RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 6 MAGGIO 2022

https://www.maurizioblondet.it/il-presidente-croato-annuncia-il-suo-veto-allingresso-nella-nato-della-finlandia/

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 6 MAGGIO 2022

A cu6ra di Manlio Lo Presti

Esergo

Sono una caterva le decisioni di importanza storica che sono state prese alla leggera.

M. FEYNMAN, Le battute memorabili di Feynman, Adelphi, 2017, pag. 288

 

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SOMMARIO

Rivolta dei generali italiani: “Questa non è la nostra guerra, fermiamo gli USA!”
ROTHSCHILD E I GUADAGNI DALLE GUERRE
ONU si unisce a Schwab per accelerare il Gran Reset
Parlamento Ue proroga il Green pass fino al 2023
Ucraina: la seconda guerra mondiale non è mai finita
Come va alla Russia? Il generale Delawarde fa un confronto con le forze NATO
PUNTO DI VISTA del tenente colonnello dell’aeronautica JACQUES GUILLEMAIN: situazione Russia-Ucraina
Zakharova denuncia la presenza di “mercenari israeliani” a fianco del battaglione neonazista Azov
La tirannia del merito. In Cattolica la lezione del filosofo Michael Sandel
La tirannia del merito
Brindisi, Lavrov, spie russe in TV: un dibattito senza regole
Chi sta fabbricando la crisi alimentare?
DRAGHI LIQUIDA LA PACE E IL SUPERBONUS 110: MEGLIO LE ELEMOSINE DI STATO DA 200 EURO
GEOPOLITICAMENTE CORRETTO
Il Presidente Croato annuncia il suo veto all’ingresso nella NATO della Finlandia
Putin si è scusato. Basterà?

 

 

IN EVIDENZA

Rivolta dei generali italiani: “Questa non è la nostra guerra, fermiamo gli USA!”

Dal VoxNews

Il generale Leonardo Tricarico, già Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare Italiana e attuale Presidente della Fondazione Icsa, ha detto del conflitto ucraino:

“Neutralità? Cedo che prima di mettere in atto le minacce da entrambe le parti per intensificare il conflitto nella NATO, dobbiamo garantire che questo conflitto finisca. E da quel punto di vista, non vedo nessuno coinvolto, anzi, vedo un intero gruppo di incendiari fare esattamente il contrario”.

Ha aggiunto:

“Innanzitutto il nostro Paese dovrebbe fare tutto, e non vedo che stia facendo tutto, perché il conflitto possa finire. Quando dico di fare tutto, intendo dire che siamo d’accordo con altri paesi europei, in particolare Francia e Germania, su una posizione comune nei confronti dei paesi guerrafondai guidati dagli Stati Uniti, affinché si fermino, affinché si uniscano Promuovere un cessate il fuoco e negoziati, anche a rischio di interrompere i rapporti con gli Usa”.

Secondo Alessandro Orsini, Direttore dell’Osservatorio per la Sicurezza Internazionale dell’Università Luiss:

«E quando scatterà l’articolo 5 del Trattato Atlantico, secondo il quale si attiva la solidarietà atlantica, allora si potrà discutere attenendosi ai concetti fondanti della Nato, che prevedono che tutto sia volontario, e a quel punto l’Italia potrà a dire se vuole essere solidale o restare in disparte” – ha concluso Tricarico – e potrà farlo dopo un ampio dibattito a livello di opinione pubblica e istituzionale. Non è una decisione facile da prendere istintivamente.

È un conflitto da cui dobbiamo cercare di stare fuori il più a lungo possibile”, ha affermato Marco Bertolini, tenente generale dell’Esercito italiano in pensione e ora capo del Dipartimento della Difesa dei Fratelli d’Italia:

“La guerra è iniziata con l’intervento della Russia non NATO nell’Ucraina non NATO: è uno scontro tra due Paesi europei che non hanno nulla a che fare con la Nato e nulla a che fare con l’Italia. Non credo che possiamo discutere di neutralità o altro”.

Orsini aveva affermato che l’Italia dovrebbe rimanere neutrale quando la Russia attacca un paese della NATO:

“Quando uno Stato membro della Nato è colpito, non c’è dubbio che l’articolo 5, che richiede l’intervento dell’Alleanza Atlantica, debba applicarsi”, ha risposto Bertolini.

Ma “, ha aggiunto il tenente generale in pensione, “finora la Russia non ha incontrato nessun Paese della NATO, dal momento che l’Ucraina non è membro dell’alleanza, e anche l’accenno di una tale possibilità non fa che aggravare gli animi e riduce le possibilità di riconciliazione, cosa che io considera essenziale. Ripeto: indispensabile” .

Quanto al fatto che la guerra condotta in questi mesi sia giusta o ingiusta, l’argomentazione di Bertolini è innegabile:

“Nel regno cattolico c’è sempre stato un dibattito sul fatto che la guerra sia giusta o meno. Ne hanno discusso molti teologi, sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino, e hanno detto quali sono i criteri per una guerra giusta o ingiusta. – ricorda il tenente generale che comandava le forze speciali. – Credo che una guerra per essere considerata giusta debba essere prima di tutto la “nostra” guerra. E questo no”.

Fonte: VoxNews

Gli analisti italiani in TV:

L’aria che tira, Giuliano Cazzola va fuori di testa: Putin lo voglio appeso per i piedi. Myrta Merlino disperata

“Putin lo voglio vedere appeso, ma è possibile che uno che manda i missili” in giro per l’Europa “viene trattato con i guanti bianchi? Deve essere sconfitto”. La conduttrice respinge i toni usati da Cazzola: “Putin deve essere sconfitto ma processato e giudicato” per gli eventuali crimini di guerra, argomenta Merlino. L’ex sindacalista, però, insiste e rincara la dose: “Ma se io lo vedo appeso per i piedi, ecco, non mi dispiace… Gente come lui deve fare una brutta fine. Mi piacerebbe vederlo appeso a testa in giù a Piazzale Loreto, ma è difficile da trasportare…”. La Merlino non a più a che santo votarsi: “Non volevo fare mica una puntata de La storia siamo noi…”.

Cazzola, ‘ex sindacalista ed esponente di +Europa lunedì 31 agosto a Stasera Italia, il programma condotto da Veronica Gentili su rete 4, nell’agosto di un anno fa voleva   che la polizia passasse per le armi i no-vax.

No vax, Cazzola invoca le armi: “Serve il piombo”

Si lrgga anche Meyssan, dove illustra la parte e le azioni  di Edward Luttwak :

Con la guerra in Ucraina Washington spera di riaffermare la propria superpotenza

Non si tratta più di difendere i banderisti contro la Russia, ma di ripristinare l’iperpotenza statunitense e il mondo unipolare, indebolendo gli uni e gli altri, Unione Europea compresa.

Thierry Meyssan

[….]

I banderisti sono stati innanzitutto raggiunti in Ucraina dai loro ex alleati del Blocco Antisovietico delle Nazioni (ABN) e della Lega Anticomunista Mondiale (WACL) [1]; fra loro i 3.000 Lupi Grigi turchi.

L’ABN e la WACL, sebbene non completamente scomparse, sono state sostituite dall’Ordine Segreto Centuria, ma i vincoli ideologici antirussi e la fratellanza consolidata durante le operazioni segrete della guerra fredda sono rimasti vitali. Anche durante la guerra contro la Siria erano evidenti i legami tra jihadisti di diverse nazionalità, nati e rafforzati durante le missioni, sotto il comando della CIA, in Afghanistan, Bosnia-Erzegovina, Cecenia e in Kosovo.

Edward Luttwak

La guerra sembra destinata a durare e ad allargarsi. Continua perciò la mobilitazione di queste reti di combattenti. Per ora non è segnalata la presenza di asiatici, sebbene Chiang Kai-shek fosse intervenuto con un rilevante aiuto a favore della WACL, arrivando persino a installare a Taiwan la Political Warfare Cadres Academy del banderista ucraino Iaroslav Stetsko, una scuola equivalente al Psycjhological Warfare Center di Fort Bragg (USA) e alla School of Americas di Panama, corsi di tortura inclusi. Il governatore di Mykolaiv, di origini koryo-saram, Vitaly Kim, potrebbe fungere da collegamento con i successori del dittatore sudcoreano Park Chung-hee.

La WACL fu profondamente trasformata nel 1983, su suggerimento dello straussiano Edward Luttwak [2]. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica cambiò denominazione in Lega Mondiale per la Libertà e la Democrazia (WLFD); il suo ultimo congresso si è svolto il 23 e il 24 gennaio 2022 a Taiwan, presieduto da Yao Eng-chi, alto quadro del Kuomintang. Alla WLFD è stato riconosciuto status consultivo all’Onu e assegnato un ufficio nei locali dell’Organizzazione. Continua a ricevere da Taipei sovvenzioni annuali di circa un milione di dollari. Le sue attività sono coperte dal segreto militare del governo di Taiwan.

[….]

Verso lo smantellamento dell’Ucraina

Al momento, le operazioni militari russe sono strettamente limitate alla distruzione delle enormi infrastrutture di difesa ucraine, di cui gli Occidentali non hanno la minima idea. La fase mobile della guerra non è ancora cominciata. Dopo mesi di bombardamenti, dovrebbe iniziare in estate ed essere molto rapida. L’esercito russo offrirà alle popolazioni irretite dai banderisti la possibilità di spostarsi per radunarsi in quello che resterà dell’Ucraina.

La guerra ha risvegliato appetiti irredentisti. La Polonia, che il mese scorso aveva accarezzato l’opportunità di annettere l’enclave di Kaliningrad, ora sta prendendo in considerazione la possibilità di occupare la parte occidentale dell’Ucraina. Nel periodo fra le due guerre, con lo smembramento dell’impero austro-ungarico, la Polonia aveva già occupato questa regione, la Galizia. La strategia sarebbe di dispiegare soldati per il “mantenimento della pace” e così presidiare la zona. Tuttavia la guerra fra Polonia e Ucraina ha sedimentato in entrambi i popoli spiacevoli ricordi ed è proprio in questo contesto che i banderisti si sono formati. Peraltro, il ministro dell’Interno polacco Bronislaw Pieracki fu fatto assassinare da Stepan Bandera. I banderisti affermano di aver voluto vendicare in questo modo la repressione di cui fu vittima il loro partito, ma la verità è che Bandera all’epoca era già membro della Gestapo nazista e preparava l’invasione della Polonia da parte del III Reich.
Per il momento la Romania tace però posiziona le proprie truppe. Quando la guerra si estenderà alla Transnistria, Bucarest non si farà scrupolo di rimettere in causa l’esistenza della Transnistria e della Moldavia, rumene nel XX secolo. L’Ungheria ambisce alla Transcarpazia ucraina, che ha perso con la caduta dell’impero austro-ungarico. La popolazione maggioritariamente ungherese di questa regione è stata discriminata dai governi ucraini susseguitisi dalla “Rivoluzione della Dignità” (il colpo di Stato del 2014). Al pari del russo, anche l’uso della lingua ungherese è stato vietato. Al momento le truppe russe non hanno aggredito la Transcarpazia, regione in cui vige ancora la pace e ove trovano rifugio gli ucraini dell’opposizione interna. La Slovacchia ha adocchiato solo qualche villaggio.

Quanto alla Russia, il cui fine inizialmente era il riconoscimento dell’indipendenza della Crimea (già parte della Federazione di Russia) e delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk, il 24 marzo ha annunciato di voler annettere tutto il sud dell’Ucraina per collegare Transnistria, Crimea e Donbass.

Portato a termine questo smembramento polacco, rumeno, magiaro e russo, l’Ucraina dovrebbe perdere metà del proprio territorio ed essere ricondotta a congrue dimensioni.

Secondo il partito anti-Nato turco, 50 ufficiali francesi sarebbero intrappolati nell’acciaieria Azovstal di Mariupol. Sarebbero stati inviati in Ucraina non dallo stato-maggiore interarmi, ma dallo stato-maggiore dell’Eliseo per addestrare il battaglione banderista Azov a usare armi francesi.

Un raro tentativo che ha prodotto un risultato concreto

Il 26 aprile il segretario generale dell’Onu, António Guterres, si è recato al Cremlino con due proposte:
L’istituzione di una commissione congiunta Onu-Russia-Ucraina per il coordinamento degli aiuti umanitari;
L’istituzione, con la collaborazione del personale dell’Onu e della Croce Rossa Internazionale, di un corridoio umanitario per consentire ai civili che lo vogliono di uscire dall’acciaieria di Azovstal.

Fino a oggi gli ucraini hanno proposto corridoi umanitari verso la Moldavia e la Polonia, mentre i russi ne hanno proposti verso la Bielorussia e la Russia, consapevoli che i banderisti vi sarebbero stati arrestati e giudicati. Non è stato trovato alcun accordhttps://www.voltairenet.org/article216724.htmlo.

Non si sa se nell’acciaieria Azovstal di Mariupol ci siano rifugiati civili. L’esercito russo ha creato un corridoio d’uscita, utilizzato da 1.300 soldati per arrendersi, ma non da civili. Prigionieri di guerra ucraini affermano che nell’acciaieria vi sono civili usati dai banderisti come scudi umani; Kiev smentisce. Un esponente turco, favorevole a un’alleanza della Turchia con la Cina e la Russia invece che con gli Stati Uniti, Doğu Perinçek, sostiene che all’interno dell’acciaieria vi sono intrappolati 50 ufficiali francesi. La notizia non può però essere verificata. La Russia ha esortato l’Onu ad accertare direttamente le condizioni di detenzione dei 1.300 prigionieri ucraini, ma l’Onu non ha accolto l’invito. Mosca voleva dimostrare le condizioni di detenzione per ottenerne di analoghe per i soldati russi prigionieri degli ucraini. Circolano molti video di maltrattamenti e torture loro inflitti.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/rivolta-dei-generali-italiani-questa-non-e-la-nostra-guerra-fermiamo-gli-usa/

 

ROTHSCHILD E I GUADAGNI DALLE GUERRE
Lisa Stanton 3 05 2022Nel 1773 Mayer Amschel Rothschild riunì 12 banchieri per parlare dei risultati ottenuti con la rivoluzione inglese (1640-1660) e presentare il suo piano secondo il quale dalla futura rivoluzione francese avrebbero potuto guadagnare molto di più.
il piano era presentato in vari punti:
1) Usare la violenza e il terrorismo, piuttosto che le discussioni accademiche.
2. Predicare il “Liberalismo” per usurpare il potere politico.
3. Avviare la lotta di classe.
4. I politici devono essere astuti e ingannevoli, qualsiasi codice morale lascia un politico vulnerabile.
5. Smantellare le esistenti forze dell’ordine e i regolamenti, ricostruendo tutte le istituzioni esistenti.
6. Rimanere invisibili fino al momento in cui si è acquisita una forza tale che nessun’altra forza o astuzia possa più minarla.
7. Usare la Psicologia di massa per controllare le folle. “Senza il dispotismo assoluto non si può governare in modo efficiente.”
8. Sostenere l’uso di liquori, droga, corruzione morale e ogni forma di vizio, utilizzati sistematicamente da “agenti” per corrompere la gioventù.
9. Impadronirsi delle proprietà con ogni mezzo per assicurarsi sottomissione e sovranità.
10. Fomentare le guerre e controllare le conferenze di pace in modo che nessuno dei combattenti guadagni territorio, mettendo loro in uno stato di debito ulteriore e quindi in nostro potere.
11. Scegliere i candidati alle cariche pubbliche tra chi sarà “servile e obbediente ai nostri comandi, in modo da poter essere facilmente utilizzabile come pedina nel nostro gioco”.
12. Utilizzare la stampa per la propaganda al fine di controllare tutti i punti di informazioni al pubblico pur rimanendo nell’ombra e liberi da colpa.
13. Far si che le masse credano di essere state preda di criminali, quindi ripristinare l’ordine e apparire come salvatori.
14. Creare panico finanziario. La miseria viene usata per controllare e soggiogare le masse.
15. Infiltrare la massoneria per sfruttare le logge del Grande Oriente come mantello alla vera natura del loro lavoro nella filantropia. Diffondere la loro ideologia ateo-materialista tra i “goyim” (i gentili).
16. Uso sistematico di inganno, frasi altisonanti e slogan popolari. “Il contrario di quanto è stato promesso si può fare sempre dopo…Questo è senza conseguenze”.
17. Un Regno del Terrore è il modo più economico per portare rapidamente sottomissione.
18. Mascherarsi da politici, consulenti finanziari ed economici per svolgere il nostro mandato con la diplomazia e senza timore di esporre “il potere segreto dietro gli affari nazionali e internazionali.”
19. L’obiettivo è il supremo governo mondiale. Sarà necessario stabilire grandi monopoli, quindi, anche la più grande fortuna dei Goyim dipenderà da noi a tal punto che essi andranno a fondo insieme al credito dei loro governi il giorno dopo la grande bancarotta politica.
20. Usare la guerra economica, derubare i “Goyim” delle loro proprietà terriere e delle industrie con una combinazione di alte tasse e concorrenza sleale.
21. Far si che il “Goyim” distrugga ognuno degli altri; così nel mondo sarà lasciato solo il proletariato, con pochi milionari devoti alla nostra causa e polizia e soldati sufficienti per proteggere i loro interessi.
22. Istupidire e confondere i membri più giovani della società, insegnando loro teorie e principi che sappiamo essere falsi.
23. Piegare le leggi nazionali e internazionali all’interno di una contraddizione che innanzi tutto maschera la legge e dopo la nasconde del tutto. Sostituire l’arbitrato alla legge.
Qualche anno dopo Marat disse: “Che ci guadagneremo a distruggere l’aristocrazia dei nobili per sostituirla con l’aristocrazia dei ricchi?” Poi fu ucciso (da essi) e nei 200 anni successivi tutte le altre voci critiche che si alzarono: così siamo giunti al 2022 ed alla terza guerra mondiale!FONTE: https://www.facebook.com/lisa.stanton111/posts/5363540000330899

 

ONU si unisce a Schwab per accelerare il Gran Reset

L’ONU annuncia che Klaus Schwab del WEF e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres hanno firmato un accordo di partnership strategica e accelerazione dell’Agenda 2030  [“Non possiederai nulla e sarai felice”]

Questa è davvero una brutta notizia, sono il vero nemico del mondo e dell’umanità.

https://twitter.com/DagnyTaggart369/status/1521940512248320001

 

Soros, Clinton e Obama e i governi EU finanziano dozzine di gruppi anti-Musk che chiedono di bloccarlo mol.im/a/10780583 via

@MailOnline

 

sionisti in Israele hanno calpestato la bandiera russa mentre festeggiavano con la bandiera dell’Ucraina.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/onu-si-unisce-a-schwab-per-accelerare-il-gran-reset/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Ucraina: la seconda guerra mondiale non è mai finita

La propaganda della NATO tenta di ridurre al minimo la presenza dei neonazisti in Ucraina confrontandola con quella di piccoli gruppi equivalenti nel resto dell’Occidente. La verità è molto diversa. I banderisti hanno gradualmente preso il potere in questo paese negli ultimi trent’anni, riscrivendo la storia, addestrando i giovani e cambiando uno per uno tutti i simboli dello stato. Hanno indottrinato un terzo della popolazione e rappresentano un buon terzo delle forze armate. Il loro obiettivo è distruggere la Russia, cosa che tentano di fare con l’aiuto degli Straussiani.

Mentre lavorava per la CIA nel 1950, il criminale contro l’umanità Stepan Bandera scrisse: “La linea generale della nostra politica di liberazione si basa sul fatto che una lotta per uno Stato ucraino indipendente è una lotta contro la Russia, non solo contro il bolscevismo ma contro qualsiasi imperialismo espansionista russo che è stato tipico del popolo russo. Se viene sostituito da un’altra forma di imperialismo russo, dispiegherà prima tutte le sue energie contro l’Ucraina indipendente per renderla schiava. Il popolo russo è obbligato a sostenere questo imperialismo. Farà di tutto per mantenere l’Ucraina in schiavitù. Questo è chiaramente dimostrato nel pensiero politico e nei sentimenti delle masse russe, di tutti i circoli russi, comunisti e antibolscevichi”.

In un articolo precedente, ho mostrato come e perché l’MI6 e la CIA si sono alleati con i Banderi ucraini durante la Guerra Fredda. Questi uomini e queste donne, che avrebbero dovuto essere processati a Norimberga, erano diventati soldati nell’ombra per i vincitori. Potrebbero continuare la loro ossessione anti-russa al loro servizio.

A seguito delle numerose reazioni dei miei lettori, vorrei spiegare qui come hanno preso possesso dell’attuale Ucraina, poi hanno preso il controllo e hanno continuato da soli la seconda guerra mondiale in diversi paesi. Soprattutto, vorrei mostrare che nel 2000 queste furie sono passate dallo status di ausiliari a quello di truppe d’assalto statunitensi. Fecero un patto con gli Straussiani contro la Russia. È stato questo patto che ha portato alla guerra in corso.

BANDERISTI INTERNI ED ESTERNI

Quando l’Unione Sovietica vacillò, i leader banderisti a casa emersero dall’ombra ed entrarono nell’arena legale. Alcuni erano sopravvissuti alla seconda guerra mondiale e al periodo di difficoltà che ne seguì (1945-50). Erano stati graziati da Nikita Khrushchev (un sovietico ucraino), nel 1954, ed erano stati recuperati dal sistema. Erano entrati nell’amministrazione comunista. Avevano, tuttavia, mantenuto legami tra loro e con i banderisti dall’esterno, quelli del Blocco delle nazioni antibolscevico (ABN) e della Lega anticomunista mondiale  [ 1 ] (WACL)  [ 2 ] .

Mentre l’URSS vacillava, un pugno di studenti, alcuni dei quali banderisti, organizzarono un movimento nell’ottobre 1990 in piazza Maidan (allora chiamata “Piazza della Rivoluzione d’Ottobre”) contro ogni forma di associazione con la Russia. Questa è chiamata la “rivoluzione di granito”; un periodo di grande confusione intellettuale. A quel tempo, molti ucraini non vedevano i russi come loro in cerca di libertà dal regime sovietico. Molti credevano che l’URSS fosse una forma di imperialismo russo e che i russi avessero cercato di distruggere il loro paese.

Quando l’Ucraina ha proclamato la sua indipendenza il 24 agosto 1991, i banderisti in generale si sono mostrati in pieno giorno. Non si presentavano come ex collaboratori dei nazisti che avevano perpetrato crimini contro l’umanità, ma come “nazionalisti” e militanti antisovietici. Ricoprendo incarichi importanti, riuscirono a far firmare ai giovani coscritti un documento in cui si impegnavano a combattere la Russia in caso di conflitto con lei. Hanno anche potuto organizzare, nel 1992, una manifestazione pubblica per le strade della capitale con 7.000 persone per celebrare il 70° anniversario dell’esercito banderista con la partecipazione di banderisti da fuori che erano tornati nel paese.

Slava Stetsko, la vedova dell’ex primo ministro imposto dai nazisti Yaroslav Stetsko, apre la sessione della Verkhovna Rada. Ha concluso il suo intervento con il grido di battaglia dei banderisti: “Gloria all’Ucraina! “.
Fonte: NBA

LA RIORGANIZZAZIONE DEI BANDERISTI (1990-98)

I banderisti interni (OUN-B) si divisero all’interno del Partito Nazionalista Sociale d’Ucraina (SNPU), poi Svoboda (Libertà), mentre i più stagionati crearono l’ Assemblea nazionale ucraina e la milizia dell’Autodifesa popolare ucraina .

I paramilitari di Andriy Biletsky (il “führer bianco”) si separarono amministrativamente da Svoboda per creare la propria organizzazione. Ma Svoboda non è cambiato. La piattaforma del partito ha continuato a sostenere che intendeva “liquidare fisicamente tutta l’intellighenzia di lingua russa e uccidere rapidamente tutti i fobi ucraini senza processo”. Il partito iniziò a creare file di filo-russi, filo-rumeni, filo-ungheresi e filo-tartari perché “questo gregge dovrebbe essere ridotto di circa 5-6 milioni di individui”.

La milizia di autodifesa popolare ucraina era guidata da un banderista esterno, Yuriy Shukhevych, figlio di un famigerato criminale contro l’umanità. Il suo gruppo si è impegnato con la CIA in guerre contro i russi, spesso al fianco degli islamisti. La loro presenza è stata contestata con i georgiani in Abkhazia (1998), ma attestata con i romeni in Transnistria (1992), con la legione araba di Osama bin Laden in Jugoslavia (1992-95) con gli azeri nel Nagorno-Karabakh (fino al 1994) e soprattutto con gli islamisti durante la prima guerra in Cecenia.

Diversi combattenti sono stati identificati dall’accusa russa, tra cui Igor Mazur, Valeriy Bobrovich, Dmytro Korchynsky, Andriy Tyahni-bok (fratello di Oleh Tyahnibok), Dmytro Yarosh, Vladimir Ma-malyga e Olexandr Muzychko. Erano caratterizzati sia dal loro valore in combattimento che dalla loro crudeltà. Olexandr Muzychko è stato elevato al titolo di “Eroe della nazione” dall’emirato islamico di Ichkeria (Cecenia) per “aver rotto le dita degli ufficiali [russi], cavandogli gli occhi, tirato fuori le unghie e i denti e aver abbattuto altri “. Divenne il capo della guardia personale dell’emiro Dzhokhar Dudayev.

Pochi mesi dopo la sua elezione, il 6 maggio 1995, Leonid Kuchma, il secondo presidente della nuova Ucraina, si recò a Monaco per incontrare Slava Stetsko e la squadra NBA. Ha così potuto beneficiare del sostegno discreto degli Stati Uniti per liberalizzare il Paese.
Fonte: NBA

Il Blocco delle Nazioni antibolscevico (ABN), il cui quartier generale è rimasto a Monaco nei locali della CIA, ha aperto uffici a Kiev.

Nel 1994, la presidentessa dell’NBA e vedova del primo ministro nazista Yaroslav Stetsko, Slava Stetsko, si presentò alle elezioni parlamentari. È stata eletta (sebbene non avesse la nazionalità ucraina), poi rieletta nel 1998 e nel 2002. Decana della Verkhovna Rada, ha presieduto le sessioni di apertura della sessione il 19 marzo 1998 e il 14 maggio 2002. In queste occasioni , ha tenuto discorsi tra gli applausi dei suoi coetanei (ma senza la presenza dei deputati comunisti che hanno lasciato l’aula). Ha elogiato Stepan Bandera e Yaroslav Stetsko e ha concluso con il loro grido di battaglia: “Gloria all’Ucraina!” “. Morì all’età di 82 anni, il 12 marzo 2003, a Monaco di Baviera.

L’ASSASSINIO DI GEORGIY GONGADZE (2000)

Durante la sua presidenza, Leonid Kuchma ha privatizzato tutto ciò che poteva. La ricchezza era concentrata nelle mani di tredici giocatori, gli oligarchi, raggruppati in tre clan (Donetsk, Dnipropetrovsk e kyiv). Questi presto possedevano l’intero paese e avevano più potere dei politici. Questo sistema, che persiste ancora, priva gli ucraini della loro sovranità e confonde la questione.

Nel 2000, il giornalista Georgiy Gongadze, che era andato a combattere in Georgia con banderisti, poi aveva indagato sulla corruzione del presidente Kuchma e del suo entourage, è scomparso. Il suo corpo è stato poi ritrovato, decapitato e spruzzato di diossina per renderne difficile l’identificazione. Fu allora che l’oratore della Verkhovna Rada fece trapelare le registrazioni di una conversazione del presidente Kuchma con il suo capo di stato maggiore e ministro degli interni su come mettere a tacere Georgiy Gongadze. La fine della presidenza Kuchma è stata patetica.

Alla fine del 2000, l’ambasciatore americano Lev E. Dobriansky (leader dei banderisti negli USA) ha organizzato a Washington una conferenza bipartisan sulle relazioni bilaterali USA-Ucraina. Vi sono stati tenuti 70 discorsi e vi si sono incontrati 12 gruppi di lavoro. La delegazione repubblicana era guidata da Straussian Paul Wolfowitz mentre la delegazione democratica era guidata da Zbignew Brzezinki.
Wolfowitz parlò per primo. Dopo aver salutato la liquidazione delle armi nucleari, la chiusura della centrale di Chernobyl e l’adesione al Partenariato per la pace della NATO, ha annunciato il rilascio di un prestito del FMI di 2,6 milioni di dollari e le pressioni di Washington affinché l’UE accetti l’Ucraina come membro. Soprattutto, ha sottolineato che la Russia è ancora una potenza imperialista, come dimostra la guerra in Cecenia a cui hanno preso parte i banderisti. Era quindi necessario sostenerli contro la Russia. Brzezinski, nel frattempo, ha paragonato l’Ucraina alla Russia per trovarla più democratica e meno corrotta. Ha sostenuto a lungo che non fosse più considerato uno stato post-sovietico, ma europeo, e che potesse entrare nel club chiuso dell’Unione Europea.
L’inevitabile era stato pronunciato: i banderisti, ausiliari durante la Guerra Fredda, erano ormai riconosciuti come alleati degli Stati Uniti nel mondo unipolare in costruzione.

LA RIVOLUZIONE ARANCIONE (2004)

La successione presidenziale non dovrebbe modificare gli equilibri tra i clan. Kuchma (clan Dnipropetrovsk) finisce per ripiegare sulla candidatura del suo primo ministro Viktor Yanukovich (clan Donestk). L’elezione gli fu favorevole, ma provocò una vivace disputa sostenuta dal clan di Kiev (sostenuto dal National Endowment for Democracy – NED  [ 3 ] ). La consultazione è stata annullata. Al secondo scrutinio ha vinto Viktor Yushchenko. Questa è chiamata la “rivoluzione arancione”.

Tuttavia, la nuova squadra si è rapidamente fratturata dietro Viktor Yushchenko da un lato e Yulia Tymoshenko dall’altro. I Banderisti hanno approfittato di questa scissione interna nell’oligarchia per avanzare un po’ più in là le loro pedine in entrambi i campi.

Bis repetita: Slava Stetsko apre ancora una volta la sessione della Verkhovna Rada, nel 2002. “Gloria all’Ucraina! “.
Fonte: NBA

L’8 maggio 2007, a Ternopol, su iniziativa della CIA, i banderisti dell’Autodifesa popolare ucraina e gli islamisti hanno creato un “Fronte antimperialista” antirusso sotto la presidenza congiunta di Dmytro Yarosh e dell’emiro di Ichkeria, Dokka Umarov. Hanno partecipato organizzazioni provenienti da Lituania, Polonia, Ucraina e Russia, inclusi separatisti islamisti di Crimea, Adygea, Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balcaria, Karachayevo-Cherkessia, Ossezia, Cecenia. Non potendo andarci a causa delle sanzioni internazionali, Dokka Umarov ha fatto leggere lì il suo contributo. Il Ministero dell’Oriente di Alfred Rosenberg e l’ABN di Stepan Bandera sono rinati in un’altra forma sotto il riparo dello stato ucraino.

La divisione del clan di kyiv ha beneficiato, nel 2010, dell’elezione di Viktor Yanukovich. Questo sostituiva la sua famiglia, che collocava nei principali incarichi dello Stato, nel sistema dei clan. Divenne più importante mantenere buoni rapporti con uno dei suoi parenti che rappresentare questo o quell’oligarca. A poco a poco tutta la vita politica ed economica è stata controllata dal presidente Yanukovich attraverso la sua formazione politica, il Partito delle Regioni. Cinque oligarchi sono stati esclusi dal sistema. Si sono affrettati ad allearsi con gli Straussiani ei Banderisti per riprendere il potere.

Tuttavia, durante questo periodo, la propaganda continuò e gli ucraini si abituarono alla presenza dei banderisti, ora finanziati dall’oligarca ebreo Ihor Kolomoyskyi. Nel 2011 sono riusciti ad approvare una legge che vietava la commemorazione della fine della seconda guerra mondiale perché vinta dai sovietici e persa dai banderisti. Ma il presidente Viktor Yanukovich ha rifiutato di promulgarlo. Furiosi, i banderisti attaccarono il corteo dei veterani dell’Armata Rossa, picchiando vecchi. Due anni dopo, le città di Lviv e Ivano-Frankivsk abolirono le cerimonie della vittoria e bandirono tutte le manifestazioni di gioia. Il presidente Viktor Yushchenko, poco prima della fine del suo mandato, ha elevato Stepan Bandera al titolo di “Eroe della Nazione”.

Quando il Partito Comunista fu sorpreso di vedere un ebreo che finanziava i neonazisti, il Comitato Ebraico dell’Ucraina rispose che stava trasmettendo una nuova versione dell’affermazione antisemita secondo cui furono gli ebrei a portare al potere i bolscevichi. gli ebrei che iniziarono la seconda guerra mondiale.

Durante la Dignity Revolution (2014) il misterioso leader del settore destro (settore Pravy), Dmitryo Yarosh, viene presentato alla folla, piazza Maidan, kyiv. Come possiamo vedere, gli ucraini gli danno un caloroso benvenuto e riprendono i suoi slogan. La sequenza si conclude con il grido di battaglia dei banderisti: “Gloria all’Ucraina! (“Slava Ucraina!”).
Mentre la Rivoluzione della dignità non è ancora finita, i Banderi organizzano una marcia con le fiaccole a Kiev in onore del criminale contro l’umanità Stepan Bandera. Non è più un piccolo gruppo.

LA RIVOLUZIONE DELLA DIGNITÀ, NOTA COME EUROMAIDAN (2014)

La Rivoluzione della Dignità, nel 2014, è stata organizzata dalla Straussian Victoria Nuland con l’aiuto di esperti banderisti sui campi di battaglia. Questi eventi sono noti a tutti, non tornerò su di essi. Questa volta fu un oligarca, Petro Poroshenko, a diventare presidente. I posti ufficiali furono occupati dai banderisti. Un terzo dei ministri proveniva da Slovoda o dalla milizia di autodifesa del popolo ucraino. Andriy Parubiy divenne segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale e Dmytro Yarosh il suo vice. Il nuovo regime bandì immediatamente la lingua russa, parlata in casa da oltre il 40% della popolazione.

Rifiutando questo ritorno alla storia, la Crimea votò per la sua indipendenza e si unì alla Federazione Russa, mentre le oblast’ del Donbass (Donetsk e Lugansk) si dichiararono autonome.

Il presidente ucraino Petro Poroshenko non intende attuare gli accordi di Minsk. Intende tagliare l’accesso ai servizi pubblici ai suoi compatrioti nel Donbass fintanto che gli resisteranno.

Nel marzo 2014, l’Assemblea nazionale ucraina e la milizia di autodifesa popolare ucraina hanno cambiato il loro nome in Settore destro sotto l’autorità di Dmytro Yarosh e Andriy Biletskiy.

Nell’aprile 2015, la Verkhovna Rada ha dichiarato i membri dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) “combattenti per l’indipendenza”. La legge è stata promulgata nel dicembre 2018 dal presidente Prorchenko. Le ex Waffen SS avevano retrospettivamente diritto alla pensione e ogni sorta di vantaggio.

I programmi scolastici vengono modificati in modo che i bambini imparino la nuova storia: la seconda guerra mondiale non è finita. Presto si concluderà con la sconfitta della Russia e il trionfo dell’Ucraina.

I banderisti hanno imposto la loro legge quasi ovunque alla maniera delle Sezioni d’assalto naziste (SA) degli anni ’30 del 1930. Sono entrati nei tribunali per minacciare i giudici, nelle amministrazioni per costringere i sindaci ei governatori. la loro estorsione più famosa è l’incendio della casa sindacale di Odessa  [ 4 ] .

Nessuno si è preoccupato eccessivamente quando Irina Farion, parlamentare di Svoboda, ha dichiarato che “abbiamo solo un modo: distruggere Mosca. Questo è ciò per cui viviamo, ecco perché siamo nati: distruggere Mosca. Distruggere non solo i moscoviti nelle nostre terre, ma questo buco nero della sicurezza europea che deve essere cancellato dalla mappa del mondo”,

Il 24 ottobre 2016, il presidente Poroshenko ha cambiato lo stemma dei servizi segreti. Ora è un gufo che impugna una spada puntata contro la Russia con il motto “I saggi domineranno le stelle”.

L’ELEZIONE DI VOLODYMYR ZELENSKY (2019-)

L’oligarca ebreo e sponsor dei banderisti, Ihor Kolomoyskyi, ha lanciato l’umorista Volodymyr Zelensky in politica. Trasmise la sua serie televisiva Servant of the People , poi organizzò per lui un partito politico e infine lo presentò alle elezioni presidenziali.

Tenendo un corso in comunicazione politica, Alexej Arystowitsch, consigliere per la comunicazione strategica del presidente Zelenski, chiede “Come imbrogliare? Chi può definire i principi? “, notando poi che le risposte non arrivano, dichiara: “Bisogna dire esattamente il contrario. Se sei forte, dimostra di essere debole. Se sei vicino, mostra che sei lontano. Se sei lontano, mostra che sei vicino. È necessario fare l’opposto della situazione reale. Nota che questa non è una domanda banale. Come imbrogliare esattamente? Quale direzione scegliere per imbrogliare per imbrogliare correttamente e con successo. Ingannare, per dirla scientificamente”

Il programma di Zelenski si compone di sei punti:
Decentralizzare il potere secondo gli standard europei;
Trasformare le pubbliche amministrazioni in prefetture di stampo europeo;
Innalzamento del tenore di vita degli ucraini al di sopra della media europea;
Adottare le leggi necessarie per l’attuazione di un accordo di associazione tra l’Ucraina e l’UE;
Sviluppare la cooperazione con l’UE e la NATO;
Riformare le forze armate secondo gli standard della NATO.

Gli ucraini che hanno apprezzato la crociata di questo giovane artista contro la corruzione, sono stati sedotti dal suo sogno europeo e non hanno capito cosa significasse la sua ammirazione per la NATO. Lo eleggono con il 73% dei voti il ​​21 aprile 2019.

Nel marzo 2021, la città di Ternopol, l’allora Oblast’ di Leopoli, ha ribattezzato i propri stadi in onore del generale Roman Shukhevych (il padre del fondatore della milizia di autodifesa popolare ucraina) e Stepan Bandera.

Il 1° luglio 2021, il presidente Volodymyr Zelensky ha promulgato la legge sui popoli indigeni dell’Ucraina. Per impostazione predefinita, i cittadini di origine russa non possono più rivendicare i diritti umani in tribunale

Il 2 novembre 2021, Dmitryo Yarosh è diventato consigliere del comandante in capo degli eserciti ucraini, il generale Valerii Zaluzhnyi. Tutte le organizzazioni paramilitari banderistiche, cioè 102.000 uomini, sono incorporate nelle forze armate ucraine. Viene elaborato un piano per attaccare la Crimea e il Donbass. La NATO, che dispone già di istruttori militari in loco, spedisce armi.

Il 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha colto di sorpresa i banderisti. Attacca l’Ucraina per “denazificare il Paese”.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article216610.html

 

 

Come va alla Russia? Il generale Delawarde fa un confronto con le forze NATO

Il generale Dominique Delawarde è stato il capo dell’Intelligence elettronica dell’esercito francese. Risponde qui a Jacques Myard, presidente del Cercle Nation et République e presidente dell’Académie du Gaullisme, il quale aveva scritto : «Le informazioni fornite dagli americani sono state decisive per contrastare l’avanzata russa, il cui esercito si è rivelato di non essere in grado di adattarsi, a causa di concetti militari obsoleti».

Ecco la risposta:

Da Ex Capo del “Situation-Intelligence-Electronic Warfare” del Joint Operational Planning Staff, non condivido questa parte dell’analisi che si basa su una “valutazione della situazione” imprecisa che è, appunto, la conclusione di un posizione atlantista, tesa a far credere agli ucraini che la Russia sia debole, per spingere l’Ucraina a resistere fino alla fine e farle prevedere, con l’aiuto occidentale, una vittoria. Ecco la mia argomentazione…

Fino a prova contraria, la Russia non ha dichiarato una mobilitazione parziale e ancor meno generale delle sue forze per svolgere questa “operazione speciale”. Nell’ambito dell’operazione Z, finora ha utilizzato solo il 12% dei suoi soldati (professionisti o volontari), il 10% dei suoi aerei da combattimento, il 7% dei suoi carri armati, il 5% dei suoi missili e il 4% della sua artiglieria. Tutti osserveranno che il comportamento delle élite dominanti occidentali è, ad oggi, molto più febbrile e isterico del comportamento del governo russo, più calmo, più determinato, più sicuro e padrone di sé, della sua azione e della sua discorso. Questi sono fatti.

La Russia non ha quindi utilizzato le sue immense riserve (riserve che quasi non esistono più nell’UE). Ha molto più di una settimana di munizioni come dimostra ogni giorno sul campo. Non siamo così fortunati in Occidente dove la carenza di munizioni, l’obsolescenza dei principali equipaggiamenti, la loro insufficiente manutenzione, il loro basso DTO (Technical Operational Availability), l’assenza di riserve, la mancanza di formazione del personale, la natura campionaria dei moderni equipaggiamenti e molti altri elementi non ci permettono di considerare seriamente, oggi, una vittoria militare della NATO contro la Russia. Questo è il motivo per cui ci accontentiamo di una guerra “economica” nella speranza di indebolire l’orso russo.

Veniamo alla qualità della leadership militare della parte russa e confrontiamola con quella della “coalizione occidentale”.

Il 24 febbraio i russi hanno intrapreso urgentemente una “operazione speciale” preventiva, che ha preceduto di pochi giorni un assalto delle forze di Kiev contro il Donbass.

Questa operazione era speciale perché la maggior parte delle operazioni di terra si sarebbero svolte in un paese gemello e in aree in cui una parte significativa della popolazione non era ostile alla Russia (Donbass). Non si trattava quindi di una classica operazione ad alta intensità contro un nemico irriducibile, si trattava di un’operazione in cui la tecnica del rullo compressore russo, schiacciando con l’artiglieria le forze, le infrastrutture e le popolazioni avversarie (come in Germania durante la seconda guerra mondiale) era impossibile da prevedere. Questa operazione fu speciale perché fu più, nel Donbass, un’operazione di liberazione di una popolazione amica, ostaggio dei battaglioni di rappresaglia ukro-nazisti, e martirizzata per 8 anni, un’operazione in cui le popolazioni e le infrastrutture civili dovrebbero essere risparmiate quanto più il più possibile.

Questa operazione fu quindi davvero speciale e particolarmente difficile da condurre, tenendo sempre presenti le esigenze contraddittorie di ottenere la vittoria avanzando e occupando il terreno, ma risparmiando la popolazione e le infrastrutture civili e la vita dei propri soldati.

Inoltre tale operazione è stata effettuata, finora, in inferiorità numerica (quasi uno contro due), mentre il rapporto delle forze a terra richieste in offensiva è di 3 contro 1, e addirittura 5 contro 1 in zona urbanizzata. Anche le forze di Kiev hanno compreso perfettamente l’interesse di trincerarsi nelle città e di usare le popolazioni civili di lingua russa e russofila come scudo umano…

Osservo che, sul campo, le forze russe continuano ad avanzare, giorno dopo giorno, lentamente ma inesorabilmente contro un esercito ucraino che ha raggiunto la sua mobilitazione generale, che è aiutato dall’Occidente, e che dovrebbe combattere per la sua terra. ..

Mettere in discussione la qualità della dirigenza russa, impegnata in un’operazione militare molto complessa, condotta in inferiorità numerica, in cui si deve fare di tutto per evitare eccessivi danni collaterali, mi sembra un grosso errore di valutazione. Troppo spesso, in Occidente, ai russi vengono anche attribuite intenzioni o scopi bellici che non hanno mai avuto, solo per poter dire che questi obiettivi non sono stati raggiunti.

È vero che la NATO non si è mai fatta scrupoli a seppellire sotto le bombe le popolazioni civili dei paesi che ha attaccato (spesso con falsi pretesti), per costringere questi paesi a chiedere pietà. (Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia, ecc.). Più di un milione di bombe NATO sono state sganciate dal 1990 sul pianeta, causando la morte diretta o indiretta di diversi milioni di individui nella più totale indifferenza dell’opinione pubblica occidentale.

Prima di passare all’esame della leadership occidentale, per il confronto con la leadership russa, ricordiamo che la NATO ha impiegato 78 giorni di bombardamenti e 38.000 sortite aeree per costringere la piccola Serbia a chiedere l’armistizio. Ricordiamoci che la Serbia è 8 volte più piccola dell’Ucraina e 6 volte meno popolata, e che è stata attaccata dalla NATO, senza un mandato dell’ONU, in un equilibrio di forze di più di dieci contro uno…

Qualcuno in Occidente si è allora interrogato sulla qualità della leadership della NATO, che ha impiegato 78 giorni per sconfiggere il suo avversario serbo con un tale equilibrio di forze? Qualcuno ha messo in dubbio la legittimità di questa azione avviata con un falso pretesto (falso massacro di Racak) e senza un mandato delle Nazioni Unite?

Conosco bene, avendolo misurato io stesso negli USA per diversi anni, la qualità della leadership statunitense, che è anche quella della NATO e che, siamo onesti, non è buona.

Nel tentativo di valutare la qualità della loro leadership e le possibilità di vittoria in un possibile conflitto, gli Stati Uniti utilizzano due metodi.

1- Per la guerra ad alta intensità, le valutazioni si svolgono in un grande campo militare situato in Nevada: Fort Irwin

Tutte le brigate meccanizzate o corazzate dell’esercito americano effettuano soggiorni di addestramento e controllo in questo campo, a intervalli regolari. Ho avuto il privilegio di frequentarne molti. Dopo tre settimane di addestramento intensivo in questo campo, con tutte le attrezzature principali, c’è un’esercitazione su vasta scala per concludere il periodo, prima che la brigata torni alla sua città di guarnigione. La brigata si oppone a un piccolo reggimento dotato di equipaggiamento russo e che applica la dottrina militare russa. Si chiama OPFOR (Forza di opposizione).

Statisticamente, secondo l’ammissione del generale comandante del campo e direttore di queste esercitazioni militari ad alta intensità, la brigata statunitense perde la partita 4 volte su 5 contro l’OPFOR russa… Pochi sono i comandanti delle brigate americane che possono vantarsi di aver sconfitto la “OPFOR russa” a Fort Irwin.

Alla domanda su questa stranezza, il comandante del campo ci diceva sempre: “non importa, il comandante di brigata impara dai suoi errori e non li ripeterà in una situazione reale”… Possiamo sempre sognare…

Dal mio punto di vista di osservatore esterno, i fallimenti dei comandanti di brigata statunitensi sono stati semplicemente legati al loro addestramento, che consiste nel seguire alla lettera schemi e regolamenti senza mai discostarsene, anche se la situazione si presta a prendere iniziative. e/o azioni opportuniste, al di fuori della normativa. Il “principio di precauzione o filosofia zero difetti” paralizza i leader, ritarda il processo decisionale, riduce lo slancio e molto spesso porta al disastro nei combattimenti ad alta intensità.

A Fort Irwin, questo disastro si osserva nell’80% dei casi a danno delle brigate statunitensi. È un fatto.

2- Per formare il personale e cercare di valutare le possibilità di successo in un possibile conflitto, vengono organizzate ogni anno esercitazioni di alto livello del personale (Giochi di guerra). Questi wargame sono anche intesi, infatti, come prove delle azioni militari previste. Alla fine della catena, ci sono le unità delle tre armi per concretizzare le decisioni prese dallo Stato Maggiore degli Stati Uniti.

Bisogna sapere che tutti i wargame considerati contro la Cina sono andati perduti dal campo statunitense, il che forse spiega la cautela degli Stati Uniti nei loro rapporti con la Cina.

Io stesso ho partecipato nella primavera del 1998 a uno di questi wargame che non era altro che la ripetizione, prima del tempo, della guerra in Iraq del 2003.

Va anche notato che i wargame contro l’Iran sono stati persi dalla parte statunitense e in particolare, nel 2002, il wargame Millennium Challenge. Quell’anno, il generale del Corpo dei Marines Van Riper, che comandava l’OPFOR iraniana, affondò un intero gruppo di portaerei statunitensi (19 navi) e 20.000 uomini nel giro di poche ore, prima che la leadership statunitense si dimettesse. Guarda cosa gli stava succedendo… .

e

https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=van+riper

Non discuterò qui di wargame contro le forze russe perché non conosco i risultati.

Se a tutto questo aggiungiamo le guerre perse dagli USA dalla guerra del Vietnam al pietoso ritiro dall’Afghanistan nell’ottobre 2021, non possiamo che essere molto scettici sulla qualità della leadership statunitense, quindi della NATO.

In conclusione, direi che dobbiamo stare attenti prima di parlare di carenze della leadership russa. Forse sarebbe opportuno rimuovere la trave che ostruisce gli occhi della leadership occidentale prima di evocare il bruscolino che si può trovare negli occhi della leadership russa. Se la leadership russa ha, agli occhi di alcuni, sottovalutato la capacità di resistenza dell’esercito ucraino, la leadership occidentale ha sottovalutato la capacità russa di resistenza alle sanzioni economiche occidentali e la sua capacità di immaginare contro-sanzioni molto efficaci che danneggeranno la economie dell’UE e le indeboliscono sempre più nei confronti degli USA e nella loro concorrenza con la Cina.

La leadership occidentale ha anche sottovalutato il sostegno su cui la Russia potrebbe contare nella guerra economica contro di essa (supporto della SCO, dei BRICS, di molti paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina e persino dei paesi del Golfo, produttori di petrolio e gas. … https: //thecradle.co/columns/8096). Tutti questi paesi che rifiutano di sanzionare la Russia sono spesso paesi esasperati dall’egemonia del mondo unipolare occidentale e dalle sanzioni che vengono loro applicate unilateralmente per la minima deviazione dalle regole stabilite dagli Stati Uniti per servire i loro interessi.

Sul piano militare e in vista di una guerra nucleare, gli occidentali guadagnerebbero finalmente non sottovalutando le prestazioni dei vettori e delle tecnologie russe.

Dobbiamo stare attenti prima di prendere alla lettera e riferire le perentorie dichiarazioni e analisi dei servizi di intelligence occidentali, tenendo presente la superba dichiarazione di Mike Pompeo, ex segretario di Stato americano:

“Ero direttore della CIA e abbiamo mentito, imbrogliato, rubato. Era come se avessimo avuto interi corsi di formazione per imparare a farlo”…

Da parte mia, preferisco condividere/ritrasmettere il bellissimo articolo del generale Jacques Guillemain sulla crisi ucraina che sembra ricordarmi alcune verità che è sempre bello sentire:

Generale Dominic Delawarde

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/come-va-alla-russia-il-generale-delawarde-fa-un-confronto-con-le-forze-nato/

 

PUNTO DI VISTA del tenente colonnello dell’aeronautica JACQUES GUILLEMAIN: situazione Russia-Ucraina

In questi tempi in cui la ragione sembra aver lasciato le cancellerie occidentali e le redazioni europee, in questi tempi in cui l’isteria di massa anti-Putin sembra prendere il posto di una profonda riflessione e di una inevitabile risposta politica, mi limiterò a ricordare alcune realtà che il mondo, in delirio, sembra aver dimenticato.

Ma non mettiamo troppo alle strette l’orso russo, perché l’Ucraina non vale un olocausto nucleare. È bene ricordare ai guerrafondai che giocano con il fuoco, il fuoco nucleare va d’accordo. Quando la pace sarà tornata e gli animi si saranno calmati, gli storici analizzeranno questa guerra per identificare oggettivamente le vere responsabilità.
L’oltraggiosa demonizzazione di un nemico non fa parte della panoplia ad uso di storici degni di questo nome.

Nel frattempo, ecco alcuni promemoria:

sono stati gli americani a rifiutare, nel 1990, che la Russia fosse ancorata all’Europa.
Furono ancora gli americani a promettere a Gorbaciov di non espandere mai la NATO a est.
Quando il Patto di Varsavia è stato sciolto nel 1991, l’Occidente ha mantenuto la NATO con i suoi 16 membri, per lo più europei. Vincitori della Guerra Fredda, gli americani, invece di costruire la pace, hanno integrato 14 paesi dell’ex Unione Sovietica nell’Alleanza e hanno installato i loro missili ai confini della Russia, che non minacciava più nessuno.
Nel 2022, cinque paesi della NATO hanno ancora armi nucleari americane sul loro suolo. Chi minaccia chi?
Dal 1990, la NATO non ha più nulla di un’alleanza difensiva, è, al contrario, uno strumento offensivo agli ordini di Washington di governare il mondo.
La NATO è sempre l’aggressore, in Serbia, in Libia, in Iraq, in Siria, in Afghanistan. Con i successi che conosciamo…
Nel 1999 la Nato ha bombardato la Serbia alleata con Mosca con un’armata di 800 aerei e ha smembrato il Paese amputandolo dalla provincia del Kosovo, divenuta uno stato mafioso, sede di tutti i traffici: esseri umani, armi, narcotici e organi.
L’Occidente piange la sorte dell’Ucraina, ma ha applaudito ai bombardamenti della sfortunata Serbia, ingiustamente accusata di genocidio. Questi attentati criminali contro un piccolo paese che non aveva attaccato nessuno sono durati 78 giorni. Gli aerei della NATO hanno effettuato 38.000 sortite, provocando numerose vittime e vittime civili.
La ripresa della Crimea da parte di Mosca è quindi solo il giusto ritorno del boomerang per l’indipendenza del Kosovo, imposto a Belgrado in totale violazione del diritto internazionale ea dispetto della Russia, ancora troppo indebolita per opporsi a questa ignominia.
Quando Putin si rifiuta di vedere l’Ucraina diventare una base NATO avanzata ai confini della Russia, è esattamente ciò che Kennedy rifiutò nel 1962, quando Krusciov volle installare i suoi missili nucleari a Cuba.
No, non è stato Putin a seppellire gli accordi di Minsk. È l’Ucraina che non li ha mai rispettati rifiutandosi di concedere l’autonomia al Donbass filorusso.
L’Occidente geme per la sorte dell’Ucraina, ma dal 2014 anche gli abitanti del Donbass sono stati sottoposti a perpetui bombardamenti ucraini senza che l’Europa o l’America venissero spostate. 13.000 morti in 8 anni.
Cosa ne pensa Zelensky, colui che fa piangere tutte le cancellerie occidentali? Cosa ne pensa BHL, il paladino della disinformazione su tutti i televisori? Il reggimento Azov, che tortura e decapita i soldati russi, sconvolge il nostro grande combattente per i diritti umani, o ci sono vittime più degne di interesse di altre?
Tutto l’Occidente presumibilmente vuole la pace, ma una ventina di paesi stanno armando l’Ucraina e alimentando le braci. Alcuni di loro vogliono persino consegnare aerei da combattimento! Pura follia. Le armi individuali finiranno nelle mani dei gruppi mafiosi ucraini, poi nelle cantine delle nostre periferie, come quelle dell’ex Jugoslavia.
Zelensky continua ad alimentare le braci e a chiedere sanzioni sempre più severe contro il popolo russo. Vuole che la Russia sia bandita dai porti e dagli aeroporti di tutto il mondo. Vuole bandirlo da tutti gli organismi internazionali. È un guerrafondaio che la stampa europea elogia.
Quello che vuole è un impegno della Nato a rischio di una conflagrazione generale. Il sostegno degli occidentali gli dà le ali e continua a fare pressione sull’Europa. L’Occidente fa di lui un eroe, mentre lui peggiora le sofferenze del suo popolo solo rimanendo rinchiuso nel suo bunker.
Ma Zelensky non è un santo. Guida un paese corrotto. Il reggimento Azov è davvero un’unità nazista, che l’Occidente si rifiuta di riconoscere. Moralità eterna a geometria variabile del poliziotto del mondo… Annunziando brutalmente che l’Ucraina sarebbe stata la benvenuta all’interno dell’UE, Ursula von der Leyen ha dimostrato, ancora una volta, la sua incompetenza e la sua totale irresponsabilità, mentre Putin si oppone a questa adesione ea qualsiasi integrazione nella NATO . Niente di meglio per guidare ancora di più l’orso russo ed è difficile fare di più stupido! Non è Thatcher che vuole!
Zelensky ha colto al volo l’occasione, parlando davanti al Parlamento europeo per chiedere una procedura di adesione accelerata. Come se l’Europa dovesse integrare immediatamente uno stato corrotto e in bancarotta circondato da elementi nazisti!!
Nessuno sa come finirà questa guerra fratricida. Ma se gli occidentali avessero ascoltato le legittime richieste di Putin, per garantire la sicurezza della Russia, il mondo non sarebbe qui. È tempo che gli europei non si comportino più come vassalli degli Stati Uniti, che hanno fatto di tutto per infiammare la regione e togliere le castagne dal fuoco di questo conflitto, senza sparare un solo colpo.
Hanno ravvivato la moribonda NATO, hanno rilanciato la Guerra Fredda per 30 anni, hanno seppellito per sempre il grande progetto di una vasta Europa dall’Atlantico agli Urali, tanto caro a de Gaulle. Possono gioire. E gli europei ingenui applaudono, in nome della pace e del diritto internazionale, mentre seminano odio per la loro escalation permanente delle sanzioni.
Quando sento Bruno Le Maire voler distruggere l’economia russa, facendo precipitare così il popolo russo nella miseria, mentre Putin vuole solo tagliare la testa al corrotto Stato ucraino, limitando il più possibile le vittime civili, dico che non è il Ospite del Cremlino che ha perso il controllo. Se gli hacker russi bloccano il suo ministero, non dovrebbe sorprendersi. Con i nostri 3.000 miliardi di debiti, la nostra industria e la nostra agricoltura che sono andate avanti, questo ministro della bancarotta dovrebbe essere più discreto. Auspicare il naufragio economico della Russia è criminale.
Continua a mettere alle strette l’orso russo con sanzioni folli e avremo la nostra guerra nucleare. Hiroshima alla potenza di 20! Per cinque giorni l’Occidente ha fatto la scelta dell’escalation senza mai parlare di trattative.
A torto, perché né l’Europa né gli Stati Uniti hanno i mezzi per impegnarsi in un vero confronto con la Russia, in prima linea per molti armamenti convenzionali.
Pertanto, Putin andrà fino in fondo con i suoi obiettivi. Per 30 anni l’Occidente ha ingannato e umiliato i russi. Questa era è finita, ora sarà un equilibrio di potere tra Mosca e l’Europa. Aver vinto la Guerra Fredda per tornare al punto di partenza 30 anni dopo è sicuramente il fallimento politico più clamoroso dal 1945. Grazie zio Sam, grazie élite europee!
Tutta la pace in Europa deve essere ricostruita. E noi francesi lasciamo la NATO. Non dobbiamo essere gli ausiliari degli Stati Uniti nelle loro guerre di dominio. Con i russi ci conosciamo bene, abbiamo una lunga storia in comune. Ci apprezziamo e ci rispettiamo a vicenda. Abbiamo visto i cosacchi per le strade di Parigi, certo, ma chi oltre alla Grande Armée è arrivato fino a Mosca? Nel 1942 fu creato un gruppo di caccia FFL francese per combattere al fianco degli aviatori russi.
Il gruppo Normandia-Niemen. È l’unica unità occidentale che ha combattuto all’interno dell’Armata Rossa contro i tedeschi. Questa unità si distinse presto e conquistò la stima dei piloti russi in combattimento. E oggi la popolazione fiorisce la tomba di questi piloti francesi sepolti sul posto. Alla fine della guerra, il comando russo lasciò che questi piloti multidecorati tornassero in Francia con gli aerei su cui avevano combattuto. “Il dono al reggimento ”Normandie-Niemen” di tutti gli aerei su cui avevano volato era una manifestazione della sincera amicizia tra il popolo francese e quello sovietico”. — Il maresciallo Aleksandr Novikov. Vi ricordo anche che sono stati i russi a vincere la guerra.
Hitler inghiottì l’80% del suo esercito nelle steppe russe. Senza il sacrificio del popolo russo, gli Alleati non sarebbero mai stati in grado di sbarcare. Gli occidentali hanno la memoria corta.
Pertanto, vedere oggi la Francia di Macron considerare i russi come nemici è infinitamente triste. Bruno Le Maire trasuda odio, ululando stupidamente con i lupi, senza la minima conoscenza del problema, della posta in gioco e dei rischi della guerra. Un’altra luce da Macronie!
Disperare la prima potenza nucleare del mondo facendola morire di fame, detto da un ministro della Repubblica, non è solo questione di stupidità senza nome, ma anche di psichiatria.
JG

Fonte: Tribuna Diplomatica Internazionale

FONTE: https://www.profession-gendarme.com/point-de-vue-du-general-francais-jacques-guillemain-situation-russie-ukraine/

Zakharova denuncia la presenza di “mercenari israeliani” a fianco del battaglione neonazista Azov

Segreto di Pulcinella

L’incidente diplomatico tra Russia e Israele si trasforma in braccio di ferro. Mentre Tel Aviv aveva denunciato all’inizio di questa settimana i commenti di Sergei Lavrov evocanti le presunte origini ebraiche di Hitler e Mosca aveva risposto accusando Israele di sostenere il “regime neonazista a kyiv”, questa volta la portavoce del ministero degli Esteri russo ha menzionato la presenza di “mercenari israeliani” sul posto.

“Vi dirò qualcosa che i politici israeliani, che ora stanno lanciando una campagna… probabilmente non vorranno sentire. Potrebbe interessarli. Ci sono infatti mercenari israeliani in Ucraina in questo momento insieme ai combattenti Azov”, ha detto Maria Zakharova, intervistata da Sputnik a Mosca il 4 maggio.

Continuando il suo slancio, la portavoce della diplomazia ha affermato che i leader israeliani non possono ignorare questa presenza. “Ho visto il video, i fatti, le prove”, ha detto.

Passano le armi diplomatiche

Questa affermazione è l’ultimo episodio di una serie di tesi scambi pubblici tra i due paesi. In un’intervista trasmessa il 1 maggio al canale televisivo italiano Mediaset, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha respinto l’argomento secondo cui non potevano esserci neonazisti in Ucraina poiché il suo presidente Volodymyr Zelensky era lui stesso ebreo.

“Potrei sbagliarmi, ma anche Hitler aveva sangue ebreo”, ha detto. “Abbiamo sentito a lungo il più saggio degli ebrei dirci che i peggiori antisemiti sono ebrei”, ha aggiunto, suscitando la protesta ufficiale delle autorità israeliane. “Gli ebrei non si sono uccisi durante l’Olocausto”, ha detto il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid, tra le altre cose, chiedendo scuse ufficiali.

Scuse che ovviamente aspetteranno un po’ dal momento che la Russia ha portato a casa il punto il giorno successivo accusando lo stato ebraico di “sostegno al regime neonazista a kyiv” e fornendo diversi casi storici di collaborazione ebraica con i nazisti.

Un battaglione con riferimenti nazisti

L’origine neonazista dell’unità Azov, recentemente impegnata nell’assedio di Mariupol, è indiscussa. Il battaglione, che fa parte della Guardia nazionale ucraina dal 2015, è stato fondato da un famigerato attivista di estrema destra, Andriy Biletsky, e il suo emblema originale presentava un Sole Nero (un simbolo creato dai nazisti) e un “angelo lupo”. “, simbolo germanico stilizzato allo stesso modo di quello che appariva sullo stemma della 2a divisione SS Das Reich. Il battaglione è accusato di crimini di guerra nel Donbass in un rapporto del 2016 dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

I difensori del battaglione, comprese le autorità ucraine e parte della stampa occidentale che si esaurisce in “fact-checking” sull’argomento, spiegano che nel tempo questa unità si è spogliata della sua dimensione ideologica per diventare una semplice unità d’élite, che è contestato da alcuni osservatori. I suoi membri, tuttavia, non nascondono la loro visione del mondo nelle loro pubblicazioni su Internet e sulla forza lavoro sono talvolta visibili distintivi e tatuaggi contenenti simboli delle SS.

Il sostegno dei paesi occidentali di cui gode questa unità ha sollevato una serie di controversie fino ad oggi. Un articolo del quotidiano israeliano Haaretz del luglio 2018 ci informava che questo dibattito si era svolto anche nello stato ebraico, dove attivisti per i diritti umani avevano chiesto di fermare l’esportazione di armi da Israele a Israele. L’Ucraina per timore che queste armi finissero in le mani dei combattenti neonazisti. Infatti, la foto illustrativa nell’articolo, tratta da un video di YouTube, mostrava un membro dell’unità armato con un fucile d’assalto Tavor israeliano.

A parte i dispositivi di protezione, Israele non ha recentemente esportato armi in Ucraina e ha tentato di mediare per porre fine alle ostilità tra i due paesi con cui di solito intrattiene relazioni amichevoli.

israelis-fighting-with-ukrainian-forces-pose-for-a-video-that-circulated-widely-on-social-media-on-april-24-2022-in-which-they-thank-israel-for-supporting-them
In una seconda clip, nove uomini stavano in piedi a semicerchio con in mano una bandiera ucraina e una israeliana. “Noi, i soldati dell’esercito ucraino che sono al fronte combattendo l’invasore russo, vogliamo esprimere il nostro sostegno al popolo di Israele

fonte: RT Francia

A questo Link

World Community of Jews Declares War on Russia

trovate un video dove israeliani in uniforme militare ucraina ringraziano anche il rabbino capo locale per aver fornito loro cibo kosher per celebrare la Pasqua e ringraziano Israele per averli sostenuti (Screencapture) I video pubblicati sui social media domenica sembravano mostrare diversi israeliani che stanno combattendo con le forze ucraine ringraziando Israele e il popolo ebraico per aver sostenuto i loro sforzi per respingere l’invasione russa.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/zakharova-denuncia-la-presenza-di-mercenari-israeliani-a-fianco-del-battaglione-neonazista-azov/

 

 

 

CULTURA

Tucidide e il Fascismo. Su una pagina dimenticata de La Rivoluzione Liberale di Piero Gobetti

Historiographie et identités culturelles
Thucydides and Fascism. Some Remarks on a Forgotten Page of Piero Gobetti’s La Rivoluzione Liberale
Luca Iori
p. 47-79

Résumés

Il 18 novembre 1924 La Rivoluzione Liberale di Piero Gobetti pubblicò, con il titolo di «Tucidide e il fascismo», una breve antologia di brani tucididei in traduzione italiana, tratti da Th. III, 82-83 e Th. VIII, 63, 65-66. L’articolo faceva parte di una serie di ‘corsivi d’autore’, che, rievocando eventi storici e riassemblando brani classici (da Archiloco, Machiavelli, Sallustio, John Stuart Mill), commentavano provocatoriamente l’attualità, nel tentativo di sfuggire alla censura fascista e di animare un’opposizione intransigente nei confronti della nascente dittatura. L’articolo cerca di ricostruire questa spregiudicata strategia editoriale e di tratteggiare il profilo ideologico del classicismo gobettiano, contrapponendolo da un lato a quello di regime e chiarendo dall’altro i presupposti teorici che potevano giustificare, nella prospettiva di Gobetti e della sua cerchia, un’interpretazione in senso liberale dell’opera tucididea.

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Texte intégral

  • 1 Una trascrizione integrale dell’articolo è ripubblicata in Appendice (infra p. 77-79).

1Il 18 novembre 1924, cinque mesi dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti e in un clima di crescente fibrillazione politica, Piero Gobetti riservò le prime colonne de La Rivoluzione Liberale (anno III, n. 43) a un breve e sorprendente articolo intitolato «Tucidide e il fascismo». Il pezzo, che venne pubblicato senza firma, raccoglieva una serie di excerpta tucididei in traduzione italiana tratti dal terzo e dall’ottavo libro delle Storie: III, 82-83 e VIII, 63, 65-661. Anticipati da brevi titoletti provocatori («La Marcia su Roma e i salvatori della Patria», «Gli assassini», «I “Ras” e l’amministrazione», etc.), i brani sviluppavano un malizioso accostamento tra passato e presente, invitando i lettori a interpretare in maniera polemica il quadro politico dell’epoca: facendo dialogare l’attualità con le vicende del colpo di stato oligarchico ateniese (411 a.C.) e con la sanguinosa guerra civile di Corcira (427-425 a.C.), l’articolo ambiva a recuperare la memoria classica in chiave schiettamente anti-autoritaria e sviluppava una lucida analisi delle logiche criminali del regime mussoliniano, ormai prossimo a imboccare la strada dell’aperta dittatura. Così, a dispetto del suo carattere apparentemente compilativo e della sua modesta estensione, la prosa pubblicata da Gobetti si faceva testimone di un riuso politico dell’opera tucididea che si segnala ancora oggi per l’approccio spregiudicato alla storia antica.

  • 2 Cf. e.g. Opere complete di Piero Gobetti, I, Scritti politici, a cura di P. Spriano, Torino, 1960, (…)
  • 3 Su questi temi vd. spec. L. Canfora, Ideologie del classicismo, Torino, 1980, p. 57-132 e id., Le v (…)

2Tali considerazioni, affiorate in maniera alquanto sporadica nella pur vasta bibliografia gobettiana2, non sono tuttavia valse a sviluppare un esame sufficientemente approfondito di questo singolare esperimento di lotta politica attraverso i classici. Proprio per la sua natura di adespoto, infatti, il «corsivo tucidideo» è rimasto sempre escluso dalle raccolte di scritti pubblicate sotto il nome dell’intellettuale piemontese, ottenendo così, presso la critica, una scarsissima visibilità. Nell’intento di sottrarlo a questo oscuro e immeritato destino, varrà dunque la pena di riproporne un più dettagliato inquadramento nel contesto del laboratorio gobettiano, discutendo l’articolo dapprima in relazione alla linea editoriale assunta dalla rivista nel convulso tornante politico del 1924 (§.1) e, successivamente, illuminando la complessa tecnica centonaria che ne fu alle spalle e che ne determinò, in ultima istanza, la fisionomia complessiva (§.2). Muovendoci in questa duplice prospettiva – storica e formale – sarà quindi possibile acquisire nuovi elementi per riesaminare, nella seconda parte del contributo (§.3-4), i presupposti teorici di questa audace prosa di ispirazione classicistica maturata negli ambienti più radicali del liberalismo torinese e del tutto estranea alle pulsioni antidemocratiche che alimentarono la coeva riappropriazione del passato romano da parte del fascismo3.

«Il lettore deve leggere tra le righe»: Gobetti e la lotta politica del 1924

  • 4 R. De FeliceIntellettuali di fronte al fascismo. Saggi e note documentarie, Roma, 1985, p. 250.
  • 5 Per un sintetico ed efficace profilo biografico di Gobetti nei primi anni Venti cf.C.Malandrino(…)
  • 6 L’ordine d’arresto venne trasmesso direttamente da Mussolini al Prefetto di Torino il 6 febbraio 19 (…)
  • 7 L’episodio è descritto da Guido Narbona, tenente della Milizia fascista, in una lettera datata del (…)

3«Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di Governo e fascismo. Mussolini4». Il telegramma, trasmesso il 1° giugno 1924 al Prefetto di Torino, descrive bene il clima di controlli e rappresaglie in cui l’editore piemontese – da tempo sorvegliato dalle autorità fasciste – era costretto a vivere5. Già nel 1923, su ordine di Mussolini, Gobetti aveva subìto perquisizioni e sequestri di materiali, trascorrendo due brevi periodi nelle carceri torinesi: la prima volta, nel mese di febbraio, accusato di «intelligenza coi comunisti6»; la seconda, il 29 maggio, con l’imputazione di aver collaborato – in veste di critico teatrale – al quotidiano L’Ordine Nuovo, diretto da Antonio Gramsci. Pochi mesi dopo, il 22 febbraio 1924, il Duce in persona, durante un incontro a Palazzo Chigi, avrebbe preteso per il «seccante» Gobetti una «severa lezione fascista», poi rimandata per alcune divisioni sorte in seno allo squadrismo torinese7.

  • 8 E.g. Una battaglia liberale di Giovanni Amendola, Popolarismo e fascismo di Luigi Sturzo. Sulle str (…)
  • 9 P. GobettiLa Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Bologna, 1924 (successi (…)

4Questa crescente aggressività, resa evidente dall’incrudelire delle punizioni prospettate, derivava dalla notevole visibilità assunta dalle iniziative gobettiane. Dall’inizio del ’24, infatti, l’intellettuale torinese aveva manifestato una linea di opposizione sempre più efficace nei confronti del governo, rafforzando il legame tra le uscite de La Rivoluzione liberale e la sua casa editrice – la Piero Gobetti Editore – che in vista delle elezioni politiche del 6 aprile aveva sfornato scritti dal forte impegno pubblico8. A questi aveva fatto seguito la ristampa, presso Cappelli, di alcuni corsivi gobettiani che abbozzavano un programma di lotta politica contro il fascismo9. L’esito negativo delle urne, favorito dai brogli squadristici e dai meccanismi truffaldini della legge Acerbo, non valse ad arrestare le iniziative di Piero, che a maggio, per rilanciare l’azione dei gruppi antifascisti, intraprese una serie di viaggi a Parigi e in Sicilia, attirando proprio con questi spostamenti l’attenzione di Mussolini, il quale, con il telegramma del 1° giugno, pretese «nuovamente» un intervento contro «questo insulso oppositore [del] fascismo». L’ordine, trasmesso al prefetto, venne puntualmente eseguito alle 9.30 del 9 giugno, quando un manipolo di agenti senza regolare mandato fece irruzione nell’abitazione-redazione di Gobetti, sottoponendolo a una violenta aggressione fisica e sequestrandone l’intera corrispondenza politica.

  • 10 P. Gobetti, «Matteotti», La Rivoluzione Liberale III (1924), n. 27, p. 105-107. La nume­razione del (…)
  • 11 RL III (1924), n. 28, p. 110 e n. 31, p. 128.

5Nonostante la rappresaglia, l’editore non si lasciò intimidire e a partire dal giorno successivo – quello dell’inattesa e traumatica scomparsa di Giacomo Matteotti – la sua attività segnò un ulteriore cambio di passo. Intuendo la natura eversiva dell’azione, La Rivoluzione Liberale pubblicò vari corsivi di denuncia che culminarono nell’uscita di un numero monografico dedicato al deputato socialista (1° luglio 1924), in cui un lungo scritto gobettiano – poi ripubblicato con enorme successo in forma di volumetto – ripercorreva con toni agiografici la carriera pubblica e le battaglie di Matteotti10. Parallelamente, la rivista si presentò all’attenzione nazionale come entità politica: il 18 giugno, a Torino, il «gruppo della ‘Rivoluzione Liberale’» prese parte ad un’assemblea programmatica di formazioni antifasciste e l’8 luglio Gobetti lanciò dalle colonne del suo giornale un vigoroso appello alla costituzione di altri «Gruppi» in tutta la penisola, ottenendo buoni riscontri a Roma, Milano e Napoli11.

  • 12 Regio D.L. del 10 luglio 1924, n. 1081.

6Sulla spinta di queste e altre campagne di mobilitazione, il 10 luglio 1924 il governo Mussolini decise di promulgare un decreto legge che introduceva una serie di norme fortemente restrittive nei confronti della stampa12. Il controllo su quotidiani e periodici si fece più pressante e lo spazio per la critica angusto: i prefetti ottennero ampia facoltà di censurare, sequestrare e sospendere tutti i giornali che fossero ritenuti responsabili di turbare l’ordine pubblico e anche La Rivoluzione Liberale, messa di fronte alla concreta possibilità di interrompere le proprie pubblicazioni, dovette adeguarsi alle nuove regole. Il giornale decise tuttavia di non abdicare alla propria missione e adottò nuove e più ingegnose strategie editoriali. Tra queste, prese forma l’idea di rilanciare la lotta politica attraverso la riappropriazione, maliziosa e irriverente, della memoria storica.

  • 13 RL III (1924), nn. 29, 30, 31.

7Se infatti corsivi e articoli di attualità rischiavano di subire ampie limitazioni, più difficile sarebbe stato per le autorità condannare le parole di autori come Tucidide, Machiavelli o Massimo D’Azeglio, che venivano quotidianamente studiati nelle scuole e nelle università del regno. Allo stesso modo, riproporre in chiave critica vivaci affreschi storici o profili di grandi personalità del passato come Giulio Cesare o Lorenzo de’ Medici, permetteva di commentare, in maniera obliqua ma del tutto efficace, la realtà contemporanea sfruttando il potere evocativo dell’analogia storica. Per rendere efficace questa strategia era tuttavia necessario metterne al corrente i lettori, i quali vennero puntualmente avvertiti tramite il seguente avviso, stampato in grassetto sulla testata di tutti i numeri del mese di luglio: «In regime di stampa imbavagliata il vero articolista è il lettore: egli deve leggere tra le righe13». E nell’uscita del giorno 22 (anno III, n. 30), un articolo di fondo, firmato La Rivoluzione Liberale, rese ancor più esplicito il monito:

  • 14 [P. Gobetti] «La nostra difesa», RL III (1924), n. 30, p. 117. Corsivi miei.

Mantenere un periodico libero in tempi avventurosi deve significare affidarsi all’intelligenza del pubblico, rinunciare al pubblico facile e superficiale. Noi abbiamo la fortuna, che non ha nessun altro giornale, di parlare a un pubblico piccolo ma scelto. Possiamo contare sulle risonanze, sul commento, su una specie di intesa nelle premesse. […] Impegniamo dunque il lettore alla gara singolare: e il premio sia per chi saprà trovar significati più arguti ai sottintesi, leggere e scrivere più pungentemente tra le righe, ricamare malignità nelle cose più innocenti, interpretare da buoni moderni la storia antica. Sarcasmi, ironie, malizie valgano dunque, poiché tali sono i tempi, in luogo di una professione di fede14.

  • 15 Archiloco, [«Leofilo»] RL I (1922), n. 32, p. 119 [trad. di Ettore Romagnoli]. L’originale archiloc (…)
  • 16 N. Machiavelli, «Consigli machiavellici ai nepoti», RL II (1923), n. 31, p. 127.
  • 17 N. Machiavelli, «Commento a un preludio», RL III (1924), n. 20, p. 77. L’articolo uscì in risposta (…)

8Questo genere di giochi retrospettivi non era in realtà inedito per la rivista: già nel novembre ’22, una libera traduzione di Archiloco [= fr. 115 West2 ] aveva ironizzato sul potere acquisito da Mussolini dopo la Marcia su Roma, favorendo la sovrapposizione della figura del Duce a quella del tiranno Leofilo, trasfigurato, per l’occasione, nelle fattezze di un intraprendente Figaro («Or Leòfilo comanda, alto e basso Leofilo fa | tutti pendon dalla bocca di Leofilo | è Leofilo il factotum in città15»); un anno dopo, nell’ottobre 1923, un’antologia di brani di Machiavelli (Arte della Guerra, libro I) denunciava le violenze delle milizie volontarie fasciste16, mentre nel maggio 1924 un secondo centone machiavelliano – questa volta ricavato dai Discorsi – celebrava la «fede nelle forze popolari» e il loro ruolo progressivo nella vita dello stato17. Fu tuttavia con l’introduzione della nuova legge sulla stampa nel luglio ’24 che il ricorso a tali espedienti divenne sistematico, e così, tra l’estate e l’autunno di quell’anno, iniziarono a moltiplicarsi articoli che rievocavano eventi passati per ridiscutere in maniera critica e mordace l’ascesa violenta del movimento mussoliniano.

  • 18 Segnaliamo tra gli altri, in ordine di apparizione sulla rivista: 1) F.S. Nitti, «Il colpo di stato (…)
  • 19 Sallustio, «Catilinaria», p. 153; Ferrero, «La dittatura di Cesare», p. 132.
  • 20 Sallustio, «Catilinaria», p. 153; L.C. Farini, «Normalizzazione», p. 125.
  • 21 N. Machiavelli, «Il Duca d’Atene», p. 125.
  • 22 G. Ansaldo, «I fascisti dissidenti», p. 113.
  • 23 F.S. Nitti, «Il colpo di stato», p. 111.
  • 24 M. D’Azeglio, «Degli ultimi casi di… Romagna», p. 171.

9Non potendo ripercorrere per intero la trama polemica di queste prose, possiamo comunque notare che l’attenzione di Gobetti e dei suoi collaboratori andò appuntandosi su tre periodi tradizionalmente considerati decisivi nel processo di formazione della coscienza nazionale: la Roma repubblicana, le vicende dello stato fiorentino dal Tre al Cinquecento e i moti risorgimentali. Muovendo lungo questi assi privilegiati, e alternando antologie d’autore, stralci di saggi e pungenti corsivi, gli articolisti sfruttavano l’aura di esemplarità comunemente attribuita agli avvenimenti storici per commentare l’attualità18. Mussolini veniva così descritto tramite le “vite parallele” di Catilina e Cesare – «non un grande uomo di Stato, ma il più gran demagogo della storia19»; gli squadristi erano identificati con i Catilinari e i Sanfedisti romagnoli20, e le politiche assistenzialiste del Duce venivano assimilate alle regalie del Duca di Atene alla plebe fiorentina21. Dall’altro lato, sul versante dei potenziali oppositori, la parabola del tirannicida Lorenzino de’ Medici spiegava l’inaspettato dissenso del fedelissimo Cesare Forni, prima organico al potere centrale, poi ribelle perché da esso marginalizzato22; la remissività di Vittorio Emanuele III si rispecchiava nell’acquiescenza di Ferdinando I di Borbone, messo alle strette dai carbonari napoletani23, e l’aspirazione alla lotta clandestina, da più parti invocata dopo l’omicidio Matteotti, veniva confutata attraverso i moniti di Massimo D’Azeglio, che, commentando i fatti di Romagna del 1845, aveva criticato le congiure segrete a favore di una lotta politica condotta alla luce del sole24.

10«Tucidide e il fascismo», pubblicato il 18 novembre 1924, apparve al termine di questa lunga sequenza di prose e ne mutuò, come vedremo, i principali temi. Proprio per tale esaustività, l’articolo si inquadrava alla perfezione nel frenetico contesto politico dell’autunno ’24, segnato dal tentativo delle opposizioni di infliggere la spallata decisiva al governo Mussolini. Il 12 novembre, infatti, la Camera aveva riaperto i battenti dopo oltre quattro mesi di inattività e l’Aventino aveva rilanciato l’idea di un governo di transizione che potesse indire a breve nuove elezioni. Il 15 novembre, i liberali di Giovanni Giolitti si erano sfilati dalla maggioranza, votando contro la fiducia a Mussolini e minacciando di condizionare altri settori dell’emiciclo. Due settimane più tardi, il 30 novembre, gli aventiniani promossero a Milano un nuovo raduno di protesta e poco dopo, il 5 dicembre, il Senato, pur votando a favore dell’esecutivo, vide crescere ancora il numero degli astenuti e dei contrari.

11Nel pieno di questa escalation, il “corsivo tucidideo” entrava quiridi a far parte di una vigorosa campagna anti-regime finalizzata ad alienare il consenso parlamentare e popolare al governo. Come sappiamo, lo sviluppo degli eventi fu molto diverso dalle aspettative aventiniane e il 3 gennaio 1925 Mussolini assunse pubblicamente la responsabilità del delitto Matteotti, imprimendo una svolta decisiva verso la dittatura, concretizzatasi nel biennio successivo attraverso una serie di leggi e decreti che smantellarono quanto restava dell’impalcatura costituzionale dello stato post-unitario. Tuttavia, poche settimane prima, quando ancora la prospettiva di una stretta autoritaria appariva evitabile, Gobetti e i suoi collaboratori si erano rivolti a Tucidide per denunciare l’illegittimità dell’autorità fascista, promuovendo, attraverso le parole dello storico, una presa di coscienza netta e intransigente nei confronti degli abusi del potere mussoliniano. Ma quali erano i passi tucididei che venivano mobilitati contro il regime fascista? E in che modo essi venivano adattati alle esigenze della lotta politica? Solo un esame ravvicinato dell’antologia può fornire le risposte a questi interrogativi.

Anatomia di un centone: Tucidide tra la Marcia su Roma e l’affaire Matteotti

12Come abbiamo ricordato, «Tucidide e il fascismo» raccoglieva dodici brani tratti da due celebri e distinte sezioni delle Storie: l’una, Thuc. III, 82-83, commentava la fase più cruenta della stasis di Corcira (427 a.C.); l’altra, Th. VIII, 63, 65-66, ripercorreva le prime convulse tappe del putsch oligarchico di Atene (411 a.C.). Ogni excerptum, tradotto in lingua italiana, era preceduto da un titoletto provocatorio, che indirizzava i lettori verso un malizioso raffronto tra i fatti della Guerra del Peloponneso e la scottante attualità dell’Italia fascista (fig. 1). Se la scelta dei temi e dei brani tucididei esprimeva l’ambizione di calare gli avvenimenti del ’24 all’interno di una griglia interpretativa di sicuro spessore teorico, la distribuzione dei loci – concatenati secondo un ordine inedito – tracciava una progressione argomentativa del tutto originale, che merita di essere ripercorsa nel dettaglio.

13L’esordio dell’antologia, affidato ad una coppia di brani relativi al coup d’état ateniese, ridiscuteva le fasi più traumatiche dell’ascesa mussoliniana: il primo passo dipingeva il golpe del ’22 come un’iniziativa di stampo reazionario, che sopprimeva la libertà democratica a favore di un governo oligarchico e conservatore («La Marcia su Roma e i salvatori della Patria» = Th. VIII, 63, 3 + Th. VIII, 65, 3 – 66, 1); il secondo excerptum rievocava l’uccisione del democratico Androcle, alludendo scopertamente all’affaire Matteotti («Gli assassini» = Th. VIII, 65, 2):

Fu verso quell’epoca che la democrazia venne abolita in Atene […] Da più tempo gli oligarchi avevano fatto circolare la voce che tutti i diritti spettavano unicamente agli uomini di guerra ed ai soli cittadini capaci di servire la città con la persona e con gli averi. Non si trattava in realtà che di un tranello teso alla moltitudine, poiché era chiaro che soltanto i fautori del colpo di Stato si sarebbero avvantaggiati del potere.

Si principiò con l’assassinio di Androclo, uno dei capi più in vista della democrazia. Quindi tutta la parte popolare fu presa d’assalto con un crescendo di uccisioni sistematiche.

14Così introdotto, il centone proseguiva con un secondo gruppo di brani – ancora tratti dall’ottavo libro – che registravano le reazioni delle parti in causa, stigmatizzando l’impunito insolentire della fazione oligarco-fascista («La paura» = Th. VIII, 66, 2; «L’impunità degli assassini» = Th. VIII, 66, 2), la passività del popolo («Il silenzio» = Th. VIII, 66, 2) e lo spaesamento dei democratici («I traditori» = Th. VIII, 66, 4 + VIII, 66, 3 + VIII, 66, 5):

Così numerosa ed insolente era divenuta la fazione oligarchica, che non si trovava alcuno che osasse alzare la voce contro di essa. Se, per caso, qualche temerario l’avesse tentato, le più sanguinose vendette erano pronte a colpirlo.

Lo Stato non si curava di ricercare i colpevoli di tanti misfatti. Piena impunità era accordata agli assassini, che, anche se conosciuti, potevano circolare liberamente…

Il popolo non osava protestare. Egli vivea in tale stato di spavento, che si riputava già felice di poter sfuggire con il silenzio allo sterminio che lo minacciava.

Così, malgrado lo sdegno del quale tutti erano accesi, non si faceva un passo per organizzare una difesa. Ogni coraggio era prostrato. Un’aura di terrore travolgeva ogni cosa. Si credevano anche gli oligarchi in maggior quantità o più potenti di quello che, in realtà, non lo fossero. Aggiungi che non si era sicuri di nessuno, dappoichè uomini che non si sarebbero mai sospettati capaci di tradire il popolo, erano passati alla oligarchia, la cui forza principale riposava appunto su questi traditori.

15Una terza serie di excerpta – questa volta di derivazione corcirese – descriveva il degrado morale e civile seguito agli atti sediziosi appena descritti. Ne emergeva un corpo sociale imbarbarito dalle violenze e dagli effetti di una propaganda speciosa («L’insegnamento della guerra» = Th. III, 82, 2-3; «La lingua nuova» = Th. III, 82, 4 + Th. III, 82, 5), che fomentava la diffidenza fra i cittadini, rendendo insicuro ogni accordo tra le parti («Il ramoscello di ulivo» = Th. III, 82, 6-7 + Th. III, 83, 1-2). «Di tutti questi mali – si osservava – era cagione la sete del comando», che «travolgeva gli spiriti [degli oligarchici], eccitandoli a osare qualunque scelleratezza» («Inflessibilmente» = Th. III, 82, 8):

Nella pace e nella prosperità, la città ed i privati sono meglio e più saggiamente inclinati, perché non conoscono le dure necessità; ma la guerra, distruggendo ogni benessere, porge continue lezioni di violenza e rende l’indole dei cittadini conforme all’asprezza dei tempi. Ardeva la guerra civile nelle città, e quelle ultime che sorgevano in armi si studiavano di sorpassare le prime nel trovare nuovi modi di aggressione ed inusitati supplizi.

Era cambiato il consueto significato dei vocaboli. La sconsigliata audacia si chiamava coraggio, il cauto indugio timidezza, la moderazione viltà. Sicuro era considerato solo l’uomo violento, il sospetto circondava gli egregi cittadini.

La fiducia scambievole non si fondava sulla religione, ma sulla complicità dei misfatti; le oneste profferte della parte contraria non si accettavano in buona fede, bensì quando si scorgesse che si resterebbe superiori ad accettarle. La semplicità, dote principale di un’anima nobile, derisa, sparì; prevalse il ridurre le menti in reciproca gara di diffidenza; non più sicurezza di parole, non più timore di giuramento; sicché trovando ovunque più forti ragioni di non aver fiducia, l’uomo meditava piuttosto il modo di non essere offeso, che indursi a fidarsi di chicchessia.

Di tutti questi mali era cagione la sete del comando, che da ambizione e da cupidigia procede. Queste passioni travolgevano gli spiriti e li eccitavano a osare qualunque scelleratezza.

16Coerentemente con questo sviluppo, l’antologia si chiudeva con un’altra coppia di passi corciresi che illustrava la sfrenatezza dei fiduciari di Mussolini («I “Ras” e l’amministrazione» = Th. III, 82, 8; «Discordie tra i “Ras”» = Th. III, 82, 8), ormai liberi di dedicarsi a una selvaggia lotta per il potere e di accanirsi contro chi si rifiutava di fiancheggiarli:

Nelle città i capi delle fazioni, con il pretesto di un regime di perfetta uguaglianza gli uni, e un discreto reggimento di pochi gli altri, aiutavano la cosa pubblica di nome, e in fatto la riducevano in isfacelo. Perciò, studiando a scalzarsi l’un l’altro, osavano e compivano le più orribili cose, aggravando le pene, non secondo la giustizia e il vantaggio della repubblica, ma secondo che le determinava il loro capriccio.

Non esitavano a soddisfare le rispettive cupidigie, sia con il condannare altrui con ingiusto suffragio, sia col procacciarsi armata mano superiorità, di maniera che ambedue le fazioni non avevano alcun riguardo alla morale; ma quelli cui accadesse, con speciosità di parole, di fare un bel colpo, erano i più reputati; dove i cittadini che tenevano la via di mezzo fra entrambe le parti, venivano nondimeno perseguitati, o per non aver dato mano ad una, o per invidia di vederli fuori del tafferuglio.

  • 25 P. Gobetti, «La successione», RL III (1924), n. 46, p. 185.

17Così impostato, lo scheletro argomentativo dell’antologia finiva insomma per denunciare i presupposti criminali del potere fascista, valutandone l’impatto traumatico sulla società e sulle regole della convivenza democratica. La brutale efficacia con cui l’articolo descriveva la vita civile della penisola non si esauriva però negli schemi astratti dell’analisi politica, ma si traduceva in un concreto monito alla nazione, che veniva indirettamente chiamata a esprimere un’opposizione ferma e intransigente, secondo quanto propugnato da tempo dalla rivista gobettiana. Non a caso, pochi giorni dopo l’uscita di «Tucidide e il fascismo», lo stesso Gobetti, gettando un occhio all’imponente manifestazione milanese del 30 novembre, descriveva in questi termini l’auspicata convergenza con gli aventiniani: «In tre mesi la nostra battaglia è vinta su tutta la linea: la tesi di Rivoluzione Liberale è oggi accettata dalle opposizioni, i discorsi di Amendola e di Turati a Milano parlarono almeno altrettanto chiaro come i nostri articoli sul tema dell’intransigenza25».

  • 26 Giuseppe Zuccante, storico della filosofia e professore presso la Accademia scientifico-letteraria (…)

18Se dunque è legittimo identificare nel doppio registro della denuncia e dell’organizzazione del dissenso le finalità ultime del centone tucidideo, restano da approfondire i criteri che orientarono la rifunzionalizzazione del materiale antico in chiave contemporanea. In particolare, merita di essere considerata la notevole qualità della traduzione pubblicata da Gobetti. Quest’ultima offriva una resa sostanzialmente indipendente rispetto a quelle comunemente circolanti – fatta eccezione per alcune sovrapposizioni con i passi ‘corciresi’ della versione di Giuseppe Zuccante (1909)26 – e si segnalava per l’assenza di fraintendimenti della lettera, a dimostrazione che chi mise mano all’articolo doveva avere una buona padronanza della lingua greca ed essere versato nelle asprezze della prosa tucididea. Rilevare la mancanza di specifici errori grammaticali non significa però ammettere che le versioni raccolte nel centone fossero un esempio di resa fedele. Al contrario, esse mostravano a più livelli una deliberata manipolazione del testo di partenza.

  • 27 Λόγος τε ἐκ τοῦ φανεροῦ προείργαστο αὐτοῖς ὡς οὔτε μισθοφορητέον εἴη ἄλλους  τοὺς στρατευομένους ο (…)
  • 28 A queste esigenze vanno ricondotte le ricorrenti cassature di avverbi, attributi, perifrasi, che, n (…)

19Spicca, a questo riguardo, la frequente obliterazione di importanti dettagli legati alle tecnicalità del sistema ateniese, che, se richiamate, avrebbero contribuito ad allentare il nesso analogico tra passato e presente. Così, nel primo excerptum («La Marcia su Roma e i salvatori della Patria»), il centonatore decise di espungere il rimando al sistema dei misthoi e alla restrizione del corpo civico a 5000 unità27. Altre volte erano i titoletti a proporre un’interpretazione tendenziosa del greco: negli ultimi due brani, ad esempio, le didascalie («I “Ras” e l’amministrazione»; «Discordie tra i “Ras”») attribuivano ai fedelissimi di Mussolini – sempre identificati con i gruppi oligarchici – una serie di comportamenti delittuosi che Tucidide riferiva anche alla fazione democratica. Un’ulteriore categoria di infedeltà – più legata al piano stilistico-formale – si manifestava infine nella sistematica eliminazione di parole, sintagmi e giri di frase considerati pleonastici o ripetitivi. Tali omissioni, che punteggiavano il dettato della versione italiana, erano motivate dal chiaro intento di promuovere una resa più incisiva e conforme ai canoni del linguaggio giornalistico28.

20Il tratto più rilevante del modus vertendi del centonatore si esprimeva tuttavia nella marcata enfatizzazione della lettera, secondo una strategia amplificatoria che aumentava la pregnanza e la vis polemica del «corsivo», soprattutto nei luoghi in cui esso non considerava le rese di Zuccante. Tra i molteplici esempi che potremmo avanzare, segnaliamo una nutrita serie di espansioni, aggiunte e disambiguamenti che da un lato estremizzavano i sentimenti dei protagonisti (la temerarietà degli oligarchici, la compiacenza dello stato, la remissività del popolo), e, dall’altro, accentuavano le atrocità degli eversori:

καὶ ἄλλους τινὰς ἀνεπιτηδείους τῷ αὐτῷ τρόπῳ κρύφα ἀνήλωσαν E in tal modo tolsero di mezzo di nascosto alcuni tra i nemici» [Th. VIII, 65, 2]) > «Quindi tutta la parte popolare fu presa d’assalto con un crescendo di uccisioni sistematiche» [«Gli assassini»]

ἀντέλεγέ τε οὐδεὶς ἔτι τῶν ἄλλωνδεδιὼς καὶ ὁρῶν πολὺ τὸ ξυνεστηκός· εἰ δέ τις καὶ ἀντείποιεὐθὺς ἐκ τρόπου τινὸς ἐπιτηδείου ἐτεθνήκει («Nessuno degli altri replicava, temendo e vedendo il gran numero dei congiurati, e se uno si opponeva, subito moriva in un modo adatto» [Th. VIII, 66, 2]) > «Così numerosa ed insolente era divenuta la fazione oligarchica, che non si trovava alcuno che osasse alzare la voce contro di essa. Se, per caso, qualche temerario l’avesse tentato, le più sanguinose vendette erano pronte a colpirlo» [«La paura»]

καὶ τῶν δρασάντων οὔτε ζήτησις οὔτεἰ ὑποπτεύοιντο δικαίωσις ἐγίγνετο («Né si faceva ricerca dei colpevoli né processo dei sospettati» [Th. VIII, 66, 2]) > «Lo Stato non si curava di ricercare i colpevoli di tanti misfatti. Piena impunità era accordata agli assassini, che, anche se conosciuti, potevano circolare liberamente» [«L’impunità degli assassini»]

ἀλλ’ ἡσυχίαν εἶχεν  δῆμος καὶ κατάπληξιν τοιαύτην ὥστε κέρδος  μὴ πάσχων τι βίαιονεἰ καὶ σιγῴηἐνόμιζεν Ma il popolo se ne restava tranquillo e aveva un tale spavento da considerare un guadagno se uno non subiva violenza, anche se taceva» [Th. VIII, 66, 2]) > «Il popolo non osava protestare. Egli vivea in tale stato di spavento, che si riputava già felice di poter sfuggire con il silenzio allo sterminio che lo minacciava» [«Il silenzio»]

ἡσσῶντο ταῖς γνώμαις avevano l’animo abbattuto» [Th. VIII, 66, 3]) > «Ogni coraggio era prostrato. Un’aura di terrore travolgeva ogni cosa» [«I traditori»]

ἐκ δαὐτῶν καὶ ἐς τὸ φιλονικεῖν καθισταμένων τὸ πρόθυμον da queste [passioni] derivava anche l’ardore di uomini posti di fronte alla necessità di vincere ad ogni costo» [Th. III, 82, 8]) > «Queste passioni travolgevano gli spiriti e li eccitavano a osare qualunque scelleratezza» [«Inflessibilmente»].

21Così confezionata, l’antologia lasciava dunque trasparire un’articolata rielaborazione della fonte che coinvolgeva tanto il piano della dispositio quanto quello dell’elocutio. I brani prelevati dalle Storie non solo venivano redistribuiti in una sequenza originale, ma anche riformulati attraverso una serie di rese libere che potenziavano – e in parte alteravano – il dettato tucidideo. Quest’ultimo, sfrondato dalle informazioni inessenziali, risultava amplificato nell’intento di veicolare, con maggior incisività, precisi messaggi sugli avvenimenti contemporanei. L’esito, come anticipato, era quello di realizzare un’energica requisitoria contro l’autorità mussoliniana, spalleggiando le iniziative degli aventiniani. In quest’ottica, la parola dei classici si faceva anticipatrice – e in certo modo garante – di un vasto «programma di opposizione» che trovò piena formulazione in un editoriale gobettiano del 10 dicembre, in cui l’invocazione al «rovesciamento dell’oligarchia che tiene il governo» conservava l’eco delle suggestioni che avevano ispirato la composizione di «Tucidide e il fascismo»:

  • 29 P. Gobetti, «La successione», p. 185; corsivo mio.

Le opposizioni devono superare il punto morto dell’attuale vita italiana dichiarandosi pronte alla successione. […] Un governo così composto […] garantirà i seguenti vantaggi: 1) sarà un governo di partiti responsabili e non di avventurieri e di dittatori;2) sarà il primo governo che […] parlerà col prestigio della democrazia, del consenso e di una parte delle classi proletarie; 3) invece che da un blocco di interessi personali, nascerà da una collaborazione leale e aperta di forze e di programmi diversi, ma non contradditori, controllati dagli istituti democratici moderni; 4) invece di essere uno Stato balcanico o sud-americano l’Italia si metterà sulla via di diventare uno Stato europeo moderno. […] Se la forza dell’opinione pubblica favorevole a questo programma non sarà decisiva e concorde da rovesciare l’oligarchia che tiene il governo la battaglia avrà almeno guadagnato in chiarezza; la successione, più lontana, sarà più seria29.

«Classici della libertà»: Tucidide, Gobetti e l’interpretazione liberale della tradizione

  • 30 Cf. A. MautinoLa formazione della filosofia politica di Benedetto Croce. Con uno studio sull’auto (…)

22La stretta interrelazione tra il riuso delle Storie e l’agenda politica di Gobetti apre la strada a un ulteriore approfondimento sulle premesse teoriche che animarono il centone tucidideo. La naturalezza con cui la fonte antica venne integrata nell’orizzonte ideologico-programmatico del liberalismo gobettiano spinge infatti a domandarsi se, nelle intenzioni di Piero, non esistesse un dialogo più profondo tra la parola di Tucidide e le istanze che sostanziarono l’esperienza politica de La Rivoluzione Liberale; se cioè, dietro alla provocatoria riappropriazione del passato proposta da «Tucidide e il fascismo», non esistesse un progetto di recupero della tradizione più ambizioso di quello dettato dalla pur impellente necessità di aggirare le maglie di una censura fattasi ormai opprimente. Tali interrogativi, che certo non vogliono sottostimare il peso assunto dai condizionamenti esterni imposti dal regime, paiono ulteriormente giustificati dalla costante propensione di Gobetti a favorire, in qualità di pubblicista ed editore, un ampio e appassionato ripensamento di opere e autori da lui giudicati fedeli alla causa della libertà; una libertà – è bene chiarirlo – che Piero concepiva, secondo l’efficace formulazione di Gioele Solari, sia «come espressione della personalità individuale», sia, meno crocianamente, come «attività di personalità collettive» impegnate nell’agone politico30.

  • 31 P. GobettiLa filosofia politica di Vittorio Alfieri, Torino, 1923p. 97.
  • 32 A. Fabrizi, «Postfazione», in P. GobettiLa filosofia politica di Vittorio Alfieri, Roma, 2012, p. (…)
  • 33 A. Monti, «Con Piero Gobetti vivo e morto», Belfagor 11 (1956), p. 205. Sul rapporto tra Monti e Go (…)

23Espressione precoce di tale inclinazione fu la tesi di laurea di Gobetti, dedicata alla Filosofia politica di Vittorio Alfieri e discussa presso l’Università di Torino nel luglio 1922 sotto la guida dello stesso Solari. Il saggio, stampato l’anno successivo per la Piero Gobetti Editore, approfondiva l’attitudine libertaria e antidogmatica del pensiero alfieriano, individuando – nelle tragedie come negli scritti teorici – una prima elaborazione di quei concetti di popolo e nazione che avrebbero offerto il lievito ideologico ai moti risorgimentali. Nel corso della sua indagine, però, Gobetti non si limitava a celebrare la «religione della libertà» dell’Alfieri31, ma finiva per cercare nell’astigiano il proprio pensiero, offrendo «più che una lettura fedele dello scrittore […], una proposta politica nuova; per l’appunto il progetto della rivoluzione liberale32». Un atteggiamento fortemente attualizzante, dunque, che non rimase appannaggio del solo Piero, ma coinvolse l’intera rete dei suoi collaboratori, influenzando, tra gli altri, Augusto Monti, che proprio sotto la spinta della tesi gobettiana volle sperimentare un nuovo indirizzo pedagogico improntato alla lettura dei «nostri classici come ‘classici della libertà’33».

  • 34 P. GobettiLa Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, a cura di E. Alessandro (…)
  • 35 Ivip. 12. Per una recente sintesi dell’interpretazione gobettiana del pensiero di Machiavelli, vd (…)
  • 36 Sul contributo di Sallustio alla definizione del pensiero antitirannico di Alfieri cf. S. Casini, « (…)

24Se riesaminiamo allora in quest’ottica l’intera sequenza degli articoli di argomento storico pubblicati su La Rivoluzione Liberale nel ’24, ci accorgiamo che la rivista, oltre ad agire sul piano della polemica politica, ambiva a delineare una raccolta – ma potremmo anche dire un canone – di voci autenticamente liberali o comunque integrabili nell’alveo del liberalismo gobettiano. Tali erano senz’altro quelle di due anti-fascisti intransigenti come Francesco Saverio Nitti e Guglielmo Ferrero, autori, rispettivamente, del saggio sui moti napoletani del 1820 e dei passi ‘anti-cesariani’ antologizzati in «La dittatura di Cesare». Ad essi si potevano affiancare, quasi naturalmente, i nomi di Massimo D’Azeglio e Luigi Carlo Farini, patrioti e membri di spicco del gruppo dirigente sabaudo che avviò, insieme a Cavour, un processo di modernizzazione dell’Italia presentato dallo stesso Piero nei termini di una «rivoluzione liberale» ante litteram34. Infine, Machiavelli e Sallustio: il primo, più volte celebrato da Gobetti come precursore del libertarismo dell’Alfieri, aveva avuto il merito di instaurare una «religiosità civile» fondata sulla «spontaneità di iniziative e di economia35»; il secondo, severo critico dell’eversore Catilina, fu anch’esso autore alfieriano d’elezione …….

CONTINUA QUI: https://journals.openedition.org/anabases/7518?lang=fr

 

 

La tirannia del merito. In Cattolica la lezione del filosofo Michael Sandel

Il professore della Harvard University interverrà nell’ambito del ciclo di conferenze “Un secolo di futuro: l’Università tra le generazioni”. Al termine dialogherà con Romano Prodi

  ANSA EVENTI

Un filosofo popolare come una rockstar.

Michael J.

Sandel, professore alla Harvard University, porta avanti da tempo una riflessione sul merito nei suoi libri su giustizia, democrazia, etica e mercato tradotti in più di 30 lingue.

Il filosofo politico e morale statunitense interverrà giovedì 5 maggio all’Università Cattolica del Sacro Cuore nell’ambito del ciclo di conferenze “Un secolo di futuro: l’Università tra le generazioni”, l’iniziativa promossa dall’Ateneo in occasione del Centenario. The Tyranny of Merit: Can We Find the Common Good?, questo il titolo della lecture che si terrà, alle ore 18.00, in presenza nell’Aula Magna.

Introdurrà la lezione il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli.

Dopo la lecture Romano Prodi, presidente Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli, dialogherà con Michael Sandel su alcuni aspetti emersi durante la conferenza.

Secondo Sandel la meritocrazia è il mito della società dei consumi neo-liberista. Ma il successo è sempre figlio del merito? «Ingeneroso verso i perdenti e opprimente per i vincitori» il merito può diventare «un tiranno». Scrive il filosofo: «Negli ultimi anni la globalizzazione guidata dal mercato e la concezione meritocratica del successo, messe assieme, hanno sciolto i legami morali».

Sandel invece rimette al centro della società il bene comune: «Soltanto nella misura in cui dipendiamo dagli altri e riconosciamo questa dipendenza abbiamo ragione di apprezzare il loro contributo al nostro benessere collettivo».

Il filosofo ha sviluppato queste idee controcorrente mettendo in discussione il sistema universitario americano. Dopo la pandemia e la crisi globale in corso, qual è oggi il ruolo dell’Università? Consegnare alla società professionisti dediti esclusivamente alla propria carriera o cittadini responsabili e consapevoli di dover di restituire quanto ricevuto al bene comune? È in gioco un radicale ripensamento del legame sociale.

FONTE: https://www.ansa.it/sito/notizie/ansa_eventi/2022/05/04/la-tirannia-del-merito.-in-cattolica-la-lezione-del-filosofo-michael-sandel-_ab5700e6-6f79-4791-bf7e-d791cefff0da.html

 

 

 

La tirannia del merito

Nel suo libro All’inferno e ritorno. Per la nostra rinascita sociale ed economica, (Feltrinelli, Milano 2021, che ha in copertina l’immagine stilizzata di un labirinto, et pour cause) Carlo Cottarelli afferma una verità inconfutabile: la tutela del merito è «un fondamentale principio di efficienza economica». La parte seconda dell’opera, quella che narra il ritorno dall’inferno (vogliamo sperare) è infatti dedicata al merito, principio tanto lodato e magnificato quanto spinoso e non scevro di problemi.

Lo mostra infatti, con dissimili conclusioni, un altro testo di un altro autore ma della stessa casa editrice: La tirannia del merito (Feltrinelli, Milano 2021), che traduce la versione originale The Tyranny of Merit, di Michael Sandel. Sandel, la star mondiale della filosofia politica, il docente ad Harvard che incanta migliaia e migliaia di studenti nelle sue lezioni nella prestigiosa università statunitense ma anche sul web. Bene. Il testo di Sandel è integralmente dedicato al merito, all’efficienza della scelta effettuata secondo il merito, ma anche ai suoi effetti collaterali non sempre positivi e, nei confronti della giustizia, decisamente pessimi.

 

Un grado sufficiente di possibilità

Torniamo all’economista e all’efficienza produttiva che richiede il merito per distribuire incarichi e compensi individuali. Per lasciar operare correttamente questo criterio bisogna puntare, afferma Cottarelli, sul dare a tutti le stesse chances o uguaglianza di possibilità o meglio, per essere realisti, «un grado sufficiente di possibilità». Quando si cominciò a parlare di questi temi anni fa si usava l’immagine della corsa a condizioni impari: è ovvio che se si allineano sulla linea di partenza la gazzella e la tartaruga, al traguardo arriverà la gazzella, come Achille del resto, a meno che non ci metta lo zampino Zenone e gli faccia percorrere tutti i punti della linea uno dopo l’altro accordando un piccolo vantaggio alla tartaruga. Ma se la tartaruga venisse adeguatamente allenata? Ce la potrebbe fare? Fornire a tutti il grado sufficiente di possibilità vorrebbe dire equiparare le condizioni di partenza con espedienti tali da annullare i vantaggi di cui godono le gazzelle alla nascita: zampe lunghe e elastiche, allenamento costante per sfuggire ai leoni della savana: talenti ed esercizi che alla tartaruga non sono dati. Commenteremo dunque questo esempio con le parole di John Rawls, grande filosofo politico e teorico del liberalismo egualitario del Novecento, nonché forte critico della meritocrazia: «Nessuno merita il posto che ha nella distribuzione delle doti naturali, più di quanto non merita la sua posizione di partenza nella società. L’affermazione che un uomo merita il carattere superiore che lo mette in grado di fare uno sforzo per sviluppare le sue capacità è altrettanto problematica; il suo carattere infatti dipende in buona parte da una famiglia e da circostanze sociali a lui favorevoli, cose per cui non può pretendere alcun merito» (J. Rawls, Una teoria della giustizia, Milano 1982, p. 89).

 

Merito passivo e merito attivo

Davanti a talenti assegnati dal destino o merito passivo, zampe lunghe o alto Q.I., è facile dire che se non c’è responsabilità individuale non c’è merito. Ma anche la posizione che riconosce il merito attivo, quello che ha a che fare con la componente dello sforzo, la posizione cioè che mette in conto le diseguaglianze perché esse riflettono non le doti ma le ambizioni degli individui e le loro scelte responsabili, è indebolito dalla critica di Rawls. E se l’ambizione e la capacità di sforzarsi e di compiere scelte astute non fossero nient’altro che doti naturali, o capacità che si apprendono socialmente in certi contesti educativo-ambientali e non in altri, come sostiene Rawls? Per una scelta pienamente consapevole nei confronti dell’impegno e dello sforzo sono infatti necessarie premesse quali capacità di previsione, fiducia in se stessi, forza di volontà, costanza ecc., qualità in gran parte dipendenti da fattori ereditari, ambiente di nascita, cure parentali ed educative. Insomma Rawls mette a tacere entrambe le componenti del merito, entrambe ingiuste: il talento/ doti naturali, e la capacità di impegnarsi.

 

Umiliati e meritevoli

Ma la critica più forte al merito era arrivata vent’anni circa prima di quella di Rawls, e proprio dall’inventore, nel 1958, del termine meritocrazia, il sociologo inglese Michael Young. Ed era stato lo stesso Young a ideare l’equazione del merito universalmente accettata, ovvero:

 

Q.I. (talento, doti naturali) + sforzo (impegno, applicazione) = merito.

 

Attenzione però, perché nel suo The Rise of Meritocracy Young descrive la società meritocratica come una distopia della peggior specie, mostrando tramite l’espediente dell’ironia, le due facce della medaglia, cioè vantaggi e svantaggi della società meritocratica. Uno degli svantaggi peggiori, dal punto di vista sociale, è la divisione della società in intelligenti e stupidi; in istituzioni di serie A, popolate da persone per lo più arroganti, competitive, aggressive e prive di valori morali, e istituzioni di serie B che raccolgono persone in gran parte demoralizzate, avvilite e umiliate nella loro autostima. Si può ridurre a «invidia» il sentimento che proveranno questi ultimi nel vedersi relegati in simile condizione? Nella società meritocratica inoltre competitività e aggressione trionferebbero a tutto svantaggio di doti come la gentilezza e il coraggio delle persone, la loro immaginazione e sensibilità, simpatia, mitezza e generosità, mentre giovani privi di esperienza, saggezza e maturità, nota Young, potrebbero vantarsi dei loro meriti e spadroneggiare su persone più mature ma meno privilegiate.

 

La ricetta di Sandel

Le argomentazioni di Young e Rawls vengono riprese in toto nel volume di Sandel e condite con un po’ del Max Weber dell’etica protestante, con la colossale intuizione ivi contenuta della tensione insita, soprattutto nel Calvinismo, tra merito umano e grazia divina; con un pizzico di Pelagio e della sua idea (eresia! eresia!) che l’essere umano possa meritare la salvezza dell’anima senza l’intervento della grazia divina. Infine, con un po’ di critica alla retorica di Obama, il presidente che fuse merito ed eccezionalismo americano facendone il tema centrale delle sue campagne e presidenze: «Ciò che rende l’America così eccezionale, ciò che ci fa così speciali … è questa idea di base che in questo paese, non importa il tuo aspetto, non importa da dove vieni, non importa qual è il tuo cognome … se lavori duro e sei pronto ad assumerti responsabilità, puoi farcela, puoi andare avanti» (p. 14).

 

 

Se le opportunità sono uguali, e qui rientra Cottarelli a rafforzare le parole di Obama, le persone andranno dove talento e sforzo le porteranno e il successo sarà merito loro. Ma se talento e sforzo sono entrambi socialmente e culturalmente condizionati (per riprendere Rawls), e se la retorica del merito umilia e demoralizza la società e la spacca in vincenti convinti che il successo sia merito loro, e in perdenti indotti a pensare di aver meritato l’insuccesso (per riprendere Young) la conclusione di Sandel è drastica: «A condizioni di rampante disuguaglianza e di mobilità bloccata, ripetere il messaggio che siamo responsabili della nostra sorte e meritiamo quel che abbiamo erode la solidarietà e demoralizza i lasciati indietro dalla globalizzazione, etc. » (p. 17).

 

Merito e sorteggio

Dunque gli argomenti di Sandel, benché presentati nella solita maniera vivace e attraente e ricca di «casi», sono lungi dall’essere inediti. Forse un momento di originalità lo si può individuare nel suo introdurre un elemento di scelta particolare: il caso, il sorteggio. Prendiamo tutte le buste con le domande presentate dagli studenti per iscriversi a facoltà prestigiose o a corsi di laurea a numero chiuso e che soddisfino le condizioni date (cui io aggiungerei il pio desiderio della conoscenza del latino e della cultura classica), propone Sandel, buttiamole giù dalle scale dei templi della cultura universitaria e poi tiriamole su a casaccio, nel numero che corrisponde ai posti a disposizione, e forse riusciremo a eliminare un po’ di ingressi privilegiati…

 

Il caso, questo sconosciuto

Eh, un bel ritorno al sorteggio, con cui forse otterremmo qualche punto in più per la giustizia e anche per l’efficienza e saremmo tutti più contenti.

Del ruolo del caso nella scelta democratica si occupano Nadia Urbinati e Luciano Vandelli in una bella vela einaudiana del 2020: La democrazia del sorteggio, in cui si riscopre un metodo antico che ritrova oggi nuova energia. Nella richiesta del sorteggio si legge sfiducia nei confronti delle competenze; ma anche un rimedio alla crisi di risentimento, rancore e umiliazione che getta gli esclusi dai successi della globalizzazione nelle braccia dei partiti di estrema destra. Se infatti la scelta nasce dal caso non è necessario incolparsi dei propri insuccessi e si sta meglio; o se deriva, come accadeva per es. nell’Ancien Régime, da privilegi invalicabili di sangue, di ceto o di sesso come quelli cui si trova davanti, in Il Rosso e il nero di Stendhal, Julien Sorel, giovane dotato costretto a indossare la tonaca nera dell’ecclesiastico perché non può indossare la divisa rossa dei militari.

 

Il sorteggio in democrazia

In Italia la proposta di far intervenire il caso nella democrazia integrando le elezioni con il sorteggio è venuta dal Movimento 5 Stelle. Trovo l’idea attraente anche se viene proposta, per come mi posiziono io, da un avversario politico. Ma se c’è una cosa che ho imparato in questa pandemia è che ci si trova a correre il rischio di lodare il peggiore avversario politico, se dice qualcosa di ragionevole che i tuoi amici non dicono, o essere dal tuo peggior nemico lodato, in sintonia con le parole di Andrea Voßkuhle, Presidente della Corte Costituzionale tedesca.

 

Il libro, soprattutto nella parte di Urbinati, dà conto delle ragioni teoriche e delle esperienze storiche del sorteggio, che qui non ripercorreremo. Esso mostra soprattutto come l’introduzione della scelta per sorteggio potrebbe apportare alle società democratiche misure di difesa dell’eguaglianza legale e politica nonché di argine contro la corruzione. Di nuovo un bel modo per coniugare efficienza e giustizia. Interessante, nell’analisi di Urbinati, è l’idea della necessità che chi lo pratica sia convinto che il sorteggio sia neutrale, non influenzato, ed equivalga, ecco il punto, al caso assoluto. Ma non c’è anche una questione di convinzione alla base del «riconoscimento egualitario», che solleva le persone dalla condizione di umiliazione e depressione economica, assegnando loro una dignità che può essere utile per puntare a riscattarsi?

 

Il suffragio e la sorte

La sorte deve essere davvero centrale se si è pensato di poterle affidare decisioni anche importanti. Soprattutto essa ci deve apparire imparziale, sopra le parti, neutrale e non influenzata da fattori esterni, in una parola, giusta: non è un caso che entrambe le personificazioni, della giustizia e della fortuna, portino una benda sugli occhi. Nella scelta condotta a caso non concorrono né la ragione determinata né la volontà intenzionale; essa avviene per accidente, avrebbe detto Aristotele, e non in vista di un fine, anche perché la sorte, come sappiamo, non ci vede tanto bene.

 

Per noi occidentali moderni che abbiamo attraversato il pensiero platonico, il quale ci attribuisce una razionalità che guida al bene, nonché il pensiero cristiano che ci riconosce una volontà libera che svolge la stessa funzione, per noi che continuiamo a credere fortemente nel peso di questi fattori, volontà, ragione, intenzionalità, merito, è difficile convivere con l’idea greca arcaica di poter essere controllati da forze esterne a noi, di essere attaccati a un filo da cui pendiamo (sorte viene dal latino sérere, annodare, legare insieme). Ci illudiamo invece di essere guidati unicamente da ragione e volontà, intenzione e impegno, come se contenessero più saggezza del destino. I greci antichi procedevano spesso alle elezioni di governanti e magistrati per sorteggio: che avessero ragione loro? Che ci sia nel caso una nuova possibilità di tenere insieme merito, efficienza e giustizia?

FONTE: https://www.doppiozero.com/materiali/la-tirannia-del-merito

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Brindisi, Lavrov, spie russe in TV: un dibattito senza regole

Tra sostenitori e detrattori continua a far discutere l’intervista di Giuseppe Brindisi al Ministro degli Affari esteri russo Sergej Lavrov

Lavrov ha fatto un comizio o un intervista? Al dibattito avrebbe dovuto partecipare la nostra classe politica rappresentata in Parlamento e al Governo, non per esprimere opinioni o criticare, ma per assumersi le conseguenti responsabilità normative e di moral suasion verso il mondo dei media evidentemente senza regole e non lasciando pilatescamente a giornalisti, testate, emittenti pubbliche e private, assistite o meno dall’Ordine dei giornalisti, il compito di trovare tra di loro una soluzione che possa accontentare più o meno tutti, compresi gli ospiti incendiari dei talk show. Certo ci saranno le audizioni al COPASIR, ma a cosa possano portare è difficile a dirsi, in uno Stato democratico che nella sua Costituzione giustamente prevede: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Un articolo scritto quando non esisteva né la televisione né internet.

Eppure qualcuno avrebbe potuto seriamente, se non dovuto, chiedere al Sistema Italia, al di là del guasconesco auspicato intervento della neuro-deliri, a chi potrebbe, stante la legge che non c’è, rivolgersi un giornalista, quando si è coinvolti in una guerra con il Paese dell’ospite, per sapere se questi sia una spia o, qualora lo si sappia già, se esistano norme capaci di interdire uno scoop. Nessuna domanda nessuna risposta. Il tema del contendere è stato tutt’altro e tutto autoreferenziale alla categoria.

Così, mentre le parole di Lavrov facevano il giro del mondo e continuano a farlo rimbalzando da ogni media, suscitando sdegno e biasimo, gli attacchi a Brindisi da parte di colleghi, politici e ben pensanti si sono concentrati su lezioni di tecnica della “vera” intervista e sulle conseguenti regole d’ingaggio che loro avrebbero imposto se fossero stati scelti per condurla. Curiosamente tutti questi critici, forse per modestia, hanno citato un solo esempio di grande capacità dell’intervistare, quello di Oriana Fallaci che scontenta dell’andamento dell’intervista all’ayatollah Khomeini ai saluti per protesta lasciò cadere lo chador “stupido cencio da medioevo”. Sia come sia la sentenza è stata emessa: “Un comizio, non un’intervista con contraddittorio”. Qualcuno dei colleghi è persino ricorso all’interpretazione del linguaggio del corpo per trarne ulteriori certezze sull’assoluta subalternità dell’intervistatore: quel continuo annuire è un messaggio subliminale che suggerisce al pubblico assenso verso Lavrov. Anche il mondo politico è stato critico tanto che persino Draghi ha trovato da ridire in un discorso ufficiale sul modo in cui è stata condotta questa intervista.

Sicuramente Giuseppe Brindisi, con 31 anni di carriera in Mediaset, per la sua attitudine personale e per il suo conseguente porgersi gentile e quasi timido, tanto da essere soprannominato “tachipirina”, è un giornalista un po’ fuori dal coro rispetto alle altre conduttrici e conduttori dei vari talk show; tutte e tutti orientati al giornalismo di intrattenimento “strillato” o “enfatico” e, diciamo, più aperti, direttamente o tramite i loro ospiti, al “complottismo”. 

Eppure le domande Brindisi, a contarle, le ha fatte e non sono poi state così poche, addirittura 20, e anche le “interlocuzioni” non sono mancate come appunto quella sulla “denazificazione”, madre della gaffe di Lavrov. Numeri che rispetto a quelli di altri giornalisti televisivi, conduttori di speciali e talk show, non lo fanno certo sfigurare. I critici che, salvo rare eccezioni puntualmente collegate alla posizione del successo contingente nella curva di Gauss del politico intervistato, non brillano e non hanno mai brillato per il loro giornalismo “anglo-sassone”, genere che in Italia non si è mai veramente sviluppato ed è inutile cercarlo o invocarlo, soprattutto in TV dove le vere regole d’ingaggio sono “fare spettacolo” – a tutti i costi – per l’audience e le conseguenti entrate pubblicitarie.

Anche la tecnica di far esprimere l’intervistato compiutamente senza fastidiose e distorsive interruzioni è risultata vincente se è vero che ha avuto l’effetto più inimmaginabile e devastante per un navigatissimo personaggio della politica mondiale, quello di farlo addirittura “incartare” da se stesso sull’antisemitismo. Ridicolo credere che Lavrov abbia tirato in ballo la storia dell’Hitler ebreo per – come vorrebbero alcuni sottili analisti italiani – accattivarsi i nostrani “cospirazionisti”, inimicandosi però gli ebrei di tutto il mondo e in particolare lo Stato di Israele. Se non è una “Vóce del sén fuggita” al cagnesco Lavrov, potrebbe essere però un avvertimento “pubblico” a Israele in linea con la strategia del “Terrore” voluta dalla Propaganda russa. E’ lo stesso Putin a chiarirlo, dopo le dure reazioni del ministro degli Esteri Yair Lapid che ha convocato subito l’ambasciatore russo in Israele, nella sua telefonata di scuse al premier Naftali Bennett. Un altro successo di Brindisi.

Ugualmente tristi per il giornalismo italiano e per tutti noi a prescindere se siamo o no filo-putiniani o ucraini, le parole di denigrazione, spuntate fuori nel dibattito, da parte di ora pensionati “corrispondenti”, comodamente a casa, verso i giovani inviati, tra l’altro numerosissimi e non solo giovani, in Ucraina; tacciati di essere “impreparati” e, quindi, per questo condotti per mano dalla propaganda ucraina. Critici, oggi come allora, “intellettuali rivoluzionari” protetti però dalla libertà di stampa assicurata dalla Democrazia occidentale e, in particolare per loro, italiana. Tanto vittime del loro ideologismo da non accorgersi di una grande differenza tra il loro lavoro e quello di questi “giovani”: allora l’Italia non era impegnata direttamente a sostenere un Paese europeo invaso dalla Russia. Piaccia o non piaccia questi giovani rischiano la pelle e sono i nostri occhi, se sono troppo “eterodiretti” (parola cara alla vecchia logomachia sovietica) la soluzione è facile proprio perché siamo una Democrazia: i “vecchi leoni” vadano in Ucraina e scendano in campo: “E col valor mostrâr quali erano i padri lor”. Altrimenti: “un bel tacer non fu mai scritto”.  

Purtroppo nei talk show tutto si può fare tranne che tacere; ogni ego sembra rimanere vittima, anche quello dei filosofi e non solo dei giornalisti, delle leggi del “self branding” al punto che gli studiosi dei media parlano di una vera nuova patologia, la Iatrodemia.

Al di là delle nostre simpatie, alla luce della nostra Costituzione nella realtà del nostro giornalismo, in particolare dell’Infotainment televisivo tipico dei talk show, sia Brindisi che tutti gli altri colleghi a favore o contro di lui sono nel giusto. Come pure tutti gli ospiti specialisti e non. Infatti ognuno di loro può esercitare la sua professione e far “agire” i personaggi che intervista o invita in studio come meglio crede in virtù delle leggi ferree dello spettacolo televisivo. Tutti lo fanno come possono e soprattutto come gli è consentito dall’editore. Certo pensare che il Ministro degli Affari Esteri della Russia, Sergei Lavrov, abbia concordato le regole d’ingaggio della sua intervista con il solo Brindisi e non con l’editore e “su su per li rami” può ingenerare nei più malevoli qualche sospetto, ma questo, va detto chiaramente, sarebbe avvenuto con qualsiasi altro giornalista, testata e/o emittente.

Il clamore nasconde la trasparenza e a pensarci bene nessuno di noi conosce se non vi partecipa le regole di selezione e d’ingaggio dei talk show, siano essi di emittenti pubbliche o private, e qualora le conoscesse non saprebbe mai se sono le stesse applicate anche agli altri ospiti, magari russi. Anzi non sappiamo e non sapremo mai né come vengano scelti, italiani o stranieri che siano, né se e quanto vengano pagati.

Certo il talk show è un genere assai pericoloso specie quando è “politico” perché di fatto, mescolando la spettacolarizzazione al giornalismo e alle specializzazioni, distrugge qualsiasi autorità della fonte tanto più che qui, grazie ad un uso forzato del concetto di democrazia e di libertà di espressione, vige veramente il concetto di “uno vale uno”, anzi qui chi è più “caratteriale” o “estremo” vale di più. A seguire i battibecchi starnazzanti basati su catene infinite di opinioni sulle opinioni proprie e degli altri c’è soltanto da rimpiangere le vecchie “Tribune politiche”.

Per sottrarsi a questa Infodemia voyeurista c’è un unico modo, che però purtroppo lascia il campo più libero agli esaltati spesso deliranti, quello scelto dai tre ricercatori specializzati in geopolitica, Andrea Gilli, Nona Mikelidze e Nathalie Tocci, di rifiutarsi di partecipare a DiMartedì che addirittura quella sera, oltre all’ormai immancabile giornalista star del Ministero della Difesa russo, Nadana Fridrikso, ha schierato 36 ospiti, esclusi Luca e Paolo, il duo satirico che introduce le puntate. Quanto possano realmente “approfondire” tanti ospiti e i telespettatori in 225 minuti è difficile a dirsi, ma tant’è stiamo parlando di una trasmissione di indubbio successo. Ovviamente il rifiuto non è diretto alla specifica conduzione di Giovanni Floris, giornalista di provata qualità, ma a tutte le trasmissioni: “Ci si può confrontare sulle opinioni, sulle interpretazioni e sulle soluzioni: non con chi diffonde dati falsi preparati direttamente dall’ufficio propaganda del Cremlino. È anche una questione di rispetto verso giornalisti, ricercatori e docenti russi che rischiano il carcere per semplice dissenso”.

E già, la cosa sfugge a molti: siamo in guerra! Quindi? Verso il nemico la prudenza sarebbe d’obbligo!

Del resto se siamo passati proprio in questi giorni al 58° posto dal 41° nella 20ª edizione della Classifica mondiale sulla libertà di stampa del Reporter senza frontiere (RSF) un motivo ci sarà. Anzi lo studio ne individua diversi, sintetizzando nell’incipit che siamo, non solo noi italiani ma il mondo, nel “Caos dell’informazione”, ossia “uno spazio digitale globalizzato e deregolamentato, che favorisce la falsa informazione e la propaganda”. Un nuovo universo informazionale “caratterizzato da due polarizzazioni”, una interna e l’altra esterna agli Stati. “Nelle società democratiche, lo sviluppo dei media d’opinione sul modello di Fox News e la banalizzazione dei circuiti di disinformazione, amplificati dal funzionamento dei social network, provocano un aumento delle divisioni. A livello internazionale, l’asimmetria tra società aperte da un lato e regimi dispotici che controllano i loro media e piattaforme mentre conducono guerre di propaganda dall’altro indebolisce le democrazie. Ad entrambi i livelli, questa doppia polarizzazione è un fattore di intensificazione delle tensioni”.

In questo quadro i giornalisti italiani e gli editori vengono fotografati così: “I giornalisti italiani lavorano, nel complesso, in un clima di libertà. Tuttavia, i professionisti dell’informazione a volte cedono all’autocensura, sia per la linea editoriale seguita dai loro media, sia per paura di possibili azioni legali come denunce per diffamazione, o per paura di rappresaglie da parte di attori estremisti e reti mafiose”….“L’universo dei media è sempre più dipendente dagli introiti pubblicitari e da eventuali sussidi pubblici dovuti alla crisi economica. La professione sta inoltre affrontando il progressivo calo delle vendite di giornali e riviste. Il risultato è un pericoloso processo di precarietà che limita l’esercizio, il vigore, ma anche l’autonomia del lavoro dei giornalisti”.

Ovviamente, il report evidenzia anche come in Italia la libertà di stampa “continua ad essere minacciata dalle organizzazioni mafiose, in particolare nel sud del Paese, nonché da vari gruppi estremisti violenti o di protesta. Questi hanno visto un aumento significativo durante la pandemia”. In tutto sono una ventina i giornalisti sotto protezione.

Interessante è la notazione che l’attuale “polarizzazione” a favore di questo o quello ha visto affermarsi una nuova figura del giornalismo, quella dell’”opinionista”, in verità più un “genere” del giornalismo specialmente televisivo. Una qualifica che prima spettava soltanto a quei giornalisti, meglio se polemici, chiamati a discettare su tutto, società, costume, politica, sport, sesso etc., ma che oggi comprende anche tutti coloro che per proprie caratteristiche comportamentali, più che per reale peso scientifico, conoscitivo o politico, vengono ospitati, come utili relais, nei programmi televisivi per accendere il dibattito. Gli “opinionisti” si affrontano schierati anche scenograficamente uno di fronte all’altro dal conduttore, anche lui di fatto un opinionista, restando fedeli tutti e per tutto il tempo ai loro cliché, le proprie opinioni, in contrapposizione a quelle degli altri opinionisti ospiti. Una contrapposizione tra esperti e opinionisti che diventa pura spettacolarizzazione delle contrapposizioni. Dove anche la guerra reale e la resistenza di un popolo all’invasore diventano, mescolate all’insofferente guerra delle parole in studio, metafora delle metafore per il telespettatore e utile strumento di guerra per i russi che ci guardano.

Un’insofferenza e una guerra delle parole che ora fermenterà maggiormente e non solo tra i conduttori dei talk show perché il presidente del Copasir, On. Adolfo Urso, su sollecitazione della Vigilanza RAI, ha annunciato che dall’11 al 18 maggio sono state programmate le audizioni del direttore dell’AISi, Mario Parente, dell’amministratore delegato RAI, Carlo Fuortes, e del presidente Agcom, Giacomo Lasorella. Addirittura il Copasir procederà a svolgere autonomamente delle audizioni per “un approfondimento sulla ingerenza straniera e sulla attività di disinformazione, anche al fine di preservare la libertà e l’autonomia editoriale e informativa da qualsiasi forma di condizionamento, con particolare riferimento al conflitto tra Russia e Ucraina”. 

Gli opinionisti si sfregano le mani, c’è molto lavoro all’orizzonte e probabilmente capire cosa debba fare a rigor di legge un giornalista di un Paese in guerra quando potrebbe intervistare una spia o un ministro dello Stato avversario non importa a nessuno. Nella deregulation c’è più mercato.

Eppure un modello ci sarebbe, mutuando quello già praticato nel rapporto consolidato tra il DIS e gli imprenditori che si recano all’estero; ma pensando al tempo che occorrerebbe soltanto per delineare questo percorso (su cui tra l’altro pesa anche il divieto di contatti tra queste due categorie) forse saremo pronti a guerra finita.

FONTE: https://www.infosec.news/2022/05/06/news/guerra-dellinformazione/brindisi-lavrov-spie-russe-in-tv-un-dibattito-senza-regole/

 

 

 

ECONOMIA

Chi sta fabbricando la crisi alimentare?

Si parla spesso di crisi alimentare come conseguenza prima del covid e poi della guerra in Ucraina con le  sanzioni alla Russia che è un grande produttore di grano e fertilizzanti ( per fabbricare i quali è peraltro necessario il gas), ma si ha anche l’impressione che questa crisi sia attentamente guidata e che gli effetti di base vengano amplificate da decisioni incomprensibili e contrarie ad ogni logica. Basta vedere cosa sta combinando l’amministrazione Biden i cui funzionari  per  “controllare l’inflazione energetica” hanno messo restrizioni draconiane sul trasporto di fertilizzanti su ferrovia proprio nel momento cruciale per la semina primaverile. R tali restrizioni si allargano anche a quello che in Europa si chiama AdBlue,  necessario per i motori diesel: una mossa geniale perché così si è ridotta la possibilità che le consegne vengano fatte su gomma. Davvero geniale e  poi Biden in persona ha fatto conoscere l’”audace” iniziativa del segretario all’agricoltura  che per rimediare ai i prezzi record della pompa di benzina. ha consentito un aumento del 50% del mix di biodiesel e etanolo a base di mais per l’estate. Il punto centrale però è che che ogni ettaro di terreno agricolo statunitense dedicato alla coltivazione del mais per i biocarburanti sarà terreno  sottratto alla produzione alimentare provocando dunque un aumento dei prezzi del cibo e dei mangimi per gli animali, senza peraltro raggiungere lo scopo di un significativo sconto sui carburanti. E non si esagera se si pensa che già oggi la produzione di mais è per il 40 per cento dedicata al biocarburante e che quello alimentare è in parte importato dalla Russia. E ancora  non basta : in quella che sta chiaramente diventando una guerra al cibo da parte dell’amministrazione statunitense, la situazione è drammaticamente aggravata dall’imposizione  agli allevatori di polli di uccidere milioni di uccelli presumibilmente per segni di infezione da influenza aviaria. Il  “virus” dell’influenza aviaria H5N1  è stato smascherato nel 2015 come una bufala completa, ma adesso bisognerà fare un test Pcr anche ai polli, cioè con sistemi ancora più inaffidabili che sugli esseri umani .

Funzionari del governo degli Stati Uniti stimano che da quando i primi casi sono stati “risultati” positivi a febbraio, almeno 23 milioni di polli e tacchini siano stati abbattuti per contenere presumibilmente la diffusione di una malattia la cui causa potrebbe essere invece  il confinamento incredibilmente antigienico nelle gabbie di allevamento intensivo: evidentemente a certuni le gabbie per polli e umani piacciono troppo. Il risultato è un forte aumento dei prezzi delle uova di circa il 300% da novembre e una grave perdita di fonti proteiche efficaci per i consumatori americani in un momento in cui l’inflazione complessiva del costo della vita è ai massimi di 40 anni. A peggiorare le cose, la California e l’Oregon stanno nuovamente dichiarando l’emergenza idrica in mezzo a una siccità pluriennale e stanno riducendo drasticamente l’acqua di irrigazione agli agricoltori della California, che producono la maggior parte della frutta e verdura fresca degli Stati Uniti per usarla ad altri scopi. Da allora quella siccità si è diffusa a coprire la maggior parte dei terreni agricoli a ovest del fiume Mississippi, il che significa gran parte dei terreni agricoli degli Stati Uniti. Così Biden se va in giro a dire che la carenza alimentare ” sarà reale”

Nell’UE, che dipende in modo significativo da Russia, Bielorussia e Ucraina per i cereali da foraggio, i fertilizzanti e l’energia, le sanzioni stanno peggiorando drammaticamente la carenza di cibo che era già stata innescata dalle scellerate misure per il covid  Del resto ‘UE usa la sua sciocca Agenda Verde come scusa per impedire aiuti di stato agli agricoltori italiani, mentre in Germania il nuovo ministro dell’Agricoltura del Partito dei Verdi Cem Özdemir, che vuole eliminare gradualmente l’agricoltura tradizionale presumibilmente per le sue emissioni di “gas serra” sostituendola con quella Ogm, e coltivazione di insetti,  ha dato una risposta negativa agli agricoltori che vogliono coltivare più cibo. L’Ue deve affrontare molte delle stesse disastrose minacce alla sicurezza alimentare degli Stati Uniti con  una dipendenza ancora maggiore dall’energia russa che sta per essere sanzionata in modo suicida dall’ Unione: anche in questo l’agricoltura sarà una delle vittime prescelte. Ovvero il cibo per i cittadini.

Insomma parrebbe proprio che questa crisi alimentare abbia come origine l’incredibile stupidità di governi e di decisori che fanno esattamente il contrario di ciò che dovrebbero, oppure che si stia appositamente soffiando sulla carestia come nuova emergenza che si aggiunge al covid e alla guerra lucidamente provocata in Ucraina addossandone la colpa alla Russia come possono fare solo i più stupidi servi.  E del resto sapendo che Bill Gates è diventato il primo proprietario terriere degli Usa e che molti super  miliardari investono nel settore agricolo non c’è niente di buono da sperare. D’altra parte il costante tentativo di governare i popoli con l’emotività di pancia non potrà che concludersi  concludersi  che con la pancia vuota.

FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2022/05/03/chi-sta-fabbricando-la-crisi-alimentare/

DRAGHI LIQUIDA LA PACE E IL SUPERBONUS 110: MEGLIO LE ELEMOSINE DI STATO DA 200 EURO

Col suo discorso a Strasburgo Super Mario mette il freno a mano sulla misura che ha fatto ripartire il settore edilizio. Sinceramente fanno tenerezza coloro che propongono lo strumento dei tax-credit (moneta fiat), ma che ancora non comprendono le reali politiche del governo

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Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org

Il nostro premier Mario Draghi si è presentato al parlamento europeo di Strasburgo nelle vesti del leader autorevole di questa Europa ed autodefinendosi pacifista, ha prospettato al mondo ma soprattutto a Putin la priorità di un “cessate il fuoco”, attraverso le seguenti parole:

 

«La piena integrazione dei Paesi che manifestano aspirazioni europee non rappresenta una minaccia per la tenuta del progetto europeo. È parte della sua realizzazione. L’Italia sostiene l’apertura immediata dei negoziati di adesione con l’Albania e con la Macedonia del Nord, in linea con la decisione assunta dal Consiglio Europeo nel marzo 2020. Vogliamo dare nuovo slancio ai negoziati con Serbia e Montenegro, e assicurare la massima attenzione alle legittime aspettative di Bosnia Erzegovina e Kosovo. Siamo favorevoli all’ingresso di tutti questi Paesi e vogliamo l’Ucraina nell’UE». [1]

 

Praticamente se, invece di pronunciare queste parole, avesse ordinato ai nostri militari di lanciare missili su Mosca, le probabilità di essere considerato meno guerrafondaio ed ostile dal Cremlino, sarebbero state molto maggiori.

Se a questo aggiungiamo le dure parole, con le quali il nostro premier, ha stigmatizzato l’intervista andata in onda su Rete 4 al ministro russo Lavrov, sinceramente resta difficile comprendere cosa realmente stia passando nella sua testa in tema di posizionamento strategico per il nostro paese rispetto ai rapporti con il Cremlino. Rapporti già nettamente compromessi, alla luce della ferma condanna italiana della guerra lanciata dalla Russia all’Ucraina, che ha di fatto messo fine all’amicizia di lungo corso tra Mosca e Roma”.

Di tale repentino e pericoloso cambiamento se ne è reso conto perfino il Financial Times, secondo il quale ”il nuovo e duro approccio dell’Italia del premier Mario Draghi rispetto alla Russia segna uno dei più grandi cambiamenti di politica estera in Europa da anni”. [2]


Ma andiamo oltre e parliamo dell’argomento dell’articolo, anche se certamente con queste parole e questo atteggiamento Super Mario non contribuisce a rendere tranquillo il popolo italiano.

Quello che però ha sorpreso (non il sottoscritto), nell’intervento di Draghi a Strasburgo è l’aver toccato un argomento apparentemente di stretta rilevanza nazionale, ovvero la quotidiana ed altalenante questione del Superbonus-110. [3]

Dicevo appunto, che per chi scrive, tutta questa avversione di Draghi verso il provvedimento del bonus 110%, non è affatto una sorpresa. Già in tempo lontani e non sospetti, ho più volte scritto ed evidenziato le reali ragioni di tale avversione.

Chi invece sono rimasti ancora una volta sorpresi ed apparentemente delusi, sono tutti  gli esponenti del M5S che lo hanno introdotto e tutti coloro che si fanno promotori di proposte e disegni di legge che prevedono l’utilizzo dello strumento dei tax-credit (crediti fiscali), per bypassare i famosi parametri europei, che di fatto bloccano lo sviluppo economico del nostro paese.

Ve lo dirò ancora una volta e molto più chiaramente:

 

L’intento di Draghi non è quello di bloccare il provvedimento del bonus 110 – ma quello di bloccare l’uso dello strumento dei tax-credit

E, non a caso, ha voluto dichiarare questa sua intenzione a tutti i partner europei a Strasburgo. Ha voluto rassicurarli che l’Italia ed il suo governo continueranno a seguire follemente quelle regole e quei parametri che ci hanno portato all’attuale disastro economico.

Non voglio essere ripetitivo e nemmeno contrariare i “Galileo Galilei” dei crediti fiscali, ma la moneta fiat, ricordo ancora, è per definizione un credito fiscale e quindi i crediti fiscali (tax-credit) sono soldi veri – e questo Super Mario lo sa molto bene.

I tax-credit, ovvero i soldi, sono l’elemento essenziale che serve per far riprendere occupazione e consumi e far tornare il nostro paese ad un livello di benessere diffuso e purtroppo a noi negato da diverse decadi, per mano delle politiche di austerity fedelmente applicate da tutti i nostri governi.

Quindi, giorno dopo giorno, siamo qui ancora a chiederci per quale motivo Draghi ed il suo fedele ministro Franco, le provino tutte per boicottare il bonus 110!

Se vi ricordate, Draghi e Franco, già pochi mesi fa, con la scusa ridicola delle truffe, ci avevano già provato a farlo fuori Ve ne avevo già parlato in articolo sul tema (IL DIBATTITO INQUINATO SUI CREDITI FISCALI CHE CAUSEREBBERO FRODI FAVORISCE L’AUSTERITÀ DI DRAGHI).

Oggi, dopo averci studiato un po’, sono tornati alla carica con argomentazioni, a prima vista per i meno esperti, più credibili

Il nostro governo è nato come governo ecologico, fa del clima e della transizione digitale i suoi pilastri più importanti. Ma non siamo d’accordo su tutto, sul Superbonus 110% non lo siamo, perché il costo di efficientamento è più che triplicato e il prezzo degli investimenti per attuare le ristrutturazioni sono triplicati, perché toglie la trattativa sul prezzo

ha tuonato Draghi dallo scranno del Parlamento Europeo. [3 ibidem]

Se da una parte non vi è dubbio che le imprese edili esecutrici dei lavori non si siano fatte scrupoli ad applicare i prezzi massimi dei listini, forti dell’indifferenza di chi ha ordinato i lavori (tanto non si paga di tasca), dall’altra parte è inaccettabile che un paese definitosi democratico e sovrano, debba ricorrere a tali misure perché per lunghi anni i suoi governi hanno fatto mancare deliberatamente le risorse necessarie ad una reale e diffusa ripresa della nostra economia.

Se il nostro fosse un governo serio e rispettoso del benessere della nazione – visto che oggi, di fatto, la BCE garantisce il nostro debito pubblico, non avrebbe assolutamente bisogno dello strumento dei tax-credit per spendere – lo potrebbe fare tranquillamente a deficit.

Come del resto ha fatto negli anni della pandemia; quando dopo aver messo in soffitta il “mantra” dei parametri di Maastricht, abbiamo potuto toccare con mano che con un deficit del 11%, niente di catastrofico è accaduto sui mercati e nessun downgrade da parte delle Agenzie di rating si è abbattuto sui nostri bond.

Un po’ di luce in fatto di comprensione sui reali intenti di Draghi rispetto al super bonus, è arrivato finalmente da alcuni senatori del M5S, (evidentemente già spinti da Conte in campagna elettorale), in un comunicato hanno dichiarato all’indirizzo di Draghi:

é stata gettata una volta per tutte la maschera: forse alla base dei continui paletti normativi e della ossessiva smania dell’esecutivo di voler limitare la circolazione dei crediti fiscali, c’è proprio questa insofferenza del presidente del Consiglio nei confronti del provvedimento

[3 ibidem]

Finalmente qualcuno ci arriva, il nodo cruciale è la limitazione nella circolazione. E certo, se impedisci ai soldi di circolare, ne anestetizzi la loro utilità e l’effetto moltiplicatore della spesa che il governo ha fatto con quei soldi.

Insomma, Draghi e chi l’ha preceduto, in piena linea su come dovrà essere il nuovo ordine economico mondiale, eseguono alla perfezione quello che è uno dei principali dettami di Davos: togliere la moneta dalla disponibilità del popolo. E certamente il veto sui crediti fiscali va in questa direzione.

Purtroppo, mio malgrado, devo constatare che sono ancora molti, sia fra gli amici, sia fra chi opera nell’informazione indipendente, coloro che ancora non riescono o non vogliono cogliere questo aspetto fondamentale, continuando a dare fiducia al nostro premier.

Mi fa veramente preoccupare chi ancora crede, in maniera del tutto ingenua, che l’obiettivo da impallinare da parte di Draghi, sia il Superbonus e non lo strumento tax-credit; autoconvincendosi dietro frasi del tipo “non l’ha mai detto”, oppure facendo finta di credere che Draghi stesso sia promotore dello strumento dei crediti fiscali, stante il fatto che il suo governo li sta utilizzando per ridurre il peso del caro energetico per le aziende. [4]

Sarò sintetico: se ad una azienda, raddoppi il suo costo per approvvigionarsi dell’energia e poi glielo riduci del 20% concedendo un credito fiscale, non è impossibile da comprendere che questa azienda avrà sempre un aumento dell’80%. Come non è difficile da capire che questo aumento sarà per lei una perdita secca che andrà a minare, forse anche in modo definitivo, la sua redditività e quindi la prospettiva di una eventuale chiusura dell’attività.

Quindi, cari amici conferenzieri, cari lettori, come ho sempre sostenuto con forza fin dall’inizio (a maggior ragione quando sono stato interpellato dagli addetti ai lavori), è inutile magnificare e promuovere lo strumento dei crediti fiscali, se parallelamente non si identificano le prospettive a livello macroeconomico, ovvero quantità e qualità della spesa pubblica che intendiamo mettere in atto a livello di politica fiscale.

Se non abbiamo chiaro questo, si ottiene solo l’effetto di portare acqua al Mulino di Draghi e di quelli come lui che hanno come unico intento quello di far bere lo schiavo un poco alla volta, tanto per non farlo morire troppo alla svelta, altrimenti poi chi è che lavora per loro?

Ed è sempre con lo stesso spirito di tenere in vita lo schiavo, che ieri nella conferenza stampa riservata al Consiglio dei ministri, Draghi ha avuto il sadico piacere di comunicare agli italiani afflitti dal caro bollette e da un carrello della spesa sempre più pesante, che saranno elemosinati della mastodontica cifra di 200 euro una tantum. [5]

Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org

NOTE

[1] Draghi a Strasburgo: «Cessate il fuoco è priorità, a Bucha umanità oltraggiata. L’Ue superi i veti e decida a maggioranza qualificata» – Il Mattino.it

[2] Il globalista Financial Times incensa Draghi: ha messo fine alla lunga amicizia Italia-Russia – Secolo d’Italia (secoloditalia.it)

[3] Draghi liquida il Superbonus 110%: “Non sono d’accordo, ha triplicato i costi” (mediaset.it)

[4] Gas, crediti d’imposta dal 20% al 25% – MilanoFinanza.it

[5] Decreto aiuti, la conferenza stampa con Mario Draghi: la diretta – Il Fatto Quotidiano

FONTE: https://comedonchisciotte.org/draghi-liquida-la-pace-e-il-superbonus-110-meglio-le-elemosine-di-stato-da-200-euro/

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

GEOPOLITICAMENTE CORRETTO

di Nestor Halak
ComeDonChisciotte.org

Sembra oramai piuttosto chiaro che il potere attualmente al comando negli Stati Uniti e in Europa, non sia principalmente espressione dei meccanismi politico istituzionali che storicamente avevano portato al governo determinate fazioni politiche che, seppure molto indirettamente, rispondevano alle popolazioni attraverso i sistemi elettorali, ma sempre più espressione di poteri economico finanziari che non hanno più alcun collegamento con la gente e rispondono esclusivamente a se stessi e seguono piani molto autarchici da loro elaborati in segreto e con pochissimi collegamenti con la realtà nella quale vivono le masse.

La presa del potere è avvenuta in forma nascosta, occupando dall’interno le istituzioni preesistenti. La ricerca del consenso avviene oramai quasi esclusivamente attraverso una sofisticata propaganda resa possibile dal controllo assoluto dei media e, in prospettiva, dal controllo capillare dei singoli consentito da dispositivi elettronici sempre più perfezionati. Già al momento attuale, il regime al potere in occidente ha pochissimo a che vedere con le vecchie “democrazie liberali” ed assomiglia sempre di più ad una rigida oligarchia totalitaria.

Dopo la caduta del vecchio sistema di sfere di influenza contrattato a Yalta alla fine della guerra, il nuovo potere oligarchico originatosi negli Stati Uniti si è sentito in grado di conquistare il mondo (non saprei come altro dirlo), proprio come i cattivi tipo Spectre nei film di James Bond, e ha tentato e sta ancora tentando, di prendere il controllo assoluto del pianeta e conformarlo ai propri progetti. Ha intenzione di decidere a tavolino cose come a chi è delegata la produzione industriale, a chi quella di materie prime, la trasformazione della società, la mentalità sociale, la composizione etnica degli stati, il livello di benessere, il livello della popolazione, il modo di produzione, insomma, tutto quanto. Ma tutto è stato deciso nelle segrete stanze, fra di loro, senza discussioni pubbliche, in maniera autarchica.

Due grandi centri di potere mondiali sembrano, però, essere almeno in parte sfuggiti al controllo di questa elite occidentale: la Cina e la Russia. La Russia era stata inizialmente sottomessa ed il suo ruolo doveva essere quello di fornitore di materie prime a basso costo con al comando un’oligarchia locale fatta sostanzialmente di criminali che svendevano i concittadini in cambio del loro privilegio: qualcosa di simile a quanto avviene da sempre in America Latina, feudo statunitense.

Qualcosa però è andato storto e successivamente il potere in Russia è andato nelle mani di una classe dirigente ancorata ai vecchi schemi che pensava di poter contrattare con il potere occidentale su basi di parità. Il fine era quello di diventare una potenza tra le altre, collaborare con loro, ma vedersi riconosciuta la possibilità di sviluppare la propria nazione raggiungendo un livello di benessere simile a quello occidentale, che poi era stato il sogno delle masse sovietiche prima della caduta. Pensavano che l’occidente fosse ancora quello di un tempo, che poteva accettare un nuovo membro del club, ma in realtà non era più così: il nuovo potere occidentale non concedeva nulla agli stati vassalli tenuti soltanto ad obbedire e non rispettava più neppure i suoi stessi popoli sulle spalle dei quali aveva storicamente fondato il suo potere.

Putin ha cercato molte volte di accordarsi facendo concessioni su concessioni, ma alla fine ha dovuto concludere che l’occidente avrebbe tollerato solo una Russia povera, ad alta criminalità, privata di vasti territori, subordinata agli ordini e votata esclusivamente alla produzione di materie prime a basso costo da usarsi per la prosperità altrui. Di fatto non è rimasta altra via che quella di cedere o contrapporsi con la forza. E, con qualche incertezza, è stata scelta la contrapposizione, sia pure tentando in tutti i modi di mantenere posizioni moderate al fine di conservare pur sempre uno spiraglio per arrivare ad un accordo. Putin, lungi dall’essere il pazzo che i nostri media vogliono che sia, sembra agire con razionalità e molta prudenza.

La Cina, d’altra parte, era stata individuata come produttore industriale con manodopera a basso costo. Anche in Cina il potere del partito comunista doveva essere svuotato dall’interno e sostituito usando una elite locale infiltrata attraverso la nuova economia capitalistica. Occorreva creare una nuova classe avida di lussi, ma con nessuna considerazione per gli interessi nazionali cinesi che sostituisse la burocrazia comunista.

I cinesi, che sono gente pratica e con una grande considerazione per i soldi, lasciarono volentieri la rivoluzione culturale di Mao per il nuovo benessere capitalista, ma quanto a mollare il potere, è tutto un altro discorso. Un tentativo di rivoluzione colorata ante litteram del 1989 fallì clamorosamente. Dopo i fatti di Tien An Men, i potentati cinesi sono stati molto attenti a questo pericolo. D’altra parte il consenso popolare non è mai mancato perché in pochi anni gran parte della Cina è passata da una povertà estrema, ad un accettabile benessere.

Attraverso la collaborazione con l’occidente, l’economia si è sviluppata talmente che non ci sono voluti molti anni per acquisire un potere economico tale da non poter essere più controllata. Gente pratica, dicevo, hanno collaborato quando c’era da collaborare, e lo fanno tuttora se occorre, hanno sostenuto l’America comprandole il debito pubblico, hanno agito sempre sottotraccia, ma alla fine la loro mole è divenuta tale che non ha più potuto essere nascosta. E il potere centrale resta saldo. La Cina sembra sfuggita per sempre a qualsiasi possibilità di controllo di coloro che gli hanno delegato la produzione industriale cercando di farne un mezzo per i loro progetti.

Del resto le relazione tra grandi potenze sono in genere ambigue, mutevoli e ambivalenti: si collabora in certi campi, si lotta in altri, si finge di non vedere e allo stesso tempo si spia. La rivalità è raramente alla morte, succede solo se non c’è altra via, il più delle volte si cercano compromessi, complicità, modi di convivere, anche se in pubblico si fa la voce grossa. Non combattere una guerra, spesso è più conveniente che vincerla. Il famoso laboratorio di Wuhan dimostra la collaborazione tra cinesi e americani in campo biologico, il che non esclude affatto che i cinesi possano al contempo temere l’uso di un agente patogeno contro di loro: le relazioni sono complesse e collaborare in un ambito, può essere compatibile con l’essere nemici e con il lottare in un altro. La Cina fa entrambe le cose, è uno degli attori geopolitici più attenti e razionali, anche se la razionalità non esclude certo che si facciano degli errori.

Tra i grandi protagonisti della geopolitica mondiale di oggi, il meno razionale sembra essere proprio l’occidente. Pare perso nelle proprie illusioni, non essere più in contatto con la realtà. Non parlo solo dell’Europa che agisce quasi esattamente all’opposto del proprio interesse che, ovviamente, sarebbe quello di avere rapporti collaborativi con la Russia per acquisire da essa materie prime ed esportare prodotti industriali, ma degli stessi Stati Uniti.

Il nuovo potere americano sembra del tutto incapace di distaccarsi dal progetto globalista e di contemplare la Russia come qualcosa di diverso da una “stazione di servizio travestita da nazione” e la Cina come fabbrica industriale a basso prezzo al servizio dell’elite anglosassone, anche se questo progetto è diventato evidentemente irrealizzabile. Pur essendo chiaro che, dati gli attuali rapporti di forza, non ci sono più le condizioni per ottenere un simile risultato, continuano a perseguirlo a costo di correre rischi gravissimi.

Per di più il tentativo è contemporaneo al folle piano di trasformazione interna dello stesso mondo occidentale, con tutto il suo armamentario psicomedico e ideologico che lo sta velocemente impoverendo e destabilizzando. Gli oligarchi sembrano preda e vittime dei loro stessi progetti, sembrano credere talmente nelle loro macchinazioni da essere incapaci di modificarle quel tanto che basta per adattarle al nuovo contesto. Dopo oltre due anni di politiche pandemiche rovinose e di propaganda incessante di ideologie deliranti che hanno determinato un evidente indebolimento economico, culturale e sociale, insistono contemporaneamente nel tentativo di distruggere la Russia attraverso un cambio di governo che vorrebbe rimettere al potere un traditore sul modello di Eltsin indotto da una guerra per procura sempre più pericolosa. Anche se tutto fa pensare che la Russia non cederà e che l’occidente non ha più la forza di contrapporsi militarmente.

Varano sanzioni che sembrano danneggiare le loro stesse società ben più severamente di quanto non facciano con la società russa. Non sembra esserci un piano B: se quello principale non funziona, si raddoppia la posta. Se il santo non concede la grazia, non si cessa di aver fiducia nelle grazie, si prega più forte. Il quadro generale è desolante e quasi incredibile per un attore che dovrebbe essere razionale. Mentre “pandemia”, politiche migratorie, ideologie masochiste “woke”, sanzioni economiche, politiche “sostenibili” e “inclusive” stanno mangiando l’occidente dall’interno, si pretende anche di combattere militarmente contro Cina e Russia con eserciti sempre più fantasma. Una strada che pare inesorabilmente portare verso una catastrofe oramai non più molto lontana.

Perché? Possibile che non si rendano conto del pericolo? Forse il fatto di aver fatto tutto tra di loro, in segreto, senza discussioni pubbliche, in un processo essenzialmente autoreferenziale, ha portato a questa cecità? Si ha l’impressione che veri e propri dementi siano stati messi a capo di intere nazioni e che la gente sia completamente ipnotizzata da una propaganda onnipresente ed incessante. Possibile non vedere che un’Europa già devastata si sta definitivamente suicidando con le auto sanzioni? Possibile che si creda di poter ancora sostenere un’immigrazione di massa?

Anche se la guerra alla Russia non sfocerà in un conflitto militare aperto con l’Europa, anche a tacere dell’immane crisi economica che si innescherà, persino la sola importazione armi e bagagli di gran parte del Pravyj Sektor ucraino, che sarà inevitabilmente cacciato dalle sue sedi attuali, ci garantirà un sicuro rischio di destabilizzazione. L’imprevidenza, l’improvvisazione, l’inadeguatezza, l’inanità degli stati europei paiono addirittura troppo plateali per essere veri, il presidente americano persino troppo caricaturale per essere reale, ovvio che Putin sembri un genio a confronto. Eppure si procede lo stesso, nessuno pare accorgersene e si sventolano graziose bandierine gialle e azzurre sull’orlo dell’abisso.

Nestor Halak

FONTE: https://comedonchisciotte.org/geopoliticamente-corretto/

 

 

Il Presidente Croato annuncia il suo veto all’ingresso nella NATO della Finlandia

Saggezza geo-strategica del presidente croato che ha capito che i baltici vogliono trascinare la NATO, anzi l’intero Occidente nella guerra alla Russia per regolare vecchi conti storici, contrari non solo agli interessi, ma alla  storia dell’Europa Mediterranea e dei suoi rapporti con al Russia.

Il presidente croato sta dimostrando che  anche un piccolo paese può farsi rispettare e opporre un veto alla NATO (anche se Milanovic ha contro il suo stesso governo, filo-americano, e ha ricevuto minacce dagli USA e dalla UE)

Come l’Ungheria, la Croazia è uno dei popoli fedeli che ha fatto parte per secoli dell’impero cattolico di cui l’ultimo imperatore, il beato Carlo d’Absburgo, non ha mai rinunciato alla sovranità. Osiamo veder qui all’opera i segni di una cultura comune e  prodromi provvidenziali una speranza metastorica.

Qui il testo dell’articolo sul presidente Milanovic. In fondo, una notizia di “risveglio” che viene dalla Germania.

ZAGABRIA, 3 maggio 2022 – Il presidente Zoran Milanović ha dichiarato martedì che porrà il veto all’invito della NATO alla Finlandia ad aderire all’alleanza.

“Nella mia qualità di capo di stato che rappresenta la Croazia al vertice della NATO, porrò il veto all’invito, se verrà esteso a quel livello”, ha detto Milanović alla stampa a Vukovar.

La NATO terrà un vertice a Madrid alla fine di questo mese.

Se l’invito viene inviato ai livelli inferiori, ha affermato di non essere sicuro di essere in grado di far accettare la sua posizione all’ambasciatore croato e di porre il veto all’invito.

Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Dmitry Medvedev ha dichiarato lunedì nel suo canale sul messaggero di Telegram che Milanović ha rischiato la rappresaglia di Kiev per le sue opinioni e messaggi su Russia e Ucraina.

In riferimento alla dichiarazione di Medvedev, Milanović ha affermato di non voler “mordere quel gancio”, insistendo sul fatto che non stava dalla parte della Russia.

“I russi stanno facendo il loro gioco. Sono l’aggressore in questa guerra e abbiamo la nostra cricca che lavora attivamente contro gli interessi dei croati in Bosnia ed Erzegovina. Ho giurato di proteggere anche loro e morirò un morte politica per loro, se necessario”, ha detto Milanović

Milanović ha aggiunto di non aver paura né della Russia né dell’Ucraina e ha affermato di essere dalla parte croata e di combattere “per lo stato e la nazione croati”.

“Siamo trattati come pazzi e come una nazione di terza classe”, ha detto, accusando il primo ministro Andrej Plenković di sostenere tutto ciò “come un mascalzone”.

Milanović ha ribadito le sue accuse contro il governo Plenković, sostenendo che stava perseguendo “una politica insidiosa” nei confronti dei croati in Bosnia ed Erzegovina.

Il Bundestag ha chiesto l’espulsione dal paese dell’ambasciatore ucraino Andriy Melnyk

Dopo che questi ha chiamato  il cancelliere tedesco Scholz “un wurstel dall’aria offesa” (beleidigte Leberwurst).

Insulto che Melnyk ha rivolto a Olaf Scholz dopo che il cancelliere ha declinato l’invito a recarsi nella capitale ucraina in seguito al rifiuto del governo di Zelenskyi di incontrare il Presidente della Repubblica, Steinmeier. Fare “la salsiccia offesa” è un’espressione idiomatica che si usa con tono di scherno per descrivere una persona che “mette il broncio” per futili motivi. Secondo Melnyk “Fare la salsiccia offesa”, ovvero mettere “il broncetto” non è degno di uno statista. “Questa è la più brutale guerra di sterminio dall’invasione nazista” ha rincarato “non siamo all’asilo”.

“Chi non espelle il sostenitore del nazismo Melnik ora ha perso ogni rispetto di sé”, ha scritto il vicepresidente del Bundestag

In Usa, cominciano ripensamenti

George Beebe, un ex capo dell’analisi della Russia per la CIA, ha detto che l’amministrazione Biden potrebbe essere in pericolo di dimenticare che “il più importante interesse nazionale che gli Stati Uniti hanno è evitare un conflitto nucleare con la Russia“. Ha aggiunto che “i russi hanno la capacità di assicurarsi che tutti gli altri perdano se perdono anche loro. E questo potrebbe essere il punto in cui ci stiamo dirigendo. È una svolta pericolosa da girare“.

https://www.c-span.org/video/?519533-3/washington-journal-george-beebe-discusses-russian-invasion-ukraine

Insomma, il Deep State americano vuole  una guerra fredda che impedisca all’Europa di avere relazioni naturali con la Russia, ma temono la guerra calda che perderebbero. Al momento la NATO non e’ in grado di vincere, anzi potrebbe smembrarsi, cosi’ pure l’EU.

“Di questo rischio per l’Occidente scrive – rileva Piccole Note – Brahma Chellaney su The Hill, secondo la quale i Paesi che hanno emanato sanzioni contro la Russia “sono cadute in una trappola: con le sanzioni e l’aggravarsi del conflitto, che contribuiscono ad aumentare i prezzi globali delle materie prime e dell’energia, si registrano maggiori entrate per Mosca nonostante una significativa diminuzione delle sue esportazioni. Mentre i prezzi internazionali più alti, alimentando l’inflazione, si traducono in problemi politici interni per coloro che hanno emanato le sanzioni”.

E mentre il rublo si è “ripreso grazie all’intervento statale”, altre valute sono in forte calo: per fare un esempio, lo yen giapponese, “(la terza valuta più scambiata al mondo), è sceso al minimo da 20 anni rispetto al dollaro USA”

“Nel frattempo, l’inflazione galoppante e le interruzioni delle catene di approvvigionamento stanno minacciando i profitti delle imprese occidentali, mentre l’aumento dei tassi di interesse, deciso per frenare l’inflazione, peggiora la già brutta situazione dei consumatori”.

Anche l’America è alle prese con simili problematiche, dal momento che “aprile è stato il mese peggiore per Wall Street dal crollo del marzo 2020 innescato dalla pandemia”, mentre l’indice S&P 500, che misura l’andamento delle più importanti imprese americane, nello stesso mese “è sceso dell’8,8%”.

“Nei primi due mesi di guerra ucraina – prosegue la Chellaney – chi ha imposto le sanzioni ha ironicamente aiutato la Russia a raddoppiare quasi le sue entrate relative alla vendita di combustibili fossili, circa 62 miliardi di euro, secondo il Centre for Research on Energy and Clean Air”.

“I 18 acquirenti più importanti, con la sola eccezione della Cina, sono stati i Paesi che hanno imposto le sanzioni, con l’Unione Europea che da sola ha rappresentato il 71% degli acquisti di combustibili russi”.

Non solo l’energia: “La Russia è il paese più ricco al mondo per risorse naturali, essendo tra i maggiori esportatori mondiali di gas naturale, uranio, nichel, petrolio, carbone, alluminio, rame, grano, fertilizzanti e metalli preziosi come il palladio, più prezioso dell’oro e utilizzato nei convertitori catalitici”.

Così “i veri perdenti del conflitto Russia-NATO, purtroppo, sono i paesi più poveri, che stanno sopportando il peso maggiore delle ricadute economiche. Dal Perù allo Sri Lanka , l’aumento dei prezzi di carburante, cibo e fertilizzanti ha innescato violente proteste di piazza, che in alcuni Stati sono sfociate in disordini politici”. Inoltre, tali Paesi hanno visto incrementato di molto il loro debito pubblico.

Le sanzioni avrebbero dovuto devastare la Russia, ma non è andata così, continua la ricercatrice, perché, come tutti i conflitti, anche quelli economici hanno risvolti imprevedibili.

Il combinato disposto sanzioni – rifornimento di armi all’Ucraina avrebbe dovuto portare la Russia a impantanarsi, logorandola e finendo per farla collassare. “E se, invece di una Russia indebolita – si chiede la ricercatrice – un contraccolpo nazionalistico generasse una Russia neo-imperiale più militarmente assertiva?”

nfaE’ da considerare che se certo la guerra non va come sperava la Russia, non va neanche come sperava la Nato, dal momento che Mosca ora controlla gran parte del Donbass, cioè il territorio sul quale insiste “il 90 per cento delle risorse energetiche dell’Ucraina, compreso tutto il suo petrolio offshore e gran parte delle sue infrastrutture portuali critiche. I porti ucraini sul Mar d’Azov e quattro quinti della costa ucraina del Mar Nero sono ora della Russia, che in precedenza aveva preso il controllo dello stretto di Kerch che collega questi due mari”.

Se la Russia si trincera in quest’area, secondo la Chellaney, potrebbe “evitare di impantanarsi” nonostante il diluvio di armi inviate in Ucraina. Un diluvio, peraltro, che segnala come neanche l’America creda più nell’efficacia delle sanzioni, che peraltro storicamente non hanno mai conseguito gli scopi per le quali sono state emanate, non avendo mai ottenuto il cambiamento di linea politica degli Stati interessati.

Ma c’è un altro aspetto che merita attenzione, conclude la ricercatrice: “le sanzioni, segnalando l’avvento di una nuova era di unilateralismo a guida statunitense, rischiano di indebolire e, alla fine, persino di far collassare l’architettura finanziaria globale controllata dall’Occidente che si vorrebbe difendere”.

Infatti, “le sanzioni estreme, alimentando preoccupazioni diffuse sull’armamento della finanza, con tutte le implicazioni che ciò comporta per i Paesi che oseranno oltrepassare le linee rosse stabilite degli Stati Uniti, hanno dato nuovi stimoli agli Stati non occidentali per esplorare nuovi accordi paralleli. La Cina non solo guiderà tale processo, ma è anche destinata a emergere come la vera vincitrice del conflitto NATO-Russia”.

In Italia, le sanzioni alla Russia portano 565 mila disoccupati in più

Il Corriere della Sera ha stimato quanto potrebbe costare all’Italia la rinuncia alle importazioni di gas russo. I calcoli sono impressionanti: si parla della perdita di circa 565 mila posti di lavoro in due anni.

https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/gas-russo-prezzo-pagare-la-rinuncia/c08bcd8c-caeb-11ec-84d1-341c28840c78-va.shtml

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FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-presidente-croato-annuncia-il-suo-veto-allingresso-nella-nato-della-finlandia/

 

 

 

POLITICA

Putin si è scusato. Basterà?

Putin si è scusato per la frase di Lavrov.

Qui uno dei motivi possibili:

Il capo di stato maggiore dell’Ucraina Andriy Yermak ha detto al Times of Israel che i recenti commenti sul “sangue ebraico” di Adolf Hitler da parte del massimo diplomatico russo dimostrano che Mosca è una minaccia per gli ebrei ovunque e confina con la negazione dell’Olocausto, ha affermato martedì un consigliere senior del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

“Ha dimostrato ancora una volta che la Russia rappresenta una grave minaccia non solo per l’Ucraina, con almeno 100.000 ebrei, ma per tutto il popolo ebraico nel mondo”, ha detto martedì Andriy Yermak.

Yermak, 50 anni, ha parlato delle proprie radici giudaiche: suo padre, nato a Kiev, è ebreo e perso membri della famiglia nel massacro di Babyn Yar del settembre 1941 in cui si diceva che 33.000 ebrei fossero stati uccisi dalla Germania nazista e dai suoi alleati locali.

Il capo di stato maggiore ha fatto appello a Israele e ai leader delle organizzazioni ebraiche di rispondere con forza alle osservazioni, sembrando fare eco ai commenti di Zelensky che ha apertamente chiesto se Gerusalemme dovrebbe declassare i legami con Mosca in un video di lunedì.

Lavrov “ha toccato il fondo del cinismo e della mancanza di umanità”, ha detto Yermak in risposta. “La sua dichiarazione è molto vicina a giustificare l’Olocausto”. Yermak, vestito con il vello cachi che i leader ucraini hanno trasformato in un’uniforme non ufficiale durante la guerra, giunto al suo 69° giorno, ha affermato che la negazione dell’Olocausto risuona con gli ucraini mentre affrontano i tentativi della Russia di commettere un genocidio contro di loro.

Citando gli attacchi missilistici russi sul luogo di pellegrinaggio ebraico di Uman, vicino al burrone di Babyn Yar, e su un memoriale dell’Olocausto vicino a Kharkiv, Yermak ha affermato che “queste non sono cose casuali. Questo è intenzionale e dobbiamo trarre conclusioni. Tutti noi. Non perdoneremo’

Yermak, parlando in ucraino tramite un interprete, ha affermato che il primo ministro Naftali Bennett sarebbe più che benvenuto a visitare Kiev. “Saremmo sempre felici di vedere il primo ministro Bennett in Ucraina”, ha detto l’assistente senior. “Quando prenderà questa decisione, lo accoglieremo volentieri, godremo della sua compagnia e discuteremo delle nostre relazioni bilaterali”.

Ha affermato che Israele, che ha costruito un potente esercito e un’economia robusta mentre affronta conflitti persistenti, è un modello per l’Ucraina; Kiev è desiderosa di approfondire i legami di sicurezza. “Siamo interessati a costruire le nostre relazioni militari”, ha sottolineato Yermak. «Siamo interessati a prendere in prestito l’esperienza, ad acquistare armamenti e armi. Queste parole, e questa politica russa, dimostrano ancora una volta che dobbiamo stare uniti».

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Sono in piena frenesia da trionfo messianica: qui calpestano la bandiera russa e sventolano la ucraina.

Un gruppo di forze militari e di coloni israeliani hanno preso d’assalto il complesso della moschea di al-Aqsa, nella parte occupata della città vecchia di Gerusalemme, e si sono scontrati con i fedeli musulmani palestinesi, in un ennesimo atto sacrilego di aggressione contro il luogo sacro.

Giovedì, le forze di occupazione israeliane hanno attaccato la sala di preghiera “al-Qibli”, presso la moschea di al-Aqsa, il terzo luogo più sacro per i musulmani, e hanno sparato granate sonore e proiettili di gomma contro i fedeli palestinesi, tra le crescenti tensioni in vista del 74° anniversario del giorno della Nakba (Giorno della catastrofe)… Fronte della Resistenza al Mondialismo (https://frontedellaresistenza.ir/2022/05/05/assalto-israeliani-alla-moschea-al-aqsa/) Assalto israeliani alla moschea al-Aqsa

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/putin-si-e-scusato-bastera/

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