Il voto di scambio

A ridosso di ogni scadenza elettorale assistiamo all’indecoroso spettacolo del commercio di voti. È una ininterrotta tradizione quella dell’acquisto di pacchetti di voti da procacciatori che in gergo sono chiamati “gatti”. Nella nostra beneamata Italietta è antecedente alla cosiddetta narrazione della cosiddetta “Unità d’Italia” propagandata dai pasdaran della memoria post-togliattiana.

Nella ricerca ossessiva dei voti, i candidati si intrufolano in tutti i canali comunicativi attualmente in funzione sulla rete, nella carta stampata, nelle reti televisive dove viene scaricata una propaganda stantia costituita da una valanga di ovvietà trite e ritrite. Vengono organizzate le cene politiche, varie manifestazioni pseudo-culturali, dibattiti preconfezionati da strapagati scienziati della comunicazione nascosti dietro le quinte. Infine, si vedono in giro stuoli di netturbini e giardinieri che puliscono le strade.

Nelle tornate elettorali esiste una costante che è la eliminazione dell’efficacia del voto popolare espresso alle urne attraverso il trasformismo e l’assenza di vincolo di mandato. Il processo di vanificazione del voto nasce con l’articolo 67 della Costituzione italiana che recita così “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Inizialmente, il testo nasce per tutelare la libertà di opinione del parlamentare e per proteggerlo da atti censori delle segreterie del partito di appartenenza. Tale libertà si accompagna al divieto di mandato imperativo che consente ai parlamentari di cambiare idea e di saltare da un partito all’altro! Con parole più chiare, costoro non sono vincolati ai dettami del partito di appartenenza, né dal programma elettorale e né dal voto dei propri elettori!

L’articolo 67, nato per tutelare la libertà de esercizio del mandato parlamentare, si è trasformato in un mostro giuridico peggiorativo che ha finito per legittimare il traffico di voti comprati a pacchetti interi dai ridetti “gatti” incorrendo alla tagliola dell’articolo 416 del Codice penale, Associazione per delinquere, che recita “quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni”; dell’articolo 629 del Codice penale, estorsione, che dice “chiunque, mediante violenza (581) o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000; dell’articolo 416 bis Associazioni di tipo mafioso anche straniere, “l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione(3) del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

L’ignobile fenomeno del cambio di giacchetta ha registrato la sua punta massima nella Legislatura del 2013. Fu un anno di grande instabilità politica. A tale proposito, notevole e molto esemplificativa è stata la ricerca di Demopolis che scrive: “I cambi di gruppo nella XVI legislatura (2008-2013) son stati 261, poco più di 4 al mese. Un fenomeno che ha coinvolto 180 parlamentari (120 deputati e 60 senatori), il 19 per cento dell’Aula. Nella XVII legislatura il fenomeno è esploso, ci sono stati 566 cambi di gruppo, quasi 10 al mese. Circa un eletto su 3 ha cambiato casacca almeno una volta dalle politiche del 2013. Il fenomeno ha molte sfaccettature, da parlamentari particolarmente mobili (alcuni con persino 9 cambi di gruppo nel corso della stessa Legislatura), a quelli che passano da gruppi di maggioranza a gruppi di opposizione”.

Ad incrementare la pianificata erosione del valore delle scelte di voto dei cittadini contribuisce il colpo mortale delle numerose modifiche della legge elettorale, esclusivamente orientata ad annullare il sia pure minimo effetto delle elezioni. Mi riferisco ad una serie di emendamenti e di disegni di legge che sono ricordati anche per la loro curiosa intitolazione, in un finto latino, con la desinenza in ellum. L’idea della latinizzazione fu del giurista Giovanni Sartori. La prima legge elettorale latinizzata è stato il Mattarellum nel 1993. Hanno fatto seguito leggi elettorali divergenti fra loro quali Porcellum (2005) riconosciuto incostituzionale e ribattezzato Consultellum nel 2015 per la parte rimasta in piedi della legge. A marzo 2015 sopraggiunge l’Italicum chiamato così per nascondere i nomi degli autori. L’ultima legge elettorale del 2017 è stata chiamata Rosatellum. Nelle oscure e felpatissime stanze del potere, i mandarini stanno lavorando ad una ipotesi di legge elettorale chiamata Rosatellum 2.0.

Al disordine normativo si aggiunge lo sfacelo socio-politico del nostro martoriato Paese e la sua progressiva de-industrializzazione. Caos che alimenta altro caos. L’andamento spietato e cinico dei politici, che si muovono esclusivamente per i propri interessi, non ha mai smesso di manifestarsi. Accresce la distanza della classe politica con il “Paese reale” delle cui istanze sociali, economiche e umane non importa nulla! Instabilità sociale che si aggiunge al caos istituzionale.

La caduta di credibilità del politico di professione non è un fenomeno solamente italiano. In tutto il pianeta il peso decisionale delle classi politiche nazionali ha avuto un calo verticale, di pari passo con l’incremento di potere e influenza delle multinazionali industriali e finanziarie, il cui interesse è quello di eliminare il più rapidamente possibile qualsiasi barriera alla totale fluidità dei beni e dei servizi finanziari, con utilizzo di un numero decrescente di umani privi di individualità territoriale, culturale, economica e di diritti civili.

La satira politica ci ricorda tutto questo smottamento di poteri con molta efficacia, sia pure con linguaggi comunicativi differenti. Apre la carrellata il gustoso e amaro soliloquio di Carlo Verdone nei panni di un candidato politico che sciorina a martello una sequenza di frasi fatte intercalate ossessivamente dal mantra “”sempre teso”; il mantra “vota Antonio-vota Antonio La Trippa” di Totò. Proverbiale è la totale mancanza di coerenza dei politici che cambiano impostazioni, mano a mano che mutano i rapporti di forza. Tutto questo avviene senza tenere in alcun conto della valenza del voto popolare.

Meno male che abbiamo i tecnici-non-eletti-da-nessuno votati fino all’estremo alla salvazione della ex-Italia.

Meno male che abbiamo i generali in costume che lavorano alacremente nell’esclusivo interesse dei cittadini e della loro protezione.