RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 30 NOVEMBRE 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

30 NOVEMBRE 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

È difficile leggere nel proprio analfabetismo.

STANISLAW J. LEC, Onesieri spettinati, Bompiani, 2006, pag. 164

 

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SOMMARIO

La volpe e l’uva. O della dissonanza cognitiva
Variante Omicron, Goldman Sachs stoppa Big Pharma: “Basta panico”
Popper, La tolleranza e i suoi limiti
In tandem con Draghi: Klaus Schwab, un transumanista a Palazzo Chigi
Il terrorismo Omicron fa cilecca
Bombardieri cinesi e russi pattugliano congiuntamente il Mar del Giappone
Perché la Polonia schiererà più forze contro la Russia
La vera natura del terrorismo occidentale e i suoi costi
Taiwan e la rana avvelenata. Un report Usa immagina come la Cina potrebbe attaccare l’isola
Possibile destabilizzazione dell’Ucraina
Quando abbiamo smesso di credere nella cultura?
Internet e la Biblioteca di Babele di Borges
LA DEMOCRAZIA È MORTA? EVVIVA LA DEMOCRAZIA!
Mediaset, dopo Del Debbio e Belpietro anche Giordano via dal nuovo pre-serale
Ecco i veri progetti di Kkr su Tim
L’HABEAS CORPUS “HORRIDUM” DEGLI ERRORI GIUDIZIARI
Smartphone ”spioni”: il Garante Privacy avvia un’istruttoria
Come funziona la rotta della Manica dell’immigrazione
MIGRAZIONI: La controversa collaborazione tra il Politecnico di Torino e Frontex
Diafora
Confindustria attacca il lavoro, i sindacati confederali applaudono
Storie di caporalato digitale: full stack, mezza paga
Far pagare le cure ai non vaccinati: eticamente distorsivo e politicamente aberrante
Tutte le novità del trattato Italia-Francia
Il Pakistan sta destabilizzando il Bangladesh?
Che cosa succede fra Turchia e Cipro
Dopo la Somalia, il Sudan del Sud e il Sudan, il caos dilaga all’Etiopia e ben presto all’Eritrea
Se il buongiorno si vede dal mattino
Buenaventura Durruti e la guerra aliena contro l’umano
Cosa fanno i supercomputer cinesi sull’intelligenza artificiale
JAMES TILLY MATHEWS, IL PADRE DEL COMPLOTTISMO MODERNO

 

IN EVIDENZA

La volpe e l’uva. O della dissonanza cognitiva

Siamo circondati da concetti complicati che pretendono di spiegare senza risolvere. Uno è la dissonanza cognitiva, ossia, in parole semplici, l’abitudine di mentire a se stessi, il disagio che si avverte quando si cerca di sostenere idee opposte e incompatibili o le nostre convinzioni sono in contrasto con i comportamenti concreti. Fu teorizzata nel 1957 dal sociologo e psicologo americano Leo Festinger. Se le nostre convinzioni entrano in conflitto con le azioni o se abbiamo idee in contraddizione tra di loro, avvertiamo disagio e tensione. L’esempio è la favola di Esopo sulla volpe e l’uva. La volpe voleva l’uva, ma non la raggiunse, così elaborò la menzogna che il frutto era acerbo. Mentì a se stessa per giustificare di non aver ottenuto ciò che voleva.

Uguale è la condizione dell’uomo contemporaneo, scisso tra volontà e possibilità, tra la realtà che vede e la rappresentazione che ne dà il potere. Il “politicamente corretto” si fonda sulla capacità di modificare la percezione delle cose attraverso le parole usate per definirle. La dissonanza è clamorosa: non crediamo più ai nostri occhi, ci stropicciamo le palpebre e cambiamo la nostra visione in linea con i dettami del potere. Nuova è la tecnica, non il principio. Vogliamo la libertà, rivendichiamo diritti con energia e talvolta violenza, ma intanto la rete della censura, della sorveglianza, della perdita di libertà e diritti quotidiani si fa più soffocante. Il potere conosce da sempre gli uomini. Sa che siamo esseri sociali e lavora affinché diventiamo animali da branco. Attorno a ogni gregge ci sono pastori, servi, cani e padroni. L’obiettivo dei pastori e dei padroni del gregge è che i capi siano grassi e in salute per vendere la carne al miglior prezzo. Nelle società umane, come nelle mandrie, chi governa tende ad abusare del potere e a disporre del tempo, del lavoro, dei beni e spesso della vita dei sudditi.

Un paio di secoli or sono, qualcuno prese coscienza di sé e proclamò i diritti di ogni individuo contro chi dirige la società. Furono definiti alcuni diritti fondamentali che ora stiamo perdendo in quanto mentiamo a noi stessi. Meglio la sicurezza della libertà, meglio essere servi che morti, meglio controllati, sorvegliati che navigare nell’alto mare aperto. Proclamiamo una cosa, pratichiamo quella contraria: dissonanza cognitiva.

Il dominio contemporanea ha due forme, la dittatura comunista e il potere del denaro, cioè l’imperialismo capitalista. Il primo è un totalitarismo senza complessi, il secondo è più sofisticato, si veste di democrazia, diritti, liberalismo, sebbene in realtà sia il potere di una élite con complici politici. La tecnica è stata appropriarsi dei media, delle banche centrali, delle organizzazioni sovranazionali, della tecnologia. Vestiti di pelle di pecora, fanno tutto per il nostro bene. Ci conducono al mattatoio e noi accarezziamo la mano dell’aguzzino. Il personaggio di Fracchia nei film di Paolo Villaggio partiva deciso a farsi le proprie ragioni e finiva invariabilmente per sottomettersi. Come è buono lei, esclamava il povero Fracchia, cornuto e mazziato, vittima di dissonanza cognitiva.

Il controllo sarà totale quando verrà eliminato il denaro contante – non più padroni dei nostri soldi – e ci impianteranno un chip per tenerci sorvegliati in qualsiasi momento. Nel frattempo, si sono portati avanti imponendoci il passaporto verde, un mezzo di controllo sociale. La maggioranza dei cittadini è costituita da bravi agnelli che non vogliono rischi né responsabilità, amano seguire le istruzioni e conformarsi a tutto ciò che viene loro detto. Il pastore è buono e vuole il bene del gregge: questo, disgraziatamente, pensa la gente e poco vale l’esperienza quotidiana di ingiustizie, arroganza e autoritarismo.

Le pecore nere – coloro che non soffrono di dissonanza cognitiva e chiamano le cose con il loro vero nome – sono una minoranza facile da criminalizzare e ritenere responsabile di qualsiasi problema. Il meccanismo è antico: si individua il capro espiatorio, lo si colpisce nel tripudio della folla e la comunità si ricompatta attorno ai suoi capi. Capitò al povero Renzo nei Promessi Sposi durante la rivolta di Milano: gli spagnoli cercavano “un reo buon uomo” a cui attribuire le responsabilità e fa dimenticare la mancanza di pane contro cui la popolazione si era rivoltata.

La difficoltà maggiore per la pecora nera è l’impossibilità di convincere gli agnelli del loro destino, perché il problema da superare è la dissonanza cognitiva. Quando qualcuno ha una convinzione radicata (poco importa se manipolata ed eterodiretta) a pochissimo vale che gli siano esibite prove contro di essa. Anche se sono inoppugnabili, non vengono accettate. Provate a convincere gli utenti compulsivi delle carte di credito che non sono più padroni dei loro quattrini, che qualcuno detiene il potere sul loro stipendio, che potrà- per i motivi più vari- bloccarle e che attraverso le card sorveglia, controlla e determina i nostri consumi. I più educati opporranno la comodità d’uso, gli altri vi guarderanno con commiserazione, dopo aver scacciato con fastidio i dubbi insinuati.

Per il green pass è lo stesso: i nemici delle vaccinazioni sono pochissimi, più numerosi quelli che hanno compreso la vera natura di un documento in assenza del quale non si vive, non si lavora, non si viaggia e non si può nemmeno bere il caffè. Ciononostante, la maggioranza è fiera di esibire il foglietto – meglio se in forma digitale – e diventare parte del gregge unito dal rancore per i recalcitranti. Hanno fatto credere, nell’ordine: che la vaccinazione immunizzasse; che chi la rifiuta sia un nemico; che sia un “untore”, anche se i dati medici lo smentiscono; che il “passi” non sia un mezzo di controllo sociale, bensì una misura di buon senso.

Le tesi avverse, quando affiorano, suscitano aperta indignazione o un aggrottare di sopracciglia: le idee dissonanti vengono scacciate e la pecora dubbiosa rientra soddisfatta nel gregge, alla debita distanza “sociale”. Molti avvertono disagio quando vengono attaccati nelle loro convinzioni (opinioni posticce insinuate dal potere), tuttavia tendono a negare l’evidenza poiché mette a rischio il loro modo di pensare. Per di più, facile transitur ad plures, scriveva Seneca, è facile passare alla maggioranza.

La dissonanza cognitiva è il grande nemico dei ribelli. Il gregge è condotto al macello, ma le pecore non lo vogliono sapere né vedere. Nel caso dell’epidemia, la gente non si avvede del terrore che le è stato inculcato. Le psicosi collettive sono facili da scatenare: basta seguire la natura umana e agire sulle paure, che per essere credute devono avere una base di verità. Gli antidoti? L’abitudine al dubbio, l’adozione del pensiero critico e la tenuta morale, difficilissima se non è sostenuta da una visione spirituale. Un aiuto viene da grandi personalità del passato.

Fedor Dostoevskij, ad esempio, ebbe sempre grande compassione per gli uomini e le loro sofferenze, ma sapeva che l’uomo non è buono per natura. Lasciato a se stesso, privato della trascendenza, perde il rispetto verso gli altri e torna animale da preda. Al suo tempo, avanzavano il positivismo e lo scientismo, che trattano l’uomo come un oggetto, una macchina da analizzare e ridurre in termini strettamente biologici. La conseguenza è il potere smisurato degli esperti e la fede infantile – spacciata per razionale – che esista per tutto una soluzione tecnica e scientifica. Oggi è il vaccino, domani il robot, dopodomani l’uomo “aumentato”, ibridato con la macchina. Il gregge guarda incantato nella penombra che si fa buio fitto e applaude: è tracciata la via del totalitarismo.

L’uomo, ci convincono, è un essere semplice e buono. Dostoevskij sperimentò nei maltrattamenti della prigionia in Siberia quanto fosse falso. La qualità morale di ciascuno viene messa alla prova quando può esercitare un po’ di potere. La disumanità della guerra di tutti contro tutti dispiega la sua velenosa potenza. Divide et impera: vecchio vino per nuove botti. In nome della “comodità” hanno preso il controllo dei nostri soldi – in attesa dell’esproprio finale per cui “non avremo nulla e saremo felici”, un esempio formidabile di dissonanza cognitiva.

Hanno assunto il controllo del nostro corpo e completato quello sulle nostre menti, diventate megafoni del Dominio. Su tutto, una dea spuria e fallibile, la Scienza, i cui confini sono mobili e le cui conclusioni variano secondo gli interessi. I governi non sanno imporre l’obbligo vaccinale, quindi hanno creato un contesto che costringe le persone all’iniezione o ad essere condannate alla versione moderna del campanello che annunciava i lebbrosi. Lo stesso vale per tutto ciò che il potere vuole: con irrisoria facilità riesce a farci credere il contrario di ciò che vediamo e subiamo sulla pelle. La dissonanza cognitiva dello schiavo che vede la catene e non cerca di spezzarle.

Un ulteriore esempio è la capacità del potere di farci accettare un sistema di norme per cui alcune idee, preferenze, intenzioni, sentimenti – decisi da loro, giudicati da loro – diventano illegali, titoli di reato. Pensiamo all’incredibile categoria di “discorso di odio”, assai utile per criminalizzare il dissenso. Ci sarebbe bisogno di un nuovo Catone, il fiero senatore romano custode dello spirito repubblicano e del mos maiorum, la morale tradizionale.

I costumi erano il fondamento dell’etica: il senso civico, la pietas, il valore militare, l’austerità e il rispetto delle norme sperimentate nel tempo. Nel 167 a.C. pronunciò in Senato un’orazione, “Pro Rodiensibus”, a favore dei rodiesi. Roma voleva dichiarare guerra all’isola greca, che aveva firmato un trattato di amicizia con la Macedonia. Rodi non faceva nulla contro Roma né aiutava la Macedonia: Catone intervenne in sua difesa affermando che si possono punire le azioni, non i pensieri.

L’ intenzione non trasformata in azione, il semplice desiderio, la volontà nuda non possono essere puniti. Dovrebbe essere un fondamento del diritto, del senso comune e della politica. Il repubblicano Catone è ancora una voce potente in tempi in cui le persone non sono giudicate per le loro azioni e opere, ma dal loro sesso, la loro razza, la loro ideologia: il politicamente corretto prevale sui principi della democrazia.

Vediamo con chiarezza l’assurdità delle nuove divisioni, ma taciamo o mentiamo a noi stessi, finendo per credere che la neve è nera, se lo dice il potere. Non siamo più figli delle nostre azioni ma di categorie e identità in gran parte false. Vediamo bianco e diciamo nero. Peggio, finiamo per crederci.

In regime di libertà, l’intenzione e il sentimento sottostante non possono essere sanzionati. Non può essere giusto punire qualcuno accusato di avere pessimi sentimenti e cattive intenzioni. Un’ulteriore dissonanza cognitiva è quella che alimenta il discorso sul cosiddetto femminicidio. Praticare la violenza e uccidere è un delitto indipendentemente dal sesso di chi agisce e di chi subisce. Nessun problema se si inaspriscono le pene per condotte odiose, ma il pensiero sottostante è che l’esemplare maschio della specie umana è strutturalmente violento contro la femmina.

Portato alle estreme conseguenze, l’assunto nega l’uguaglianza di fronte alla legge, punendo non il fatto in sé, ma l’attitudine malvagia (che se fosse strutturale, paradossalmente dovrebbe costituire un’attenuante o un’esimente!) non di una persona contro un’altra, ma di un sesso verso l’altro. Nascere uomo non induce alla commissione di delitti: mentiamo a noi stessi perché diversamente saremmo a disagio, controcorrente. La corrente di oggi, domani chissà.

Benjamin Constant, un maestro del pensiero liberale, affermò che se al governo è consentito svolgere funzioni speculative o preventive, cioè agire in base a sospetti, intenzioni o possibilità, finirà per vietare tutto per evitare problemi. Il suo ruolo deve essere “positivo”, punire i delitti commessi e riparare i mali causati. Ciò implica una minore protezione: la libertà comporta dei rischi e non coincide con l’ossessione della sicurezza. Il discorso di Catone serve anche per difendere la libertà di pensiero, che non è mai un crimine. E’ uno sproposito l’impero pedagogico del politicamente corretto che punisce il pensiero vietando, giudicando le parole secondo l’intenzione (vera o presunta) di chi le pronuncia.

Oggi, ogni dissidente è un abitante di Rodi senza la difesa di Catone. Il male si combatte con l’educazione e la cultura guardandolo in faccia, non cambiandogli nome. Invertire il bene e il male, il vizio e la virtù, definire libertà il divieto, chiamare odio ciò non ci piace, ovvero convincere che la neve è nera non è dissonanza cognitiva, ma un delitto contro l’essere umano. La volpe di Esiodo mentiva; mentono e insegnano a mentire le volpi al potere.

FONTE: https://www.ricognizioni.it/la-volpe-e-luva-o-della-dissonanza-cognitiva/

 

 

 

Variante Omicron, Goldman Sachs stoppa Big Pharma: “Basta panico”

Un’operazione, l’ennesima, pensata per soffiare sulla paura, in un momento storico in cui sono tensioni e preoccupazioni per il futuro a farla da padrone. Quanto accaduto intorno alla cosiddetta variante Omicron del virus è la dimostrazione di come questo clima incerto faccia comodo a qualcuno, con annunci allarmistici lanciati ancora prima di conoscere le reali caratteristiche di questa nuova forma del Covid. C’è chi, però, si è reso conto per tempo della situazione e ha agito di conseguenza.

Goldman Sachs, società famosa a livello internazionale e che opera nell’investment banking, nel trading di titoli e nella gestione di investimenti, ha infatti assisito impassibile alla paura dilagante per la variante Omicron, che ha portato a un’impennata nei prezzi del petrolio. Senza scomporsi troppo, come raccontato dalla testata Zero Hedge: “Non ci sono ragioni per pensare che questa variante possa essere più pericolosa di quelle già esistenti e che richiede nuove cure”.

Uno degli istituti più famosi al mondo, finito in passato al centro di polemiche e accuse, ha quindi deciso di “non voler apportare modifiche al proprio portfolio”. Rifuggendo la tentazione di abbassare il prezzo dei derivati del petrolio e dando così il via al raffreddamento del clima, con toni molto meno allarmistici che hnno iniziato di colpo a susseguirsi. Inevitabile, di fronte a una simile catena di eventi, porsi qualche domanda.

Perché la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha addirittura indetto una conferenza stampa per affrontare un tema, quello di una nuova variante del Covid, di cui non conosceva niente o quasi? La sensazione è che a certi politici faccia comodo vivere in un perenne stato di emergenza, che evita loro di doversi confrontare con l’opinione pubblica e affrontare i reali problemi della società. Anche perché, con le libertà dei cittadini sospese in nome della lotta al virus, governare è decisamente molto, molto più facile.

FONTE: https://www.ilparagone.it/economia/variante-omicron-goldman-sachs-stoppa-big-pharma-basta-panico/

 

 

 

Popper, La tolleranza e i suoi limiti

Popper parte da Voltaire, che fonda la tolleranza sull’imperfezione umana per cui dobbiamo perdonarci gli uni gli altri, ma egli osserva anche che alla tolleranza ci sono dei limiti e ne enumera tre. Segue la distinzione fra relativismo e pluralismo critico. Egli infine riassume i suoi ripensamenti sulla tolleranza dopo i fatti che la storia ci ha posto davanti in questo secolo.

 

  1. R. Popper, Toleration and intellectual responsability [Tolleranza e responsabilità intellettuale]

 

Il titolo della mia lezione “Tolleranza e responsabilità intellettuale” allude ad una tesi di Voltaire, il padre dell’Illuminismo, un argomento a favore della tolleranza. Voltaire si chiede: “Che cos’è la tolleranza?” e risponde (traduco liberamente):

“La Tolleranza è la necessaria conseguenza della comprensione della nostra imperfezione umana. Errare è umano e a noi questo capita continuamente. Perciò perdoniamoci gli uni gli altri le nostre follie. Questo è il primo principio del diritto naturale”.

Qui Voltaire fa appello alla nostra onestà intellettuale: noi dobbiamo ammettere i nostri errori, la nostra imperfezione, la nostra ignoranza. Voltaire conosce benissimo che i fanatici esistono. Ma la loro convinzione è veramente onesta? Hanno essi onestamente esaminato se stessi, ciò in cui credono e le ragioni per sostenere ciò di cui sono convinti? E non è l’attitudine all’autocritica una parte dell’onestà intellettuale? E non ha il fanatismo spesso cercato di negare la nostra non ammessa incredulità, che abbiamo represso, e talvolta ne siamo solo parzialmente consci?

Voltaire si appella alla nostra modestia intellettuale; e soprattutto il suo appello alla nostra onestà intellettuale fece una grande impressione sugli intellettuali del suo tempo. Mi piacerebbe riaffermare qui il suo appello.

La motivazione data da Voltaire in favore della tolleranza è che noi dobbiamo perdonarci gli uni gli altri le nostre follie. Ma una follia comune come quella della intolleranza Voltaire trova giusto che sia difficile da tollerare. Invero è qui che la tolleranza ha i suoi limiti. Se noi concediamo all’intolleranza il diritto di essere tollerata, allora noi distruggiamo la tolleranza, e lo stato di diritto. Questo è stata la sorte della Repubblica di Weimar.

Ma a parte l’intolleranza, vi sono ancora altre follie che noi non dovremmo tollerare; soprattutto quella follia che fa sí che gli intellettuali seguano le ultime mode; quella follia che ha spinto molti scrittori a adottare uno stile oscuro e che vuole impressionare, quello stile criptico che Goethe ha criticato in modo cosí radicale nel Faust (per esempio la tavola della moltiplicazione delle streghe). Questo stile, lo stile delle parole grandi e oscure, delle parole pompose ed incomprensibili, questo modo di scrivere non dovrebbe affatto essere ammirato e neppure tollerato dagli intellettuali. Esso rende possibile quella filosofia che è stata descritta come relativismo; una filosofia che porta alla tesi che tutte le tesi sono intellettualmente piú o meno difendibili. Tutto è accettabile! Cosí il relativismo porta all’anarchia, alla mancanza di leggi, e al dominio della violenza.

L’argomento da me scelto “Tolleranza e responsabilità degli intellettuali” mi ha portato alla questione del relativismo.

A questo punto mi piacerebbe confrontare il relativismo con una posizione che è quasi sempre confusa col relativismo, ma che invece è totalmente differente da esso. Io ho spesso descritto questa posizione come pluralismo, ma ciò ha semplicemente portato a questi fraintendimenti.

Pertanto lo caratterizzerò qui come pluralismo critico. Il piú confuso relativismo, che sorge da una scadente forma di tolleranza, porta al dominio della violenza, il pluralismo critico può contribuire a tenere la violenza sotto controllo.

Allo scopo di distinguere il relativismo dal pluralismo critico, l’idea di verità è di cruciale importanza. Il relativismo è la posizione che tutto può essere affermato, o praticamente tutto. Tutto è vero, o niente è vero. Pertanto la verità è un concetto senza significato.

Il pluralismo critico è la posizione che, nell’interesse della ricerca della verità, per tutte le teorie, le migliori in particolare, dovrebbe essere favorita la competizione con tutte le altre teorie. Questa competizione consiste nella discussione razionale delle teorie e nell’eliminazione critica. La discussione dovrebbe essere razionale – e ciò significa che dovrebbe avere a che fare con la verità delle teorie in competizione: la teoria che sembra avvicinarsi di piú nel corso della discussione critica è la migliore; e la teoria migliore rimpiazza la teoria piú debole. Pertanto la questione in gioco è quella della verità.

 

  1. R. Popper, In search of a better World [Alla ricerca di un mondo migliore], Rodledge, London-New York, 1992, pagg. 190-191 [trad. di G. Zappitello]

FONTE: http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaP/POPPER_%20LA%20TOLLERANZA%20E%20I%20SUOI%20L.htm

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

In tandem con Draghi: Klaus Schwab, un transumanista a Palazzo Chigi

oasisana.com

di Maurizio Martucci – Pubblicato il 24.11.2021

Che ci faceva nel 2017 George Soros a Roma dall’allora premier Paolo Gentiloni? Molto probabilmente quello che ci ha fatto Klaus Schwab a Palazzo Chigi, come un capo di Stato ricevuto da Mario Draghi. Mistero sui contenuti dell’incontro, mistero pure sugli eventuali accordi presi e/o sottoscritti, nonostante poco dopo in un’intervista bonaria – come una foglia di fico per coprire il buco della mancata notizia – rilasciata dal guru del Forum Economico Mondiale al quotidiano La Repubblica (direttore Maurizio Molinari, editore GEDI), si parla di hit-tech come patto globale USA-Cina, senza però svelare la reale natura del fulmineo sbarco nella Capitale. Cosa l’opinione pubblica non deve sapere? Cosa va nascosto? E così, in assenza di indiscrezioni dall’ufficio stampa della presidenza e di giornalismo d’inchiesta sul mainstream, nulla continuiamo a sapere dell’incontro tra il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana con il fondatore/direttore esecutivo del più influente e potente cartello mondialista, “piattaforma globale per la cooperazione tra pubblico e privato”, nonostante proprio da queste alte sfere (non elette dai popoli) si delineino orami da tempo i destini di milioni di cittadini. Da Prodi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni (solo per citare i nomi più illuminati), sappiamo infatti come l’Italia sia stata praticamente trasformata in una terra di conquista per banchieri, lobbisti e filantropi della speculazione e della tecnosorveglianza universale, al punto che in una TV rumena l’ex politico e generale Emil Străinu ha testimoniato di aver ascoltato in una riunione di Davos come la prima dittatura d’Europa nascerà – non a caso – proprio in Italia!

 

Schwab e Draghi (Commissione Trilaterale e Club Bilderberg, oltre a tante altre cose) sono in tandem, stanno insieme come un ticket da molti anni, tanto nel 2013 – ai tempi in cui la plenaria in Svizzera ci stava evidentemente un pò stretta – la stessa Repubblica scriveva come “al World Economic Forum l’Italia non c’è mai stata veramente. Compariva ai tempi del primo governo Prodi, si faceva intravedere con Tommaso Padoa-Schioppa ministro dell’Economia e Mario Draghi governatore della Banca d’Italia”. Oggi siamo invece all’inverso, cioé alla compenetrazione totale, alla sovrapposizione di ruoli tra pubblico e privato, dove le linee guida di Recovery Fund (Next Generation EU), Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e Gruppo dei Trenta di Mario Draghi sono coerenti con il Grande Reset di Klaus Schwab. Il PNRR dovrà “destinare almeno il 37% della dotazione al sostegno della transizione verde, compresa la biodiversità; destinare almeno il 20% alla trasformazione digitale” e così, per smazzare il lavoro, a sporcarsi le mani nell’esecutivo Draghi troviamo Roberto Cingolani (ex Leonardo, ex Finmeccanica) e Vittorio Colao (ex Vodafone, ex Verizon), ministri del transumanesimo in salsa ecologica delle telecomunicazioni e della robotica. “Transizione verde”, “trasformazione digitale”, “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, “coesione sociale e territoriale”, “salute e resilienza economica, sociale e istituzionale”, “politiche per la prossima generazione, infanzia e gioventù, incluse istruzione e competenze”, sono le parole d’ordine del grande resettaggio accelerato dalla crisi Covid-19, un mix di ingegneria sociale e genetica, per cui entro il 2030 si dovrebbero abolire proprietà privata (comprese le case) e moneta cartacea (in funzione di bitcoin e moneta elettronica) per finire nel completamento della quarta rivoluzione industriale, passando di colpo dal 5G al 6G, cioè dall’Internet delle cose all’Internet dei corpi per una completa fusione fisico-biologica-digitale, con la robotica, gli algoritmi e l’intelligenza artificiale previsti “cento bilioni di sensori a connettere digitalmente l’uomo e l’ambiente naturale avvalendosi di una rete intelligente distribuita capillarmente a livello mondiale”. La pianificazione della nuova umanità passa anche attraverso neurotecnologie e modificazione genetica.

Tedesco, ingegnere ed economista 84enne, 17 lauree honoris causa e una sequela di medaglie d’onore nazionali (nominato pure cavaliere dalla Regina d’Inghilterra Elisabetta II), per sostituire le democrazie nazionali con una leadership mondiale Klaus Schwab promuove la Nuova Normalità, la Governance Globale della Biosicurezza: “Molti di noi stanno pensando a quando le cose torneranno alla normalità –da visionario scrive Schwabnei suoi libri – La risposta breve è: mai. Nulla tornerà mai al senso di normalità “rotto” che prevaleva prima della crisi, perché la pandemia di coronavirus segna un punto di svolta fondamentale nella nostra traiettoria globale. Alcuni analisti la definiscono una grande biforcazione, altri una profonda crisi di proporzioni ‘bibliche’, ma l’essenza rimane la stessa: il mondo come lo conoscevamo nel i primi mesi del 2020 non è più, dissolto nel contesto della pandemia”.

Se non sappiamo nulla dei contenuti dell’incontro di Palazzo Chigi, sappiamo però quanto Schwab spinga per un transumanesimo come nuova Era per traghettarci nel post-umano, ingegneria sociale applicata all’umanità intera, tra smartdust, Smart City e bio-nanotecnologie per il controllo globale, dove sofisticati dispositivi tecnologici diventeranno un’estensione del corpo umano con l’avvento dei cyborg: “In 10 anni potremmo avere Chip impiantabili nel cervello“, sul canale televisivo svizzero RTS Un dichiara in un’intervista nel 2016. E poi: “In effetti, alcuni di noi sentono già che i nostri smartphone sono diventati un’estensione di noi stessi. I dispositivi esterni di oggi, dai computer indossabili ai visori per realtà virtuale, diventeranno quasi certamente impiantabili nel nostro corpo e nel nostro cervello. Le strabilianti innovazioni scatenate dalla quarta rivoluzione industriale, dalla biotecnologia all’Intelligenza Artificiale, stanno ridefinendo ciò che significa essere umani”, scrive il teorico di Davos. “Il futuro metterà alla prova la nostra concezione di ciò che significa essere umani, sia dal punto di vista biologico che sociale”. E infine: “Già oggi i progressi delle neurotecnologie e delle biotecnologie ci costringono a chiederci cosa significhi essere umani”. Nell’ultimo Global Health Summit, il G20 di Roma, tra i relatori c’è stato pure Bill Gates. Dopo i cerimoniali di Governo per Soros e Schwab, attendiamo adesso Elon Musk direttamente al Quirinale, tanto che su Twitter, in tema di transumanesimo e voraci volatili sputa fuoco, s’è lasciato sfuggire pure un…. “Oh, comunque sto costruendo un drago cyborg“. Appunto, il transumanesimo ai posti di comando.

FONTE: https://oasisana.com/2021/11/24/in-tandem-con-draghi-klaus-schwab-un-transumanista-a-palazzo-chigi-e-nelle-redazione-di-repubblica/

 

 

Il terrorismo Omicron fa cilecca

Tutti i pazienti che hanno beccato la variante Omicron sudafricana erano già vaccinati: anche il dirigente dell’ENI venuto dal Mozambico è un vaccinato due volte. Cosa ci vuole di più per capire che i vaccini sono inefficaci allo scopo di immunizzare e proteggere? che il vaccino NON FUNZIONA? Che per contrastare una malattia ormai “Lieve” mettono a rischio troppe persone inoculate con effetti avversi anche di estrema gravità?

Ora, in base a quale competenza immunologica una poliziotta di serie C proclama, come da titolo:

Variante Omicron, Lamorgese: “La terza dose ancora più importante” – Imola Oggi

E’ diventata virologa? Ora, a noi diventa sempre più chiaro che la terza dose (come le prime due) non serve a proteggere dalla lieve malattia: dunque serve ad altro, a scopo ulteriore che i nostri lettori più o meno hanno capito.

I media come la poliziotta di serie C continuano ad aprire i tg con l variante Omicron. Terrorismo su terrorismo.

Non hanno naturalmente detto che il medico di Pretoria che per primo ha lanciato l’allarme sul nuovo ceppo e che è un consigliere Covid-19 del governo sudafricano, il dottor Barry Schoub, ha aggiunto un concetto di estremo interesse: che il gran numero di mutazioni trovate nella variante dell’omicron sembra destabilizzare il virus, il che potrebbe renderlo meno “adatto” rispetto al ceppo delta dominante. Insomma che l’eccesso di anomalie lo rendono meno virulento, lo hanno degradato e lo fanno per così dire meno “vitale” (ovviamente un virus non è propriamente un essere vivente) – indebolito con il suo eccesso di mutazioni, l’Omicron è anche più benigno del ceppo delta, insomma si sta degradando e andando verso l’estinzione naturale.

Angelique Coetzee, presidente della South African Medical Association, ha concordato con la valutazione di Schoub definendo i sintomi associati alla variante “diversi e così lievi” rispetto ad altri per cui aveva trattato il virus negli ultimi mesi. Insomma è la mutazione più debole che si sia mai vista finora.

A quale titolo dunque la poliziotta ignorante di virus assevera e di tutto il resto che “la terza dose è ancora più importante”? A che serve, se le altre due sono dimostrate inefficaci? Di che straparla?

Persino la banca d’affari Goldman Sachs ha rimproverato il “panico da Omicron” che s’è scatenato alla notizia sui mercati speculativi, provocando centinaia di miliardi di perdite, per il crollo dei titoli ad esempio delle compagnie aeree e la salita fulmina del titolo Pfizer: “È improbabile che questa mutazione sia più dannosa; non si vede nessun motivo per mutare la composizione del portafoglio titoli”.

Un tempo si diceva: Roma locuuta, causa finita. Ora si può dire: Goldman locuta, causa finita.

Magari la Lamorgese potrebbe invece dedicare i suoi scarsi talenti a indagare gli organizzatori della mortuaria sfilata di scheletri sotto il duomo il 21 novembre e presso l’università Ca’ Granda, che ha visto la peste manzoniana, vera, coi morti nelle strade e nelle case : non si tratta di turbamento della pace sociale dell’ordine pubblico? Qual è il messaggio: una profezia da qualcuno che sa? Una minaccia?

Come mostra il tweet di Stefano Boeri (il fratello architetto dell’economista Tito Boeri) è organizzata – con soldi pubblici – dalla sinistra ricca milanese, che ai tempi del Movimento Studentesco conoscevamo tra i picchiatori.

Stefano Boeri

“Milano”
di Romeo Castellucci, Grand Invité 2021-2024 di Triennale Milano
Notte tra il 20 e il 21 novembre 2021
Un centinaio di manifestanti silenziosi marcia nella notte, nel centro di Milano. Sono l’umanità del Passato. Testimoni del Passato, hanno deciso di far sentire il loro peso. Questi scheletri non vogliono spaventare o incutere timore né, d’altra parte, divertire. Non vogliono nulla, in effetti.
Una produzione: Triennale Milano
In collaborazione con: Societas
Movimento: Gloria Dorliguzzo
Assistenti al movimento: Andrea Dionisi e Giacomo Garaffoni
Produzione: Caterina Soranzo
Tecnica: Giovanni Cavalcoli
Foto di: Alex Majoli

#triennalemilano #triennale #triennaleteatro #milano #romeocastellucci

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-terrorismo-omicron-fa-cilecca/

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Bombardieri cinesi e russi pattugliano congiuntamente il Mar del Giappone

Di Aldgra Fredly

Due bombardieri H-6K dalla Cina e due Tu-95Mc dalla Russia sono stati inviati per effettuare un pattugliamento congiunto nello spazio aereo correlato sul Mar del Giappone e sul Mar Cinese Orientale.

Il ministero della Difesa cinese ha sottolineato che l’aereo «ha rispettato rigorosamente le pertinenti disposizioni del diritto internazionale e non è entrato nello spazio aereo di altri Paesi» durante il volo.

L’operazione, hanno chiarito i ministeri, faceva parte del piano annuale di cooperazione militare tra Cina e Russia e non era diretta contro terzi.

Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha spiegato al presidente Vladimir Putin, durante l’incontro del presidente con i membri permanenti del Consiglio di sicurezza russo il 19 novembre, che il volo è durato più di 10 ore.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha affermato che un aereo Su-35S della Russian Aerospace Force ha fornito supporto da combattimento per i bombardieri strategici e un aereo di sorveglianza e controllo radar A-50U ha partecipato all’operazione.

Peskov ha aggiunto che ad un certo punto lungo il percorso i bombardieri strategici che trasportano missili sono stati scortati anche da caccia F-16 e F-15 della Japan Air Self-Defense Force. «Il pattugliamento congiunto è stato condotto nel rigoroso rispetto delle norme del diritto internazionale. Non ci sono state violazioni dello spazio aereo di Stati stranieri», ha detto il portavoce del Cremlino, citato dall’agenzia di stampa russa Tass.

Nel frattempo, il Joint Chiefs of Staff (Jcs) della Corea del Sud ha dichiarato che sette aerei da guerra russi e due cinesi sono stati rilevati entrare senza preavviso nella zona di identificazione della difesa aerea del Paese al largo della costa orientale.

La Corea del Sud ha schierato aerei da combattimento F-15 e F-16 insieme a cisterne per il rifornimento aereo nell’area in un «normale passaggio tattico» per prevenire il conflitto, ma gli aerei russi e cinesi sono usciti senza violare lo spazio aereo territoriale, ha affermato il Jcs.

L’esercito cinese ha successivamente confermato alla Corea del Sud che i voli facevano parte di esercitazioni di routine con la Russia.

In una dichiarazione, il Jcs ha affermato che «valuterà la situazione come esercitazioni militari congiunte cinesi e russe, ma sono necessarie ulteriori analisi».

Le zone di identificazione della difesa aerea in genere si estendono oltre il territorio sovrano di un Paese per consentire l’identificazione di aerei che potrebbero rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale. Gli aerei militari sono tenuti ad annunciare il loro arrivo in anticipo per evitare potenziali conflitti.

Nel 2019, gli aerei da guerra sudcoreani hanno sparato centinaia di colpi di avvertimento contro quelli militari russi che sono entrati nello spazio aereo nazionale coreano durante un pattugliamento congiunto con la Cina, ma il ministero della Difesa russo ha negato di aver violato lo spazio aereo.

Articolo in inglese: China, Russia Bombers Hold Joint Patrol Over Sea of Japan

FONTE: https://www.epochtimes.it/news/bombardieri-cinesi-e-russi-pattugliano-congiuntamente-il-mar-del-giappone/

Perché la Polonia schiererà più forze contro la Russia

Polonia

La Polonia vuole rafforzare la difesa del fianco orientale in risposta all’aumento delle truppe russe vicino l’Ucraina. Tutti i dettagli

 

Il presidente polacco Andrzej Duda ha chiesto alla Nato di schierare forze aggiuntive sul suo fianco orientale e intensificare la sua missione di polizia aerea in risposta al recente aumento di truppe della Russia vicino al confine con l’Ucraina.

Ben lungi dall’essere una falsa notizia, sia gli Stati Uniti che gli alleati della Nato hanno pienamente recepito questo messaggio e non hanno per nulla nascosto la loro preoccupazione per una possibile invasione russa, come dimostrano le dichiarazioni congiunte del segretario della Nato e del presidente polacco.

“È necessaria attenzione e vigilanza da parte della Nato, che è responsabile della sicurezza militare degli alleati”, ha detto Duda giovedì in una conferenza stampa congiunta con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, durante una visita al quartier generale dell’alleanza a Bruxelles.

“Ciò dovrebbe essere dimostrato attraverso il rafforzamento della sorveglianza strategica della regione… attraverso il rafforzamento della missione di polizia aerea – e l’ho menzionato nella mia conversazione con il segretario generale – anche il rafforzamento della sorveglianza dell’osservazione e il rafforzamento delle unità NATO lungo il fianco orientale dell’alleanza”, ha detto Duda.

Inoltre il presidente polacco ha sottolineato come la guerra ibrida che il presidente bielorusso sta ponendo in essere nei confronti della UE deve essere letta come una strategia congiunta fatta dalla Bielorussia e dalla Russia per destabilizzare l’Europa unitamente alla guerra economica che la Russia sta conducendo attraverso Nord Stream 2.

Proprio su questo aspetto il presidente polacco non ha usato mezze parole sostenendo che questo gasdotto è estremamente pericoloso per l’autonomia energetica europea e che mai avrebbe dovuto essere fatto.

Data la pericolosità dei movimenti di truppe che si stanno posizionando il segretario della Nato questa settimana discuterà con gli altri ministri degli Esteri della Nato sulla mobilitazione russa, riunione questa che si terrà a Riga in Lettonia.

In particolare il segretario della Nato ha sottolineato come sarebbe opportuno che da parte russa vi sia un atteggiamento volto a ridurre le tensioni. Ad ogni modo la Nato rimane vigile e continuerà a dare all’Ucraina tutto il sostegno necessario. Tuttavia questo aiuto non deve essere letto della Russia come un tentativo per armare l’Ucraina in funzione antirussa ma per consentire all’Ucraina di difendersi da un eventuale aggressione.

Esiste tuttavia una coincidenza temporale quantomeno insolita: infatti l’Unione Europea a breve organizzerà un vertice sul partenariato orientale con lo scopo di sensibilizzare i territori dell’ex unione sovietica come l’Ucraina, la Georgia, la Moldavia, l’Armenia e Azerbaigian, partneriato orientale che certamente potrebbe essere letto dalla Russia come speculare all’allargamento della Nato ai paesi dell’est. Non a caso la Russia si è opposta a questa strategia che ritiene profondamente dannosa per la sua sovranità.

FONTE: https://www.startmag.it/mondo/polonia-russia/

La vera natura del terrorismo occidentale e i suoi costi

Russia Connects

Le potenze occidentali ritenevano di avere ottime ragioni basate sull’autoprotezione nell’effettuare molteplici interventi militari in Medio Oriente, Asia centro-meridionale e Nord Africa. Le pretese avanzate per tali interventi, i tentativi di mascherare le vere motivazioni parlavano in termini entusiastici di salvare le popolazioni da dittatori, ottenerne i diritti umani, concedergli la libertà e la democrazia. Ma quale fu la realtà dietro la campagna di pubbliche relazioni?
Ogni nazione attaccata subì massicce perdite di vite. La storia sulla sofferenza umana provocata non verrà mai raccontata. Pochi occidentali sono interessati a ritrarre tali effetti, eseguiti com’erano a beneficio solo delle élite politiche occidentali che li ordinano. Mentre morte, distruzione e sofferenza furono immense, non c’erano segni di tregua da parte loro. I migranti indigenti tentano sempre più di giungere il ricco occidente che promette una vita migliore. Gli Stati Uniti continuano a esercitare un’enorme pressione su tutte le nazioni affinché non aiutino laddove causano tanta sofferenza ma fallendo nelle loro operazioni di cambio di regime in Siria e Venezuela. L’ondata di sofferenze continua a travolgere il mondo e chi perpetra tale sofferenza continua ad affermare quanto avessero diritto di farlo e quanto sia necessario continuare tali azioni per proteggere il mondo occidentale. Naturalmente, continuano a esprimere preoccupazioni nel portare le fiaccole della libertà e della democrazia a tutti. Ma quanti credono alle loro parole melliflue a questo punto o ai loro metodi brutalmente violenti per raggiungere i loro scopi?

Lanciare una bomba a mano in qualsiasi situazione raramente porta a una soluzione favorevole della questione. Le élite occidentali nella loro frenetica disperazione di riconquistare l’aura di forza e invulnerabilità dopo l’11 settembre, bombardarono le nazioni che consideravano una minaccia. Il conseguente caos di morte, distruzione e odio crescente (non calante) verso il mondo occidentale fu il risultato molto prevedibile insieme all’immensa sofferenza di milioni di civili le cui vite furono devastate. Le economie furono devastate, intere regioni frammentate e, in ogni caso, vita e cultura di nazioni consolidate furono frantumate per non riprendersi mai completamente.
Dal conseguente caos dell’intervento, interferenza ed invasioni occidentali, tutti contro nazioni sovrane che non avevano mosso un dito contro alcuna nazione occidentale giunsero povertà e odio per l’Occidente che diedero origine allo SIIL. Ancora una volta, come fecero nella storia, gli Stati Uniti crearono sempre più problemi ad altri affermando di fornire soluzioni. Alle élite statunitensi potrebbero benissimo essere sembrare soluzioni mentre altri soffrivano e morivano e le loro economie furono devastate. La storia del coinvolgimento coi vicini meridionali è ben nota. I motivi in gioco riguardavano SEMPRE i propri interessi, MAI quelli delle popolazioni contro cui organizzano omicidi, colpi di stato e sanzioni.

Tale modello di creazione del caos di Stati Uniti e alleati è in vigore da secoli e continuerà senza impedimenti fin quando qualche influenza esterna non vi metterà fine. Alcun discorso sulle bugie che raccontano o i massacri che hanno causato gli fa effetto. Il loro interesse vince su tutto il resto, il loro desiderio narcisistico e travolgente di preservare se stessi, i loro privilegi e il diritto di dominare tutti e di minacciarli di sottomissione vince su tutto. Alcuna nazione non subordinata agli USA ed alleati è al sicuro dal loro desiderio di sovvertirli e occuparli. Un pianeta carcerario de facto in cui non c’è aspetto della vita o cultura che non sia supervisionato e autorizzato dagli Stati Uniti è l’obiettivo finale delle élite statunitensi e lo rimarrà fin quando gli obiettivi decisi dopo l’11 settembre non saranno realizzati.
Chi non capisce perché c’è completa mancanza di diplomazia sulla minaccia sempre crescente della guerra e in effetti guerra nucleare deve capire ciò. I protocolli attuati dopo l’11 settembre non consentono alcuna riduzione della pressione su qualsiasi entità non completamente subordinata al comando occidentale. Alcuna inversione di marcia è possibile. Alcuna modifica degli obiettivi decisi è possibile. Non possono essere messe in discussione, violate o alterate in alcun modo sostanziale. Sono decisi in modo inalterabile coll’obiettivo del tutto indiscusso della necessità della sicurezza al 100% per gli Stati Uniti in perpetuo. Quindi la continua sofferenza di un numero enorme di persone non può essere evitata mentre l’ossessione per la sicurezza degli Stati Uniti rimane in vigore, obiettivo irraggiungibile se non un pianeta prigione virtuale, tale consenso dell’élite occidentale per mantenere i propri dominio patrizio e controllo egemonico con un dominio economico e militare va del tutto rigidamente mantenuto utilizzando tutti i mezzi necessari concepiti dall’occidente e ad ogni costo.

FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=21139

Taiwan e la rana avvelenata. Un report Usa immagina come la Cina potrebbe attaccare l’isola

Per ora Pechino ha reagito senza particolare veemenza al fatto che ci sono truppe Usa a Taipei

28/10/2021 – Marco Lupis

Si chiama “The Poison Frog Strategy – la Strategia della Rana avvelenata”, e se vi sta venendo in mente il ben più celebre paradosso della “rana bollita” di Chomsky, beh, siete fuori strada. La faccenda è questa: di fronte all’escalation di tensione delle ultime ore attorno a Taiwan – dopo che la presidentessa della piccola (rispetto all’ingombrante e aggressivo vicino cinese) isola, Tsai Ing Wen, ha ammesso per la prima volta la presenza di truppe americane all’interno dei suoi confini aprendo una crisi con l’Occidente dagli sviluppi imprevedibili – gli esperti in strategia militare si sono messi a rivedere tutte le ipotesi riguardo una possibile invasione da parte di Pechino, ed è emersa – come più “gettonata” – proprio questa della “rana velenosa”. Al Center for a New American Security di Washington, infatti, hanno appena reso pubblico uno studio – con tanto di videogioco appositamente creato a scopo di rendere ancora più realistica la simulazione – secondo il quale la strategia possibile per Pechino non sarebbe quella di una invasione diretta dell’antica Formosa, per ridurre la “provincia ribelle” alla ragione, bensì impadronirsi di una delle isole periferiche di Taiwan, come Pratas/Dongsha nel Mar Cinese Meridionale, per poi saltare (come la rana citata, appunto) in un momento successivo, all’attacco totale su Taipei.

Mentre la comunità internazionale, insomma, Stati Uniti in testa, si concentra sulla difesa di Taiwan da una invasione “diretta” cinese, le recenti attività militari di Pechino nell’area suggeriscono invece che questo tipo di strategia e aggressione “a saltelli” potrebbe essere lo scenario più probabile e urgente a cui far fronte militarmente. E tale scenario potrebbe essere un preludio o un percorso a tappe molto strette, verso una guerra che coinvolgerà inevitabilmente Cina, Taiwan, Stati Uniti e tutti gli alleati di questi ultimi.

In questo scenario, la cooperazione del Giappone è ritenuta essenziale, perché potrebbe sparigliare i calcoli della Cina sui rischi militari e diplomatici di coercizione e aggressione di Tawan. Una dichiarazione congiunta del primo ministro giapponese Yoshihide Suga e del presidente degli Stati Uniti Joseph R. Biden nell’aprile 2021 ha fatto riferimento a “pace e stabilità nello stretto di Taiwan” e ha incoraggiato “la risoluzione pacifica delle questioni attraverso lo stretto”, ma al di là delle belle parole, in realtà è chiaro che gli Stati Uniti farebbero molto affidamento sul Giappone come base delle infrastrutture per condurre operazioni militari a sostegno di Taiwan. E, sebbene la dichiarazione non sia stata ulteriormente elaborata, soltanto con un deciso e non incerto sostegno giapponese sarà possibile creare una forte risposta regionale, anziché bilaterale tra Stati Uniti e Taiwan, per rispondere efficacemente all’aggressione cinese. Il coinvolgimento del Giappone poi, potrebbe consentire il coordinamento con l’India e l’Australia tramite le relazioni siglate dal nuovo patto di cooperazione strategico-militare Quad. E potrebbe anche creare l’opportunità di lavorare con altri stati che da anni si trovano a dover fronteggiare l’aggressione territoriale di Pechino, come il Vietnam e le Filippine.

Per ora, comunque, malgrado l’ondata sensazionale suscitata in ambito internazionale dall’ammissione della presidentessa taiwanese sulla presenza di militari americani sull’isola, la Cina ha reagito senza particolare veemenza o preoccupazione. Anche se, nei giorni scorsi, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin aveva messo tutti in guardia tutti quanti gli attori coinvolti nel delicatissimo “affaire Taiwan”, che una delle linee rosse da non valicare per nessun motivo era proprio l’invio di truppe americane a Taipei. Oggi, nel corso di una conferenza stampa, lo stesso ha affermato che gli Stati Uniti hanno continuato a inviare “segnali sbagliati” alle forze indipendentiste di Taiwan, ma che la riunificazione resta l’unica opzione. “Chi che di separare la nazione non andrà mai incontro a un buon finale. Ci sarà solo un vicolo cieco di fronte a coloro i quali cercano l’indipendenza di Taiwan”, ha detto. Fino a poco fa, il portavoce del ministero della Difesa cinese Tan Kefei, da parte sua, si è limitato a dichiarare che la Cina ha già protestato con gli Stati Uniti per i suoi legami militari con Taiwan, precisando che “Se gli Stati Uniti continuano ad aggrapparsi ostinatamente all’illusione di usare Taiwan per contenere la Cina e tentano di migliorare sostanzialmente i legami militari USA-Taiwan poco a poco, la Cina si opporrà risolutamente e contrattaccherà”. Niente di definitivo, insomma. Un po’ più decise sono state le dichiarazioni all’Agenzia di Stampa Statale Xinuha dell’ex istruttore del PLA, L’Esercito Popolare di Liberazione cinese, e commentatore di affari militari, Song Zhongping, che ha affermato che la rivelazione della presidentessa Tsai è stata una seria provocazione per Pechino. “Rivelando la presenza delle truppe statunitensi a Taiwan, Tsai sta dicendo che Taiwan ha il sostegno militare degli Stati Uniti, quindi il PLA non dovrebbe agire avventatamente, ma nemmeno stare a guardare. Questa è una seria provocazione politica e militare” ha detto senza usare mezzi termini. “La Cina continentale intensificherà i preparativi per una lotta militare con gli Stati Uniti” ha concluso Song. Hu Xijin, caporedattore del tabloid statale cinese Global Times, voce del Partito Comunista, ha reagito alla notizia dicendo che le forze militari cinesi avrebbero lanciato una guerra per eliminare ed espellere i soldati statunitensi. Per ora, come sempre – per fortuna di tutti noi – la guerra continua soltanto a parole.

Ma la preoccupazione, soprattutto da parte americana, è in aumento, alimentata soprattutto dai recenti test missilistici segreti di Pechino, rivelati qualche giorno fa d Financial Times. “La Cina dal punto di vista militare è in “rapida espansione” ed è “molto preoccupante” che Pechino abbia sperimentato dei missili strategici ipersonici la scorsa estate”, ha dichiarato oggi, in un’intervista all’agenzia Bloomberg il generale Mark Milley, capo di stato maggiore delle Forze armate Usa. Sui test cinesi – peraltro negati da Pechino, che ha parlato di collaudi spaziali – a sentire Milley l’America “ha rivissuto lo shock dello Sputnik.” Ovvero l’ansia e lo sbalordimento seguiti al primo fondamentale successo dell’Unione sovietica nell’inaugurare la corsa allo Spazio, nel 1957, quando batté sul tempo di Stati Uniti.

I missili ipersonici – l’ultima generazione di armi strategiche – sono in grado di trasportare testate nucleari a grandi distanze volando fino a cinque volte la velocità del suono, sono molti più manovrabili rispetto ai missili balistici e sono praticamente impossibili da intercettare con le tecnologie di difesa antimissile e la difesa aerea attuali. Sono già stati sperimentati con successo due anni fa dalla Russia e, recentemente, dalla Corea del Nord. “Ciò che abbiamo visto” ha detto ancora il gen. Milley “rappresenta un evento molto significativo, il collaudo di un sistema d’arma ipersonico. Ed è molto preoccupante”, considerando anche i recenti fallimenti di analoghi test compiuti da Washington. “Non so se sia un po’ un a sorta di “momento Sputnik”, ha commentato ancora, “ma di certo c’è andato molto vicino. Ha catturato tutta la nostra attenzione”. Il capo di Stato maggiore Usa ha poi ricordato come l’esercito cinese, fino al 1979, fosse soltanto una “enorme fanteria formata essenzialmente da contadini”, mentre ormai si è trasformato in una forza armata “molto capace, in grado di coprire ogni campo della difesa e con ambizioni globali”.

Nella complessa e delicatissima vicenda che coinvolge Taiwan, poi, si inserisce con forza la questione della conferma della leadership del potentissimo Presidente Xi, ormai alle soglie di un probabilissimo quanto inedito terzo mandato. Ma la sua popolarità, sempre molto alta, è in calo negli ultimi tempi, a causa delle difficoltà economiche interne generate dal crack del gigante immobiliare Evergrande e dalla crisi energetica e delle materie prime. Per questo, puntare sull’opzione dell’orgoglio militare nazionale nei confronti dell’”odiata” Taiwan, potrebbe diventare una scelta percorribile per recuperare consensi. Ma cosa potrebbe succedere alla popolarità di Xi e al Partito Comunista della Repubblica Popolare se questa campagna fallisce?

Grazie ai social media, la popolazione cinese oggi è molto meglio informata sulle questioni economiche e internazionali. Il popolo cinese è notoriamente paziente, ma se l’economia cinese non continuerà a distribuire i benefici promessi, il presidente Xi avrà bisogno di altri risultati per mantenere il sostegno popolare. Il grande pericolo è che questi risultati alternativi possano essere militari. Investimenti massicci, in particolare nelle forze navali e missilistiche, hanno dato all’Esercito di Liberazione del Popolo un nuovo vantaggio nel Mar Cinese Meridionale, nello Stretto di Luzon e persino nel più ampio Pacifico occidentale. Se la sopravvivenza del regime diventa debole a casa, XI può scegliere di tirare i dadi militari, forse anche nel tentativo di conquistare davvero Taiwan con la forza. E non importerà a nessuno, a quel punto, se la strategia scelta sarà quella della “rana avvelenata”, o qualsiasi altra opzione. Sarà comunque un disastro per il Mondo intero.

FONTE: https://www.huffingtonpost.it/entry/taiwan-soldati-usa_it_617ac020e4b065735746044c

 

 

Possibile destabilizzazione dell’Ucraina

Il governo ucraino, che con discrezione fa guerra alla popolazione del Donbass, si sente sempre più minacciato dalla vicina Russia.

Mosca ha per prima cosa concesso la cittadinanza russa a tutta la popolazione del Donbass – di cultura e lingua russa – che ha accettato con entusiasmo. Si starebbe ora apprestando a organizzare manifestazioni antigovernative in tutto il Paese, in modo da delegittimare il governo di Kiev e favorire l’indipendenza della regione russofona. Qualora l’operazione non riuscisse, Mosca si preparerebbe a soccorrere militarmente la popolazione del Donbass. Questo almeno è quanto il 18 novembre scorso il ministro della Difesa dell’Ucraina, Oleksii Reznikov, ha spiegato al segretario USA della Difesa, Lloyd Austin, e alla sottosegretaria di Stato, Victoria Nuland; ed è altresì quanto dichiarato dal capo dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov, a Military Times [1].

Secondo il Washington Post, il presidente Vladimir Putin non ha però ancora preso una decisione [2].. Secondo la Costituzione russa, il presidente è personalmente responsabile della sorte dei cittadini russi all’estero, quindi anche di quelli del Donbass che si trovano sotto le bombe dell’Ucraina.

Nel caso del Donbass, Washington nega il diritto della popolazione all’autodeterminazione. Considera infatti l’indipendenza della regione, nonché l’aggregazione alla Federazione di Russia, un’invasione e un’annessione inaccettabili. Il 31 agosto 2021 gli Stati Uniti si sono impegnati a portare aiuto militare al governo ucraino in caso d’intervento russo.

Gli Accordi di Minsk, che dovevano permettere la risoluzione della crisi ucraina offrendo garanzie alla minoranza russofona, non sono mai stati rispettati dai successivi governi ucraini, che continuano a fare guerra alla propria popolazione.

NOTE

FONTE: https://www.voltairenet.org/article214830.html

 

 

 

CULTURA

Quando abbiamo smesso di credere nella cultura?

di Pierluigi Fagan

Post per chi ha più di sessanta anni in quanto fa riferimento a situazioni sociali che vissute, hanno un sapore diverso da quello dei fatti che si apprendono intellettualmente

Berlusconi accusava i “comunisti” o la “sinistra” (ma lui usava “comunisti” sapendo che provocava più ribrezzo) di aver monopolizzato alcune istituzioni sociali tra cui la “cultura”. Era vero.

La mia generazione è nata in un ambiente in cui la massa gravitazionale della cultura era di sinistra, comunista (in varie versioni e tonalità), socialista, progressista, democratica. Qualcuno era anche anarchico. Dati di fatto dicono che tale massa critica monopolizzava il cinema, la radio, la musica, l’arte, i giornali, le case editrici, la scuola e parte dell’università. Ma poi si estendeva anche alla magistratura, in parte alla polizia, forse qualcuno anche nell’esercito e molto nell’amministrazione burocratica dello Stato. La massa era data a livello di individui ma anche partiti e soprattutto sindacati. Addirittura, alcuni artisti o intellettuali sono diventati di destra solo perché quella era l’unica altra opzione disponibile per chi non era di “sinistra” ed hanno coltivato un certo rancore anche perché erano pur sempre lavoratori, lavoratori ostracizzati in base al non allineamento di pensiero.

Come tutti i fenomeni di gravitazione sociale, la massa attirava a prescindere per cui sulle vere convinzioni intellettuali e poi politiche di molti iscritti al fronte egemonico, si potevano nutrire dubbi e questo spiega anche perché il tasso di intelligenza reale di questo fronte fosse ben minore della sua massa. E spiega anche la velocità allegra del rompete e fila quando il fronte si disintegrò ai primi anni ’80.

Il fenomeno era alla base di quella anomalia prettamente italiana e solo un po’ francese, per la quale in piena guerra fredda, un Paese poi del tutto allineato all’atlantismo anglo-americano, aveva un partito che si dichiarava comunista. Al canto del cigno di questa dinamica, nel 1976, il PCI sfiorò il 35%, con DP ed un PSI ancora abbastanza “socialista”, pesavano il 45% del Paese. E si tenga conto che la DC del tempo, aveva segretario Zaccagnini, comunque della sinistra DC. La forte tradizione culturalista che esercitava una sua egemonia che favoriva questa eccezionale pesatura del fronte di sinistra che sfiorò la maggioranza, derivava da una specifica tradizione del comunismo italiano data dal pensiero di Antonio Gramsci. Gramsci si colloca in posizione atipica nella tradizione comunista occidentale. Mai teorizzato nitidamente ma, nei fatti, il pensiero di Gramsci dava a gli aspetti sovrastrutturali, un peso inverso a quello che la tradizione economicista del comunismo occidentale dava delle priorità politiche. La situazione democratica e quindi non rivoluzionaria del dopoguerra, portava l’azione politica su i doppi binari della democrazia politica e quindi dell’importanza della cultura democraticamente distribuita. Erano infatti anche i tempi in cui si teneva in grande considerazione lo studio, l’apprendimento, la lettura, la capacità argomentativa come precondizioni di massa per l’esercizio democratico. Con precisi sforzi di culturalizzazione degli strati sociali più bassi della popolazione.

Tutto ciò poi implose dopo il raggiungimento del suo culmine nel 1976. Vennero gli anni di piombo, le cose generali non andavano bene, sopravenne la stanchezza intellettiva, ci furono moti di fastidio per la pesantezza e gravità di questa egemonia che sfociava spesso in dittatura del pensiero e del pensiero sull’azione concreta, sul limite oltre il quale il valore culturale non si trasformava in valore della qualità di vita via qualità politica. Si partecipò allora festanti al grande rimbalzo del rompete le righe e dal dibattito a seguito della proiezione della Corazzata Potemkin in lingua originale e sottotitoli, si passò ad imitare John Travolta sulle arie dei Bee Gees. Nel 1977, mentre il pensiero arruffato dei Negri e Scalzone portava ignari adolescenti con la P38 a sparare in piazza ed a spaccare le vetrine di via del Corso per rubare oggetti del desiderio consumistico ritenuti “diritto proletario”, usciva Saturday Night Fever. L’anno prima in quel di Milano, nasceva Fininvest. Dopo il decennio ottanta alla fine del quale cadeva il Muro, seguiva il crollo del’URSS e nel 1993 mr Fininvest diventava un politico. L’egemonia gramsciana ma anti-culturalista di Berlusconi, desertificò l’attitudine culturale, ormai stigma sociale di persona triste, grave, rancorosa, antipatica, pessimista, invidiosa ed acidula, presuntuosa, dedita alla monotonia critica, fuori dal mondo del piacere, del successo, della vita (dei soldi e del sesso) e quindi del “diritto alla felicità”.

Ecco, il riepilogo serviva a capire quando e perché abbiamo smesso di credere nella cultura. La disillusione è nata dal fallimento di un sistema che aveva dato della cultura una interpretazione sbagliata che ha generato il suo contro-movimento. Abbiamo smesso di credere nella cultura perché ne avevamo sbagliato l’interpretazione. Di una cosa che è del regno della vita umana avevamo fatto una cosa morta, ne avevamo intuito il valore di forma ma ne abbiamo sbagliato l’interpretazione di sostanza, di una cosa aperta ne abbiamo fatto un conformismo, di una dinamica ne abbiamo fatto una collezione di dogmi statici, di una forma tendente all’egalitarismo ne abbiamo fatto l’ennesima aristocrazia, di un codice essoterico ne abbiamo fatto un ennesimo esoterico, di una caratteristica dell’umano ne abbiamo fatto un dualismo con le menti staccate dai corpi. Per primo, il Paese occidentale più nominalmente “comunista” è rimbalzato violentemente al suo opposto. Un valore è diventato un dis-valore.

Siamo in una condizione di devastazione intellettiva da quaranta anni. Forse varrebbe la pena tornare su i misfatti compiuti per capire cosa si è sbagliato. Non basta la forza del nemico, la congiuntura occidentale, le colpe del sovietismo e la Luna Nera a dar conto del fallimento. Ogni forza si afferma su una debolezza e quella che credevamo una forza si è rivelata una grande debolezza.

Forse ci farebbe bene cominciare a scrivere dei quaderni sulla nostra attuale condizione nel carcere dell’ignoranza edificato su i nostri fallimenti intellettivi. Magari aiuta ad evadere, se non a noi, a quelli dopo.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/21692-pierluigi-fagan-quando-abbiamo-smesso-di-credere-nella-cultura.html

Internet e la Biblioteca di Babele di Borges

Internet

Il Bloc Notes di Michele Magno

 

L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. (Jorge Luis Borges, “La Biblioteca di Babele”)

Le fake news ci sono sempre state. Dalla Donazione di Costantino ai Protocolli dei Savi di Sion, affondano le loro radici nella storia. Anzi, nella notte dei tempi, nella logica del “serpente astuto” -come ha osservato Papa Francesco- di cui parla il Libro della Genesi. Nel 1941, Jorge Luis Borges pubblicò un racconto fantastico, “La Biblioteca di Babele”, in cui viene descritto un allucinante universo spazialmente infinito composto di sale esagonali, che raccoglie disordinatamente tutti i possibili libri di 410 pagine in cui si susseguono sequenze di caratteri senza ordine, in tutte le possibili combinazioni. La biblioteca totale dello scrittore argentino è Internet di oggi, un mondo globale e virtuale dove le informazioni viaggiano alla velocità della luce ma spesso senza nessun controllo. Da qui la proliferazione di notizie fasulle o ingannevoli, esentate da quella che nel mondo anglosassone si chiama accountability, ossia il dovere di “rendere conto”.

I media tradizionali, di cui gli anni centrali del Novecento hanno segnato il trionfo, comportavano un tipo di comunicazione unidirezionale: dal vertice alla base. L’unica differenza rispetto al passato riguardava l’ampiezza dell’uditorio. Gorgia parlava a una trentina di greci, Hitler a milioni di tedeschi. Con la Rete l’uditorio è invece sconfinato e la comunicazione diventa multidirezionale: la base può perfino governare e controllare il messaggio. Entra quindi in scena una nuova figura sociale: il “chiunque”, come l’ha chiamato Alain Badiou, cioè il cittadino del web senza identità e senza volto.

È lui il principale protagonista dei cinquecento siti web (di cui 41 italiani), censiti dagli analisti di NewsGuard, che diffondono “stronzate” sulla nocività dei vaccini. E proprio “Stronzate” (in originale “On Bullshit“) si intitola un irriverente saggio di Harry G. Frankfurt. Apparso per la prima volta nel 1986, andrebbe ristampato e fatto circolare nelle scuole. “Uno dei tratti più salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione”, avverte nell’incipit il professore emerito di filosofia dell’Università di Princeton. Come dargli torto? Sono ormai due anni che slogan insulsi, vuote scemenze, affermazioni che denunciano una disperante ignoranza vengono pronunciate impunemente. Se non ne hanno il monopolio, gli scienziati del web le brevettano ad un ritmo impressionante.

Frankfurt si è preso la briga di indagare la natura del fenomeno. Egli sostiene che “le stronzate sono un nemico della verità più pericoloso delle menzogne.” Il “bullshitter” -noi diremmo il cazzaro- è infatti più temibile del mentitore. Come ha insegnato sant’Agostino, al mentitore in qualche misura interessa sapere la verità, perché per mentire deve conoscerla. Si deve cioè confrontare con la verità per poter costruire una menzogna. Se quindi il bugiardo “onora” ancora la verità e si muove nel suo orizzonte, invece chi dice stronzate la scavalca e si preoccupa solo di negarla.

Un interlocutore ben informato su come stanno le cose, quindi, può sempre contrastarlo. Al contrario, il contaballe risulta più difficile da contraddire, in quanto si disinteressa completamente di ciò che è vero e di ciò che è falso. Spara le sue stronzate e, anzitutto nei talk show e sui social network, condivide e diffonde quelle altrui per avvelenare i pozzi del discorso razionale. Descrivendo nei “Promessi sposi” la peste seicentesca di Milano, Alessandro Manzoni conclude con una splendida e giustamente celebre frase: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Purtroppo, come accade nel tempo presente, quando le stronzate diventano senso comune, il buon senso è costretto all’esilio.

“La falsità spicca il volo e la verità la segue zoppicando”, recita un aforisma di Jonathan Swift. Tre secoli fa questa affermazione era un’iperbole, oggi invece descrive bene i social media. Tutte le piattaforme che amplificano contenuti provocatori rischiano di fare da cassa di risonanza alle notizie false. E, come è noto, una storia falsa ha molte più probabilità di diventare virale rispetto a una vera. Ciò vale in tutti i campi -economia, terrorismo e guerra, scienza e tecnologia, intrattenimento e politica.

In Rete ci sono quasi due miliardi di siti web e più della metà della popolazione mondiale naviga in Internet: ogni secondo nel mondo vengono inviati oltre due milioni e mezzo di messaggi di posta elettronica e vengono effettuate 70mila ricerche su Google. Le fake news sono parte integrante della Rete, invadono le pagine Internet, si diffondono come virus nel web, tengono testa ai grandi quotidiani e riescono a creare un impatto mediatico a livello globale. Le fake news hanno la prerogativa di distorcere la realtà dei fatti e occultare la verità, ingannando il lettore. Complice la libertà che contraddistingue la natura del web, la disinformazione trova un terreno fertile nella Rete, dove riesce a diffondersi a macchia d’olio e entrare nel senso comune dell’utente lettore. Il web rappresenta un vero e proprio oceano di contenuti in cui i confini tra notizia vera, distorta o completamente inventata  diventano labili, a volte quasi inesistenti.

Dunque ha ragione il partito dell’Internet bugiardo? Vexata quaestio. Beninteso, la lotta politica e, adesso, la lotta contro la scienza condotta a suon di fandonie sul palcoscenico nazionale e internazionale sono avvantaggiate da tre fattori: la possibilità dell’anonimato; la possibilità di raggiungere rapidamente un vastissimo numero di persone: il fenomeno delle “cascate” informative (la bufala che diventa virale). Siamo quindi ben lontani dalla “cyberdemocracy” immaginata da Nicholas Negroponte e Gianroberto Casaleggio. Come si può sconfiggere, allora, la facile menzogna dei professionisti del clic? Chi è favorevole a provvedimenti restrittivi della libertà di comunicazione, con il nobile scopo di arginare il falso, dovrebbe sapere che così si rischia di mettere a tacere anche il vero. È il meccanismo che Cass Sunstein ha definito “chilling effect”, effetto gelante.

Secondo la filosofa Franca D’Agostini (“Menzogna”, Bollati Boringhieri, 2012), si può invece adottare il vecchio principio del “lasciar crescere la gramigna” perché con essa cresca anche il grano. La verità infatti non deve temere nulla la diffusione della menzogna, visto che quest’ultima ha comunque bisogno di lei per vivere e prosperare. Lo spiega molto bene la tradizione, descrivendo il mentitore prigioniero dei suoi inganni. Se infatti ci sono molti modi di mentire, mentre la verità è una sola, ciascuno di quei modi contiene in sé il vero che può distruggerlo dall’interno. Ed è quanto normalmente dovrebbe fare uno spirito critico ben allenato, a patto che abbia voglia e tempo di mettere a tacere quelli che sono in definitiva le sue scimmie, o i suoi giullari: i mentitori.

FONTE: https://www.startmag.it/mondo/internet-e-la-biblioteca-di-babele-di-borges/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

LA DEMOCRAZIA È MORTA? EVVIVA LA DEMOCRAZIA!

La democrazia è morta? Evviva la democrazia!Risale a qualche giorno fa l’infelice uscita pubblica del ex premier nonché senatore a vita Mario Monti. Ospite in una trasmissione su La7, spiegando il suo parere su come gestire l’informazione in tempi di pandemia, ha affermato: “È una guerra, ma non abbiamo minimamente usato una politica di comunicazione adatta alla guerra. Io credo che bisognerà, andando avanti questa pandemia e per futuri disastri globali della salute, trovare un sistema che concili la libertà di espressione ma che dosi dall’alto l’informazione”. Invitato ad argomentare ulteriormente il proprio pensiero, Monti ha aggiunto: “Comunicazione di guerra significa che c’è un dosaggio dell’informazione. Nel caso di guerre tradizionali è odioso perché vuole influenzare la coscienza e la consapevolezza della gente, ma nel caso di una pandemia quando la guerra non è contro un altro Stato ma è contro un virus, bisogna trovare delle modalità… posso dire… meno democratiche?”. Nessuno scandalo in studio, anzi, il professore viene invitato a continuare: “In una situazione di guerra, quando l’interesse di ciascuno coincide con quello di tutti, si accettano delle limitazioni alla libertà. Noi ci siamo abitati a considerare la possibilità incondizionata di dire qualsiasi opinione come un diritto inalienabile ma…”.

Insomma, secondo l’esimio prof. Monti, in tempo di pandemia l’informazione deve essere gestita dall’alto, dal “governo, ispirato e nutrito dalle autorità sanitarie”.

È evidente che sarebbe del tutto inutile provare a ricordare al professore, e a quanti ne tessono le lodi, che la Corte costituzionale ha posto un forte accento sul rapporto tra libertà di manifestazione del pensiero e regime democratico, affermando che la prima è “pietra angolare dell’ordine democratico” (sentenza n. 84 del 1969), e “cardine di democrazia nell’ordinamento generale” (sentenza n. 126 del 1985). E sarebbe anche imbarazzante dover ricordare ad un senatore della Repubblica quanto stabilisce l’art. 21 della nostra Costituzione, ovvero che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Però le notizie di cronaca di oggi martedì 30 novembre, ci danno uno spunto per porre una domanda seria al professore: quale comunicazione dovrebbe adottare il governo quando personaggi appartenenti alle alte sfere del mondo accademico scientifico espongono tesi differenti? Ci riferiamo da un lato alle dichiarazioni rilasciate dall’ad Moderna Stephane Bancel e dalla vicepresidente senior di BioNTech (ovvero Pfizer) Katalin Karikó, la scienziata che ha creato l’Rna messaggero per i vaccini contro il coronavirus; e dall’altro dalla direttrice esecutiva dell’Agenzia europea per i medicinali, Emer Cooke.

Infatti Bancel (Moderna), intervistato dal Financial Times, ha sostenuto che gli attuali vaccini esistenti siano molto meno efficaci contro la variante Omicron e, sempre a suo giudizio, ci vorranno mesi prima che le aziende farmaceutiche possano produrre nuovi vaccini specifici per la nuova variante.

Karikò (Pfizer), dal canto suo, si dice “non pessimista” anche se rimane cauta perché servono “tempo e dati”. “Il vaccino probabilmente non protegge dall’infezione perché abbiamo avuto dei casi, ma forse protegge dalla terapia intensiva. Ci sono più livelli di protezione: la positività, i sintomi, il ricovero in ospedale, la rianimazione. Ma la situazione è in continua evoluzione, molto difficile da prevedere. Vedo molti colleghi fare esternazioni più o meno rassicuranti ma sono solo speculazioni. Nessuno sa con esattezza cosa accadrà”.

Di tutt’altro tono Cooke (Ema) che sostiene che “i vaccini autorizzati sono efficaci e continuano a salvare le persone da forme gravi e dalla morte. Anche se la nuova variante si diffonderà di più, i vaccini che abbiamo continueranno a garantire protezione”.

Caro prof. Monti, è proprio sicuro che la forma di “comunicazione di guerra” da lei auspicata per la gestione della pandemia non sia volta ad “influenzare la coscienza e la consapevolezza della gente”?

E se invece fosse proprio questo confronto fra diverse posizioni a rendere maggiormente fiduciose le persone nella scienza e nel metodo scientifico? E se fossero proprio le dichiarazioni “scomode” di alcuni scienziati come quella di Karicò – lo ripetiamo, quando afferma “vedo molti colleghi fare esternazioni più o meno rassicuranti ma sono solo speculazioni. Nessuno sa con esattezza cosa accadrà” – a ridimensionare il dilagare di un certo tipo di complottismo/negazionismo?

“È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”. (Winston Churchill, da un discorso alla Camera dei Comuni, novembre 1947). Pur rischiando di scatenare le reazioni dei politicamente corretti e di essere accusati di razzismo (sì, la cancel culture si è spinta a tanto) noi ci crediamo fermamente!

FONTE: https://www.opinione.it/societa/2021/11/30/claudia-diaconale_monti-democrazia-pandemia-virus-varianti-omicron-libert%C3%A0-governo-informazione-comunicazione/

 

 

 

Mediaset, dopo Del Debbio e Belpietro anche Giordano via dal nuovo pre-serale

Mediaset, dopo Del Debbio e Belpietro anche Giordano via dal nuovo pre-serale
Il direttore del Tg4 è stato sollevato dalla responsabilità editoriale della striscia Stasera Italia che aveva sostituito Dalla vostra parte. Lo ha anticipato Tiscalinews. Il direttore generale Crippa smentisce l’ipotesi di una rivoluzione antipopulista: “Una fake interpretazione”

 

 

ECONOMIA

Ecco i veri progetti di Kkr su Tim

Tim
29 Novembre 2021

Tim: le mire del fondo americano Kkr, le capriole dei sindacati e le analisi

 

I sindacati dicono no a una Tim “USA e getta”, giocando con le parole sulla manifestazione d’interesse del fondo americano Kkr sul gruppo Tim.

Le organizzazioni sindacali di settore (Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil) lunedì 29 novembre hanno organizzato una mezza giornata di mobilitazione, dalle 10 alle 13, in tutta Italia: a Roma davanti al Mise, il ministero dello Sviluppo economico retto da Giancarlo Giorgetti (Lega).

LE CAPRIOLE DEI SINDACATI SU KKR

Tesi piuttosto bizzarre, quelle delle organizzazioni dei lavoratori, visto che lo stesso fondo americano – tanto bistrattato dai sindacati di settore – è lo stesso fondo che è entrato nella società Fibercop, la nuova società in cui sono confluite la rete secondaria di Tim (dall’armadio in strada alle abitazioni dei clienti) e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber, la joint-venture di Tim (80%) e Fastweb (20%): Kkr ha il 37,5% di Fibercop, effetto di un’operazione architettata e gestita dall’ex capo azienda di Tim, Luigi Gubitosi.

LE BIZZARRIE DI CGIL, CISL E UIL

La posizioni dei sindacati, peraltro, appaiono in contraddizione con quanto auspicato dagli stessi sindacati pochi giorni fa quando di fatto chiedevano di confermare Gubitosi: le organizzazioni di settore avevano rivolto infatti parole di apprezzamento (“mandarlo via sarebbe un salto nel buio”), mentre in consiglio di amministrazione di Tim i rappresentanti di Vivendi e di Assogestioni già pensavano di sfiduciare di fatto Gubitosi, che poi ha rimesso le deleghe proprio per il forcing del cda, compreso il membro espressione del socio Cdp, ossia Giovanni Gorno Tempini, presidente della Cassa depositi e prestiti (controllata dal ministero dell’Economia).

L’OPA PRELIMINARE DI KKR SU TIM

Gubitosi, comunque, come scritto dai giornali italiani nei giorni scorsi e oggi anche dal quotidiano francese Les Echos, gradiva la mossa del fondo americano Kkr (tra i consulenti anche l’italiano Diego Piacentini, già in Amazon Italia e poi commissario per l’attuazione dell’Agenda Digitale alla presidenza del Consiglio) su Tim attraverso una manifestazione di interesse per l’intero capitale sull’ex monopolista; una sorta “Opa preliminare”, come ha l’ha definita nei giorni scorsi il Sole 24 Ore.

SU REPUBBLICA L’ELOGIO DEI MANAGER KKR

Repubblica apprezza molto il fondo statunitense: “Kkr ha management di altissima sensibilità e competenza geopolitica. Il presidente, David Petraeus, è stato direttore della Cia e comandante in capo delle forze della colazione in Afghanistan, dove ha guidato anche il contingente italiano”, ha scritto sul supplemento Affari & Finanza l’economista bocconiano Carlo Alberto Carnevale Maffé, coautore di un libro appena uscito (“La cruna e il cammello. L’Italia alla prova del Recovery plan”) presentato nei giorni scorsi all’università di Sassari visto che il saggio ha la prefazione del presidente della Consob, Paolo Savona, criticato dal direttore del quotidiano La Stampa, Massimo Giannini (“Consob dormiente su Kkr e Tim”, ha criticato lo scorso fine settimana). Nel libro ci sono le testimonianze di opinion maker di livello internazionale, come lo stesso Piacentini di Kkr.

KKR IN SINTONIA CON UE E GOVERNO ITALIANO

Secondo il liberista Carnevale Maffé l’intero progetto di Kkr è “in sintonia con la visione del governo e della Commissione europea”, ha scritto su Repubblica. Qual è il progetto del fondo americano? “Il risultato più plausibile, dopo il delisting del titolo e la necessaria ristrutturazione societaria e organizzativa, sarà lo scorporo delle attività retail e degli asset brasiliani, la cui governance potrà essere a sua volta oggetto di scambio con Vivendi”, ha aggiunto l’economista bocconiano. Inoltre “la deintegrazione verticale di Tim, condizione esplicitamente richiesta da Bruxelles, consentirà di definire il perimetro infrastrutturale per la fusione con OpenFiber, con la creazione di un attore wholesale only, sul modello di Terna e Snam Rete Gas, con una significativa presenza di Cdp a garanzia della governance pubblica, affiancata da importanti quote di Kkr e Macquarie come investitori istituzionali di lungo periodo, ma aperta al mercato”.

LA QUADRATURA DEL CERCHIO SECONDO IL BOCCONIANO CARNEVALE MAFFE’

Secondo Carnevale Maffé, la “nuova società della rete riceverà in eredità un bel carico di debito e di personale in eccesso, i cui costi saranno trasferiti prima sul mercato wholesale e poi scaricati a valle sui prezzi a famiglie e imprese. E così tutti e tre gli obiettivi enunciati da Draghi a fronte della proposta di Kkr — occupazione, sicurezza, sviluppo delle infrastrutture — saranno salvaguardati. Tutto quasi casualmente perfetto”.

LA SERVICECO POTRA’ COMPETERE CON VODAFONE E FASTWEB

Con lo scorporo della rete, la parte restante di Tim cercherà di competere meglio e più di ora con gli altri attori del settore in Italia. Dice a Startmag un ex top manager di un gruppo americano che ha lavorato fra Stati Uniti e Asia: “Secondo me Kkr darà un vero impulso al vero deficit di Tim, ossia il segmento corporate e le offerte per le aziende, dove Vodafone e Fastweb in Italia hanno un appeal maggiore. Perché finora Tim si è concentrata per lo più nel segmento retail – anche la novità Timvision/Dazn di fatto rientra in questa impostazione – ma è un terreno su cui arriverà in massa sul fisso anche Iliad. Quindi meglio puntare su altro”.

I NUMERI SULLA SOCIETA’ DELLA RETE

Sulla futuribile società della rete ha scritto Giovanni Pons, già direttore di Business Insider Italia, su Repubblica: “Chi ha fatto i conti in passato ha stimato che inserendo nella parte Rete (NetCo) anche il business dei grandi clienti e quello verso le pubbliche amministrazioni, l’Ebitda passerebbe da 2 a 4 miliardi e questo valore permetterebbe di caricare almeno 20 miliardi di debiti (sui 23 circa attuali) e buona parte del personale dipendente”. In questo modo la ServiceCo (la società commerciale che vende i servizi telefonici agli utenti) “rimarrebbe molto leggera, con pochi debiti e pochi dipendenti e in grado di competere ad armi pari con gli altri concorrenti come Vodafone, WindTre, Iliad”.

IL BEL RITORNO PER KKR DALL’OPERAZIONE TIM

Comunque siccome i fondi non sono degli enti di beneficenza, Kkr pensa che avrà un ritorno adeguato. La stima è seguente: con il percorso prefigurato da Kkr (non al mercato, non al pubblico, finora), “si arriverebbe a una valutazione della NetCo calcolata a un multiplo tra 12 e 15 volte l’Ebitda, alla stregua di altre società infrastrutturali, arrivando così a un valore complessivo tra 48 e 60 miliardi (assumendone 4 di Ebitda) che, tolti 20 miliardi di debiti, porta a un valore patrimoniale netto compreso tra 28 e 40 miliardi”. Conclusione di Pons: “Considerando che il prezzo proposto da Kkr oggi è di 11 miliardi per il tutto, e che potrà esserci un rilancio, si può comunque capire come l’operazione, spiegata in questi termini, “gira”. Cioè consente a chi la effettua un margine di rivalutazione del capitale pari almeno a tre volte, quello classico dei fondi di private equity”.

LE MIRE DI KKR SUL PNRR VIA TIM

Un altro aspetto delle mire del fondo americano lo ha toccato Anna Gervasoni, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese presso la Liuc Università Cattaneo e presidente del comitato scientifico di ExSuf: “Premesso che i private equity lavorano senza preclusioni settoriali, a parte qualche operatore specializzato – ha osservato in una conversazione con Carlotta Scozzari, giornalista del gruppo Gedi – sicuramente da tempo hanno messo nel mirino le telecomunicazioni, in quanto settore giudicato molto promettente che può portare ad aggregazioni e convergenze nel digitale e col comparto dei media. È proprio in momenti di discontinuità come quello che stiamo vivendo che si registra una forte spinta al cambiamento, e in questo senso la pandemia ha accelerato tendenze già in atto. Da qui la necessità di accompagnare questa transizione con le risorse messe a disposizione del Pnrr italiano e, in generale, con i fondi del programma europeo Next Generation Eu. Ciò ha fatto convergere sul settore delle tlc un interesse sempre maggiore, testimoniato tra l’altro dalla nascita di numerose startup”.

I SERVIZI ITALIANI PRO KKR?

C’è infine un aspetto geopolitico da non sottovalutare, viste le preoccupazioni che da tempo i Servizi segreti italiani non nascondono anche nelle relazioni pubbliche: ossia la tutela nazionale e atlantica della rete e di società del gruppo Tim ritenute strategiche (come Telecom Italia Sparkle e Telsy). Significativo il commento del professor Fabio Bassan, ordinario di Diritto internazionale all’università Roma Tre, già consigliere al ministero delle Comunicazioni e molto apprezzato dagli ambienti più filo Usa dell’Intelligence, scritto su Formiche (la rivista edita da Paolo Messa, neo Executive Vice President di Leonardo per le relazioni geostrategiche con gli Stati Uniti d’America): “L’offerta di Kkr ha il merito di far uscire Tim da un’impasse strutturale. Nuova offerta (manifestazione d’interesse, allo Stato) a leva, e stavolta la strategia è scontata: per il soggetto che la propone e perché soluzioni diverse sembrano a questo punto difficilmente ipotizzabili. Tim d’altro canto è già pronta: parte della rete nazionale (Fibercop), la rete internazionale (Sparkle), la cybersecurity (Telsy), il Cloud (Noovle), Tim Brasil sono già società separate. Il resto segue rapidamente. L’alternativa è proseguire nella retorica del campione nazionale”.

FONTE: https://www.startmag.it/economia/ecco-il-vero-progetto-di-kkr-su-tim/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

L’HABEAS CORPUS “HORRIDUM” DEGLI ERRORI GIUDIZIARI

L’Habeas corpus “horridum” degli errori giudiziariAbraham Lincoln, in riferimento alla guerra civile scoppiata fra i nordisti e i sudisti, affermò, durante un discorso tenuto presso la città di Baltimora, nello stato del Maryland, che essa era stata generata in qualche modo da una errata comprensione del significante “libertà”. Infatti, per il sedicesimo presidente degli Stati Uniti la ragione di tale conflitto consisteva nel fatto che: “Il mondo non ha mai avuto una buona definizione della parola “libertà” (…) Usando la medesima parola, non intendiamo la stessa cosa”.

Ogni ordinamento politico assegna al termine “libertà” un significato diverso, sebbene sia utilizzato per designare un principio generale e per questo apparentemente similare in ogni sua accezione declinata. Gli ordinamenti politici britannici e statunitensi si sono strutturati fondando le loro istituzioni sul principio fondamentale della “libertà” politica e sebbene molte nazioni europee abbiano imitato la struttura costituzionale basilare di questi Paesi, nella realtà dei fatti si sono dimostrati lungi dal poter concretamente vantare una vera “libertà” politica. Un esempio eclatante è rappresentato dall’Italia che, pur essendo una delle più antiche civiltà europee, nel declinare il principio politico della “libertà” dimostra di interpretarlo nel modo più antinomico a come è considerato in Inghilterra e negli Usa. Infatti, negli Stati Uniti il termine “libertà” fu sancito come principio politico in modo chiaro e concreto con i primi dieci emendamenti della costituzione. Mentre in Inghilterra tale significante divenne il perno del suo Stato di diritto con l’istituzione del principio definito “Habeas corpus” (onde il nome, in latino “abbi il – tuo – corpo), il quale consiste in un atto, rilasciato dalla giurisdizione competente, con cui si ingiunge a chi detiene un prigioniero di dichiarare sia il giorno in cui è stato arrestato e sia il motivo per cui è detenuto.

Il suddetto principio fu inizialmente sancito nella “Petition of Rights” del 1627, per poi essere successivamente promulgato nel 1679 con “Habeas corpus Act”, il quale ha decretato il principio dell’inviolabilità personale e ne regola ancora oggi le garanzie, le quali, nel 1816, furono estese anche riguardo alle detenzioni per cause civili, assegnando ai giudici la competenza di stabilire la verità del rapporto.

Questa differente cultura giuridica e di conseguenza politica ha determinato due visioni antitetiche tra loro, che di seguito esporrò. La prima è costituita da quella anglosassone in cui per esempio le vertenze penali devono essere risolte, come fattivamente poi accade, con un “procedimento rapido e pubblico”, principio ribadito anche nel sesto emendamento della Costituzione americana. La seconda è ben rappresentata da quella italiana, in cui nonostante sia vigente una formulazione normativa che esprime la garanzia fondamentale del principio di legalità, improntato sulla riserva di legge, affinché venga tutelato il principio della libertà personale di matrice costituzionale, nei fatti ciò non si concretizza.

Infatti, all’articolo 13 della Carta costituzionale italiana si sancisce il principio inviolabile secondo il quale: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di Pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

In questo dettame, il costituente esplicita in modo categorico che la libertà personale è un diritto naturale dell’individuo a non subire nessun tipo di menomazione della sua dignità, né alcuna coercizione fisica, né assoggettamento all’altrui potere che non trovi fondamento nella Costituzione, prevedendo che la tutela della libertà personale sia salvaguardata da tre garanzie: la riserva assoluta di legge, la riserva di giurisdizione e l’obbligo della motivazione. A maggior garanzia, viene comunque sempre riconosciuta la facoltà di ricorrere sia al Tribunale della Libertà che in Cassazione, ma in questo caso solo per una eventuale violazione di legge.

Ebbene, nonostante tutte queste garantiste declinazioni del principio di legalità che si evincono dalla nostra Costituzione, ancora oggi in Italia si può riscontrare che un imputato venga detenuto diverso tempo prima del giudizio, al punto che qualora venisse riconosciuto colpevole, verrebbe comunque rimesso in libertà per aver già scontato il periodo detentivo previsto dalla successiva e tarda sentenza. E se invece fosse ritenuto innocente, avrebbe subito una gravissima violazione della propria libertà. A ritroso, tornando alla diversa interpretazione dello stesso significante “libertà”, per la prevalente opinione pubblica italiana, l’Italia è una nazione libera, proprio perché questo aberrante sistema giudiziario alla maggioranza degli italiani non appare incomparabile col principio della libertà politica, come invece risulterebbe per l’opinione pubblica inglese e statunitense.

A conferma di quanto finora esposto, riporto i dati aggiornati al 31 dicembre del 2020, in riferimento agli errori giudiziari che hanno determinato un’ingiusta detenzione. Secondo quanto indica il sito errorigiudiziari, dal 1991 al 31 dicembre 2020 si sono registrati 29.659 casi di errori giudiziari, con una media di poco più di 988 casi all’anno, sommando i dati inerenti alle vittime di ingiusta detenzione (coloro che subiscono una custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, per poi venire assolti), con i dati riguardanti le vittime di un errore giudiziario in senso stretto, ossia di coloro che dopo essere stati condannati con una sentenza definitiva, vengono assolti grazie a un successivo processo di revisione.

Inoltre, questa erronea procedura costituisce un ingente costo per l’erario dello Stato, a causa degli indennizzi e dei risarcimenti che genera e che assomma a 869.759.850 euro, con una media superiore ai 28.990.000 euro all’anno. Al postutto, come può definirsi libera una nazione in cui lo Stato di diritto è compromesso da un modus operandi lesivo della libertà personale e del principio inviolabile dell’“Habeas corpus”?

Debita redde mihi” (Massimiano)

FONTE: https://www.opinione.it/politica/2021/11/30/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_habeas-corpus-errori-giudiziari-costituzione-italia/

 

 

Smartphone ”spioni”: il Garante Privacy avvia un’istruttoria

Un lato nascosto dei cellulari attira l’attenzione dell’Autorità che mira a scoprire se davvero i nostri dispositivi ci ascoltano di nascosto

Avv. Marco Martorana – 23 11 2021

Il tema dei dispositivi elettronici che “fanno cose” di nascosto è sempre attuale. Se ne parla molto spesso in diversi ambiti, e il fenomeno non accenna a fermarsi. Dal caso del riconoscimento facciale dei passanti nei luoghi pubblici per scopi di marketing – si pensi al caso dei totem pubblicitari installati qualche anno fa nella Stazione Centrale di Milano – fino alla compravendita di dati tra social network e siti di e-commerce per erogare pubblicità mirata. Gli esempi sono molti, ciò che cambia sono i dispositivi utilizzati, i dati raccolti e conservati, e le modalità per farlo.

Si tratta quindi di diversi strumenti – introdotti nel tempo in base al progredire delle nuove tecnologie – capaci di raccogliere dati personali e spesso senza che la persona venga avvisata o ne abbia contezza. Peraltro, nella maggior parte dei casi l’utente contribuisce al fatto in qualche modo pur senza la volontà specifica di lasciare “in giro” informazioni personali. Si pensi, a titolo esemplificativo, allo scambio di dati tra Facebook ed Amazon: l’utente naviga su quest’ultima piattaforma alla ricerca di prodotti di suo interesse e, non appena accede al social network, ecco che compaiono varie pubblicità in linea con l’oggetto precedentemente cercato. L’utente non sempre vuole che ovunque compaiano annunci pubblicitari, tuttavia contribuisce a che ciò avvenga: compie un’azione quotidiana, ma la tecnologia va oltre ed immagazzina le informazioni che il soggetto ha lasciato.

L’ultimo caso ad aver acceso i campanelli d’allarme del Garante per la protezione dei dati riguarda i microfoni degli smartphone che “ascolterebbero” le conversazioni dei possessori. L’Autorità ha avviato un’indagine per saperne di più. Peraltro, c’è già un precedente illustre.

Sommario

  1. Il precedente degli assistenti vocali
  2. La nuova indagine
  3. I consigli del Garante per tutelare la privacy
  4. Conclusioni: attenzione al mercato dei dati

1. Il precedente degli assistenti vocali

Il tema delle tecnologie che “ascoltano” di nascosto le conversazioni degli utenti nelle vicinanze non è nuovo, bensì è già stato oggetto di dibattito in riferimento ai rischi derivanti dall’utilizzo degli assistenti vocali virtuali (o smart assistants)ossia quei dispositivi capaci di interagire con l’utilizzatore rispondendo a delle richieste specifiche quali una ricerca sul web, la risposta a una domanda, o l’avvio di un’applicazione. In particolare, le principali problematiche si pongono in relazione ai casi di passive listening o stand-by vigile degli assistenti vocali, vale a dire la condizione per cui i dispositivi rimangono in ascolto, attivandosi non appena viene pronunciata la parola preposta allo scopo (come “Alexa” o “Hey Google”). Ebbene, le criticità si fondano sul fatto che, affinché l’apparecchio possa attivarsi non appena qualcuno utilizzi la “parola d’ordine”, questo deve stare sempre in una sorta di veglia, e questo fa sì che potenzialmente l’assistente sia in grado di recepire tutto ciò che viene detto nei paraggi. È vero che l’ascolto attivo inizia solo dopo che viene pronunciato il comando e che – almeno di regola – la fase di registrazione e di invio delle frasi tramite connessione al servizio cloud non dovrebbe avvenire, ma è sufficiente anche solo una parola simile a quella di attivazione per far partire accidentalmente la registrazione o stimolare delle azioni non volute da parte dello smart assistant. Ad esempio, c’è stato il caso di una coppia che si era resa conto che una conversazione privata in casa era stata registrata ed inviata ad alcuni contatti da Alexa, e questo nella totale inconsapevolezza dei due protagonisti. Probabilmente, uno dei due aveva pronunciato una parola simile al comando di avvio che aveva “risvegliato” l’apparecchio. Onde evitare inconvenienti di questo tipo e limitare i rischi per la privacy, l’European Data Protection Board (EDPB) ha pubblicato, il 9 marzo scorso, le Linee guida 02/2021 sugli assistenti vocali.

Lo stesso Garante per la protezione dei dati personali, sempre a marzo 2021, ha invece adottato una scheda informativa evidenziando i pericoli degli smart assistants, capaci – secondo l’Autorità – di raccogliere e memorizzare una grande quantità di dati relativi a qualunque persona presente e riguardanti, ad esempio, abitudini, caratteristiche della voce, geolocalizzazione e stati emotivi. Al fine di prevenire tali eventualità, il Garante aveva fornito una serie di suggerimenti, come limitare le informazioni che vengono “dette” all’assistente vocale (evitando soprattutto le password dei propri account o i dati bancari), informarsi bene sul funzionamento dei dispositivi e sul trattamento dei dati, ed assicurarsi che siano spenti durante la notte.

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2. La nuova indagine del Garante

Di recente, una nuova ipotesi allarmante ha attirato l’attenzione del Garante Privacy che ha avviato un’istruttoria ai sensi del Regolamento n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante per la protezione dei dati personali, adottato con Provvedimento n. 98 del 4 aprile 2019.

Secondo l’Autorità, alcune delle app che vengono scaricate sugli smartphone, tra le autorizzazioni di accesso richieste al momento del download, inserirebbero anche l’utilizzo del microfono, spesso in modo poco chiaro, non evidente e fornendo poche informazioni al soggetto. Una volta che viene accettata tale funzione, i microfoni rimarrebbero costantemente accesi potendo quindi ascoltare gli utenti nelle loro conversazioni e carpire informazionirivendutepoi a società terze per fare proposte commerciali. Molte persone, nonché un servizio trasmesso in televisione, avevano infatti segnalato come basterebbe pronunciare alcune parole sui gusti, sui progetti, sui viaggi dei sogni o su semplici desideri per ricevere sul cellulare la pubblicità di una compagnia aerea, di un televisore o di un e-commerce di abbigliamento.

L’istruttoria del Garante, in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza, ha quindi lo scopo di esaminare le app più scaricate e verificare che le informative rese agli utenti siano chiare e trasparenti, e che sia stato correttamente acquisito il consenso.

Peraltro, come precisato dall’Autorità in un comunicato stampa del 29 settembre 2021, questa iniziativa va ad affiancarne un’altra. Si tratta del contest “Informative chiare”, volto a promuovere l’utilizzo di icone per semplificare le informative ex art. 13 e 14 del Regolamento (UE) 2016/679 in modo da renderle semplici e comprensibili per tutti.

3. I consigli del Garante per tutelare la privacy

Considerata l’importanza del tema ed i rischi per i dati personali degli interessati, il Garante ha recentemente pubblicato – nelle more dell’istruttoria in corso – alcuni suggerimenti racchiusi in una guida dal titolo “Smartphone: spegni il microfono, accendi la privacy”. La prima soluzione prospettata è la limitazione delle app scaricate, ossia prediligere l’installazione delle sole applicazioni davvero utili o indispensabili per le necessità quotidiane, evitando invece quelle superflue, poiché più alto è il numero delle app presenti sullo smartphone, maggiore sarà la quantità di dati raccolti e diffusi, soprattutto se consideriamo che non tutte garantiscono gli stessi standard di sicurezza.

La seconda forma di autotutela riguarda invece le autorizzazioni chieste per accedere alle vare funzionalità o ai dati: permettere all’app di farlo solo quando strettamente necessario e non ogniqualvolta lo richieda. Quest’ultimo accorgimento si lega ad un altro, ossia la lettura attenta dell’informativa, un’abitudine corretta e valida in ogni situazione per capire quanti e quali dati potranno essere raccolti e, eventualmente, a chi verranno trasmessi. Ipotesi inversa, invece, è quella relativa alla disattivazione delle autorizzazioni: qualora una volta letta bene l’informativa venga comunque concesso all’app di accedere a determinate funzioni o dati, bisogna sempre tenere conto della possibilità di impedirlo in un secondo momento. A tal proposito, il Garante ha previsto anche una guida specifica per capire come disattivare le autorizzazioni su qualunque sistema operativo abbia lo smartphone utilizzato, sia esso iOS o Android.

4. Conclusioni: attenzione al mercato dei dati

L’indagine avviata dal Garante Privacy ha suscitato l’interesse e il consenso di molti, ma anche il dubbio di alcuni. Non mancano infatti persone che dubitano sull’effettiva necessità della procedura, ritenendo “fantasiosa” la possibilità che gli smartphone ascoltino di nascosto le nostre conversazioni.

Al di là delle considerazioni personali, il tema merita una particolare attenzione, soprattutto se collocato nel più ampio dibattito sul mercato dei dati. È ormai chiaro che le informazioni personali hanno un valore, ed è essenzialmente il motivo per cui i social network o altri servizi sul web sono gratuiti. I dati degli utenti diventano infatti il corrispettivo, e questo perché chi ha interesse a erogare messaggi pubblicitari lo fa in base ai nostri interessi, i quali a loro volta arrivano alla loro conoscenza grazie alle informazioni trasmessegli – ovviamente non gratuitamente – dalle varie realtà coinvolte. Ricollegandoci a quanto già accennato in introduzione, c’è una ragione se Facebook o Instagram ci mostrano offerte per il viaggio tanto cercato su Google, o un paio di jeans che si abbina perfettamente con le scarpe cercate su Amazon.

Ebbene, tutto questo è possibile soltanto incamerando ingenti quantità di informazioni personali lasciate dagli interessati, trasmettendole poi a terzi per poterle usare a fini di marketing. Per questo ogni legittimo sospetto dovrebbe essere approfondito di fronte a qualunque rischio di arricchire il mercato dei dati, soprattutto laddove ci sia la possibilità di ottenere le informazioni personali di utenti inconsapevoli in virtù di informative e richieste di autorizzazioni poco chiare e, talvolta, occultate.

FONTE: https://www.altalex.com/documents/news/2021/11/23/smartphone-spioni-il-garante-privacy-avvia-un-istruttoria

 

 

 

IMMIGRAZIONI

Come funziona la rotta della Manica dell’immigrazione

Il naufragio di mercoledì avvenuto lungo il canale della Manica ha acceso nuovamente i riflettori lungo la rotta migratoria tra la Francia e Regno Unito. Allo stesso tempo, la tragedia ha accentuato le tensioni politiche tra Parigi e Londra, anche riguardo la gestione dello specchio d’acqua che divide i due Paesi, oramai diventato terra di confine esterno dell’Ue dopo la Brexit. Ma chi è che parte verso il Regno Unito dalle coste francesi? E come mai la rotta del canale della Manica ciclicamente assume dimensioni importanti tra le rotte migratorie europee?

Una rotta dalle origini remote

Lo scenario della rotta migratoria della Manica ha come sfondo il promontorio di Cap Gris-Nez, in Francia. Da qui al punto più prossimo della Gran Bretagna ci sono appena 30 km. Si tratta del corridoio più stretto del canale. A poche miglia dal promontorio si trovano due città portuali importanti: Calais e Boulogne sur Mer. La prima ospita uno dei porti commerciali più importanti per gli imbarchi verso il Regno Unito, la seconda invece ospita la flotta peschereccia più grande della Francia. Due porti quindi chiave per comprendere le dinamiche della rotta migratoria. Già nel 1999 sono arrivate le avvisaglie di una possibile crisi migratoria. La polizia infatti ha riportato la presenza di diversi campi sorti autonomamente attorno Calais abitati da immigrati. Si trattava di cittadini africani e asiatici in attesa di un imbarco per il Regno Unito. Un attraversamento ovviamente illegale. L’ora X per i migranti presenti attorno a Calais scattava quando si apriva un varco per imbarcarsi alla volta del porto inglese di Dover. L’obiettivo era sfruttare falle nei controlli e nella sicurezza per salire in qualche modo a bordo delle navi dirette dall’altra parte della Manica. Negli anni di accampamenti spontanei tra Calais e Boulogne sur Mer ne sono stati segnalati parecchi. Alcuni anche di dimensioni modeste che hanno richiesto per lo sgombero importanti operazioni di polizia.

La crisi del 2015 e la giungla di Calais

La ribalta mediatica per la rotta della Manica è arrivata però molti anni dopo. A partire dal mese di gennaio del 2015, in una zona alla periferia di Calais un tempo sede di una discarica, le autorità hanno segnalato la presenza di un vero e proprio villaggio fatto di tende e roulotte. Giorno dopo giorno il campo è cresciuto in dimensioni e per numero di persone accolte. I giornali hanno ribattezzato la zona come “la giungla di Calais”. Nel momento massimo della sua estensione, a cavallo tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, il campo è arrivato ad avere qualcosa come diecimila migranti al suo interno. Un vero e proprio paese abitato da persone di svariate nazionalità. Nella tendopoli erano presenti soprattutto siriani, iracheni e afghani, a cui si sono aggiunti anche migranti di origine africana già presenti in Francia. La crisi della giungla di Calais è figlia soprattutto degli effetti derivanti dalla rotta balcanica. In quei mesi infatti più di mezzo milione di migranti ha attraversato le frontiere della Turchia per accedere in Grecia e risalire lungo la penisola balcanica. Meta finale era soprattutto la Germania. Ma non sono mancati casi in cui le carovane di migranti hanno deviato il percorso riuscendo, tramite l’aiuto di organizzazioni di trafficanti di esseri umani, ad arrivare in Francia.

Il copione, una volta giunti a Calais, era lo stesso degli anni precedenti. Aspettare il momento giusto per imbarcarsi alla volta del Regno Unito. Ma la forte pressione migratoria imperante in quel momento ha costretto Londra a blindare i confini e a predisporre importanti controlli sulle navi e lungo tutte le vie di accesso dalla Francia. Contestualmente le autorità transalpine hanno iniziato a non tollerare più la presenza di un campo in cui, tra le altre cose, le condizioni igienico-sanitarie sono presto diventate pessime. Gradatamente, a partire dall’estate del 2016, si è proceduto allo sgombero. Una mossa resa possibile dal ridimensionamento della rotta balcanica e dal minor arrivo di migranti nel nord della Francia.

Cosa è successo dopo il 2016

Fino a questo momento la rotta della Manica ha riguardato attraversamenti svolti tramite le navi che solcavano il canale. Molti migranti negli anni si sono nascosti a bordo oppure sono stati imbarcati da tir e camion diretti a Dover. Dopo la crisi della giungla di Calais, a Londra si è attuata la strategia del pugno di ferro. Sono aumentati i controlli e gli investimenti sulla sicurezza. Come sottolineato dall’attivista di Calais Action Caroline Gregory, il Regno Unito è riuscito a blindare i porti della Manica con apparecchiature di rilevamento, di videosorveglianza e con una significativa presenza di agenti della Polizia. Superare in modo “classico” il canale per i migranti era diventato impossibile. Da questo momento in poi la rotta della Manica ha cambiato volto, con modalità di attraversamento simili a quelle notate tradizionalmente nel Mediterraneo. I migranti, e i gruppi di trafficanti, hanno infatti iniziato a usare imbarcazioni autonome per raggiungere le coste opposte a quelle francesi.

A dimostrare questa situazione è l’aumento di denunce a partire dal 2017 da parte dei pescatori di Boulogne sur Mer relative a furti e danneggiamento dei propri pescherecci. Se nell’anno successivo alla crisi di Calais le partenze di imbarcazioni dalla Francia sono state 12, nel 2018 si è avuto invece il primo exploit. Le Figaro, soltanto tra i mesi di novembre e dicembre, ha segnalato almeno 57 tentativi di attraversamento. La tendenza è cresciuta nel 2019 e nel 2020, per assumere poi i contorni di una vera emergenza nell’anno in corso. Secondo la Bbc, dal primo gennaio a oggi sono stati almeno 25.000 i migranti salpati dalla Francia. 

Chi parte verso il Regno Unito

A dirigersi verso le coste inglesi sono soprattutto migranti di origine asiatica e africana. Sfruttando le rotte tradizionali dal medio oriente o dal continente africano, chi ha intenzione di procedere verso Londra ha come tappa del viaggio Calais o Boulogne sur Mer. Sono le organizzazioni di trafficanti a pianificare gli spostamenti tramite tir o camion, fornendo anche documenti falsi. Una volta nel nord della Francia, vengono usati gommoni o pescherecci rubati in zona. La rotta della Manica, rispetto alle altre europee, fino al 2021 ha avuto numeri più contenuti. I migranti hanno intenzione di raggiungere il Regno Unito per due specifici elementi: il ricongiungimento con altri familiari oppure per l’uso della lingua inglese.

L’attuale tensione

L’exploit del 2021 ha fatto suscitare non poche tensioni tra Parigi e Londra. I due governi nello scorso mese di luglio hanno stretto un accordo nel quale è previsto il pagamento, da parte di Londra, di 62 milioni di Euro per aiutare le guardie marittime francesi a sorvegliare il canale. Ma il naufragio di giorno 17 novembre e la continua crescita del numero delle traversate ha aperto ulteriori falle nei rapporti tra le due sponde della Manica.

FONTE: https://it.insideover.com/migrazioni/come-funziona-la-rotta-della-manica-dell-immigrazione.html

 

MIGRAZIONI: La controversa collaborazione tra il Politecnico di Torino e Frontex

Nel mese di luglio il Politecnico di Torino si è aggiudicato un bando di Frontex per la produzione di mappe e infografiche volte a supportarne le attività. L’intesa ha suscitato un acceso dibattito sull’opportunità di una collaborazione tra l’Università e un’Agenzia europea sotto inchiesta per mancata tutela dei diritti umani e uso improprio dei fondi a disposizione.

Un’inchiesta di Luca Rondi, apparsa sul sito Altraeconomia lo scorso 20 ottobre, ha reso pubblico un accordo da 4 milioni di euro tra il Politecnico di Torino, in particolare il Dipartimento inter-ateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio (Dist), Ithaca srl e l’Agenzia europea Frontex.

East Journal ha raccolto le voci dei protagonisti del Politecnico per provare a fornire un quadro più chiaro delle posizioni in campo in quella che si considera una vicenda politicamente importante in un momento in cui la crisi migratoria è tornata in cima alle preoccupazioni europee.

L’accordo

Secondo quanto emerge dal bando pubblico, l’intesa prevede la produzione da parte del Politecnico di Torino di mappe dettagliate con tanto di riferimenti topografici, geologici e climatici accompagnate da alcune infografiche create grazie all’elaborazione dei dati. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile per ulteriori due anni. I risultati saranno poi utilizzati da Frontex per le proprie attività di monitoraggio dei confini europei. Nell’accordo non è specificato quali saranno le aree interessate ma, come riportato da Altraeconomia, l’agenzia ha fatto un vago riferimento al confine tra Polonia e Bielorussia.

Quello che contribuisce ad aumentare i dubbi sull’intesa sono però le parti secretate sull’utilizzo effettivo delle mappe. Nel frattempo Frontex continua a negare l’accesso al testo dell’accordo perché “nessun interesse pubblico […] è accertabile nel caso di specie”.

La posizione del Politecnico

Come riportato in un comunicato ufficiale pubblicato il 14 luglio su Poli Flash, magazine ufficiale del Politecnico di Torino, il professor Stefano Corgnati, Vice Rettore alla Ricerca e Presidente dell’Associazione Ithaca, ha parlato di “primo esempio di come l’ecosistema del Politecnico di Torino […] possa essere funzionale alla piena integrazione tra le attività di ricerca e quelle di trasferimento tecnologico”.

Alla nostra richiesta di ulteriori informazioni l’Ufficio stampa dell’Ateneo ha risposto con una nota in cui dichiara che “sono state avanzate al Rettore delle segnalazioni circa un possibile uso improprio dei risultati del progetto Open Tender Procedure Frontex” e che il Rettore ha pertanto avviato “un’indagine conoscitiva, che si concluderà con la valutazione da parte del Senato Accademico nel mese di dicembre”.

Le voci contrarie tra il corpo docente

L’accordo ha provocato anche dure reazioni. Michele Lancione, professore ordinario di Geografia politico-economica, in una nota pubblicata da Altraeconomia, parla della sua contrarietà al progetto come di una questione “non personale ma politica”. Una posizione approfondita in un’intervista telefonica per il nostro giornale in cui il docente ha voluto sottolineare diversi aspetti critici della vicenda.

In primo luogo sul piano etico-politico: si tratta infatti di “un accordo raggiunto con un’agenzia europea il cui operato è stato spesso contrario al rispetto dei basilari diritti umani” come denunciato da numerose organizzazioni internazionali e dalle inchieste in atto di diversi organismi europei. Per il professor Lancione vi sono poi almeno altri tre problemi di cui tener conto. Il primo riguarda l’oggetto stesso dell’accordo: la produzione di mappe e infografiche. “Un lavoro che, come già dimostrato dalle mappe prodotte da Frontex in passato, in cui vengono riportate enormi frecce che puntano verso l’Europa, va a riprodurre le narrazioni su una fantomatica “invasione”.

Il secondo aspetto critico, secondo Lancione, è la mancata neutralità di queste mappe che verranno usate da Frontex per fini che paiono spesso in contrasto con la tutela dei diritti umani. Infine, il terzo punto riguarda il tentativo della stessa Frontex di “ripulirsi l’immagine” in un momento in cui questa appare molto compromessa. Stringere un accordo con un’istituzione prestigiosa come il Politecnico permetterebbe, secondo il docente, di “riabilitare” l’agenzia europea. 

La voce degli studenti

Tra le voci contrarie anche quella del gruppo studentesco Cambiare Rotta Torino. Anche in questo caso, al centro delle critiche il ruolo esercitato in questi anni da Frontex e le inchieste in atto per violazione dei diritti umani. L’intenzione è di “rendere visibile e pubblica una voce di opposizione all’accordo con un’Agenzia che mostra il volto più duro dell’Unione Europea, presentata come altamente progressista e pacifista ma che si è detta disponibile, tramite il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, a finanziare la costruzione di nuovi muri per respingere i migranti”. Un apparato militare che con questo accordo, secondo Cambiare Rotta Torino, arriva fin dentro l’università.

La richiesta al Politecnico è il ritiro dall’accordo. La seconda richiesta è legata alla pubblicizzazione degli scopi dell’accordo. Infine, gli studenti chiedono che non vi siano sanzioni disciplinari nei confronti di chi, tra il corpo docente, si dichiara contrario a prendere parte al lavoro previsto dall’intesa.

Numerose le iniziative messe già in campo e in programma nei prossimi giorni. Ad un momento di discussione pubblico avvenuto a inizio novembre ha fatto seguito un presidio in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’ateneo. Per mercoledì 24 novembre alle 18 è prevista un’altra assemblea tematica presso l’aula occupata Anahita a Palazzo Nuovo.

Le inchieste su Frontex

Frontex nasce nel 2004 con l’obiettivo di garantire “un livello uniforme ed elevato di controllo e sorveglianza” dei confini. In seguito all’aumento dei flussi migratori nel 2015-2016, il regolamento 1624 del 2016 rinominava Frontex come Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera allargando i compiti “nell’affrontare la drammatica situazione alle frontiere esterne e rafforzarvi i controlli, in particolare attraverso risorse aggiuntive” (Regolamento 2016/1624). I fondi a disposizione dell’Agenzia sono di conseguenza aumentati esponenzialmente negli anni. Dai 6 milioni di euro stanziati nel 2005 si è passati a 254 milioni nel 2016 e addirittura a 543 milioni nel 2021.

Negli ultimi anni, l’Agenzia è stata al centro di numerosi scandali e denunce da parte di diverse organizzazioni internazionali. Al centro delle recenti accuse, lanciate tra le altre da Human Rights Watch, la mancata adozione di misure efficaci contro le violazioni dei diritti umani delle persone migranti e persino l’attuazione di pratiche contrarie al diritto europeo come i respingimenti illegali, come denunciato tra gli altri dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI). A queste accuse si sono aggiunte recentemente anche quelle relative all’utilizzo improprio dei fondi a disposizione per l’organizzazione di cene ed eventi dai costi spropositati (2,1 milioni di euro solo nel 2019).

A febbraio, la Commissione libertà civili del Parlamento europeo ha istituito un gruppo di lavoro sul controllo di Frontex (FSWG), mentre sono ancora in corso indagini da parte della Corte dei Conti Europea e dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF). Il rapporto conclusivo dell’FSWG sembra confermare molte delle accuse. Nel testo si legge che “l’Agenzia […] non ha affrontato le violazioni [dei diritti umani, ndr] in modo tempestivo, vigile ed effettivo […e] non ha impedito queste violazioni né ha ridotto il rischio di future violazioni dei diritti fondamentali”. L’FSWG ha inoltre “riscontrato carenze nei meccanismi di Frontex”.

Alle inchieste ufficiali si è affiancata una campagna internazionale dall’emblematico titolo Abolish Frontex (Abolire Frontex), condotta da decine di ONG che criticano “l’ossessione di rafforzare le frontiere piuttosto che proteggere le persone”. Una violenza al cui centro, secondo la campagna, c’è proprio Frontex descritta come “un’accanita promotrice e principale esecutrice delle violente politiche europee contro i migranti”.

Non è un caso allora che l’accordo siglato tra l’università torinese e l’Agenzia europea abbia alimentato un dibattito così acceso, che potrebbe avere ripercussioni sulle future collaborazioni di Frontex.

Foto: Rock Cohen

FONTE: https://www.eastjournal.net/archives/122096

 

 

LA LINGUA SALVATA

Diafora
di-à-fo-ra

SIGNIFICATO Figura retorica che consiste nella ripetizione di una parola all’interno della stessa frase con sfumature diverse, e intenti enfatici

ETIMOLOGIA dal greco diáphoros ‘diverso’, derivato di phéro ‘portare’, col prefisso dia-, che qui indica separazione.

Davanti a parole come questa ci rendiamo conto che anche il più minuto stratagemma con cui diamo forza a ciò che diciamo e scriviamo è noto, catalogato, bollato con un proprio nome.

La diafora è una figura retorica con una funzione duplice, ma la sua forma è unitaria: la riconosciamo come una ripetizione, nella medesima frase, di una stessa parola — in un cumulo che dà alla seconda occorrenza un senso diverso dalla prima. Questo avviene o quando la seconda è usata con un significato diverso o reiterando lo stesso significato in una tautologia enfatica o paradossale. È buffo descriverla in questa maniera astratta, perché è qualcosa che nel suo uso ci è estremamente consueto.

Possiamo parlare delle caratteristiche che rendono umani gli umani; di come ogni persona ha i suoi piaceri, senza cui la vita non è vita; affermiamo che basta usare la ragione per capire chi ha ragione; ti racconto quando è stato che per me Giacomo è diventato Giacomo; prendi il decaffeinato o vuoi il caffè caffè? E naturalmente gli affari sono affari, così come il lavoro è lavoro, e la guerra guerra.

Nella diafora un termine si avvicenda a ruota con una sua dimensione figurata. La ripetizione forza l’apertura di un termine mostrando una sua differenza di sfumatura non rispetto ad altre parole sinonime, ma rispetto a sé stesso. Umani è nome con cui indicare fisicamente gli esseri umani, ma l’umanità è anche una qualità morale, in rapporto tutt’altro che semplice con l’umanità quale consorzio umano; dire che la vita non è vita è un ribaltamento paradossale di una tautologia (la vita è vita), che come molti paradossi forza il concetto che investe — l’idea di vita non è monolitica. E dire che il lavoro è lavoro lo proietta in una prospettiva tutta fuori dalla collocazione concreta e contingente del lavoro, in una dimensione morale.

La diafora funziona anche in situazioni dialogiche (e in questi casi è talvolta chiamata antanàclasi, letteralmente ‘ripercussione’) — “Ti faccio vedere la mia macchina nuova” “Questa sì che è una macchina!”. E la prossimità al gioco di parole significativo e d’impatto la rende una figura particolarmente amata nella pubblicità e negli slogan.

Una figura che fa sprizzare scintille di pensiero causando cortocircuiti semantici: il suo stesso nome è un paradosso, hai notato? La ripetizione di parole uguali è significata col termine greco per ‘diverso’. E nonostante la sua antichissima storia, in italiano è attestato solo dagli anni ‘50.

In coda notiamo che ‘diafora’ è un lemma che i dizionari registrano anche altrimenti: senza che in questa veste sia più, pare, molto consueto, in cartografia la diafora è la linea linea che unisce tutti i punti della superficie terrestre in cui si manifesta la stessa variazione termica annua.

Parola pubblicata il 14 Novembre 2021

FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/diafora

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Confindustria attacca il lavoro, i sindacati confederali applaudono

Nonostante l’Italia si trovi ancora in una profonda crisi occupazionale, con il numero di lavoratori occupati calato di circa 800 mila unità tra febbraio 2020 e giugno 2021 e con un tasso di disoccupazione aumentato dal 9,5% di fine 2019 al 10,5% di maggio 2021la scadenza del blocco dei licenziamenti è arrivata. Con il decreto-legge n. 99/2021 il Governo pone fine, a partire dal 1° luglio 2021, al blocco dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo introdotto nel marzo 2020, escludendo dallo stop solo il comparto della moda (ritenuto uno dei settori che più ha subito la crisi per effetto delle misure di contrasto alla pandemia) e la filiera produttiva ad esso collegata come calzature, pelletteria e tessile.

A corredo della misura governativa, martedì 29 giugno Governo, sindacati confederali (CGIL, CISL e UIL) e Confindustria hanno siglato un accordo. Si tratta, in realtà, di una mera presa d’atto di cui non si comprende il valore giuridico e l’effetto vincolante che potrà esercitare, ma che il segretario della CGIL Landini non ha esitato a definire un grande risultato per tutto il Paese. Nell’accordo si afferma testualmente quanto segue: “le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti, si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”. Si conclude, poi, che le parti “auspicano e si impegnano, sulla base di princìpi condivisi, ad una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua”.

Vediamo allora in primo luogo brevemente il contenuto del decreto-legge, per poi passare all’accordo tra le parti sociali.

Da un lato, per i settori in cui il blocco dei licenziamenti non è più in vigore, quali ad esempio l’industria e le costruzioni, che si trovano in crisi o che hanno un tavolo di crisi aperto presso il Ministero dello Sviluppo economico, viene prevista la possibilità di utilizzare per 13 settimane, e fino al 31 dicembre 2021, la cassa integrazione straordinaria (CIG) in deroga gratuita (ossia senza contributo addizionale per le imprese), con conseguente divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Dall’altro, per il comparto della moda e della filiera ad esso collegato, il blocco dei licenziamenti sarà ancora in vigore fino al 31 ottobre 2021, con contestuale accesso, per le imprese di quei settori, alla CIG in deroga gratuita. In sostanza, quindi, non solo la misura del Governo sta consentendo alle imprese di ricominciare a licenziare, ma sta inoltre permettendo loro di poter utilizzare in alternativa la CIG gratuita fino all’ultimo spicciolo, limitandosi dunque a posticipare nel tempo quei licenziamenti. È senza dubbio, questa, una misura di chiara e intellegibile impronta padronale, che però, riteniamo, tradisce una visione della politica economica, peraltro non differente da quella propria dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni, che tenta di nascondere decisioni politiche sfacciatamente a favore delle imprese sotto la maschera dell’incentivo. Ad esempio, così come gli incentivi agli investimenti vengono giustificati dalla volontà di stimolare le imprese ad ampliare o a ricostituire la capacità produttiva – limitandosi, nel migliore dei casi, a consentire di anticipare decisioni che le imprese avrebbero comunque fatto -, così lo sblocco dei licenziamenti assume la veste di incentivo per le imprese ad utilizzare la CIG gratuita, limitandosi, nel migliore dei casi, a posticipare i licenziamenti. Come abbiamo infatti già avuto modo di sottolineare, i lavoratori in CIG sono dipendenti di imprese le cui esigenze produttive si sono ridotte o azzerate: se la domanda di manodopera da parte delle imprese non aumenta, o comunque non ritorna ai livelli pre-pandemia, le imprese avranno tutto l’interesse a sbarazzarsi di quei lavoratori in CIG tramite la rinnovata possibilità di licenziare, a prescindere dalla possibilità di utilizzare per qualche settimana in più la CIG.

Ora, se in parte non sorprende che una simile visione sia propria dell’attuale compagine governativa, lascia particolarmente di stucco che i sindacati confederali, di fronte alla più grave crisi economica che ha colpito l’Italia dal secondo dopoguerra, abbiano siglato un accordo con il Governo e con Confindustria che di fatto sposa appieno quella visione del sistema economico. Infatti, l’accordo tra le parti sociali da un lato si limita a definire una mera presa d’atto relativa all’impegno da parte delle imprese di utilizzare la CIG rispetto alle risoluzioni dei rapporti di lavoro (con ciò legittimando, di fatto, il contenuto del decreto legge che però, come abbiamo evidenziato in precedenza, si limita a posticipare una potenziale bomba sociale); dall’altro, il riferimento alle politiche attive e ai processi di formazione permanente certifica che anche per i sindacati il problema della disoccupazione e della carenza dei posti di lavoro è una questione che si risolve semplicemente dotando l’individuo di maggiori competenze specifiche, formandolo e orientandolo verso la ricerca di un posto di lavoro. D’altro canto, così recita il mantra di Draghi della distruzione creatrice del mercato, secondo la quale è sufficiente favorire lo spostamento dei lavoratori verso le aziende virtuose, ossia quelle che, pur avendo avuto difficoltà nel corso della crisi pandemica, sono finanziariamente sane e con prospettive di ripresa, dunque pronte ad assorbire lavoratori qualificati e specializzati espulsi dal processo produttivo. In questa direzione stanno andando le pericolose idee di riforma degli ammortizzatori sociali: l’idea malsana alla base di questo modo di ragionare è quella che, se sei disoccupato o inoccupato (ossia non sei formalmente alla ricerca di un lavoro), è sufficiente, per trovare un impiego, che tu segua un percorso di formazione e/o di inserimento mirato nel mercato del lavoro. Se però ciò può verificarsi per un singolo individuo, nell’aggregato, ossia per il complesso dei disoccupati, questa proposizione non trova ragione d’essere se al contempo i livelli complessivi di attività economica, e dunque anche la domanda complessiva di lavoro, non aumentano. In poche parole, l’eccesso di offerta di braccia rispetto alla domanda non è un problema legato alla scarsa qualifica dei lavoratori o alla loro incapacità di cercare un impiego, come da più parti vogliono farci credere, bensì viceversa alla carente domanda di lavoro da parte del complesso delle imprese. Ritenere allora che all’aumento dei licenziamenti si possa far fronte con le politiche attive, vuol dire semplicemente accettare, a parità di altre condizioni, un aumento della disoccupazione, che a sua volta implica minori salari pagati, minori spese per consumi da parte delle famiglie e, dunque, minore domanda di beni e servizi, minore produzione e conseguenti ulteriori licenziamenti.

Si potrebbe comunque obiettare a quanto da noi argomentato che, nonostante lo sblocco dei licenziamenti, non vi saranno molte risoluzioni di rapporti di lavoro poiché comunque le previsioni di crescita del PIL dell’Italia per il 2021, stimata intorno al 5%, e per gli anni successivi fanno sperare per il meglio. Chiaramente non sappiamo se, per effetto della stimata crescita del PIL per l’anno in corso e – speranzosamente – per quelli successivi, la domanda di lavoro aumenterà in modo tale da impedire l’esplosione di una bomba sociale. Tuttavia, anche a parità o a seguito di incrementi della domanda di lavoro, la rinnovata possibilità di licenziare rappresenta una ghiotta occasione per le imprese per riorganizzare la produzione, soprattutto a seguito di una crisi economica, sostituendo lavoratori con un tradizionale contratto a tempo indeterminato con lavoratori con contratti a tempo determinato o con i nuovi contratti ‘a tutele crescenti’; infatti, tra le motivazioni di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo rientrano non solo quelle legate alle crisi aziendali, ma anche quelle relative ad un miglioramento dell’efficienza gestionale dell’impresa o ad un aumento della redditività. Sulla base di tali motivazioni, le imprese hanno, ad esempio, l’occasione di sostituire lavoratori più anziani (e più ‘costosi’) con quelli più giovani con minori tutele, data la possibilità di poter non solo assumere a tempo determinato per 12 mesi senza le causali, ma anche di prorogare senza causali lo stesso contratto per altri 12 mesi, per ora fino al 31 dicembre 2021, così come previsto dal Decreto-legge Sostegni.

In conclusione, si pone a seguito dello sblocco dei licenziamenti non solo un potenziale problema di livelli di occupazione, ma anche di composizione dell’occupazione, ossia di quanti impiegati sono assunti con un contratto a termine. Questa composizione, al pari dei livelli, può influenzare il potere contrattuale dei lavoratori e, per questa via, i livelli salariali, in quanto più precari ci sono, meno potere contrattuale essi avranno nei confronti dei datori di lavoro sulla contrattazione e sulle condizioni di lavoro.

La direzione politica del Governo Draghi, ligio esecutore dell’austerità di matrice europea, è ormai limpida. Altrettanto chiara, anche alla luce di questo accordo, diventa la complicità dei sindacati confederali. Le vicende della GKN (422 lavoratori licenziati) e della Gianetti (152 lavoratori licenziati) ci raccontano, plasticamente, che le prime vittime dello sblocco dei licenziamenti stanno già arrivando. Lo ribadiamo: criticare ed attaccare sindacati che rappresentano milioni di lavoratori non è un esercizio piacevole né divertente, ma di fronte a tali scelte diventa una necessità politica. Infatti, non solo questi accordi testimoniano la totale abdicazione ai propri doveri di difesa e tutela dei lavoratori, ma contribuiscono a diffondere scoraggiamento, sfiducia e rassegnazione. Il mondo del lavoro, oltre ad aver vissuto dagli anni ‘90 una spietata fase di arretramento in termini di reddito, diritti e condizioni lavorative, è ora sotto attacco di una crisi economica senza precedenti: provare a invertire queste tendenze è un dovere per chi, non ancora totalmente accecato dalla propaganda del nemico di classe, vuole davvero difendere gli interessi di tutti coloro che non hanno nulla da guadagnare da questo sistema economico.

FONTE: https://coniarerivolta.org/2021/07/10/confindustria-attacca-il-lavoro-i-sindacati-confederali-applaudono/

 

 

Storie di caporalato digitale: full stack, mezza paga

Profili full stack senza un’adeguata retribuzione e tipologia di contratto: chi non accetta il caporalato digitale guarda all’estero

Come promesso, arriva una delle molte storie di caporalato digitale: la ricerca di profili full e l’offerta di paghe e condizioni lavorative tutt’altro che adeguate alle responsabilità della figura. Attenzione: con profilo full stack non ci si vuole limitare alla sola figura del developer, ovverosia lo sviluppatore che si occupa sia del back-end (in sintesi: il funzionamento lato server) che del front-end (in sintesi: l’interfaccia visibile dall’utente) di un sito o di un’applicazione. Facendo riferimento al termine per analogia si intende un profilo estremamente complesso e completo riguardante un determinato ambito. E qui possiamo avere, come spesso abbiamo: un legal specialist che si intenda di contrattualistica (nazionale ed internazionale), GDPR, 231; un marketer esperto in gestione progetti, social media management e analisi strategica; un graphic designer che sappia occuparsi di progetti di comunicazione, video editing e UI design.

La ricerca di questi tipi di figure popola gli annunci di lavoro, con alcuni denominatori comuni negativi.

Un esempio: l’assenza di indicazione di RAL o della tipologia di contratto offerta. Il più delle volte consiste in un “iniziale rimborso spese” giustificato dal “doversi conoscere”, sorretto da niente più che uno stage o – nella maggior parte dei casi – da una proposta di collaborazione. Tale elemento si scontra con la richiesta di esperienza o di evidenze quali certificazioni, titoli o voti di laurea. E con la possibilità di contrattualizzare un periodo di prova, ovviamente.

Insomma: non si è disposti a pagare per una figura con molte hard skill, e questo è il peccato originale. Dopodiché, c’è una deriva piuttosto elementare e prevedibile: dal momento che costa così poco, perché doverla formare e coltivarla affinché si verticalizzi nelle proprie competenze? E così si assiste ad un elevato turnover, in parte provocato da condizioni di lavoro che non profilano orizzonti di crescita, e dall’altro dalla diffusa prassi di reimpiego in mansioni ben lungi dall’essere coerenti con il profilo e qualificanti per la persona.

Altro che la predica da boomer di dover fare sforzi per entrare nel mercato del lavoro. Qui siamo alla macelleria di quelle competenze e professioni digitali che invece si continua a raccontare di voler promuovere. Se il panorama digitale non ha confini ed oggi più che mai è possibile lavorare in modalità smart, per quale motivo un giovane si dovrebbe rassegnare a subire il giogo di un caporalato digitale quando ci sono più cose in cielo e terra di quelle che possono essere sognate in terra natìa? E se altrove si guarda, non lo si fa certo per esterofilia bensì per incontrare delle opportunità che qui sono percepite come irrealizzabili o altrimenti realizzabili solo per un novero molto ristretto di candidati.

FONTE: https://www.infosec.news/2021/11/28/news/risorse-umane/storie-di-caporalato-digitale-full-stack-mezza-paga/

Far pagare le cure ai non vaccinati: eticamente distorsivo e politicamente aberrante

di Matteo Bortolon

Il ministro Speranza alcuni giorni fa si è pronunciato negativamente sulla proposta di escludere dalle cure garantite per diritto i non vaccinati da covid-19, con una tassatività che si spera seppellisca questo dibattito surreale.

A prescindere dall’opinione che si ha in merito ai vaccini e alla relativa obbligatorietà, tali argomenti vanno respinti in blocco in quanto non solo contrari alla Costituzione ma in base alla loro sostanziale infondatezza. Va considerato il fatto che “far pagare le cure” significa togliere il diritto a riceverle. Alcune stime calcolano il costo della terapia intensiva nell’ordine di 2.800,00 € al giorno, e subordinarla al suo pagamento significa negarla a vastissimi strati popolari. Non è far pagare un ticket, insomma. Con questo la discussione potrebbe chiudersi, perché è evidente che una misura così abnorme e sproporzionata di negare le cure volte a garantire l’integrità psicofisica e magari la vita, cioè un diritto fondamentale, sulla base di un comportamento – che è peraltro consentito dalla legge – sarebbe assolutamente impensabile. Ma dato che è stata affermata da persone delle istituzioni – horribile dictu – e rilanciata – forse provocatoriamente – da qualche magistrato dotato di visibilità, è meglio prenderla di petto e capire perché non solo è insostenibile ma recherebbe danno agli stessi obiettivi di tutela della salute.

Ma vediamo le motivazioni più ricorrenti alla base di tali proposte.

  • La più banale è che vaccinarsi dovrebbe costituire un atto di solidarietà a favore della collettività, e che chi si sottrae a tale “dovere” non possa nemmeno riceverla, la solidarietà. In altre parole, il non-vaccinato va punito come egoista che per le sue inutili paturnie mette a rischio la salute pubblica.

Sicuramente è vero che molti si vaccinano in base ad un senso di responsabilità collettiva, e fra coloro che non si vaccinano senza dubbio alcuni escludono dalle loro considerazioni la sfera collettiva. Ma nessuno sa quanti siano. Posto che l’atto oggettivo – vaccinarsi o no – è ben visibile e constatabile, l’intenzionalità non è altrettanto evidente. Se ci si getta sul versante puramente morale con un’etica della intenzione, bisogna capire cosa passa nella testa delle persone. Se un antivaccinista per esempio non crede che il Covid rappresenti un reale pericolo, il suo non vaccinarsi – per quanto lo si possa considerare illogico e infondato – non ha alla base alcuna intenzionalità che possa essere considerata ostile o indifferente verso la collettività. D’altro canto quanti si vaccinano esclusivamente per la loro sicurezza e la loro vita? Non lo sappiamo. D’altronde è cosa nota che la irremovibilità sui brevetti sostenuta dagli Stati più forti priva della possibilità di ottenere un vaccino molti paesi poveri. Se si scorpora il numero di coloro convintissimi di vaccinarsi (una flagrante maggioranza, secondo molti sondaggi) con coloro che aderiscono convintamente alle campagne che consentirebbero di beneficiare molte popolazioni africane – per esempio – non pare troppo fantasiosa l’idea che una larga (quanto?) fetta di popolazione desidera una immunizzazione per sé e per i propri cari ma non pare particolarmente preoccupata per la vita degli altri, sempre che siano sufficientemente lontani da non costituire un veicolo di contagio. In definitiva chi si vaccina per mero egoismo e chi non lo fa sulle stesse ragioni non paiono distinguersi troppo se non in base ad un diverso calcolo in termini costi-benefici. Per cui la “superiorità morale” di chi si vaccina non è così scontata. Un tribunale della coscienza che commini costi o neghi cure in base ad una analisi della interiorità morale è oltre che improponibile di principio, inattuabile – sempre che non si abbia nostalgia delle pratiche del S. Uffizio. Se si deve punire per fatti di coscienza – posto che questo possa essere pensabile in una società che si consideri ancora democratica – bisogna entrare in qualche modo nella coscienza.

  • Una seconda linea argomentativa è più pragmatica: chi non si vaccina va ad ingolfare le terapie intensive, quindi, a prescindere dalle intenzioni, oggettivamente, toglie risorse agli altri, ed è giusto che subisca un trattamento diverso.

In questo caso, l’obiettivo è confuso. Se si tratta di una sorta di sanzione di carattere dissuasivo forse non sarebbe così efficace contro gli antivaccinisti più incalliti. Ed in ogni caso si potrebbe erogare una molteplicità di sanzioni, pecuniarie e non; perché negare le cure o farle pagare? Assomiglia un po’ alle punizioni corporali già squalificate dal diritto contemporaneo. È chiaro il retroterra moralista di tale misura: hai trasgredito ed ora devi patire. Ma così torna l’argomento punitivo del punto precedente.

Se invece il fine è dare spazio ai vaccinati (quando la frittata è fatta), allora si dovrebbe non rendere le cure onerose ma escludere proprio i reprobi da ogni struttura pubblica: vai a cercare la clinica privata se no non vieni curato. Ma sarebbe una sorta di condanna a morte dei meno abbienti. Per quale reato? Aver sottratto posti letti necessari. Ma allora cosa si dovrebbe fare a coloro che hanno provocato un impoverimento strutturale del SSN con conseguenza di taglio posti letto? È ultranoto il taglio di 37 miliardi negli ultimi anni:

1taglisan

In maniera biasimevole, il dibattito si concentra sulle responsabilità dei singoli non vaccinati per glissare non solo sulle responsabilità passate, ma oscurando pure quelle presenti e future: la Nota di Aggiornamento (p. 59) presentata a settembre dal governo dei “competenti” capitanato da Draghi prevede una discesa futura della spesa sanitaria:

2taglisan

Insomma l’oligarchia continua a depotenziare la sanità nel disinteresse generale ma vengono indicati come criminali e irresponsabili persone le cui azioni non hanno un impatto decisivo sulle politiche pubbliche.

Si tratta di un passaggio decisivo: la possibilità di ammalarsi in generale non risiede solo nel comportamento individuale, ma nella salubrità dell’ambiente, del posto di lavoro, dei trasporti. Così è anche per il covid-19, a proposito di cui converrà notare che se a marzo 2020 si poteva considerare il contesto quale emergenziale – ricordandoci i tagli che hanno peggiorato la situazione – a fine 2021 non si registrano interventi di rilievo per la sicurezza dei trasporti pubblici nelle scuole, come ammette abbastanza significativamente un consulente del governo. Insomma in termini di politiche di prevenzione sanitaria non si è fatto granché e gli irriducibili antivaccinisti diventano il capro espiatorio su cui riversare le paure e lo scontento. Si tratta di un’operazione mediatica che nasconde le responsabilità dei decisori politici. Come un faro di luce in uno stanza buia o nella semioscurità illumina un singolo oggetto ma nasconde al contempo il resto dell’ambiente. In questo assomiglia alla criminalizzazione di singoli comportamenti antisociali – furto, borseggio – per non toccare i meccanismi politici di redistribuzione, politiche spesso attribuite alla destra legge-e-ordine.

  • Un terza linea argomentativa è che i vaccinati non dovrebbero pagare per le cure di chi si astiene dal farlo.

Se si esclude l’argomento della punizione morale o della sanzione dissuasiva resta solo quello che i vaccinati-contribuenti non vorrebbero che i loro soldi fossero utilizzati per curare persone così incaute e irresponsabili.

L’argomento si basa su una concezione del rapporto contribuente-Stato come strettamente utilitaristico: fra quanto do in termini di tasse e quanto ne ricevo in termini di servizi cerco una corrispondenza. Frasi come “perché debbo pagare io per le cure ai novax” sottendono un pensiero di tal genere, ulterioramente rafforzato dalla percezione di essi come persone irresponsabili ed immorali. Se c’è una certa parentela rispetto al primo argomento “morale”, la declinazione è più simile a quella dei gruppi religiosi che non vogliono che le loro tasse alimentino un comportamento opposto rispetto alle loro credenze, per esempio privando alle donne che vogliono abortire la possibilità di ricorrere a strutture pubbliche.

È chiaro che si tratta di qualcosa di insostenibile, la cui follia è solo velata dal contesto di allarme sociale che i media proiettano sugli antivaccinisti; ad una analisi razionale ci si può chiedere se varie categorie di responsabili di reati – pedofilia, mafia, omicidi seriali, stupro – soggette ad una valutazione simile sarebbero semplicemente nutriti in base all’erario pubblico, vista la evidente impopolarità di tali categorie. Di fronte alla domanda “vorresti che un pedofilo venisse nutrito a tue spese” si può immaginare il tono delle risposte.

La spesa pubblica viene decisa in base a necessità pubbliche riconosciute in sede di mediazione politica, cioè nel processo democratico – il voto forma una maggioranza parlamentare che dà l’indirizzo politico all’azione di governo – e conformemente ai limiti posti dalla Costituzione; non dovrebbe essere subordinata ad umori raccogliticci sui sondaggi nazionali in relazione ai vari allarmi sociali.

Questo dovrebbe portare motivi di riflessione ai medici e sanitari che potrebbero avere simpatia per simili proposte. La possibilità di privare del diritto alle cure una porzione di popolazione spalanca la porta ad abusi e arbìtri del potere che in definitiva non possono che minare l’universalismo di tale fondamentale diritto, cui si dedicano i professionisti del comparto sanitario, e proprio loro dovrebbero essere i primi a rigettare tali barbarie e tutte le conseguenze che possono conseguirne.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/21661-matteo-bortolon-far-pagare-le-cure-ai-non-vaccinati-eticamente-distorsivo-e-politicamente-aberrante.html

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Tutte le novità del trattato Italia-Francia

Italia Francia

Politica estera, difesa, immigrazione, spazio e non solo. Ecco le principali linee guida (concrete) del trattato Italia-Francia firmato il 26 novembre

 

Per il presidente del Consiglio Mario Draghi, la sua firma “segna un momento storico nelle relazioni” bilaterali. Per il presidente francese Emmanuel Macron, permetterà la nascita di “una visione geopolitica comune”. Il cosiddetto trattato del Quirinale – o, formalmente, il Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica francese per una cooperazione bilaterale rafforzata – firmato a Roma il 26 novembre punta ad accrescere l’allineamento politico-economico tra l’Italia e la Francia, e potrebbe ricalibrare i rapporti di forza interni all’Unione europea.

DODICI ARTICOLI

L’accordo (qui il testo integrale) si compone di dodici articoli, ed più un elenco di intenzioni che una raccolta di progetti ben definiti. Il programma di lavoro, invece, è più specifico.

LA POLITICA ESTERA

Attraverso il trattato, Italia e Francia si impegnano a migliorare il coordinamento tra le rispettive azioni a livello internazionale, con l’obiettivo di definire posizioni coerenti sulle decisioni riguardanti interessi comuni. A questo scopo hanno deciso di istituire dei “meccanismi di consultazioni rafforzate”, con incontri regolari tra i rispettivi funzionari, specialmente in caso di crisi.

Roma e Parigi rafforzeranno il coordinamento sulle politiche per il Mediterraneo (definito “ambiente comune”) relative alla sicurezza, allo sviluppo economico, all’integrazione, al contrasto delle migrazioni irregolari, alla promozione dei diritti umani e all’energia. In sede europea, lavoreranno alla definizione di approcci comuni verso “il vicinato meridionale e orientale” (Africa settentrionale, Sahel, Corno d’Africa, Medio oriente, golfo Persico) e verso i “principali partner e competitor internazionali” (la Cina?). Miglioreranno inoltre la cooperazione sulla sicurezza marittima in alcuni quadranti principali: non solo il Mediterraneo, ma anche il golfo di Guinea, il mar Rosso, il golfo Persico, il golfo di Aden e l’oceano Indiano occidentale.

LA DIFESA

Sulla difesa, le due parti dicono di impegnarsi per la promozione della cooperazione degli scambi di personale delle forze armate e di attrezzature della difesa e per lo sviluppo di “sinergie” sul piano operativo e della capacità. Oltre ai lavori della NATO, si consulteranno periodicamente in merito alle iniziative di difesa dell’Unione europea nell’ottica di creare una “cultura strategica comune” nel continente.

Italia e Francia, poi, promuoveranno delle “alleanze strutturali” tra le loro industrie della difesa in direzione di una maggiore cooperazione, formando partnership su settori militari specifici come lo spazio.

GLI AFFARI EUROPEI

Italia e Francia vogliono stimolare la nascita di un sentimento di appartenenza europea, incentivando la mobilità delle persone e lavorando per favorire la costituzione di liste transnazionali alle elezioni europee. Lavoreranno alla difesa dei “valori fondamentali” dell’Unione, come i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto. E organizzeranno delle consultazioni tra i rispettivi organi governativi su tematiche come il pacchetto “Fit for 55” per l’azione climatica, il digitale, l’immigrazione, i paesi vicini in Africa (innanzitutto la Libia), il processo di pace in Medio Oriente, le sanzioni.

LE POLITICHE MIGRATORIE E GLI AFFARI INTERNI

Per rafforzare la cooperazione su asilo e migrazioni, Italia e Francia affermano di voler “contribuire al raggiungimento di un compromesso equilibrato che permetta un controllo più efficace delle frontiere esterne, una diminuzione dei movimenti secondari e un meccanismo efficace di solidarietà nella gestione dei flussi migratori, riservando un trattamento specifico agli arrivi legati alle operazioni di ricerca e soccorso in mare che comprenda anche la riallocazione”. Inoltre, lavoreranno per la riforma del sistema comune d’asilo europeo e per la realizzazione di una politica comune in materia di rimpatri.

Saranno promossi dei partenariati strategici con i paesi di origine e di transito dei migranti, valutando anche la possibilità di compiere missioni congiunte in questi territori e di istituire un’iniziativa europea sulla rotta del Mediterraneo centrale. Si punterà anche alla promozione, “attraverso l’utilizzo di apposite risorse nazionali”, di iniziative in tali paesi terzi per la gestione dei flussi e il rafforzamento della sicurezza.

Italia e Francia dicono di voler promuovere una “rifondazione” dello spazio Schengen, dando maggiore enfasi al rafforzamento delle frontiere esterne dell’Unione. Nel trattato viene sottolineata la necessità di contrastare i contenuti terroristici online, l’incitamento all’odio e la radicalizzazione.

L’ECONOMIA

Sull’economia, i due paesi sostengono di voler lavorare al “completamento” dell’unione economica, monetaria e bancaria stimolando “l’introduzione di una capacità di stabilizzazione macroeconomica permanente dell’eurozona” e lavorando a un “sistema europeo di garanzia dei depositi (EDIS)”.

L’INDUSTRIA E IL DIGITALE

Italia e Francia si impegnano a coordinare gli investimenti, presenti nei rispettivi piani di ripresa, in quei settori considerati strategici per l’autonomia europea: cloud, batterie per i veicoli elettrici, materiali sanitari, energia (idrogeno, soprattutto), semiconduttori, connettività (5G e 6G). Vogliono inoltre sviluppare la cooperazione tra le rispettive casse depositi e prestiti.

LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Sullo sviluppo sostenibile, coerentemente con gli obiettivi definiti dalla Commissione europea nel Green Deal, Roma e Parigi vogliono procedere con il rafforzamento del mercato per la compravendita delle quote di carbonio (l’ETS) e con l’istituzione di un meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera esterna (il CBAM: una sorta di dazio sulle merci inquinanti provenienti da paesi extra-UE).

Inoltre, vogliono rendere il mar Mediterraneo “pulito e sostenibile” anche attraverso la promozione, sia nelle sedi europee che internazionali, dell’adattamento delle flotte a carburanti marittimi di transizione e meno inquinanti. Oltre a quello marittimo, i due paesi vogliono stimolare anche la transizione dei trasporti terrestre e aereo verso modalità a basse emissioni.

LO SPAZIO

L’articolo 7 del trattato è tutto dedicato allo spazio, definito “una dimensione chiave dell’autonomia strategica europea” sulla sicurezza, oltre che dello “sviluppo economico” dell’Unione. Italia e Francia andranno dunque ad accrescere la loro collaborazione nel campo del trasporto spaziale della progettazione/fabbricazione dei satelliti, con un occhio all’offerta di servizi nelle regioni mediterranee e africane. Si concentreranno in particolare sullo sviluppo dei programmi Ariane e Vega sui lanciatori e i razzi spaziali per renderli più competitivi.

L’ISTRUZIONE

Sull’istruzione, oltre ad incentivare la mobilità di studenti e docenti, i due paesi di doteranno di progetti in settori strategici per favorire la creazione di Centri di eccellenza professionali italo-francesi. I settori considerati più rilevanti sono sanità, scienze della vita, ricerca oceanografica, fisica e chimica, ricerca polare, ambiente, patrimonio, innovazione e tecnologie digitali.

LA COOPERAZIONE TRANSFRONTALIERA

Italia e Francia dicono di voler potenziare i collegamenti transfrontalieri, proseguendo con il completamento della ferrovia Torino-Lione e migliorando la governance del tunnel del monte Bianco. Viene menzionata la necessità di connessioni per la val Roia, di ripristinare della linea Cuneo-Breil-Ventimiglia e di terminare il tunnel di Tenda.

FONTE: https://www.startmag.it/mondo/trattato-italia-francia-cosa-prevede/

 

Il Pakistan sta destabilizzando il Bangladesh?

Pakistan

Cosa succede tra Pakistan e Bangladesh

 

L’agenzia di intelligence pakistana ISI sta cercando di destabilizzare il Bangladesh rafforzando le radici del terrorismo islamico a Dhaka, che si è costituita nel 1971 come Paese laico.

Sottolineando il ruolo dell’ISI il ministro del Bangladesh Hasan Ul-Inu ha affermato che “l’ISI del Pakistan sta cercando di destabilizzare il Bangladesh dal momento in cui il Bangladesh è diventato indipendente e questi aspetti non possono essere ignorati”, ha riferito Bangladesh Live News.

Il rapporto tra il terrorismo in Bangladesh e il suo sostegno da parte del Pakistan si è palesato nell’attacco del 2016 alla Holey Artisan Bakery nell’elegante località di Dhaka che ha ucciso 20 persone provenienti da cinque paesi diversi.

L’assalto è stato effettuato da un gruppo locale chiamato Jamat-ul Mujahideen Bangladesh (JMB). Le incursioni post-attacco al gruppo terroristico hanno rivelato che il gruppo era sostenuto dal Lashkar-e-Taiba (LeT) con sede in Pakistan, secondo Bangladesh Live News.

L’ISI è stato spesso accusato di sostenere vari gruppi terroristici, compreso il LeT, sotto forma di addestramento, fondi e protezione.

Poco dopo l’attacco di Dhaka del 2016, il governo del Bangladesh ha scoperto nelle indagini che i terroristi del JMB erano andati in Pakistan e poi in Afghanistan per ricevere addestramento militare, secondo i rapporti di Bangladesh Live News. Il LeT è stato determinante nella formazione del JMB e della radicalizzazione in Bangladesh, secondo Bangladesh Live News.

FONTE: https://www.startmag.it/mondo/pakistan-bangladesh-terrorismo-islamico/

Che cosa succede fra Turchia e Cipro

Turchia Cipro

Il comportamento della Turchia verso Cipro è paragonabile a quello della Cina nei confronti di Taiwan. Ecco perché. Il corsivo di Giuseppe Gagliano

 

Più volte su queste pagine ci è occupati dei rapporti conflittuali fra la Turchia e Cipro.

La Repubblica di Cipro occupa 2/3 del territorio dell’isola, mentre la parte restante è sotto il controllo della Repubblica Turca di Cipro del Nord (TNRC), che è stata fondata il 15 novembre 1983 ed è stata riconosciuta soltanto dalla Turchia.

Al contrario, la Repubblica di Cipro è riconosciuta a livello internazionale e, a partire dal maggio 2004, è diventata membro dell’Unione Europea.

Secondo quanto ripotato dai media, il 21 novembre Ali Murat Basceri Tatar, inviato turco, ha affermato che la TRNC non rinuncerà mai alla posizione della Turchia come Paese garante, in risposta alle accuse del leader della Repubblica di Cipro, Nicos Anastasiades, secondo cui Ankara ha una “posizione intransigente”.

Secondo l’inviato turco, infatti, l’amministrazione greca e cipriota hanno cercato di eliminare lo status quo della Turchia come garante e quindi rimuovere le truppe turche da Cipro.

Tuttavia le preoccupazioni da parte dell’amministrazione greco-cipriota appaiono fondate se si rivolge l’attenzione ad un documento emerso dal servizio degli esperti europei dal quale emergerebbe la presenza di droni sia nell’aeroporto di Lefkoniko, nel territorio della Repubblica turca di Cipro del Nord sia nell’area di Bogazi, dove si presume che la Turchia viglia porre in essere una infrastruttura militare.

Insomma, per certi versi il comportamento della Turchia è paragonabile a quello della Cina nei confronti di Taiwan.

Inoltre, ancora una volta l’Unione Europea dimostra la sua incapacità a trovare una soluzione a questo problema che ormai si trascina da troppo tempo, mentre dall’altro lato la Turchia, o meglio la politica estera turca, dimostra tutta la sua risolutezza e la sua spregiudicatezza. Nel Mediterraneo. E non solo.

FONTE: https://www.startmag.it/mondo/turchia-cipro/

 

 

 

Dopo la Somalia, il Sudan del Sud e il Sudan, il caos dilaga all’Etiopia e ben presto all’Eritrea

L’ambasciatore USA Jeffrey Feltman presiede all’estensione della dottrina Cebrowski al Corno d’Africa. Dopo aver incendiato il Sudan, se la prende con l’Etiopia e sanziona l’Eritrea. I tigrini (gruppo etnico etiope) sono strumento inconsapevole della strategia d’attacco di Washington a questi Stati nonché all’Unione Africana.

Mappa dell’Etiopia. Il Tigrai è la piccola regione nel nord del Paese. Non aspira all’indipendenza, pretende controllare l’intero Paese.

Acausa dell’epidemia di Covid la Commissione Elettorale Nazionale etiope ha rinviato le elezioni legislative di settembre 2020. Il TPLF (Tigray People’s Liberation Front, Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai), principale partito tigrino, ha deciso di organizzare comunque le elezioni nella propria regione, il Tigrai appunto, separandosi così dal resto del Paese. Ovviamente il governo federale non le ha convalidate. La prova di forza ha aperto la guerra civile.

Gli abitanti dell’Etiopia sono 110 milioni, di cui soltanto sette milioni sono tigrini.

In un anno funzionari sia del TPLF sia del governo federale hanno commesso crimini di guerra, ma non si sa se li abbiano compiuti di propria iniziativa o per disposizione delle autorità. In questo caso diventerebbero “crimini contro l’umanità”. Comunque sia, le zone di carestia si estendono e i massacri si moltiplicano.

Come sempre avviene, ciascun campo accusa l’altro delle peggiori nefandezze, senza però considerare che altri protagonisti potrebbero giocarvi un ruolo: se ci si chiedesse «a chi giovano questi crimini», la risposta non potrebbe che essere: «a chi vuole fratturare ulteriormente il Paese».

Dopo l’annientamento delle strutture statali del Medio Oriente Allargato, obiettivo del Pentagono è la distruzione delle strutture statali del Corno d’Africa. Già abbiamo assistito alla distruzione del Sudan, diviso nel 2011 in Sudan propriamente detto e Sudan del Sud, nonché alla distruzione dell’Etiopia, divisa nel 1993 in Etiopia propriamente detta ed Eritrea. Due Paesi oggi scossi da nuove guerre civili, che dovrebbero sfociare in ulteriori divisioni.

Il direttore d’orchestra, cioè il diplomatico statunitense Jeffrey D. Feltman, ha dapprima organizzato dieci anni di guerra in Siria – ossia il finanziamento e l’armamento degli jihadisti [1] – in seguito è stato nominato inviato speciale per il Corno d’Africa dal presidente Joe Biden. L’intervento di Feltman il 1° novembre 2021 davanti al think tank del Pentagono, l’U.S. Institute of Peace (che per il dipartimento della Difesa rappresenta l’equivalente della National Endowment for Democracy – NED – [2] per la segreteria di Stato) riprende esattamente la retorica elaborata via via contro Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen e Libano.

Gli Stati Uniti già rimpatriano i propri concittadini, mantenendo sul posto soltanto il personale strettamente necessario all’ambasciata. Le agenzie di stampa occidentali diffondono informazioni per far credere che presto Addis Abeba sarà conquistata, segnando la fine dell’Etiopia e dell’Unione Africana che vi ha sede.

L’unico Paese sopravvissuto alla dottrina Rumsfeld/Cebrowski [3] messa in atto dal Pentagono è la Siria, grazie alla sua popolazione, consapevole che solo uno Stato può proteggere da nemici difficili da identificare. Il Levante è la regione del mondo dove è nato in tempi remoti il concetto stesso di Stato. Non il concetto di Potere, ma di Stato: l’organizzazione che permette a un popolo di “reggersi in piedi” (stare in latino, da cui deriva il termine Stato in tutte le lingue europee). Dopo aver creduto che nel Paese fosse in corso una rivoluzione, i siriani hanno capito che si trattava di un attacco dall’esterno e che solo nello Stato vi era salvezza. Quindi, quali che fossero le ragioni di risentimento verso il Potere, si sono messi al servizio dello Stato e l’hanno difeso. Tutti gli altri Paesi del Medio Oriente Allargato sono crollati, dividendosi dapprima in tribù o confessioni.

L’Etiopia è un Paese federale formato da regioni dominate da un’etnia particolare. L’attuale conflitto è vissuto come scontro che oppone i tigrini agli omoro e agli amhara. Eppure, l’opposizione al governo federale in seno agli omoro s’è alleata ai tigrini. Questi ultimi sono convinti di avere il sostegno di Washington. Esibiscono compiaciuti il breve discorso di Jeffrey Feltman alle esequie del primo ministro Meles Zenawi, membro della loro tribù, rimarcando come l’ambasciatore abbia accusato a lungo il governo federale di crimini di ogni genere, soffermandosi solo brevemente su quelli commessi dai tigrini, nonché di non aver mai citato i loro alleati.

Significa non capire nulla dei meccanismi della diplomazia USA post-11 Settembre. Washington se ne infischia dei due schieramenti, non auspica la vittoria degli uni o degli altri. Vuole solo spingere entrambi ad ammazzarsi a vicenda, fino a che nessuno dei due potrà più far sentire la propria voce.

Il conflitto ha riportato a galla pregiudizi tribali, mai del tutto scomparsi.

Il primo ministro federale, Abiy Ahmed, ha tentato in tutti i modi di riconciliare il Paese con l’ex provincia dell’Eritrea, oggi Stato indipendente. Il valore dei suoi sforzi è stato riconosciuto dal Comitato per il Nobel, che nel 2019 gli ha conferito il premio Nobel per la Pace, sottolineando come un cristiano pentecostale sia riuscito a rappacificarsi con dei mussulmani. Sarà quindi difficile accusare Abiy Ahmed di “crimini contro l’umanità”, come nel caso del presidente Bashar al-Assad. Però l’esempio di Aung San Suu Kyi, premio Nobel della Pace del 1991, dimostra come non esista diffamazione impossibile. Del resto, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti dell’Uomo, Michelle Bachelet, nel rapporto sulle violazioni in Etiopia è riuscita a dire che il governo di Abiy Ahmed è innocente… ma che i crimini commessi potrebbero essere in un secondo momento riconosciuti «crimini contro l’umanità». Come a dire: il primo ministro è un uomo onesto, ma la sua immagine potrebbe essere retrospettivamente macchiata, casomai fosse necessario sbarazzarsene.

Del resto, Abiy Ahmed non dovrà soltanto gestire un problema che credeva risolto. Deve occuparsi anche della Grande Diga della Rinascita, in corso di riempimento, che potrebbe causare la salinizzazione del Nilo a danno del Sudan e dell’Egitto, nonché risolvere il conflitto territoriale con il Sudan per il triangolo di Al-Fashaga. Deve inoltre guardarsi dai Tribunali islamici che imperversano in Somalia e proteggere la pace conclusa con l’Eritrea.

I ribelli tigrini infatti non se la sono presa solo con l’Etiopia, hanno bombardato anche la frontiera con l’Eritrea – l’ex provincia che conta sei milioni di abitanti – per rilanciare la guerra civile che per quarant’anni ha dilaniato l’antico impero d’Abissinia. L’Eritrea però non è caduta nella trappola: il presidente Isaias Afwerki, di etnia tigrina ma vicino alla Cina, ha inseguito il TPFL in territorio etiope, senza però attaccare l’esercito nazionale.
L’ambasciatore Jeffrey Feltman, perseverando nella politica di mandare all’aria la pace nella regione [4], ha adottato sanzioni contro l’Eritrea [5]. Inaspettatamente, Addis Abeba è intervenuta in soccorso di Asmara, chiedendo agli Stati Uniti di non prendersela con uno Stato che «non costituisce minaccia per una pace duratura» [6].

Il Corno d’Africa.

Molti dirigenti africani hanno interpretato l’iniziativa di Feltman come espressione della volontà di Washington non soltanto di smantellare Sudan ed Etiopia per poi prendersela con l’Eritrea, ma anche di colpire l’Unione Africana.

Il TPLF dispone di grandi quantitativi di armi che sembrerebbero essere state ordinate dal direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, dalla Svizzera [7]. In considerazione degli stretti legami di Ghebreyesus con Beijing, si potrebbe supporre che le armi provengano dalla Cina. Ma è poco probabile. Si tratta piuttosto di armi fornite da un subappaltatore del Pentagono.

Washington, che già ha adottato sanzioni contro l’Etiopia, s’appresta a ritirare Addis Abeba dal programma AGOA (African Growth and Opportunity Act). Da una decina d’anni il petrolio etiope è acquistato da transnazionali statunitensi, in cambio di prodotti manifatturieri USA. Un accordo non molto vantaggioso, ma se l’Etiopia non potrà più beneficiare dell’AGOA, non potrà più né esportare né importare dall’Occidente. A meno di un intervento di Russia o Cina, la carestia e la guerra si generalizzeranno.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article214725.html

 

 

 

POLITICA

Se il buongiorno si vede dal mattino

Stefano Erbaggi – Esecutivo romano Fratelli d’Italia – 30 11 2021

Roma non avrà 5 anni facili davanti. Le prime decisioni prese dal nuovo sindaco ci lasciano quanto meno perplessi.

1) Manovra di (dis)assestamento di bilancio
In assemblea capitolina si sta assistendo ad una specie di passacarte delle indicazioni che arrivano dagli uffici dei vari Dipartimenti, con stralci di opere fondamentali e taglio di servizi, di cui faranno le spese le famiglie.
E così sono saltate la riqualificazione di Villa Flora (Municipio XII), i cimiteri capitolini restano nello stato attuale, niente riqualificazione per i mercati di San Giovanni di Dio (Monteverde), dell’Alberone e del Farmers’ Market a Corviale. Stralciati anche gli interventi per l’impianto sportivo di Cesano, la messa in sicurezza di via Boccea e della scuola di Torrino Mezzocammino. E pesanti gli stralci su via Collatina (che era un’opera molto importante) e sulla viabilità interna nel quartiere La Rustica nel Municipio V, ben 5 milioni di euro in meno.

2) Situazione tragica dei rifiuti a Roma
La situazione dei rifiuti è rimasta praticamente com’era, nonostante la spesa di 40 milioni di euro per la pulizia straordinaria che non abbiamo notato e addirittura 3 milioni di euro per gli incentivi per i dipendenti affinché vadano a lavorare (!) invece di premiare solo chi lavora sempre, anche per i dipendenti “pigri” nei depositi Ama.
Continuano i cassonetti sulle strisce, i venditori di merce contraffatta sul suolo pubblico, spesso accanto a rifiuti non ritirati da giorni, i cassonetti maleodoranti e straboccanti e i topi che invadono in certe zone anche le abitazioni al piano terra.
Non si può continuare così.

3) Insediamenti dei Municipi
Negli insediamenti municipali troviamo già situazioni incredibili, come nel Municipio XV in cui la Giunta Torquati ha contemporaneamente come assessore al Commercio Martelli (ex candidato presidente della Lista Calenda) e la Lista Calenda è in opposizione…. e nel Municipio V, dove  incredibilmente riescono a sbagliare la composizione della Giunta, non rispettando il regolamento in merito all’equa partecipazione di entrambi i sessi.
Insomma, ne vedremo delle belle.

A presto,
Stefano Erbaggi  

 

Imprenditore, politico, appassionato di storia, padre di un meraviglioso bambino e vivo a Roma

Buenaventura Durruti e la guerra aliena contro l’umano

Errore madornale, rimpiangere certi statisti del passato? Hanno fatto la storia, d’accordo, ma per arrivare dove? O meglio: tanta nobiltà non sarebbe stata degna di miglior causa? Oppure: è tutta colpa dei gestori occulti, sempre infinitamente più forti – alla distanza – di qualunque eroe della democrazia? Il cimitero dell’onore è sterminato: dai Kennedy a Rabin, da Olof Palme a Nelson Mandela. La foto di gruppo, oggi, sciorina invece i volti arcigni o marmorei di Erdogan e Draghi, il minuetto vaticano di Bergoglio e Macron, gli sbadigli del povero Joe Biden. Sui mestieranti italiani, uniti nell’abbraccio ecumenico emergenziale, non è nemmeno il caso di dilungarsi. Di Maio votato da Renzi, Speranza sostenuto da Salvini. Un piccolo presepe svuotato di tutto, mentre l’abisso inghiotte pace, giustizia e sicurezza, travolgendo milioni di sventurati, abbandonati come bestiame al loro destino.

Dal palazzo calano politichette di bottega e manovrone europee, sincronizzate con le trame zootecniche planetarie. E intanto grandinano decreti-capestro di sapore antico, pre-politico: paiono imparentati con la governance dell’Impero Assiro, piuttosto che con le lussuose Buenaventura Durruticonsuetudini degli ultimi settant’anni. Dietro le quinte, qua e là, affiora l’ombra di un’antica guerra per bande, tra momentaneamente opposte consorterie di egemoni, ferocemente in lizza eppure solidali quando serve. Luci e riflessi che si allungano fino alle marionette dei teatrini nazionali, in religiosa attesa di ordini superiori: inerti e tremebondi burattini, balbettanti anche davanti all’apocalisse, nei giorni in cui decisero le divinità che fosse giunta l’ora di metter fine, per sempre, alla relativa serenità delle ultime generazioni. Andava spalancato un tritacarne senza precedenti, globalmente esteso, senza più l’ombra di intermediazioni ragionevoli. Letteralmente, la fine di una civiltà: la sua rottamazione.

Di quanti esperimenti saremmo figli? Lo sa il cielo, direbbe il sentimento metafisico. Ed è la connessione con il cielo – evidentissima, ma mai apertamente ammessa – a poter vestire i panni del famoso missing link. Tema ora affrontato persino da “Studio Aperto”, telegiornale Mediaset: gli scavi di Göbekli Tepe hanno portato in luce una scultura non equivocabile, la nascita di una creatura umana partorita da una femmina che, di umano, non ha niente. E’ per questo, che l’eventuale genio dominante (non-umano?) oggi non esita a sferrare il suo attacco planetario contro ogni espressione dell’umanità? La storia – da lontano – schiaccia il tempo, mette in fila gli eventi, li avvicina. Da quale preesistenza poteva scaturire la fierezza rivoluzionaria e disarmante di un guerriero anarchico come Buenaventura Durruti, in mezzo alla mattanza iberica? Neppure un secolo ci separa da quelle vecchie foto. Quasi stentiamo a riconoscerle, dal treno iperveloce che ci porta al macero, regalandoci finalmente l’esatta visione di come stanno davvero le cose.

(Giorgio Cattaneo, 30 novembre 2021).

FONTE: https://www.libreidee.org/2021/11/buenaventura-durruti-e-la-guerra-aliena-contro-lumano/

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Cosa fanno i supercomputer cinesi sull’intelligenza artificiale

Supercomputer

In Cina un supercomputer exascale ha fatto un massiccio aumento delle sue prestazioni di intelligenza artificiale.

 

Un potente supercomputer exascale in Cina ha fatto un massiccio aumento delle sue prestazioni di intelligenza artificiale, secondo un nuovo studio che afferma che sono in fase di sviluppo macchine più avanzate per soddisfare la domanda di maggiore potenza di calcolo.

Aiutato da una svolta nella tecnologia di gestione della memoria, il supercomputer Sunway di nuova generazione sviluppato dal Centro nazionale di ricerca di ingegneria e tecnologia informatica parallela ha registrato una spinta di 75.839 volte nella gestione dei dati per l’apprendimento automatico. Le prestazioni complessive del computer sono aumentate 88 volte durante l’elaborazione di alcune delle attività più impegnative relative all’IA.

Utilizzando la nuova tecnologia, la macchina exascale Sunway sta eseguendo molte applicazioni AI, tra cui l’apprendimento automatico su larga scala e la simulazione della dinamica molecolare.

Un computer exascale può essere 1.000 volte più potente dei supercomputer tradizionali esistenti.

Con il crescente uso della tecnologia dell’intelligenza artificiale in molte aree, i potenziali utenti dei computer exascale sperano che possa essere utilizzato dai militari per identificare gli obiettivi nelle foto satellitari.

La Cina ha costruito più supercomputer di qualsiasi altro paese e il doppio di quelli negli Stati Uniti. Hanno svolto un ruolo importante nel rapido sviluppo di testate nucleari, armi ipersoniche, infrastrutture su larga scala, scienze della vita e reti di monitoraggio globali.

Insomma, l’abbinamento tra intelligenza artificiale supercomputer sta consentendo alla Cina di superare rapidamente gli Stati Uniti e quindi le sta consentendo sicuramente una maggiore efficienza nelle simulazioni non solo di natura scientifica ma soprattutto di natura militare.

FONTE: https://www.startmag.it/mondo/cina-intelligenza-artificiale-supercomputer/

 

 

 

STORIA

JAMES TILLY MATHEWS, IL PADRE DEL COMPLOTTISMO MODERNO

Massoneria e flatulenze equine ai tempi della Rivoluzione francese

Le teorie complottiste di oggi affondano le loro radici all’epoca della Rivoluzione francese. Se ci pensate ha perfettamente senso, visto che è in quel momento che nasce il nostro mondo contemporaneo. Vale per gli aspetti positivi come per quelli negativi. Tra il 1789 e il 1799 si andarono diffondendo molte “teorie del complotto” sia nella Francia rivoluzionaria – spaventata dalle reazioni di Gran Bretagna, Austria e Russia – sia nell’Europa monarchica – intimorita da quel che accadeva a Parigi. Insomma, era un periodo di grandi paure, terreno fertile per l’isteria paranoica. In particolare, si vociferava che la Rivoluzione fosse un complotto internazionale orchestrato da filosofi e massoni radicali in combutta con gli Illuminati, i quali avevano l’orribile proposito di voler diffondere l’“uguaglianza” e la “libertà” in tutto il mondo. MOSTRI! Qualcuno pensi ai bambini!

È in questo contesto che conosciamo James Tilly Matthews, gallese, professione mercante di tè. Il nostro eroe era a Parigi quando il popolo insorse e probabilmente si trovò ad essere una sorta di mediatore informale tra Londra e il governo rivoluzionario. Lo scopo era chiaro: evitare una guerra tra i due Paesi. Purtroppo, James puntò sul cavallo sbagliato: lui era in ottimi rapporti con i Girondini, la fazione rivoluzionaria più moderata, mentre a prendere il sopravvento furono i Giacobini di Robespierre. Molti dei suoi conoscenti finirono ghigliottinati e lui stesso passò quegli anni rinchiuso in una cella. Dopo tre anni, però, i francesi lo liberarono e rispedirono a casa. Motivo? Era considerato matto. E forse non avevano tutti i torti!

Tornato a Londra, Matthews scrive due lettere a Lord Liverpool, in cui accusa il ministro degli Interni di tradimento e si lamenta di cospirazioni dirette contro la sua vita. Dopo aver interrotto un dibattito alla Camera dei Comuni gridando “Tradimento!” contro Lord Liverpool dalla Public Gallery, viene arrestato e dopo pochi giorni rinchiuso in manicomio. E qui comincia il bello! Sottoposto a vari interrogatori ed esami per stabilirne il grado di follia, Matthews dichiara di aver preso parte ad affari segreti di Stato, ma di essere stato tradito e abbandonato dall’amministrazione del primo ministro William Pitt che opera secondo gli ordini ricevuti da misteriose organizzazioni giacobine. Ai medici che lo prendono in cura in manicomio racconta tutta la Verità con la V maiuscola, di quella che non ammette repliche: l’amministrazione del primo ministro William Pitt è controllata dai giacobini grazie ad una terribile macchina, l’Air Loom, capace di controllare le azioni e le menti dei politici inglesi. E come funziona una tale macchina diabolica? Sempre in base a quanto racconta Mathhews, intrecciando “arie”, o gas, in un “ordito di fluido magnetico” che viene poi diretto verso la sua vittima. Nel dettaglio, la macchina è alimentata da combinazioni di “effluvi fetidi”, tra cui “raggi spermatici-animali-seminali”, “respiro umano putrido” e “gas anali del cavallo”, e il suo ordito magnetico assale il cervello di Matthews con una serie di modalità che includono “comandi al cervello” e “condizionamento dei sogni” con cui i pensieri vengono forzati nel suo cervello contro la sua volontà, e una terrificante serie di torture fisiche dal “blocco del ginocchio” alla “lacrimazione vitale” allo “sfibramento” e la temuta “stretta dell’aragosta”, che comprime il petto impedendo di respirare.

Per di più, lui sapeva chi fossero i suoi persecutori: fece tanto di nomi! Abbiamo “the Middleman” (che azionava l’Air Loom), “the Glove Woman” e “Sir Archy” (che fungevano da “”persecutori attivi” per accrescere il suo tormento) e il loro capo che era un uomo chiamato “Bill, o il re”. Che sia Bill Gates, in realtà uomo bicentenario grazie all’adenocromo? Per facilitare il suo controllo su di lui, la banda aveva impiantato un magnete nel suo cervello: il nostro Matthews era costantemente tormentato da allucinazioni, sofferenze fisiche, scoppi di risate o dall’essere costretto a ripetere a pappagallo qualunque parola scegliessero di inserire nella sua testa. E lui riteneva assolutamente evidente che proprio l’Air Loom, con i suoi raggi ipnotici e gas misteriosi, stesse facendo il lavaggio del cervello ai leader britannici per far sprofondare l’Europa nella rivoluzione.

Rimasto in manicomio fino al 1814 – nonostante gli innumerevoli tentativi della famiglia di farlo dimettere –, James venne finalmente trasferito in una clinica privata, dove si guadagnò il rispetto e la fiducia del personale. Le sue allucinazioni sembravano scomparse e il proprietario della struttura, il dottor Fox, lo considerava sano di mente. Ma come ogni storia tragica che si rispetti, proprio quando sembra che per il nostro eroe le cose volgano al meglio, eccolo morire improvvisamente il 10 gennaio 1815, quando ormai Napoleone Bonaparte era stato relegato sull’isola d’Elba. Mai una gioia.

Michele Lacriola

FONTE: https://www.internationalwebpost.org/contents/JAMES_TILLY_MATHEWS,_IL_PADRE_DEL_COMPLOTTISMO_MODERNO_23972.html

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