Condanna a 8 anni e sei mesi di carcere per la ex numero uno della confisca dei beni alla mafia. È la sentenza sulla ex presidente delle misure di prevenzione Silvana Saguto. Una condanna in primo grado pesante ma inferiore alle richieste per quello che era un vero e proprio simbolo dell’antimafia. A cinque anni di distanza dal primo avviso di garanzia, dopo tre anni di processo, è stata letta dal presidente del tribunale di Caltanissettta, Andrea Catalano, la sentenza che chiude il dibattimento sugli affari illeciti nella gestione dei beni confiscati alle cosche, definito dall’accusa come “un sistema perverso e tentacolare” di cui la giudice, radiata dalla magistratura nel 2019, era a capo.Si chiude oggi il primo capitolo nel processo che ha di fatto sconvolto il fronte antimafia. Per la ex presidente però cadono molti capi di imputazione, l’accusa aveva infatti chiesto 15 anni e 4 mesi per associazione a delinquere, corruzione e abuso d’ufficio. Il tribunale di Caltanissetta non ha confermato l’accusa di associazione a delinquere. Condotte singole, dunque, per la prima sentenza che porta alla condanna della sola presidente della sezione Misure di prevenzione, mentre i giudici a latere sono stati assolti: Lorenzo Chiaramonte, assolto oggi perché “il fatto non sussiste” e Fabio Licata assolto in abbreviato per abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio (quest’ultimo nel rito abbreviato è stato però condannato per avere apposto una firma falsa). Il tribunale di Caltanissetta ha di fatto accolto solo una parte dell’impianto accusatorio della procura. L’ex giudice era accusata assieme ad altri 14 tra magistrati, avvocati, pure un’ex prefetta. Tra gli imputati anche i parenti: il padre, il marito e il figlio. L’indagine prese inizio 5 anni fa, quando i finanzieri del nucleo di polizia tributaria su ordine della procura di Caltanissetta, misero una cimice negli uffici della giudice.