RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 3 MARZO 2024

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 3 MARZO 2024

 

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

I governi agiscono solo in caso di necessità

e colgono la necessità solamente nei momenti di crisi

Jean Monnet in: Il libro aperto degli aforismi, Rubbettino, 2015, Pag. 252

 

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SOMMARIO

Notizie trasformate in caccia all’uomo. Mai la verità
La cultura giuridica sull’orlo dell’abisso. Legittimare il diritto alla vendetta
“Sono i banchieri che hanno inventato il (finto) femminismo”
Insetti in tavola? Né sicuri né sostenibili. Lo studio choc
Avevo parcheggiato in centro a Milano, se vi bussano al finestrino non aprite per nessuna ragione
“Ti sposto in periferia, così risparmio” ecco cosa pensano le Città metropolitane
L’inquietante accordo militare con Kiev: rischi e scenari – Generale Fabio Mini
Le spie russe rivelano le intercettazioni segrete della NATO.
IL CASO DEL CADAVERE DI NAVALNY – CHERCHEZ LES FEMMES 
In Francia, la minaccia è sempre più elevata
Piantedosi, migranti e rischio terrorismo, la minaccia dal mare alla rotta balcanica: attenzione elevatissima
Non obbligatorio esibire documenti d’identità alle forze dell’ordine
I PERFIDI TEUTONI E I LORO COMPLICI POLACCHI – COME VIENE ESPROPRATA LA RAFFINERIA ROSNEFT IN GERMANIA
Il cancelliere Scholz dal Papa. Confronto su Ucraina, Gaza e migrazioni (Carlo Marino)
Dal colonialismo sanitario ai barbari epistemici. La nuova Africa è l’Europa?  
Cinquantacinque anni fa, l’FBI uccise il leader del Black Panther Party Fred Hampton in un “linciaggio del nord”.

 

 

EDITORIALE

Notizie trasformate in caccia all’uomo. Mai la verità

Manlio Lo Presti (Scrittore ed esperto di banche e finanza) 24 FEBBRAIO 2024

Per scrivere cose simili ci vuole tanta, ma tanta sfrontatezza e parzialità. Il giornalismo che esisteva con protagonisti di livello ben superiore non ci sono più. E le persone di valore ci sono anche oggi, ma sono state ingabbiate, umiliate, offese, marginalizzate o condannate alla irrilevanza. Il dissenso deve essere incenerito grazie ad un’azione metodica delle psico-polizia predittiva.

Il voto regionale ha valenza locale e riguarda il destino degli abitanti della Sardegna. Ecco ancora una volta, un chiaro esempio di giornalismo di propaganda settario e istigatore dell’odio contro quella stronza e carciofara della Meloni. Epiteti assegnati a più riprese sia dall’attuale presidente della Campania che da giornalisti e professoroni di sinistra dem inclusiva, ecc. nel silenzio imbarazzante delle femministe, non una di meno, delle donne parlamentari Dem, che si scatenano solo per quelle del loro schieramento: esistono quindi donne di serie A e donne di serie B, in nome della tanto conclamata eguaglianza genderista, inclusiva.

Se ci fosse stata la conferma del governatore uscente, il quotidiano fondato da Scalfari avrebbe scritto: “HANNO VINTO LE FORZE FASCISTE COMPLOTTISTE DA COMBATTERE”! Sarebbe immediatamente ripartita la solita coreografia. Sarebbero scesi in piazza 160 girotondi, 27 trasmissione di dibbbbbbattiti contro gli omofobi fascisti demmerda da sterminare, 250 giornali di terra, di mare, di aria, i partigiani, la Segre, l’effervescente avatar del Colle in pista, gli angloamericani, i francesi avrebbero convocato ancora una volta l’ambasciatore italiano a Parigi, l’ennesima ascesa violenta dello spread, Draghi a ripetere che moriremo tutti, i sindacati a promuovere scioperi politici quando, durante i dieci anni dei governi sinistro-tecnici, non hanno mosso un dito.

Insomma, avremmo assistito, come pubblico non pagante, alla rutilante coreografia del paradiso inclusivo elettrico con le treccine sostenibile ecologgggico.

Avremmo assistito ai comportamenti pirotecnici da inquisitrice domenicana della giornalista del canale televisivo “LA7”, con vertiginoso aumento della loro ricorsività e corrosività, ecc. ecc. ecc.

I soliti quotidiani governativi rigorosamente atlantisti sono specializzati in CACCIA ALL’UOMO. Ancora oggi, nelle loro pagine non troviamo programmi che discutono di diversi modelli di società. SOLO STERMINIO ED ISTIGAZIONE ALL’ODIO che i fact checkers non stigmatizzano sui canali in rete perché sono insulti emessi dalla PARTE GIUSTA…

Quando finirà tutto questo?

P.S. Non prendo le difese dell’attuale capo del governo che avevo già criticato con un mio articolo una settimana dopo il suo arrivo prefigurando la sua breve durata.

Continuiamo così!!!

 

 

 

IN EVIDENZA

La cultura giuridica sull’orlo dell’abisso. Legittimare il diritto alla vendetta


5 Nov , 2023| | 2023 | Visioni

Seguendo il ragionamento fatto da Domenico Gallo in alcuni recenti interventi[1], ci sembra necessario esortare a riflettere sulle implicazioni giuridiche e morali degli eventi delle ultime settimane. Sui significati politici e filosofici di alcune prese di posizione e di alcune analisi sull’atroce attacco al territorio israeliano del 7 Ottobre e sulla successiva rappresaglia da parte dello Stato d’Israele. Non troppi anni fa, in uno dei suoi testi caparbiamente dedicati a gettare la luce della rigorosa analisi sul terreno complesso e a volte contorto della politica internazionale,  Danilo Zolo rifletteva sull’idea di terrorismo, ricostruendo il dibattito nell’ambito della dottrina gius-internazionalistica e degli organismi internazionali intorno alla definizione del fenomeno, per delineare i contorni di un concetto, divenuto nel corso degli ultimi decenni sempre più presente nell’analisi politologica e sociologica. Zolo evidenziava come anche dal dibattito teorico emergesse quanto fosse sfuggente, a fronte di una pretesa ovvietà, il concetto di terrorismo, poiché la definizione di quando un’azione violenta sia terroristica e quando non lo sia non può prescindere dal punto di vista politico, ideologico, religioso dal quale si analizza un determinato evento[2].  Soprattutto però Zolo richiamava l’attenzione su come oggi sia ormai impossibile distinguere violenza terroristica da violenza militare, perché gli elementi che in qualche modo rendevano la seconda, almeno in certe circostanze, ‘legittima’ sono da tempo venuti meno.

L’idea di un’azione violenta ‘regolata’ e contenuta nella sua efferatezza, in quanto azione svolta da un esercito regolare, è improponibile nelle condizioni contemporanee. Prima di tutto per le capacità devastatrici degli armamenti che da circa un secolo hanno reso la popolazione civile obiettivo quasi inevitabile delle azioni belliche. Muovendo da questa considerazione, purtroppo difficilmente contestabile, non sembra utile l’insistenza di Luigi Ferrajoli sulla differenza che vi sarebbe tra guerra e terrorismo. In due interventi di queste ultime settimane (il manifesto del 10 e del 21 ottobre) viene condannata la reazione militare israeliana non solo sotto il profilo etico-politico[3], che del resto implica una critica radicale dell’intero percorso politico del governo presieduto da Netanyhau e di quelli che lo hanno preceduto, ma anche sotto il profilo della cultura giuridica, poiché l’azione ‘punitiva’ israeliana si sarebbe adeguata alla ferocia dell’attacco di Hamas avendola considerata come un’azione militare e per questo reagendo sul piano della logica bellica; cioè con una reazione di pari livello (leggi ferocia) a un’azione di guerra.  Ferrajoli sostiene che con questo ‘errore’ politico e prima di tutto teorico si è degradata la “ragion di Stato”, l’agire di un soggetto politico sovrano, al livello dell’attività criminale di un soggetto, Hamas, che non è uno Stato né un esercito formalmente riconosciuto ma un’organizzazione terrorista e, per l’appunto, criminale.

L’essere un soggetto illecito e l’agire in maniera illegale, realizzando crimini, determina la natura della reazione che un’entità legale dovrebbe mettere in campo per contrastare, reprimere e punire l’operare terroristico. L’attività punitiva dovrebbe essere un’attività di polizia, volta a individuare i colpevoli, ad arrestarli e a giudicarli, proprio perché un apparato statale non ha la stessa natura di un soggetto delinquente e non dovrebbe, pena mettersi sullo stesso piano dell’attore criminale (in questo caso dei terroristi), agire con le modalità che denuncia ma in maniera asimmetrica. Insomma, siamo davanti a una distinzione fondamentale della civiltà giuridica, quella tra legalità e illegalità, tra forza (violenza) esercitata in spregio a ogni limite e per fini illeciti e forza (violenza) esercitata da un ordinamento giuridico-politico per reprimere i comportamenti criminali. Aver definito l’eccidio commesso da Hamas come un “atto di guerra” ha comportato (o forse sarebbe meglio dire che ha consentito) una reazione da parte dello Stato israeliano che ha potuto presentarsi come un necessario atto di difesa e dispiegarsi come l’azione totale di un esercito ‘regolare’ in guerra.  All’agire terroristico di uomini fuorilegge, sostiene Ferrajoli, si dovrebbe opporre l’azione punitiva di un’organizzazione legale (qual è uno Stato) che come obiettivo ha il rispetto del diritto e che per questo agisce secondo il diritto e non sul terreno della brutale violenza; legittimando per tal via la barbarie.  Riteniamo che questa analisi non colga nel segno rispetto a quel che è accaduto, che si configura come una ‘caduta’ della nostra cultura giuridica ancora più grave. Un vero abisso giuridico.

Se sotto il profilo teorico infatti la distinzione tra violenza criminale e forza legittima (perché volta a reprimere l’illiceità) è incontestabile, quanto è accaduto in queste settimane sotto i nostri occhi è l’aver conclamato la vendetta, tanto più brutale e sanguinaria quanto più giustificata, come diritto fondamentale di una comunità, che lo esercita attraverso il suo apparato militare.  Non è vero infatti che l’aggressione del 7 ottobre sia stata essenzialmente definita un “atto di guerra” ma, al contrario, è stata qualificata, proprio a legittimazione e provocazione dello sgomento generale, come atto barbaro, di fanatici e disumani terroristi. Per questo l’azione dello Stato di Israele è a sua volta sconcertante e appare mostruosa; in quanto essa è stata esplicitamente giustificata come risposta all’orrore ma, questo il punto, rivendicando il diritto a esser di pari segno. Delineandosi esplicitamente come una rappresaglia. Meglio, come una vendetta legittima, per la crudeltà subita. Non come il “diritto all’autodifesa” riconosciuto dalla Carta dell’ONU, ricordato da Luca Baccelli ma come un occhio per occhio veterotestamentario[4], per cui l’offesa può esser mondata solo con un’altra offesa di pari entità. Qui sta la questione, anzi la drammaticità, di quanto sta accadendo in questi giorni. Aver udito molti ergersi ad alfieri della civiltà giuridica, anzi della Civiltà tout court, rivendicando il diritto alla vendetta. Dinanzi a questo abisso della Ragione, ci sembra essenziale il monito di Zolo richiamato prima.

Nel mondo contemporaneo il terrorismo non è più un fenomeno imputabile a gruppi fuorilegge. L’agire militare, l’uso delle armi esistenti anche da parte di eserciti statali, è ormai in sé terroristico; poiché implica devastazione e massacri. Solo l’esistenza di un’istituzione mondiale in grado di impedire la circolazione e l’uso dei terribili strumenti di morte che abbiamo a disposizione potrebbe salvarci. Un’utopia, un’ingenuità, sembra oggi, in un mondo sempre più popolato dai mostri di una ragione obliata.


[1] D. Gallo, Medio Oriente: il sonno del diritto genera mostri e Gaza: non è difesa è genocidio, in DomenicoGallo.it (blog), pubblicati rispettivamente il 17 e il 30 Ottobre. Vedi anche l’articolo di Lorenzo Palaia su questa rivista Terrore e forza legittima: una dialettica sempre presente nella storia, pubblicato il 23 Ottobre 2023.

[2] D. Zolo, Terrorismo umanitario. Dalla guerra del Golfo alla strage di Gaza, edizioni Diabasis, 2009.

[3] Vedi L. Ferrajoli, Terrorismo, non guerra. L’errore che condiziona la risposta, il manifesto del 10 Ottobre 2023 e Per un atto di umanità e di lungimiranza politica, il manifesto 220 Ottobre 2023.

[4] L. Baccelli, Gaza e il diritto internazionale violato, il manifesto del 17 Ottobre 2023 ma anche A. Latino e L. Baccelli, Punto per punto, tutte le gravissime violazioni di Tel Aviv, il manifesto del 28 Ottobre 2023.

Fonte: https://www.lafionda.org/2023/11/05/la-cultura-giuridica-sullorlo-dellabisso-legittimare-il-diritto-alla-vendetta/

 

 

“Sono i banchieri che hanno inventato il (finto) femminismo”

https://www.imolaoggi.it/2023/11/25/banchieri-hanno-inventato-finto-femminismo/

Aaron Russo (14 febbraio 1943 – 24 agosto 2007) è stato un uomo d’affari americano, produttore, regista cinematografico e attivista politico. In questa intervista rilasciata ad Alex Jones nel 2006, rivela informazioni privilegiate fornitegli da un membro della famiglia Rockefeller.

L’America non è una democrazia, lo hanno fatto credere alla gente con un lavaggio del cervello, ma non è vero. Russo denuncia il sistema mafioso nella polizia, le estorsioni tributarie, un sistema bancario ricattatorio, la corruzione della Corte, la creazione di un governo mondiale diretto dal cartello bancario. Inoltre afferma che l’euro e l’Unione europea sono parte del piano che prevede anche un chip impiantato e che non ci siano più contanti.

Sono i banchieri che hanno inventato il (finto) femminismo affinché la donna lavorasse per pagare le tasse e fosse costretta a mandare i figli a scuola da piccolissimi per indottrinarli meglio. Questi sono gli scopi del movimento di liberazione della donnaL’élite ha progettato di fregarle per farle allontanare dagli uomini.

La FED è veleno per il Paese perché chi crea denaro fa le leggi. La classe dirigente è esente dal rispettare le leggi che fa per noi. Andiamo verso la guerra nucleare perché il sistema bancario vuole governare il mondo.”

Fonte: https://www.imolaoggi.it/2023/11/25/banchieri-hanno-inventato-finto-femminismo/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Insetti in tavola? Né sicuri né sostenibili. Lo studio choc

pasta con insetti

Allarme in tavola: gli insetti come alimento sono pericolosi. Questi nuovi cibi non sono né sicuri né sostenibili per la nostra platea del food

di Antonio Amorosi – Uno studio, pubblicato di recente su Nature, dal titolo “An analysis of emerging food safety and fraud risks of novel insect proteins within complex supply chains”, si è posto per la prima volta il problema di mappare la catena di approvvigionamento degli insetti commestibili che abbiamo sul mercato, per identificare i possibili rischi per la sicurezza alimentare dei consumatori.

Dai mangimi utilizzati agli aspetti microbiologici e chimici, dalle tecniche di lavorazione alle potenziali frodi nel settore, lo studio, analizza i principali sistemi di produzione che si sono affacciati sul mercato europeo, rilevando che questi nuovi cibi non sono né sicuri né sostenibili per la nostra platea del food.

Il consumo di insetti c’è attualmente in oltre 120 Paesi nel mondo, principalmente tra Asia e Africa, ma l’interesse come fonte proteica anche in Occidente si è fatta largo da poco. Questo però presuppone che l’allevamento di insetti su larga scala, la raccolta, la produzione, lo sviluppo di una catena alimentare, sul fronte della sicurezza, delle allergie e compatibilità degli alimenti abbia ricadute sociali, economiche e ambientali.

Partiamo dal dato che delle oltre 2.000 specie di insetti commestibili conosciute, solo 4 (il verme della farina gialla, la locusta migratrice, il verme della farina minore e il grillo domestico) sono stati approvati per l’uso in prodotti alimentari specifici da alcuni produttori nell’UE con altri otto in attesa di approvazione UE.

Il primo problema è la catena di approvvigionamento degli insetti commestibili che in Europa sarebbe complessa, soprattutto per motivi di appetibilità consumistica, rispetto a Paesi, ad esempio, come la Thailandia che hanno una tradizione in questo senso. Della serie: lo snack di verme è più facile da vendere che il verme vero e proprio, ma richiede lavorazioni complesse.

Il secondo problema è che il 65% delle aziende europee che si occupano di insetti commestibili li importano dai Paesi asiatici per trasformarli e venderli al dettaglio nell’UE, mentre solo 12 su 59 aziende europee di insetti producono le proprie materie prime in Europa. Questo apre uno scenario pieno di incognite sul fronte alimentazione. Quali sono i mangimi utilizzati in Asia? Che tipi di controlli hanno? E’ abbastanza semplice comprendere che possono essere fonti di rischi di vario genere, microbiologici e chimici, con batteri, virus, metalli pesanti, microtossine e prioni. Un settore che poi produrrà rifiuti ad alto impatto chimico, resta che attualmente sono vietati nella UE.

Lo studio ritiene poi, citando una pubblicazione del 2018 dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che occorre tener conto della forte presenza di batteri nella produzione degli insetti commestibili. Per questo motivo la valutazione del rischio dell’EFSA, insieme ad altri studi, suggerisce che le principali minacce microbiche includono (ma non sono limitate a) Salmonella ed Enterobacteriaceae nella mosca soldato nera, Bacillus cereus sempre in questa e lieviti e muffe nel grillo domestico. Quindi rappresentano una minaccia microbica e chimica ma anche allergenica.

Pertanto sono necessarie ulteriori ricerche sull’allergenicità delle proteine ​​specifiche degli insetti per determinare la via che porta sensibilizzazione, gli allergeni minori e maggiori associati a ciascuna delle quattro specie di insetti, approvati come nuovo alimento dall’UE, e l’effetto della lavorazione sull’allergenicità degli insetti.

L’elemento proteico poi, per la sua natura, può essere facilmente alterato con composti chimici, aprendo quindi uno scenario di tossicità alimentare nuovo in Europa.

Inoltre, la rapida espansione del settore e il fatto che le proteine ​​di insetti esistenti sul mercato sono più costose rispetto ad altre fonti proteiche, sottopongono il settore a maggior rischio di frode, visti anche i prezzi ai quali gli insetti verranno, almeno inizialmente, venduti.

“Per concludere”, scrive lo studio, “gli insetti hanno fatto molta strada dall’essere considerati puramente parassiti, all’essere cibo in mercati di nicchia e alla produzione industriale per il mercato di consumo europeo e oltre. Tuttavia, sono ancora necessarie molte ricerche e valutazioni per comprendere appieno i futuri rischi di sicurezza e di frode degli alimenti a base di insetti. Senza queste informazioni i consumatori saranno a rischio e il fiorente mercato potrebbe subire una grave perdita di fiducia nel caso in cui si verificasse un grave scandalo in materia di sicurezza e/o frode”.
www.affaritaliani.it

Fonte: https://www.imolaoggi.it/2024/02/24/insetti-in-tavola-ne-sicuri-ne-sostenibili/

 

“Avevo parcheggiato in centro a Milano, se vi bussano al finestrino non aprite per nessuna ragione”: Corrado Tedeschi racconta il tentato furto

“Avevo parcheggiato in centro a Milano, se vi bussano al finestrino non aprite per nessuna ragione”: Corrado Tedeschi racconta il tentato furto
“Chiudetevi dentro, questo video lo faccio per voi”, le parole dell’attore
Avevo parcheggiato la macchina in Via Durini… No centro di più, centro che più centro non si può“. Inizia così il video che Corrado Tedeschi ha condiviso sulla pagina Instagram MilanobelladaDio. Perché proprio del capoluogo meneghino e del tentato furto subito dall’attore che ne racconta la dinamica si parla: “A un certo punto ho sentito uno che mi bussava sul finestrino, quello dalla parte della guida… Io, dato che avevo sentito parlare di questa tecnica, non ho aperto il finestrino e mentre ero voltato verso questo qua, uno dall’altra parte apriva la portiera per prendere uno zainetto che avevo messo sul sedile. Ora io questo video lo faccio per mettervi in guardia, per chi non lo sapesse”. E ancora: “Salite in macchina e chiudetevi dentro, poi se vi bussano sul finestrino non aprite per nessuna ragione… Lo faccio per voi, mi raccomando state attenti, questa è la città”. Le parole e il video di Tedeschi ricordano quello postato pochi giorni fa da Flavio Briatore: “Sentite cosa mi è successo alle 11 del mattino in via Cordusio, zona Piazza affari. Il mio autista mi stava aspettando, avevo appuntamento per un caffè. L’autista scende dalla macchina, l’ufficio lo chiama, lui è al telefono e arriva con un monopattino un extracomunitario, apre la portiera prende lo zainetto e fugge. L’autista se ne accorge ma aveva già un vantaggio di 5/6 metri…”. Briatore ha poi aggiunto che nei dintorni “c’era un capitano della guardia di finanza” che, avendo visto la scena, è riuscito a bloccare il ladro “recuperando il mio zainetto” e “riconsegnandolo al mio autista”.
Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/07/avevo-parcheggiato-in-centro-a-milano-se-vi-bussano-al-finestrino-non-aprite-per-nessuna-ragione-corrado-tedeschi-racconta-il-tentato-furto/7346057/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

“Ti sposto in periferia, così risparmio” ecco cosa pensano le Città metropolitane

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C’è sempre un gran parlare di riforme, senza che il sistema politico si domandi se quanto fatto in precedenza funzioni bene o meno. È il caso della Riforma Delrio – L.56/14 – che ha riguardato le Province e le Città metropolitane. Su come stia andando questa epocale Riforma, che ha introdotto le Città metropolitane in fretta e furia nel 2015, il lettore potrà giudicare da se facendo un giro negli uffici desolati di questi Enti nati prematuri e gestiti come fossero delle cenerentole dalle Città capoluogo. Milano aveva una Provincia solida e di tutto rispetto, ora dopo la riforma Delrio è rimasto solo lo scheletro, rappresentato dalla Città metropolitana che si muove a fatica, preoccupata di stare in piedi e di disturbare il meno possibile il sindaco Sala, che ne è il dominus. Questa situazione ha un prezzo che viene pagato dai tanti che si aspettano che la Città metropolitana sia ancora come la vecchia Provincia, che aveva mezzi, capacità e credibilità. Il caso della Direzione Generale Scolastica Regionale per la Lombardia, una specie di super Provveditorato, che si sposta ancora per pagare meno di affitto in ubicazioni sempre più periferiche, è esemplare. Pensare che anni fa qualsiasi presidente provinciale (Tamberi, Colli, Penati, Podestà ecc..) avrebbe fatto carte false per sistemare al meglio il Provveditorato scolastico. Oggi non è più così. In redazione è pervenuta una lettera dei lavoratori della Direzione Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale, ex Sovrintendenza scolastica della Regione Lombardia, che segnalano la totale indifferenza di tutte le istituzioni pubbliche, sulla questione della loro sede di lavoro ad oggi ancora molto insoddisfacente.

Dopo una serie di traslochi, l’USR- Ufficio Scolastico Regionale – più grande d’Italia, prima a Milano in piazza Diaz, trasferito nel 2006 in via Ripamonti, poi in Via Pola, nel 2012 e successivamente in via Polesine, al Corvetto dal 2017, attualmente è sotto sfratto. La lettera specifica la vicenda amministrativa: Il contratto di locazione è scaduto a ottobre del 2023 e la proroga in atto, finalizzata a consentire il trasloco in altra sede, scade a giugno 2024. Senza esito positivo le numerose richieste di incontro a Città Metropolitana di Milano, da parte dell’USR e della R.S.U di sede. Dalle Organizzazioni Sindacali trapela che “hanno appreso che la dirigenza dell’Ufficio Scolastico Regionale è da oltre un anno che sollecita Città Metropolitana di Milano affinché si attivi alla ricerca di una sede stabile per l’USR Lombardia, idonea ad ospitare un centinaio di dipendenti, ma l’avviso pubblico per il reperimento dell’immobile necessario, è stato pubblicato da Città Metropolitana solo nel luglio del 2023”. Una trafila burocratica messa in piedi come ci fosse da sgombrare un centro sociale per i quali, forse, hanno avuto molto più riguardi. Bando andato a vuoto e pertanto, visti i tempi ristretti, la Città Metropolitana ha pensato di cavarsela con poco, individuando, con modalità e procedure poco comprensibili ai lavoratori interessati, uno stabile collocato ‘a casa del diavolo’ come si dice a Milano. Non proprio fino a lì, ci si ferma un po’ prima, presso il complesso immobiliare Milano Business Park – Via dei Missaglia, 97 a Milano ( foto sotto). Periferia vera, agli estremi confini del territorio comunale, appena prima di Quinto Stampo e del Ronchetto delle Rane, quasi a Rozzano, lungo uno stradone a 6 corsie, dove trovare un bar è già un impresa.

Prima di pubblicare l’avviso” continua la fonte, che preferisce l’anonimato “Città Metropolitana avrebbe dovuto verificare l’esistenza di uno stabile di proprietà ovvero di proprietà del Demanio dello Stato, o della Regione, o del Comune di Milano, situato in zone centrali o ben collegate, atto alle necessità della Direzione di USR Lombardia ed evitare oneri di affitto per una sede poco funzionale e ubicata all’estrema periferia sud ovest della città.”

L’USR rappresenta il Ministero dell’Istruzione e del Merito in ambito regionale e si occupa della gestione delle istituzioni scolastiche di tutta la Lombardia, con un’utenza molto ampia che avrebbe un notevole disagio. All’USR fanno riferimento in tanti, che sono interessati al servizio scolastico: più di mille Istituzioni scolastiche statali e oltre duemila Scuole paritarie, con i rispettivi dirigenti, personale docente e non docente, famiglie, enti locali, sindacati, funzionari di altre amministrazioni, oltre al personale dipendente provenienti dall’intera regione. Era un obbligo per le Direzioni dello Stato collocarsi vicino alle stazioni, per essere facilmente raggiungibile con mezzi pubblici da tutta la Lombardia. A quanto pare, la Città Metropolitana propone quello che gli costa meno e consiglia di avere pazienza se la sede è piuttosto decentrata e molto distante sia dalle stazioni ferroviarie cittadine che dalle linee metropolitane ed è raggiungibile solo con linee di superficie causando disagio, in termini di tempo di percorrenza, sia ai diretti dipendenti che all’utenza esterna.

Certo che il colmo sarebbe quello di trovare spazi vuoti adatti all’USR nei tanti edifici che la Città metropolitana possiede in centro città.

Foto copertina e sotto:  l’URS del Molise. L’immagine è  utile, fatte le debite proporzioni, per un confronto: come un territorio equivalente al un municipio di Milano (poco meno di 300mila ab.) città considera con grande rispetto la direzione regionale del comparto Scuola.

Supplenze, insegnanti in attesa per ore: caos davanti all'Ufficio scolastico

 

Fonte: https://www.civica.one/ti-sposto-in-periferia-cosi-risparmio-ecco-cosa-pensano-le-citta-metropolitane/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Egemonia (12) – L’inquietante accordo militare con Kiev: rischi e scenari – Generale Fabio Mini

2 marzo 2024

di Alessandro Bianchi

Molti degli elettori che hanno scelto Giorgia Meloni alle scorse elezioni non si sarebbero certo aspettati una politica estera più draghiana di Draghi, più atlantista del direttore di Repubblica Molinari o più filo Zelensky di un’Ursula qualunque. Eppure, l’ultimo viaggio a Kiev da presidente di turno del G7 del nostro premier nella capitale ucraina ha sciolto tutti i dubbi rimasti. L’accordo decennale con cui la Meloni, senza nessun passaggio parlamentare, ha legato il paese al regime di Kiev rimane il lato più oscuro e inquietante.

Nessuno più del generale Fabio Mini, autore di “L’Europa in guerra” (Paper First, 2023) e della premessa al nuovo libro di Giuseppe Monestarolo “Ucraina, Europa mondo” (Asterios, 2024) può aiutarci a fare luce, individurare i dettagli e scenari futuri. Mini è una delle voci più coerenti e forti nel denunciare i rischi connessi all’atteggiamento europeo verso il conflitto in corso. Con i suoi articoli su Limes e il Fatto Quotidiano, è riuscito a rompere la propaganda dominante. Quella propaganda che, come abilmente preannunciato dallo stesso generale, sta portando il nostro continente ad un passo da un baratro sempre più visibile.

Abbiamo chiesto al generale Fabio Mini di aiutarci a sciogliere diversi dubbi per “Egemonia”.

L’Intervista

L’assenza di Macron e Scholz accanto alla Meloni a Kiev merita una necessaria premessa Generale.

«Le assenze parlano molto di più delle presenze. L’assenza è uno strumento diplomatico e politico e paesi navigati come Francia e Germania lo sanno bene. Se non hanno mandato i propri leader un motivo politico-diplomatico c’è, ma non credo riguardi una via d’uscita dal conflitto con la Russia. Mi sembra più probabile che si siano sottratti agli sbaciucchiamenti di Zelensky sacrificando anche quelli delle due signore o che non condividano in questo periodo né il decisionismo dei singoli stati né le mire accentratrici proprio della von der Leyen della gestione del riarmo europeo e degli aiuti a Kiev.»

Generale ci aiuta a inquadrare la portata dell’accordo militare siglato dal premier italiano a Kiev. Cosa prevede?

«Si tratta di misure di cooperazione militare e civile con l’Ucraina, già dichiarate alla Nato, nell’ambito dell’Unione europea e in tutte le altre sedi internazionali nelle quali il nostro governo è stato presente. Si ribadisce in pratica del sostegno militare all’Ucraina in caso di futuri attacchi e sin da ora per respingere la Russia entro i propri confini e perfino oltre».

Tutti i membri del governo hanno voluto ribadire che non siamo parte attiva del conflitto. E’ così?

«Nell’accordo vengono ribadite le misure già assunte contro Mosca come le sanzioni, il congelamento e la confisca di beni di privati cittadini russi all’estero e l’addebito dei danni di guerra – compresi quelli causati dai bombardamenti ucraini nel Donbass che è la zona che ha subito i danni più gravi. Il nostro governo insiste a dire che “non siamo in guerra con la Russia” e sa benissimo che la maggioranza dei cittadini italiani, diversamente da quella parlamentare e di governo, non vuole questa o altra guerra. Ma l’accordo prevede aiuti e cooperazione a senso unico in campo militare, industriale, commerciale e politico. Allontana, dunque, la possibilità di un negoziato»

Negoziato in vista di un accordo. Accordo che è noto come era già stato raggiunto da ucraini e russi a poche settimane dall’inizio delle operazioni, nel marzo del 2022 a Istanbul. Questa decisione del governo italiano lo rende sempre più complicato?

«Promette tutto ciò che l’Ucraina chiede e che le serve per continuare la guerra. Non si avventura in nessuna considerazione o proposta che favorisca la cessazione del conflitto.  Anzi sostenendo il cosiddetto piano di pace ucraino in 10 punti, che nega qualsiasi negoziato sui confini con la Russia, viene esclusa ogni via d’uscita diversa dalla sconfitta sul campo, russa o ucraina.»

 

Ci sono clausole specifiche che rendono il nostro coinvolgimento nel conflitto maggiore?

«No, e non sono necessarie. L’intero documento è dedicato a rendere esplicita e a rafforzare, almeno a parole, lo schieramento politico e militare a fianco dell’Ucraina e contro la Russia. Non esiste alcun cenno d’incoraggiamento all’azione diplomatica verso la pace o la sospensione del conflitto. Lo scopo essenziale di questa cooperazione non è una pace duratura e giusta, né una maggiore sicurezza dell’Ucraina e della stessa Europa. Di fatto l’Italia partecipa e collabora alla guerra contro la Russia consapevole che ciò significa la continuazione e il peggioramento del conflitto».

Generale nell’accordo si dice di difendere la sovranità e la democrazia ucraina ma non si fa alcun riferimento alle garanzie che dovrebbero essere date alle popolazioni della stessa Ucraina che tornerebbero sotto la sua sovranità…

«Ciò significa esattamente cancellare i dieci anni di soprusi e massacri passati e autorizzare quelli futuri. Significa dimenticare cosa veramente deve garantire la democrazia. Quella ucraina e quella nostra. Non credo che il documento in sé comporti una sorpresa per la Russia o un cruccio in più. Semmai il tono e le parole, copiate e incollate da analoghi documenti americani e inglesi, possono aver irritato perché provenienti da un governo che rappresenta una popolazione e una cultura che la Russia rispetta. O rispettava.»

Altro che sovranismo, insomma. La deriva iniziata con il governo Draghi prosegue, si intensifica e l’Italia ha perso definitivamente il suo ruolo tradizionale di mediazione. Siamo più a rischio oggi?

«Non rischiamo oggi più di quanto non rischiavamo ieri, ma questo non è di consolazione perché non credo che ci sia la giusta percezione di quanto la situazione sia grave per tutta l’Europa. E di quanto i nostri piloti stiano rischiando nelle operazioni di controllo dei confini dei paesi baltici. L’inasprimento delle relazioni o soltanto l’irritazione possono essere sufficienti a far cadere qualsiasi remora nelle reazioni a eventuali sconfinamenti anche se involontari. E’ l’approccio generale ad essere debole e pericoloso. L’Italia sta scommettendo sulla vittoria ucraina, su una rapida conclusione del conflitto e sulla fetta di torta che ne può derivare con le forniture di armi e con la ricostruzione. Nessuna delle tre cose è sicura e anzi le probabilità che si verifichino stanno diminuendo. Sta scommettendo sul riarmo europeo che la von der Leyen vorrebbe coordinare e gestire a nome di tutta l’Europa non si sa bene se per fare un favore alla Germania o agli Stati Uniti costituendo un polo unico per le importazioni. Esattamente come successo per i farmaci del Covid che lei stessa porta a modello per le forniture belliche. Si sta proseguendo sulla linea del conflitto globale seguendo passivamente le mire e i metodi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna in Europa contro la Russia e nel mondo contro la Cina».

A due anni dall’inizio dell’operazione russa, le sue previsioni sul Fatto Quotidiano e su Limes si sono avverate praticamente tutte e quelle, ottusamente filo NATO, portate avanti dai giornali dei gruppi mediatici dominanti in Italia smentite (come al solito). Generale cosa aspettarsi ora dal 2024? Vivremo una nuova escalation?

«Cerco di essere realista e non ipocritamente ottimista. Non vedo per quest’anno nessuna volontà internazionale di terminare il conflitto con un negoziato. Vedo invece lo sbocco verso il negoziato come conseguenza delle operazioni militari. Tutto il mondo è alla ricerca di un compromesso onorevole per salvare l’Ucraina ma è proprio essa a non voler essere salvata e anzi pretende di sacrificarsi per salvare tutti noi. Finché si ricorre a questa retorica non si arriva a niente».

L’opzione d’inviare altre armi e perfino uomini – come ha recentemente dichiarato il presidente francese Macron – a combattere contro la Russia dove può portarci?

«E’ esattamente quello che la Russia si aspetta per passare all’opzione nucleare. Ma ha ancora bisogno dell’assicurazione statunitense che il ricorso al nucleare tattico non inneschi quello strategico. Con l’attuale presidente americano un’assicurazione in questo senso non avrebbe significato. Dovrebbe essere un gentlemen agreement e finora non si è visto nulla che caratterizzi un gentiluomo. Nel giro di pochi mesi sarà comunque azzoppato e il nuovo presidente, chiunque esso o essa sia, avrebbe il compito di sbrogliare la matassa. Considerando che un presidente americano ci mette almeno sei mesi prima di diventare operativo – anche se esperto o rieletto-  per via dei compromessi che ha dovuto tessere per essere eletto e dei mutamenti della situazione internazionale –  ritengo che questo tipo di accordo tacito o segreto non sia possibile prima della metà del 2025».

E quindi nel frattempo?

«Nel frattempo alla Russia conviene tirare la guerra per lunghe incrementando l’attrito sulle forze ucraine e cercare di ottenere un buon compromesso proprio dallo sfinimento di Kiev. Non è una cosa di breve termine perché proprio gli aiuti tendono a prolungare l’agonia, piuttosto che passare all’eutanasia.  Finché c’è guerra c’è speranza di affari e profitti. Una soluzione meno cruenta potrebbe venire da un colpo di stato a Mosca o Kiev che eliminando i principali interlocutori consenta il passaggio ai compromessi. La vedo difficile in Russia e più probabile in Ucraina, ma sempre aleatoria: non è detto che i successori siano sempre migliori dei predecessori.»

La portata del suicidio europeo e dell’abisso che accordi come quello siglato dalla Meloni a Kiev è ora, forse, più chiaro.

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EGEMONIA: INDICE

Nasce “Egemonia” di Alessandro Bianchi

 

“Egemonia” (1). I responsabili del massacro a Gaza: quale ruolo per la diplomazia e il diritto internazionale? – Alberto Bradanini

“Egemonia” (2). “L’Afghanistan dei talebani: quello che non vi raccontano” – Pino Arlacchi

“Egemonia” (3). Gaza e non solo: “L’Italia della Meloni ultima pedina del carro” – Elena Basile

Egemonia (4). Dove è finita la classe dirigente europea? – Alberto Bradanini

Egemonia (5). Linea rossa Taiwan – Laura Ruggeri

Egemonia (6). Hamas e le menzogne su Gaza – Patrizia Cecconi (PRIMA PARTE)

Egemonia (7). Hamas, il 7 ottobre e la profezia dello sceicco Yassin – Patrizia Cecconi (SECONDA PARTE)

Egemonia (8). Come il neoliberismo si è impossessato delle nostre menti – Ernesto Limia DíazE

Egemonia (9). Il genocidio a Gaza e il collasso della propaganda occidentale – Patrick Lawrence

Egemonia (10). Denazificazione e Memoria storica – Vito Petrocelli

Egemonia (11). “Politici ai domiciliari” e subalternità ad Israele – Alberto Negri

 

Fonte: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-egemonia_12__linquietante_accordo_militare_con_kiev_rischi_e_scenari__generale_fabio_mini/51962_53345/#google_vignette

 

 

CULTURA

Le contaminazioni dell’arte cinese del XX e XXI secolo. “Le aperture e il confronto hanno arricchito”, afferma Lü Peng

Il 29 febbraio si è tenuta a Roma, presso la Biblioteca Enzo Tortora, la presentazione dell’opera dello storico dell’arte cinese Lü Peng «Storia dell’arte cinese del XX e XXI secolo», alla presenza dell’autore, dell’ottima traduttrice Ornella De Nigris e di Manuela Schiavavo coordinatrice per la Casa Editrice Rizzoli che ha pubblicato il testo in due volumi.
Il prof. Filippo Salviati, docente di storia dell’arte cinese e coreana, all’Università La Sapienza di Roma, ha moderato l’incontro.

Come ha scritto Ornella De Nigris nella prefazione all’edizione italiana: «Questo libro è un racconto (gushì 故事) della rinascita dell’arte cinese avvenuta tra la fine del XIX secolo e i nostri giorni» e l’autore è uno dei principali curatori e studiosi di arte cinese.

Nel momento in cui la Cina è ridiventata una indiscussa potenza mondiale è diventato importante conoscere anche la storia dell’arte cinese. L’arte del XX e XXI secolo consente al lettore di percorre un itinerario alla scoperta di mondo artistico ricco di fascino. Oggi il lavoro di Lϋ Peng aggiunge un valore aggiunto sia rispetto agli studi sull’arte contemporanea cinese curati da Filippo Salviati che al volume “Arte Contemporanea, Oriente/Occidente – dal 1945 ad oggi” di Ada Lombardi.

Se l’arte cinese può apparire in occidente come un fenomeno esoterico, bisogna sottolineare che l’arte è soprattutto storia. Lϋ Peng – secondo quanto ha detto – ha cominciato a studiare l’arte partendo dal Vasari e dall’arte italiana. Si è focalizzato poi sul XIX e XX secolo reputandolo un periodo imprescindibile per la storia dell’arte cinese e la prima edizione dell’opera risale al 2006. Il problema di fondo nell’approccio all’arte cinese è lo iato tra “prima e dopo il 1949”, anno della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. In Cina si dibatte ancora sulla questione se la storia dell’arte cinese precedente alla Rivoluzione possa dirsi cinese o no.

Nelle Accademie e nelle Università cinesi tutta la storia dell’arte trattata di solito arriva fino all’Impressionismo, ma l’arte sviluppatasi in Cina dopo l’apertura del 1978 è anche il risultato di un nuovo approccio offerto agli artisti e ai critici dal contatto con l’arte non cinese. Tuttavia, non sono molti gli storici dell’arte che si occupano di tutta la Storia dell’arte cinese, cioè dell’arte dei periodi repubblicani che si sono succeduti prima della Rivoluzione. L’opera di Lϋ Peng guarda al secolo dell’arte cinese mettendo a confronto la cultura cinese e quella europea.

Lo scontro maggiore è stato quello che si è svolto tra pittura occidentale e pittura cinese: la pittura cinese si evidenzia come arte nobile del wenren (文人),il dotto letterato tradizionale e, per tale motivo, si verificò uno scontro di vedute nei circoli artistici cinesi. I momenti chiave del racconto dell’arte cinese sono le Guerre dell’Oppio (1842 e dal 1856 al 1860) e il periodo delle invasioni delle potenze occidentali dopo la vittoria sulla Cina conclusasi con il Trattato di Nanchino (1842) e i Trattati di Tientsin (1885): ciò ebbe un profondo impatto ed è il periodo in cui la classe dirigente decise di studiare e capire di più le potenze che avevano riportato la vittoria su quello che fu il Celeste Impero.

Molti studiosi cinesi si diressero allora in occidente per apprendere, compresi gli artisti che si recarono a studiare il Rinascimento ed i fenomeni modernisti. Un secondo scontro di carattere storico si ebbe tra realismo e modernismo, tra arte e politica: sia per il Kuomintang che per i comunisti si presentò la necessità di confrontarsi con l’arte. Nella storia dell’arte cinese degli anni Trenta il movimento modernista era approcciato liberamente dagli artisti ma, dal momento dell’aggressione giapponese della Manciuria 1931, che si sarebbe poi protratta per i successivi 14 anni, tale movimento fu costretto a diventare arte realista e militante.

La contraddizione in cui gli artisti attuali si dibattono è quella della globalizzazione: come gli artisti cinesi possono abbattere i confini culturali portando avanti tematiche comuni a tutti gli artisti del mondo senza perdere l’identità?
Il punto di vista dell’autore è di carattere storico e dà voce alla dinamicità e alla vivacità che hanno caratterizzato la tensione tra tradizione e modernità, in cui gli artisti hanno instancabilmente tentato di adattarsi alle vicissitudini storiche, politiche e culturali della Cina. Ornella De Nigris la traduttrice si è trovata di fronte ad un’opera molto complessa.

Riferimenti alla tradizione artistica cinese richiedevano approfondimenti, per cui la traduzione è stata eseguita pensando soprattutto a rendere fruibile il testo a chi si avvicina all’arte cinese. L’opera è impreziosita da oltre cinquecento illustrazioni a colori che mostrano la varietà di espressioni artistiche dei vari momenti storici guidando il lettore all’apprezzamento visuale delle opere menzionate nel testo. Si tratta di un’opera imperdibile per comprendere una civiltà “lontana”, ma anche vicina, per capire come si è sviluppata nel corso dei secoli.

Carlo Marino

Fonte: https://www.farodiroma.it/le-contaminazioni-dellarte-cinese-del-xx-e-xxi-secolo-le-aperture-e-il-confronto-hanno-arricchito-afferma-lu-peng/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

La CIA vuota il sacco sul profondo coinvolgimento in Ucraina: parte dello stratagemma per minare l’opposizione repubblicana alla guerra del Congresso

Una casa con le bandiere nella neve Descrizione generata automaticamente
Una casa, con bandiere ucraine e americane, vicino al confine russo. [Fonte: nytimes.com ]

È importante passare dalla disinformazione sulla Russia a un’ulteriore campagna di propaganda

Il New York Times il 25 febbraio ha pubblicato una storia esplosiva di quella che sembra essere la storia della CIA in Ucraina dal colpo di stato di Maidan del 2014 ad oggi. La storia, ” La guerra delle spie: come la CIA aiuta segretamente l’Ucraina a combattere Putin “, scritta da Adam Entous e Michael Schwirtz, è caratterizzata da una iniziale sfiducia, ma poi da una paura e un odio reciproci nei confronti della Russia che progredisce fino a diventare un rapporto così stretto che l’Ucraina è ora uno dei partner di intelligence più stretti della CIA nel mondo.

Allo stesso tempo, la pubblicazione dell’articolo da parte del Times, che si basava su più di 200 interviste in Ucraina, negli Stati Uniti e in “diversi altri paesi europei”, solleva diverse domande: perché la CIA non si è opposta alla pubblicazione dell’articolo , soprattutto arrivando in uno dei punti vendita preferiti dell’Agenzia? Quando la CIA si rivolge a un giornale per lamentarsi delle informazioni riservate in esso contenute, il pezzo viene quasi sempre eliminato o pesantemente modificato. Dopotutto, gli editori di giornali sono patrioti. Giusto? L’articolo è stato pubblicato perché la CIA voleva che la notizia fosse diffusa? Forse ancora più importante, lo scopo dell’articolo era influenzare le deliberazioni sul bilancio del Congresso sugli aiuti all’Ucraina? Dopo tutto, l’articolo aveva davvero lo scopo di vantarsi di quanto sia grande la CIA? Oppure era per mettere in guardia gli appropriatori del Congresso: “Guardate quanto abbiamo fatto per affrontare l’orso russo. Non lascerai davvero che tutto vada sprecato, vero?”

L’articolo del Times ha tutte le caratteristiche di uno sguardo approfondito e approfondito su un argomento delicato, possibilmente riservato. Approfondisce uno dei santuari della comunità dell’intelligence, una relazione di collegamento con l’intelligence. Ma alla fine, non lo è davvero. Non ci dice nulla che ogni americano non abbia già ipotizzato. Forse non lo avevamo scritto prima, ma credevamo tutti che la CIA stessa sostenesse l’Ucraina a combattere i russi.

avevamo già visto rapporti secondo cui la CIA aveva “ piedi sul terreno ” in Ucraina e che il governo degli Stati Uniti stava addestrando forze speciali ucraine e piloti ucraini, e stava conducendo una guerra ombra con i servizi segreti ucraini che prevedeva omicidi mirati, quindi c ‘è niente di nuovo lì.

L’articolo va un po’ più nel dettaglio rispetto ai resoconti precedenti, anche se, ancora una volta, senza fornire nulla che possa mettere in pericolo fonti e metodi. Ad esempio, abbiamo imparato che:

  • C’è un posto di ascolto della CIA nella foresta lungo il confine russo, una delle 12 basi “segrete” che gli Stati Uniti mantengono lì. Uno o più di questi post hanno contribuito a dimostrare il presunto coinvolgimento della Russia nell’abbattimento del volo 17 della Malaysia Airlines nel 2014, anche se molte dimostrano possono disponibili suggeriscono che dietro a tutto ciò non poteva esserci la Russia. Sembra che la CIA abbia timidamente inserito disinformazione sul volo della Malaysia Airlines in questo articolo per ricordare ai lettori del Times quanto protettivi malvagi siano i russi.
  • Funzionari dell’intelligence ucraina hanno aiutato gli americani a “inseguire” gli agenti russi “che si sono intromessi nelle elezioni presidenziali americane del 2016”. Ho una notizia flash per il New York Times : il rapporto Mueller ha rilevato che non vi è stata alcuna significativa ingerenza russa nelle elezioni del 2016. E cosa significa “inseguire”?
Una persona in uniforme militare Descrizione generata automaticamente
Valeriy Kondratiuk, l’uomo della CIA. [Fonte: euromaidanpress.com ]
  • Gli stretti legami tra i funzionari dell’intelligence ucraina e la CIA in seguito al colpo di stato di Maidan del febbraio 2014 erano evidenti nel fatto che il capo della stazione CIA in arrivo a Kiev, dopo una lunga giornata di incontri a Langley nell’inverno del 2015, prese il generale Valeriy Kondratiuk, capo della L’agenzia di intelligence militare ucraina, ad una partita di hockey dei Washington Capitals dove sedevano in un palco di lusso e fischiavano ad alta voce Alex Ovechkin, il giocatore di punta della squadra russa.
  • A partire dal 2016, la CIA ha addestrato un “commando d’élite ucraino noto come Unità 2245, che ha catturato droni e apparecchiature di comunicazione russe in modo che i tecnici della CIA sono riusciti a decodificarli e violare i sistemi di crittografia di Mosca”. [1] Questo è esattamente ciò che la CIA dovrebbe fare. Onestamente, se la CIA non avesse fatto questo, avrei suggerito un’azione legale collettiva affinché il popolo americano potesse riavere indietro i soldi delle tasse.
  • L’Ucraina si è trasformata in un centro di raccolta di informazioni che ha intercettato più comunicazioni russe di quelle che la stazione della CIA a Kiev poteva inizialmente gestire. Ancora una volta, non mi aspetto niente di meno. Dopotutto, è lì che c’è la guerra. Quindi ovviamente le comunicazioni verranno intercettate lì. Per quanto riguarda il sovraccarico della stazione della CIA, il Times non ci dice mai se ciò è dovuto al fatto che all’epoca la stazione era un’operazione individuale o se aveva migliaia di dipendenti ed era ancora sopraffatta. È tutta una questione di scala.
  • I commando addestrati dalla CIA hanno partecipato a missioni clandestine di sabotaggio in Crimea e ad omicidi e atti terroristici, come la detonazione di un’autobomba nel veicolo del comandante della Repubblica popolare di Donetsk Arsen Pavlov (alias Motorola) nel 2016. I commando hanno distribuito stemmi commemorativi a coloro che erano coinvolti nell’omicidio di Pavlov, a cui è cucito il termine britannico per ascensore. L’articolo accetta l’affermazione della CIA secondo cui si sarebbe opposto alla commissione di questi atti violenti e si sarebbe infuriata per gli omicidi.
Una persona in giacca e cravatta che cammina Descrizione generata automaticamente
William Burns [Fonte: news.yahoo.com ]
  • Il direttore della CIA William Burns ha recentemente effettuato una visita segreta a Kiev, la sua decima nella regione dall’invasione russa nel febbraio 2022; Gli ufficiali della CIA schierati nelle basi militari ucraine hanno esaminato gli elenchi di potenziali obiettivi russi che gli ucraini si stavano preparando a colpire, confrontando le informazioni che gli ucraini avevano con l’intelligence statunitense; e la CIA ha contribuito a contrastare un complotto per assassinare Zelenskyj. In quest’ultimo caso, la CIA potrebbe inventarsi tutto questo per cercare di fare bella figura.
Un gruppo di soldati con armi da fuoco Descrizione generata automaticamente
Commandos ucraini d’élite addestrati dalla CIA per svolgere operazioni clandestine spesso mortali. [Fonte: thescottishsun.com ]
  • Per non pensare che la CIA e il governo degli Stati Uniti fossero all’attacco in Ucraina, l’articolo chiarisce che “Mr. Putin ei suoi consiglieri hanno interpretato male una dinamica critica. La CIA non è entrata in Ucraina. I funzionari statunitensi erano spesso riluttanti ad impegnarsi pienamente, temendo che non ci si potesse fidare dei funzionari ucraini e temendo di provocare il Cremlino”.

È a questo punto dell’articolo che il Times rivela quella che credo sia la pista sepolta: “Ora queste reti di intelligence sono più importanti che mai, poiché la Russia è all’offensiva e l’Ucraina è sempre più dipendente dal sabotaggio e dai missili a lungo raggio”. attacchi che richiedono spie ben oltre le linee nemiche. E sono sempre più a rischio: “ Se i repubblicani al Congresso interrompessero i finanziamenti militari a Kiev, la CIA potrebbe essere costretta a ridimensionarli. ” (Enfasi aggiunta.)

Gli autori continuano scrivendo che “la domanda che alcuni ufficiali dell’intelligence ucraina stanno ora ponendo alle loro controparti americane – mentre i repubblicani alla Camera valutano se tagliare miliardi di dollari in aiuti – è se la CIA li abbandonerà. “È già successo in Afghanistan e ora succederà in Ucraina”, ha detto un alto ufficiale ucraino.”

Questi commenti chiariscono che la CIA ha fatto trapelare la storia al Times come parte di un piano politico per cercare di sostenere gli aiuti militari all’Ucraina e aumentare i finanziamenti del Congresso alla CIA.

L’articolo cerca di trasmettere l’impressione che la CIA sia necessaria, ora più che mai, per evitare che l’Ucraina diventi un altro Afghanistan – o Vietnam, dove l’amministrazione Ford è stata anche accusata di abbandonare un alleato degli Stati Uniti e di consentire, in tal caso, ai comunisti di rilevare.


  • Jeremy Kuzmarov ha contribuito a questo articolo.
  1. I commando ucraini sono stati addestrati nell’ambito dell’Operazione Goldfish su come assumere in modo convincente personaggi falsi e rubare segreti in Russia e in altri paesi che sono abili nello sradicare spie, nel reclutare fonti e nella costruzione di reti clandestine e partigiane. Il generale Kyrylo Budanov, che aveva profondi legami con la CIA, era una stella nascente nell’Unità 2245, secondo il Times . L’Agenzia lo aveva addestrato e aveva anche compiuto il passo straordinario di mandarlo per la riabilitazione al Walter Reed National Military Medical Center nel Maryland dopo che era stato colpito al braccio destro durante i combattimenti nel Donbas. Travestito in uniformi russe, allora tenente. Il colonnello Budanov guidò i suoi commando attraverso uno stretto golfo su motoscafi gonfiabili, sbarcando di notte in Crimea dovero cadde in un’imboscata da parte delle forze russe.

Fonte: https://covertactionmagazine.com/2024/02/28/cia-spills-the-beans-about-deep-involvement-in-ukraine-part-of-ploy-to-undercut-republican-congressional-opposition-to-war/

Una riflessione sulla guerra in corso della Nato contro la Russia. La Nato è un’organizzazione terroristica che doveva essere smantellata contemporaneamente alla dissoluzione del Patto di Varsavia.
Filmato qui: https://www.youtube.com/watch?v=jmuir6JhWtU
Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=jmuir6JhWtU

IL CASO DEL CADAVERE DI NAVALNY – CHERCHEZ LES FEMMES 

di John Helmer, Mosca
@ bears_with

Due donne, Kira Yarmysh ( immagine principale, a sinistra ) e Maria Pevchikh ( seconda a  sinistra ), componevano la serie di bugie che nell’agosto 2020 affermavano che Alexei Navalny era stato avvelenato con Novichok da uno squadrone della morte di stato russo – prima in una tazza del tè bevuto all’aeroporto di Tomsk; poi in una bottiglia d’acqua minerale che bevve nella sua camera d’albergo; e infine nelle mutande con cui si vestiva prima dell’acqua, prima del tè.

Poiché ciascuna di queste affermazioni si è rivelata falsa in base alle prove pubbliche , loro e Navalny hanno acconsentito alla divulgazione dei dati medici raccolti dal gruppo di medici tedeschi che hanno curato Navalny dopo il suo ricovero alla Clinica Charité di Berlino il 22 agosto 2020. Ma nessuno dei due dati presentato nella pubblicazione dei medici su The Lancet  del 22 dicembre 2020, né il rapporto stesso dei medici ha dimostrato che Navalny fosse stato avvelenato dal Novichok. Questa conclusione è arrivata nei comunicati stampa dell’esercito tedesco, e poi dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW).

Secondo i medici di Berlino, “successivamente è stato diagnosticato un grave avvelenamento da un inibitore della colinesterasi. Due settimane dopo, il governo tedesco ha annunciato che un laboratorio delle forze armate tedesche designato dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) aveva identificato un agente nervino organofosforico del gruppo Novichok nei campioni di sangue raccolti immediatamente dopo il ricovero del paziente alla Charité , una constatazione che è stata successivamente confermata dall’OPCW.”

Si tratta di una pubblicità politica, non di una diagnosi medica: nessun medico ha firmato con il suo nome e nessun ufficiale militare tedesco ha firmato con il suo nome.

Un giorno prima della pubblicazione su The Lancet  , il 21 dicembre, Navalny, Pevchikh e Yarmysh hanno pubblicato la loro invenzione della storia delle mutande con la falsa telefonata di un agente dell’FSB, Konstantin Kudryavtsev, ammettendo a Navalny tutto ciò che fino a quel momento era stato smentito. La combinazione di prove inventate dell’arma del delitto e poi del complice dell’assassino è stata ripetuta nel film documentario che ha vinto il Premio Oscar per i film documentari nel marzo 2023 .

Yarmysh era il portavoce stampa di Navalny nell’agosto 2020; lo è ancora. Pevchikh era lo sceneggiatore di Navalny e il tramite con lui da agenti governativi anglo-americani, nonché da finanzieri russi a Londra come Yevgeny Chichvarkin, un tempo magnate della telefonia mobile di Evroset.

Se le due donne avessero detto la verità e il Novichok fosse stato nel tè, nell’acqua o nelle mutande di Navalny, sarebbe morto entro pochi minuti dal contatto. Lo stesso avrebbe fatto Pevchikh, che portò a mano la bottiglia d’acqua da Tomsk a Novosibirsk, poi a Omsk e infine a Berlino. Il sangue, l’urina, la pelle e i capelli di Navalny, clinicamente testati e riportati dai medici tedeschi che lo curavano presso la Charité Clinic, hanno dimostrato che il suo collasso era stato causato da una combinazione di farmaci che lui stesso aveva consumato .

Le due donne e altri membri della famiglia di Navalny, tra cui sua moglie, Yulia Navalnaya, ( 3a a  sinistra ) 47 anni, sua madre Lyudmila Navalnaya ( a destra ), 69 anni, e sua figlia Daria, 23 anni, si sono tutti rifiutati di rivelare qualsiasi dato medico sulle sue precedenti condizioni mediche e sui medicinali che stava assumendo prima dell’episodio dell’agosto 2020. Lo stesso Navalny ha dato il permesso ai medici della Charité Clinic di Berlino di pubblicare i risultati dei test nel rapporto di The Lancet  , credendo che avrebbero corroborato la sua storia.

Dopo la morte di Navalny, avvenuta il 16 febbraio 2024, non sono stati rilasciati dati medici, né i medicinali che Navalny stava assumendo al momento della sua morte; il registro delle vaccinazioni contro il Covid-19 che gli sono state consegnate in Germania; le sue precedenti condizioni mediche; oppure i dati tossicologici e patologici raccolti nelle indagini post mortem successive alla sua morte.

La legge russa vieta la divulgazione di queste informazioni personali senza il permesso del parente più prossimo ed esecutore testamentario nominato da Navalny nel suo testamento. Ha chiamato sua madre, Lyudmila. Non ha nominato sua moglie, Yulia. Il motivo per cui lo fa ha cominciato ad emergere a Mosca. Segna le lotte intestine sulla successione politica a Navalny e sul denaro che gli Stati Uniti hanno fornito all’organizzazione Navalny.

Che gli eredi combattano per i diritti di successione, i beni e il denaro è un luogo comune. Ciò che non è stato ancora notato né dalla stampa russa né da quella occidentale è il documento su cui iniziano i casi di successione in tutto il mondo: la volontà del defunto.

Il primo segno che è iniziata una lotta per l’eredità è che mentre Lyudmila Navalnaya si è recata a Kharp, dove Navalny era stato imprigionato, e Salekhard, dove il suo corpo è stato portato per l’esame post mortem, Yulia Navalnaya è volata in California per incontrare il presidente Joseph Biden. Tra i due cadaveri politici ci sono in gioco molti soldi.

La legge russa sulla sepoltura, legge federale (FZ) n. 8 del 1996, richiede un testamento firmato dal defunto per conferire al sopravvissuto l’autorità di prendere in custodia il corpo e organizzare la sepoltura in Russia o all’estero, secondo i termini di la volontà.

Che Navalny, un avvocato di formazione, abbia previsto tale disposizione in un testamento è certo, sebbene il contenuto non sia stato reso pubblico.

Source: https://cis-legislation.com/ See also: https://ihl-databases.icrc.org/

Inoltre, Navalny ha incaricato sua madre, Lyudmila Navalnaya, di assumersi la responsabilità perché è stata lei a recarsi sul corpo per assumersi la responsabilità, presentare il testamento e gli altri documenti necessari per la presentazione al Servizio penitenziario federale (FSIN), affinché loro per trattare con lei. Ciò significa anche che Navalny non ha scelto sua moglie, Yulia Navalnaya – o che se l’avesse nominata in un testamento precedente, avrebbe cambiato il suo testamento in favore di sua madre prima di andare in isolamento carcerario. Anche lì e in segreto, la legge russa prevede che Navalny possa aver redatto un testamento che sarà accettato in tribunale.

La legge russa che regola il testamento e come la FSIN deve interpretarlo nel caso Navalny è il Codice Civile della Federazione Russa, articoli 1110-1159 . L’articolo 1117, intitolato “Eredi indegni”, crea le basi giuridiche secondo le quali Lyudmila Navalnaya e Anatoly Navalny, madre e padre, possono adire un tribunale contro la loro nuora se per “azioni illegali deliberate dirette contro il defunto o uno qualsiasi dei defunti eredi o contro l’esercizio delle ultime intenzioni del defunto espresse in un testamento hanno aiutato o cercato di aiutare a essere chiamati a ereditare o ad altre persone che sono state chiamate a ereditare o che hanno cercato di aiutare ad aumentare la quota del patrimonio loro o altri hanno diritto, se tali circostanze sono state provate in tribunale”.

Source: https://new.fips.ru/

Non è necessario che il contenuto dell’ultimo testamento di Navalny sia stato divulgato a sua moglie, ai suoi figli, ai suoi soci o agli avvocati della sua organizzazione. La segretezza del suo contenuto è assoluta nella legge russa, secondo l’articolo 1123.

All’articolo 1129 la legge prevede inoltre che “in una situazione che mette in evidente pericolo la sua vita e che, in virtù di circostanze eccezionali prevalenti, è privato della possibilità di fare testamento secondo le norme degli articoli 1124 – 1128 della presente Code può esprimere le sue ultime volontà in merito alla disposizione dei suoi beni in semplice forma scritta. Le ultime volontà del cittadino espresse in forma scritta semplice valgono come testamento se il testatore ha redatto di proprio pugno, in presenza di due testimoni, un documento dal cui contenuto risulti che si tratta di un testamento.”

I poteri dell’esecutore testamentario su beni, denaro e altre eredità sono considerevoli secondo questa legge; se ci fosse stato un precedente contratto di eredità tra Navalny e Yulia, i poteri di sua moglie Lyudmila, essendo attestati più recentemente, lo annullerebbero.

La scorsa settimana ha cominciato a circolare una cassetta audio, presumibilmente quella di Lyudmila Navalnaya, che esprimeva diverse critiche nei confronti di Yulia Navalnaya. Il nastro sembra essere stato una fabbricazione di frammenti della voce di Lyudmila provenienti da videocassette autentiche che aveva realizzato giorni prima. Se ci sia stato o meno un grave litigio tra Navalny e sua moglie è stato già ipotizzato nei social media russi; non è noto se questo si sia ora trasformato in acrimonia e controversia legale sull’eredità, inclusa la custodia del corpo di Navalny e il luogo e le modalità del suo funerale.

Quel che è certo è che il portavoce Yarmysh ha riconosciuto che fino a sabato sera scorso non c’era alcun accordo tra famiglia, eredi e organizzazione, quindi “i funerali sono ancora in sospeso”.

Source: https://twitter.com/Kira_Yarmysh/

In questa dichiarazione di Yarmysh, e anche nelle dichiarazioni della madre, viene omessa qualsiasi ripetizione di precedenti affermazioni da parte dell’organizzazione e della moglie secondo cui Navalny era stato assassinato, con veleno, percosse, tortura o altri metodi ordinati dal Cremlino. Le prove di queste affermazioni sono svanite. L’ultima affermazione della moglie , secondo cui il presidente Vladimir Putin “teneva il corpo in ostaggio, deridendo sua madre”, era una bugia.

Ciò che stava accadendo, infatti, rispettava esattamente i termini e le scadenze della legge sulla sepoltura e della pratica post mortem standard per i casi di morte per cause naturali e morte sospetta, come questi termini sono usati nel diritto coroniale anglo-americano. Ancora una volta, fai clic su FZ 8 .

Il capitolo II, articolo 7, stabilisce un limite di tempo per il rilascio della salma dall’obitorio. “Si garantisce: 1) il rilascio dei documenti necessari alla sepoltura del defunto, entro 24 ore dal momento dell’accertamento della causa della morte; nei casi in cui è stata accertata la causa della morte, c’erano motivi per collocare il corpo del defunto all’obitorio, rilasciare il corpo del defunto su richiesta del coniuge, dei parenti stretti, di altri parenti, del rappresentante legale del defunto o altra persona che si è assunta l’onere di provvedere alla sepoltura del defunto, non può ritardare oltre due giorni dal momento in cui è accertata la causa della morte. Quando Yulia Navalnaya ha diffuso la sua bugia, era trascorso solo un giorno da quando Lyudmila aveva confermato che le era stato mostrato il certificato di morte ufficiale. Il giorno successivo, entro il termine legale di due giorni, il corpo è stato ufficialmente rilasciato. Tuttavia, Lyudmila Navalnaya non ha reso pubblico il certificato di morte che accompagnava il corpo, né il rapporto post mortem contenente maggiori dettagli.

Quali dettagli devono essere inclusi nel rapporto sono stati confermati da un documento pubblicato dall’attuale “Rapporto sulla disposizione dei resti” dell’ambasciata americana per la Russia.

Source: https://ru.usembassy.gov/

“Secondo la legge russa, se si sospettano circostanze criminali è necessaria un’autopsia. Le autopsie vengono eseguite solo da patologi statali…Normalmente è necessario eseguire un’autopsia per elencare una causa specifica di morte sulla cartella clinica di morte. Su richiesta dei parenti prossimi si può rinunciare all’autopsia se la polizia non sospetta una causa criminale della morte. Le autorità russe richiedono una lettera dell’ambasciata che contenga il permesso o l’opposizione dei parenti all’autopsia. L’opposizione all’autopsia fa sì che le autorità russe coinvolte debbano impiegare fino a tre giorni aggiuntivi per completare le pratiche burocratiche necessarie. I parenti prossimi di solito devono attendere due mesi per ricevere i risultati completi dell’autopsia ”.

In altre parole, la gestione della morte di Navalny e del suo cadavere non solo ha seguito la legge federale, ma è stata condotta secondo il libro: il libro dell’ambasciata americana .

Tutto ciò che Yulia Navalnaya sostiene prima e dopo il suo incontro con Biden è una bugia. Così è stata la breve dichiarazione di Biden alla stampa in cui ha ripetuto che Putin era “responsabile” della morte di Navalny. Questa affermazione non è stata ripetuta nella “lettura” ufficiale della Casa Bianca della riunione dell’hotel di San Francisco .

Top source: https://www.youtube.com/
Below: source: https://www.youtube.com/
Speaking for the Ukrainian government and secret services, Kirill Budanov, head of  military intelligence service (GUR) in Kiev, announced on February 25: “I may disappoint you, but what we know is that he really died from a blood clot. And this is more or less confirmed. It's not taken from the internet, but unfortunately it's a natural [death]."  A Budanov statement of the truth is exceptional; it was intended as a political strike against the White House.

Dopo aver diffuso le affermazioni di Navalnaya secondo cui Navalny sarebbe stato assassinato su ordine di Putin, la BBC ha cancellato il suo servizio .

In its February 22-24 publications, the BBC reported that “Yulia Navalnaya has claimed [URL link] that he was killed on the orders of Mr Putin”. However, the link no longer works -- the state propaganda platform has deleted all prior publications, including the Wayback Machine archive.

Da quando gli abitanti di Navalny, inclusa la madre, hanno accusato funzionari statali di “torturare” Navalny (che significa autopsia) e di minacciare di lasciare che il suo corpo “marcisca” (che significa non imbalsamare il cadavere), il rapporto dell’ambasciata americana e i consigli ai cittadini statunitensi in Russia spiega diversamente: “Imbalsamazione: non ci sono requisiti per l’imbalsamazione se i resti saranno sepolti localmente. Esistono strutture per l’imbalsamazione nelle grandi città della circoscrizione consolare. La preparazione e la spedizione aerea dei resti vengono effettuate in conformità con le leggi e le strutture disponibili in Russia e, nella maggior parte dei casi, i servizi sono inferiori a quelli previsti negli Stati Uniti”.

In altre parole, l’imbalsamazione non può essere eseguita prima che siano state completate l’autopsia, la tossicologia e altre indagini post mortem. Successivamente, e dopo l’emissione del certificato di morte e il rilascio del corpo, la decisione sull’imbalsamazione spetta alla madre di Navalny come sua esecutrice testamentaria. Ciò a sua volta dipende dall’organizzazione del funerale e dall’ubicazione del cimitero che dovrà decidere anche lei.

Secondo lei, in una registrazione su videocassetta da lei effettuata e autenticata dalla BBC il 21 febbraio, ha letto il copione di un appello a Putin. Il rapporto della BBC afferma : “Alla famiglia è stato detto che il suo corpo non sarà rilasciato prima di due settimane. Sua madre è stata informata che era trattenuto per “analisi chimiche”, ha detto un rappresentante di Navalny. Non c’è stata alcuna conferma del luogo in cui si trovava il corpo da parte delle autorità russe, mentre i tentativi di localizzarlo sono stati ripetutamente bloccati. Yulia Navalnaya ha affermato che il corpo di suo marito è stato conservato fino a quando non sono scomparse le tracce di avvelenamento da parte dell’agente nervino Novichok.

Source: https://www.bbc.com/
By British coronial court standards, the time required for post-mortem pathology and toxicology, especially when unusual poisons are suspected, can take several months; in the case of Dawn Sturgess, allegedly killed by Novichok in mid-2018, two state post-mortems were carried out, and the final cause of death report delayed for four months. Release of the body to the family for funeral arrangements took 22 days.

Secondo lo standard di avvelenamento omicida che Navalny vivo e i suoi eredi dopo la sua morte hanno stabilito affinché i media occidentali lo ripetessero, l’indagine post mortem russa sulla causa della morte e il rilascio del corpo per il funerale hanno richiesto solo sette anni. giorni; si tratta di un terzo del tempo impiegato dagli organi statali britannici nel caso Sturgess. Nel suo caso il certificato di morte rimane un segreto di stato; i dettagli furono inavvertitamente trapelati durante un’udienza di inchiesta dopo un ritardo di tre anni .

Lyudmila Navalnaya ha ora ammesso di aver “visto” il certificato di morte del 21 febbraio   . Ci sono anche rapporti secondo cui il giorno successivo, 22 febbraio, dopo aver trascorso “quasi una giornata da sola con investigatori e criminologi [statali]”, ha firmato per ricevere il certificato di morte ; insieme a questo c’erano altri documenti necessari per contattare l’impresa di pompe funebri, la chiesa, il cimitero e prendere accordi per il volo se il corpo doveva essere trasportato in aereo da Salekhard in un altro luogo in Russia per la sepoltura. Non è ancora chiaro se le sia stata consegnata anche una copia delle carte dell’autopsia, compresi i risultati dell’autopsia; tossicologia del sangue e delle urine; e la scansione o altre immagini che mostrano un accumulo di sangue (emorragia) e danni ai vasi sanguigni nel cuore, nel cervello e nei polmoni.

Per ragioni tutte sue, Lyudmila Navalnaya non rivela le prove della causa di morte che conosce, e non contesta più  – non solo la certificazione ufficiale della causa della morte, ma anche l’ecografia e altre immagini di organi che non lasciano dubbi – tranne per Yulia Navalnaya e il presidente Biden.

Fatal embolism haemorrhage in heart, lung, brain:  left to right: https://www.shutterstock.com and https://www.mayoclinic.org/ and https://my.clevelandclinic.org/

Per quanto riguarda le segnalazioni di contusioni, torture, convulsioni e altre accuse di cause di lesioni mortali, pubblicate dai media dell’opposizione russa all’estero , queste si sono rivelate prove di metodi di rianimazione standard, che sono stati tentati dai medici dell’ambulanza per oltre trenta minuti, ma che ha fallito. Per lo standard britannico di prova sui lividi nell’analisi post mortem, leggi questo .

Salekhard district hospital – Salekhard is a city of almost half a million people.

Salekhard morgue.

IK-3 “Polar Wolf” prison at Kharp, 55 kilometres northwest of Salekhard city.

Salekhard, on the Ob River, is about 2,000 kms northeast of Moscow.

In altre parole, in un centro medico provinciale al Circolo Polare Artico, Lyudmila Navalnaya ha accettato le prove della causa della morte di Navalny che Biden, Yulia Navalnaya e gli organi di propaganda anglo-americani rifiutano di accettare, ripetendo accuse che sanno essere false.

Nei media russi circolano accuse secondo cui le motivazioni di Yulia Navalnaya potrebbero non essere condivise dalle altre donne dell’organizzazione Navalny. Il denaro è il primo di questi.

Una cassetta audio, fabbricata per 90 secondi da segmenti della voce di Lyudmila in registrazioni autentiche, ha affermato che la madre ha accusato la nuora di non aver visitato Navalny in prigione per due anni; di non aver avuto rapporti coniugali e coniugali con lui per tre anni; di aver disposto che i beni di Navalny fossero trasferiti a suo nome; e di aver causato un conflitto di eredità tra il figlio adolescente di Navalny, Zakhar, e la figlia maggiore Daria.

Le indagini dei media russi hanno stabilito che il nastro è un falso; che è stato lanciato su diversi canali Telegram il 22 febbraio, per poi diventare virale sui social media locali.

This is the main investigation of the tape substantiating it was faked, published on February 23 -- 24 hours after the tape began to circulate.    

Tuttavia, la sostanza delle particolari accuse può essere verificabilmente vera. “È possibile che questa corrispondenza, anche se falsa, diventi vera e pubblica”, ha riferito un editorialista a Tsargrad .      “Il presunto appello di Lyudmila Navalnaya alla nuora è diventato virale sul web. Dopo un paio d’ore, divenne chiaro che non era autentico. Tuttavia, molte persone ci credevano. Il motivo è semplice: elenca fatti che la stessa vedova di Navalny non ha nulla da confutare”. Il titolo della storia di Tsargrad  è: “L’appello della madre di Navalny a Yulia Navalnaya è falso. Non è diventato vero per una sola ragione”. Per illustrare il testo, Tsargrad  ha pubblicato le foto della famiglia e di Yulia Navalnaya con l’esule londinese e miliardario di Evroset, Yevgeny Chichvarkin. Il ruolo di Chichvarkin come finanziatore delle operazioni di Navalny è ben noto; così è stata la sua visita a Navalny in Germania, quando Chichvarkin era accompagnato dal suo compagno.

Left to right: Yevgeny Chichvarkin with partner; Yulia and Alexei Navalny. Source: https://www.instagram.com/
For more on the visit to Germany, read this.  For Chichvarkin’s role as a London financier for Navalny, together with Mikhail Khodorkovsky and Vladimir Ashurkov, click.   

Finora, il ruolo nelle pubbliche relazioni svolto dalle quattro donne nell’organizzazione Navalny ha oscurato i due maschi della famiglia: il padre, Anatoly Navalny, 77 anni, ufficiale della marina sovietica in pensione e piccolo uomo d’affari; e figlio, Zakhar, 16 anni. Nessuna dichiarazione è stata registrata da nessuno dei due dopo la morte di Navalny.

Left, father, Anatoly Navalny; right, son, Zakhar Navalny.

Ora che Lyudmila Navalnaya sembra aver accettato che la prima o prossima causa di morte sia stata un’embolia che ha colpito il cuore, ciò lascia sconosciuta alla famiglia Navalny quale fosse la seconda causa di morte, intervenuta o contribuente; ciò include fattori biochimici, inclusi farmaci da prescrizione in combinazione letale o le vaccinazioni anti-Covid mRNA Pfizer che Navalny ha ricevuto in Germania, prima del suo ritorno in Russia.

Se adesso c’è una disputa sull’eredità tra i membri della famiglia e quelli dell’organizzazione, è improbabile che questi segreti trapelino alla stampa russa a meno che la disputa sull’eredità non arrivi in ​​tribunale.

Una fonte politica di Mosca ben collegata ipotizza che, a causa della sua dipendenza da litio e benzodiazepine, “a Navalny è stato detto a Berlino che [se avesse continuato] avrebbe dovuto aspettarsi una ripetizione del suo episodio e che la prossima volta potrebbe essere terminale. Poi è arrivato il fattore vaccinale contro il Covid. La mia convinzione è che sia venuto in Russia sapendo che avrebbe potuto morire e che la successione fosse pianificata. Ciò non significa che Alexei e Yulia sapessero quando sarebbe morto o avrebbe avuto un episodio. Ovviamente se ci fosse stato un altro episodio e lui fosse sopravvissuto, ci sarebbero stati più sforzi politici e pressioni internazionali per liberarlo dalla prigione. Ma questa volta non ha funzionato”.

Fonte: https://johnhelmer.net/the-case-of-the-navalny-corpse-cherchez-les-femmes/

 

 

DIRITTI UMANI IMMIGRAZIONI 

Piantedosi, migranti e rischio terrorismo, la minaccia dal mare alla rotta balcanica: attenzione elevatissima

7 Nov 2023 16:59 – di Martino Della Costa

Migranti Piantedosi

Migranti, gestione e rischi tra monitoraggio e prevenzione: il ministro Piantedosi conferma l’allarme in corso, documentandone con analisi dei riscontri e dei numeri, la fondatezza. Nell’informativa alla Camera del 17 ottobre scorso il capo del Viminale lo aveva detto forte e chiaro: l’Italia è sottoposta a una pressione migratoria «fortissima» che rischia di portare a «radicalizzazioni islamiste». Oggi, in audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, il ministro dell’Interno lo ha ribadito ulteriormente, e con lo stesso vigore. Soffermandosi su quello che ha definito un «elevato rischio di infiltrazione terroristica tra i migranti in arrivo dalla rotta balcanica».

Migranti, Piantedosi: «Elevato rischio di infiltrazione terroristica tra migranti da rotta balcanica»

Così, nel corso del suo intervento, Piantedosi ha sottolineato a chiare lettere: «Nella riunione dello scorso 26 ottobre il Comitato analisi strategica antiterrorismo ha confermato la necessità di mantenere il rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo in atto sul territorio nazionale. Più specificamente, le analisi condotte hanno chiarito che resta elevato il rischio di infiltrazione terroristica dei flussi migratori illegali via mare e via terra. Specialmente attraverso la frontiera con la Slovenia, rotta lungo la quale transita la maggior parte dei migranti provenienti dalla rotta balcanica».

I dati che giustificano l’allarme: «Alla frontiera con la Slovenia bloccati 438 irregolari, 15 arresti e 65 denunce»

Un allarme, quello che il ministro denuncia, argomentato con dati e fatti. Tanto che, sempre in audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, Piantedosi snocciola i numeri sullo stato dell’arte e certifica: «In riferimento all’attività di vigilanza alla frontiera con la Slovenia, faccio presente che, alla data del 5 novembre scorso, sono state controllate 28.573 persone in ingresso sul territorio nazionale e oltre 15.000 veicoli. L’attività sinora posta in essere ha consentito di rintracciare 438 cittadini stranieri in posizione irregolare e di dar luogo a 240 respingimenti e 15 arresti, di cui 12 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E 65 denunce all’autorità giudiziaria».

Migranti, Piantedosi sulla cooperazione transfrontaliera tra monitoraggio e prevenzione

Tutto a fronte del fatto che, come ha aggiunto a stretto giro il ministro, «il dispositivo delle forze di polizia di frontiera vede impiegate nei servizi giornalieri 341 unità». Un attività di monitoraggio e prevenzione, quella messa in campo dal governo e eseguita dal Viminale, su cui il ministro ha sottolineato come, «nell’ottica di approfondire le attuali sfide relative alla rotta balcanica. E rafforzare le forme di cooperazione transfrontaliera, lo scorso 2 novembre ho incontrato a Trieste i miei omologhi sloveno e croato. In tale occasione – ha quindi proseguito Piantedosi – abbiamo in particolare concordato l’istituzione di Brigate miste delle Forze di polizia, sulla base della proficua esperienza fin qui maturata, con i servizi di pattugliamento congiunto».

Le “Brigate miste” in campo per una cooperazione operativa con Slovenia e Croazia

Concludendo sul punto come «la stabilizzazione di quest’ultimo meccanismo d’azione, attraverso le Brigate miste, consentirà di potenziare ulteriormente l’efficacia dell’attività di collaborazione trasnfrontaliera tra i nostri Paesi. Abbiamo, peraltro, condiviso con i colleghi di Slovenia e Croazia di avere nuovi incontri, nello stesso formato inaugurato a Trieste, per monitorare la situazione e proseguire sulla strada della cooperazione operativa».

Migranti, Piantedosi: attenzione elevatissima e sospensione Schengen con la Slovenia prorogata al 19 novembre

E allora, «sebbene al momento non risultino evidenze concrete e immediate di rischio terroristico per l’Italia, le tensioni internazionali e la fluidità della situazione esigono un elevatissimo livello di attenzione. In quanto la minaccia terroristica presenta spesso caratteri di fluidità e indeterminatezza», ha spiegato Piantedosi che, sulla sospensione di Schengen con la Slovenia ha anche reso noto che «la misura adottata dal governo a partire dal 21 ottobre e fino al 30 ottobre 2023 è stata prorogata di ulteriori 20 giorni fino al 19 novembre».

Migranti e rischio terrorismo, i dati: espulse 58 persone pericolose

Non solo. «A scopo preventivo, ho impartito specifiche direttive per l’intensificazione di ogni raccordo informativo tra le forze di polizia e le agenzie di intelligence, al fine di monitorare l’evoluzione del conflitto e i suoi possibili riflessi sui flussi migratori, sugli ingressi e sulle presenze nel territorio nazionale. In questo quadro grande importanza continua a rivestire il ricorso a provvedimenti di espulsione per l’allontanamento dal territorio nazionale di quegli stranieri connotati da profili di pericolosità per la sicurezza nazionale. L’attività di prevenzione ha condotto nell’anno in corso ad eseguire 58 espulsioni di stranieri pericolosi per la sicurezza nazionale». Un contesto in cui, ha quindi proseguito il ministro, «particolare attenzione viene rivolta al fenomeno dei foreign fighters e alle problematiche connesse al loro rientro, in relazione all’ipotesi che il nostro Paese possa costituire uno snodo logistico per la diaspora dei combattenti in fuga dal conflitto siro-iracheno», ha aggiunto.

Da inizio anno arrestati 16 estremisti

E ancora. «Al 31 ottobre 2023, l’attività di prevenzione, sviluppata mettendo a sistema le evidenze acquisite autonomamente. Nonché quelle veicolate attraverso i canali di cooperazione internazionale di polizia o di intelligence, ha consentito di arrestare 12 persone contigue agli ambienti dell’estremismo di matrice religiosa e sei soggetti riconducibili a formazioni terroristiche di matrice politico-nazionalista», ha annunciato il titolare del Viminale che poi, soffermandosi sul dato dei rimpatri, ha reso noto che quelli «avvenuti alla data del 31 ottobre 2023 indicano un totale di 3.960, rispetto ai 3.410 dell’analogo periodo di riferimento del 2022».

E 3.960 rimpatri con il 70% degli stranieri espulsi transitato per un Cpr

«In valori assoluti – ha quindi commentato il ministro – non sono dati particolarmente elevati, ma indicano una inversione di tendenza. E, soprattutto, indicano una correlazione statistica non confutabile: il 70 per cento degli stranieri rimpatriati è transitato per un Cpr. A cui si ricollega la constatazione che circa il 50 per cento degli stranieri lì trattenuti viene rimpatriato».

Fonte: https://www.secoloditalia.it/2023/11/piantedosi-migranti-e-rischio-terrorismo-la-minaccia-dal-mare-alla-rotta-balcanica-attenzione-elevatissima/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Non obbligatorio esibire documenti d’identità alle forze dell’ordine

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Quasi certamente, almeno una volta nella vita, ognuno di noi si è chiesto se sia veramente necessario e obbligatorio portare con sé un documento di riconoscimento in tasca o nella borsa.

Ebbene, è giusto sapere che il rifiuto di esibire la carta d’identità a vigili, polizia e carabinieri non costituisce reato; è solo vietato non fornire indicazioni sula propria identità.

Naturalmente le forze dell’ordine hanno il potere di chiedere i tuoi dati anche senza una ragione apparente, ma per motivi di pubblica sicurezza.

La domanda successiva che ci arrovella è: se sono sprovvisto di un documento valido che attesti le mie affermazioni, potrei essere portato in Questura? Sono domande che si pone il normale cittadino che non ha nulla a temere dalla giustizia ma che, nello stesso tempo, non vuole riempire il portafogli ricolmo di diverse tessere e documenti. In realtà la Cassazione, in una piuttosto recente sentenza (n. 42808/17 del 19.09.2017) stabilisce che ci si può rifiutare di esibire la Carta d’Identità a un carabiniere o un poliziotto, senza per questo commettere reato. Infatti, il Codice Penale con l’art. 651 punisce solo chi si rifiuta di fornire indicazioni sulla propria identità  ma non la mancata esibizione di un documento (la pena è l’arresto fino a un mese o un’ammenda fino a 206 euro). Anzi, è consigliato tenere a casa e ben custoditi i documenti di riconoscimento come Carta d’Identità e Passaporto, che potrebbero venirci rubati o essere smarriti, dovendo affrontare poi costi e pratiche burocratiche lunghe per averne i duplicati.

Inoltre, la Corte di Cassazione, fa un’importante precisazione: chi si rifiuta di esibire un documento d’identità alle forze dell’ordine, può al massimo violare la norma prevista sul testo unico di pubblica sicurezza ma solo se si tratta di persona pericolosa o sospetta.

Ne consegue che se, non ci sono motivi di ritenere che la persona fermata abbia commesso o stia per commettere un illecito, le si possono chiedere solo le generalità e indirizzo , residenza e stato familiare. E niente altro. Quindi, niente carta d’identità, codice fiscale, tessera sanitaria, passaporto. Si fa eccezione per la patente e i documenti attestanti la proprietà, nel caso che si stia guidando un’auto.

Fonte: https://www.felicitapubblica.it/2021/07/29/non-obbligo-esibire-documenti-forze-dellordine/

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

I PERFIDI TEUTONI E I LORO COMPLICI POLACCHI – COME VIENE ESPROPRATA LA RAFFINERIA ROSNEFT IN GERMANIA

di John Helmer, Mosca
@ bears_with

Così non finisce la guerra in Ucraina, né per i tedeschi né per i polacchi.

Finché possono, pianificano di rubare o distruggere le risorse russe a ovest di quella che era l’Ucraina di Kiev; e mobilitare le basi militari statunitensi in entrambi i paesi per rafforzare e difendere i loro furti.

Il partito politico tedesco che promette di continuare questa guerra per l’occupazione dei lavoratori tedeschi e l’arricchimento dei dirigenti e degli azionisti tedeschi vincerà le prossime elezioni, sostituendo il Partito socialdemocratico e i Verdi come partito della guerra.

La strategia post-Ucraina dello Stavka  inizia qui: Ha Берлин!  Berlino!

Venerdì scorso l’edizione in lingua russa dell’agenzia statale tedesca Deutsche Welle  (DW) ha pubblicato un rapporto sui piani del governo tedesco e polacco per l’esproprio della PCK, della raffineria di petrolio greggio Rosneft a Schwedt, nel nord della Germania, e della rete di gestione Rosneft asset in Germania, Polonia e Austria.

Le attività tedesche di Rosneft, la società statale russa di produzione petrolifera soggetta a sanzioni a livello mondiale, erano state sottoposte a quella che il governo tedesco ha definito “gestione fiduciaria” da un regolatore statale “indipendente” nel settembre 2022. Ciò era stato annunciato all’epoca come un accordo temporaneo rispettare le sanzioni, rinnovabili ogni sei mesi, ma lasciando indisturbata la proprietà russa dei beni. Questo programma è stato rinnovato a intervalli di sei mesi, come riportato da Rosneft .

Non c’era nulla di indipendente nella BNA o in ciò che faceva ogni sei mesi. BNA sta per Agenzia federale delle reti: Bundesnetzagentur für Elektrizität, Gas, Telekommunikation, Post und Eisenbahnen . Essa afferma  di essere “un’autorità federale superiore indipendente con sede principale a Bonn che opera nell’ambito delle attività del Ministero federale per l’economia e l’azione per il clima (BMWK) e del Ministero federale per il digitale e i trasporti (BMDV). Da oltre 20 anni siamo responsabili delle infrastrutture essenziali di elettricità, gas, telecomunicazioni e postali della Germania”.

“Nell’ambito di” è una foglia di fico tedesca che significa “sotto controllo”.

“Il nostro compito”, afferma BNA, è “garantire una concorrenza leale e non discriminatoria per tutti i partecipanti al mercato. Il nostro successo e la nostra esperienza nella regolamentazione hanno portato anche i settori energetico e ferroviario ad essere posti sotto la nostra responsabilità”.

Non era questo ciò che intendeva il governo del cancelliere Olaf Scholz quando ha avviato l’acquisizione di Rosneft e ha assegnato alla BNA il ruolo di guardia del campo. La BNA ha descritto cosa sta facendo per “salvaguardare la sicurezza dell’approvvigionamento in Germania… sulla base della legge sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico (sezione 17 EnSiG) fino al 15 marzo 2023. Questa base consente al fiduciario di agire per mantenere l’attività operativa in conformità con la sua importanza per il funzionamento della società nel settore energetico. La gestione fiduciaria può essere estesa a determinate condizioni… La decisione di introdurre la gestione fiduciaria è stata motivata da… dalle sanzioni imposte alla Russia… La gestione fiduciaria significa che il proprietario originario non ha più l’autorità di impartire istruzioni.”

MAPPA DEI PRINCIPALI ASSET DI ROSNEFT IN GERMANIA

Source: https://www.rosneft.de/

Secondo la prima ” lettera di conforto ” della BNA al momento dell’acquisizione, “RDG ha partecipazioni nella PCK Raffinerie GmbH (PCK) a Schwedt/Oder, nella Bayernoil Raffineriegesellschaft mbH (Bayernoil), nella Mineralölraffinerie Oberrhein GmbH & Co. KG (MiRO) e in vari settori petroliferi gasdotti in Germania (Deutsche Transalpine Oelleitung GmbH), Austria (Transalpine Ölleitung in Österreich GmbH), Italia (Soc IT per I’Oléodotto Transalpino SpA) e Francia (Société du pipeline Sud-Européen SA). RDG lavora il petrolio greggio nelle raffinerie PCK a Schwedt, MiRO a Karlsruhe e Bayernoil a Ingolstadt ed è anche responsabile della distribuzione dei prodotti petroliferi prodotti nelle raffinerie in base alla sua partecipazione in ciascuna raffineria e del petrolio greggio ivi lavorato. RNRM [Rosneft Refining & Marketing GmbH] sostiene RDG [Rosneft Deutschland GmbH] come società di servizi e detiene azioni di AET Raffineriebeteiligungsgesellschaft mbH, che a sua volta detiene azioni di PCK. RDG e la sua associata RNRM detengono insieme una quota di maggioranza in PCK”.

“Le attività commerciali di RDG e RNRM sono di importanza decisiva per il funzionamento della società nel settore energetico e per il mantenimento della sicurezza dell’approvvigionamento. Grazie alla portata delle sue transazioni petrolifere e alle sue diverse partecipazioni in raffinerie e oleodotti, RDG è una società centrale nell’approvvigionamento petrolifero della Germania. La raffineria PCK, gestita congiuntamente da RDG e RNRM, è una delle più grandi raffinerie della Repubblica federale di Germania e garantisce un approvvigionamento di base di prodotti petroliferi al nord-est della Germania e all’aeroporto di Berlino. RDG e RNRM svolgono quindi funzioni chiave essenziali per la sicurezza dell’approvvigionamento in Germania e in Europa”.

Nel nuovo rapporto della Deutsche Welle emerge ora chiaramente che con l’inizio del collasso militare delle forze ucraine e della NATO a est del fiume Dnepr e con l’elezione della coalizione di Donald Tusk al governo della Polonia, è stato avviato un piano di esproprio preparato a continuare la guerra delle sanzioni contro la Russia nel prossimo futuro.

“Sempre più probabile”, la frase con cui conduce questo rapporto di Andrei Gurkov, è orientata al futuro e non è ancora una certezza. Qui si riporta il dibattito dentro e fuori la Cancelleria di Berlino , che si conclude con il portavoce del governo Scholz che afferma che si sta “esaminando la possibilità [di espropriazione]. Non è stata ancora presa una decisione”.

Rosneft ha risposto attraverso il suo studio legale tedesco, Malmendier Legal, che ha legami con il partito dell’Unione Cristiano-Democratica tedesca (CDU) e con Mosca. “Una tale espropriazione rappresenterebbe una misura che rimarrebbe senza precedenti nella storia della Repubblica Federale Tedesca e danneggerebbe per sempre la sicurezza degli investimenti… In quanto società per azioni quotata in borsa, Rosneft adotterà tutte le misure per proteggere i diritti dei suoi azionisti .”

Il portavoce del Cremlino ha annunciato : “Questa non è altro che l’espropriazione della proprietà di qualcun altro. Questi sono passi che minano le basi economiche e giuridiche degli Stati europei, sono passi che svalutano assolutamente l’attrattiva degli investimenti di questi paesi e hanno conseguenze molto profonde per coloro che prendono tali decisioni. Non escludiamo nulla per tutelare i nostri interessi e contrastare le azioni illegali di cui stiamo parlando”. Rosneft ha già intentato causa presso la Corte costituzionale tedesca contro il sistema di gestione fiduciaria della BNA.

Il valore dei beni di Rosneft proposti per il sequestro è di circa 7 miliardi di dollari. Il quotidiano tedesco Handelsblatt  ha riferito il 9 febbraio  che l’amministratore delegato di Rosneft Igor Sechin aveva inviato una lettera formale in cui proponeva al governo tedesco di acquistare Rosneft al prezzo di mercato. Il ministero Habeck ha negato di aver ricevuto tale lettera.

Tradotto alla lettera dall’originale russo, il seguente rapporto spiega i calcoli strategici politici e commerciali di Berlino e Varsavia. La mappa e le illustrazioni sono apparse nella pubblicazione DW. Sono state aggiunte la foto e la didascalia del vicecancelliere Robert Habeck a Varsavia il 13 febbraio, e l’illustrazione e la didascalia che denunciano l’epurazione della leadership di Orlen, la compagnia petrolifera polacca.

Source: https://www.dw.com/

16 febbraio 2024
La Germania nazionalizza Rosneft Deutschland, la Polonia aiuterà
di Andrei Gurkov

L’esproprio degli asset tedeschi di Rosneft diventa sempre più probabile. Varsavia è pronta a fornire petrolio alla raffineria di Schwedt e a sostituire le forniture dal Kazakistan. Ma per quanto riguarda il risarcimento?

The PCK Raffinerie Schwedt refinery in Schwedt, Germany.

La nazionalizzazione degli asset tedeschi di Rosneft diventa sempre più probabile e nuovi segnali dalla Polonia rafforzano questa impressione. Il governo tedesco non ha più tempo: il 10 marzo, quando scade la prossima decisione sul trasferimento di Rosneft Deutschland sotto la cosiddetta gestione fiduciaria dello Stato. Berlino, a quanto pare, non vuole più prolungare di sei mesi questo regime introdotto nel settembre 2022, perché cerca una soluzione stabile, e non temporanea, al destino della raffineria di petrolio di Schwedt – PCK Raffinerie Schwedt.

Germania e Polonia discutono del destino della raffineria di Schwedt

Questo è esattamente il caso, sebbene Rosneft abbia altre attività in Germania. Ma in questa raffineria l’azienda statale russa possiede in realtà il 54% e mantenere il controllo di Mosca su un’impresa strategicamente importante sembra alle autorità tedesche un rischio eccessivo, soprattutto in un contesto di crescente minaccia da parte della Russia. Dopotutto la PCK Raffinerie Schwedt fornisce prodotti petroliferi a gran parte della Germania dell’Est e soprattutto alla capitale Berlino, con i suoi circa quattro milioni di abitanti.

Left: Berlin, February 12, 2024:  the new Polish Prime Minister Donald Tusk (left) visits German Chancellor Olaf Scholz. Right, Vice Chancellor Robert Habeck in Warsaw on February 13. For a report of his talks there, read this.  

L’intenzione del governo tedesco di porre fine allo stato legalmente sospeso dell’impianto si è chiaramente rafforzata dopo le recenti elezioni in Polonia. Hanno portato al potere una coalizione filoeuropea, di cui i politici tedeschi si fidano molto più del precedente governo polacco. Le relazioni tra i due paesi si stanno attualmente riscaldando rapidamente, come evidenziato dai colloqui tra il nuovo primo ministro polacco Donald Tusk e il cancelliere tedesco Olaf Scholz a Berlino il 12 febbraio.

Pertanto, la visita del vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck a Varsavia il giorno successivo, 13 febbraio, ha svolto un ruolo importante, e forse decisivo, nel determinare i prossimi passi concreti nei confronti di Rosneft Deutschland.

“La Polonia ha aiutato molto in passato a fornire petrolio all’est della Germania”, ha ricordato il ministro tedesco dopo i colloqui e ha chiarito che in caso di esproprio di Rosneft, l’offerta dello stabilimento di Schwedt migliorerebbe, poiché la parte polacca è pronta ad aumentare significativamente il pompaggio di petrolio attraverso il suo territorio verso la Germania dal porto di Danzica. Secondo l’agenzia Reuters, citando una fonte informata, Varsavia aveva assicurato a Berlino già prima dell’arrivo di Habeck che sarebbe stata in grado, se necessario, di sostituire completamente i volumi di petrolio kazako che attualmente affluiscono a Schwedt.

Varsavia: il petrolio del Kazakistan può essere completamente sostituito

Qui sono necessarie alcune spiegazioni. Fino al 2023, questa raffineria, costruita sessant’anni fa nella RDT al confine con la Polonia, funzionava esclusivamente con petrolio proveniente dall’URSS e poi dalla Russia attraverso l’oleodotto Druzhba. In risposta all’aggressione russa su vasta scala contro l’Ucraina, l’Unione Europea ha imposto un embargo sul petrolio russo trasportato dalle petroliere, ma non sulle forniture attraverso il sistema di oleodotti Druzhba, dal momento che diversi membri dell’UE dell’Europa orientale ne dipendono ancora fortemente. Tuttavia, il governo tedesco ha deciso da parte sua di abbandonare completamente il petrolio russo.

Dall’anno scorso lo stabilimento di Schwedt viene rifornito con il petrolio acquistato sul mercato mondiale in tre modi. Dal porto baltico tedesco di Rostock, attraverso un oleodotto di vecchia data e non molto potente, originariamente costruito come riserva, attraverso il porto polacco di Danzica, da dove il petrolio viene pompato attraverso la Polonia utilizzando il tratto più occidentale della Druzhba, e dal Kazakistan in transito attraverso il territorio russo sulla stessa Druzhba.

La Germania sottolinea con forza il suo desiderio di aumentare gli acquisti di petrolio in Kazakistan, con il quale la cooperazione si sta intensificando. Si teme però che, in caso di nazionalizzazione degli asset tedeschi di Rosneft, Mosca bloccherà come misura di ritorsione l’oleodotto Druzhba e quindi [bloccherà] la fornitura di petrolio kazako.

Ma ora la parte polacca ha assicurato a Berlino, secondo una fonte Reuters, che in questo caso introdurrà il petrolio che attualmente viene pompato attraverso il suo territorio verso la Svezia a 2,5 milioni di tonnellate all’anno, compensando così completamente le forniture dal Kazakistan. Il loro volume, secondo l’agenzia, varia ora da 1,0 a 1,2 milioni di tonnellate. Finora da Danzica transitano circa 1,2 milioni di tonnellate di prodotti acquistati sul mercato mondiale. In teoria potrebbe trattarsi anche di petrolio del Kazakistan. Allo stesso tempo Varsavia ha chiarito alla parte tedesca che finché Rosneft rimarrà il principale comproprietario della PCK Raffinerie Schwedt, anche se in termini di gestione esterna, non ci sarà alcun aumento delle forniture attraverso Danzica.

Non si tratta di vendere Rosneft Deutschland

È interessante notare che gli articoli dei media tedeschi sulle trattative di Robert Habeck a Varsavia, e in generale sul futuro di Rosneft Deutschland, in effetti non prendono in considerazione la possibilità che Rosneft venda questa società e i suoi beni. Ciò nonostante la lettera con tale proposta, come ha scritto all’inizio di febbraio il quotidiano economico Handelsblatt  , del capo dell’azienda russa Igor Sechin al governo tedesco. Ma Berlino, concludeva la pubblicazione, “ha scommesso sull’esproprio”.

Ciò è probabilmente dovuto al fatto che l’attuazione di un accordo in Germania che permetterebbe a Rosneft e quindi alla Russia, che continua la guerra in Ucraina, di guadagnare una somma multimiliardaria, sarebbe illegale a causa delle sanzioni internazionali contro la Federazione Russa – oppure almeno sembrerebbe estremamente strano. È anche probabile che, nelle condizioni del regime delle sanzioni, semplicemente non ci siano persone disposte a trattare con un’azienda statale russa che rientra in questo regime, e quindi si espongono al rischio di sanzioni secondarie.

In ogni caso, la compagnia petrolifera polacca Orlen, considerata uno dei più probabili contendenti per la partecipazione di Rosneft nella PCK Raffinerie Schwedt, non accetterà sicuramente un accordo del genere con il gruppo russo, poiché acquisire il controllo di questa raffineria si adatterebbe bene la sua strategia di espansione internazionale. Già in questo contesto Orlen possiede una vasta rete di stazioni di servizio in Germania. Inoltre è proprio la Orlen che importa petrolio in Polonia attraverso il porto di Danzica. Allo stesso tempo, sembra molto probabile che il governo tedesco prima nazionalizzerà Rosneft Deutschland e poi, dopo un po’ di tempo, venderà la sua partecipazione nella raffineria di Schwedt a Orlen. Ciò nonostante il Bundestag l’anno scorso  abbia creato le basi giuridiche per una tale vendita anche senza nazionalizzazione.

“Daniel Obajtek, the CEO of state energy giant Orlen – the largest firm in Poland and the entire Central and Eastern Europe region – has been dismissed from his position. He was a close ally of the former ruling Law and Justice (PiS) party and the decision to remove him comes amid a wider overhaul of management at state-owned companies under Donald Tusk’s new government, which took office last month. Obajtek oversaw an ambitious expansion of Orlen, resulting in it last year ranking among Europe’s 50 largest firms. But he also faced accusations that he used the firm’s resources to support PiS, including during its election campaign last year…Ahead of last year’s parliamentary elections, Orlen was accused of artificially keeping fuel prices low to help PiS’s campaign. The firm denied it, but prices began to rise again just days after the elections, in which PiS lost its majority. According to the former Orlen CEO Jacek Krawiec, the price cuts before the election may have cost Orlen a total of 5.7 billion zloty (€1.31 billion)… The market appeared to react positively to the decision to dismiss Obajtek. At noon, the firm’s shares were up almost 3.5% on the day, trading at 64.8 zloty a share.” Read more at https://notesfrompoland.com/

Rosneft potrà chiedere un risarcimento

Secondo molti esperti, il governo tedesco ha creato le basi legali per la nazionalizzazione degli asset di Rosneft per garantire la sicurezza energetica del Paese nel 2022, apportando le opportune modifiche alla legislazione nazionale. Ma gli avvocati tedeschi di Rosneft Deutschland hanno già affermato che in caso di esproprio faranno del loro meglio per contestarne la legalità.

Tuttavia, avranno maggiori possibilità di successo nell’ottenere un risarcimento da parte di Rosneft per le proprietà nazionalizzate, ritengono gli avvocati intervistati dal quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung  . Le loro dichiarazioni sono riportate in un articolo intitolato “Rosneft sta diventando un rischio legale per la Germania”.

Quando Gazprom Germania è stata nazionalizzata nel 2022, Gazprom non ha ottenuto alcun risarcimento per la proprietà smarrita, poiché l’azienda russa ha prima tentato di cambiare segretamente proprietario, violando così la legge tedesca, e poi ha abbandonato essa stessa la sua filiale tedesca. Nel caso di Rosneft Deutschland, secondo le fonti del giornale, finora non si sono verificate violazioni così gravi.

Pertanto, a loro avviso, la parte russa potrà chiedere legalmente dinanzi ai tribunali arbitrali internazionali un risarcimento ed eventualmente anche un risarcimento dei danni, e qui gli importi potrebbero essere ancora maggiori. Un’altra domanda è se lo Stato tedesco dovrà pagare una somma multimiliardaria a una società russa sanzionata proprio adesso, nel mezzo della guerra in Ucraina. Dopotutto, i procedimenti giudiziari su tali questioni spesso durano anni. È possibile che il governo tedesco conteggi su questo.

Fonte: https://johnhelmer.net/perfidious-teutons-and-their-polish-accomplices-how-the-rosneft-refinery-in-germany-is-being-expropriated/

 

 

 

Il cancelliere Scholz dal Papa. Confronto su Ucraina, Gaza e migrazioni (Carlo Marino)

Visita in Vaticano del Cancelliere federale della Germania Olaf Scholz per un incontro con Papa Francesco. Il Cancelliere è giunto nel cortile di San Damaso alle 10:45 e l’incontro è iniziato alle 10:55.

Tra i temi trattati, i conflitti a Gaza e in Ucraina e l’impegno per la ricerca della pace e di una “soluzione diplomatica che porti quanto prima alla cessazione delle ostilità”. Scholz ha anche incontrato il Cardinale Segretario di Stato del Vaticano, Pietro Parolin. Nella nota diffusa dal Vaticano dopo l’incontro, “è stato espresso compiacimento per le buone relazioni e la fruttuosa collaborazione che intercorrono tra la Santa Sede e la Germania, rilevando l’importanza della fede cristiana nella società tedesca”.

Per il tradizionale scambio di doni, il Santo Padre ha fatto omaggio al Cancelliere di: un’opera in bronzo dal titolo “Amore sociale”, raffigurante un bimbo che aiuta un altro a rialzarsi, con la scritta “Amare Aiutare”. I volumi dei documenti papali,il Messaggio per la Pace di quest’anno e il libro sulla Statio Orbis del 27 marzo 2020, a cura della LEV. Doni del Cancelliere: Il pallone ufficiale di UEFA EURO 2024; una figura di un orso in porcellana con lo stemma della Repubblica Federale di Germania. Dopo l’incontro in Vaticano, Scholz ha partecipato al congresso dei Socialisti Europei (Pes) a Roma, in vista delle elezioni europee di giugno, dove è stato nominato spitzenkandidat Nicolas Schmit.

Successivamente, Scholz, come informa un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, si è “incontrato con il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, accompagnato da monsignor Mirosław Wachowski, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati”

Durante i colloqui in Segreteria di Stato, si legge ancora nella nota, “ci si è soffermati su alcune questioni di interesse comune, come il fenomeno delle migrazioni”, e si è fatto uno speciale riferimento “ai conflitti in Ucraina e in Israele e Palestina, e al conseguente impegno per la pace, nella ricerca instancabile di una soluzione diplomatica che porti quanto prima alla cessazione delle ostilità”.

Carlo Marino

Fonte: https://www.farodiroma.it/il-cancelliere-scholz-dal-papa-confronto-su-ucraina-gaza-e-migrazioni-carlo-marino/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Dal colonialismo sanitario ai barbari epistemici. La nuova Africa è l’Europa?  


1 Mar , 2024| | 2024 | Visioni

Perché scrivo questo libro? Perché condivido l’angoscia di Gramsci: “Il vecchio mondo è morto. Il nuovo è di là da venire ed è in questo chiaro-scuro che sorgono i mostri”. Il mostro fascista, nato dalle viscere della modernità occidentale. Da qui la mia domanda: che cosa offrire ai Bianchi in cambio del loro declino e delle guerre che questo annuncia? Una sola risposta: la pace. Un solo mezzo: l’amore rivoluzionario.

Houria Bouteldja

1. Colonialismo sanitario. L’Africa e il caso di Ebola

Tra il 2017 e il 2018 Helen Lauer, filosofa della scienza che lavora da trent’anni in Africa e docente all’Università di Dar es Salaam (Tanzania), ha pubblicato una serie di fondamentali ricerche che denunciano gli effetti dell’agenda sanitaria globalista sulla salute pubblica in Africa. In realtà nel cosiddetto Sud Globale si discute da anni di questi problemi, ma poco o nulla trapela all’interno dello sfinito mondo universitario europeo, per non parlare dei media mainstream. Dico subito che si tratta di studi che oggi, a due anni di distanza dalla pandemia COVID, probabilmente nessuna rivista accademica pubblicherebbe. E le ragioni appariranno chiare a breve. Le ricerche condotte da Lauer ci offrono un’efficace rappresentazione del cosiddetto colonialismo sanitario, fenomeno assai diffuso e che, come vedremo nella seconda parte, ha investito in pieno anche l’occidente. Fa da sfondo alla sua analisi il concetto di ingiustizia epistemica, cioè (molto in sintesi) quelle ingiustizie generate da un accesso diseguale ai mezzi di produzione, rappresentazione e diffusione della conoscenza. Cercherò qui di riassumere il contributo che si intitola The Importance of an African Social Epistemology to Improve Public Health and Increase Life Expectancy in Africa. Sebbene il lavoro sia stato pubblicato nel 2017, i temi che affronta sono attualissimi: modello emergenziale della salute pubblica, globalizzazione e privatizzazione della sanità (“un pianeta, una malattia, una cura”), effetti della ristrutturazione del debito sui servizi pubblici, ruolo ambiguo di ONG, fondazioni e donors vari, neocolonizzazione culturale (la scienza è solo quella fatta e gestita da occidentali), soluzionismo tecnologico (test PCR, vaccini, ecc.), manipolazione dei dati, negazione, svilimento e invisibilizzazione delle scelte sanitarie e delle soluzioni terapeutiche “locali”, ecc.

Obiettivo dichiarato dell’autrice è quello di interrogarsi sulla «legittimità della scienza sottesa alle strategie sanitarie globali» quando queste si applicano alle popolazioni africane. La filosofa afferma che lo stesso approccio estrattivista e neocoloniale può essere osservato in altri campi, come ad esempio nella promozione delle monocolture da parte delle multinazionali dell’agrobusiness sotto etichette come “rivoluzione verde africana” oppure nello sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche da parte delle industrie occidentali (e aggiungiamo noi, oggi anche cinesi e indiane). Tuttavia, nessuna critica, per quanto basata su fatti e informazioni solide e attendibili, è riuscita a scalfire la convinzione occidentale che l’Africa abbia bisogno di «più importazione di farmaci sperimentali a prezzi accessibili e più importazione di vaccini». Com’è noto la creazione di un mercato farmaceutico sostenibile nelle economie più fragili è sin dal 2015 una delle priorità in cima alla lista dei sustainable millennium development goals [obiettivi del millennio per lo sviluppo sostenibile n. d. r.] delle Nazioni Unite.

Il caso di studio affrontato da Lauer è la crisi in Africa del virus Ebola. Descritto sul sito dell’ISS come uno dei virus più aggressivi noti alla scienza, nell’immaginario occidentale un tale flagello non poteva che originare dal continente nero (come altre malattie oggi ovviamente veicolate dagli immigrati, virulenti ricettacoli di patogeni). Dunque, da sempre, per ridurre i rischi (nostri) è sembrato giusto, a OMS e Big Pharma (ma mi sto ripetendo), esercitarsi in questi territori così ricchi di morbi e così poveri di tutto il resto.

Lauer si domanda: come mai a livello globale non viene mai sollevata l’attendibilità e verificabilità dei dati epidemiologici raccolti nei paesi africani? Analizzando i dati sul numero dei casi settimanali di Ebola in Liberia forniti dall’OMS e dal Center for Diseases Control and Immunization degli Stati Uniti nell’ultimo quarto del 2014, la studiosa osserva:

“Ma nemmeno a distanza di tempo il CDC e l’OMS sono disposti a fornire dati su quanti di questi decessi fossero maschi, o di quanti fossero bambini sotto i dodici anni, o di quanti pazienti nelle stesse località e nello stesso periodo fossero morti di malaria o di tubercolosi o di shock diabetico, di polmonite, di gastroenterite o di malattie legate alla malnutrizione”.

Se aggiungiamo che i test sierologici non sono affidabili e che le diagnosi vengono collegate all’eventualità che il paziente sia venuto o meno in contatto con persone provenienti da Liberia, Sierra Leone o Guinea, si può concludere, afferma la ricercatrice, che “il numero di casi di Ebola in Africa Occidentale nel periodo 2014-2015 dipende principalmente da come e dove si inizia a contare.”

Lo scenario non migliora se consideriamo le metodologie diagnostiche (a iniziare da un vecchio conoscente, il test PCR): «potevano passare molti giorni prima che i risultati dei test venissero trasmessi dal laboratorio alle cliniche – ammesso che lo fossero. Ogni volta che un paziente è morto prima che venissero trasmessi i risultati dei test, il decesso è stato registrato come legato all’Ebola». L’autrice enumera una serie di casi di “incertezza diagnostica” (la normalità nelle regioni tropicali), fra cui quelli della Liberia, del Ghana e della Guinea:

“Un’ulteriore fonte di caos e sfiducia in Guinea è stata causata nell’ottobre 2014 da un’epidemia di setticemia acuta fulminante da meningococco, dovuta all’uso errato di fiale surriscaldate in una campagna di vaccinazione per la meningite organizzata dallo statunitense Centre for Diseases Control. Poiché il CDC non ha reso noto l’errore, i violenti sintomi sono stati ricondotti all’Ebola”.

Nell’ottobre 2014, subito prima dell’invio di truppe statunitensi in Liberia, l’OMS stimò che entro la fine del 2014 il numero dei nuovi casi di Ebola avrebbe raggiunto la quota di cinque o diecimila a settimana. Il CDC fece trapelare le sue stime attraverso Associated Press e Reuters indicando che per la metà di gennaio 2015 ci sarebbero stati quasi 1.4 milioni di casi in tutta l’Africa occidentale. Quando l’arbitrarietà e “assurdità” di queste stime divenne evidente, non ci fu nessuna ammissione da parte di queste organizzazioni, con conseguenze potenzialmente devastanti sulla popolazione.

In conclusione, afferma Lauer, «si può presumere che la risposta internazionale a Ebola potrebbe aver causato molte più vittime di quelle che il virus stesso era in grado di infettare». Questo anche perché durante la crisi dichiarata di Ebola centinaia di migliaia di persone furono dissuase dal recarsi negli ospedali o nei centri sanitari: nel 2014, dopo che la Guinea fu dichiarata ad alto rischio Ebola, si stima che non poterono essere curati circa 74.000 casi di malaria.

La ricercatrice americana non esita a denunciare i meccanismi di funzionamento della filiera economica, politica, industriale, mediatica e scientifica che espropriano la salute degli africani. Una volta avviata la narrazione emergenziale nei media (questo è un punto chiave che verrà approfondito dall’autrice in un altro contributo) «i mega trasferimenti di capitale affluiscono rapidamente dalle casse pubbliche dei paesi ricchi ai consorzi delle multinazionali del farmaco; questi conglomerati commerciali miliardari sono quindi in grado di decidere quali prodotti utilizzare per inondare i mercati africani, dimostrandone l’efficacia nel mitigare la malattia e raccogliendo ingenti dividendi annuali nel lungo periodo». Da un lato, dunque, si tratta del classico schema della cosiddetta cooperazione internazionale, una partita di giro dove i finanziamenti ritornano nelle mani dei finanziatori attraverso l’imposizione di proprie tecnologie, risorse, prodotti e costi del personale occidentale; ma dall’altro tale processo consegna a Big Pharma non solo un mercato, ma un immenso (e gratuito) bacino umano di ricerca e sperimentazione.

La penultima sezione dello studio illustra le strategie attraverso cui la macchina sanitaria globale (composta da soggetti oramai in gran parte noti, fra cui un nutrito gruppo di rappresentanze militari di Stati Uniti, Regno Unito e Cina) delegittimi portatori di interessi e conoscenze locali, instaurando quella che l’autrice definisce un’egemonia ermeneutica. I soggetti locali, anche quando si tratta di medici e ricercatori esperti che operano sul proprio territorio, vengono sistematicamente ignorati o estromessi: d’altro canto sono gli stranieri e non gli africani ad avere il ruolo di interpretare i bisogni e le esigenze degli africani – ovviamente non solo nel settore della sanità – giacché sono loro a gestire i programmi di sviluppo. Infine, l’ultima sezione è dedicata a sottolineare l’importanza delle tradizioni scientifico-epistemologie africane e agli ovvi vantaggi di impiegare conoscenze e risorse locali nella comprensione, gestione e soluzione di problemi locali. A questo riguardo sarebbe interessante approfondire alcuni dei nodi teorici lasciati impliciti o solo accennati da Lauer, come per esempio il fatto che una convivenza fra epistemologie (o come molti amano dire oggi cosmovisioni) appare impossibile nel contesto attuale, poiché gran parte dell’epistemologia occidentale moderna è inscindibile dal colonialismo: quindi non si dà episteme senza violenza epistemica. Com’è noto alcune discipline scientifiche chiave, per esempio medicina e antropologia, come notava Foucault, hanno come atto fondativo un certificato di morte: l’una inizia con un cadavere, l’altra con la distruzione delle forme di vita che analizza. Ma questa intrinseca violenza inter-epistemologica, va sottolineato, storicamente non è una caratteristica soltanto dell’occidente bianco e cristiano.

Interrompo qui questa mia sommaria recensione dell’articolo di Helen Lauer: già da questo florilegio, tuttavia, è impossibile evitare la fortissima sensazione di dejà vu. Ciò che racconta la filosofa americana sembra il trailer, anzi il teaser di un film che nel 2017 era ancora in preparazione: come è noto abbiamo dovuto attendere il 2020 per vedere sugli schermi il kolossal completo.

2. La violenza coloniale ingloba i propri confini. Unione dei barbari epistemici?

Mentre scrivo stiamo assistendo alla disintegrazione di ciò che rimaneva dell’impero coloniale francese nell’Africa occidentale. Il Sud Africa denuncia Israele per genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia, guidando la protesta di molti paesi del Sud Globale contro la politica occidentale in Medio Oriente, mentre la Nigeria, una delle economie più importanti del continente, chiede di entrare nei BRICS e di vendere il proprio petrolio nella valuta nazionale. Sono eventi impensabili solo pochissimi anni fa: è evidente che l’apparato egemonico occidentale è in una crisi profonda che esplode nel continente martoriato da cinque secoli di violenze. Indubbiamente il processo di decolonizzazione dell’Africa è ancora lento e irto di ostacoli, ma non potrà essere arrestato. E qui arriviamo al punto che mi interessa di più. Alcuni giustamente hanno osservato che non potendo più colonizzare gli altri, l’impero occidentale sta colonizzando sé stesso. La terzomondializzazione, iniziata già molti anni fa, appare per il capitalismo occidentale, una scelta tanto disperata quanto obbligata. In questa seconda parte cercherò di argomentare come in occidente la violenza di tutti gli apparati di potere (governi, scienza, media, sanità, giustizia, ecc.) a partire dalla pandemia si presenti come una variante ferocemente aggiornata della violenza coloniale.

Per usare le parole di Frantz Fanon, il colonialismo non sarebbe stato sostenibile nel tempo attraverso la sola violenza militare: è solo quando i colonizzati accettano e interiorizzano la superiorità del colonizzatore, indossandone la maschera e provando vergogna per sé stessi e la propria cultura, che il processo si può dire effettivamente concluso. L’auto-svuotamento identitario e le riscritture della storia in favore dei vincitori (e culturalmente egemoni) tuttavia non hanno caratterizzato solo le colonie al di là del mare, ma anche i margini interni dei paesi cosiddetti egemoni. È il caso di tutti gli stati europei moderni sorti dopo la fluidità statuale medievale, Italia inclusa, dove il Risorgimento, ultimo fra i movimenti di uniformazione, come annotava Gramsci fu anche un processo di colonizzazione del Nord nei confronti del Sud.

Edward Said nel suo testo chiave, Orientalismo (1978) osservava che lo sguardo che l’occidente posa sull’oriente e il “sistema di rappresentazioni” che ne deriva è sempre un progetto politico. Per le stesse ragioni, ogni forma di rappresentazione creata, gestita e diffusa dai poteri egemoni è un atto politico di natura intrinsecamente coloniale e dunque violenta.

Dunque per comprendere l’attuale progetto politico delle élites globaliste (che include i conflitti in corso, dall’Ucraina alla Palestina) a mio parere è necessario tornare ai classici del pensiero post-coloniale e decoloniale. Prendiamo il celebre passaggio del Discorso sul colonialismo (1955) dove Aimé Césaire, scrittore, poeta e politico martinicano, propone il più scandaloso e inaccettabile dei paragoni: ciò che Hitler fece all’Europa non è diverso da ciò che l’Europa fece all’Africa. Per Césaire non si tratta di un semplice parallelismo. Hitler non è un caso isolato, un mostro, un unicum fuori dalla storia, ma è la conseguenza, e forse nemmeno la più grave, della decivilizzazione e dell’imbarbarimento del continente europeo:

“Bisognerebbe innanzitutto studiare in che modo la colonizzazione contribuisce a decivilizzare il colonizzatore, ad abbrutirlo nel vero senso della parola, a degradarlo, risvegliare in lui quegli istinti reconditi di cupidigia, di violenza, di odio razziale, di relativismo morale… (…). Sì, varrebbe proprio la pena di studiare, clinicamente, in dettaglio, tutti i passi di Hitler e dell’hitlerismo, per rivelare al borghese distinto, umanista, cristiano del XX secolo, che anch’egli porta dentro di sé un Hitler nascosto, rimosso; ovvero, che Hitler abita in lui, che Hitler è il suo demone e che, pur biasimandolo, manca di coerenza, perché in fondo ciò che non perdona a Hitler non è il crimine in sé, non è il crimine contro l’uomo, non è l’umiliazione dell’uomo in quanto tale, ma il crimine contro l’uomo bianco, l’umiliazione dell’uomo bianco, il fatto di aver applicato in Europa quei trattamenti tipicamente coloniali che sino ad allora erano stati prerogativa esclusiva degli arabi d’Algeria, dei coolie dell’India e dei negri dell’Africa”.

Il capitalismo occidentale, vieppiù nella sua attuale versione digitale e autoritaria, sembra condannato a ripetere, su una scala sempre più granulare, la violenza coloniale. Colonizzare, come abbiamo visto, non vuol dire solo schiavizzare e sterminare l’indigeno, ma in generale violentare la diversità, trasformandola in un elemento trascurabile prima, indesiderabile poi. Poiché l’obiettivo di tutti i colonialismi, intrinseci ed estrinseci, è sempre lo stesso: la distruzione delle diversità culturali e biologiche e l’introduzione di standard e modelli universalizzanti in campo politico, economico, alimentare, sanitario, mediatico, sessuale, educativo, mediatico, ecc. Non importa quale forma assuma la diversità, perché ogni alternativa epistemica per il potere (lo abbiamo visto con Said) è potenzialmente eversiva. Per evitare che la conoscenza evolva in pericolosa coscienza politica il sistema mette in campo i propri enti certificatori delle verità accettabili. Foucault usava il termine “regimi di verità” (régimes de véridiction), perché secondo il filosofo francese non è tanto importante stabilire cosa sia vero e cosa sia falso (scienza, anti-scienza, ecc.), ma possedere il tavolo su cui vero e falso fingono di giocare la loro partita (il croupier vince sempre). L’importante è avere il saldo controllo della filiera della veridizione che è composta principalmente da tre livelli: accademie e centri di ricerca, apparati educativi di ogni ordine e grado e organi dell’informazione. Oggi questi tre livelli sono tenuti insieme dal processo di piattaformizzazione, cioè dalla progressiva trasformazione degli ex capisaldi della società moderna in servizi online. Si tratta di uno slittamento complesso che implica anche un rimescolamento dei poteri, ma non dobbiamo farci illusioni sull’esito di questi scontri. Come dimostra l’evoluzione delle tecnologie di comunicazione, dal telegrafo alla rete, è attraverso la creazione e imposizione di standard che gli imperi costruiscono e consolidano i loro poteri. La piattaformizzazione (e le cosiddette intelligenze artificiali che animeranno i loro servizi) è l’ennesima e forse la più pericolosa incarnazione dell’idea d’impero coloniale, universale e monoculturale.

Gli ultimi vent’anni di autocolonialismo e militarizzazione di ogni interstizio, insieme al rafforzamento di standard anglofoni globali, che vanno dalla NATO all’OMS, dal Fondo Monetario al WTO, da GAFAM agli oligopoli dell’editoria scientifica, hanno visto la parallela creazione di due categorie di umani residuali o indesiderabili (a volte sovrapponibili): gli schiavi digitali e i dissonanti. In coerenza con il processo di auto-colonizzazione vengono introdotte e legittimate nuove forme di asservimento e autoasservimento, che vanno dal “lavoro” inconsapevole che svolgiamo ogni secondo con il nostro smartphone (che viene monetizzato dalle applicazioni), a forme esplicite di sfruttamento della forza lavoro, come le click farm e la vasta galassia dei gig worker. Ma la caratteristica forse più evidente della schiavizzazione sono gli ossessivi e capillari meccanismi di controllo dei lavoratori oggi resi ancora più distopici dall’uso dell’intelligenza artificiale. Non si tratta solo di gestione algoritmica dei rapporti di lavoro, con tutti i rischi che comporta, ma della raccolta e analisi sistematica, totale e h24, di tutte le interazioni dei lavoratori sulle piattaforme delle aziende. Alla ricerca forse dello psicoreato, le aziende americane che usano tali software di IA (fra cui Walmart, Chevron, Starbucks e AstraZeneca: si parla dei dati di tre milioni di lavoratori) sprofondano in una dimensione sconosciuta dello sfruttamento, dove i legislatori sono impotenti, giacché tali attività avvengono nella completa oscurità.

La seconda categoria rappresenta il riflesso condizionato generato dalle imposizioni del potere, quindi il rifiuto, l’opposizione, la dissidenza; sono i “no-qualcosa”: no Nato, no global, no euro, no tav, no sbarchi, no ponte, no 5G e naturalmente no vax e no pass. Nella vasta galassia del “no”, vagano complottisti, negazionisti, ecc., ma spesso anche movimenti trasversali antisistema come i gilet gialli e recentemente gli agricoltori di tutta Europa. L’abbrutimento, la regressione democratica e la decivilizzazione di cui parlava Césaire hanno raggiunto il culmine durante la pandemia, dove qualsiasi barriera, qualsiasi filtro fra gli obiettivi del potere e le pulsioni delle masse è crollato. In particolare, nei ceti medio-alti d’Europa e dei paesi CANZUS (Canada, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti) si è arrivati a una pressocché totale identificazione fra governi e governati (con tratti di schizofrenia nelle fasce ex “antisistema” e progressiste). I meccanismi che hanno prodotto questa saldatura fra l’opinione pubblica mainstream e la violenza governativa sono stati analizzati in molteplici studi che non è possibile qui riassumere, ma a ogni modo il passaggio dalla pseudo-tolleranza alla criminalizzazione è stato frettoloso e inesorabile. (Mi sia permesso un inciso: il vero antenato del green pass non furono le tessere nazi-fasciste o i vari marchi impressi sui corpi dei reietti di ogni epoca, ma le impronte digitali. Come ricorda lo storico Carlo Ginzburg, l’impronta digitale fu la perversa appropriazione indebita da parte dei colonizzatori britannici di pratiche indigene di origine probabilmente rituale. Lì dove l’indigeno percepisce il sacro, l’uomo bianco vede il dominio.)

Grazie a strumenti legalizzati di sorveglianza di massa come Chat control e Digital Service Act oggi chi dissente nel migliore dei casi può essere silenziato o censurato, nel peggiore può essere accusato di una serie di reati: questi sono gli esiti politici della violenza epistemica. Come ricordavamo, il meccanismo coloniale non si può fermare finché non ha distrutto o assorbito completamente il rappresentante di una conoscenza illegittima e pericolosa: potremmo definire questo individuo un barbaro epistemico, il quale viene assunto a simbolo di una alterità incomprensibile e ripugnante. In questo furore fagocitante persino il “vecchio” capitalismo, ancora basato sulla lotta fra classi di esseri umani, può divenire un ostacolo al processo di de-civilizzazione autocoloniale (e digitale).

Ma, arrivati sin qui, per coerenza rispetto al ragionamento fatto, occorre anche affermare che così come il colonialismo storico provocò movimenti di liberazione epocali, la colonizzazione o auto-colonizzazione dell’occidente può rivelarsi, specialmente per l’Europa, una formidabile occasione per fare i conti una volta per tutte con la propria storia. Arrivo così al bellissimo testo citato in esergo: I bianchi, gli ebrei e noi. Verso una politica dell’amore rivoluzionario di Houria Bouteldja, francese di origine algerina (dunque donna e musulmana, due categorie che in occidente siamo abituati a scindere). Un libro brillante, controverso e indigesto sia ai monopoli del consenso sia a quelli del dissenso. Fondatrice in Francia del Parti des Indigènes de la Republique (sciolto nel 2020) e leader del movimento decoloniale, negli ultimi anni Bouteldja ha sviluppato una riflessione politica basata sul concetto di “stato razziale” e sulla ricerca di alternative pacifiche «a una società occidentale in declino». Oggi Bouteldja legge la crisi delle classi popolari bianche francesi come una opportunità per saldare la protesta antirazzista dei “barbari” delle banlieue con quella dei “bifolchi” (beaufs), i petit blancs schiacciati dalle feroci politiche neoliberiste dell’Unione Europea. «La barbarie che arriva», scrive, «non ci risparmierà, ma non risparmierà nemmeno voi». È necessario allora un luogo d’incontro «all’incrocio dei nostri interessi comuni – la paura della guerra civile e del caos – là dove si possano annullare le razze e dove sia prevista la nostra uguale dignità».

La scrittrice franco-algerina si scaglia poi contro alcuni dei totem progressisti delle moderne società occidentali che considera tuttavia inscindibili dal “crimine coloniale”: diritti dell’uomo, universalismo, umanesimo, femminismo, terzomondismo, marxismo. A proposito del rapporto fra colonialismo e Rivoluzione francese, scrive: «ciò che voglio dire, sorelle, è che le società europee erano orrendamente ingiuste verso le donne (…) ma che queste, grazie all’espansione capitalista e coloniale, hanno ampiamente migliorato la propria condizione a detrimento dei popoli colonizzati». È nella pagina successiva, citando lo scrittore e poeta afroamericano James Baldwin, figura di spicco del movimento per i diritti civili, che si arriva al cuore politico della questione:

“A Baldwin che le rimproverava [a Audre Lord] di imputare troppo agli uomini neri, la femminista afroamericana risponde: «Io non biasimo gli uomini neri. Ciò che dico è che bisogna che noi rivediamo il nostro modo di combattere la nostra oppressione comune, perché se non lo facciamo ci autodistruggeremo [we’re gonna be blowing each other up].» (…) Baldwin replica: «Ma questo significa che dobbiamo ridefinire i termini dell’Occidente»”.

L’affermazione di Lord sulla possibilità di un conflitto “mortale” fra oppressi, senza negarne la problematicità e specificità, suona come una profezia in linea con un’altra profezia, fatta da un personaggio che certo poco aveva a che vedere con le Pantere Nere, ma molto con la disobbedienza civile e la lotta al colonialismo: Gandhi. Non mi sembra un caso che nelle utopiche conclusioni di I bianchi, gli ebrei e noi, appaia una lunga citazione di Ashis Nandy, un importante studioso del pensiero gandhiano. In Hind Swaraj, l’incendiario atto di accusa nei confronti della modernità occidentale, Gandhi scrisse che un incontro fra Occidente e Oriente sarebbe stato possibile solo se l’Occidente avesse rinunciato alla civiltà moderna basata sulla violenza. Se questo non fosse accaduto, non solo non si sarebbe avuto un incontro, ma l’Oriente avrebbe fatalmente seguito l’Occidente, divenendo un suo doppio, fino alla collisione finale fra i due mondi. Esattamente ciò che sta avvenendo.

Osservare la violenza di cui siamo soggetto-oggetto, allora, è forse l’unico modo per uscire dal secolare inganno che contrappone i “sacrificati” d’Europa a quelli dell’ex terzo mondo. Il movimento più radicalmente e genuinamente rivoluzionario che ci attende è quello di iniziare a consideraci non come popoli perdenti o vincitori su una scacchiera geopolitica manipolata da vecchi e nuovi imperi, ma come popoli diversamente oppressi. Non sono così ingenuo o idealista da non vedere che esistono vari gradi di oppressione, diseguaglianze e discriminazione. Il capitalismo ha trionfato creando l’illusione dei privilegi di casta: all’esterno la favola “qui è la democrazia e il benessere, di là sanguinose dittature e miseria”; all’interno la contrapposizione fra diseredati, nelle combinazioni più varie a seconda di convenienze e stagioni. Ma oltre al fatto che queste illusioni stanno svanendo velocemente, come suggerisce Bouteldja, forse noi stessi, in quanto bianchi ed europei (certamente lo è chi scrive), siamo un’“invenzione”, una delle tante categorie di comodo – stili di vita, strutture di pensiero, codici, epistemologie – create dalle élite per perpetuare il loro dominio. Non diversamente da chi è stato storicamente oppresso in nome di un benessere che non c’è più, siamo personaggi subalterni; oggi confinati nella bolla afona dei social, domani tutti, bianchi e neri, neo o auto-colonizzati, dispositivi gestiti da remoto. Da questo punto di vista, l’esperimento coloniale definitivo, quello dove è più evidente la trasformazione violenta della società, abita nel cuore dell’Europa. E il vero processo di decolonizzazione non può che iniziare all’interno dei nostri confini e delle nostre coscienze. Prendendo atto che l’Africa e tutto il Sud del mondo hanno molto da insegnarci.

Di: 

Fonte: https://www.lafionda.org/2024/03/01/dal-colonialismo-sanitario-ai-barbari-epistemici-la-nuova-africa-e-leuropa/

 

 

 

STORIA

Cinquantacinque anni fa, l’FBI uccise il leader del Black Panther Party Fred Hampton in un “linciaggio del nord”.

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Una persona che parla ai microfoni Descrizione generata automaticamente

Fred Hampton il 29 ottobre 1969, cinque settimane prima di essere licenziato dal dipartimento di polizia di Chicago. [Fonte: harvardpolitics.com ]

La stessa cosa potrebbe accadere di nuovo oggi se il movimento Black Lives Matter diventasse più forte e mirato?

Fred Hampton era il leader carismatico del Black Panther Party di Chicago alla fine degli anni ’60 che, all’età di 21 anni, si era già guadagnato la reputazione di brillante oratore e coraggioso attivista per la giustizia sociale.

Bobby Rush, un collega Panther che divenne membro del Congresso degli Stati Uniti dal South Side di Chicago, affermò che “Fred era un oratore e un leader straordinario e lo ammiravo… aveva la dedizione di un Malcolm X, l’abilità oratoria di Martin Luther King, e per quanto riguarda il coraggio, ce ne sono pochi con quel tipo di coraggio. Nessuno ha mostrato qualità di leadership come quelle di Fred a ventun anni”. [1]

Il 4 dicembre 1969, Hampton fu assassinato mentre dormiva nella sua casa nel Southwest Side di Chicago in quello che fu descritto da una donna anziana come un “linciaggio del nord”. Poco prima dell’alba, 14 agenti di polizia armati, apparentemente in esecuzione di un mandato di perquisizione, hanno sparato quasi 100 colpi di munizioni nel suo appartamento, uccidendo Hampton e il 22enne Mark Clark e ferendo diversi altri giovani membri del Black Panther Party.

Dopo la sparatoria, il sergente della polizia di Chicago Daniel Groth ha affermato che una pantera, Brenda Harris, ha sparato con il suo fucile contro la polizia quando sono entrati nell’appartamento di Hampton. Ha detto del raid che “devono essere stati sei o sette di loro a sparare. Gli spari dovettero durare dieci, dodici minuti. Se fossero stati scambiati duecento colpi, non sarebbe stato niente.

Il vice sovrintendente di polizia Merlin Nygren ha sostenuto il racconto di Groth, affermando che “la signorina Harris ha dato inizio allo scontro a fuoco sparando alla polizia con un fucile”. [2]

Anche il procuratore distrettuale della contea di Cook (Illinois), Edward Hanrahan, che aveva condotto una campagna su una piattaforma di guerra alle bande, ha sostenuto le affermazioni di Groth, indicando le armi sequestrate dalla casa di Hampton in una conferenza stampa, che secondo lui indicavano che la polizia le aveva prese. da li.

Una persona in piedi su un podio con microfoni Descrizione generata automaticamente
Edward Hanrahan [Fonte: sfgate.com ]

L’affermazione di Groth secondo cui Harris gli aveva sparato dall’angolo sud-est del soggiorno era logisticamente impossibile a causa della posizione delle pareti dell’appartamento.

Il detective Edward Carmody, che affermò che un uomo successivamente identificato come Hampton gli aveva sparato con un fucile dalla camera da letto sul retro, alla fine ammise di non aver mai visto Hampton sparargli contro. Carmody ha negato di aver sparato a qualcuno, ma il rapporto sulle armi da fuoco, misteriosamente mai presentato al gran giurì federale, indicava che aveva ferito gravemente qualcuno, e si ritiene che sia stato lui ad aver sparato a Hampton alla testa due volte. [3]

Il giorno dopo la sparatoria, il Chicago Daily News ha pubblicato un titolo in prima pagina, “Capo pantera, aiutante ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia”, ​​seguito da due sottotitoli con articoli che descrivevano due diverse versioni degli eventi: un sottotitolo contenente la versione degli eventi della polizia/Hanrahan, era intitolato “Sei feriti nella sparatoria”. L’altro, contenente informazioni di Bobby Rush, era: “La polizia ha assassinato Hampton: Panther, possiamo provarlo”. [4]

Un collage di una persona e una tabella Descrizione generata automaticamente
[Fonte: heavy.com ]

Quando John Kifner, corrispondente da Chicago del New York Times , si ricò nell’appartamento, un giovane con una giacca di pelle nera in stile Panther gli disse che “i maiali dicono che una ragazza ha sparato contro di loro con un fucile e loro hanno iniziato a sparare”. . Ora puoi vedere che non ci sono fori di proiettili attorno alla porta”, aggiungendo “nessuno sparo esce; stanno arrivando tutte le sparate. [5]

Harold Bell, un Panther sopravvissuto all’assalto della polizia, ha detto che il raid nell’appartamento sembrava simile alle operazioni militari a cui aveva assistito in Vietnam perché i predoni della polizia si sono spostati in una serie di punti di osservazione sotto il fuoco di copertura, guadagnando rapidamente il controllo dell’appartamento, senza attraversare. -fuoco.

Quasi 100 fori di battaglia erano presenti nelle pareti est dell’appartamento dove la polizia aveva sparato. L’ispettore più esperto delle armi da fuoco dell’FBI, Robert Zimmer, ha concluso che gli spari erano stati tutti fatti dalla polizia in una direzione, ad eccezione di una partita sparata da Mark Clark dopo che era stato colpito dalla polizia e ferito a morte. [6]

Fred Hampton e Mark Clark, giusto. [Fonte: pinterest.com ]

Bobby Rush ha detto: “Hampton è stato assassinato mentre dormiva in un letto. Possiamo dimostrarlo. Non poteva sparare perché dormiva. Non si è mai svegliato perché era stato drogato con barbiturici.

Una persona con gli occhiali da sole e una persona con un maglione bianco Descrizione generata automaticamente
Bobby Rush e Fred Hampton. [Fonte: chicago.suntimes.com ]
Una persona distesa a terra Descrizione generata automaticamente
Il corpo di Fred Hampton. [Fonte: heavy.com ]

Una commissione d’inchiesta dell’Associazione nazionale per il progresso delle persone di colore (NAACP) ha confermato che la polizia ha sparato tutti i colpi tranne uno e che Hampton è stato colpito da un ufficiale che poteva vedere il suo corpo prostrato disteso sul letto , indicando che era stato giustiziato sommariamente. .

L’avvocato Jeffrey Haas, il cui People’s Law Office (PLO) ha intentato una causa per i diritti civili contro Hanrahan e la polizia di Chicago per conto dei membri sopravvissuti della famiglia, ha scritto nel suo libro del 2010 The Assassination of Fred Hampton che la scena del crimine indicava che i carnefici di Fred volevano mostrare della loro “uccisione” agli altri predoni come si potrebbe mostrare la carcassa di un cervo ucciso. [7]

La polizia è stata mostrata sorridente mentre trasportava il corpo di Hampton su un’ambulanza. Haas ha scritto che “i sorrisi mi hanno ricordato i sorrisi degli spettatori nelle foto del linciaggio dal Sud, comprese le persone fotografate in piedi attorno al corpo appena lanciato di Leo Frank [un ebreo bianco che il nonno di Haas aveva difeso dopo essere stato accusato di uccidendo una ragazza bianca di 13 anni nel 1913].”

L'assassinio di Fred Hampton: una breve storia popolare
Agenti di polizia di Chicago, alcuni sorridenti, mentre trasportavano il corpo di Fred Hampton. [Fonte: blackagendareport.com ]

Giuda Nerone

Primo piano di una persona Descrizione generata automaticamente
William O’Neal [Fonte: heavy.com ]

Conosciuto per i suoi vestiti appariscenti, la spavalderia e la grande cavalcata, William O’Neal era un informatore dell’FBI che si infiltrò nella cerchia ristretta di Hampton come capo della sicurezza e fornì planimetrie dell’appartamento di Hampton alla polizia di Chicago mentre pianificavano l’incursione omicida.

Secondo quanto riferito, O’Neal è stato anche quello che ha drogato Hampton con barbiturici in modo che non si svegliasse durante il raid della polizia.

Dopo la morte di Hampton, O’Neal, perversamente, prestò servizio come portatore della bara al suo funerale.

Secondo Haas, O’Neal aveva gestito un’impresa criminale ed era diventato un informatore dell’FBI nel 1968, quando lui e un ex detective della vice polizia di Chicago, Stanley Robinson, erano stati arrestati nel rapimento e nell’omicidio di diversi spacciatori e dopo essere stati implicati in un’operazione automobilistica. anello di furto. In cambio della sua testimonianza, O’Neal fece ritirare le sue accuse e divenne un informatore.

Quando O’Neal fu arrestato sotto la guida di un’auto rubata, mostrò un documento d’identità falso dell’FBI – un crimine federale – anche se il caso scomparve. [8]

O’Neal ha testimoniato in una deposizione di essersi unito ai Panthers nel 1968 su richiesta dell’agente dell’FBI Roy Mitchell e di essere pagato $ 100 a settimana. [9]

Una persona seduta in una stanza Descrizione generata automaticamente
Il personaggio di Roy Mitchell interpretato da Jesse Plemons nel film di Shaka King del 2021, Judas and the Black Messiah . [Fonte: lavocedinewyork.com ]

Il compito ufficiale di O’Neal era assicurarsi che le pantere avessero le armi funzionanti e scovare gli informatori. Per realizzare meglio quest’ultimo, sviluppò una sedia elettrica in grado di fulminare le persone, utilizzata come deterrente.

Robert Bruce, un ex amico dei Panther di O’Neal, descrive come O’Neal esortasse sempre lui e gli altri a commettere rapine e furti con scasso: “andare in strada e ottenere soldi per vivere” è come lo chiamava O’Neal. [10] Questo faceva parte della funzione di O’Neal come agente provocatore che sosteneva una linea militaristica e incoraggiava i Panthers a compiere atti criminali in modo che potessero essere arrestati e fare brutta figura davanti al pubblico.

Roy Mitchell ha testimoniato di aver ottenuto una planimetria da O’Neal dell’ufficio Panther nel giugno 1968 che ha portato al raid del 4 dicembre.

Prima del raid, Mitchell aveva tenuto i suoi superiori – Robert Pipes, capo della squadra per le questioni razziali dell’FBI, e Marlin Johnson, agente speciale dell’FBI responsabile dell’ufficio dell’FBI di Chicago – informati su Hampton ei Panthers attraverso conversazioni e promemoria.

Una persona in giacca e cravatta con in mano un pezzo di carta Descrizione generata automaticamente
Il direttore dell’FBI J. Edgar Hoover [Fonte: wikipedia.org ]

L’FBI vedeva Hampton come il potenziale “Messia nero” da cui aveva messo in guardia il direttore dell’FBI J. Edgar Hoover. Hoover definisce le Pantere Nere la più grande minaccia alla sicurezza nazionale.

Il 4 giugno 1969, una settimana dopo che Fred era andato in prigione per un crimine confessato in seguito da qualcun altro, gli agenti dell’FBI guidati da Marlin Johnson, fecero irruzione nel quartier generale della Panther per arrestare un fuggitivo (George Sams) che in realtà era un informatore dell’FBI.

Gli agenti dell’FBI hanno puntato le armi contro otto persone, hanno sequestrato 3.000 dollari in contanti e hanno preso proprietà e documenti, compresi gli elenchi dei contributori. Il cibo per il programma della colazione è stato gettato sul pavimento e le armi acquistate legalmente sono confiscate dallo stato, senza restituire nulla. [11]

Gli otto Panthers presenti sul posto furono arrestati e accusati di ospitare un fuggitivo.

Nel film Judas and the Black Messiah di Shaka King del 2021, il personaggio di Hoover (interpretato da Martin Sheen) identifica Hampton come un leader “con il potenziale per unire i movimenti comunista, pacifista e della Nuova Sinistra”. Hoover dice a Mitchell che il successo del Black Power Movement si tradurrà nella perdita del “[nostro] intero modo di vivere. Stuprare, saccheggiare, conquistare, mi segui?

[Fonte: themoviedb.org ]

Piuttosto che uccidere direttamente Hampton, l’FBI ha preferito che il raid fosse intrapreso dall’ufficio di Hanrahan e dalla polizia di Chicago. Hampton è stato menzionato direttamente nei documenti COINTELPRO rinvenuti durante le udienze del Church Committee del 1975/1976, che mostrano che Fred era stato preso di mira dall’FBI nell’ambito di questo programma.

Era Chi Fred Hampton?

Nato nella parte sud-occidentale di Chicago nell’agosto del 1948 da genitori che vivevano accanto a Mamie Till, la madre di Emmett Till [12] , Hampton lesse autori neri come Malcolm X. e WEB Du Bois in giovane età e arrivò a identificarsi con lotte socialiste nel Terzo Mondo.

Come studente delle scuole superiori, Hampton guidò l’ala giovanile della NAACP a Chicago, guidò campagne locali contro la segregazione e la brutalità della polizia e creò un centro culturale nero a Maywood con una sezione di storia dei neri.

Il reverendo Tom Strieter ha detto che Fred era un maestro oratore anche a quell’età, sottolineando che “la sua retorica era sorprendente mentre affrontava il suo pubblico bianco con un’immagine della società ingiusta americana che la maggior parte non aveva mai immaginato prima” .

Quando Hampton compì 18 anni nel 1966, rifiutò di iscriversi alla leva per protestare contro la guerra del Vietnam, dichiarando che non era solo per la pace in Vietnam ma anche per la vittoria in Vietnam per i vietnamiti. [13]

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Foto di Fred Hampton nel suo annuario del liceo. [Fonte: reddit.com ]

All’epoca Hampton lavorava in un impianto di produzione di mais per guadagnare soldi per il college. Il presidente dell’azienda ha descritto Fred come “molto dinamico, arguto e molto meno concentrato su se stesso che sul mondo che lo circonda. Cercava sempre di riunire i neri. Ricorda Fred che diceva “se cammini nella vita e non nessuno aiuti, non hai avuto una gran vita”. [14]

Quando Fred tenne un discorso entusiasmante durante una protesta per i diritti civili ospitata dal dottor Martin Luther King, Jr., fu arrestato e accusato di “azione di massa” anche se le persone che lo ascoltavano erano all’interno di una sala quando si verificò laviolenza. Fu allora che fu inserito per la prima volta nel Key Agitator Index dell’FBI, un elenco di attivisti che Hoover ordinò agli agenti dell’FBI di monitorare da vicino. [15]

Il monitoraggio è aumentato quando Fred si è unito alla sezione Black Panther di Chicago, dove ha lavorato nel programma Panther Breakfast che forniva colazioni gratuite ai bambini in modo che potessero imparare meglio.

Dopo aver letto Mao e Che, Hampton avanzò un’analisi di classe secondo la quale la rivoluzione era una lotta di classe delle classi oppresse contro l’oppressore.

Critico nei confronti dei nazionalisti neri (che chiamavano “nazionalisti dashiki”), Fred era una voce di moderazione all’interno del Black Panther Party, vietando un libro da colorare di cartoni animati che raffigurava le pantere che attaccavano la polizia e ordinando lo smantellamento della sedia elettrica di O’Neal. [16]

Forte sostenitore dell’istruzione dei giovani del ghetto, Hampton ha parlato della formazione di coalizioni con altri gruppi, tra cui gli Studenti per una società democratica (SDS) e gli Young Lords sotto la guida di Cha-Cha Jimenez. Incoraggiava le donne, sostenendole a dare loro posizioni di leadership nei Panthers e astenendosi da commenti sessisti o avances sessuali indesiderate. [17]

La Coalizione Arcobaleno
La Coalizione Arcobaleno di Fred Hampton. [Fonte: northsideweekly.com ]

La leader del Black Panther Party, Elaine Brown, ha detto che la gente voleva che Fred diventasse un portavoce nazionale del Black Panther Party perché “poteva dire quello che facevano tutti gli altri, ma dirlo meglio. Aveva la capacità di commuovere le persone, che fossero studenti universitari o donne dell’assistenza sociale, meglio di chiunque altro avessi mai sentito.” [18]

Nel 1969, Hampton incontrò e stipulò un trattato con David Barksdale, il leader dei Black Disciples, un’importante banda nera, che consentiva ai Panthers di organizzarsi e reclutare nelle aree controllate dai Discepoli, e incontrò la leadership dei Blackstone Rangers, incluso Jeff Fort , nel tentativo di reprimere ulteriormente la violenza delle bande e convincere i membri delle bande a unirsi ai Panthers.

Jeff Fort, leader dei Blackstone Rangers, che incontrò Fred Hampton per organizzare una tregua tra i Rangers e le altre bande e per organizzare il reclutamento dei Rangers nei Panthers. [Fonte: ourbiography.com ]

Uccidere un rivoluzionario ma non la rivoluzione

In un discorso poche settimane prima della sua morte, Hampton disse al pubblico della Northern Illinois University: “Non preoccupatevi per il Black Panther Party. Finché mantieni il ritmo, andremo avanti. Se pensi che possiamo essere spazzati via perché hanno ucciso Bobby Hutton, Bunchy Carter e John Huggins, ti sbagli. Se pensi che la festa finirà perché Huey è stato incarcerato, ti sbagli. Se pensi che il Partito si fermerà perché il presidente Bobby è stato incarcerato, ti sbagli. Se pensi che perché possono imprigionarmi, pensavi che il Partito si sarebbe fermato, hai pensato male. Puoi imprigionare un rivoluzionario ma non puoi imprigionare la rivoluzione. Puoi imprigionare un combattente per la libertà, come Huey Newton, ma non puoi imprigionare chi combatte per la libertà”. [19]

Sfortunatamente, la morte di Fred in realtà accelerà la morte del Black Panther Party, che era troppo debole e fratturato internamente per resistere alla repressione che dovette affrontare.

Bobby Rush ha dichiarato che “la morte di Fred ha giocato un ruolo enorme nel distruggere la festa. Dopo quella notte, la festa declinò lentamente ei membri se ne andarono uno per uno. [20]

Le implicazioni di questo declino furono gravi sia a livello locale che nazionale.

Negli anni ’70 e ’80, il West Side di Chicago si trasformò in un paradiso di droga e bande. La leadership stimolante e la capacità di Fred di raggiungere i bambini e coinvolgerli nel sostegno e nella costruzione delle loro comunità, senza depredarli, sono mancate molto.

L’assenza di un forte movimento di sinistra negli Stati Uniti negli anni ’70 e ’80 aprì ulteriormente la strada alla rivoluzione conservatrice, che portò a livelli di disuguaglianza alle stelle, al declino dei servizi sociali, al militarismo sfrenato e all’incarcerazione di massa dei neri.

Hampton, tuttavia, fu determinante nel contribuire a costruire una coalizione politica diversificata che portò all’elezione nel 1983 del primo sindaco afroamericano di Chicago, Harold Washington, un forte progressista, e che diversificò la politica cittadina di Chicago.

Harold Washington, che la costruzione della coalizione politica di Hampton ha contribuito in modo significativo. [Fonte: news.wttw.com ]

Edward Hanrahan, d’altra parte, fu sconfitto nella corsa al Procuratore Generale nel 1972, essendo stato ampiamente screditato a causa del suo ruolo nell’omicidio di Hampton. (Gli elettori hanno posizionato adesivi con il termine “condannato” anziché “rieletto” sui cartelloni pubblicitari di Hanrahan.)

Oggi, una statua di Hampton si trova accanto a una piscina chiamata in suo onore nella sua comunità natale di Maywood, dove continua a ispirare le persone a difendere la causa di giustizia sociale.

Statua di Fred Hampton di fronte alla Fred Hampton Pool a Maywood, sul lato sud di Chicago. [Fonte: latinxproject.nyu.edu ]

Nel 50 ° anniversario della morte di Hampton, gli studenti hanno partecipato a un concorso in cui hanno scritto saggi sulla sua vita e citato i suoi discorsi mentre sviluppavano idee per affrontare l’ingiustizia razziale e altri problemi sociali che rimangono dell’epoca di Hampton.

L’unico figlio di Fred, Fred Hampton, Jr., ha contribuito ad avanzare l’eredità di suo padre attraverso l’attivismo politico come presidente del Comitato dei Prigionieri di Coscienza (POCC) e del Black Panther Party Cubs (BPPC), composto da discendenti delle Pantere Nere.

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Fred Hampton, Jr., parlando a una manifestazione contro la guerra a Oakland nel 2018. [Fonte: wikipedia.org ]

Quindi Fred aveva ragione quando diceva che “puoi uccidere il rivoluzionario, ma non puoi uccidere la rivoluzione”. Fred potrebbe non essere più con noi, ma la rivoluzione continua.


  1. Rush citato in Jeffrey Haas, The Assassination of Fred Hampton: How the FBI and the Chicago Police Murdered a Black Panther (New York: Lawrence Hill Books, 2010), 283. 
  2. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 85. 
  3. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 275, 276. 
  4. Quando Brian Boyer, un giovane reporter del Chicago Sun-Times andò a controllare l’appartamento, disse che gli sembrava un omicidio. Ha detto che successivamente “ha chiesto ai redattori e ad altri giornalisti di scendere e di ispezionare l’appartamento, ma non erano interessati”. Quando Boyer tornò al giornale, riferì ciò che aveva visto. Uno dei redattori ha risposto: “Se pubblichiamo quella storia e il West Side brucia, saremo responsabili”. Jim Hoge, il redattore capo del Sun-Times, ordinò che la storia venne pubblicata, ma nell’edizione del giorno successivo fu sepolta a pagina 32. Brian Boyer rispose: “Me ne vado”. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 95. 
  5. Lu Palmer del Chicago Daily News , uno dei pochi scrittori neri con una propria rubrica, visitò la scena il giorno del raid e intitolò la sua rubrica “C’è una spinta per prendere i Panthers?” Palmer ha risposto con un deciso  . Ha scritto che, quando ha visitato l’appartamento, “è stato subito chiaro che si trattava di omicidio”. Haas, The Assassination of Fred Hampton , 101. Mike Royko, editorialista del Daily News , reporter iconoclasta ma non amico dei Panthers, si recò sul posto e rispose alle affermazioni di Hanrahan dicendo che “i proiettili dei Panthers devono essersi dissolti nell’aria prima” colpiscono chiunque e qualunque cosa. Oppure i Panthers stavano sparando nella direzione sbagliata, vale a dire contro se stessi. Haas, L’assassinio di Fred Hampton , 102. 
  6. Haas, The Assassination of Fred Hampton , 257. Un sopravvissuto al raid soprannominato Doc ha detto che stava dormendo nella camera da letto sul davanti quando la polizia è arrivata alla porta principale ed è stato svegliato da un colpo alla porta. Quando la polizia è entrata nell’appartamento ha sparato “una rapida successione di colpi”. Lo stesso Doc è stato colpito. Dalla porta, una voce disse: “li abbiamo presi, li abbiamo presi”. Doc ha detto di aver urlato: “Mi hanno sparato e non posso muovermi”. Poi ha sentito: “Se le Pantere Nere uccidono la polizia, la polizia ucciderà le Pantere Nere”. A Doc fu quindi ordinato di alzarsi e di uscire. Gli avevano sparato quattro volte dal ginocchio allo stomaco. Quando inciampò, la polizia gridò: “Alzati, negro”. Dopo un mese di degenza in ospedale, Doc è stato ammanettato al letto. (Haas, L’assassinio di Fred Hampton , 255). 
  7. Haas, L’assassinio di Fred Hampton , 90. Una foto della polizia mostrava il corpo di Fred sulla porta in biancheria intima a pois e una maglietta con il sangue che colava dalle ferite alla testa. 
  8. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 173. 
  9. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 186. 
  10. Haas, The Assassination of Fred Hampton, 282. O’Neal ha effettivamente commesso furti con scasso con Bruce. 
  11. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 51. 
  12. Emmett Till era un afroamericano che fu rapito e legato nel Mississippi all’età di 14 anni intensamente perché aveva offerto una donna bianca all’interno di un negozio di alimentari. 
  13. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 20. 
  14. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 30. 
  15. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 32. 
  16. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 284. 
  17. Haas, The Assassination of Fred Hampton, 41. Fred parlava spesso di come il nazionalismo non potesse sostituire l’istruzione. In un discorso, ha detto: “Non si può costruire una rivoluzione senza istruzione. Jomo Kenyatta fece lo stesso in Africa e poiché le persone non erano istruite, divenne un oppressore tanto quanto le persone che rovesciò. Guarda Papa Doc Duvalier ad Haiti. Ha convinto tutti a odiare i bianchi e si è trasformato lui stesso in un dittatore. Come finiranno le persone senza istruzione?” 
  18. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 282. 
  19. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 65. 
  20. Haas, L’assassinio di Fred Hampton, 109. 

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Circa l’autore

Jeremy Kuzmarov è caporedattore della rivista CovertAction.

È autore di cinque libri sulla politica estera degli Stati Uniti, tra cui Obama’s Unending Wars (Clarity Press, 2019), The Russians Are Coming, Again , con John Marciano (Monthly Review Press, 2018) e Warmonger. Come la politica estera maligna di Clinton ha lanciato la traiettoria degli Stati Uniti da Bush II a Biden (Clarity Press, 2023).

Può essere raggiunto all’indirizzo: jkuzmarov2@gmail.com .

 

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