro all’attentato fallito dell’Addaura, e poi dietro a quello di Capaci, tragicamente riuscito, ci sono la NATO e i servizi segreti italiani, e pure loro non sono che uno strumento in mano di altri, fino a che punto bisogna arrivare per poter davvero cambiare le cose in questo Paese? Se non basta essere un giudice istruttore, alto funzionario dello Stato con poteri garantiti dalla legge, se non basta che questo giudice sia preparato, competente, integro, coraggioso, generoso al punto di rischiare tutto, anche la vita (perché quello che vale per Palermo, che è scampato alla morte, vale anche per ciascuno dei suoi colleghi assassinati), fino a che punto si dovrà arrivare per scoprire la verità, per bloccare i colpevoli?

 

Le domande si moltiplicano, le implicazioni di ciò che Palermo scrive sono profondamente inquietanti, perché se in tanti sappiamo che sono successe cose mai spiegate davvero, non siamo in tanti a saper e a renderci conto che la mano che muove i fili di tutto questo, pur mostrando di ispirarsi a nobili fini e nascondendosi dietro a simboli più o meno misteriosi di progresso ed evoluzione, non ha in realtà alcun rispetto della vita umana e non esita a sacrificarla sull’altare del proprio potere.

 

Sarebbe più facile poter credere che quella di Carlo Palermo sia semplicemente una specie di follia. Si potrebbe dire che è stato duramente provato da ciò che ha vissuto: egli stesso riferisce di essere stato a lungo malato, di aver sofferto la disgregazione della propria vita familiare, lo stress di minacce mai cessate, l’ostilità e l’isolamento da parte di superiori e colleghi. Oggi ha più di settant’anni. Che il suo sistema nervoso abbia infine ceduto, aprendo il varco a suggestioni e fantasie? In fondo anche la sua scarsa dimestichezza con il campo dell’esoterismo è abbastanza evidente. Gli studi da lui condotti sull’argomento sono recenti e autodidattici. Egli stesso dichiara che nel 1982, quando fu avvicinato da un interlocutore che gli parlò di logge massoniche attive a Trapani, di collegamenti tra riti dell’antico Egitto, il caso Moro, l’attentato a papa Giovanni Paolo II, si rifiutò di prendere in considerazione quei discorsi, come privi di qualsiasi credibilità. Anzi si raccomandò di non menzionare il suo nome accanto ad argomentazioni simili, temendone discredito. L’interesse per questi temi non è dunque innato, in Carlo Palermo, ma indotto dai ritrovamenti documentali. Ed è proprio questo che impedisce di pensare che le sue siano illusioni. Egli è lucidissimo. Si nota infatti come il suo rifermento siano sempre le carte dell’indagine, e su quelle, non su trattati di esoterismo, vada sempre misurando, ad ogni passo, la fondatezza delle informazioni che emergono dalla decifrazione dei vari codici. Un velo impalpabile di scetticismo, talvolta di sarcasmo, rivela che questo interesse per l’occulto non arriva a tradursi in un’adesione, che solo la convinzione e la passione possono generare, ma rimane un interesse strumentale all’indagine, ancora una volta unica sua priorità. C’è quindi la capacità di una distanza critica, rispetto all’oggetto del suo studio, che l’illuso non possiede. E’ pur vero che un profano e un neofita, a dispetto della buona fede e dell’equilibrio, possono incorrere in ingenuità ed errori, magari anche grossolani, nell’interpretazione e nella valutazione delle cose occulte; tuttavia altri due elementi costringono il lettore a prendere sul serio le informazioni fornite da Carlo Palermo.

 

Intanto, come detto, il riscontro dei fatti, da lui già appurati in maniera

 

Continua qui: https://megachip.globalist.it/libri-consigliati/2018/11/16/la-bestia-misteri-d-italia-e-democrazie-manovrate-dai-poteri-occulti-2033745.html

 

 

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

La CIA usa la Turchia per far pressione sulla Cina

di Thierry Meyssan

Per risolvere la propria crisi economica, la Turchia si è economicamente avvicinata alla Cina. Malgrado ciò e basandosi su informazioni false Ankara ha denunciato pubblicamente la repressione degli uiguri, la popolazione turcofona e mussulmana della Cina. Beijing ha replicato molto seccamente. È come se, una volta eliminato Daesh da Siria e Iraq, la Turchia riprendesse le azioni segrete per conto della CIA, questa volta nello Xinjiang.

RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA) | 19 FEBBRAIO 2019

Da diverse settimane la stampa turca si occupa della sorte degli uiguri. I partiti politici dell’opposizione, kemalisti compresi, fanno a gara nel denunciare la repressione, da parte degli han, di questa minoranza e della sua religione.

Quest’effervescenza dei media turchi fa seguito:

al rapporto della Jamestown Foundation sui «73 centri di detenzione segreti cinesi» [1];
alla campagna di Radio Free Asia, che ha diffuso numerose interviste di ex prigionieri dei campi cinesi e ha persino accusato la Cina di vietare il Corano (sic!) [2];
alla campagna lanciata il 13 novembre 2018 dagli Stati Uniti e dai loro alleati al Consiglio dei Diritti dell’Uomo di Ginevra contro la repressione dell’islam in Cina [3];
infine, all’audizione su «La repressione delle religioni da parte del Partito Comunista Cinese», organizzata a Washington il 28 novembre 2018 dal senatore Marco Rubio (Repubblicani, Florida) e dal rappresentante Chris Smith (Repubblicani, New Jersey), davanti alla Commissione congiunta di Congresso ed Esecutivo sulla Cina (Congressional-Executive Commission on China, CECC) [4]. Abbiamo così appreso che, nei campi di rieducazione, da uno a tre milioni di uiguri sarebbero sottoposti a torture con scosse elettriche.
Queste accuse sono state riprese da Amnesty International e da Uman Rights Watch.

 

VIDEO QUI: https://youtu.be/dsd1NkCKaNg

In questo contesto il portavoce del ministero turco degli Esteri, Hami Aksoy, il 9 febbraio 2019 ha pubblicato un comunicato in cui denunciava ufficialmente la «cinesizzazione (…) delle identità etniche, religiose e culturali dei turchi uiguri» e la morte in prigione del celebre poeta Abdurehim Heyit, che stava scontando «otto anni» di reclusione «per una delle sue canzoni» [5].

Questa presa di posizione è scoppiata come un fulmine a ciel sereno nei rapporti tra Ankara e Beijing. Dopo la revoca, da parte del presidente Donald Trump, del sostegno statunitense all’economia turca, ad agosto 2018 Ankara si è rivolta alla Cina, da cui ora dipende.

La sera del giorno successivo la Cina ha pubblicato un video di 26 secondi del poeta che si pretendeva fosse morto. Nel video egli dichiara: «Sono Abdurehim Heyit. Oggi è il 10 febbraio 2019. Sono oggetto di una procedura investigativa per sospetto di violazione delle leggi nazionali. Adesso sono in buona salute e non sono mai stato sottoposto a violenze fisiche».

VIDEO QUI: https://youtu.be/HrYaxxdl25s

L’11 febbraio la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha espresso una severa critica degli «errori» e dell’«irresponsabilità» della Turchia [6].

Se la carcerazione di almeno 10 mila uiguri implicati in attività terroristiche è dimostrato, il computo da uno a tre milioni di prigionieri è assolutamente infondato.

Il 1° giugno 2017 e il 13 dicembre 2018 il governo cinese aveva già diffuso due documenti, il primo su I diritti dell’uomo nello Xinjiang [7], il secondo su La protezione della cultura e dello sviluppo nello Xinjiang [8].

Il partito comunista cinese però non sa bene come gestire l’islam politico. Sta affrontando il problema con un passato particolare, quello della Rivoluzione Culturale e del divieto di praticare qualsiasi religione, non solo l’islam. Dopo il ripristino della libertà religiosa, sono riapparse le divisioni della Guerra Civile e si sono moltiplicati gli attentati jihadisti [9]. Il 1° febbraio 2018 è stata avviata una nuova politica religiosa per assimilare l’islam abolendo alcune pratiche identitarie [10]. I membri del Partito devono così dare l’esempio rifiutandosi di mangiare halal. Comunque, è un fatto che nello Xinjiang ci sono 24.400 moschee attive per i 13 milioni di mussulmani della regione.

Da venticinque anni, organizzazioni uigure rivendicano uno Stato indipendente – dapprima laico, adesso “islamico” (nel senso politico dei Fratelli Mussulmani, non nel senso religioso) – il Turkestan Orientale (dalla denominazione medievale dello Xinjiang). Queste organizzazioni hanno subito ottenuto il sostegno della CIA, contenta di fomentare l’ostilità nei confronti del potere politico di Beijing.

Nel 1997 nasce il Movimento Islamico del Turkestan Orientale (MITO) e subito va a formarsi in Afghanistan, presso i talebani e alcuni membri di Al Qaeda. Nasce dall’islam politico ed è finanziato direttamente dalla CIA.
A settembre 2004 Anwar Yusuf Turani fonda a Washington un «governo del Turkestan Orientale in esilio». Ricompone l’alleanza del Kuomintang con il Dalai Lama e Taiwan, nel prolungamento della guerra civile cinese (1927-1950).
A novembre dello stesso anno è istituito a Monaco un Congresso Mondiale degli Uiguri, di cui diventa presidente Rebiya Kadeer, fautore del separatismo etnico.
Questi due ultimi organismi sono finanziati dalla National Endowment for Democracy, un’agenzia dei “Cinque Occhi” [11].

A febbraio 1997 e a luglio 2009 nello Xinjiang sono scoppiate gravi rivolte. I manifestanti si richiamavano al tempo stesso al separatismo uiguro, all’anticomunismo del Kuomintang nonché all’islam politico.

Beijing ha ristabilito l’ordine concedendo agli uiguri numerosi privilegi, per esempio dispensandoli a suo tempo dalla politica del figlio unico (oggi abbandonata) [12].

La campagna statunitense contro la repressione degli uiguri sembrerebbe contraddetta dagli impegni assunti da Erik Prince, fondatore di Blackwater, con le autorità dello Xinjiang [13]. Ebbene, Prince non è semplicemente il principale uomo d’affari specializzato nel costituire eserciti privati, è anche il fratello di Betsy DeVos, segretaria all’Educazione di Trump. I

Continua qui: https://www.voltairenet.org/article205251.html

 

 

 

 

McLuhan, cinquant’anni dopo

Vanni Codeluppi 1 MARZO 2019

Per diverse serate, tra il dicembre del 1968 e il gennaio del 1969, Marshall McLuhan ha ricevuto nella sua casa di Toronto il giornalista Eric Norden, che poco tempo prima aveva intervistato il regista Stanley Kubrick. Fuori faceva molto freddo e McLuhan e Norden hanno chiacchierato per parecchie ore davanti al tepore del caminetto acceso. Ne è uscita una lunghissima intervista pubblicata sul numero del marzo 1969 di Playboy, che all’epoca era una rivista alla quale collaboravano alcuni degli intellettuali statunitensi più importanti, compreso McLuhan, che nel dicembre del 1968 vi aveva pubblicato l’articolo Il capovolgimento dell’immagine surriscaldata.

 

Quella pubblicata da Playboy può essere considerata la più famosa intervista rilasciata da parte di McLuhan e si tratta di un lungo dialogo nel quale il più importante studioso dei media ha riassunto con efficacia il suo originale pensiero. L’intervista è apparsa per la prima volta in italiano all’interno del volume Percezioni. Per un dizionario mediologico (Armando), curato alla fine degli anni Novanta da Gianpiero Gamaleri, ed è poi uscita in una nuova versione nel libro Intervista a Playboy. Un dialogo diretto con il gran sacerdote della cultura pop e il metafisico dei media (FrancoAngeli), curato e tradotto nel 2013 da Luca Barra.

 

 

Era presente tra i diversi concetti espressi da McLuhan in quell’intervista la straordinaria intuizione che lo spettatore televisivo dev’essere considerato come una sorta di schermo. Lo studioso canadese, cioè, era fortemente convinto che l’immagine venga proiettata dallo schermo televisivo direttamente sul corpo dello spettatore, il quale a sua volta la completa attraverso la sua capacità mentale di elaborazione e interpretazione. McLuhan pensava dunque che la televisione fosse in grado di ribaltare il tradizionale rapporto che il cinema aveva stabilito con lo spettatore: «lo spettatore, in fondo, diventa lo schermo, mentre nel film era la cinepresa. Richiedendoci di riempire costantemente gli spazi della rete a mosaico, l’iconoscopio tatua il suo messaggio direttamente sulla nostra pelle. Ogni spettatore è così un inconsapevole pittore puntinista come Seurat, che dipinge nuove forme e immagini mentre l’iconoscopio si diffonde sul suo intero corpo. Dal momento che il punto di focalizzazione di un televisore è lo spettatore, la tv ci sta orientalizzando, forzandoci tutti a iniziare a guardare dentro noi stessi» (2013, p. 31).

 

L’intuizione di McLuhan si è rivelata negli anni successivi sempre più convincente e oggi appare essere pienamente condivisibile. Perché la mente umana legge e interpreta i testi presenti negli schermi digitali attraverso delle modalità che sono molto differenti rispetto a quelle che utilizzava in passato e ciò produce delle profonde conseguenze culturali e sociali. Per diversi secoli, infatti, gli esseri umani hanno letto grazie alla luce riflessa, che cadeva sulla pagina e da lì rimbalzava verso l’occhio, mentre oggi la luce viene di solito proiettata dagli schermi elettronici direttamente verso il soggetto che guarda.

Che cos’altro veniva detto in quell’intervista di cinquant’anni fa? Molte cose, tra

 

Continua qui: https://www.doppiozero.com/materiali/mcluhan-cinquantanni-dopo

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

LA FABBRICA DI MIGRANTI CHE SALVINI NON TOCCHERA’ MAI

(complici, killer, Bertrand Russell, Wikileaks).

Il tasso di natalità africano è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali.

Non esiste guerra, sfruttamento neocoloniale, franco CFA, o malapolitica africana che gli possa stare vicino come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi. Oggi il vero antirazzista e umanitarista deve guardare in faccia l’africano e l’africana e dirgli di smetterla di figliare come pazzi, e che, se continuano, allora che si prendano ampie responsabilità per disperazione, fuga e morte laggiù. Basta con la mentalità, quella sì razzista, che “ma poveracci non sanno… le donne non possono… vanno educati…“. No, non sono dei minorati incivili, sono come noi, hanno responsabilità e possono prendersele. Poi certo, non l’unica responsabilità, e nessun lettore qui usi queste righe per dire “ecco, cazzi loro, se lo meritano il barcone“.

Infatti, continuo col dire che poi il vero antirazzista e umanitarista non può ignorare le nostre responsabilità che foraggiano la folle sovrappopolazione in Africa, in particolare la perversione mentale chiamata fede cristiana che noi abbiamo esportato e che continuiamo a esportare là, e che fisicamente impedisce ai metodi contraccettivi e all’educazione ai diritti riproduttivi di raggiungere le donne del continente, anche quando sono laiche e consapevoli. Questo è il tema dell’articolo, chiaro?

In Africa una donna negli anni di fertilità partorisce dai 7 (sette) ai 5 (cinque) figli in media, e la parola “in media” ci fa accapponare la pelle, significa che molte ne figliano di più. L’ONU prevede che fra 30 anni più di un miliardo di umani si aggiungerà alla già stipata Africa. Nonostante tutta la buona (ma inutile e in certi casi persino criminosa) volontà dei cosiddetti aiuti umanitari – con missionari laici o religiosi, con l’industria delle donazioni e della “caritas cristiana” – il numero totale di poveri estremi nell’Africa sub Sahariana è oggi più alto che nel 1981. E di nuovo: l’abnorme tasso di natalità gioca, in questo, un ruolo infernale.

La povertà in Africa è quella che è, le cause storiche sono quelle che sappiamo (cioè il nostro furto delle loro risorse ma anche la loro corruzione), ma figliare a questo scriteriato ritmo creerebbe disperazione economica anche nella Svizzera delle banche, disintegrerebbe il potere di spesa sociale della FED degli Stati Uniti, quindi immaginate cosa fa in Africa.

In parole povere: distribuire su scala intensiva preservativi agli africani in programmi di educazione ai diritti riproduttivi (come evitare gravidanze non volute), in un accordo non solo con i politici, ma con le due maggiori religioni africane, Cattolicesimo e Islam, significa oggi aiutare a prevenire almeno una notevole fetta di sofferenze umane che negli ultimi 40 anni hanno di molto superato in numeri quelle dell’Olocausto nazista. E con esse prevenire la crisi dei migranti. Qui una cosa deve essere chiara a tutti, e la scrivo in maiuscolo:

IL FLUSSO DEI MIGRANTI CHE OGGI VEDIAMO E’ SOLO LA MINUSCOLA FRAZIONE DEI FUGGITIVI AFRICANI CHE PER DISTANZA RIESCE AD ARRIVARE IN LIBIA. MA IL 99% DEI FUTURI MIGRANTI STANNO A SUD DEI SOPRACCITATI, E SONO QUELLI CHE ARRIVERANNO QUANDO LA VERA CRISI DEI MIGRANTI ESPLODERA’. (Sono gli africani dell’immenso bacino cattolico, e questo è fondamentale, come capirete fra poco).

Al contrario, ostacolare la contraccezione in un’Africa già irresponsabilmente riproduttiva significa pianificare a tavolino uno sterminio, con tragedie incalcolabili, con la destabilizzazione peggiore mai vissuta dall’Europa moderna, la quale, fra l’altro, alimenta la proliferazione dei nuovi fascismi europei. Nulla di meno.

 

Questi due uomini sono, in Italia, i criminali (sì criminali) attuatori di ogni singola parola scritta nel paragrafo appena sopra.

Questa donna, rappresentativa di tutti quelli come lei, è complice delle sopraccitate atrocità (la foto è pubblica).

Quest’uomo è Bertrand Russell, ci avvisò 60 anni fa di tutto questo.

 

Questa testata smaschera il Signore di tutti gli Ipocriti.

 

Arrivo a ciascuno qui sotto, ma inizio da Bertrand Russell, forse la mente più lucida, autorevole, e umanitarista del XX secolo. In un’intervista del 1952 Russell non solo predisse il globale dramma delle migrazioni per povertà, ma dettò la ricetta per fermarle, auspicando allo stesso tempo equità economica nell’intero pianeta. E qui si torna a piombo sul problema demografico e della proibizione cristiana della contraccezione. Ecco alcune sue parole:

Sarà impossibile ridurre la diseguaglianza globale se non raggiungeremo popolazioni numericamente stabili” …

La consapevolezza, da parte di immense masse di poveri, della disparità di ricchezza fra loro e noi, ci porterà pericoli alla pace e calamità” …

E’ assolutamente giusto che Africa e Asia ottengano eguaglianza nella ricchezza con l’Occidente. Ma se si vuole evitare che l’Africa e l’Asia travolgano il mondo con immense popolazioni in estrema povertà, esse dovranno però imparare a mantenere popolazioni numericamente stabili. E se non impareranno a controllare questo, allora inevitabilmente perderanno la loro rivendicazione di eguaglianza economica”.

Cosa si deve aggiungere a parole del genere? Pronunciate 50 anni prima che chiunque qui da noi sentisse parlare di barconi, crisi migranti, neo-razzismo e di Salvini. Ma non vi è lampante l’implicazione delle profetiche parole del grande intellettuale? Il controllo delle nascite, quindi la contraccezione, sono vitali a economia e giustizia globali. No, non la demente astinenza predicata dalla Chiesa, una cosa peggio che demente, e purtroppo non esiste aggettivo in nessuna lingua per definirla nella sua deficienza. Qui si parla di contraccezione. Ma chi si oppone a questa politica salva Pianeta e che mitigherebbe guerre, migrazioni e drammi incalcolabili? Ecco chi.

Due fanatici della Croce Vaticana, Bergoglio e Salvini. E la Croce Vaticana non esita in questo: per essa la contraccezione, in ogni sua forma, è dannazione divina, è perdizione, equivale al peggior sudiciume morale, addirittura all’infanticidio. Poi, che un milione di volte più infanti di quelli che la contraccezione sottrarrebbe al Pianeta crepino dai 2 mesi d’età ai 30 anni, fra atroci sofferenze, dopo aver (incolpevolmente) creato disastri politici e planetari, bè, tutto questo a sti due assassini di massa non importa nulla. Conta la Croce Vaticana, che purtroppo proprio nell’Africa più disperata ha una presa pandemica sui suoi abitanti. E sono disgustosi entrambi: perché il primo, Bergoglio, poi predica l’accoglienza di vite che lui e la sua fede imporrebbero, o impongono fra i milioni di cattolici neri, di far nascere e soffrire; e perché il secondo, Salvini, poi fa sì che s’affoghino in mare quelle vite, che lui e la sua fede imporrebbero, o impongono fra i milioni di cattolici neri, di far nascere e soffrire.

Ma che sia il portavoce di Dio in Terra a fallire nella più elementare umanità e raziocinio è davvero troppo. Fra l’altro questo uomo passa (nell’encefalo di milioni di fessi) come un ‘Francescano’ riformatore, cioè milioni davvero credono che egli sia la nuova faccia decente della vomitevole Chiesa storica (quella dell’Opzione per i Ricchi e morte ai poveri). Ma per fortuna esiste Wikileaks.

Essa ci rivela a fine gennaio 2019 che Papa Francesco intervenne in un mefitico guazzabuglio di potere con il Cattolico Ordine di Maltail quale per un errore di un tal Gran Cancelliere dell’Ordine Religioso Vaticano, di nome Albrecht Freiherr von Boeselager, aveva osato finanziare l’uso di contraccettivi per non sovrappopolare l’Africa,e quindi per evitare non solo le infezioni da AIDS ma anche per diminuire le crisi dei migranti che finiscono sui barconi. Dai documenti pubblicati da Wikileaks, Papa Francesco, messo di fronte a sta storia di migranti, contraccettivi, Ordine di Malta ecc., si prodiga nel suo decennale doppiogiochismo (Bergoglio fu pro/anti torturatori argentini; fu pro/anti Teologi della Liberazione; fu pro/anti-preti pedofili; fu pro/anti Fondo Monetario Internazionale alla gola dei poveri latinoamericani,

Continua qui: https://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=2134

 

 

 

ECONOMIA

Il Nazismo di questa generazione. E i suoi repubblichini.

Maurizio Blondet  27 Febbraio 2019

(MB. Mi è passata la voglia di scrivere)

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/02/27/bail-in-tria-erano-tutti-contrari-il-ministro-saccomanni-fu-ricattato-dal-ministro-delle-finanze-tedesco/5002231/

Bail in, Tria: ‘Anche Bankitalia contraria. Saccomanni fu ricattato dal ministro tedesco’. Mef lo corregge: ‘Frase infelice’

…Al momento dell’introduzione del bail-in, la normativa che impone di gestire la risoluzione delle banche in crisi senza far gravare i costi dei salvataggisulle casse pubbliche, in Italia “erano tutti contrari, anche la Banca d’Italiain modo discreto si oppose. Il ministro di allora era Saccomanni [governo Letta] che fu praticamente ricattato dal ministro delle Finanze tedesco”, all’epoca Wolfgang Schaeuble, con la minaccia che se l’Italia non avesse accettato il nuovo sistema “si sarebbe diffusa la notizia che il nostro sistema bancario era prossimo al fallimento”. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, rispondendo alle domande della commissione Finanze del Senato.

Poche ore dopo, Tria ha rettificato: proprio “ricatto” non è stato,  Schauble non  avrebbe diffuso lui la notizia che il sistema bancario italiano era al fallimento, ma che se il governo italiano non accedeva al  bail-in (ossia al far pagare le perdite delle banche agli azionisti, obbligazionisti e correntisti – senza aiuti di Stato), “si”  sarebbe pensato che il sistema bancario era  prossimo al fallimento.

Questa correzione è falsa.  Sono anni che Jens Weidman, il capo della Bundesbank , incita i “mercati” ad  esigere  più interessi per prestare  all’Italia,  perché i titoli di stato italiani sono a rischio altissimo, prossimi alla bancarotta.  L’ha fatto anche con interviste al Financial Times

https://www.huffingtonpost.it/2013/09/30/weidmann-banche-titoli-pubblici_n_4018108.html

Non solo: anche il ministro Padoan, come Saccomanni, è stato ricattato da Schauble,  e come lo ha raccontato Varoufakis nel suo libro: Padoan gli raccontò che “da quando era stato nominato ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble 

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/e-il-nazismo-di-questa-generazione-e-i-suoi-repubblichini/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Scuola di golpe: è nato in Serbia l’oscuro progetto Guaidò

Scritto il 01/3/19

Prima della data fatidica del 22 gennaio, meno di un venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Solo pochi mesi fa, il trentacinquenne era un personaggio oscuro in un gruppo di estrema destra di scarsa influenza politica, strettamente associato a macabri atti di violenza di strada. Anche nel suo stesso partito, Guaidó era una figura di medio livello nell’Assemblea Nazionale dominata dall’opposizione, che sta ora agendo in maniera incostituzionale. Ma dopo una sola telefonata dal vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, Guaidó si è proclamato presidente del Venezuela. Unto come capo del suo paese da Washington, uno sguazzatore di bassifondi politici precedentemente sconosciuto è stato fatto salire sul palcoscenico internazionale, selezionato dagli Stati Uniti come il leader della nazione con le maggiori riserve petrolifere del mondo. Facendo eco al consenso di Washington, il comitato editoriale del “New York Times” ha definito Guaidó un «rivale credibile» per il presidente Nicolás Maduro, con uno «stile rinfrescante e una visione per portare avanti il Paese». Il comitato editoriale di “Bloomberg” lo ha applaudito per aver cercato «il ripristino della democrazia», e il “Wall Street Journal” lo ha dichiarato «un nuovo leader democratico».

Al contempo il Canada, numerose nazioni europee, Israele e il blocco dei governi latinoamericani di destra, conosciuti come il Gruppo di Lima, hanno riconosciuto Guaidó come il leader legittimo del Venezuela. Mentre Guaidó sembra essersi materializzato dal nulla, è in realtà il prodotto di oltre un decennio di coltivazione attenta da parte delle “fabbriche di cambio di regime” del governo degli Stati Uniti. Accanto a un gruppo di attivisti studenteschi di destra, Guaidó è stato coltivato per minare il governo socialista, destabilizzare il paese e un giorno prendere il potere. Sebbene sia stato una figura minore nella politica venezuelana, ha passato anni a dimostrare la sua “dignità” nelle sale del potere di Washington. «Juan Guaidó è un personaggio creato per questa circostanza», ha detto a “Grayzone” Marco Teruggi, sociologo argentino e tra i principali cronisti della politica venezuelana. «È la logica di laboratorio: Guaidó è come una miscela di diversi elementi che creano un personaggio che, in tutta onestà, oscilla tra il risibile e il preoccupante».

Diego Sequera, giornalista e scrittore venezuelano per l’agenzia investigativa “Mision Verdad”, concorda: «Guaidó è più popolare fuori dal Venezuela che dentro, specialmente nelle élite Ivy League e nei circoli di Washington. È un personaggio conosciuto lì, è prevedibilmente di destra ed è considerato fedele al programma». Mentre Guaidó è oggi venduto come il volto della restaurazione democratica, ha trascorso la sua carriera nella fazione più violenta del partito di opposizione più radicale del Venezuela, posizionandosi in prima linea in una campagna di destabilizzazione dopo l’altra. Il suo partito è stato ampiamente screditato in Venezuela, ed è ritenuto in parte responsabile della frammentazione di un’opposizione fortemente indebolita. «Questi leader radicali non hanno più del 20% nei sondaggi d’opinione», scrive Luis Vicente León, il principale sondaggista del Venezuela. Secondo Leon, il partito di Guaidó rimane isolato perché la maggioranza della popolazione non vuole la guerra: «Quello che vogliono è una soluzione».

Ma questo è precisamente il motivo per cui Guaidó è stato scelto da Washington: non è previsto che guidi il Venezuela verso la democrazia, ma che faccia collassare un paese che negli ultimi due decenni è stato un baluardo di resistenza all’egemonia degli Stati Uniti. La sua improbabile ascesa segna il culmine di un progetto durato due decenni per distruggere un solido esperimento socialista. Dall’elezione del 1998 di Hugo Chavez, gli Stati Uniti hanno combattuto per ripristinare il controllo sul Venezuela e le sue vaste riserve petrolifere. I programmi socialisti di Chavez hanno in parte ridistribuito la ricchezza del paese e aiutato a sollevare milioni dalla povertà, ma gli hanno anche dipinto un bersaglio sulle spalle. Nel 2002, l’opposizione di destra venezuelana lo depose con un colpo di Stato che aveva il sostegno e il riconoscimento degli Stati Uniti, ma l’esercito ripristinò la sua presidenza dopo una mobilitazione popolare di massa. Durante le amministrazioni dei presidenti degli Stati Uniti George W. Bush e Barack Obama, Chavez è sopravvissuto a numerosi tentativi di omicidio, prima di soccombere al cancro nel 2013. Il suo successore, Nicolás Maduro, è sopravvissuto a tre attentati.

L’amministrazione Trump ha immediatamente elevato il Venezuela al vertice della lista dei cambi di regime di Washington, dandogli il marchio di leader di una “troika della tirannia”. L’anno scorso, la squadra di sicurezza nazionale di Trump ha cercato di reclutare membri dell’esercito venezuelano per instaurare una giunta militare, ma questo sforzo è fallito. Secondo il governo venezuelano, gli Stati Uniti erano anche coinvolti in una trama chiamata “Operazione Costituzione” per catturare Maduro nel palazzo presidenziale di Miraflores, e un’altra chiamata “Operazione Armageddon” per assassinarlo a una parata militare nel luglio 2017. Poco più di un anno dopo, i leader dell’opposizione esiliata hanno cercato di uccidere Maduro, usando droni-bomba durante una parata militare a Caracas. Più di un decennio prima di questi intrighi, un gruppo di studenti dell’opposizione di destra fu selezionato e curato da un’accademia di formazione d’élite per il cambio di regimi, finanziata dagli Stati Uniti per rovesciare il governo venezuelano e ripristinare l’ordine neoliberista.

Il 5 ottobre 2005, con la popolarità di Chavez al suo apice e il suo governo che pianifica vasti programmi socialisti, cinque “leader studenteschi” venezuelani arrivarono a Belgrado, in Serbia, per iniziare l’addestramento per un’insurrezione. Gli studenti erano arrivati ​​dal Venezuela per gentile concessione del Centro per le azioni e strategie nonviolente applicate, o Canvas. Questo gruppo è finanziato in gran parte attraverso il National Endowment for Democracy, un cut-out della Cia che funziona come il braccio principale del governo degli Stati Uniti per promuovere i cambi di regime, e propaggini come l’International Republican Institute e il National Democratic Institute for International Affairs. Secondo le e-mail interne trapelate da Stratfor, una società di intelligence nota come “la Cia-ombra”, «Canvas potrebbe aver ricevuto finanziamenti e addestramento dalla Cia durante la lotta anti-Milosevic del 1999-2000».

Canvas è uno spin-off di Otpor, un gruppo di protesta serbo fondato da Srdja Popovic nel 1998 all’Università di Belgrado. Otpor, che significa “resistenza” in serbo, è stato il gruppo studentesco che ha guadagnato fama internazionale – e la pubblicità di Hollywood – mobilitando le proteste che alla fine hanno fatto cadere Slobodan Milosevic. Questa piccola cellula di specialisti del cambio di regime operava secondo le teorie del defunto Gene Sharp, “il Von Clausewitz della lotta non violenta”. Sharp aveva lavorato con un ex analista della Defense Intelligence Agency, il colonnello Robert Helvey, per ideare le linee guida per l’utilizzo della protesta come una forma di guerra ibrida, mirata agli Stati che resistevano alla dominazione unipolare di Washington. Otpor è stato sostenuto dal National Endowment for Democracy, dall’Usaid e dall’Istituto Albert Einstein di Sharp. Sinisa Sikman, uno dei creatori di Otpor, una volta ha detto che il gruppo ha persino ricevuto finanziamenti diretti della Cia.

Secondo un’e-mail trapelata dallo staff di Stratfor, dopo aver eliminato Milosevic dal potere, «i ragazzi che gestivano Otpor sono cresciuti, si sono vestiti bene e hanno progettato Canvas, o in altre parole un gruppo “export-a-revolution” che ha gettato i semi delle varie altre “rivoluzioni colorate”. Sono ancora legati ai finanziamenti degli Stati Uniti e fondamentalmente vanno in giro per il mondo cercando di rovesciare dittatori e governi autocratici (quelli che agli Usa non piacciono)». Stratfor ha rivelato che Canvas «ha rivolto la sua attenzione al Venezuela» nel 2005, dopo aver addestrato i movimenti di opposizione che hanno portato le operazioni di cambio di regime pro-Nato in tutta l’Europa orientale. Mentre monitorava il programma di formazione Canvas, Stratfor ha delineato il suo programma insurrezionalista in un linguaggio straordinariamente chiaro: «Il successo non è affatto garantito, e i movimenti studenteschi sono solo l’inizio di quello che potrebbe essere uno sforzo di anni per innescare una rivoluzione in Venezuela, ma i formatori sono le persone che si sono fatte le ossa col “Macellaio dei Balcani”. Hanno delle abilità pazzesche. Quando vedrete studenti in cinque università venezuelane tenere dimostrazioni simultanee, saprete che la formazione è finita e il vero lavoro è iniziato».

Il “vero lavoro” è iniziato due anni dopo, nel 2007, quando Guaidó si è laureato presso l’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas. Si è trasferito a Washington per iscriversi al corso di governance e gestione politica presso la George Washington University sotto la guida dell’economista venezuelano Luis Enrique Berrizbeitia, uno dei principali economisti neoliberali latinoamericani. Berrizbeitia è un ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale, che ha trascorso oltre un decennio lavorando nel settore energetico venezuelano sotto il vecchio regime oligarchico poi estromesso da Chavez. Quell’anno, Guaidó contribuì a guidare i raduni anti-governativi dopo che il governo venezuelano rifiutò di rinnovare la licenza di “Radio Caracas Televisión” (Rctv). Questa stazione privata svolse un ruolo di primo piano nel colpo di Stato del 2002 contro Hugo Chavez. “Rctv” aiutò a mobilitare i manifestanti anti-governativi, diffondendo informazioni false che incolpavano i sostenitori del governo di atti di violenza, compiuti in realtà dai membri dell’opposizione, e censurò tutte le dichiarazioni pro-governative in occasione del colpo di Stato.

Il ruolo di “Rctv” e di altre stazioni di proprietà degli oligarchi nel guidare il fallito tentativo di colpo di Stato è stato ben descritto nell’acclamato documentario “La rivoluzione non sarà trasmessa”. Nello stesso anno, gli studenti rivendicarono il merito di aver soffocato il referendum costituzionale di Chavez per “un socialismo del XXI secolo” che prometteva di «impostare il quadro legale per la riorganizzazione politica e sociale del paese, dando un potere diretto alle comunità organizzate come prerequisito per lo sviluppo di un nuovo sistema economico». Dalle proteste su “Rctv” e referendum, nacque un gruppo specializzato di attivisti del cambio di regime sostenuto dagli Stati Uniti. Si sono definiti “Generation 2007”. I formatori di Stratfor e Canvas di questa cellula hanno identificato un organizzatore chiamato Yon Goicoechea, alleato di Guaidó – quale “fattore chiave” nel soffocamento del referendum costituzionale. L’anno seguente, Goicochea fu ricompensato per i suoi sforzi con il Milton Friedman Prize for Advancing Liberty del Cato Institute, insieme a un premio di 500.000 dollari, che investì prontamente nella costruzione della sua rete politica “Prima la Libertà” (Primero Justicia).

Friedman, naturalmente, era il padrino del famigerato think-tank neoliberista dei Chicago Boys che fu importato in Cile dal leader della giunta dittatoriale Augusto Pinochet per attuare politiche di radicale austerità fiscale in stile “shock-doctrine”. E il Cato Institute è il think-tank neoliberista di Washington, fondato dai fratelli Koch, due grandi donatori del partito repubblicano che sono diventati aggressivi sostenitori della destra in tutta l’America Latina. WikiLeaks ha pubblicato un’e-mail del 2007 che l’ambasciatore americano in Venezuela William Brownfield ha inviato al Dipartimento di Stato, al Consiglio di sicurezza nazionale e al Comando meridionale del Dipartimento della difesa elogiando «la Generazione del ‘07» per aver «costretto il presidente venezuelano, abituato a fissare l’agenda politica, a reagire spropositatamente». Tra i «leader emergenti» identificati da Brownfield c’erano Freddy Guevara e Yon Goicoechea. Ha applaudito quest’ultima figura come «uno dei difensori più articolati delle libertà civili». Riempiti di denaro dagli oligarchi neoliberali, i quadri radicali venezuelani hanno portato le loro tattiche Otpor nelle strade, insieme a una loro particolare versione del logo del gruppo.

Nel 2009, gli attivisti giovanili di “Generation 2007” hanno messo in scena la loro dimostrazione più provocatoria, calandosi i pantaloni nelle strade e scimmiottando le “scandalose” tattiche di “guerrilla” delineate da Gene Sharp nei suoi manuali sul cambio di regime. I manifestanti si erano mobilitati contro l’arresto di un alleato di un altro gruppo giovanile, chiamato Javu. Questo gruppo di estrema destra «raccolse fondi da una varietà di fonti governative degli Stati Uniti, che gli permisero di acquisire rapida notorietà come l’ala più dura dei movimenti di opposizione», secondo il libro dell’accademico George Ciccariello-Maher, “Building the Commune”. Mentre i video della protesta non sono disponibili, molti venezuelani hanno identificato Guaidó come uno dei suoi partecipanti chiave. Sebbene l’accusa non sia confermata, è certamente plausibile; i manifestanti con le natiche nude erano membri del nucleo interno di “Generazione 2007” a cui apparteneva Guaidó e indossavano le T-shirt col loro marchio di fabbrica “Resistencia!”.

Quell’anno, Guaidó si espose al pubblico in un altro modo, fondando un partito politico per catturare l’energia anti-Chavez che la sua “Generazione 2007” aveva coltivato. Il partito, chiamato “Volontà popolare”, fu guidato da Leopoldo López, un purosangue di destra educato a Princeton, pesantemente coinvolto nei programmi del National Endowment for Democracy ed eletto sindaco di un distretto di Caracas tra i più ricchi del paese. Lopez era un ritratto dell’aristocrazia venezuelana, direttamente discendente dal primo presidente del suo paese. È anche cugino di Thor Halvorssen, fondatore della Human Rights Foundation, con sede negli Stati Uniti, che funge da facciata pubblicitaria per gli attivisti anti-governativi sostenuti dagli Stati Uniti in paesi presi di mira da Washington. Sebbene gli interessi di Lopez fossero allineati perfettamente con quelli di Washington, i documenti diplomatici statunitensi pubblicati da WikiLeaks mettevano in luce le tendenze fanatiche che avrebbero portato alla marginalizzazione dal consenso popolare.

Un comunicato identificava Lopez come «una figura di divisione all’interno dell’opposizione, spesso descritta come arrogante, vendicativa e assetata di potere». Altri hanno evidenziato la sua ossessione per gli scontri e il suo «approccio intransigente» come fonte di tensione con altri leader dell’opposizione, che davano priorità all’unità e alla partecipazione alle istituzioni democratiche del paese. Nel 2010 “Volontà Popolare” e i suoi sostenitori stranieri si sono mossi per sfruttare la peggiore siccità che avesse colpito il Venezuela, da decenni. La grande carenza di energia elettrica aveva colpito il paese a causa della scarsità d’acqua, necessaria per alimentare le centrali idroelettriche. La recessione economica globale e un calo dei prezzi del petrolio aggravarono la crisi, provocando il malcontento pubblico. Stratfor e Canvas – i principali consiglieri di Guaidó e dei suoi quadri anti-governativi – escogitarono un piano scandalosamente cinico per pugnalare al cuore la rivoluzione bolivariana. Il piano prevedeva un crollo del 70% del sistema elettrico del paese già nell’aprile 2010.

«Questo potrebbe essere l’evento spartiacque, poiché c’è poco che Chavez possa fare per proteggere i poveri dal fallimento di quel sistema», dichiara il memorandum interno di Stratfor. «Questo avrà probabilmente l’effetto di galvanizzare i disordini pubblici in un modo che nessun gruppo di opposizione potrebbe mai sperare di generare. A quel punto, un gruppo di opposizione potrebbe servirsene per approfittare della situazione e scagliare l’opinione pubblica contro Chavez». In quel momento l’opposizione venezuelana riceveva 40-50 milioni di dollari l’anno da organizzazioni governative statunitensi come Usaid e National Endowment for Democracy, secondo un rapporto di un think-tank spagnolo, l’Istituto Frude. Aveva anche una grande ricchezza da attingere dai suoi conti, che erano per lo più al di fuori del paese. Ma lo scenario immaginato da Statfor non si realizzò, gli attivisti del partito “Volontà Popolare” e i loro alleati misero quindi da parte ogni pretesa di non violenza e si unirono in un piano radicale di destabilizzazione del paese.

Nel novembre 2010, secondo le e-mail ottenute dai servizi di sicurezza venezuelani e presentate dall’ex ministro della giustizia Miguel Rodríguez Torres, Guaidó, Goicoechea e diversi altri attivisti studenteschi hanno partecipato ad un corso di formazione segreto di cinque giorni presso l’hotel Fiesta Mexicana di Città del Messico. Le sessioni sono state condotte da Otpor, i formatori del cambio regime a Belgrado appoggiati dal governo degli Stati Uniti. Secondo quanto riferito, l’incontro aveva ricevuto la benedizione di Otto Reich, un esiliato cubano fanaticamente anticastrista che lavorava nel Dipartimento di Stato di George W. Bush, e dall’ex presidente colombiano di destra Alvaro Uribe. All’hotel Fiesta Mexicana, Guaidó e i suoi compagni attivisti hanno ordito un piano per rovesciare Hugo Chavez generando il caos attraverso spasmi prolungati di violenza di strada.

Tre personaggi dell’industria petrolifera – Gustavo Tovar, Eligio Cedeño e Pedro Burelli – hanno a quanto pare pagato il conto di 52.000 dollari dell’albergo. Torrar è un autoproclamato “attivista per i diritti umani” e “intellettuale”, il cui fratello minore Reynaldo Tovar Arroyo è il rappresentante in Venezuela della società petrolifera messicana privata Petroquimica del Golfo, che ha un contratto con lo Stato venezuelano. Cedeño, da parte sua, è un fuggitivo uomo d’affari venezuelano che ha chiesto asilo negli Stati Uniti, e Pedro Burelli un ex dirigente della Jp Morgan ed ex direttore della compagnia petrolifera nazionale venezuelana Petroleum of Venezuela (Pdvsa). Lasciò la Pdvsa nel 1998 mentre Hugo Chavez prendeva il potere, e faceva parte del comitato consultivo del programma di leadership in America Latina della Georgetown University. Burelli ha insistito sul fatto che le e-mail che dettagliavano la sua partecipazione erano state inventate, e ha persino assunto un investigatore privato per dimostrarlo. L’investigatore dichiarò che i registri di Google mostravano che le e-mail che si presumeva fossero sue non vennero mai trasmesse.

Eppure oggi Burelli non fa mistero del suo desiderio di vedere deposto l’attuale presidente venezuelano, Nicolás Maduro, e anche di volerlo «trascinato per le strade e sodomizzato con una baionetta», come accaduto al capo libico Muhammar Gheddafi, così trattato dai miliziani sostenuti dalla Nato. La presunta trama di Fiesta Mexicana è confluita in un altro piano di destabilizzazione, rivelato in una serie di documenti mostrati dal governo venezuelano. Nel maggio 2014, Caracas ha rilasciato documenti che descrivono un complotto di omicidio contro il presidente Nicolás Maduro. Le fughe di notizie hanno identificato Maria Corina Machado, con sede a Miami, come leader del piano. Estremista con un debole per la retorica estrema, Machado ha funto da collegamento internazionale per l’opposizione, incontrando addirittura il presidente George W. Bush nel 2005. «Penso che sia tempo di raccogliere gli sforzi; fai le chiamate necessarie e ottieni finanziamenti per annientare Maduro e il resto andrà in pezzi», ha scritto Maria Corina Machado in una e-mail all’ex diplomatico venezuelano Diego Arria nel 2014.

In un’altra email, la Machado sosteneva che la trama violenta aveva la benedizione dell’ambasciatore statunitense in Colombia, Kevin Whitaker. «Ho già deciso, e questa lotta continuerà fino a quando questo regime non sarà rovesciato e consegneremo il risultato ai nostri amici nel mondo. Se sono andata a San Cristobal e mi sono esposta all’Oas, non ho paura di nulla. Kevin Whitaker ha già riconfermato il suo sostegno e ha sottolineato i nuovi passaggi. Abbiamo un libretto degli assegni più forte di quello del regime per rompere l’anello di sicurezza internazionale». Nel febbraio 2014, i manifestanti studenteschi che agivano come truppe d’assalto per l’oligarchia in esilio eressero barricate in tutto il paese

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/03/scuola-di-golpe-e-nato-in-serbia-loscuro-progetto-guaido/

 

 

 

 

 

CFA: tutte le bufale sulla “bufala”

Nicoletta Forcheri 24 gennaio 2019

Il CFA è una moneta estera ad uso e consumo dei traffici internazionali esattamente come l’euro è una moneta estera ad uso e consumo dei traffici internazionali, una moneta per grosse banche e multinazionali che vengono a fare shopping nell’area valutaria a loro immagine.

Il problema di queste monete è che IMPEDISCONO, nei fatti, l’esistenza di monete locali che sarebbero l’unico segno concreto e tangibile della libertà e dell’autodeterminazione dei popoli e l’unica garanzia del rispetto dei diritti dell’uomo. Non solo, ma in Africa, a riprova di questo fatto, in molti posti rurali non circola proprio nessuna moneta. Presto succederà da noi, o microchip o niente, nisba, muori di fame. E’ l’agenda digitale della Commissione europea, voluta anche tantissimo da Casaleggio: se così non fosse, perché non si esprimono chiaramente contro?

Questa bomba di verità – il CFA – andava distillata, e non lanciata, e maneggiata diplomaticamente in sede di negoziazione del deficit con l’UE, per sforare il 3% come hanno fatto Spagna, Portogallo e Francia per anni di seguito, e incentivare la crescita. In breve per non naufragare.

Tant’è, adesso che è scoppiata, nel frattempo ovunque i maggiordomi dei banchieri si apprestano a spegnerla, con argomenti del tutto faziosi, e fake, come:

Non c’è nessuna correlazione tra paesi che usano il CFA e il top 10 dei paesi di partenza dei migranti

E’ vero che ci sono anche i migranti di altri paesi, ma premetto un mistero: la lista ufficiale del Ministero dell’Interno è cambiata dal 23 gennaio, perché è stata aggiornata proprio il giorno 23, giorno in cui la polemica sul franco CFA impazzava, ma per fortuna avevo fatto uno screenshot di prima e dopo:

Prima del 23 gennaio 2019

Dal 23 gennaio 2019

 

Mettiamo pure che Salvini abbia avuto la capacità magica di cambiare la provenienza dei migranti, la differenza è palese: prima del 23 gennaio avevamo comunque un’ingente presenza di immigrati da Costa D’Avorio, Mali e Guinea, del gruppo CFA, oltre a Tunisia e Algeria, sotto la sfera di influenza francese, il resto è Iraq, in seguito alle scriteriate guerre del Golfo, Sudan, Pakistan, Nigeria ed Eritrea sotto sfera di influenza inglese (eh no, è da un po’ che non è più italiana!).

Ilaria Bifarini ha dato una risposta oggettiva al dato della prima tabella qua https://www.quotidiano.net/economia/franco-cfa-immigrazione-1.4405461facendo valere che sono stati tirati fuori i dati assoluti e non quelli relativi, poiché bisogna tener conto che il Mali ha meno di 20 milioni di abitanti, le 2 Guinee insieme 3 milioni. La Nigeria (non CFA) da sola fa 200 milioni di abitanti, più del totale dei 14 paesi CFA messi insieme, mentre la Costa d’Avorio (CFA) che era tra i primi 8 ha 24 milioni di abitanti.

Piuttosto, adesso che i dati ufficiali sono del tutto cambiati, ma anche gli sbarchi sono drasticamente diminuiti, c’è da sottolineare che questo non è il punto, il punto è che 13 dei 15 paesi della Françafrique sono considerati PMA, cioè Paesi meno avanzati, sempre che nel frattempo una manina non abbia cambiato i dati.

L’adesione al CFA è volontaria. I paesi escono quando vogliono.

Questa fa proprio ridere. L’adesione è forzosa, come è forzoso il CFA. Spintaneo è un’altra parola, e la presenza di basi militari francesi aiuta a controllare il burattino di turno, e se del caso a silularlo, eliminarlo, ucciderlo se avesse velleità di uscire. Alcuni esempi? Sankara, presidente del Burkina Faso, dopo il discorso contro il debito all’ONU, Sylvain Olympio del Togo che aveva deciso nel 1963 di stampare moneta,  Keito del Mali, nel 1966, Jean-Bédel Bokassa, Repubblica centroafricana, nel 1966, Maurice Yaméogo, Alto Volta futuro Burkina Faso, nel 1972, Hubert Maga, Benin, nel 1978 Aldo Moro, oops scusate, lui era italiano e aveva cominciato a stampare biglietti di Stato (derogando alla  gabbia del FMI).

Ma anche i cosiddetti “terroristi moderati” della Siria di Al Nousrah, affiliati e vicini ad Al Qaeda, per stessa ammissione dell’ex ministro Fabius, sono stati finanziati dalla Francia. O dobbiamo ricordare la guerra di indipendenza in Algeria voluta fortemente da personaggi come Jacques Soustelle, uno dei fautori del franco CFA? E poi i 14 terroristi ospitati dalla Francia dagli anni di piombo, ah si scusate quelli sono italiani.

Quando un paese vuole uscire, nonostante gli attentati e i presidenti fantoccio, la Francia gli presenta un conto talmente salato, per il pagamento delle infrastrutture “donate” dal gentile colonialismo da mettere in ginocchio il paese o da dissuaderlo completamente. Anche noi, se volessimo uscire dall’euro, ci paventano già la “fattura” salata del TARGET2, non un vero debito, ma una mera partita di giro a livello della BCE.

Sono usciti dal franco CFA il Libano (48), il Marocco, la Tunisia, l’Algeria tra il 56-58 e la Guinea Conakry  nel 58, in seguito al referendum permesso da Charles De Gaulle, ma l’élite colonialista a Parigi si arrabbiò così tanto da ordinare  alla sua amministrazione in loco di distruggere  tutti i simboli della colonizzazione francese, prima di andarsene: scuole, asili, edifici dell’amministrazione pubblica, macchine, libri, medicinali, strumenti dell’istituto di ricerca, trattori, cavalli, mucche e stock di cibo (cfr. Koutonin).

Nell’insieme i dirigenti africani sono tenuti in piedi da una pesantissima corruzione nota a tutti. Quando vivevo in Belgio, ogni mattina passavo di fronte alla villa palazzo di Mobutu, il dittatore del Congo belga, e vi assicuro che era impressionante!

Non c’è solo la Francia ma anche la Cina in Africa

“Fallacia del pupazzo”: se lo fa anche la Cina, vuol dire che la Francia non lo fa? La questione CFA, CFP ed euro stampati dalla Francia riguarda l’UE, e la sua stabilità. O devo ricordare che siamo in una Unione monetaria con partner che barano e dove ci dicono che è vietato stampare moneta a livello nazionale? Allora sapete che vi dico? Questa è l’occasione d’oro per emettere moneta fiscale. Tanto per cominciare.

E poi è la Francia che tradisce l’Europa firmando il patto francotedesco, e che impedisce che le nostre aziende comprino le sue mentre le sue comprano tutte le nostre (vedi Fincantieri), quel paese, che ci ha detto “lebbrosi” e “vomitevoli”, perché non accettiamo le incursioni marittime francotedesche

Continua qui: https://nicolettaforcheri.wordpress.com/2019/01/24/cfa-tutte-le-bufale-sulla-bufala/

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°