Non intendo entrare sulla questione delle dichiarazioni (che non sono atto di magistero) di Bergoglio inerenti alla necessità di una legge sulle unioni civili per le persone dello stesso sesso, sulla base di un preteso loro diritto alla famiglia (anche se pare esservi stata una smentita, da intendersi nel senso che la famiglia di appartenenza è chiamata ad accoglierle e a non emarginarle).

La Rivelazione e la Tradizione della Chiesa Cattolica, sul punto, sono chiare e non si pongono in contrasto con la capacità dell’uomo di discernere e formulare giudizi. Pertanto, come insegnava il cardinale Newman (1801-1890), “brindo prima alla coscienza (rettamente formata) e poi al Papa”.

Parto da una premessa che mi pare doverosa. Da tomista ritengo che la legge positiva debba sempre tradurre i principi della legge naturale e, nel momento, in cui questa si pone in contrasto con essi è “ingiusta”, ossia contra ius.

Ora, la ragione è in grado di dimostrare come le unioni tra persone di eguale sesso siano contro natura. L’obiezione secondo la quale questa inclinazione è presente nel mondo naturale, oppure è congenita o diffusa, non indica che essa appartenga alla natura nel senso filosofico, ma solo a ciò che attiene alla sfera naturalistica. La natura, secondo il pensiero aristotelico-tomista, è un fascio di inclinazioni che tendono ad alcuni fini, i quali, beneficiando l’uomo, vengono chiamati beni: la salute, la libertà, la ricerca della Verità, etc… La natura, pertanto, è un ordo e tutto ciò che vi contrasta è un atto dis-ordinato: uccidere, rubare, ferire.

Chi, però, ci dice che non esista anche un’inclinazione verso una persona del medesimo sesso? Una inclinazione è naturale se soddisfa due criteri:

1) La proporzionalità. L’uomo possiede per natura gli strumenti funzionali a soddisfare il fine verso il quale sperimenta questa inclinazione. La vita, ad esempio, è un’inclinazione naturale perché tutto il nostro organismo è strutturato in modo da poter sopravvivere. Anche la generazione è un fine naturale, dal momento che possediamo gli strumenti adatti, ossia proporzionali, allo scopo. Se l’omosessualità fosse “in rerum natura”, la persona dovrebbe possedere i mezzi volti a realizzare il fine attrattivo. Tale attrazione, se completa, porta ai rapporti carnali, ma quelli tra persone del medesimo sesso non sono idonei a soddisfare un fine del rapporto sessuale: l’apertura alla vita. Si potrebbe replicare che questo vale anche per le coppie sterili, ma è un’argomentazione illogica. Per queste ultime, infatti, il rapporto è patologicamente infecondo, mentre per gli omosessuali è fisiologicamente infecondo.

2) La complementarietà. La natura implica la realizzazione di alcuni bisogni, ad esempio bere per placare la sete. L’uomo cerca, quindi, quei beni dei quali è privo per perfezionarsi. L’inclinazione naturale, dunque, presuppone una mancanza, una diversità, un qualcosa di etero (di differente) e non di uguale (omo). Gli stessi apparati genitali della donna e dell’uomo non sono forse finalizzati per incontrarsi?

Questo, beninteso, non può giustificare atti di violenza, di insulto, di denigrazione, in quanto saremmo in presenza di atteggiamenti che violano la dignità della persona umana. Per questo, al di là delle dichiarazioni di Jorge Mario Bergoglio, che in un senso o in un altro non mi interessano, un cattolico, benché peccatore e bisognoso della misericordia di Dio ogni istante della sua vita, non può che rimanere ancorato all’insegnamento della Chiesa, ben espresso e sintetizzato nel Catechismo maggiore di san Pio X: la pratica dell’omosessualità (sottolineo il termine “pratica”) è un peccato impuro contro natura ed uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. Rivelazione e Tradizione illuminano e ampliano l’orizzonte cui la ragione perviene.

FONTE: https://www.rivistapraesidium.it/2020/11/08/sulle-unioni-omosessuali-francesco-rilegga-san-tommaso-daquino/