RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 28 APRILE 2020

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 28 APRILE 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

La giusta comprensione delle cose, il buon comportamento, in un parola la cultura:

tutto ciò dipende dal buon funzionamento della memoria.

IGNACIO GOMEZ DE LIANO, Sul fondamento, Bruno Mondadori,2003, pag. 86 

 

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SOMMARIO

Adesso, davvero, basta!
In morte della democrazia parlamentare
L’economia ferma e il dubbio sui decessi in Italia
Chi e come vuole fare shopping predatorio in Italia
Magaldi: lottare per la libertà. E difesa, gratis, per i multati
Spostamenti: non era meglio definire un raggio di chilometri invece dei confini regionali?
La App Immuni per la “Fase Due”? No, servirebbe la App “Neuroni”. L’ironia di Enzo Grassano su quello che ci aspetta
FACEBOOK MI CHIEDE A COSA STO PENSANDO
Ecatombe psicologica
Noi reclusi, Giulietto Chiesa e il Favoloso Mondo di Giuseppi
MILIONI DI MASCHERINE FANTASMA ORDINATE DAL PD A SOCIETÀ CON SEDE IN UN PRATO
ITALIA-UNGHERIA: DEMOCRAZIE COMMISSARIATE PER COVID-19?
L’Italia in prima linea nella «guerra dei droni»
Il lockdown non è una novità. La terra ci è stata negata per secoli.
GIORNO 48
SIAMO TUTTO E NIENTE, NELLO STESSO MONO-INDIVIDUO COSCIENZIALE
Il colonnello Kvachkov, ex dei servizi segreti militari russi:”coronavirus operazione terroristica
Perché Elkann ha silurato Verdelli da Repubblica
LA POTENZA DELLA STUPIDITÀ
Sogin, una comunicazione spericolata
L’assalto straniero all’economia italiana
Tra emergenza e coronopticon. Tendenze e contraddizioni del capitalismo in crisi
Perché questa epidemia non diminuirà la disuguaglianza
INTERVISTA AL POLITOLOGO AMERICANO EDWARD LUTTWAK
Walther Rathenau ed il sogno di un’economia nuova
L’IDEA EURO-TEDESCA PER SALVARE L’INDUSTRIA AUTO … che ci manderà in fallimento
Berlino assorbe metà degli aiuti europei
Il predominio della finanza sull’economia reale
Emergenza Covid-19 e Costituzione
Migranti, 90 arrivano a Trieste. Siulp: “Poliziotti senza protezioni”
Clausura
La tragica efficienza del capitalismo perfetto sotto coronavirus
Geopolitica del virus
OMS E CINA COMPLICI: LE RAGIONI DI TRUMP
PSEUDO-AMBIENTALISTI E TROGLODITI STANNO PARALIZZANDO IL MONDO
La “fase 2” ovvero il de profundis della rappresentatività
VIRUS SALVA-GOVERNO E AMMAZZA-NAZIONE
Fermare il tracciamento automatico: davanti ai rischi, bisogna poter scegliere
Annibale, colui che voleva distruggere Roma

 

 

IN EVIDENZA

Adesso, davvero, basta!

Comunicato AMPAS del 21/4

di Medicina di Segnale

shutterstock 1499937455Con serenità, ma anche con determinazione, i medici del gruppo della medicina di segnale (735 iscritti all’AMPAS, la nostra associazione, di cui tanti impegnati in prima linea), preoccupati per le possibili derive autoritarie in atto, desiderano fare chiarezza circa la possibilità che siano lesi dei diritti costituzionalmente garantiti per i cittadini.

 

1. Lesione libertà costituzionalmente garantite

In questo periodo sono stati gravemente lesi alcuni diritti costituzionali (la libertà di movimento, il diritto allo studio, la possibilità di lavorare, la possibilità di accedere alle cure per tutti i malati non-Coronavirus) e si profila all’orizzonte una grave lesione al nostro diritto alla scelta di cura. Tutto questo in assenza di una vera discussione parlamentare, e a colpi di decreti d’urgenza. Ci siamo svegliati in un incubo senza più poter uscire di casa se non firmando autocertificazioni sulla cui costituzionalità diversi giuristi hanno espresso perplessità, inseguiti da elicotteri, droni e mezzi delle forze dell’ordine con uno spiegamento di forze mai visto neppure nei momenti eversivi più gravi della storia del nostro paese.

Ora sta entrando in vigore un’app per il tracciamento degli spostamenti degli individui, in patente violazione del nostro diritto alla privacy, e che già qualcuno pensa di utilizzare per scopi extrasanitari.

Ma tra le lesioni più gravi ai nostri diritti costituzionali spicca quella legata al diritto di scelta di cura, ben definito sia nella costituzione che nel documento europeo di Oviedo. Noi medici siamo colpevoli di non aver adeguatamente contrastato, due anni fa, una legge che toglieva al pediatra di fatto ogni dignità e autonomia decisionale.

Ricordiamoci che una lesione di diritti non giustificata è sempre la premessa ad altre possibili lesioni.

 

2. Conflitti di interesse

Gli attori “scientifici” della redazione e della promozione della citata legge Lorenzin non sembrano essere molto diversi dai “consulenti” dell’emergenza di oggi.

Ci chiediamo se le informazioni provenienti dalle figure che operano come consulenti del Ministero della Salute siano diffuse con la comunicazione dei conflitti di interesse che essi possano avere con aziende del settore. Non sarebbe etico né lecito avere consiglieri che collaborano con grandi aziende farmaceutiche.

Sempre in tema di conflitto di interessi: è stato il Parlamento a stabilire i componenti della Task force costituita recentemente per affrontare la cosiddetta fase2? Sono presenti possibili conflitti di interesse? Tali soggetti pare abbiano chiesto l’immunità dalle conseguenze delle loro azioni. Ma non dovrebbero essere figure istituzionali a prendere “decisioni” sul futuro del nostro paese? Una cosa è la consulenza, altro è decidere “in nome e per conto”. Con quale autorità?

 

3. Libertà di espressione e contraddittorio

Il giornalismo dovrebbe essere confronto di idee, discussione, valutazione di punti di vista diversi. Ci chiediamo quanto sia garantita la libertà di espressione anche di professionisti che non la pensano come noi. Vediamo invece giornalisti che festeggiano la “cattura” di un povero runner sulla spiaggia da parte di un massiccio spiegamento di forze, e la sistematica cancellazione di ogni accenno a diversi sistemi di cura rispetto alla “narrazione ufficiale” del salvifico vaccino, si tratti di vitamina C o di eparina, in totale assenza di contraddittorio.

In questo quadro intossicato, le reti e i giornali maggiori mandano in onda continuamente uno spot, offensivo per l’intelligenza comune, in cui si ribadisce a chiare lettere che la loro è l’unica informazione seria e affidabile: il resto solo fake. Viene così creata l’atmosfera grazie alla quale si interviene su qualunque filmato, profilo social, sito internet che non si reputi in linea con la narrazione ufficiale. Nessuna dittatura può sopravvivere se non ha il supporto di una informazione asservita.

 

4. Vaccino: soluzione a tutti i mali?

Tutti aspettano come una liberazione il nuovo vaccino (che giornalisti e virologi a senso unico continuano a vantare come l’unica possibile soluzione), dimenticando alcuni fatti. Il primo è che il vaccino viene sviluppato sulla base delle proiezioni teoriche sui virus in circolo l’anno precedente, e dunque è una “scommessa” (è esperienza comune ad ogni inverno che molte persone vaccinate si ammalino comunque). Il secondo è la continua forte variabilità di un virus a RNA come il Coronavirus, di cui pare esistano già diverse varianti. Ciononostante, in dispregio anche del rischio di interferenza virale (per cui il vaccino per un virus diverso può esacerbare la risposta ad un altro virus) la regione Lazio propone l’obbligatorietà per tutti i sanitari e tutti gli over65 di effettuare vaccinazione antinfluenzale ordinaria, violando ancora una volta (se l’obbligo fosse reale) il diritto costituzionale alla scelta di cura. E i difensori della costituzione, muti. Facile immaginare cosa succederà non appena sarà reso disponibile, con iter accelerati e prove di sicurezza minimali, il nuovo vaccino salvavita. Da medici vogliamo ribadire l’importanza del rispetto della libertà di scelta di cura così come costituzionalmente definita.

 

5. Bambini e movimento fisico

Una nota è necessaria per capire la gravità della situazione anche per quanto concerne movimento fisico e chiusura in casa dei nostri bambini. La stessa OMS si è pronunciata nel merito raccomandando l’uscita all’aria aperta e il movimento fisico come indispensabili presidi di salute e di sostegno immunitario. Quasi tutti gli altri paesi europei hanno consentito l’uscita in solitaria per fare sport e la passeggiata con i bambini. Noi no. Con una regola di incredibile durezza, venata di un inaccettabile paternalismo (“se li lasciamo liberi poi non sono capaci di stare distanti”) abbiamo creato disagi psicologici e fisici (obesità e sedentarietà) e costretto a salti mortali i pochi obbligati al lavoro (sanitari, agricoltori, trasportatori, negozi alimentari).

Non possiamo inoltre non rimarcare la totale disattenzione di questi draconiani provvedimenti nei confronti delle famiglie con figli disabili (e in particolare autistici) per i quali il momento quotidiano di uscita all’aria aperta rappresenta un indispensabile supporto alla propria difficile condizione. I più fragili, come sempre, pagano il pedaggio più duro.

Tutto ciò non bastasse è stata scatenata la guerra del sospetto e della delazione tra gli invidiosi delle libertà altrui.

Come lucidamente scrive Noam Chomsky, mettere i propri sudditi uno contro l’altro è uno splendido sistema per qualunque dittatura per distrarre il popolo da quello che veramente il potere sta perpetrando a suo danno.

L’intervento di squadre di polizia con quad ed elicotteri ad inseguire vecchietti isolati sui sentieri non fa che rafforzare l’idea di poter essere tutti sceriffi, a dimostrazione della perfetta riuscita di induzione della psicosi da parte del potere.

 

6. Danni economici del lockdown: un disastro epocale

Alcuni comparti, come quello del turismo, della ristorazione o automobilistico hanno avuto riduzioni di fatturato vicine al 100%. Questo significherà, come dicono le prime stime, una decina di milioni di disoccupati. Che smetteranno di pagare i mutui in corso. Smetteranno di acquistare beni di consumo. Perderanno le loro attività o le loro aziende costruite in decenni di sacrifici. Noi medici sappiamo cosa significhi questo a livello sanitario: migliaia e migliaia di nuovi decessi. Persone che si ammaleranno, si suicideranno (le prime avvisaglie sono già visibili), ritireranno i propri risparmi in banca. Serve ripartire subito, tutti, senza tentennamenti. Per ridurre i danni, che comunque, anche si ripartisse oggi, saranno epocali. Se domani si dovesse scoprire che qualcuno ha surrettiziamente prolungato il lockdown italiano (ad oggi il più duro d’Europa) per mantenere alto il panico e trovare un ambiente più pronto all’obbligo vaccinale, ci auguriamo solo che la giustizia possa fare il suo corso con la massima durezza. La gente perde il lavoro e muore di fame, e lorsignori pontificano.

 

7. Le cure

Anche qui l’argomento è imbarazzante. È comprensibile che un virus nuovo possa spiazzare anche i migliori medici per qualche tempo. Ma via via che le informazioni si accumulano occorrerebbe ascoltare coloro che sul campo hanno potuto meglio capire. Un gruppo Facebook di cui molti di noi fanno parte, nato spontaneamente come autoaiuto, e che conta circa 100.000 iscritti, ha elaborato delle raccomandazioni di cura efficaci poi inviate al ministero.

Oggi che pare chiaro e assodato che il decesso avvenga a causa di una forte coagulazione intravascolare molte vite possono essere salvate con l’uso della semplice eparina. Ma non basta: servono anche attenzioni specifiche a seconda del timing della malattia: ai primi sintomi, ai primi aggravamenti, o in fase procoagulativa. In particolare a noi medici di segnale risulta difficile comprendere l’uso massivo di paracetamolo o di altri antipiretici una volta acclarato che la febbre è un potente antivirale per l’organismo. È in preparazione un documento interassociativo anche su questo delicato argomento che merita più ampia trattazione.

Ove qualcuno, tuttavia, si permetta di ritardare l’adozione di sistemi di cura efficaci, per motivi meno che chiari (e alcuni interventi televisivi volti a screditare l’eparina sembrano andare in quella direzione) si aspetti reazioni forti da chi ha rischiato la propria vita in prima linea.

La magistratura sta ora indagando sui gravi errori commessi in alcune regioni nella gestione delle residenze per anziani, veri e propri focolai d’infezione con purtroppo un numero elevatissimo di decessi, stante la fragilità e la polimorbilità degli ospiti, quasi sempre in trattamento con statine, antipertensivi, analgesici, antidiabetici. Al di là delle responsabilità regionali, che la magistratura valuterà, preme fare dei numeri: dei 22000 decessi totali nazionali ben 7000 (il 30%!) sono di degenti in RSA. Un dato sconvolgente, ma che deve farci riflettere sull’incremento importante dei decessi in alcune province.

Gli errori fatti, in buona o cattiva fede, sono costati la vita a più di 100 medici e ad un alto numero di altri operatori sanitari che sono stati mandati allo sbaraglio senza un piano preciso e senza i necessari dispositivi di protezione. A loro va la nostra più profonda gratitudine.

 

8. Test sierologici ritardati o non autorizzati

Uno dei modi per capire quante persone hanno già incontrato il virus (smettiamo di chiamarli “contagiati”, perché talvolta hanno avuto solo lievi sintomi influenzali e prodotto splendidi anticorpi) è quello di effettuare un test sierologico, che è di costo contenuto e che evidenzia malattia in corso (IgM+) o malattia superata e presenza di anticorpi memoria (IgG+). Chi sia IgG+ potrebbe già serenamente ricominciare a muoversi senza particolari cautele né per sé né per gli altri. Sensibilità e specificità di questi test sono altissime a differenza di quelle dei tamponi. Perché tanta ostilità da parte di governo e istituzioni sanitarie tanto da vietarne l’uso “fino ad approvazione di un test affidabile”? I casi di Ortisei (45% di positivi) e di Vò Euganeo (75%) ci dicono che probabilmente il virus si è già diffuso molto più di quanto pensiamo e che le misure in essere potrebbero non essere poi così necessarie, almeno in alcune zone d’Italia.

 

9. Qualche numero

Vi prego risparmiateci il teatrino delle 18. Quei numeri non sono affidabili e fanno parte di una consumata regia. A fianco di Borrelli sfilano talvolta alcune figure i cui potenziali conflitti d’interesse non vengono mai dichiarati.

Il numero dei “contagiati” è privo di senso, visto che dipende dal numero di tamponi effettuato. E la stragrande maggioranza della popolazione potrebbe già avere incontrato il virus senza saperlo. Stime della Oxford University parlano di 11 milioni di potenziali positivi già ora. Se questo dato fosse vero la letalità di Sars-Cov2 sarebbe veramente irrisoria: lo 0,05%, anche prendendo per veri i dati di mortalità. Ma anche su questi permane il terribile dubbio sui decessi PER e CON Coronavirus. Diverse testimonianze mettono in forte dubbio il dato, visto che ogni giorno in Italia ci lasciano circa 1900 persone (dati ISTAT) e non si fa fatica ad estrarne 400, tra questi, che siano anche positivi al virus. Tuttavia è dato chiaro a chi lavori in prima linea che la grave coagulazione intravascolare indotta dall’incontro tra il virus e un terreno per lui fertile (età media decessi 78 anni, media 3,3 patologie presenti) possa portare rapidamente alla morte individui fragili che tuttavia avrebbero volentieri vissuto qualche anno ancora. In Inghilterra hanno rilevato che che il 73% dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva per CoronaVirus è sovrappeso o obeso. Come dice il dr. Lustig: “Il virus non distingue chi infetta ma distingue benissimo chi uccide”.

Questi pazienti fragili comunque avrebbero preferito morire tra le braccia dei loro cari piuttosto che da soli in questo modo terribile.

In altri paesi hanno usato modalità di calcolo diverse. Non potremmo chiedere dati più precisi e affidabili evitando di diffondere panico e preoccupazione?

 

10. Altri Paesi europei e non: lockdown molto diversi

Altri paesi sia in Europa che nel mondo stanno adottando lockdown parziali molto meno rigidi di quello italiano, tanto che il lockdown completo viene ormai tristemente chiamato “all’italiana”. Eppure abbiamo il problema da prima di tutti gli altri e ci stanno facendo credere che lo chiuderemo buoni ultimi. Per colpa dei runner e dei bimbi a passeggio, ovviamente. Peccato che in molti paesi europei la passeggiata di adulti e bambini, la gita al mare, l’accesso alle seconde case sia quasi ovunque consentito, a patto di mantenere il distanziamento sociale. Ma non eravamo nell’Europa unita? Perché questa crudeltà nella sola Italia? Siamo ancora il paese cavia? Richiediamo con forza di allinearci al più presto alle direttive in essere nella maggior parte dei paesi europei.

 

11. Sostegno al sistema immunitario: i sani proteggono

Un punto chiave, che è sfuggito totalmente ai nostri governanti e ai nostri media è che i sani (quell’85% delle persone che ha incontrato il virus e nemmeno se ne é accorto, o ha subito lievi sintomi, costruendo presto gli anticorpi necessari) conducono uno stile di vita più sano che ne ha irrobustito e forgiato il sistema immunitario. Mangiare sano, fare sport quotidiano, condurre una vita meno stressante (magari abitando fuori città), assumere vitamine e integratori naturali, fare a meno di farmaci inutili, rinunciare a fumare, a drogarsi o a bere senza controllo, rappresenta un impegno che si vorrebbe vedere in qualche modo valorizzato come comportamento virtuoso quantomeno in relazione al risparmio che consente al sistema sanitario nazionale e, in questo caso, alla protezione dalla diffusione del virus e alla non occupazione di un posto letto, lasciato così libero per un altro.

Invece se accendiamo la TV vediamo solo pubblicità di farmaci e di dolciumi. E tra i pochissimi negozi aperti, in pieno lockdown, lo stato ha pensato bene di lasciare le tabaccherie. Fuma, riempiti di dolci, stai sedentario e ingozzati di farmaci: questo il messaggio che lo stato ci ha dato in questo periodo. Tanto, presto, arriverà il vaccino.

 

12. Le richieste

Consapevoli del fatto che il futuro sarà nuovo e diverso solo se capiremo che la nostra biologia non ci consente di vivere in città superaffollate, inquinate, fumando, drogandoci e mangiando solo cibi industriali e raffinati in completa sedentarietà, vogliamo sperare che il “dopo emergenza” possa essere migliore del “prima”. Ma questo potrà avvenire solo se avverranno molte delle cose che siamo qui a richiedere, alcune immediate, altre a breve.

Richiediamo dunque con forza, a nome dell’associazione AMPAS e dei 735 medici che ne fanno oggi parte (nonché dei numerosi simpatizzanti non medici):

  • L’immediato ripristino della legalità istituzionale e costituzionale, richiamando il parlamento alle sue funzioni democratiche e al dibattito che necessariamente deve scaturirne.
  • L’immediata cancellazione di task force e di consulenti esterni i cui conflitti di interesse potrebbero essere letti, nel momento in cui si affidino loro responsabilità non previste istituzionalmente, come un aggiramento delle regole democratiche.
  • L’immediato ripristino del diritto al lavoro per milioni di italiani, che se non possono avere il proprio stipendio saranno presto alla fame con conseguenze prevedibili di ordine pubblico (nel rispetto delle nuove regole di distanziamento fino a che sarà necessario)
  • L’immediato ripristino del diritto allo studio per milioni di bambini, ragazzi, studenti universitari che sono stati da un giorno all’altro privati di uno dei loro diritti fondamentali (nel rispetto delle nuove regole, fino a che sarà necessario)
  • La protezione del diritto alla scelta di cura, già violato da precedenti leggi, per impedire l’obbligatorietà di ogni possibile nuovo trattamento sanitario. Ogni nuovo provvedimento emesso in emergenza dovrà obbligatoriamente prevedere una data di fine del provvedimento, al fine di non “tentare” alcuni a rendere le restrizioni alle libertà una regola.
  • Il blocco di qualunque “app” o altro dispositivo informatico volto al controllo dei movimenti delle persone in palese violazione della nostra privacy.
  • L’immediata riapertura della possibilità per adulti e bambini di uscire all’aperto a praticare sport, passeggio, vita sociale, seppur nel rispetto delle regole necessarie.
  • Il ripristino immediato di una par condicio televisiva o mediatica, con ospitalità nelle trasmissioni di esponenti, ovviamente qualificati, di diversi punti di vista, con allontanamento immediato (o retrocessione a mansioni diverse) di conduttori che non abbiano saputo tener fede al loro dovere di giornalisti.
  • Dichiarazione dei propri conflitti di interesse da parte di qualunque professionista sanitario che esprima un parere televisivo o partecipi a un dibattito. L’omissione deve essere punita con un allontanamento mediatico proporzionato. Lo spettatore deve sapere se chi sta parlando riceve milioni di euro da un’azienda, o meno.
  • Il divieto di chiudere o cancellare siti o profili social in assenza di gravi violazioni di legge. Eventuali cancellazioni dovranno comunque essere tempestivamente notificate e giustificate. La rimozione di idee ed opinioni solo perché diverse dal mainstream ufficiale non è degna di un paese civile.
  • Il divieto per le forze dell’ordine di interpretare a propria discrezione le regole di ordine pubblico fissate dai decreti. Qualunque abuso, anche minimo, dovrà essere perseguito.
  • Il divieto di radiazione di medici per la sola espressione di idee diverse da quelle della medicina ordinaria. Da sempre il dialogo e il confronto tra idee diverse ha arricchito la scienza, che cambia e si evolve. Non sopravvalutiamo le nostre attuali misere conoscenze.
  • L’attivazione tempestiva di nuovi protocolli di cura in tutti gli ospedali Covid19 che, oltre a garantire la salute del personale sanitario, prevedano l’utilizzo di vitamine, minerali, ozonoterapia e tutte le cure naturali e di basso costo efficaci e documentate, accompagnando via via con farmaci più a rischio di effetti collaterali solo in caso di aggravamento, e attivando solo per la fase di crisi o pre-crisi l’utilizzo dei farmaci immunosoppressori e dell’eparina.
  • La disponibilità immediata e per tutta la popolazione di test sierologici IgM e IgG che possano consentire da subito sia di monitorare lo stato di diffusione del virus nelle diverse aree, sia dare la possibilità a chi sia IgG+ di riprendere la propria vita senza alcuna limitazione.
  • In una ipotesi di graduale diffusione dell’immunità virale, particolare attenzione dovrà essere riservata alla popolazione fragile: anziani, obesi, ipertesi, diabetici, infartuati (le categorie più colpite). Nel rispetto del diritto di scelta di cura nessun obbligo potrà essere dato se non temporaneamente, ma solo forti raccomandazioni e informazioni dettagliate sui rischi di infezione. Un individuo fragile deve poter scegliere se rischiare di morire abbracciando il suo nipotino, o restare vivo recluso in casa senza vedere nessuno.
  • Una forte campagna informativa sui rischi legati ad un cattivo stile di vita e su come tale stile aumenti il rischio di essere infettati. O vogliamo essere costretti a tenere le mascherine tutta la vita e a non poterci più abbracciare per consentire a qualcuno di fumare e di gonfiarsi di farmaci e di merendine zuccherate, disdegnando qualsiasi tipo di movimento fisico? Ciascuno resterà libero di farsi del male ma almeno lo stato non potrà dirsi complice.
  • Il divieto, almeno in questo periodo, di pubblicizzare sulle reti televisive e sui giornali farmaci e prodotti dolciari ingrassanti, al pari di come già in atto con il fumo.
  • Un aiuto immediato alle tante famiglie in crisi che a causa di questo lockdown totale hanno smesso di lavorare e di produrre reddito, con modalità molto semplici (ad esempio ticket a valore per acquisti di derrate alimentari). L’aiuto migliore per le aziende, invece dell’elemosina, sarà una tempestiva riapertura.

FONTE:https://www.sinistrainrete.info/societa/17567-medicina-di-segnale-adesso-davvero-basta-comunicato-ampas-del-21-4.html

 

In morte della democrazia parlamentare

In morte della democrazia parlamentareIl coronavirus ha certamente dato dispiaceri e lutti all’Italia, ma ha (si spera) aperto gli occhi a chi reputava il male di questo Paese fosse il parlamentarismo.

L’essersi imbattuti in Giuseppe Conte e nei 5 Stelle dovrebbe destare questo popolo e, si spera, farlo maturare politicamente. Depotenziamento parlamentare e formazione della classe dirigente tornano per lo scrivente la vera emergenza del momento, e ben superiore all’umana e miserabile pandemia. Perché i malanni passano, ma i guasti politici al sistema rimangono, ed è difficile porci rimedio quando le democrazie partecipate vengono riposte in soffitta.

La formazione della “classe politica”, che i 5 Stelle hanno affidato alla Rete, è del tutto simile alla formazione lavorativa a distanza, alle videolezioni, all’università virtuale: produce impreparazione generalizzata, ci fa rimpiangere il cosiddetto “vecchio ordinamento formativo”. I libri, il confronto, l’interrogare i giovani, l’appurare se nozioni e senso critico e di sintesi convivono in chi si candida a classe dirigente. Da anni lo scrivente rammenta che, tutta l’operazione egemonica dei cosiddetti “formatori politici” sulla cultura italiana del Novecento s’è svolta attraverso il metodo filosofico della “critica”: quel confronto che per comodità appelliamo come crociano, come “critica crociana”, ma che di fatto sintetizza l’approccio che mette d’accordo tutti i filosofi formatori sull’esigenza di una coscienza politica nella cosiddetta “classe dirigente” dello Stato. Caratteristica che vediamo totalmente assente nel Governo Conte come nell’attuale alta burocrazia dello Stato: prova facile è l’“annuncite” ed il presenzialismo alla Rocco Casalino che pervade Conte e tutto il suo nugolo di subalterni. Questo atteggiamento desterà gli animi irrequieti, il senso anarcoide della violenta indigenza: e non basteranno i proclami del ministro dell’Interno (degni di un paludato Fiorenzo Bava Beccaris) a chetare le necessità di base di un popolo. E dire del “c’è la mafia dietro chi chiede violentemente di lavorare e portare il pane a casa”? Apre le porte alla guerra civile. Si spera che qualche presuntuosetto di 5 Stelle sfogli un libro di storia, facendo cascare la propria attenzione sul cosiddetto “biennio rosso”. Si spera possa desumerne che mafia e proteste non sono mai compatibili. Ma questa presunta classe dirigente manca di pratica e lavoro: gli studi crociani rimarcano come il realismo della “classe dirigente” sia preesistente agli studi marxiani ed alla “classe politica militante”, perché presente fin dal sorgere dell’animo borghese (lo confessava lo stesso filosofo di Treviri a Friedrich Engels). Ma i 5 Stelle non sono aristocrazia né borghesia, né proletariato contadino e operaio, né tantomeno conoscono le regole del sottoproletariato e poi degli stenti, della miseria. Sono il nulla, il vuoto coscienziale pneumatico, che crea buchi neri nell’universo dell’animo elettorale grazie all’uso della Rete.

Il progetto dei 5 Stelle guardava sin dal suo sorgere alla riduzione della classe dirigente italiana. Ed i grillini raccolgono consensi come tagliatori di teste per l’intero Stivale: badando bene a poter dimezzare sia per via politica che giudiziaria l’intera classe decisionale. Non è un caso che nel progetto del “Nuovo Ordine Mondiale” (partorito dal Bilderberg) si guardi ad un Bel paese ridimensionato nell’identità dirigenziale. Al Bilderberg frequentato da Vittorio Colao è stato predicato che, gran parte della popolazione dovesse accettare la riduzione della qualità della vita in prospettiva di una visione cinese del lavoro. Una congèrie di sociologi (in primis Domenico De Masi) e variegati studiosi motivano da tivù e giornali l’utilità di dimezzare il grande corpo intermedio, che ha dilatato negli ultimi decenni la borghesia italiana. Ecco perché il pensiero della Casaleggio Associati ha davvero poco in comune col popolo, con l’elettorato, con la democrazia.

Ecco cosa sottende il depotenziamento parlamentare, e l’uso smodato dei decreti. Ovvero convincere l’elettorato che il Parlamento sia un potere contrapposto al popolo. E per minare le funzioni democratiche, c’è chi governa abusando della “decretazione d’urgenza” in nome d’una fantomatica “efficienza normativa”. Ecco perché viene da chiedersi come facciano i cattolici a governare con i 5 Stelle: loro, allievi del Partito popolare di Sturzo, che nel 1919 dichiarava che “solo il Parlamento rappresenta il Paese”. E come fanno le sinistre, che pur sempre hanno radice socialista, ad accettare le regole di Giuseppe Conte e dei comitati d’autocrati (Colao e compari)? Loro che nel 1953 scatenarono un aspro conflitto parlamentare contro la “legge truffa”, a cui veniva imputato di snaturare proprio la sacralità della rappresentanza parlamentare.

Il Parlamento è il brodo ancestrale della democrazia politica: vecchi e nuovi partiti possono dissolversi o sciogliersi in altre forze, si può modificare infinite volte il quadro di governabilità. Ma la presenza d’un Parlamento è garanzia che tutto poi venga votato dagli elettori. Parlamentarismo e presidenzialismo sono contrapposte ipotesi democratiche di riforma costituzionale. Ma la riduzione dei parlamentari non è un virus, è la stessa morte del parlamentarismo, e della democrazia. In autunno forse si svolgerà il referendum, e si spera la decretazione autoritaria di Conte possa influire sull’esito. Così che l’Italia possa bocciare derive autocratiche e lesive di libertà e diritti conquistati col sangue e col carcere.

FONTE:http://www.opinione.it/editoriali/2020/04/24/ruggiero-capone_m5s-classe-dirigente-formazione-politica-virus-casaleggio-parlamentarismo-colao/

 

 

 

L’economia ferma e il dubbio sui decessi in Italia

di Paolo Becchi* e Giovanni Zibordi*

(I commenti ospitati nella sezione Interventi non sono di giornalisti e commentatori de Il Sole 24 Ore e non impegnano la linea editoriale del giornale)

Il crollo del PIL atteso in Italia ora è dell’ordine del 20% nei prossimi mesi e anche assumendo una ripresa nella seconda parte dell’anno, molte proiezioni del PIL italiano lo riportano indietro rispetto al livello pre-crisi (2007) di quasi un 20%.

Una buona parte di questo disastro economico è autoinflitto perché l’Italia è il paese che ha adottato il “modello Wuhan” di chiusura totale (“total lockdown”), prima e più di qualunque altro, tanto è vero che oggi si parla di “lockdown” all’italiana.

Nessuno sa con esattezza quale fosse il numero di morti in Wuhan che aveva indotto il governo cinese a questa politica. Ci sono molti report che stimano 10 o anche 50 volte più decessi in quella zona e anche in Cina di quelli ufficiali. Nel resto dell’Asia lo si è evitato e anche in Australia ad esempio. Durante queste vacanze pasquali si potevano vedere folle in spiaggia o in viaggio o nei parchi divertimento in tutta l’Asia mentre da noi si inseguivano a uno a uno con droni chi usciva di casa.

In Italia si assume che questo “total lockdown” stile Wuhan sia giustificato data la mortalità triplicata o quadruplicata a Bergamo, Brescia, Piacenza, Pavia e altre province del Nord nel mese di marzo rispetto agli anni precedenti e si possono leggere articoli che citano “14mila morti in più” o anche, come fa “la Stampa”, ad es. “63 mila morti in più” (da quando è iniziato il conteggio del Covid).

In Italia siamo circa in 60 milioni, abbiamo 650 mila decessi l’anno e circa 230 mila decessi nel periodo gennaio-aprile e quest’anno, in base ai dati Istat, non si riscontra un aumento complessivo di mortalità rispetto agli anni precedenti. (sito italiaora.org)

LA PRECISAZIONE DELL’ISTAT – I DATI SUI DECESSI DEI PRIMI 4 MESI COPRONO SOLO PARTE DEI COMUNI

Nessuno ovviamente nega che in Lombardia, a Piacenza, in diverse province del Veneto e in Piemonte o persino a Genova si verifichi un picco drammatico di decessi rispetto agli anni precedenti, ma quando parliamo della mortalità complessiva nel nostro paese, le cause dei decessi sono diverse, le province afflitte dai casi di Covid hanno un 20% della popolazione e questo inverno, come hanno notato diversi report (ad es di Bloomberg il 6 aprile) c’erano meno morti del solito.

Se ci limitiamo a rilevare allora i dati dei decessi nazionali da inizio anno vediamo che, per gli anni precedenti, l’Istat fornisce un totale, dei primi 4 mesi dell’anno di 231 mila morti (arrotondando alle migliaia), parliamo di tutti i morti dal 1 gennaio al 30 aprile in tutta Italia (vedi https://www.istat.it/it/files//2020/03/Tavola-sintetica-decessi.xlsx).
Quest’anno, alla data dell’ultimo aggiornamento del 13 aprile, siamo arrivati a 191 mila decessi . Per fare un confronto dobbiamo allora stimare quanti saranno allora i decessi nell’aprile 2020 per il quale abbiamo i dati fino al 13 aprile.

Dato che ad esempio il 13 aprile ci sono stati 1,457 decessi, stimiamo il totale dei decessi per il resto del mese di aprile come 1,457 X 17 giorni = 25 mila decessi (arrotondando alle migliaia).

Se allora sommiamo ai 191mila decessi alla data del 13 aprile (partendo dal 1 gennaio), la stima di altri 25 mila decessi nel resto del mese di aprile, ottengo 216mila decessi nei primi 4 mesi del 2020 in Italia complessivamente. Dato che la media degli anni precedenti è di 231 mila decessi (sempre nei primi 4 mesi dell’anno), si avrebbe che nel 2020 si stanno verificando meno decessi (circa 15 o 16 mila in meno).

Nei primi quattro mesi del 2020 il totale nazionale che si può stimare intorno a 216 mila decessi sembra essere inferiore a quello dell’anno precedente (232 mila) e alla media degli ultimi cinque anni (231 mila).

In parole povere, in base ai dati pubblicati finora, non è morta più gente quest’anno rispetto agli anni precedenti in Italia nel suo complesso – fermo restando, ripetiamo, che in Lombardia, a Piacenza e altre province da fine febbraio c’è stata un mortalità tripla in media della media. Noi stessi siamo sorpresi di questo dato e siamo aperti a spiegazioni e correzioni che spieghino diversamente i dati che abbiamo rilevato dall’Istat. Insomma, si apra un dibattito libero, come avviene negli altri Paesi.

L’obiezione che il lockdown abbia ridotto la mortalità al punto di farla scendere persino sotto la media storica non sembra valida perché quella italiana è la seconda più alta del mondo per il Covid, con 338 morti per 1 milione di abitanti e tanti paesi che non hanno messo tutti agli “arresti domiciliari” come noi (Corea, Giappone, Taiwan, Hong Kong, Australia, Svezia) hanno mortalità inferiore a 90 morti per 1 milione. Anche paesi che hanno applicato una via di mezzo come l’Olanda e gli USA hanno mortalità dimezzata rispetto a noi. Sembra cioè poco plausibile che senza lockdown l’Italia avrebbe avuto una mortalità ancora più alta, visto che tanti altri paesi che lo applicano molto meno hanno anche molti meno morti. Del resto la Germania sta ottenendo ottimi risultati nel contenimento del virus con una politica che lascia molte libertà ai cittadini.

Lasciamo ad altri le spiegazioni nel merito. Ci limitiamo ad osservare che non è la mortalità eccessiva a livello nazionale che giustifica il blocco prolungato dei diritti e della vita degli italiani. Dal punto di vista dell’economia italiana c’è una distruzione di reddito enorme, dal punto di vista culturale – qui solo un accenno, si rinvia per un approfondimento all’appello firmato da Aurelio Tommasetti e Paolo Becchi – con la chiusura della Università, o meglio la sua trasformazione in università telematica prevista per il prossimo semestre autunnale, il Paese ha deciso di suicidarsi.

Paolo Becchi è professore ordinario di Filosofia del Diritto presso l’Università di Genova
Giovanni Zibordi è trader e consulente manageriale e finanziario

FONTE:https://www.ilsole24ore.com/art/siamo-l-unico-paese-mondo-che-sta-distruggendo-sua-economia-e-sua-cultura-causa-virus-ADemZwK

Chi e come vuole fare shopping predatorio in Italia

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Mentre la pandemia attanaglia l’Italia, alcuni potenti guardano a quell’Italia fatta da centinaia di imprese ‘tascabili’ ma internazionali di grande valore per fare shopping predatorio. L’analisi di Gianni Bessi, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna e saggista

Telecomunicazioni e big data strategici sono lo sviluppo per la supremazia geopolitica. Nelle infrastrutture strategiche dell’Information technology sono custoditi saperi, segreti che riguardino dati sanitari, dati economici, dettagli decisivi di brevetti, offerte per gare d’appalto internazionali. Queste infrastrutture hanno diramazioni e nodi globali, come quello di Gibuti nel quadrante del corno d’Africa, che è conteso da Stati Uniti e Cina, con quest’ultima che ha accresciuto la propria presenza in terra africana con l’obiettivo di acquisire posizioni nel settore. Una competizione che si allarga dalla dorsale mediorientale che arriva nel cuore del Mediterraneo passando anche dall’Iran e dalla Turchia.

Ma, appunto, questo viaggio fatalmente passa anche dalla nostra penisola, che è snodo cruciale tra il sud e il nord del mondo, ormai il vero limes della competizione tra un’anglosfera che si è compattata grazie alla Brexit e le potenze euroasiatiche.

È una lotta per la supremazia che non incendia i cieli con le scie dei missili o non riempie le strade col rumore delle pallottole: ma è geopolitica al suo meglio, che vede noi cittadini inermi di fronte al rischio di violazione della nostra privacy per l’incetta di dati sensibili. Così come rischia di sorprendere le nostre aziende strategiche, messe in difficoltà in un momento di fragilità come quello attuale dalle fluttuazioni degli indici di borsa o dalla scarsa liquidità o capitalizzazione. E mettere a nudo i limiti del nostro capitalismo famigliare con la conseguente perdita dei nostri fiori all’occhiello, che sono tanti, con tutte le conseguenze sulle filiere dei subfornitori.

Per opporci dobbiamo fare ricorso allo strumento più efficace, che poi è sempre lo stesso di sempre: fare sistema come Paese. E farlo dalle politiche industriali alle politiche energetiche fino alle politiche delle telecomunicazioni che verranno prese in tempi di “politica Covid-19”. In quest’ottica è stata utile l’estensione dello strumento del Golden Power per allargare la protezione ai settori strategici grazie anche alla vigilanza dei nostri servizi di informazione e sicurezza.

Ci vuole quindi attenzione, molta attenzione, per evitare che lo shopping ci privi della nostra ricchezza economica e produttiva: e non dobbiamo solo guardarci dal dragone cinese ma da tutti i competitori interessati a mettere i piedi, e il portafoglio, sullo Stivale. Dagli Stati holding, alle dittature, specialmente nella loro recente evoluzione semantica, le ‘democrature’. Senza dimenticare che le democrazie liberali europee o di oltreoceano grazie ai loro sistemi finanziari e imprenditoriali globali hanno a disposizione capitali in grado di portarsi a casa una società o un’industria con un clic. Perché nel mondo dei salotti finanziari di tutto il mondo, la nostra mosca ne è testimone, vale sempre la ruvida filosofia di Enrico Cuccia racchiusa in una frase-simbolo: “Articolo quinto, chi ha i soldi ha già vinto”.

Le relazioni, gli interventi, le interviste di qualsiasi esponente politico, economico, sociale o culturale oggi si aprono con il riferimento alla crisi sanitaria che stiamo affrontando a causa della diffusione del Covid 19. È comprensibile, dovuto, ma soprattutto inevitabile. Perché le crisi non si esauriscono mai solo con la conta delle perdite, ma anche con la lista delle opportunità che ogni difficoltà offre a chi ne sa approfittare.

E in questo momento una della opportunità più ghiotte è quella di potere ‘fare acquisti’ nel  nostro Paese: e non intendo lo shopping sotto il nostro inimitabile sole primaverile, ma l’acquisizione dei nostri gioielli produttivi. Per tentare di capire come si sta muovendo il mondo in sottotraccia alla pandemia mi sono affidato ancora una volta alla mosca che ho scelto come protagonista del blog che viene ospitato da due anni su Start Magazine. L’insetto ficcanaso si intrufola nelle stanze dei potenti posandosi, non vista, sui muri delle stanze in cui si prendono le decisioni strategiche. Ha viaggiato tanto questo insetto ficcanaso, al punto che gli interventi sul blog sono diventati così tanti che ho pensato di raccoglierli in un libro pubblicato da goWare edizioni.

Nell’ultimo volteggiare ha origliato i discorsi dei potenti che stanno seguendo quell’Italia fatta da centinaia di imprese ‘tascabili’ ma internazionali di grande valore, in grado di competere nei mercati globali, all’avanguardia nella tecnologia, nelle conoscenze dei settori strategici, dalla manifattura alle telecomunicazioni. Tra i potenti interessati a comprarsi un pezzo d’Italia non ci sono solo capi di Stato ma anche personaggi meno noti al pubblico. Giusto per citarli collettivamente, con soprannomi fantasiosi ma evocativi, i lupi di Wall Street, i diavoli della City, gli gnomi delle banche di affari di Zurigo o Parigi e i buba di Francoforte.

E qual è oggi l’articolo che rischia di finire nel  carrello della spesa? Le telecomunicazioni, ovviamente, perché conoscenza e saperi passano dai big data, che non significano solo le app nei nostri smartphone ma anche tecnologia per risolvere conflitti e per assicurare la sicurezza nazionale. Ce lo ricorda il conflitto tra Iran e Usa, dove una parte fondamentale l’hanno giocata i droni con cui sono state colpite le installazioni petrolifere saudite e poi, nella risposta a stelle strisce, hanno posto fine alla vita del potentissimo generale persiano Soleimani.

FONTE:https://www.startmag.it/economia/chi-e-come-vuole-fare-shopping-predatorio-in-italia/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Magaldi: lottare per la libertà. E difesa, gratis, per i multati

«Mi stupisce, la delusione di tanti italiani per l’ultimo discorso di Conte: che liberazione si aspettavano, il 4 maggio? Quella dal nazifascismo, appena celebrata, è costata lacrime e sangue. Una vera liberazione la si può fare soltanto se si è disposti a combattere». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, annuncia due iniziative dirompenti. La prima si chiama Sostegno Legale. «Stiamo già raccogliendo moltissime segnalazioni, da parte di cittadini che in tutta Italia hanno subito abusi e sanzioni ingiuste, durante la quarantena: saranno difesi, in modo gratuito, dai nostri avvocati e dai tanti legali che stanno aderendo all’iniziativa». A coordinare il team, l’avvocato Ivo Mazzone insieme alla giornalista Monica Soldano. Ispiratore dell’iniziativa, Gianfranco Carpeoro (all’anagrafe Pecoraro, con alle spalle trent’anni di attività forense a Roma e Milano). «E’ vergognoso – dice Carpeoro – il tentativo di colpevolizzare i cittadini, di fronte all’evidente fallimento del lockdown come misura per contenere il contagio». Capitolo secondo, la Milizia Rooseveltiana: «Stiamo arruolando cittadini – annuncia Magaldi – in una milizia pacifica, nonviolenta e gandhiana, ma dura e ferma nel prepararsi a combattere le battaglie di domani, affinché nessuno provi a disciplinare socialmente le nostre collettività in senso antidemocratico e liberticida, proponendoci periodicamente un’emergenza dopo l’altra».

Durissimo il giudizio di Magaldi sul primo ministro: «Conte va immaginato come un nemico del ritorno alla normalità: sta cercando di rallentare il più possibile il ritorno alla vita di prima». Aggiunge: «E’ chiaro che il premier ha tutto da guadagnare, Posto di bloccopersonalmente, dal prolungamento di questa situazione: nel momento in cui si tornasse a una vera normalità dovrebbe fare i conti con la disastrosa situazione socio-economica in cui versiamo, grazie a tutta una serie di promesse mai mantenute». Ecco perché Conte «ha paura del momento in cui la normalità dovesse tornare, in Italia»: quel giorno «sarebbe costretto a rendere conto di quello che davvero ha fatto, e soprattutto di quello che avrebbe dovuto fare, e non ha fatto, gestendo molto male l’emergenza». In ogni caso, avverte Magaldi, «se non usciamo dal paradigma della quarantena è sempre possibile è richiudano tutto, di fronte a un’eventuale impennata di nuovi contagi». Sarebbe «lo scenario distopico che abbiamo tanto paventato». E in che modo, poi, si valuterebbero allentamenti o nuove restrizioni, anche in un orizzonte post-quarantena? «Il numero dei contagiati è calcolato in base alle persone sottoposte al tampone, che però – secondo i medici – è affidabile solo al 63%. Potremmo avere quindi tanti “falsi negativi”, contagiosi a loro insaputa».

Dobbiamo pensare seriamente a quello che succederà, ragiona Magaldi: «Ci sarà un vaccino, per curare il Covid-19? Sarà stato testato abbastanza? Non sarà come quello per la Sars, inutilizzabile perché avrebbe peggiorato le condizioni dei contagiati?». E ancora: «Si sta facendo abbastanza, per mettere a punto efficaci terapie basate sull’impiego di medicinali?». Poi ci sono rischi evidenti: «Sicuramente qualcuno cercherà di somministrarci cure inopportune, e qualcuno cercherà di approfittare della mansuetudine finora dimostrata dagli italiani nell’accettare la quarantena (che io reputo inefficace, nel contenere il virus)». E quindi, anziché «brindare a chissà quale liberazione imminente», secondo il leader “rooseveltiano” sarebbe meglio non abbassare la guardia: «Una volta scoperto che si può imporre questa nuova disciplina sociale, infatti, governi traballanti comeContequello di Conte proveranno a sguazzarci il più a lungo possibile». Dice ancora Magaldi: «Questo stillicidio della concessione della libertà agli italiani è una cosa stupida e grave, e conferma l’incapacità disastrosa di un governo disperatamente aggrappato all’emergenza».

Insomma, è inutile farsi illusioni: «Conte non cadrà certo in modo automatico, se dovesse finire il lockdown: la partita è tutta da giocarsi». Per questo, ribadisce Magaldi, è stato approntato lo sportello legale contro gli abusi ed è in fase di costituzione la Milizia Rooseveltiana, «presto in azione con flash-mob dimostrativi», sia pure evitando iniziative “autolesionistiche”. Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), Magaldi inquadra in un preciso contesto storico la speculazione politica innescata sull’emergenza sanitaria. «In un mondo ormai globalizzato – premette – la stessa pandemia virale era una delle possibilità preconizzate da tanta letteratura distopica». Poi è la storia recente, a parlare: «Il mondo è già stato tenuto in ostaggio, in termini piuttosto pacifici, attraverso l’economia finanziaria neoliberista, puntando a un’involuzione post-democratica. Poi qualche gruppo oligarchico “eretico” si è inventato il terrorismo globale, che ha rappresentato una fuga in avanti. Però anche quella esperienza è fallita».

Fino a poco fa, infatti – prosegue Magaldi – stava andando sgretolandosi tanto la sovragestione del terrorismo globale di matrice islamista, quanto la presa globale del neoliberismo, «che aveva visto il sistema-Cina protagonista di quest’ultima stagione». Anche grazie alla presidenza Trump, stavamo assistendo a una messa in discussione di quel modello. «E a quel punto – aggiunge Magaldi – è intervenuta la novità del coronavirus: un nuovo elemento globale, per ora molto efficace, capace di ispirare al tempo stesso timore e speranza». Attenzione: «Col timore e la speranza, i potenti hanno sempre soggiogato leMagaldimasse». Insiste Magaldi: «Col timore e la speranza le nostre vite perdono di potenza: perché se temiamo qualcosa (e intanto speriamo che avvenga qualcos’altro) è facile manipolarci, soggiogarci e indurci a obbedire». Chi vuole essere «libero e affrancato, capace di incidere nella sua vita e in quella collettiva», per Magaldi «deve liberarsi anzitutto del timore e della speranza: deve agire per la virtù di agire, rivendicando la propria sovranità di cittadino». Questa emergenza sanitaria, che purtroppo «comporterà ulteriori tentativi di imporre una nuova disciplina sociale», secondo il presidente del Movimento Roosevelt «va affrontata con questo spirito: lo spirito di combattenti, di miliziani per la democrazia e la libertà».

(Sostegno Legale: per segnalare abusi subiti o, se si è avvocati, per patrocinare gratuitamente i cittadini colpiti dai provvedimenti, l’indirizzo a cui scrivere è: sostegno.legale@movimentoroosevelt.com. Questo invece il recapito di posta elettronica per aderire alla Milizia Rooseveltiana: milizia@movimentoroosevelt.com).

FONTE:https://www.libreidee.org/2020/04/magaldi-lottare-per-la-liberta-e-difesa-gratis-per-i-multati/

 

 

 

Spostamenti: non era meglio definire un raggio di chilometri invece dei confini regionali?

Il messaggio in bottiglia giunge da Raffaello Masci, a lungo giornalista economico e inviato de “La Stampa”, autore di sei libri dedicati ai temi dell’istruzione e del lavoro, pubblicati da Zanichelli e Rizzoli. Ora vive a Casperia, un piccolo e suggestivo borgo in provincia di Rieti, dove ha ambientato il suo romanzo “Ricordati del fuoco” uscito nel 2017.

Gentile Direttore, il criterio adottato dal governo per gli spostamenti dopo il 4 maggio, si può apprezzare nelle sue buone intenzioni, molto meno nella sua applicazione.

Mi spiego: l’interdizione a muoversi oltre i confini della propria Regione dovrebbe rispondere ad un criterio di riduzione dei contatti. Giusto?

Ora, io vivo in un borgo dell’alto Lazio, a pochi chilometri dal confine con l’Umbria. Terni è per me (e per chi vive qua) la città di riferimento. Ma è oltre il confine regionale. Quindi a Cassino (circa 180 chilometri da casa mia) posso andare mescolandomi così con una popolazione a me estranea. a Terni, luogo che frequento abitualmente, no.

Non conveniva – mi chiedo – dare una libertà di movimento entro i 100 chilometri (per fare un esempio) piuttosto che indicare il limite regionale?

Con i migliori saluti. Raffaello Masci

P:S. Ieri mattina mi ha chiamato un amico che vive nell’ultimo comune della provincia di Caserta prima del confine col Lazio. Sua moglie è rimasta bloccata dall’8 marzo a Terracina (città vicinissima), dove si era recata per assistere la sua anziana madre. Il 4 maggio contava di tornare a casa sua. Ma si trova fuori Regione. E’ disperata. Si è recata dai carabinieri per chiedere informazioni, ma il decreto – annunciato – ancora non c’era …. e quelli che le potevano dire?

FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/28/un-messaggio-in-bottiglia/spostamenti-non-era-meglio-definire-un-raggio-di-chilometri-invece-dei-confini-territoriali/

 

 

 

La App Immuni per la “Fase Due”? No, servirebbe la App “Neuroni”. L’ironia di Enzo Grassano su quello che ci aspetta

 

Riceviamo e pubblichiamo una nota di Vincenzo Grassano, giornalista pubblicista di origini tricaricesi che vive da anni a Torino, collabora con la rivista online “Lo Spiffero” e dirige il semestrale “Pagine Lucane”.

“Con la Fase 2 sarà fondamentale utilizzare una preziosissima App. Non parlo di Immuni, ma di una ben più potente e sicura: Neuroni.
Sviluppata da Madre Natura, Neuroni è un’app gratuita che non sfrutta la tecnologia Bluetooth, bensì la ben più collaudata tecnologia Sinapsi. Si tratta di una tecnologia per nulla invasiva della privacy e che rende l’app comunque utile anche quando il 60% della popolazione non ne fa uso.
Le due app (una non esclude l’altra) funzionano in modi differenti. Facciamo un esempio.
La app Immuni vi dice se il tizio che era con voi in ascensore vi ha infettato.
La app Neuroni che per fare due piani potete prendere le scale, che ultimamente non è che avete fatto tutta questa attività fisica.
La app Immuni vi dice se la signora con cui avete litigato al supermercato per l’ultima confezione di lievito vi ha infettato.
La app Neuroni vi suggerisce invece di non litigare per una confezione di lievito e di non infilarvi nella corsia del supermercato dove sono presenti ben dodici provetti panificatori manco fosse il festival del pane di Altamura.
Ma il grande vantaggio di Neuroni è che è già installata in ogni scatola cranica e non richiede quindi uno smartphone.
Neuroni è di facile utilizzo anche se per tenerla operativa è necessario aggiornarla costantemente. Esistono vari modi per tenere la app Neuroni aggiornata, ma studi scientifici dimostrano che leggere è il metodo più efficace.
Dal momento che però non tutti sono consapevoli della potenzialità di questa app, permettetemi di tirar fuori l’Aranzulla che c’è in me per darvi qualche suggerimento sul settaggio.
Un primo test che potete fare per vedere lo stato di salute della vostra app è questo.
Avete tifato per il poliziotto che inseguiva il runner solitario sulla spiaggia con l’appoggio di elicotteri, droni e satelliti e non vi hanno per nulla infastidito i ventuno milioni di euro sprecati per un ospedale inutile realizzato solo per marketing politico?
Ecco, in questo caso avete dei problemi di settaggio. E può essere anche che le parole della D’Urso abbiano in qualche modo hackerato il vostro sistema operativo.
Purtroppo non è possibile resettare il tutto, ma qualche rimedio proprio in vista della Fase 2 è possibile. Ora vi spiego come fare (Aranzulla scansati proprio). Accedete al menù principale. Cercate le funzioni “hater”, “delatore” “caccia-alle-streghe” e togliete la spunta. Mettete invece la spunta a “spirito critico”, “buon senso”, “prudenza”, “empatia” e “solidarietà” e salvate le nuove impostazioni premendo ok.
Ecco, così facendo avrete a disposizione la più potente arma per affrontare la Fase 2.

 

FONTE:https://ilcaleidoscopio.net/2020/04/la-app-immuni-per-la-fase-due-no-servirebbe-la-app-neuroni-lironia-di-enzo-grassano-su-quello-che-ci-aspetta/

 

 

 

FACEBOOK MI CHIEDE A COSA STO PENSANDO

Silvana Quattrucci 25 04 2020

Mi domanda fb a cosa stai pensando? E mo’ te lo dico. Che stiamo chiusi in casa in Italia ed in Spagna, i due Paesi che conosco e che amo, da più o meno 45 giorni. In Italia, come dicevo in una precedente riflessione ,muoiono normalmente 650000 persone circa l’ anno, perche’ non si e’ trovato ancora il modo di non morire e nel primo trimestre dello scorso anno, e più o meno anche negli anni precedenti( dati ISTAT), sono morte 185000 , mentre, nel 2020 solo 165000 al 31 marzo. Il Covid19, quindi, e’ stato un toccasana, per molti di noi, che sono sfuggiti alla percentuale consolidata di decessi. Il 44% delle infezioni, si e’ avuta nelle RSA dove sono reclusi gli anziani, senza contatti con i loro familiari e che contano meta’ dei morti totali. Un 25% nelle famiglie, costrette a vivere anche in spazi ristretti e alle volte senza nemmeno un balcone, per prendere aria. Vengono inseguite e sanzionate da pattuglie, che pensavamo non avessero benzina e divise nemmeno per cambiarsi, runner solitari, che si, infrangono le ordinanze fatte passare per leggi del PdC, ma non possono infettare ne infettarsi. Vengono sanzionate vecchiette, perche’ vanno a fare la spesa più volte, per sfuggire  magari, ai 30mq della loro abitazione, mentre intorno ci sono capannelli di ospiti africani, che fanno ogni loro comodo, compreso spaccio droga e bisogni corporali. Ci dicono di praticare lo stretto isolamento sociale e vengono liberati sanguinari e pluriomicidi boss mafiosi, perche’ nell’ isolamento del 41bis, avrebbero potuto infettarsi, come?… Inoltre, in Italia come in Spagna, ci sono intere regioni senzaCovid19, ma il Governo centrale si rifiuta di concedere aperture, come qui nell’ Isola di Fuerteventura, dove le percentuali sono ridicole e morti zero. Capite bene che una mente curiosa e razionale, come credo ce ne siano tante, trova incongruenze e stranezze in tutto questo ed in molto altro, che non elenco per non dilungarmi. Non traggo conclusioni, a voi amici cari , ulteriori riflessioni, su questa nostra comune  condizione.( SilvanaQ.)

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Ecatombe psicologica

Ci avviciniamo sempre più velocemente alla fantomatica ‘fase 2’, ma il costo economico, sociale e psicologico a cui ci dobbiamo preparare sarà altissimo.
di Luca Buonaguidi – 23 Aprile 2020
Come e quando sarà la famigerata fase 2? E la fase 3? Un mese, due mesi di chiusura lavorativa e isolamento sono durissimi per molti, ma sostenibili per la media della nazione. E non c’era scelta, la paura di una situazione nuova ha fatto prendere al Governo Conte decisioni mai viste che hanno salvato migliaia di vite, chi ha invece sottovalutato il pericolo invitando ad andare avanti come se niente fosse ha agevolato la proliferazione del contagio. Gli studi retrospettivi disponibili sull’effetto delle quarantene applicate nel passato ci avvertono del costo economico, sociale e psicologico a cui ci dobbiamo preparare, ma oltre i due-tre mesi si entra in una terra di nessuno: non ci sono studi ed esperienze su improvvisi isolamenti di massa tanto lunghi. Si può ricorrere ai diari degli speleologi nelle cavità della terra: sono poetici ma drammatici, e i loro autori sono uomini stra-ordinari. Ma una idea ce la si può fare: noi facciamo fatica chiusi in casa da 40 giorni, come potremmo resistere a 1500 metri sotto terra, in una grotta buia e umida, col solo riparo di una tenda e dell’attrezzatura da campo?

VIDEO QUI: https://youtu.be/1RtzEs8gzOc

Suonano dunque come un’ecatombe psicologica annunciata le misure ipotizzate a livello europeo – e amplificate dalle dichiarazioni di Ursula Von Der Leyen – che si stanno ideando per gli anziani, che probabilmente saranno sottoposti a misure restrittive e peculiari fino a che il famoso indice R0 non calerà sotto il livello di guardia di 0,50 (ovvero, a quando ogni due malati infetteranno meno di una persona). Un modo criptico per dire: fino a che non avremo un vaccino, nell’ipotesi più ottimistica in autunno e ammesso che gli anticorpi si rivelino protettivi. Si va perciò nella direzione di un allentamento per fasce di età e su base regionale – per esempio: che senso ha chiudere i molisani in casa con poca o nulla trasmissione del virus, quando basterebbe prorogare la chiusure del Molise all’esterno già in atto? – ma ora bisogna fare presto perché gli italiani, a differenza della narrazione colpevolizzante e autodenigratoria promossa dai media, si stanno ben comportando.

Lo dicono i dati oltre alle fake news e le narrazioni tendenziose, che instillano in un hashtag un luogo comune per fomentare il clima delatorio. Ma la tolleranza sta finendo e questo è palpabile già da giorni, basta scorrere la propria home di Facebook per percepire come la celebrata “resilienza” stia lasciando spazio a una frustrazione sempre maggiore. La tolleranza delle fasce più deboli, invece, è già erosa: lo dimostrano l’aumento dei casi di TSO in Piemonte, le richieste di aiuto delle donne ai centri antiviolenza aumentate del 75% in un mese, i numerosi suicidi domestici a cui i media dedicano appena qualche colonna. E soprattutto, i centri d’ascolto messi a disposizione gratuitamente dagli psicologi, letteralmente presi d’assalto.

Ci sono alternative ai sindaci-cowboy con troupe al seguito nelle loro ronde, ai droni lanciati nei cieli a sgominare grigliate familiari e bande di podisti solitari, all’incoraggiamento alla delazione promossa ad ogni livello? Sì. Per iniziare, accelerare sulla capacità di testare la popolazione a rischio, come insegna il modello Veneto del vituperato governatore Zaia, che ha saggiamente posto i mezzi della sua amministrazione a disposizione del virologo Andrea Crisanti e non a caso è stata la prima regione ad aver pur minimamente rilassato le misure nonostante il focolaio iniziale di Vo’. E se non vogliamo che il cerotto faccia più danni della ferita, bisognerà iniziare a riaprire. Certo, riaprire con nuove cautele, dal distanziamento alla mascherina, e via dicendo.

Ad esempio: dal tracciamento di cui si parla giustamente e tanto. Come cittadini siamo pronti ad accettare di essere pedinati come inedito presidio sanitario? Luca Ferretti, il ricercatore di Oxford e della task force del Ministero dell’innovazione che sta mettendo a punto la tecnologia anti-epidemia, l’ha raccontata così: un’app anonima, che registrerà la prossimità spaziale con le altre reciprocamente sincronizzate via bluetooth. In caso di prolungata vicinanza a un contagiato, arriverà una notifica e l’ordine di stare 14 giorni chiusi precauzionalmente in casa, testati e seguiti dai medici deputati all’emergenza. Altrimenti liberi, più o meno, tutti. Indubbiamente utile, ma inquietante. Molto, ma ci sono alcune rassicurazioni da prendere in considerazione.

VIDEO QUI: https://youtu.be/h3k_7o9FpYw

La prima rassicurazione è che l’app Immuni non istituirà una pratica sanitaria ex novo, ma semplifica e velocizza l’intervista che ogni contagiato deve rilasciare ai medici per ricostruire la catena dei contagi, per non parlare della storia clinica che viene chiesta persino al rinnovo della patente. da anni e senza scandali. Le informazioni vitali che senza app vengono recuperate facendo affidamento sulla nostra memoria, con imprecisioni e tempistiche più lunghe, sarebbero così recuperabili con margine di errore, potendo predisporre cordoni sanitari alle situazioni di rischio in tempi ridotti. In altre parole: può salvare vite umane, liberare posti per le terapie intensive e rassicurarci rispetto alla paura di essere untori a nostra insaputa. Altro punto a favore: è anonima e soprattutto facoltativa, niente a che vedere con le app ad hoc ben più invasive e sinistre usate in Cina e Corea del Sud. Se avesse un buon successo di pubblico, accompagnata a una diffusione capillare dei test potrebbe giustificare il ritorno alla normalità, altrimenti manterrà la sua funzione limitatamente alla platea che accoglierà l’invito del governo ad usarla. Ma se per i test vale l’equazione “più ne facciamo meglio è”, si fatica a capire la negazione della stessa equazione applicata al tracciamento. Eppure installare un’app sul telefono parrebbe una richiesta di mobilitazione ragionevole alla nazione che da tra mesi osserva il lavoro massacrante di medici e infermieri a tutela delle nostre vite e a rischio delle loro (oltre 130 i morti tra il personale sanitario in Italia).

Tali ulteriori resistenze sono quelle affrontate nella seconda rassicurazione, che viene dalla massima esperta contemporanea, insieme ai whistleblower Snowden e Assange, sulla manipolazione dei nostri dati personali. Shoshana Zuboff è autrice de Il capitalismo della sorveglianza (Luiss University Press, 2019), uno studio imponente sulla “architettura globale di sorveglianza, lo scenario alla base del nuovo ordine economico che sfrutta l’esperienza umana sotto forma di dati come materia prima per pratiche commerciali segrete e il movimento di potere che impone il proprio dominio sulla società sfidando la democrazia e mettendo a rischio la nostra stessa libertà”. Ergo, la Zuboff è la studiosa più attenta al mondo sulla degenerazione dell’ipotetico tracciamento eppure sostiene che il tracciamento tramite app per contrastare la diffusione del virus vada reso obbligatorio come il futuro vaccino e distinto da quelli operati dalle società private, come Google e Facebook, a cui ci logghiamo ogni giorno. Per non parlare del “No” all’app contro il virus di chi cede dati personali persino per giocare a Candy Crush.

Sebbene “le conseguenze delle decisioni che prendiamo ora sono permanenti”, come ricordato dallo storico Yuval Harari, dovremmo ricordarci che non stiamo concedendo dati in più a quanti già ne concediamo “per il panico”, ma che stiamo parlando di vite umane – quasi 200.000 decessi in tutto il mondo – oltre che l’equilibrio psicologico di tante persone provate dal lockdown. Se la romanticizzazione della quarantena è un privilegio di classe, allora ignorare l’urgenza degli ultimi, restando impassibili alla loro sofferenza davanti a Netflix e in una bella casa con giardino, non è tutela dei diritti collettivi ma il suo opposto, l’individualismo. Bisognerà lottare in futuro perché queste app non si aggiungano agli strumenti di sorveglianza già all’opera, ma adesso pare più urgente prendere il toro per le corna per poi occuparci in un secondo momento di non trasformare tutto questo in un’orrenda corrida a beneficio di oscuri potentati.

Altrimenti ci occupiamo, comprensibilmente, giustamente, ma col timing sbagliato di un problema eventuale, probabile, ma che avrà ripercussioni in un futuro che potrebbe anche non esistere. Altri due mesi chiusi in questo modo e la prossima epidemia sarà peggiore della prima. Sarà una pandemia psicopatologica dalle proporzioni inimmaginabili e si sommerà a quella da Covid-19, perché non è prevista alcuna staffetta se non nell’agenda dei più miopi. E quel virus, che si sviluppi come attacco di panico, depressione o crisi psicotica, é già dentro di noi in potenza, anche se facciamo finta di niente, come ci viene chiesto a reti unificate. Si chiama “Normalcy Bias”: la tendenza delle vittime di incidenti e catastrofi a comportarsi, nello shock, come se tutto fosse normale.

FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/ecatombe-psicologica-immuni/

Noi reclusi, Giulietto Chiesa e il Favoloso Mondo di Giuseppi

“Sole ingannatore”. E’ il titolo di un film capolavoro, del russo Nikita Mikhalkov, atroce quanto basta per far capire anche ai decerebrati cosa sia stato lo stalinismo, cosa sia una dittatura comunista di stampo sovietico. Cinismo, mancanza di pietà. E soprattutto: disinvoltura, nella menzogna. In una parola, alto tradimento. Lo choc è sanguinoso: la peggiore delle verità è il sale sulla ferita, e brucia. Succede quando all’eroe, portato via come un delinquente comune, brillano gli occhi all’idea di poter invocare la giustizia divina rappresentata dal Piccolo Padre. Non sa ancora, il generale pluridecorato, cosa gli sta succedendo. Stenta a capire, lo intuisce solo all’ultimo istante: è proprio lui, l’adorato dittatore, ad aver ordinato il suo arresto, il suo degradamento nell’ignominia che preparerà l’inevitabile damnatio memoriae. C’era un bel po’ di Russia, nell’aria, domenica 26 aprile: si spargeva di ora in ora, anche attraverso i telegiornali, impegnati a dare il triste annuncio dell’improvvisa scomparsa di Giulietto Chiesa, singolare eroe italiano dell’informazione indipendente. E poi, a stretto giro, in prima serata, lo spettacolo del Sole Ingannatore: l’Avvocato del Popolo, impegnato a spiegare – a reti unificate – che gli italiani resteranno graziosamente prigionieri del coprifuoco anche dopo il 4 maggio, sempre limitati negli spostamenti, obbligati a dimostrare la necessità di ogni singolo passo fuori dalle mura del carcere domestico.

Attoniti, gli spettatori, di fronte a supercazzole in burocratese che avrebbero fatto impallidire il grande Tognazzi. L’intento stilistico – una certa soavità paternalistica – inceppato a ogni passo dalla fatica improba di dover usare in scioltezza l’impervia Mikhalkov in Sole ingannatorelingua italiana, l’unica probabilmente con la quale l’illustre giurista poliglotta non sembra esattamente a suo agio. Ma, difficoltà sintattiche a parte, a rapire l’uditorio è l’immaginario nazionale evocato dal Favoloso Mondo di Giuseppi. Un’Italia indicata come modello, in Europa – cioè il continente dove il lockdown (che era partito dopo) sta già finendo, praticamente ovunque, e dove è stato sopportato meglio, si capisce, perché i governi hanno provveduto a non lasciare sole le aziende, gli imprenditori e i lavoratori costretti a casa, accreditando denaro direttamente sui conti correnti. In Italia, decine di milioni di persone non hanno ancora visto un soldo? In compenso, si godono le garbate scuse dell’oscuro personaggio insediato dai micidiali 5 Stelle a Palazzo Chigi, l’uomo misterioso che ha assunto i Pieni Poteri imponendo al paese il peggiore incubo della sua storia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Decine di migliaia di imprese ormai non apriranno più, anche se l’Avvocato del Popolo finge di non saperlo, preferendo – ancora una volta, incredibilmente – rifugiarsi nel puro fantasy delle promesse europee, millantando (senza ridere) chissà quali formidabili successi.

Prevederemo, studieremo, faremo, i nostri esperti sono già al lavoro. Testuale: già al lavoro. Le scuole? Riapriranno già a settembre (testuale: già a settembre). Il Parlamento? Come se non esistesse più. L’opposizione? Estinta. Quanto alle informazioni, sarà il neonato Ministero della Verità a vigilare su quello che si può e non si può raccontare, stabilendo quali sono le “fake news” da mettere al bando, mentre il paese tuttora non sa quando e come uscirà dalla catastrofe, e il governo-fantasma (informato della calamità in arrivo già il 20 gennaio) dopo tre mesi ancora declina al futuro – vedremo, faremo, studieremo – le azioni elementari che GermaniaFrancia e tutti gli altri hanno compiuto immediatamente. Ha poco a che fare con l’Italia, il Favoloso Mondo di Giuseppi. E la sua insopportabile rappresentazione onirica (che apparirà insultante, a chi viene preso a calci ogni giorno dalla realtà) non fa che stridere, a maggior ragione, a poche ore dalla morte di Giulietto Chiesa. Un uomo-contro, indipendente, caparbio. Libero, e spesso anche fastidiosamente profetico: come quando, tanti anni fa, anticipava il Favoloso Mondo nel quale saremmo potuti finire, senza ancora che a nessuno dicesse niente il nome Giuseppi.

(Giorgio Cattaneo, “Giulietto Chiesa e il Favoloso Mondo di Giuseppi”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 aprile 2020).

FONTE:https://www.libreidee.org/2020/04/noi-reclusi-giulietto-chiesa-e-il-favoloso-mondo-di-giuseppi/

MILIONI DI MASCHERINE FANTASMA ORDINATE DAL PD A SOCIETÀ CON SEDE IN UN PRATO – VIDEO

Il PD ha un debole per le mascherine cinesi che non esistono. E le ordina sempre alla stessa società.

“La Regione Emilia-Romagna ha ordinato 5 milioni di mascherine dalla Ecotech di Frascati: 800mila mascherine FFP3 e 4 milioni di mascherine FFP2. Sapete quante ne sono arrivate? Zero. Ed ha versato un anticipo di 2,6 milioni di euro”, spiega Bignami, in un video in cui mostra anche la “sede legale” della Ecotech. “È a Frascati, in mezzo a un prato. Non ci credete?”, chiede quindi il deputato di FdI, rimandando alle immagini del filmato. La Ecotech, ricorda quindi Bignami, “è la società su cui ha aperto l’inchiesta la Procura di Roma per la mancata fornitura alla Regione Lazio di Zingaretti. Ma la Regione Emilia Romagna non è ancora andata in Procura a denunciare”. “Ci andiamo noi”, conclude il deputato.

VIDEO QUI: https://www.facebook.com/6567508c-350f-4225-a6e6-c5f0b5495f37

Bonaccini e Zingaretti si riforniscono dallo stesso spacciatore di mascherine. E pagano in anticipo con i vostri soldi.
A questo punto c’è uno schema di comportamento in casa PD. Se il caso di Zingaretti poteva essere ridotto a pura ‘ingenuità’, ora i casi cominciano ad essere troppi.
Anche la Regione Emilia Romagna, infatti, e non il Lazio governato da Zingaretti, hanno ordinato alla società Eco Tech, con base in Cina, mascherine che non esistono.

La procura di Roma ha aperto un’inchiesta per inadempimento di contratto sulle pubbliche forniture: non hanno consegnato 7 milioni e mezzo di mascherine alla Regione Lazio che, nel frattempo, aveva anticipato un terzo della cifra, 11 milioni di euro su oltre 30 milioni. Ad una società con un socio cinese, un candidato di sinistra e uno indagato. Un trio degno del governo.

L’Emilia-Romagna guidata da Stefano Bonaccini ha fatto un ordine di acquisto il 23 marzo 2020 per quasi 24 milioni di euro per mascherine e tute protettive, molte delle quali destinate anche gli ospedali bolognesi, garantendo un anticipo di 2,6 milioni (pari al 10,8%). Geniali.

L’ordine era composto da 4,8 milioni di mascherine, di cui: 800mila Ffp3 al costo di 3,90 euro l’una oltre Iva, per 3,12 milioni oltre Iva e 4 milioni Ffp3 al costo di 3,90 l’una, per 15,6 milioni oltre l’Iva; 200mila tute protettive “Tyvek” al costo di 21,6 euro oltre Iva per un totale di 5,2 milioni. Ad oggi, però, delle mascherine neanche l’ombra.

Ad oggi sono stati consegnati dispositivi per 1,9 milioni di euro sui 24 milioni pattuiti. Nemmeno una mascherina.

L’ordine delle mascherine è stato annullato. I soldi, ovviamente, non li hanno restituiti.

Ora. Come mai ben due regioni governate dal PD pagano in anticipo, milioni di euro, ad una società con base in Cina e rappresentata in Italia da un negozio di lampadine? Certo, nel Pd non brillano per intelligenza, ma ancora…

FONTE:https://voxnews.info/2020/04/28/milioni-di-mascherine-fantasma-ordinate-dal-pd-a-societa-con-sede-in-un-prato-video/

 

 

ZINGARETTI SI È PERSO 7 MILIONI DI MASCHERINE E ALLORA LE FREGA AI MEDICI

Ancora nessuna traccia del carico da Shanghai. I Mondin accusano la Exor: la società è gestita da un sospetto evasore.La Regione, alla fine, annuncia la rescissione del contratto con la Eco Tech e la richiesta di restituzione dei soldi anticipati. Ammettendo di avere pagato milioni di euro anticipati per milioni di mascherine che non esistono.

“Visto il mancato rispetto di tutti i termini concessi alla società Eco Tech srl, compreso quello legato alla mancata consegna della merce con volo del 23 Aprile – si legge nella nota – e preso atto che la Ecotech pur avendo proposto di completare le forniture non è stata in grado di dare certezze sui tempi e sulle modalità, la Regione Lazio ha deciso di procedere alla risoluzione dei contratti con la suddetta società con la conseguenza di intimare alla Ecotech di restituire il denaro ricevuto entro 5 giorni, (pena l’escussione della polizza fideiussoria appositamente rilasciata), nonché di risarcire tutti i danni subiti e subendi per effetto della sua condotta colpevole. È evidente che la Regione Lazio si considera parte lesa e tutelerà in tutte le sedi competenti i propri diritti e quelli dei cittadini del Lazio”.

Delle due l’una: o Zingaretti ha truffato i contribuenti o è stato truffato. Vista l’intelligenza debordante del personaggio propendiamo per la seconda ipotesi.

Ma per un amministratore è una colpa.

Intanto, per le mascherine arrivate, la Regione ha i dipendenti in telelavoro, ma sottrae a Protezione civile e altre categorie a rischio come i medici, migliaia di protezioni. Serviranno al governatore PD, al suo vice e ai loro staff.

CORONAVIRUS. REGIMENTI (LEGA): “SU INDAGINE MASCHERINE, ZINGARETTI CHIARISCA E POI SI DIMETTA”

“Zingaretti, insieme al suo assessore D’Amato, al vice presidente Leodori e al capo locale della Protezione civile Tulumello devono chiarire la vicenda delle mascherine pagate 35 milioni di euro e mai arrivate nel Lazio. Dieci milioni di dispositivi di protezione, pagati dai cittadini e indispensabili in questa fase di emergenza dovuta alla pandemia Covid-19, che ad oggi non sono stati ancora consegnati, nonostante l’azienda incaricata, la Ecotech, abbia ricevuto un anticipo di ben 11 milioni di euro. C’è un’indagine in corso da parte dei magistrati romani e mi auguro che sia fatta presto luce al riguardo, per capire le modalità di affidamento dei dispositivi da parte della Regione Lazio alla Ecotech, che fino a due settimane fa vendeva lampade a led per design. Le domande sono tante, Zingaretti ha distrutto la sanità nel Lazio. Ora chiarisca immediatamente e poi si dimetta”. Lo afferma l’eurodeputata della Lega Luisa Regimenti, medico legale, membro della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e responsabile della Sanità per il partito nel Lazio.

FONTE:https://voxnews.info/2020/04/25/zingaretti-si-e-perso-7-milioni-di-mascherine-e-allora-le-frega-ai-medici/

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

ITALIA-UNGHERIA: DEMOCRAZIE COMMISSARIATE PER COVID-19?

Un affezionato lettore de l’Opinione scrive alla redazione per avere lumi su un tema che ha recentemente scosso i media molto più di quanto abbia conquistato l’attenzione dell’opinione pubblica. Ecco la domanda: “Italia-Ungheria: confronto fra dittature durante l’emergenza Covid-19. Visto che in Ungheria i “pieni poteri” sono stati votati dal parlamento, mentre in Italia – de facto – il governo sta operando in un environment di “pieni poteri” senza che le altre istituzioni siano minimamente state interpellate. In quale, dei due paesi, democrazia e costituzione sono state tradite?”. Un’arguta provocazione, non c’è che dire. Di primo acchito, si potrebbe liquidare la questione con un laconico: in nessuno dei due. Tuttavia, il quesito richiede un approfondimento. Di certo il nostro lettore è consapevole di aver proposto un paralogismo, fallace nella premessa perché né l’Italia né l’Ungheria sono governate da dittature.

Perciò, non si può individuare chi sia “più tiranno” se, a monte, non vi siano due regimi dittatoriali a confrontarsi. Una forzatura argomentativa non del tutto addebitabile al nostro onesto lettore il quale è stato anch’egli vittima del conformismo intellettuale, in voga nell’Europa dei multiculturalisti e dei progressisti, per il quale non conta la verità, ma ciò che il mainstream politically correct stabilisce sia la verità. Ora, rappresentare il capo del Governo ungherese Viktor Orbàn alla stregua di un sanguinario tiranno è una stupidaggine. L’Ungheria è uno Stato di Diritto, indipendente e democratico. Dal 2012 è dotata di una nuova Costituzione, la “Legge fondamentale”, la quale all’articolo C (1° comma) dispone che “il funzionamento dello Stato ungherese si fonda sul principio della separazione dei poteri”.

La fonte del potere pubblico è il popolo (articolo B, punto 3). L’articolo I riconosce il rispetto per i diritti umani inviolabili e inalienabili e assegna allo Stato l’obbligo primario di proteggerli. Si potrebbe proseguire nel citare tutte le norme e i princìpi che confermano la piena e totale adesione dell’Ungheria all’Occidente democratico e libero. Eppure, a Bruxelles, si fa strada il sospetto che il governo ungherese, profittando dell’emergenza sanitaria, stia forzando la mano per assumere i pieni poteri. Nel mirino vi sarebbe la legge organica n. 12/2020 approvata dall’Assemblea nazionale ungherese alla fine del marzo scorso. Subito 8 Paesi membri Ue, poi divenuti 19, si sono affrettati a rilasciare una dichiarazione congiunta in cui si afferma che: “In questa situazione senza precedenti, è legittimo che gli Stati membri adottino misure straordinarie per proteggere i loro cittadini e superare la crisi. Tuttavia, siamo profondamente preoccupati per il rischio di violazione dei principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali derivanti dall’adozione di determinate misure di emergenza”.

Il tratto pittoresco dell’iniziativa è che tra i firmatari compaia anche il Governo italiano, distintosi per le sospensioni delle libertà costituzionali a suon di “Dpcm” (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri). Abbiamo letto con attenzione la legge incriminata, ma nei 10 articoli di cui si compone non abbiamo colto indizi di un colpo di Stato in corso. Il Governo di Budapest ha dichiarato lo stato di pericolo, che non è un’espressione letteraria ma un istituto giuridico regolato all’interno della “Legge Fondamentale”. La fonte normativa che legittima il Governo ad assumere misure straordinarie di sospensione o compressione dei diritti individuali dei cittadini in via temporanea è l’articolo 53, 1.comma della Legge Fondamentale che prevede: “Il Governo, nel caso di calamità naturale oppure di disastro industriale che metta in pericolo la sicurezza della vita o dei beni nonché per evitare le conseguenze degli stessi, dichiara lo stato di pericolo ed introduce misure straordinarie previste per legge organica”.

Nulla d’incostituzionale dunque, ma decisionismo nell’azione politica declinato nell’assoluto rispetto delle regole democratiche. Quel rispetto per l’Ordinamento giuridico che il Governo italiano non ha mostrato di avere decidendo motu proprio di comprimere le libertà individuali durante lo stato d’emergenza senza alcuna preventiva autorizzazione del Parlamento. Allora, ci si chiederà, perché tanto livore e voglia sanzionatoria dell’Europa dei “buoni” contro il “cattivo” Orbàn? L’establishment dell’Europa vincente non ha elaborato il lutto per non essere riuscito a “normalizzare” culturalmente l’Ungheria, nonostante il fiume di denari erogato dopo l’acquisizione all’Ovest del Paese che era stato parte integrante, dal settembre 1944, dell’area di potere dell’Unione Sovietica. Gli ungheresi hanno scritto sì una nuova pagina di democrazia e di libertà immortalandola nella Legge Fondamentale, ma vi hanno impresso lo spirito profondo e il carattere di popolo orgoglioso e fiero del proprio passato e delle proprie tradizioni.

Per comprendere cosa sia l’Ungheria post-sovietica bisogna leggere l’incipit dal preambolo alla Costituzione, che è titolato “Professione nazionale”: “Noi, membri della nazione ungherese, all’inizio del nuovo millennio, con senso di responsabilità per tutti gli ungheresi, enunciamo quanto segue: Siamo orgogliosi che il nostro re Santo Stefano mille anni fa abbia dotato lo Stato ungherese di stabili fondamenta ed abbia inserito la nostra Patria nell’Europa cristiana” e ancora “Dichiariamo che il quadro principale della nostra convivenza sono la famiglia e la nazione, che i valori fondamentali della nostra coesione sono la fedeltà, la fede e la carità”. Veleno puro per i multiculturalisti che avrebbero preferito trovarvi espressi concetti in linea con l’ideologia della globalizzazione. Orbàn non è l’uomo nuovo che capovolge il destino di una nazione ma è il figlio devoto di essa, il prodotto di quell’humus ideale-storico-tradizionale che è l’odierna Ungheria. Il peccato di presunzione dei padroni del vapore europeo non è stato quello di conquistare un mercato alla causa dei propri interessi economico-finanziari ma la pretesa di “cloroformizzare” l’identità del popolo ungherese, fondendola in un indistinto mondialismo neutralizzatore delle differenze.

Questa è la ragione per la quale ogni azione compiuta da Orbàn viene percepita in Europa come l’agire di un despota. Anche quando i suoi omologhi negli altri Stati (vedi il caso Giuseppe Conte) combinano di peggio. Ma Orbàn non è gradito anche a causa della sua inclinazione a prendere sul serio la riflessione sulla democrazia illiberale quale critica alla nuova frontiera della post-modernità. Qui la confusione regna sovrana e fa il gioco della narrazione progressista. L’equazione che condannerebbe Orbàn è così strutturata: negazione dei principi liberali = transizione dalla democrazia alla dittatura. Non è la realtà. Il problema sta nella sovrapposizione dell’idea liberale alla governance di un mondo globalizzato. Il passaggio è ben analizzato da Theodor Friedrich Klitsche de la Grange in un saggio dal titolo: Costituzione Ungherese e Stato di Diritto, reperibile su Internet. “L’espressione di Orbàn corrisponde alla realtà: di fronte ad un liberalismo depoliticizzato e anche de-democratizzato, la sua posizione è antitetica. Ma se, di converso, si va alla concezione del liberalismo “classico”, come dottrina della limitazione del potere, della tutela delle libertà politiche e civili, la conclusione è inversa. Anche se non si può dire, crocianamente, che Orbàn è liberale e non lo sa, è comunque meno illiberale di quanto pensi” (Klitsche de la Grange).

Il filosofo eurasista Aleksandr Gel’evič Dugin offre un’articolata rappresentazione dell’egemonia mondialista in Occidente, funzionale a inquadrare l’approccio negativo dell’establishment europeo al leader ungherese. Scrive l’ideatore della Quarta teoria politica: “Quando una società cerca di giudicare le altre, applica i suoi criteri, e così facendo compie una violenza intellettuale. Proprio questo atteggiamento costituisce il crimine commesso dalla globalizzazione e dall’occidentalizzazione” (A. Dugin, Contro il mondo postmoderno, in A. Dugin, Teoria del Mondo multipolare, 2019).

Tornando alla domanda del nostro lettore: non ci sono in circolazione nella vecchia Europa dittatori nello stile di quelli che hanno occupato gran parte della Storia del Novecento. Al più, come nel caso italiano, ci sono azzeccagarbugli che, avendo poche idee e molta confusione in testa, giocano con le norme dell’Ordinamento giuridico come certi scugnizzi di strada fanno con i petardi a Capodanno. I botti sono pericolosi ma per loro, gli scugnizzi, non sarebbe festa se non li facessero esplodere.

FONTE:http://opinione.it/politica/2020/04/27/cristofaro-sola_italia-ungheria-covid-19-orb%C3%A0n-bruxelles-dpcm-unione-sovietica-klitsche-de-la-grange-internet-dugin/

 

 

 

L’Italia in prima linea nella «guerra dei droni»

È proprio della mentalità dei militari possedere il maggior numero possibile di armi disponibili. È il caso degli italiani con i droni USA. È proprio della mentalità degli occidentali utilizzare ogni tecnologia di cui si può disporre, non perché se ne abbia bisogno, ma perché ci sono. Così, senza alcuna riflessione, l’Italia si ritrova imbarcata nelle guerre degli Stati Uniti in Africa e Medio Oriente Allargato.

 | ROMA (ITALIA) 

atterrato nella base Usa/Nato di Sigonella in Sicilia, dopo 22 ore di volo dalla base aerea di Palmdale in California, il primo drone del sistema Ags (Alliance Ground Surveillance) della Nato, versione potenziata del drone Usa Global Hawk (Falco Globale). Da Sigonella, principale base operativa, questo e altri quattro aerei dello stesso tipo a pilotaggio remoto, supportati da diverse stazioni terrestri mobili, permetteranno di «sorvegliare», ossia spiare, vaste aree terrestri e marittime dal Mediterraneo all’Africa, dal Medioriente al Mar Nero.

I droni Nato teleguidati da Sigonella, in grado di volare per 16.000 km a 18.000 m di altezza, trasmetteranno alla base i dati raccolti. Questi, dopo essere stati analizzati dagli operatori di oltre 20 postazioni, verranno immessi nella rete criptata che fa capo al Comandante Supremo Alleato in Europa, sempre un generale Usa nominato dal presidente degli Stati uniti.

Il sistema Ags, che diverrà operativo nella prima metà del 2020, sarà integrato con l’Hub di Direzione Strategica per il Sud: il centro di intelligence che, nel quartier generale Nato di Lago Patria (Napoli) sotto comando Usa, ha il compito di raccogliere e analizzare informazioni funzionali alle operazioni militari soprattutto in Africa e Medioriente.

Principale base di lancio di tali operazioni, effettuate per la maggior parte segretamente con droni da attacco e forze speciali, è quella di Sigonella, dove sono dislocati droni Usa Reaper armati di missili e bombe a guida laser e satellitare. I droni da attacco e le forze speciali, mentre sono in azione, sono collegati, attraverso la stazione Muos di Niscemi (Caltanissetta), al sistema di comunicazioni satellitari militari ad altissima frequenza che permette al Pentagono di controllare, attraverso la sua rete di comando e comunicazioni, droni e cacciabombardieri, sottomarini e navi da guerra, veicoli militari e reparti terrestri, mentre sono in movimento in qualsiasi parte del mondo si trovino.

Nello stesso quadro operano i 15 Predator e Reaper e gli altri droni dell’Aeronautica italiana, teleguidati dalla base di Amendola in Puglia. Anche i Reaper italiani possono essere armati di missili e bombe a guida laser per missioni di attacco.

Il sistema Ags, che potenzia il ruolo dell’Italia nella «guerra dei droni», viene realizzato con «significativi contributi» di 15 Alleati: Stati uniti, Italia, Germania, Norvegia, Danimarca, Lussemburgo, Polonia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia. Principale contrattista del sistema è la statunitense Northrop Grumman. L’italiana Leonardo fornisce due stazioni terrestri trasportabili.

Il «contributo» italiano al sistema Ags consiste, oltre che nella messa a disposizione della principale base operativa, nella compartecipazione alle spese inizialmente con oltre 210 milioni di euro. Altri 240 milioni di euro sono stati spesi per l’acquisto dei droni Predator e Reaper. Compresi gli altri già acquistati e quelli di cui si prevede l’acquisto, la spesa italiana per i droni militari sale a circa un miliardo e mezzo di euro, cui si aggiungono i costi operativi. Pagati con denaro pubblico, nel quadro di una spesa militare che sta per passare dalla media attuale di circa 70 milioni di euro al giorno a una di circa 87 milioni di euro al giorno.

I crescenti investimenti italiani nei droni militari comportano conseguenze che vanno al di là di quelle economiche. L’uso dei droni da guerra per operazioni segrete sotto comando Usa/Nato svuota ancor più il parlamento di qualsiasi reale potere decisionale sulla politica militare e di riflesso sulla politica estera. Il recente abbattimento di un Reaper italiano (costato 20 milioni di euro), in volo sulla Libia, conferma che l’Italia è impegnata in operazioni belliche segrete in violazione dell’Art.11 della nostra Costituzione.

FONTE:https://www.voltairenet.org/article208433.html

 

 

 

CULTURA

GIORNO 48

Carillon.c – Instagram – 27 aprile 2020

C’è stato solo un altro conteggio portato avanti nella mia vita con così tanta cura: quanti giorni sarebbero mancati al rientro di mio padre per la mia prima comunione.

Avevo centrato le graffette del quaderno e staccato le due pagine centrali: per la prima  volta non mi ero preoccupata di chiuderlo facendo pressione sulla copertina col peso del mio gomito. Il quaderno sarebbe rimasto un po aperto come la speranza di rivederlo.

“Ma tornerai  in tempo papà?” Domandavo.

“Ho comprato un vestito super bello”.

Avevo fatto una tabella, circa 150 caselle, una per ogni giorno che sarebbe mancato al vestito bianco.

“Non è da sposa papà, è solo bello” lo correggevo quando al telefono diceva che sarei stata stupenda  come le “ragazze grandi” nel giorno più importante della loro vita.

“A me importa che ci sarai, sarà quello il giorno più bello”. E disegnavo un cuore ogni volta che c’era un giorno in meno a tenerci lontani. Un cuore non è una croce, perché l’attesa per l’amore non ammette spigoli, ma solo comprensione.

“Papà sto lavorando per farti una festa bellissima, lo capisci, vero?”

Ed io comprendevo ed attendevo, con i miei cuori che si mettevano in fila, uno dopo l’altro sulla metà di alcune pagine della vita che oggi ritrovo, senza però una data precisa dove scrivere la parola “festa”.

“Papa, ti ricordi quando facevo il conto alla rovescia?”

Sorride. Adesso è in casa. Da anni si gode la sua meritata pensione.

“Ne rifacciamo un altro?” “E che data mettiamo?” “Ne scegliamo una caso e in quel giorno, comunque vada, festeggiamo”. “Non sei cambiata per niente tu”. “Ottimo, un valido motivo per la prossima festa” …

 

 

 

 

 

Il lockdown non è una novità. La terra ci è stata negata per secoli.

DI GEORGE MONBIOT – 28 APRILE 2020

theguardian.com

Quando la crisi del coronavirus finirà, chiederemo il diritto di girare liberamente in città, campagna e sui campi da golf.

Wimbledon Park golf club: ‘Ci sono 131 campi da golf nella Grande Londra, che coprono 11.000 acri. Ma sono aperti solo a quelli che pagano delle tasse per giocare, e ai membri “. Fotografia: Amit Lennon / The Guardian

 

Siamo stati esposti, in nome della libertà ed in misura maggiore di qualsiasi altra nazione europea, ad una pandemia mortale. Nel suo discorso a Greenwich del 3 febbraio, Boris Johnson ha agitato i governi che erano stati “presi dal panico” per il coronavirus, infliggendo “danni economici non necessari”. Il suo Governo, al contrario, era intenzionato a difendere il nostro diritto di ” libera compravendita reciproca”.

Ma come sempre, il tanto professato ‘amore per la libertà tra coloro che rappresentano gli interessi dei ricchi in politica è altamente selettivo. Se il Governo apprezzasse la libertà tanto quanto dice, farebbe tutto ciò che è in suo potere per permetterci di esercitare al massimo la nostra autonomia in tutta sicurezza, proteggendoci al contempo dai danni.

Ad esempio, potrebbe pensare di aprire al pubblico i campi da golf di Londra.

Come informato dall’autore e attivista Guy Shrubsole, ci sono 131 campi da golf nella Grande Londra , i quali coprono 11.000 acri, ma che sono aperti solo a coloro che pagano le tasse per giocare ed ai membri dei club, mentre milioni di persone soffocano in piccoli appartamenti o si aggirano tutti attaccati in minuscoli parchi, alla disperata ricerca di un senso di spazio e libertà. Il Governo potrebbe, ad esempio, chiedere alle scuole private di aprire i loro campi da gioco e terreni al pubblico. E pensare di aprire a Londra le piazze verdi che ora sono chiuse, e predisporre l’accesso a tutti ad alcuni appezzamenti terrieri privati situati all’interno e tutt’intorno le nostre città.

Sta di fatto che proprio uno degli scopi principali del conservatorismo è quello di difendere la proprietà privata dall’uso pubblico ed estenderne il diritto esclusivo a settori precedentemente goduti da tutti. E nessuna forma di ricchezza è più fortemente contesa della terra.

Nel corso della storia di queste isole, l’esclusione dalle terre è stata una delle principali fonti di conflitto sociale, ed è ancora così oggigiorno. Il mese scorso Johnson ha esaltato l ‘ “antico, inalienabile diritto” dei nati liberi del Regno Unito”. Eppure, prima dell’inizio della pandemia, il suo Governo ha proposto di criminalizzare le violazioni di proprietà in Inghilterra e Galles. Al contrario della politica scozzese, dove è invece in vigore il diritto a girare liberamente.

Nel novembre dell’anno scorso, Johnson ha annunciato un ampliamento dei poteri della polizia per fermare e perquisire le persone senza motivo di sospetto. Questi poteri sono stati a lungo percepiti dalle persone di colore come una forma di molestia collettiva attuata in luoghi pubblici, e che ha influito sulla loro libera circolazione. I neri, gli asiatici e le minoranze etniche hanno, in media, otto volte più probabilità di essere fermati e perquisiti dalla polizia rispetto ai bianchi.

Alcuni giovani neri hanno la sensazione di vivere in uno stato permanente di lockdown. La stessa valutazione del Governo mostra che un’espansione dei poteri di arresto e di tracciamento ha “nella migliore delle ipotesi effetti minimi sul crimine violento”. Infatti, in entrambe le rivolte del 1981 rivolte e del 2011 , questo tipo di politica ha soltanto aggravato la situazione.

Fino al 1984, il potere di fermo e tracciamento che aveva la polizia veniva esercitato ai sensi della brutale legge del Vagrancy del 1824, secondo cui mendicanti, venditori ambulanti, prostitute, zingari e girovaghi, senza fissa dimora e chiunque “non avesse fornito una buona giustificazione” sarebbe stato arrestato e condannato immediatamente a tre mesi di lavori forzati. Sorprendentemente, gran parte di questa legge barbarica rimane in vigore , ed è, ancora oggi, talvolta usata dalla polizia contro i senzatetto .

I poteri della polizia per gestire le persone sono necessari durante questa pandemia, ma già nella prima metà del 20 ° secolo, erano stati usati come forma di controllo sociale con lo scopo di garantire la fruizione dello spazio pubblico alle “persone per bene” ed escludendo gli “indesiderati”. Questi poteri furono fonte di grande risentimento nell’Inghilterra vittoriana e vennero anche commemorati in diverse ballate satiriche , spesso intitolate Move on There. Una canzone racconta che i “gonfi” (giovani ricchi e stravaganti) se la cavavano in ogni occasione, mentre quelli senza i mezzi per corrompere la polizia venivano “accalappiati”.

Oggi, gran parte di quello che sembra uno spazio pubblico nelle nostre città è in realtà di proprietà privata. Molti di questi spazi pseudo-pubblici sono pattugliati da guardie di sicurezza che applicano regole poco chiare. Come ha osservato un senzatetto intervistato dal Guardian , la maggior parte delle persone non nota la differenza tra uno spazio aperto di proprietà pubblica o privata. Ma, dice l’intervistato: “per me, la differenza è tutto, perché io non sono il tipo di persona che vorrebbero laggiù”. In genere, in questi luoghi, i senzatetto vengono cacciati, non sono consentite musica o fotografia e le riunioni politiche sono vietate. In alcuni di essi, l’unica attività accettabile sembra essere spendere del denaro.

C’è una interessante similitudine con i parchi urbani nel XIX secolo, molti dei quali erano di proprietà privata. Come documenta la storica Katrina Navickas , i proprietari generalmente vietavano la musica e gli incontri politici. L’Esercito della Salvezza, un movimento che caldeggiava la sobrietà estrema, condusse delle guerre contro persone che semplicemente si divertivano nei luoghi pubblici, innescando così scontri che a volte diventavano violenti.

L’anno scorso, il Guardian ha rivelato che alcuni complessi residenziali di Londra escludevano i bambini delle case popolari dai campi da gioco utilizzati dai residenti più ricchi. Ad alcuni imprenditori edili era stata concessa l’autorizzazione alla costruzione di alcune proprietà, in quanto il parco giochi sarebbe stato disponibile per tutti, dopodichè fu sostituito il cancello con una siepe impenetrabile al fine di escludere i residenti più poveri.

Potremmo cercare la libertà in campagna, che per secoli è stata teatro di estrema esclusione e ingiustizia. Qui, le recinzion(l’accaparramento della terra da parte dei cittadini comuni) hanno privato violentemente molte persone delle loro libertà. Ai poveri che lavoravano era proibito vivere in “ distretti vicin”, dove le loro case erano state per questo demolite dai ricchi signori, così da evitare l’onere di dover offrire loro aiuto. Di conseguenza, fino alla fine del XIX secolo in alcuni luoghi, le persone vivevano affollate in sporche cascine fatiscenti a volte a un’ora di cammino dai campi in cui lavoravano, e per le quali venivano richiesti affitti altissimi.

Oggi non abbiamo diritto di accesso al 92% dell’Inghilterra . La grande maggioranza delle terre accessibili si trova nel nord-ovest del Paese, molto lontano da dove vive la maggior parte delle persone. Mentre a Londra le persone appartenenti ai gruppi etnici BAME ( acronimo per Black Asian and Minority Ethnic) vengono fermate e perquisite quattro volte di più rispetto alle persone bianche, in Suffolk hanno 17 volte più probabilità di essere fermate, e nel Dorset, 25 volte. C’è da meravigliarsi quindi che, nonostante gli sforzi del Governo di persuaderle, così poche persone di colore visitino la campagna?

Per il momento, le nostre libertà devono essere limitate. Ma quando terminerà il lockdown, festeggiamo chiedendo il diritto di vagare in terra libera, sia in città che in campagna. Diamo una definizione legale di spazio pubblico , il cui l’uso pacifico e la possibilità al raduno siano stabiliti a diritto universale. La libertà di girare è un diritto fondamentale come quella di parola. Quando la pandemia sarà finita, facciamo in modo che questa diventi la Nazione libera di cui Johnson si vanta.

 

George Monbiot

Fonte: www.theguardian.com

Link: https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/apr/22/lockdown-coronavirus-crisis-right-to-roam

FONTE:https://comedonchisciotte.org/il-lockdown-non-e-una-novita-la-terra-ci-e-stata-negata-per-secoli/

SIAMO TUTTO E NIENTE, NELLO STESSO MONO-INDIVIDUO COSCIENZIALE

“Bisogna insegnare a credere, ma ancora di più a non credere. Perché ci sia in ognuno un po’ di bontà verso tutti, è necessario non credere che ce ne sia molta. L’uomo che fa di tutto per l’umanità e anche per la sua patria, è una bugia; ciò che è vero e ciò che è necessario ed è sufficiente affinché tutto vada bene è amare se stessi, la propria famiglia e i propri amici, qualche vicino e la propria città, un po’ anche qualcuno del proprio paese, quasi per nulla l’umanità, e per niente la specie, l’umanità di un’altra epoca. È l’unica cosa che c’è davvero nelle persone e questo è abbastanza”. Bisogna “vivere per il nostro amore, la casa, gli amici e aver compassione e simpatia per chiunque abbiamo vicino nel corpo e nella persona e che vediamo sofferente e bisognoso di aiuto: non per l’umanità”.

Basterebbe una riflessione come questa per capire che Macedonio Fernández – uno scrittore e un filosofo noto in Italia soprattutto per essere stato un amico e maestro di Jorge Luis Borges, che tra l’altro dice di lui di averlo imitato fino al plagio – è un pensatore sincero. Ma non è l’unico suo pregio. Come capita spesso alle persone sincere, è anche dotato di uno spiccato senso dell’umorismo e di una certa capacità di rilevare paradossi, di cui Cuadernos de Todo y Nada, uno dei volumi più densi della sua opera filosofica, è particolarmente ricco.

Del resto non bisogna stupirsi, perché per Macedonio la vita inizia con uno scherzo, dato che quando nasciamo ci sono già molti altri individui, e “in una quantità tanto immensa che in pratica essere uno di loro è meno che non essere” a causa dell’impressione d’insignificanza che questa scoperta produce. Anche una simile circostanza conferma l’ipotesi che la vita sia piena di sfide alla logica e al buon senso, come per esempio il fatto che “quanto più si vive, tanto più sarebbe stato probabile l’essere morti prima, perché si è avuto più tempo per morire”.

Macedonio non è né ottimista né pessimista: per lui c’è una buona probabilità che l’umanità civilizzata sia la specie vivente più infelice, ma è anche probabile che il riso e la tenerezza (e forse anche il piacere della musica) dell’animale chiamato uomo civilizzato ne siano la compensazione. Non è infatti d’accordo con Gottfried Wilhelm von Leibniz e con il suo “migliore dei mondi possibili”, ma nemmeno con Arthur Schopenhauer, che sembra credere che questo sia il peggiore, e crede piuttosto che “è indifferente esistere o non esistere”. Per Schopenhauer questo mondo è il peggiore dei mondi possibili e pensa che buddismo e brahmanesimo siano le religioni più perfette perché sono essenzialmente pessimiste. Macedonio pensa che abbia rifiutato il suicidio perché “considerava indistruttibile l’essere”, ossia perché riteneva che non solo questa vita fosse cattiva, ma con essa anche ogni altro possibile o successivo stato della sensibilità. In disaccordo con Schopenhauer, Macedonio non crede che la vita sia male, ma pensa con lui che l’unico modo per capire davvero che non è male sia capire che è un nulla, o una mera escrescenza del nulla destinata a nullificarsi, e per la precisione un’escrescenza prodotta dalla bellezza, dato che in fin dei conti “solo il nulla potrebbe prendere il posto di una cosa tanto bella” come l’esistenza.

Macedonio – che non si curò mai molto della sua fama e non cercò più di tanto nemmeno di pubblicare le sue opere, che poi furono raccolte e pubblicate postume da uno dei suoi figli, Alfonso de Obieta – pensava che l’essere popolari potesse coincidere con l’essere confusi con molte persone famose e che la vita avesse inizio in ogni momento, pur essendo anche convinto di essere nato in effetti, e insieme all’universo, il primo di giugno del 1874. Questa sua idea d’essere nato insieme all’universo non è immotivata perché, come George Berkeley, Macedonio crede che solo l’esistenza di un soggetto che percepisce possa attestare quella del mondo esterno, e cioè far sì che si possa dire “esiste”; e per quanto ognuno possa saperne la propria esistenza e quella dell’universo possono dunque aver avuto inizio solo nello stesso momento.

Probabilmente la vita non si propone nulla, non mira a nulla, né più né meno come i pianeti quando ruotano intorno a delle stelle: per Macedonio essa non si pone alcun fine e con la sua indifferenza sembra non raggiungere alcun obiettivo. Come i pianeti rincorrono senz’altra meta le loro orbite, così la vita “fa tutto ciò che le consente la meccanica del cosmo; lo stesso vivere o suicidarsi, il moltiplicarsi o il non moltiplicarsi, tutti i fini che si è creduto di discernere, la vita esiste per la specie, la vita insegue la crescita infinita di un organismo immortale”, perché la vita è “longevista”. La vita ha come meta l’inesistenza: quando qualche accidente – come per esempio l’aumento della temperatura del mare, o della terra, o la diminuzione di quella del Sole o qualsiasi altra causa – si verificherà, allora la vita cesserà e noi non ne sapremo nulla perché saremo ritornati nell’inesistenza che in fondo siamo sempre stati. Esiste forse una possibilità di non essere una simile inesistenza, ed è l’essere tutti lo stesso individuo mono–coscienziale: “mi è sempre capitato di pensare che la vita potrebbe essere un sistema molto vistoso, – scrive Macedonio – però senza alcuna finalità. Poi improvvisamente ho pensato che la sua aspirazione potrebbe essere un unico mono–individuo immortale, ma questa supposizione sembra smentita da un’infinità di fatti”.

Cartesio pensava che il pensiero non occupasse spazio, che fosse solo nel tempo, e così il sapere. Per Macedonio non è così, perché “ogni stato coscienziale pone un limite alla presenza simultanea di altri stati”. Due stati coscienziali non possono occupare lo stesso luogo nella coscienza, tendono cioè “a non poter occupare lo stesso istante coscienziale”. Quindi ogni stato di coscienza è una totalità irriducibile, è un tutto senza possibilità di relazionarsi ad altre totalità. Per Macedonio l’essere è come il sogno, intero, di un’anima, un sogno solipsistico, perché nessuna sensibilità è plurale. Non c’è nulla oltre ciò che sento; non esiste ciò che gli altri sentono, e tutto l’essere è in ciò che sento. Tutti questi assoluti coscienziali potrebbero però, in un’ipotesi estrema, essere concepiti per Macedonio come dei riflessi di un unico mono–individuo coscienziale, perché altrimenti ciascuno di loro sarebbe totalmente il reale, un elemento solipsistico che si staglia nel nulla coincidendo col tutto, ma in contraddizione per questo con l’esserlo anche di tutti gli altri.

Non meno solo di ogni individuo normale, quest’individuo mono–coscienziale immortale potrebbe essere ritenuto anche sostanzialmente irreale, dato che, a causa della sua solitudine assoluta, essendo deprivato di ogni suo possibile riflesso, non sarebbe in grado di produrre alcuna consapevolezza di sé; ma proprio questa circostanza potrebbe viceversa averlo indotto a disperdersi in riflessi infiniti, per poi di nuovo comprimerli in una sorta di Aleph che tutto riassume ed esprime nell’iridescenza di uno stesso uno–tutto. Quest’individuo mono-coscienziale immortale di cui parla Macedonio, non meno unico e causa sui del Dio di Baruch Spinoza, attesterebbe la sua realtà attraverso la propria deflagrazione nei suoi infiniti attributi e riflessi e modi, tali da restituirgli la propria immagine solo nel suo infinito dissolvimento e auto-rispecchiamento. Non sarebbe quindi meno reale, e avrebbe come il Dio di Spinoza l’innecessario e gratuito conforto di cogliersi in quel proprio unitario iridescente riflesso, nella moltitudine che non è e di cui pur garantisce e conserva l’essere nell’attesa eterna che si produca lo sguardo, sempre nuovo ma in fondo mai diverso, che sia capace di cogliere l’essere nell’unità del molteplice, nell’uno-tutto di se stesso.

Macedonio Fernández, Cuadernos de Todo y Nada, Corregidor, Buenos Aires.

FONTE:http://opinione.it/cultura/2020/04/20/gustavo-micheletti_macedonio-fern%C3%A1ndez-cuadernos-de-todo-y-nada-jorge-luis-borges-leibniz-schopenhauer/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Il colonnello Kvachkov, ex dei servizi segreti militari russi:”coronavirus operazione terroristica per controllare la popolazione mondiale”

di Cesare Sacchetti

Un’intervista approfondita a 360 gradi dove viene analizzato ogni aspetto fondamentale del fenomeno coronavirus e dove vengono rivelati i suoi veri inquietanti obbiettivi.

E’ quella che il colonnello Vladimir Vasilievich Kvachkov, già membro del Direttorato principale per l’informazione, l’apparato dei servizi segreti di intelligente militari russi, e delle Spetsnaz, le forze speciali russe, ha rilasciato al canale Studiya Rubezh.

Kvachkov è stato già onorato dell’Ordine della Stella Rossa ai tempi dell’ex Unione Sovietica e dopo il crollo del Muro di Berlino con la nascita della Federazione russa è stato insignito di altre prestigiose onorificenze militari, quale l’ordine del coraggio.

La disamina del militare esperto di intelligence è semplicemente disarmante.

VIDEO QUI: https://youtu.be/t2vqjBtnltI

L’intervista integrale del colonnello Kvachkov

Il coronavirus non avrebbe in alcun modo le caratteristiche di una vera pandemia globale nè quella di una epidemia mortale, ma sarebbe in realtà una operazione su scala mondiale scatenata dalle élite globaliste per arrivare al raggiungimento finale dei loro obbiettivi.

Il colonnello non gira intorno alla questione e spiega subito la vera natura del coronavirus.

“Il fenomeno coronavirus che viene falsamente definito una pandemia ha bisogno di essere esaminato dalla prospettiva delle potenze globali. E’ un fenomeno religioso, politico, finanziario, economico e nazionale. Permettemi di dire che non c’è nessuna pandemia, è una menzogna, va considerata come una operazione strategica globale. E’ esattamente questo il modo in cui va pensata questa operazione. Questi sono ordini ed esercitazioni delle forze mondiali che sono dietro le quinte per controllare l’umanità.”

L’umanità quindi non sarebbe in alcun modo di fronte ad un fenomeno di natura sanitario, ma piuttosto ad una vera e propria operazione terroristica per ridisegnare completamente la nuova mappa geopolitica del mondo.

Il pianeta sostanzialmente, nel decennio che è appena iniziato, andrà incontro ad una radicale trasformazione e il coronavirus sarà il mezzo attraverso il quale le grandi élite globali che governano il mondo da dietro le quinte, per utilizzare una definizione ricorrente di Kvachkov, riusciranno a perseguire i loro obbiettivi.

Il primo importante fine delle grandi élite è quello della riduzione della popolazione mondiale.

“E’ questo l’obbiettivo del coronavirus. Lo ripeterò ancora una volta, abbiamo poca fede in Dio e ancora meno nell’esistenza di Satana, il nemico della razza umana. L’obbiettivo delle forze sioniste e finanziarie mondiali dietro le quinte è la riduzione della popolazione mondiale. È la loro idea fissa, pensano che ci siano troppe persone nel mondo”

Come si vede, l’esperto di intelligence russo introduce anche un elemento di carattere escatologico nella sua analisi. La matrice ideologica che sosterrebbe le grandi élite internazionali sarebbe strettamente legata alla religione satanica, in antitesi ed acerrima nemica del cristianesimo.

Il mondo dopo il coronavirus

Il misterioso virus di Wuhan sarebbe il mezzo ideale per creare una sortà di società a due livelli, nella quale la classe media sostanzialmente uscirebbe di scena.

Nel mondo post-covid, la piramide del potere infatti sarebbe composta da una élite che dispone di illimitati mezzi economici e finanziari, sotto la quale si trova una moltitudine di persone povere che farebbero fatica a ricevere i basilari mezzi per il sostentamento quotidiano.

La globalizzazione quindi accelererebbe verso la sua ultima fase terminale per ampliare ancora di più le differenze socio-economiche a favore del vertice della piramide, ma non prima di aver ridotto consistentemente il numero di persone presenti sul pianeta, passaggio fondamentale per erigere il nuovo ordine globalista.

“Dovrebbero esserci 100 milioni appartenentk alle élite, e un miliardo massimo di persone sulla Terra per servirli. Allora vivranno in abbondanza sulla Terra. Perchè noi, il popolo, siamo troppi per le potenze mondiali dietro le quinte. Ecco perchè il coronavirus e la crisi finanziaria è emersa quasi immediatamente sono legate le une alle altre.”

Il depopolamento non sarebbe infatti dovuto alla portata letale del coronavirus. Se si guarda infatti al conteggio ufficiale dei morti da coronavirus, anche considerando tutte le persone morte con altre gravi patologie, la percentuale in rapporto alla popolazione mondiale è solamente pari allo 0,0002%.

Il vero fattore che porterebbe ad un abbattimento del numero di persone nel mondo verrebbe invece dagli effetti devastanti sull’economia globale che la quarantena forzata sta provocando.

Nel solo caso dell’Italia, si pensi che la perdita di PIL sarebbe pari a -15% solamente nel primo semestre. Si tratta di una recessione senza precedenti nella storia del Paese.

In questa nuova società quindi il welfare economico dell’Occidente sparirebbe definitivamente e si andrebbe incontro ad un processo di grecizzazione economica generalizzata.

Kvachkov si sofferma anche a considerare la nuova condizione dell’ordine globalista. I cittadini non sarebbero più tali, non avrebbero in altre parole quei diritti politici che sono stati abituati a considerare imprescindibili nel corso della loro esistenza.

Le masse sarebbero rimesse ai diktat e alle angherie delle grandi élite internazionali, ed è esattamente quanto si vede accadere in Italia in questo momento.

Si assiste infatti alla fine dello Stato di diritto per come lo si conosceva e al tramonto dei diritti costituzionali fondamentali, sostituiti da ordini amministrativi in aperta violazione della carta costituzionale.

Il coronavirus è l’11 settembre globale del mondo

L’ex membro delle Spetsnaz ricorda che questo non è stato il primo tentativo per arrivare a questo obbiettivo e cita a questo proposito l’11 settembre.

“Il primo tentativo di portare via quei diritti dal popolo è successo l’11 settembre 2001. Non molti sembrano ricordarlo che dopo il cosiddetto attacco contro le Torri gemelle, il Pentagono e la Casa Bianca negli USA, la guerra mondiale al terrorismo è stata dichiarata. Le potenze mondiali che sono dietro le quinte hanno creato gli eventi dell’11 settembre. Adesso hanno un’altra scusa per avere un controllo più grande e sovrastare l’umanità. Ecco perchè sono venuti fuori con il coronavirus.”

Se l’11 settembre è stato certamente il fattore scatenante tale da poter giustificare tutte le guerre degli Stati Uniti in Medio Oriente, il coronavirus in questo caso assumerebbe la stessa funzione a livello mondiale per poter erigere la società che hanno in mente le élite globaliste.

Allora come oggi, i grandi poteri transnazionali avrebbero avuto un ruolo decisivo nella creazione di questi eventi, senza i quali sarebbe stato praticamente impossibile arrivare al passaggio successivo.

A questo proposito, si ricordi un importante documento firmato dai neocon americani, dal titolo “Progetto per un nuovo secolo americano”.

In questo manifesto del 1997, si parla esplicitamente della necessità di avere un “evento catalizzante catastrofico come una nuova Pearl Harbor” per poter giustificare le guerre del deep state di Washington in Medio Oriente.

4 anni dopo, diversi firmatari di quel documento, tra i quali Dick Cheney e Donald Rumsfeld, facevano il loro ingresso nella Casa Bianca e un evento catastrofico aveva effettivamente luogo, ovvero l’11 settembre.

Ora per Kvachkov il coronavirus avrebbe la stessa funzione, ma su una scala di proporzioni ancora più vasta.

“Riceviamo informazioni politiche di propaganda politica speciale, una sorta di psico-propaganda informativa. Si tratta di un’operazione psico-informativa speciale delle potenze mediatiche globaliste internazionali che sono al soldo delle potenze liberali sioniste che stanno creando questo terrore adesso. Adesso stanno vedendo chi obbedisce e chi no.”

I media quindi in quest’ottica avrebbero avuto la funzione di sommergere la popolazione con messaggi terroristici senza dare spazio ad un serio contradditorio scientifico sulla effettiva pericolosità del Covid.

Questa sarebbe solo la fase preliminare nella quale si verifica chi è disposto a sottomettersi al regime globalista e chi no.

Per il colonnello, il prossimo obbiettivo sarebbe proprio la Russia, il Paese più disallineato alle grandi forze globaliste dove nel quale la crisi da coronavirus non avrebbe infatti avuto lo stesso impatto che sta avendo in Occidente.

Si può essere in disaccordo con l’analisi dell’esperto militare russo, ma molti elementi portati alla luce dall’ex membro del GRU, coincidono perfettamente con quanto sta accadendo.

Il coronavirus si sta rivelando il mezzo ideale per ridisegnare completamente i rapporti di forza della società occidentale per come la si conosceva.

Un mondo che assomiglia terribilmente a quanto descritto nel rapporto del 2010 pubblicato dalla famiglia Rockefeller, nel quale la pandemia è annunciata con largo anticipo e porta esattamente al tipo di sistema politico di cui parla il colonnello.

L’ultimo passo è la costruzione di un governo unico mondiale nel quale i cittadini sono spogliati dei loro diritti e ridotti al rango di sudditi.

Un sistema distopico folle che riflette una versione perversa e anticristiana dell’umanità. Un sistema che purtroppo sembra terribilmente vicino alla sua realizzazione definitiva.

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FONTE:https://lacrunadellago.net/2020/04/27/il-colonnello-kvachkov-ex-dei-servizi-segreti-militari-russicoronavirus-operazione-terroristica-per-controllare-la-popolazione-mondiale/

Perché Elkann ha silurato Verdelli da Repubblica

di 

Perché Elkann ha nominato Maurizio Molinari direttore del quotidiano Repubblica al posto di Carlo Verdelli? Il post del giornalista di economia e finanza Andrea Montanari

Alcune premesse:

1) Exor è una delle holding più liquide in assoluto sul panorama italiana, seppure sia olandese, ma la famiglia Agnelli-Elkann è di Torino. Ha ceduto asset – da Partner Re a Fca che si sposa con Psa e prima Fca ha venduto Magneti Marelli – e si tiene il gioiellino Ferrari.

2) John Elkann ha sempre avuto la passione/pallino per l’editoria: Fiat/Fca era il primo socio di Rcs – la gestione non è stata certo il top in anni di crisi – prima di passare la mano a Urbano Cairo che ha vinto la sfida con il salotto buono. Exor è azionista di The Economist. John apprezza l’Osservatorio Giovani Editori di Andrea Ceccherini.

3) Il matrimonio tra l’ex Gruppo l’Espresso e Itedi è durato lo spazio di un mattino, visto che in tre anni è stato stravolto l’assetto proprietario con la Cir dei De Benedetti – nel 2008 Rodolfo aveva studiato lo spin-off delle attività allora controllate, compresa Sorgenia, un progetto non andato in porto per la contrarietà del padre Carlo

Per cui ci si aspettava che il cambio di direzione a Repubblica, del quale si parlava da mesi, ossia da quando Cir ed Exor hanno studiato il nuovo deal, non avvenisse ora, in un periodo emergenziale, ma in autunno, con calma. Quindi qualcosa deve essere andato storto o precipitato. Perché?

1) Carlo Verdelli era arrivato nel febbraio 2019 a Repubblica dopo una lunga riflessione dei soci Elkann-De Benedetti. La scelta che pareva più logica, per un giornale come il quotidiano romano, faceva riferimento a Ferruccio de Bortoli, molto apprezzato dall’Ing e non solo. Ma non piaceva a John Elkann, forse anche per qualche incomprensione quando de Bortoli era direttore del Corriere della Sera con Fiat/Fca 1° socio.

2) Si scelse Verdelli per il curriculum, la storia, l’indipendenza, il carattere e perché tutti i giornalisti che hanno lavorato con lui lo hanno sempre apprezzato, nonostante anche nella breve esperienza in Rai le cose non andarono benissimo: esiste la leggenda, molto vera, del semaforo sulla porta del direttore Verdelli per accedere alla sua stanza.

3) Verdelli ha raccolta l’eredità di Mario Calabresi con un quotidiano che vendeva in edicola 138.675 copie (dato Ads del febbraio 2019) e lo ha lasciato con 132.270 copie (dato Ads febbraio 2020, ultimo disponibile), quando per esempio nel febbraio 2015 ne vendeva, sempre in edicola, 238.476.

Questi sono i fatti (e i numeri fino a oggi). Ma poi cosa è successo?

John Elkann è persona decisa, vuole i suoi uomini: l’ad di Gedi, Laura Cioli, che aveva avuto e voluto anche in Rcs dopo l’esperienza di Pietro Scott Jovane, non è stata confermata già mesi fa quando si è deciso il merger. Al suo posto è arrivato Maurizio Scanavino, magari della scuderia torinese tra Fca, Itedi, Publikompass ecc ecc molto vicino a Elkann stesso. Manager apprezzato dal mercato.

Ma il blitz a Repubblica, consumato curiosamente o stranamente nel giorno in cui l’hashtag #iostoconverdelli spopolava su Twitter (a difesa del giornalista minacciato più volte sui social e non al punto che era comparsa persino un data di morte, guarda caso proprio oggi, poi cancellata, per fortuna direi), è particolare.

Ma ha delle spiegazioni. Elkann apprezza parecchio Maurizio Molinari che ha voluto nel novembre 2015 alla direzione de La Stampa (copie vendute in edicola: 140.472) e che lascia con 86.619 copie (febbraio 2020), -38,33%. Si fida di lui, anche se politicamente è distante, parecchio, da Repubblica e dal suo lettorato. E’ una scelta, forte, di campo, da decifrare. Per questo la redazione di Repubblica per il 24 aprile ha proclamato un giorno di sciopero.

Verdelli ha dato uno svolta a Repubblica, ha fatto titoli forti, d’impatto, che magari non erano in linea con il lettorato del quotidiano romano da sempre faro del centrosinistra e del Pd, o di una parte di esso: le battaglie combattute dalla testata fondata da Eugenio Scalfari sono state d’impatto e decisive per il Paese e la politica. Linea che però, dati alla mano non ha portato risultati crescenti – del resto il mercato è in crisi dal 2008 – e non ha colmato il gap con il Corriere della Sera, quotidiano che Verdelli conosce bene per esserne stato vicedirettore anche con de Bortoli.

Ma probabilmente la linea strong della Repubblica di Verdelli non erano e non sono nei canoni editoriali di Elkann che forse preferisce tematiche meno politiche o campagne mediatiche meno strillate.

Poi c’è un particolare che nel mondo giornalistico oggi è tornato alla mente: Verdelli era il direttore di quella Gazzetta dello Sport che sollevò e cavalcò il caso Calciopoli, scoppiato nel 2006 – anno della vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio che garantì al quotidiano sportivo il record di copie, 2 milioni nel giorno successivo al successo – che portò alla retrocessione in B della Juventus di proprietà degli Agnelli-Elkann.

(post tratto dal profilo Facebook del giornalista Andrea Montanari)

FONTE:https://www.startmag.it/economia/perche-elkann-ha-silurato-verdelli-da-repubblica/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=perche-elkann-ha-silurato-verdelli-da-repubblica&ct=t(RSS_EMAIL_CAMPAIGN)

 

 

 

LA POTENZA DELLA STUPIDITÀ

La potenza della stupiditàNelle tonnellate di parole che ogni giorno, provenendo da giornali, riviste, televisioni, messaggi, inondano la nostra mente, soprattutto in tempo di pandemia, quando minore è la possibilità di sottrarsi semplicemente fuggendo via, non poche purtroppo esprimono sesquipedali scempiaggini, alle quali appunto non facilmente si può scampare e che perciò mi irritano moltissimo, ma nello stesso tempo – stranamente – mi attraggono. Mi attraggono perché come esiste – secondo il titolo dell’aureo saggio di Johann Rosenkranz – una “estetica del brutto”, così esiste una “estetica della stupidità”.

Quando la stupidità tocca vertici, per dir così, assoluti, finisce con l’esercitare su di me una sorta di attrazione che non saprei definire se non appunto “estetica”, simile a quella esercitata dalla più sublime intelligenza: ne rimango quasi affascinato, come ammirato – indegno emulo di Thomas Mann – da tanta perfezione (esiste anche, dobbiamo ammetterlo, una perfezione della stupidità). Si pensi a certe affermazioni presenti sui cosiddetta “social” e che vengono ripetute e diffuse come fossero sensazionali scoperte (per esempio, “domani è un altro giorno!”), mentre non sono che il distillato della più genuina e sconfortante banalità elevata all’ennesima potenza. Infatti, la stupidità è molto potente, al punto che Friedrich Schiller si spinse a riconoscere che “contro la stupidità gli stessi Dei combattono invano”, anche perché mentre il delinquente sa di esserlo, lo stupido irraggia verso il prossimo la propria stupidità senza rendersene conto, con perfetta e pericolosa innocenza.

Un esempio di questi giorni, a suo modo emblematico. Da molti versanti della carta stampata, dei mezzi televisivi, delle riviste più o meno specializzate, perfino – e questo mi pare ancor più gravemente significativo – dagli inserti culturali alla moda non si fa che ripetere la medesima solfa ormai davvero inascoltabile: e cioè che mentre prima la nostra civiltà si riteneva onnipotente, inscalfibile, inattaccabile, ora, dopo la pandemia planetaria – e soltanto grazie ad essa – avremmo scoperto la nostra fragilità, il nostro bisogno di protezione, saremmo tornati umani. Insomma, quasi dovremmo esser grati alla pandemia che ci ha permesso questo ritorno alle origini.

Ma davvero? Basta percorrere i primi passi sul normale cammino del pensiero, per scorgere in questa affermazione il distillato della stupidità contemporanea, in una delle sue forme più accattivanti, quella giornalistico-culturale, che qui va letta ovviamente col “pseudo” quale prefisso: “pseudo-giornalistico-culturale”. Ed invero, chi mai ha davvero ipotizzato, fino al febbraio scorso, che la nostra civiltà umana fosse davvero onnipotente ed inattaccabile? Nessuno che fosse appena dotato del minimo del pensiero critico ha mai davvero immaginato una scempiaggine del genere: soltanto degli stupidi potranno aver partorito questa convinzione. Non occorre certo dar vita a conturbanti elucubrazioni pseudo-filosofiche da parte degli intellettuali alla moda – cosa che purtroppo avviene invece negli ormai illeggibili inserti culturali dei grandi quotidiani italiani, infarciti di paginate e paginate dedicate a simili sesquipedali sciocchezze – per cogliere immediatamente la profonda e direi quasi sublime stupidità di simili affermazioni.

Abbiamo forse trovato finalmente una efficace terapia contro le neoplasie più perniciose? No. Abbiamo forse trovato come sfamare i tre miliardi di esseri umani che letteralmente non hanno nulla da mangiare? No. Abbiamo capito con sufficiente certezza cosa diavolo si celi dietro i “buchi neri” che popolano l’universo? Sappiamo rispondere con sufficiente certezza agli interrogativi morali in tema di suicidio assistito o di eutanasia? No. Mi fermo qui, ma potrei continuare con domande del genere per le prossime seicento pagine almeno.

E allora? Chi, di fronte a domande di questo tipo, alle quali non sapevamo rispondere neppure prima del manifestarsi della pandemia, potrebbe sentirsi – appunto in mancanza di possibili risposte – appartenente ad una civiltà ormai onnipotente ed inattaccabile? Soltanto gli stupidi, nessun altro che non lo fosse. E qui devo riconoscere – memore della brillante lezione del compianto Carlo Cipolla che dedicò al problema della stupidità un breve ed intelligentissimo saggio – che il numero degli stupidi non solo è molto più grande di quanto si sia portati ad immaginare, ma è reperibile dappertutto, presso ogni classe sociale: la stupidità alligna ovunque, fra giovani e vecchi, fra uomini e donne, fra ricchi e poveri, fra docenti universitari ( come dimenticare l’aforisma di Anton Čechov, per il quale “l’Università sviluppa tutte le doti dell’uomo, fra le quali la stupidità?”) e semianalfabeti. La stupidità è altamente democratica e per questo altamente pericolosa e perfino contagiosa, come dimostra il proliferare di argomenti del genere sulle pagine “culturali” dei giornali, che li affrontano col cipiglio e la seriosità che andrebbero riservati invece agli argomenti non stupidi, ammesso che fossero in grado di scorgerli.

Il fenomeno odierno, da me denunciato, si presenta perciò così: si tratta di stupidi che parlano ad altri stupidi. La sola differenza sta nel fatto che i primi scrivono e i secondi leggono. Sicché, ridotto quasi alla disperazione, invito – quale efficace antidoto alla stupidità – a trovar rifugio nella intelligenza di Oscar Wilde, per il quale dal momento che “viviamo in un’epoca in cui soltanto gli ottusi vengono presi sul serio, vivo nel terrore di non esser frainteso”.

FONTE:http://opinione.it/editoriali/2020/04/27/vincenzo-vitale_pamdemia-estetica-brutto-estetica-stupidit%C3%A0-rosenkranz-mann-schiller-cipolla-%C4%8Dechov/

 

 

 

ECONOMIA

Sogin, una comunicazione spericolata

Sogin, una comunicazione spericolataIn decreti e bilanci forse la chiave alle bizzarre spese nella comunicazione, compito del Cda attuale accertare le eventuali responsabilità di una presunta condotta non chiara, lo si deve gli italiani.

Ricordate qualche anno fa, quando il buon Beppe Grillo durante qualche suo spettacolo e dichiarazione, a buon motivo, sosteneva di aver capito che la Parmalat investiva, senza senso, i soldi e che guardando i bilanci, come aveva fatto semplicemente lui, a chiunque sarebbe stato facile intuire il resto? Bene, per cercare di capire le implicazioni della interrogazione del senatore Francesco Battistoni di Forza Italia (Atto n° 4-03220) che chiede ai ministeri competenti di conoscere una serie di spese effettuate dalla Sogin (Società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi) nel periodo in cui era presieduta da Giuseppe Zollino e se sia configurabile un danno erariale, si è fatto lo stesso esercizio intrapreso da Beppe Grillo, si è data una sbirciatina ai bilanci della stessa Sogin ed in particolare alla voce “Società trasparente”, nella speranza che questa voce non rappresentasse né un mero auspicio, né una sottile ironia.

Con piacere, effettivamente, si è trovato un buon grado di trasparenza, segno indubbio di professionalità aziendale, e questo fa ben sperare per il futuro, quando all’azienda sarà richiesto di fare effettiva e totale chiarezza anche sui dettagli emersi dall’interrogazione depositata. Se la si vuole dire tutta, l’attuale Cda, a propria tutela, dovrebbe accertare le eventuali responsabilità di una presunta condotta non lineare, dato che il tutto è divenuto di dominio pubblico dopo l’interrogazione succitata e riportata anche dalla stampa. Far chiarezza è un atto dovuto, perché l’azienda la deve proprio a tutti quei cittadini italiani, a cui tra l’altro recentemente si è rivolta, tramite un video, dichiarando che dato il periodo che si sta vivendo vuole “fare arrivare la sua vicinanza ed incoraggiamento” proprio a loro, dunque quale miglior occasione per dimostrarlo senza sé e senza ma, questa volta non tramite la donazione di mascherine, gesto pur nobile, ma con i fatti a cui questo nuovo vertice è stato chiamato. Quello che incuriosisce in tutta questa storia è “se corrisponda a verità la notizia secondo cui l’ex presidente della società, Giuseppe Zollino, abbia gestito, insieme a Federico Colosi, attuale direttore delle relazioni esterne della Sogin, campagne di comunicazione per 3,5 milioni di euro” e su questo si è fatta qualche ricerca sul sito stesso della Sogin.

Il primo quesito è una premessa: perché il presidente e non l’amministratore delegato si è occupato di campagne di comunicazione? Questa risposta è stata trovata sia nella Relazione sulla gestione del 2013 nel bilancio della Sogin, che nel documento “Determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Società gestione impianti nucleari (Sogin Spa) per l’esercizio 2013” della Corte dei Conti, dove si legge che il Cda nella seduta del 26 settembre 2013 ha nominato l’amministratore delegato, nella persona designata dal ministero dell’Economia; attribuito al presidente, previa autorizzazione rilasciata dall’Assemblea del 20 settembre 2013, deleghe in materia di relazioni esterne e istituzionali, relazioni internazionali e supervisione delle attività di controllo interno; attribuito all’amministratore delegato, oltre ai poteri per la legale rappresentanza della società, tutti i poteri di amministrazione della stessa, ad eccezione di quelli attribuiti al presidente ed a quelli che il Consiglio si è espressamente riservato.

Le campagne di comunicazione, a quanto appare, ricadevano quindi nella diretta ed esclusiva responsabilità del presidente e non dell’amministratore delegato. Occorre prima di tutto precisare che le attività di comunicazione fanno parte integrante dei doveri che la Sogin ha verso i cittadini, data la materia estremamente delicata che gestisce. Sono così nel tempo nate, e si sono sviluppate con una certa costanza, attività di comunicazione legate alla presenza degli impianti nucleari sul territorio, i cosiddetti “Tavoli della trasparenza”, talvolta anche giustamente richiesti dalle amministrazioni locali. Esiste poi l’attività formativa, scientifica e tecnica sia di livello nazionale che internazionale, attività importanti, legate alle competenze caratteristiche di questa società, che dal punto di vista tecnico rappresenta un’eccellenza italiana, che andrebbe difesa ed ulteriormente sviluppata. Nel bilancio del 2013 non si trova nulla che si possa riferire all’interrogazione, ma è bene tenere a mente due numeri: “trasferta dipendenti euro 1.598.218”; “Pubblicità, mostre e fiere, ecc. euro 182.405”.

Nel bilancio dell’anno successivo, il 2014, nella Relazione sulla gestione, si rinviene una notizia che sembra essere interessante alla voce “Comunicazione ed eventi”, “l’organizzazione degli eventi ha seguito prevalentemente lo sviluppo delle attività di comunicazione per il Deposito nazionale”. Gli importi di spesa delle due voci di cui sopra si evolvono come segue: “trasferta dipendenti euro 1.464.739”; “Pubblicità, mostre e fiere euro 195.827”. Nel bilancio dell’anno successivo, il 2015, le stesse voci subiscono un’altra evoluzione, “trasferta dipendenti” è riclassificata come “Rimborsi per spese di trasferta e simili euro 1.849.837”; e “Pubblicità, mostre e fiere” è riclassificata come “Campagna comunicazione, mostre e fiere euro 3.234.327”. Le trasferte hanno quindi subito un incremento di euro 385.098 euro, più 26,29 per cento e la comunicazione ha avuto un incremento di euro 3.038.500, più 1.551,62 per cento! Ma è interessante notare che i numeri sarebbero ancora maggiori, infatti guardando in una sezione del bilancio che dedicata al conto economico per il Deposito nazionale e il Parco tecnologico, si legge: “La principale variazione rispetto al consuntivo 2014 riguarda principalmente le attività di comunicazione, che registrano un consuntivo di 4,1 milioni di euro contro gli 0,6 milioni di euro del 2014.

Infatti, per quanto riguarda le attività inerenti i Processi di comunicazione, si rileva che, nel corso del 2015: sono continuate le collaborazioni di Sogin con il Comitato scientifico e l’Osservatorio per la chiusura del Ciclo nucleare della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, organismi consultivi tecnici composti da autorevoli rappresentanti di enti scientifici e universitari; è stata perfezionata la stipula di contratti per la gestione degli aspetti di informazione e coinvolgimento del processo di localizzazione del Deposito nazionale; si è conclusa a novembre la campagna informativa sul Deposito nazionale e Parco tecnologico lanciata a luglio; si sono conclusi inoltre i lavori di preparazione dei 3 infopoint di Torino Porta Nuova, Roma Tiburtina e Bari Centrale, che saranno utilizzati, secondo quanto previsto dal c.3 art. 27 del D.lgs. 31/2010, per consentire la consultazione degli atti nella loro interezza.” A questo punto le domande che sorgono spontanee sono: qual è il numero che ci interessa 3,2 milioni o 4,1? Questi infopoint presso le stazioni ferroviarie, se sono stati realizzati, hanno sicuramente comportato delle uscite, ma sono stati mai aperti presso le stazioni citate o sono rimasti lì chiusi, come semplici cattedrali nel deserto, comportando solo spese di denaro pubblico? Forse, a qualcuno potrebbero essere di interesse entrambi.

Ma, soprattutto, questi soldi erano da spendere o no? Le domande sono lecite perché il riferimento legislativo trovato, ovvero il Decreto legislativo 31/2010, poi aggiornato al Decreto legge 192/2014 e convertito dalla Legge n° 11/2015 all’articolo 27 (Autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio del Parco tecnologico), ai comma 11 e 12, si recita quanto segue: “11. Entro trenta giorni dalla ricezione della proposta il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca per gli aspetti relativi all’attività di ricerca, sulla base della proposta formulata dalla Sogin Spa e del parere vincolante dell’Agenzia, individua con proprio decreto il sito per la realizzazione del Parco Tecnologico e attribuisce il diritto di svolgere le attività ad esso relative, di cui al presente decreto legislativo, in via esclusiva alla stessa Sogin Spa, nel rispetto del diritto comunitario. Con il medesimo decreto, la relativa area viene dichiarata di interesse strategico nazionale e soggetta a speciali forme di vigilanza e protezione e vengono definite le relative misure compensative.

Il decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e contestualmente sui siti internet dei suddetti ministeri, della Sogin Spa e dell’Agenzia. 12. Nella regione in cui è situato il sito prescelto per la realizzazione del Parco tecnologico, la Sogin Spa avvia entro trenta giorni una campagna di informazione diffusa e capillare volta a comunicare alla popolazione ed agli enti locali le necessarie informazioni sul Deposito nazionale; in tale campagna informativa si terrà conto, in particolare, dei temi della sicurezza, della salute dei lavoratori e della popolazione, della tutela ambientale, nonché di quelli relativi alle ricadute socio-economiche, culturali e di sviluppo del territorio connesse alla realizzazione del Parco Tecnologico e ai benefici economici previsti, della loro quantificazione, modalità e tempi del trasferimento alla popolazione interessata”.

Si evincerebbe, insomma, che la Sogin avrebbe dovuto procedere ad una campagna di informazione una volta stabilito per decreto il sito per la realizzazione del Parco Tecnologico, cosa che sembrerebbe mai avvenuta, tanto da aver subito l’Italia una condanna da parte delle Corte di Giustizia europea. Leggendo quanto sopra citato dai documenti ufficiali, se il sito per il Deposito Nazionale non era stato ancora decretato, chiunque si chiederebbe il motivo di tanti investimenti in comunicazione quando non vi era alcuna certezza né del luogo e né della data del decreto autorizzativo stesso. Rimane da chiedersi quale entità possa aver riconosciuto i costi sostenuti da parte della Sogin, intuitivamente verrebbe da dire, forse, l’Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), ma su tale punto ci soccorre ancora una volta uno dei chiarissimi bilanci Sogin, ancora quello dell’esercizio 2015: “Tenuto conto di quanto riportato nel par.

“Sistema di riconoscimento dei costi del Deposito nazionale e Parco tecnologico”, relativamente alle perduranti mancanze del Regolatorio per il Deposito, considerati altresì gli obblighi in capo alla Società derivanti dal Decreto legge 31/2010 e dai vincoli temporali ivi previsti, con particolare riferimento alla Cnapi, la Società ha fatto fronte ai relativi pagamenti, attingendo alle proprie disponibilità liquide, come da prassi per gli esercizi precedenti.” Insomma, stando a quanto si può desumere, da qui, la società non si vede riconosciuti dall’Arera, i costi sostenuti soprattutto per le attività di comunicazione e informazione, segno indelebile del fatto che tali attività non sarebbero state considerate concluse ai sensi del Decreto legge 31/2010. Ci si chiede allora perché sono state avviate tali attività? Come si sono formate tali decisioni? Il Cda ha mai autorizzato tutto ciò? E sulla base di quali informazioni interne o esterne? Non esisteva almeno una funzione che si interfacciasse con l’Arera che chiarisse preventivamente questi aspetti, se vi fosse stato un dubbio su una norma di legge che appare molto chiara? Dall’organigramma indicato nel bilancio 2015 appare addirittura una “Divisione regolatorio”, nell’ipotesi che quest’ultima avesse avuto il compito di fornire un eventuale supporto interno su tali decisioni, chi ne era a capo ha fatto qualcosa per metterle in luce? E chi è stato il decisore o i decisori effettivi su queste attività? Non si può che limitarsi a formulare delle domande, sta ad altri trovare risposte convincenti, dato anche il dubbio posto, dall’interrogazione depositata dal senatore Battistoni, che vi siano stati danni erariali.

In questo tempo in cui molti cittadini italiani attendono 600 euro per tirare avanti, si scopre che in un altro tempo si spendeva qualche milione di euro, di soldi sempre dei cittadini, per una campagna di comunicazione, forse senza autorizzazione, soldi spesi inutilmente tra l’altro. A questo punto, se i fatti esposti corrispondessero al vero, è compito del nuovo vertice della Sogin fare chiarezza su questa bizzarra vicenda. Una sola cosa è certa e la si può sottolineare con una efficace battuta del principe della risata Totò: “Ed io pago”! Si, perché alla fine della fiera si ci rende conto che a pagare sono sempre gli italiani, dalla loro tasca, tramite la bolletta elettrica.

FONTE:http://www.opinione.it/politica/2020/04/27/edmond-dantès_sogin-grillo-battistoni-zollino-colosi-corte-dei-conti-parco-tecnologico-torino-porta-nuova-roma-tiburtina-bari-centrale-gazzetta-ufficiale-corte-di-giustizia-europea-arera/

L’assalto straniero all’economia italiana

Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica è in trincea da diverse settimane per vigilare sui rischi di scalate straniere alle aziende strategiche di maggior rilevanza, alle Pmi più dinamiche e ai distretti economici decisivi per l’economia italiana, per l’export e per la tenuta di settori cruciali nella fase dell’epidemia di Covid-19 come l’agroalimentare e il biomedicale.

Nelle ultime settimane, infatti, il Copasir si è mosso per indagare su quali potessero essere i comparti economici più a rischio di infiltrazioni dopo le fibrillazioni degli ultimi tempi, prima fra tutte la tempesta finanziaria di marzo, e per vigilare sull’efficacia di norme quali il rafforzamento del golden power da parte del governo M5S-Pd.

La nuova disciplina dei poteri speciali è ora applicabile anche a possibili scalate provenienti dall’Unione europea e copre un perimetro più ampio. I poteri d’urgenza, infatti, sono ora applicabili a ambiti come l’alimentare, il finanziario, l’assicurativo e il sanitario. Settori su cui lo scrutinio del Copasir è continuo e notevole: il primo fronte è proprio quello finanziario. Il comitato guidato dal leghista Raffaele Volpi, infatti, si chiede se negli ambienti finanziari europei ci siano istituzioni che hanno intenzione di muoversi all’assalto delle banche italiane o se, all’interno o all’esterno del Paese, vi siano soggetti pronti a concedere prestiti per manovre di acquisizione di asset strategici nazionali.

A stretto giro la squadra di Volpi, in cui spicca per dinamismo il senatore Adolfo Urso di Fratelli d’Italiasentirà i vertici di vertici di Unicredit, Generali, Mediobanca, Ubi, Crédit Agricole Italia, Intesa SanPaolo e Mps, a cui potrebbe aggiungersi Deutsche Bank, nel mirino dello stesso Urso: ” è un malato con in pancia un’enorme quantità di derivati e ha una forte presenza in Italia”.

Tale scrutinio è fondamentale per vegliare sui campioni nazionali. Ma il vero problema potrebbe non essere nell’imposizione di uno scudo a colossi come Eni, Enel, Leonardo, come sottolineato dall’analista di Limes Alessandro Aresu: “non sono convinto che un’azienda francese o olandese possa veramente cercare di scalare l’Eni in modo ostile. Un’operazione ostile del genere verso l’Italia, in qualunque situazione, sarebbe una cosa enorme dal punto di vista diplomatico: una minaccia alla sovranità nazionale che nessuno nel nostro Paese dovrà mai accettare”. Ben più cogente potrebbe essere la minaccia ad altre aziende ” nella filiera dell’automotive, nell’aerospazio, nelle scienze della vita, in altri settori ad alta tecnologia di grande importanza”, e secondo Aresu “l’importanza della filiera alimentare, l’accumulazione di riserve alimentari degli Stati, la competizione su questi temi” aggiunge anche il settore agricolo al computo delle aree meritevoli di interesse.

La crisi del coronavirus accelera ma non crea questa dinamica: nel solo settore agroalimentare, ad esempio, circa 3 marchi storici su 4 sono controllati da industrie straniere, risultando sfruttati, sottolinea WineNews, “per vendere prodotti che di italiano non hanno più nulla, dall’origine degli ingredienti allo stabilimento di produzione”. Da Parmalat a Birra Poretti, da Galbani ad Acetum Spa, da Perugina a Sperlari, la lista è lunga: e in una fase di crisi, vedere accentuata questa tendenza sarebbe rovinoso.

Nell’Italia dei distretti, nell’Italia che, citando Carlo Cipolla,”produce all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo” potrebbe incunearsi la minaccia principale. L’Italia dei distretti d’eccellenza è caratterizzata da imprese dinamiche, molto spesso d’eccellenza, ma caratterizzate da problemi di sotto-dimensionamento, carenza di liquidità, fragilità finanziaria. Lo shock attualmente in corso può portare a una loro destabilizzazione e Copasir e autorità esecutive non hanno mancato di considerare questa eventualità. Punte d’eccellenza come la Siare, l’azienda bolognese produttrice di ventilatori polmonari, sono state tutelate con le misure di riconversione industriale; Leonardo ha stabilito un’alleanza con Isinnova, l’azienda d’eccellenza bresciana che ha prodotto maschere e respiratori di assoluta qualità a basso costo. Ma non tutte le aziende dei distretti, dall’agroalimentare a centri d’eccellenza come la “piccola Silicon Valley” della provincia di Udine, possono aver garantiti scudi di questa portata.

Mentre le misure messe in campo dal governo non sono per ora sufficienti ad assicurare liquidità di lungo corso, gli apparati di sicurezza vigilano nel caso in cui la situazione dovesse precipitare. Il Copasir, non a caso, sta proprio scrutinando l’esistenza di possibili operazioni di intelligence economica da parte di attori stranieri (tra l’origine più papabile dei sospettati: Francia, Cina, Germania, Stati Uniti) interessati ad accaparrarsi la competenza, le conoscenze e i brevetti dei distretti italiani. Nella spinta dei capitali stranieri sui distretti italiani si concentra la tendenza che, secondo i dati di Industria Italianaha portato nello scorso decennio l’Italia a divenire terra di conquista: “Nel decennio 2010-2019, il controvalore delle acquisizioni di industrie italiane dall’estero (40 miliardi), infatti è di gran lunga superiore alla somma delle acquisizioni di italiani all’estero (16,6 miliardi) e di italiani fra italiani (10,4 miliardi)”. E senza un’azione tempestiva i prossimi mesi potrebbero portare questo divario a incrementare ulteriormente la sua dimensione: il Copasir è attento e mira a evitare che tutto ciò accada. Lo sfruttamento degli strumenti di intelligence, sia sul fronte interno (Dis) che esterno (Aise), risulterà di importanza cruciale in tal senso.

FONTE:https://it.insideover.com/economia/assalto-straniero-aziende-italiane-crisi-copasir.html

Tra emergenza e coronopticon. Tendenze e contraddizioni del capitalismo in crisi

G. Molinari e S. Cominu intervistano Christian Marazzi

La contingenza attuale è uno snodo importante della storia: mentre accelerano i processi di ristrutturazione, l’emergenza sanitaria fa emergere con forza le fragilità dell’impalcatura sui cui si basa il dominio capitalistico e lascerà impressi profondi segni nel tessuto sociale e nelle soggettività. Consci del fatto che probabilmente è prematuro delineare tendenze di lungo corso, abbiamo approfondito alcune questioni con Christian Marazzi.

Se in una prima fase dell’epidemia abbiamo visto fronteggiarsi due differenti modelli di gestione dell’emergenza sanitaria, successivamente tutti i paesi, stretti dalla necessità di contenere l’incedere del virus, si sono adattati alla «via statalista». Oggi, se leggiamo gli editoriali della stampa sulle prospettive e sul rilancio dell’accumulazione, ci rendiamo conto che si insiste molto sulla necessità di determinati investimenti: infrastrutturali (compresi quelli sul digitale) che consentano di rendere efficiente questa forma di produzione, sui settori riproduttivi, come ad esempio la sanità, e via discorrendo. Sono investimenti che richiedono necessariamente un ruolo dello Stato come finanziatore. Spesso nelle analisi degli ultimi anni si è insistito sul venir meno delle prerogative statuali, pensi che oggi si possa intravedere un ritorno forte dello Stato? Con che modalità esso si ripresenta?

«Al momento non darei per scontata la svolta verso uno Stato sociale attivo, che negli anni precedenti è stato fortemente ridimensionato e delegittimato con le conseguenze che oggi si vedono ad esempio in ambito sanitario. Siamo in una situazione nella quale certamente c’è una possibilità di rilancio; lo Stato sociale storicamente ha avuto un importante ruolo negli anni della crisi e della depressione, basti pensare agli anni Trenta o al periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Ad esempio in Inghilterra il piano di rilancio del dopoguerra, pensato anche come forma di riparazione ai sacrifici della seconda guerra mondiale, ha determinato grandi investimenti nella sanità pubblica e le nazionalizzazioni dell’energia e ha permesso al Partito Laburista di uscire vincitore su Churchill, colui che sembrava l’eroe della vittoria contro il nazifascismo.

Anche oggi, con l’incalzare della terribile pandemia, lo Stato sociale si presenta come possibilità. Ma resta una possibilità. Quello che stiamo notando finora è che alla volontà di fare il possibile per contenere, ridurre, azzerare il coronavirus si associa il dispiegamento di una serie di interventi (come i 2000 miliardi messi in campo da Trump o le politiche monetarie della Bce) estremamente massicci ma probabilmente insufficienti: tutte queste sono misure iscritte in una logica privatistica, sono politiche macroeconomiche di sostegno all’economia privata. Laddove si presenta la possibilità di forme di reddito di cittadinanza, di helicopter money, di quantitative easing for the people bisogna vedere la durata che avranno. Sono proposte condizionate dalla pandemia, finanziamenti a sostegno della domanda, certamente importanti ma probabilmente una tantum, non ricorrenti; qualora si potesse finalmente uscire da questa fase, ciò che deciderà la natura stessa delle misure, cioè l’essere soltanto finalizzate all’economia privata o l’avere un impatto sociale, sarà la durata nel tempo. Se guardiamo al discorso di Draghi sul “Financial Times”, molto elogiato da più parti perché in esso si è intravisto un suo ritorno al keynesismo giovanile, è tutto centrato in funzione economica. Cosa ci dice l’ex presidente della Bce? Che in tempi di guerra, per evitare la contrazione dell’attività economica e scongiurare la depressione, occorre ricorrere al debito pubblico per sostenere il lavoro, le banche, le imprese private, anche in forme estreme. A tal proposito ho letto una riflessione di Marco Revelli che condivido: in Draghi non c’è alcun accenno ad altre forme di sostegno, all’ambito della socialità ad esempio. Penso che dopo la fine della crisi resterà qualcosa delle misure emergenziali, fermo restando che non sappiamo quando bisognerà attendere per un dopo crisi. Anche l’“Economist” nelle ultime settimane sostiene che lo Stato ha sempre fatto dei salti quando è stato chiamato in causa per far fronte a crisi di tipo pandemico o bellico, in questo senso è possibile che ci sia un rilancio dello Stato sociale. Mi interessa capire in che ambiti si riqualificheranno gli investimenti: nel settore sanitario evidentemente, però la socialità, la ricerca, la cultura, l’ambiente, ovvero tutti quei settori ricompresi in quello che abbiamo definito modello antropogenetico, dovrebbero essere la matrice di questo Stato sociale emergente.

C’è chi pensa che il massiccio intervento dello Stato, ad esempio dal punto di vista del capitalismo della sorveglianza, verrà meno con la fine della pandemia, altri, tra le cui fila mi annovero, immaginano una possibilità in questa crisi. È il discorso che caratterizza la nostra tradizione di pensiero: o questi passaggi sono contrassegnati dalle lotte oppure non si daranno. I salti di paradigma non sono neutri, per quanto fortemente contrassegnati dalla crisi in corso, ma inevitabilmente direzionati dalle lotte. Io penso che deve essere promosso molto in termini di mobilitazioni, di proposte, di soluzioni alternative nell’ambito della riproduzione e della cura, dove le donne sono il soggetto fondamentale. La fonte di legittimazione dello Stato sociale deve essere soggettivato, deve essere dato spazio al pensiero femminista.»

 

Quanto c’è di propaganda e quanto di veritiero in queste forme di sostegno al reddito che diversi Stati hanno preannunciato? Alcune delle rivendicazioni delle lotte degli anni precedenti, come il reddito sganciato dal lavoro, sono fatte proprie dai governi che cercano di utilizzare queste proposte come forma di contenimento e controllo sociale. È possibile immaginare di inflazionare queste proposte per fare in modo che queste diventino la base di una nuova fase d’attacco?

«Fino a quando questi soldi non arrivano nelle tasche dei cittadini gli annunci vanno presi con prudenza. Hong Kong è stato il primo paese ad intraprendere la strada dell’helicopter money e penso che anche negli Usa qualcosa si farà ma resteranno misure una tantum, inoltre bisogna considerare che negli States si voterà a novembre. Trump si dimostra particolarmente spregiudicato perché utilizza la distribuzione del materiale sanitario come arma di ricatto politico, rallentando o accelerando le consegne agli Stati a seconda del grado di ostilità nei suoi confronti. Per quanto riguarda l’Italia non mi sembra sia una grande idea quella di distribuire i fondi basandosi sulla banca dati dell’Inps visto che dopo neanche un giorno il sistema è andato in tilt; inoltre un conto è conservare i dati per fini di ricerca, un altro è utilizzarli per decidere sull’erogabilità di un bonus. Sia in questo caso che nel caso statunitense si denota come i criteri politici ed economici continuino a dominare. Ma in un’emergenza non si può discriminare a seconda di questi interessi: dovremmo insistere sull’universalità di questo reddito, i salti dello Stato sociale sono stati fatti all’interno di una dimensione universale dello Stato di diritto, i criteri di selettività sono intervenuti quando è accresciuto il risparmio privato e quindi si cercava di centellinare il denaro da rivolgere alle fasce più a rischio. Altra questione importante su cui insistere: queste forme di helicopter money non devono essere di tipo sostitutivo ma considerate come misure che si aggiungono alle prestazioni in vigore. Il rischio implicito è che possano essere sfruttate per smantellare lo Stato sociale esistente.»

 

Sembra che queste misure siano finanziate con l’emissione di nuovo debito pubblico. L’Unione Europea è, da questo punto di vista, segnata da crescenti fratture. Si scontrano due diverse visioni: quella dei paesi che spingono per la mutualizzazione del debito costretti dall’acuirsi delle difficoltà economiche e dai segnali di insoddisfazione sociale che si danno nei loro confini, quella degli Stati poco propensi ad accettare forme di coordinamento economico. Pensi che si possa arrivare alla rottura del patto europeo o alla fine si troverà un compromesso? E come gestiranno l’aumento del debito?

«Non è evidente la risposta. Un conto è dire che ora è necessario aumentare il debito, sospendendo ad esempio i criteri di Maastricht, ma in seguito cosa pensiamo di fare per ridurlo? Non vedo delle grandi idee in giro, l’unica cosa che si può immaginare è che si potrà delineare uno scenario giapponese. Il Giappone, che ha un rapporto debito/Pil che sconfina il 200%, si finanzia con l’emissione di buoni del tesoro sistematicamente acquistati dalla banca centrale, tant’è che i rendimenti sono bassissimi, pari allo 0,6%. Quindi in prospettiva vedo il ricorso alla macchina per stampare liquidità, però non è uno scenario sicuro perché ad esempio potrebbe aprirsi una fase di concorrenza tra gli Stati per accaparrarsi i risparmi sul mercato. La situazione può farsi delicata e determinare la spaccatura finale della cooperazione tra paesi senza la quale non capisco come si possa fronteggiare questa crisi. Quello che sta succedendo in Europa sui coronabond se da un lato è paradossale, dall’altro ci fa capire che in questi anni di liberismo si è consolidato un istinto di rifiuto a priori di una possibile mutualizzazione dei rischi, persino quando essi non sono legati a spese non “superficiali” sotto la loro ottica. È la dimostrazione palese di come sarà duro tenere insieme l’Unione Europea. Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Non credo passi l’idea di eurobond legati al coronavirus perché persino i paesi del Nord hanno problemi di debito pubblico, perciò si apre un campo di battaglia tra i debiti pubblici dei paesi membri che, senza una politica fiscale comune, finirà per acuire il problema, ognuno cercherà di tirare la coperta a sé. La Germania potrebbe fare marcia indietro sui coronabond solo se si apre qualche crepa nel suo fronte, altrimenti penso che si troverà un compromesso con un fondo salva-Stati evitando di imporre condizioni “greche”. In ogni caso restano i problemi perché se i criteri di accessibilità restano quelli di Maastricht i paesi che hanno più bisogno di accedere al fondo faranno fatica. Comunque, se è improbabile una soluzione consensuale, non lo è una emissione di eurobond da parte soltanto di una parte di paesi, cosa che amplierebbe la frattura però costringerebbe i paesi che non sono d’accordo ad abituarsi o uscire. Per cui la faccenda è poco chiara, vedremo cosa succede nei prossimi giorni. Io propendo per un approccio collettivo che contemporaneamente forzi, anche al prezzo di addivenire ad una rottura.

Dalla mediazione non può uscire nulla, lo abbiamo visto nei dieci anni passati quando soltanto le politiche di quantitative easing hanno permesso la tenuta dell’Ue, calmierando i costi dei debiti pubblici ma con gli effetti che abbiamo visto: tassi d’interesse negativi, finanziarizzazione spinta, aumento dei tassi di diseguaglianza. Il tentativo di tenere a galla il capitalismo in crisi con politiche monetarie attive in sostituzione di politiche fiscali pubbliche che invece sono rimaste iscritte in una logica austeritaria. C’è lo spazio per forzare in Europa dove non c’è un interesse comunitario, a maggior ragione nella situazione attuale visto che anche Olanda e Germania in poche settimane sono passati da conti virtuosi all’indebitamento, quindi scattano le logiche di competizione finanziaria e contabile per cercare di proteggere le proprie finanze. Quindi i Paesi che hanno richiesto i coronabond devono essere aggressivi e la resistenza tedesca a cosa porterà.

Ci stiamo confrontando con un passaggio storico che si fonda sulle ingiustizie che abbiamo visto in questi anni, anni in cui l’autoreferenzalità, gli interessi economici si sono fortemente sedimentati nei processi mentali, diventano automatismi che sono duri a morire anche in situazioni come questa.»

 

Ampliando un po’ lo sguardo, la Cina è emersa come esempio di gestione della crisi mentre gli Stati Uniti faticano, stretti dall’emergenza sanitaria all’interno e dalla competizione cinese all’esterno e affidano la risposta soprattutto alle politiche della Fed e al ruolo internazionale del dollaro che si rafforza ulteriormente nella crisi. Come si stanno muovendo Trump e la Fed? Quali sono le altre questioni geopolitiche che si aprono in questa fase?

«La Fed ha lanciato un programma illimitato di Quantitative easing che può portare a pensare ad un indebolimento del dollaro, ma non è così. Il dollaro e i titoli americani sono molto liquidi e in periodi di crisi sono molto ricercati; questo da una parte ha un effetto negativo sull’economia americana perché le esportazioni costano di più (Trump infatti propende per un dollaro più debole evidentemente, però è impossibile avere un debito pubblico enorme con i titoli garantiti dalla Fed e pensare che gli investitori stranieri non vadano sui titoli americani, perché essi danno maggiore garanzia di liquidità e liquidabilità), dall’altra la rivalutazione del dollaro pesa sul costo del debito dei paesi emergenti perché denominato in valuta statunitense. Da molti anni si parla di dedollarizzazione ma per il momento non è successo molto, il biglietto verde ha avuto un leggero ridimensionamento come valuta di riserva restando il perno del sistema monetario internazionale. Per quanto riguarda il rapporto con la Cina sarebbe auspicabile maggiore coordinamento considerando che il paese asiatico è tra i maggiori esportatori di materiale sanitario ed è difficile perseguire delle politiche tariffarie con un paese che fornisce del materiale così strategico per fronteggiare la crisi.

Un’altra questione a cui prestare attenzione sono le schermaglie sul prezzo del petrolio. Credo che Russia e Arabia Saudita facciano finta di litigare, penso che abbiano un accordo antecedente, che abbiano pensato all’aumento di produzione del greggio già da prima. Questa decisione ha avuto un effetto devastante sull’estrazione di shale oil che, con un prezzo del petrolio sotto i 50 dollari al barile, non copre i costi di produzione. C’è inoltre il problema sulle materie prime, il grano ad esempio. Kazakistan, Ucraina e Russia rischiano di razionare le esportazioni, cosa che potrebbe avere delle conseguenze nefaste per l’Europa e altri paesi perché il paese governato da Putin è il maggior produttore di grano mondiale.

Nonostante la covid sia un nemico comune non ci sono politiche di cooperazione tra gli Stati ma permangono gli interessi che abbiamo visto prima, geopoliticamente e geoeconomicamente contrassegnati. Noi dovremmo contrapporre la nostra cooperazione sociale alla loro logica autoreferenziale spingendo, organizzando, rivendicando la cooperazione per dimostrare che dove alberga il rischio di frantumazione c’è una possibilità di ricomposizione di classe contrapposta.»

 

Il coronavirus sta agendo come acceleratore dei processi di ristrutturazione capitalistica, ad esempio per quanto riguarda la spinta alla digitalizzazione, la crescita dello smart working, il rafforzamento dei colossi digitali e dell’informazione su controllo e tracciamento della popolazione. Allo stesso tempo, almeno in Italia, il rischio è quello di aver dato per buone le retoriche capitalistiche perché alla prova dei fatti è emersa una certa fragilità del cosiddetto capitalismo delle piattaforme nel gestire la crescita di ordini, richieste, dati…

«Siamo tutti d’accordo sul fatto che la crisi rappresenta un’accelerazione della digitalizzazione e delle varie declinazioni in cui si è dato il capitalismo delle piattaforme, con tutti gli intoppi tecnici che questo comporta. Non scarterei alcuni problemi di malfunzionamento dovuti a questa accelerazione. Quello che mi sembra interessante è che il lavoro online se da un lato ha dato delle facilitazioni dal punto di vista tecnico, dall’altro comporta un forte aumento della fatica perché porta a un aumento del lavoro complessivo, cosa da tener presente quando si tratterà di dare valore monetario a queste nuove forme di lavoro. Dentro gli interstizi del capitalismo delle piattaforme compare il lavoro gratuito, ci sono delle forti dilatazioni intrinseche del tempo di lavoro che servono a dare fondamento economico al reddito di cittadinanza: ce lo meritiamo perché stiamo lavorando gratuitamente, dunque deve avere valenza universale, non si può recriminare in partenza su a chi spetta o postporlo perché non funzionano i canali telematici. C’è chi afferma che questa è una visione economicista perché il reddito va coniugato alla libertà ma non dobbiamo pensare a essa in senso astratto: ad esempio, non siamo liberi quando ci interfacciamo a Google perché produciamo dati personali che sono la base di profitti stratosferici. La libertà va pensata materialisticamente, vanno sostenute una serie di rivendicazioni legate alla gratuità del lavoro nel capitalismo delle piattaforme.

Oggi si sta dando un salto fenomenale, anche per quanto riguarda il capitalismo della sorveglianza, ma le premesse erano presenti da prima. L’accelerazione c’è da tempo, siamo da tempo nello stato d’eccezione, non hanno avuto bisogno del coronavirus per imporlo, per sancire la sua manifestazione concreta.

Mi viene in mente in tal proposito un approfondimento dell’“Economist” sul “coronopticon”:il settimanale londinese parlava di questa accelerazione che, mi sembra, sia una sorta di geolocalizzazione che combina i dati a partire dal corpo. Il capitalismo della sorveglianza era basato sui comportamenti e sulle intenzioni, ora si sta definendo un panopticon digitale centrato su un corpo ridotto alla sua dimensione animalesca, post-linguistica, che va oltre i nostri comportamenti, sulla nostra dimensione corporea, su quello che ci portiamo dentro il corpo, come virus e batteri. Sono d’accordo nel dire che non c’è solo l’accelerazione ma anche delle discontinuità e bisogna approfondire quelle produttive. La sorveglianza non è una discontinuità ma nella forma che sta emergendo c’è qualcosa che va oltre l’antropogenetico.»

FONTE:https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/17438-christian-marazzi-tra-emergenza-e-coronopticon-tendenze-e-contraddizioni-del-capitalismo-in-crisi.html

 

 

 

Perché questa epidemia non diminuirà la disuguaglianza

Storicamente le epidemie portano a una riduzione delle disuguaglianze. Stavolta non sarà così. Le conseguenze del lockdown uniformemente adottato in tutto il Paese non saranno affatto uniformi, colpendo di più chi è già in svantaggio. Servono misure correttive per il lavoro giovanile e femminile.

Nella loro drammaticità le epidemie hanno avuto nel corso della storia anche alcuni effetti positivi. Tra questi vi è una generale riduzione delle disuguaglianze. Lo storico austriaco Walter Scheidel, professore a Stanford, indica le epidemie, le guerre, le cadute degli Stati e le rivoluzioni come “le grandi livellatrici” (“The Great Leveler” è il titolo del suo libro tradotto in italiano per Il Mulino), i “quattro cavalieri dell’Apocalisse” che storicamente hanno determinato una riduzione delle disuguaglianze. Lo storico economico italiano Guido Alfani, professore alla Bocconi, mostra come nell’Italia settentrionale le epidemie di peste del XIV e del XVII secolo furono seguite da decenni di sensibili riduzioni della disuguaglianza del reddito e della ricchezza. Studi analoghi sono giunti alle stesse conclusioni per altre aree geografiche come Spagna, Germania e Impero Ottomano.

Questa evidenza storica porta economisti come Thomas Piketty e Branko Milanovic, due dei massimi studiosi di disuguaglianza, a concludere che, prima della creazione del Welfare State, la storia dell’Occidente è sempre stata caratterizzata da un elevatissimo grado di disuguaglianza sociale e che le uniche temporanee eccezioni si sono verificate in seguito ad epidemie, guerre e rivoluzioni. Possiamo aspettarci un effetto simile anche a seguito della attuale pandemia? Possiamo almeno sperare che la drammatica situazione che gran parte della popolazione della Terra sta vivendo abbia questa conseguenza positiva nei prossimi decenni?

Purtroppo temo che non sarà così, perché questa epidemia è molto diversa da quelle a cui si riferiscono questi studi, e anche le modalità con cui gli Stati la stanno affrontando è diversa. Le epidemie del passato causarono un alto numero di morti e quindi una forte contrazione dell’offerta di lavoro, con conseguente aumento dei salari reali. Si stima che la peste nera del ’300 abbia causato la morte di circa un terzo della popolazione europea, colpendo in modo piuttosto omogeneo tutte le fasce di età di una popolazione peraltro in media molto giovane.

L’epidemia di Covid-19 invece non sta avendo nessun impatto rilevante sulla forza lavoro: la mortalità resta comunque bassa e riguarda quasi interamente anziani non più in età lavorativa. Ad oggi in Italia i morti di coronavirus sotto i 60 anni sono meno di 1.000, meno di quelli causati ogni anno dagli incidenti stradali. Al contrario, la crisi economica che seguirà al lockdown causato dal virus sta già determinando una crescita rapidissima della disoccupazione che presumibilmente produrrà una riduzione dei salari reali per alcuni anni. Pertanto appare certo che questo effetto “virtuoso” delle epidemie sulla distribuzione del reddito questa volta non si verificherà.

In secondo luogo le epidemie in passato determinavano una perdita di valore del capitale e una conseguente diminuzione delle rendite. Da questo punto di vista le guerre sono state storicamente molto più efficaci delle epidemie, perché nelle guerre una parte consistente del capitale viene fisicamente distrutto. Questo meccanismo potrebbe operare in parte per l’epidemia attuale, ma è difficile immaginare un effetto rilevante, anche perché veniamo da un lungo periodo di costante e significativa riduzione della quota del prodotto che va al lavoro e quindi al meglio potremo assistere a una minima compensazione di questa perdita. Inoltre una parte crescente del capitale è ormai rappresentata da capitale intangibile e l’impatto su di esso dell’epidemia e della conseguente recessione è quanto meno incerto.

Un secondo, e a mio avviso, ordine di fattori riguarda le politiche che fino a ora sono state attuate per contrastare l’epidemia. Molto probabilmente queste politiche erano necessarie per salvaguardare la salute pubblica ed evitare tassi di mortalità eticamente e socialmente inaccettabili, ma dal punto di vista dell’equità qualche dubbio lo si può avanzare.

Il Covid-19 è un virus estremamente iniquo: non colpisce la popolazione umana in modo uniforme, ma lo fa con modalità molto diverse per territori, età e genere. Da un punto di vista geografico, questo virus è chiaramente legato alla globalizzazione e quasi ovunque colpisce maggiormente le aree più esposte ad essa e quindi anche più ricche, quali ad esempio le regioni intorno a Milano, New York, Madrid, eccetera. In Italia l’86% dei decessi per Covid-19 sono avvenuti nelle regioni del Nord, che sono anche le più ricche del Paese. La correlazione a livello provinciale tra incidenza del virus e Pil pro-capite è altissima.

Per quanto riguarda le fasce d’età il bias è ancora più forte: solo l’1,1% per cento dei decessi ha riguardato soggetti con meno di 50 anni e solo il 2 per mille con meno di 40. L’età mediana dei morti è 78 anni. Per i casi di positività l’asimmetria della distribuzione è meno accentuata (l’età media è 62), ma la grande maggioranza dei positivi in età lavorativa presenta sintomi lievi o medi. Infine è noto che, per motivi che la medicina non riesce ancora a spiegare, c’è un forte bias di genere: circa due terzi delle vittime sono uomini e un terzo donne. Nonostante questa fortissima asimmetria dell’incidenza dell’epidemia, il governo italiano (così come molti altri governi), ha scelto di attuare politiche di blocco delle attività produttive omogenee per tutti i territori, le fasce di età e i generi; quindi i potenziali effetti di riequilibrio del virus, che potenzialmente potrebbe “livellare” verso il basso anziani maschi che abitano nelle zone più ricche e industrializzate, vengono annullati dalle politiche pubbliche.

Da un punto di vista di giustizia sociale non è facile spiegare perché lo stesso devastante shock economico rappresentato dal prolungato lockdown debba essere imposto in modo omogeneo a tutto il territorio italiano e a tutta la popolazione senza distinzioni per età e genere. È difficile ad esempio non rilevare l’iniquità nell’imporre lo stesso freno alle attività economiche della Lombardia, che ha ufficialmente 65.000 positivi (ma probabilmente almeno 10 volte tanto) e 12.000 morti (ma probabilmente almeno il doppio), e del Molise, che ha 270 positivi e 16 morti. Se consideriamo che il Pil pro capite in Lombardia è circa il doppio di quello del Molise possiamo subito comprendere che un’occasione di possibile piccolo recupero dell’area più povera si tradurrà in una perdita di prodotto e reddito che inevitabilmente avrà un impatto molto più drammatico nella regione che già ora si trova in una situazione fortemente svantaggiata.

Lo shock economico determinerà un aumento della disoccupazione che, ovviamente, colpirà le fasce della popolazione in età lavorativa e molto probabilmente renderà ancora più drammatici i problemi della disoccupazione, sottoccupazione e precariato giovanili. L’inevitabile maggiore indebitamento dello Stato graverà sui giovani e giovanissimi che sono già stati penalizzati o trascurati dalle politiche pubbliche degli ultimi decenni. La crescita della disoccupazione quasi certamente colpirà le donne più degli uomini, mentre la loro più alta resistenza al virus avrebbe potuto al contrario favorirne una maggiore partecipazione al mondo del lavoro. Quest’ultima sarà ulteriormente penalizzata dalla chiusura delle scuole e delle case di riposo, causando per le donne un ulteriore aggravio di lavoro domestico e di cura.

In sintesi non è difficile prevedere che l’identikit dell’italiano che subirà di più gli effetti economici negativi del virus è quello di una giovane donna che vive al Sud, ha un lavoro precario o in nero e deve occuparsi di figli piccoli e genitori anziani.

Le politiche di chiusura uniformi sono state necessarie per garantire la salute pubblica, ma le loro conseguenze non saranno uniformi ed è molto probabile che colpiranno più severamente fasce della popolazione che già si trovano in condizioni svantaggiate e che avrebbero potuto avere invece qualche beneficio. È pertanto necessario che le politiche che seguiranno al lockdown tengano conto di questo bias e attuino misure correttive, non solo con trasferimenti “caritatevoli” ma con politiche anche radicali che favoriscano l’occupazione giovanile e femminile. Ad esempio una misura di decontribuzione e detassazione per i giovani lavoratori e ancor di più per le giovani lavoratrici pagata da maggiori contributi o maggiori imposte che gravino sugli anziani sarebbe una ovvia misura di compensazione.

Tuttavia ritengo improbabile che ciò avvenga: inevitabilmente la quota più grande degli aiuti andrà a favore della ripresa nelle aree più industrializzate e sarà rivolta al parziale ristabilimento dell’occupazione attuale. Basta seguire il dibattito di questi giorni sulla ripartenza per rendersene conto.

FONTE:https://sbilanciamoci.info/perche-stavolta-lepidemia-non-diminuira-la-disuguaglianza/?spush=bG9wcmVzdGltYW5saW9AZ21haWwuY29t

 

 

 

INTERVISTA AL POLITOLOGO AMERICANO EDWARD LUTTWAK

Dall’emergenza Coronavirus alla crisi petrolifera, fino ai rapporti del governo Conte con l’Unione europea. In collegamento da Washington, un dialogo a tutto campo in 3 puntate del chairman del “Nodo di Gordio”, Daniele Lazzeri, con il noto politologo americano Edward Luttwak.
VIDEO QUI: https://youtu.be/51SPs1qkDX0

FONTE:http://opinione.it/economia/2020/04/24/redazione_coronavirus-crisi-petrolifera-governo-conte-unione-europea-daniele-lazzeri-edward-luttwak/

 

 

 

Walther Rathenau ed il sogno di un’economia nuova

Un pensatore fondamentale per comprendere l’Europa del primo Novecento.
di Claudio Freschi – 23 Aprile 2020

Grande imprenditore, banchiere ma anche artista e filosofo, scrittore e uomo politico, Walther Rathenau fu un uomo incredibilmente versatile che amava definirsi “un dilettante in 16 campi di attività diverse, e un dirigente di impresa nel tempo libero”. Nato nel 1867 a Berlino da una ricca famiglia di industriali, il padre Emil fu il fondatore della Allgemeine Elektrizitäts-Gesellschaft (AEG) una delle più importanti aziende tedesche, si dedicò dapprima agli studi in Ingegneria per poi assumere il controllo nel 1893 di una società in orbita AEG di cui diventa consigliere di amministrazione nel 1899 diventando un industriale di punta nell’ultimo periodo dell’Impero tedesco.

Allo scoppio della guerra nel 1914, pur non nutrendo illusioni sulla possibilità di vittoria, prese in mano la gestione dell’economia nazionale in virtù dei suoi ottimi rapporti con l’Imperatore. È in questi anni che la visione economica di Rathenau prende forma. A causa della difficoltà di reperire materie prime fondamentali per gli armamenti e nel distribuire in modo razionale gli scarsi beni disponibili Rathenau introduce una rigorosa pianificazione in tutti i settori vitali dell’economia nazionale. Pur non intaccando la proprietà privata pone lo Stato al centro delle dinamiche economiche che a suo avviso non possono più essere regolate dal mercato.

Giudicando catastrofica la domanda di armistizio invocò la resistenza ad oltranza e dopo la firma del trattato di Versailles fu escluso dal nuovo governo. Nel 1921 torna protagonista della scena politica diventando Ministro della Ricostruzione nella Repubblica di Weimar e nel 1922 viene nominato Ministro degli Esteri. Proprio questa carica gli permise di concludere l’accordo di Rapallo con la Russia per la ripresa delle relazioni economiche e diplomatiche tra i due paesi. Pur essendo molto scettico sulle scelte economiche sovietiche Rathenau attirò su di sé l’odio delle nascenti organizzazioni di estrema destra che lo accusarono, essendo di religione ebraica, di essere a capo di un complotto “giudaico-comunista”. Il 24 giugno 1922 fu assassinato proprio da appartenenti alle milizie volontarie irregolari, le tristemente famose FreiKorps.

Il capitalismo come sistema “condannato”

Il lascito di Rathenau però non risiede nel campo degli affari, dove si dimostrò valido ma non straordinario e nemmeno nella politica, visto che ricoprì incarichi governativi per meno di un anno, bensì nei suoi scritti. Colpisce la lungimiranza nella sua critica al capitalismo di inizio novecento, e il suo brillante tentativo di riformare la nascente società capitalista senza abbracciare del tutto il socialismo reale, un’analisi che merita di essere quantomeno riletta con interesse alla luce degli attuali scenari economici.

Rathenau considerava la Prima Guerra Mondiale come la “più grande catastrofe economica mondiale della storia” e che ci si sarebbe potuti sollevare solo attraverso un processo di riorganizzazione generale della società produttiva auspicando la creazione di “unioni industriali” e di “unioni di industrie singole” che avrebbero dovuto raggruppare tutte le aziende della stessa specie. Tali unioni sarebbero state riconosciute e sorvegliate dallo Stato con diritti molto estesi nei loro confronti. Le contraddizioni tra le visioni non convenzionali di Rathenau e i suoi trionfi imprenditoriali scatenarono i critici che gli rimproveravano la facilità di predicare la nazionalizzazione delle industrie, la limitazione della proprietà privata ed una forte imposizione fiscale godendosi allo stesso tempo una enorme ricchezza.

Un’altra ragione per cui i lavori di Rathenau vennero poco capiti se non avversati fu l’ermeticità dei suoi scritti, egli amava infatti fare lunghe disquisizioni sociologiche e psicologiche che spesso finivano per appesantire in maniera eccessiva le sue interessanti proposte economiche. Questo spiega perché Rathenau è stato apprezzato più per i suoi lavori nel biennio 1918-1920 che per tutta la sua produzione precedente. In questo periodo riprese concetti già elaborati in passato, applicandoli alla realtà della ricostruzione tedesca del primo dopo guerra, mirando a correggere quelle che Rathenau considerava le debolezze del sistema capitalista. Nella sua opera “L’economia Nuova” pubblicata nel 1919 l’autore afferma che le società industriali dell’epoca mancavano totalmente di valori spirituali e culturali. Lo scopo delle sue opere era quello di donare un significato spirituale alle masse di lavoratori che si affollavano nelle officine, nelle miniere e nelle fattorie, che avrebbe dato un senso alla loro attività produttiva. In questa ricerca di spiritualità Rathenau si differenziava dal socialismo, che considerava grossolanamente materialista esattamente come la controparte capitalista.

Quando si considerano gli schemi di Rathenau per la pianificazione economica, è necessario apprezzare la sua visione sulle circostanze, che nella sua opinione, rendevano le riforme essenziali. Egli credeva che la crescita della popolazione mondiale avvenuta nel diciannovesimo secolo avrebbe portato senza dubbio ad una rivoluzione in termini di mezzi di produzione. Solo un sistema industriale composto da manager competenti e lavoratori disciplinati avrebbe potuto raggiungere i livelli di produzione richiesti dalle nuove esigenze di domanda. Ma a Rathenau non sfuggiva che questo sistema se da un lato avrebbe avuto successo nell’espandere la produzione, dall’altro avrebbe comportato inconvenienti significativi che richiedevano grande attenzione.  In un mondo in cui la feroce competizione industriale aveva completamente soppiantato la cooperazione di buon vicinato tipica del mondo agricolo, il lavoratore “moderno” non poteva esprimersi come individuo, ma solo come membro di un gruppo, che fosse lo Stato, la Chiesa o un sindacato.

L’operaio che faceva un lavoro ripetitivo su una macchina, responsabile solo di una frazione del prodotto finito, non poteva usare la sua capacità creatività come prima di lui facevano gli artigiani che traevano la loro soddisfazione nel dare vita ad un bene.  La manodopera industriale veniva quindi spinta a lavorare esclusivamente per la paura della disoccupazione, senza riceverne alcun piacere, mentre per i dirigenti le motivazioni erano l’ambizione, la sete di potere e la soddisfazione di battere i concorrenti. Ma anche per loro il successo non dipendeva dalla creatività bensì dall’espansione della produzione, la possibilità di produrre una maggiore quantità dello stesso bene, in un tempo minore ad un costo più basso.

Rathenau credeva che il capitalismo fosse condannato, ma non a causa delle ingiustizie sociali, sebbene non mancasse di rimarcare come la povertà tra i lavoratori impedisse l’avanzamento sociale anche di persone abili. Credeva invece che l’età delle macchine fosse condannata per il desiderio irrealizzato e irrealizzabile per lavoratori e dirigenti di avere dei valori “spirituali” che li accompagnassero nel lavoro rendendolo piacevole per l’anima. La dissoluzione del sistema capitalista sarebbe avvenuta non per mano di nobili riformatori e nemmeno per una rivolta delle classi più deboli, bensì a causa di una rivoluzione sociale ed economica che tendesse ad inglobare valori come una maggiore equità e la riscoperta del piacere del lavoro.

Un’altra debolezza del sistema secondo Ratenau era costituita dal fatto che poche persone controllavano un’immensa ricchezza e potevano disporne a loro piacimento.  Avendo il controllo assoluto e poche necessità economiche, i capitalisti dell’epoca potevano permettersi uno spreco significativo di risorse, fossero esse terre, materie prime o forza lavoro scegliendo ad esempio di costruire una casa di lusso piuttosto che abitazioni decenti per i lavoratori, o ancora fabbricare uno yacht piuttosto che un ben più utile traghetto. Dato che il capitale, le materie prime e la forza lavoro erano risorse limitate per Rathenau la produzione ed il consumo dei beni non dovevano più essere delegate ai singoli individui bensì alla società nel suo complesso. Per frenare lo spreco Rathenau suggerì che il reddito oltre una determinata soglia (all’epoca 150 sterline) fosse tassato al 50%, fossero imposti dazi sui beni di lusso importati e tasse di proprietà per quelli prodotti localmente.

Rathenau pensava quindi di ridurre gli sprechi di risorse da un lato mettendo sotto controllo governativo alcuni ambiti produttivi, dall’altro ricorrendo alla tassazione per ridurre il consumo privato, insistendo allo stesso tempo sul controllo statale dei monopoli, usando le sue parole “il monopolio genera ricchezza, non vi è altro modo per diventare ricchi”.

Il modello organizzativo

Ma l’idea di Rathenau non era quella di un paradiso della pianificazione dove ogni attività produttiva fosse controllata dallo Stato, da imprenditore non poteva concepire attività produttive organizzate burocraticamente in perfetti alveari. Auspicava invece una riforma graduale, con una serie continua di esperimenti volti a determinare quale fosse il modo migliore per organizzare il complesso sistema industriale di uno stato moderno. Il tutto tenendo fermi alcuni principi basilari, che la ricerca di un migliorato benessere sociale sia compito dello stato e non del lasseiz faire, una distribuzione più equa delle ricchezze, una diminuzione delle differenze tra classi sociali se non la loro completa abolizione, la ricerca dell’autosufficienza produttiva per le singole nazioni.

Rathenau preconizza la costruzione di un sistema che comprenda tutte le imprese di un paese, il sistema viene ottenuto inserendo ciascuna impresa in due tipi di associazione, l’una collegante ogni impresa alle sue concorrenti, l’altra collegante ciascuna associazione di concorrenti con le associazioni dei suoi clienti e dei suoi fornitori.  Viene così costruito un reticolo di collegamenti orizzontali (tra concorrenti) e verticali (tra imprese e clienti) in virtù del quale l’insieme delle imprese viene a costituire un complesso unitario a cui lo Stato partecipa in posizione eminente. Secondo Rathenau il sistema economico non poteva essere concepito come un insieme di affari privati che trova da sé il suo equilibrio, così come l’azione dello stato non poteva essere ridotta ad una serie di interventi di emergenza da assumere quando la situazione di mercato la invoca.

Occorre quindi prepararsi ad appagare una esigenza continuativa di direzione del sistema, esigenza che nell’ordinamento esistente non viene soddisfatta. Rathenau si rende conto della rapidità e della profondità dei cambiamenti dettati dall’applicazione delle nuove tecnologie resesi disponibili nei decenni antecedenti alla prima guerra mondiale, e non può fare a meno di pensare al dopoguerra in termini di instabilità del sistema, di perdita della capacità di autoregolamentazione che si supponeva avesse il mercato. Le sue teorie sulla pianificazione economica gli attirarono critiche da destra e da sinistra, ma le sue profezie si rivelarono spesso giuste e molte delle sue proposte poco ortodosse non così inapplicabili come vennero bollate a suo tempo. Ma più che la fattibilità del progetto di Rathenau che non manca di sollevare perplessità, è il giudizio storico che sta dietro questa proposta che deve interessare. Il messaggio attualissimo che il sistema economico, dato le dimensioni che aveva raggiunto, aveva bisogno di essere in qualche modo governato.

FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/economia/walther-rathenau-ed-il-sogno-di-uneconomia-nuova/

 

 

 

 

L’IDEA EURO-TEDESCA PER SALVARE L’INDUSTRIA AUTO … che ci manderà in fallimento

Aprile 28, 2020 posted by Leoniero Dertona

L’Unione Europea finalmente si sta rendendo conto che qualcosa nell’economia europea non va e che bisogna intervenire. L’idea è molto semplice: nei tre primi mesi dell’anno  si è venduto  in UE il 60% in meno di auto, e nel trimestre successivo il 30% in meno. Quindi Thierry Breton ha iniziato ad identificare  i settori industriali, partendo proprio dal settore auto e dalle sue aziende , per identificare quali siano a aiutare con sovvenzioni a livello europeo.

Naturalmente per l’auto è stato molto più semplice: si sono identificate le società europee del settore, quasi tutte francesi e tedesche, e si sta preparando un piano di intervento. Gli altri settori comprendono il medico-farmaceutico, inteso in senso strategico, però, come necessità di riportare in Europa le produzioni che, in nome dell’iperliberismo, si è lasciato andare all’estero, ponendo il sistema sanitario in difficoltà. Poi anche altri settori, come trasporti, turismo etc.

Tutto bene quindi? Finalmente la UE si muove nella giusta direzione ? Beh, quasi. Prima di tutto il piano, come  ammette lo stesso Handelsbatt, non tiene conto delle profonde differenze con cui i paesi del Nord e del Sud prevedono vengano erogati gli aiuti: il Nord vuole che gli aiuti settoriali siano solo sotto forma di prestiti, il Sud sotto forma di sovvenzioni. In questo modo si rivede una contrapposizione che è presenta sin dall’inizio della crisi e che non verrà risolta dalla commissione, ma che per noi è una questione di vita o di morte. Però questo sarebbe il problema minore.

La Commissione vuole aiutare, ma questi soldi devono venire da un aumento dei contributi dei singoli stati. Quindi l’Italia deve contribuire per aiutare l’industria automobilistica, soprattutto franco tedesca. Si potrebbe dire che la Germania dovrebbe dare dei soldi per il turismo italo-spagnolo, ma le dimensioni degli interventi sono molto diversi e , soprattutto, le situazioni di partenza sono completamente diverse. Se per la Germania aumentare del 5% il debito/PIL è una passeggiata, la stessa misura per i paesi del sud può essere devastante , visto il livello più alto di debito. Per il sud l’unica via di fuga è la monetizzazione del debito o la conversione interna dello stesso verso strumenti monetari interni: la seconda via avrebbe il vantaggio di far ripartire i paesi attraverso la via della domanda interna ed in modo differenziale , omogeneo rispetto alle caratteristiche dei singoli paesi. Quindi, essendo le soluzioni più logiche, verranno ignorate a livello europeo.

FONTE:https://scenarieconomici.it/lidea-euro-tedesca-per-salvare-lindustria-auto-che-ci-mandera-in-fallimento/?utm_medium=push&utm_source=onesignal

 

 

 

Berlino assorbe metà degli aiuti europei

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Con oltre 930 miliardi di euro messi finora in campo come disponibilità, la Germania assorbe il 55% dei 1.800 miliardi di euro da parte degli Stati come misure anti-crisi, di sostegno alla liquidità delle imprese e di salvataggio dei settori strategici in crisi.

Il piano con cui Berlino ha promesso liquidità per mezzo miliardo di euro alla compagnia aerea Condor è stato solo l’ultimo di una lunga serie di manovre e potrebbe aver ben presto un seguito di volume ancora maggiore se andasse in porto il piano concordato dal governo di Angela Merkel con Lufthansa. “Il governo federale e Lufthansa avrebbero concordato un piano di salvataggio da 9 miliardi di euro per il gruppo che fa capo all’omonima compagnia di bandiera tedesca, gravemente colpito dalla crisi provocata dalla pandemia di coronavirus”, scrive Agenzia Nova riportando la notizia lanciata dalla versione tedesca di “Business Insider”.

La Commissione europea ha, per ora, approvato quasi 2 trilioni di euro di misure sotto le nuove regole degli aiuti di Stato rese più flessibili dalla Commissione a marzo. Dopo la Germania, “la Francia – spiega un portavoce della Commissione contattato da La Stampa – ha notificato misure che rappresentano circa il 20% dell’ ammontare totale, l’Italia il 10%, il governo britannico il 5% e quello belga il 3%”. La certezza, però, è che difficilmente tutta la massa di denaro mobilitata dai governi in queste condizioni arriverà all’economia reale.

Prendiamo il caso italiano: la Commissione, leggendo le carte e ciò che è scritto nero su bianco, ha ridimensionato gli annunci del governo Conte, abbassando da 400 a 200 miliardi la cifra ufficialmente deliberata nel decreto liquidità. Ma, come si è visto, le difficoltà negli stanziamenti, lo scarso finanziamento di Sace, la necessità di mettere nei portafogli delle banche fondi di garanzia per i prestiti coperti dallo Stato e una generale confusione amministrativa hanno ridotto a 25 miliardi i fondi disponibili allo stato attuale, in attesa di nuove misure.

La Germania, con il volume del suo intervento interno, dimostra in un certo senso le motivazioni del suo scarso interessamento per una rapida e precisa risposta comune europea. L’esecutivo della Cancelliera, già nelle prime giornate della crisi, aveva mobilitato la Kfw, la super-Cdp tedesca, per mettere in campo un massiccio piano di garanzia e prestiti alle imprese, preparandosi al contempo ad aggiungere al deficit per l’anno in corso 156 miliardi di euro e a predisporre, tramite il ministro dell’Economia Peter Altmaier, un fondo pubblico per rilevare e gestire le quote delle aziende strategiche debilitate dalla crisi e potenzialmente soggette al rischio di scalate straniere, pensato in funzione anti-cinese e anti-statunitense.

Per gli altri Paesi europei la vera certezza di un intervento massiccio e incondizionato sarà l’attivazione del Recovery Fund comunitario. Il quale però è stato dilazionato da Berlino al 2021: Angela Merkel ha vinto la battaglia nell’Unione sulle tempistiche delle misure anti-crisi, riuscendo a incassare il tris Mes-Bei-Sure sul breve periodo e a dilazionare al 2021 il fondo comune, indorando la pillola ai cittadini tedeschi in un anno elettorale in cui Berlino spera di presentarsi con una situazione economica consolidata e la Cancelliera mira, senza troppo nascondersi, a prolungare la sua esperienza di governo fino a un quinto mandato. La solidità della risposta interna giustifica, davanti all’interesse nazionale tedesco, i temporeggiamenti sulla manovra comune europea: e il fatto che Berlino sia pronta a rallentare l’Europa per aumentare il suo peso relativo non è affatto una novità.

FONTE:https://it.insideover.com/economia/berlino-assorbe-meta-degli-aiuti-europei.html

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Il predominio della finanza sull’economia reale

Alle radici della finanziarizzazione globale.
di Claudio Freschi – 28 Aprile 2020

l termine finanziarizzazione, oltre ad essere particolarmente ostico, viene spesso riferito più o meno correttamente ad una vasta serie di fenomeni ed è difficile darne una definizione precisa. Gerald Epstein, professore ed economista americano nel suo libro “Financialization and the World Economy” afferma che finanziarizzazione “significa un crescente ruolo dei mercati e delle istituzioni finanziarie nel funzionamento delle economie sia a livello domestico che internazionale”; un po’ più esplicita la sociologa Greta Krippner che la definisce invece come “uno schema di accumulazione in cui i profitti derivano in misura sempre maggiore dai canali finanziari piuttosto che dalla produzione e dal commercio di beni”.

Se è possibile trovare qualche traccia del fenomeno negli anni 50 del secolo scorso, è solo dopo la caduta del sistema monetario di Bretton Woods nel 1971 che abbiamo assistito, come vedremo meglio in seguito, all’esplosione della finanziarizzazione. Tassi di interesse fluttuanti e flussi di capitale liberi grazie alla deregulation, fecero impennare i rischi ma anche le opportunità offerte dai mercati finanziari tanto che le transazioni finanziarie crebbero a dismisura, facilitate anche dall’innovazione tecnologica, sorpassando rapidamente in termini di valore globale quelle dell’economia reale. E’ opinione comune che la finanziarizzazione abbia portato ad una maggiore diseguaglianza, ad un rallentamento degli investimenti nell’economia reale, un aumento della pressione debitoria sui singoli individui e in alcuni casi ad un indebolimento dei singoli Stati, le cui politiche sono spesso fortemente condizionate dai mercati finanziari.

Dalla fine di Bretton Woods alla crisi finanziaria globale

La conferenza di Bretton Woods si tenne nell’omonima località nel 1944 sul finire della seconda guerra mondiale, e stabilì dopo lunghe trattative, un sistema monetario vincolante per le nazioni aderenti basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all’oro. Nel 1971 il presidente americano Richard Nixon, di fronte al crescente indebitamento dovuto alla guerra del Vietnam, annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Nel dicembre dello stesso anno i 10 paesi più industrializzati del mondo firmarono lo Smithsonian Agreement che mise fine agli accordi dando inizio alla fluttuazione dei cambi.

Gli Stati Uniti, liberi dall’obbligo di mantenere la convertibilità dollari-oro aumentarono in breve tempo ed in maniera significativa il deficit di bilancio e quindi la quantità di dollari o titoli espressi in dollari in circolazione, molti dei quali finirono tra le riserve di banche centrali straniere. L’incremento delle riserve permise alle banche di espandere il credito nelle loro economie e di conseguenza tutta la liquidità mondiale aumentò in maniera significativa. Il sistema bancario iniziò a cambiare radicalmente, dalla banca locale che forniva servizi di prestito e di risparmio per cittadini e imprese si passò nel corso di pochi anni alle banche di investimento capaci di creare dal nulla nuovi prodotti finanziari aggirando spesso leggi e regolamenti propri delle banche tradizionali.

Istituzioni finanziarie come il Fondo Monetario Internazionale, hanno incoraggiato a partire dagli anni ’90 la rimozione delle barriere alla circolazione dei capitali, sostenendo che una allocazione più efficiente del denaro avrebbe favorito la crescita economica. Secondo la loro teoria sarebbero stati i paesi in via di sviluppo a beneficiare maggiormente dalla liberalizzazione, in quanto gli investitori sarebbero stati attratti dalle grandi opportunità offerte dalle economie caratterizzate da una grande carenza di capitali. La realtà è stata ben diversa, la libera circolazione dei capitali lungi da avere un impatto positivo e diretto sulla crescita economica ha al contrario causato grande volatilità sul mercato dei cambi e dei tassi di interesse ed ha incrementato le probabilità di incorrere in gravi crisi economiche.

Sono infatti le decisioni speculative di breve termine a determinare la direzione dei movimenti di capitale. Se gli investitori muovono il loro denaro da un posto all’altro alla ricerca di nuovi profitti si possono creare bolle speculative nel momento in cui viene immessa liquidità in un dato paese e allo stesso modo se la liquidità viene invece improvvisamente richiamata si possono causare o acuire crisi economiche. L’implosione di Wall Street delle annate 2008 -2009 e la conseguente recessione globale hanno messo in luce la relazione cruciale tra finanza ed economia. Governi, agenzie di rating e esperti finanziari hanno completamente fallito nel compito di monitorare i rischi di un sistema finanziario così preponderante e con pochissime regole.

Il ruolo della tecnologia e la trasformazione dei mercati finanziari

Probabilmente nessun settore è stato influenzato in maniera così importante dai progressi in campo tecnologico come quello finanziario. Lo sviluppo delle piattaforme di trading hanno sicuramente dato accesso ai mercati ad un pubblico molto vasto, ma hanno anche modificato radicalmente il modo di operare. Basti pensare che oggi il trading computerizzato, ovvero effettuato tramite algoritmi che danno automaticamente segnali di acquisto e di vendita, rappresenta ormai più del 50% dei volumi degli scambi in Europa e quasi il 75% negli Stati Uniti. Il trading ad alta frequenza (high frequency trading) è diventato la norma, se negli anni ’60 un titolo azionario veniva tenuto in portafoglio mediamente per 4 anni, oggi è spesso tenuto per meno di 30 secondi.

Si è quindi assistito nel tempo ad un clamoroso incremento di negoziazioni sul mercato “secondario”, ovvero relative a titoli già esistenti. Questi vengono scambiati in un ambito in cui si è poco interessati alla crescita delle aziende rappresentative dei titoli, ma si bada piuttosto alla lievitazione del corso dei titoli, diventando così un’attività speculativa molto simile ad un gioco d’azzardo. Ma il fenomeno si è ulteriormente amplificato con la proliferazione degli strumenti finanziari, spesso creati dal nulla, i famosi “derivati” che si differenziano dai titoli sottostanti rappresentativi di imprese o materie prime, e che non hanno alcuna controparte nell’economia reale. Sempre più imprese vengono quindi concepite principalmente come strumenti di investimento piuttosto che come attività produttive, e questo ha avuto effetto anche sulla filosofia gestionale delle aziende stesse il cui fine non è più la crescita nel lungo periodo bensì la massimizzazione del profitto.

L’espansione dei mercati finanziari non consiste quindi solamente nel maggior volume di denaro impiegato nel trading azionario o nell’incremento, spesso fuori controllo, degli strumenti finanziari e degli operatori sui mercati.  La finanziarizzazione è stata una radicale trasformazione che ha alterato l’intera economia, riguardando tutti, dal privato cittadino alle imprese fino ad arrivare alla politica monetaria.

Il cambiamento della filosofia aziendale

Abbiamo accennato a come la possibilità di avere maggiori utili dalla speculazione finanziaria piuttosto che dalla produzione di beni impatti negativamente l’economia reale. Da un lato la possibilità di ottenere profitti più o meno facili sui mercati influenza direttamente gli investimenti produttivi che tenderanno a diminuire, dall’altro vi è un impatto diretto sull’occupazione. Se infatti in passato nuovi posti di lavoro e l’espansione delle attività erano visti come un indice di salute per qualsiasi impresa, nell’era della finanziarizzazione i titoli azionari spesso salgono in seguito agli annunci di tagli ai posti di lavoro o di ridimensionamenti aziendali. La crescente importanza del settore finanziario ha reso il capitale meno dipendente dal lavoro per ottenere profitti, sbilanciando ulteriormente i rapporti di forza. Il denaro in eccesso presente nel sistema finanziario genera una certa pressione affinché le aziende si quotino in borsa, ma diventando public company la priorità dei consigli di amministrazione sarà in misura sempre maggiore quella di soddisfare gli azionisti, preferendo quindi maggiori dividendi alla crescita armonica dell’azienda stessa.

Negli ultimi 40 anni le aziende hanno sviluppato una vera e propria ossessione per il prezzo delle loro azioni sul mercato e sembrano dedicare più risorse per cercare di fare crescere questo prezzo piuttosto che per migliorare i loro prodotti o i loro servizi. Per fare questo le aziende vendono interi settori che non sono sufficientemente profittevoli, licenziano personale usando spesso la liquidità che deriva da queste operazioni comprando azioni proprie. In un mondo in cui si può accedere molto velocemente a grandi somme di denaro attraverso il credito è molto più semplice acquisire aziende, ristrutturarle e rivenderle piuttosto che pensare ad un piano di lungo termine che permetta di renderle profittevoli.

L’influenza sulle politiche nazionali e la distribuzione del reddito

Ma la liberalizzazione finanziaria a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni ha in qualche modo minato anche l’autonomia nelle scelte di politica economica da parte delle singole nazioni. Da un lato la possibilità di ottenere denaro dal mercato attraverso l’emissione di titoli di debito dipende in misura sempre maggiore dalle agenzie di rating e dai pronunciamenti di altre istituzioni internazionali. Dall’altro le nazioni che non perseguono o non sono in grado di rispettare gli interessi degli investitori, siano essi privai o istituzionali, sono in qualche modo puniti con una fuga di capitali a favore di nazioni più accondiscendenti. Gli economisti ortodossi hanno sempre visto favorevolmente le restrizioni alle politiche pubbliche imposte dalla mobilità dei capitali. Il giornalista economico americano Thomas L. Friedman è arrivato a definirla come “una camicia di forza dorata”, uno strumento di disciplina che forza i governi ad adottare le politiche monetarie e fiscali “adatte” come il pareggio del bilancio, con le relative misure di austerità, bassa inflazione, mercati sempre meno regolamentati.

In pieno spirito iperliberista è il mercato a dettare le condizioni, compito delle politiche economiche è quindi quello di assecondarlo, in cambio si dovrebbe avere, sempre secondo la teoria classica, una efficiente allocazione delle risorse ed una vera e propria democrazia finanziaria. Il crescente coinvolgimento di un numero sempre crescente di persone nei mercati finanziari darebbe luogo ad una redistribuzione di ricchezza dalle grandi multinazionali ai milioni di cittadini di tutto il mondo che ne posseggono le azioni. In una rappresentazione quantomai distorta della realtà si vorrebbe far passare l’idea che le politiche favorevoli ai mercati finanziari rappresentino la massima espressione del bene pubblico.

Nella realtà solo una piccola parte di popolazione è in grado di ottenere dall’investimento dei propri risparmi dei guadagni finanziari rilevanti, la maggior parte delle persone, anche nei paesi più sviluppati, non possiede titoli azionari o ne possiede quantità irrilevanti al fine di averne un vero beneficio. L’illusione della democrazia finanziaria che avrebbe permesso creazione di ricchezza, incanalando i risparmi privati nel mercato dei capitali, consentendo alla gente comune di detenere in qualità di azionisti il possesso di grandi aziende, si è mostrato nella sua vera natura. Ovvero il denaro di molti è servito ad incrementare i profitti di pochi.

FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/economia/il-predominio-della-finanza-sulleconomia-reale/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Emergenza Covid-19 e Costituzione

di 

coronavirus comportamento covid-19 bufale

L’intervento di Michele Poerio, segretario generale Confedir e presidente nazionale Federspev.

Nella fase 2 dell’emergenza si ventila l’ipotesi discriminatoria nei confronti degli over 65-70enni secondo cui a questi soggetti (circa 14 milioni) verrebbe irrogata la pena (è la giusta definizione) degli arresti domiciliari fino a dicembre prossimo.
In Francia è stato proposto ufficialmente da un consulente scientifico del Presidente Macron tale Jean François Delfraissy. Saranno compresi anche i giovani con patologie gravi e gli obesi, ha aggiunto un ministro.

Da parte sua la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen in una intervista al quotidiano tedesco Bild non solo ha invitato gli italiani ad “aspettare a prenotare le ferie”, scatenando l’ira di Vittorio Sgarbi che l’ha definita “una totale depensante”, ma ha proposto anche di prolungare il lockdown degli anziani alla fine dell’anno. Francamente preferisco la Ursula Von der Leyen del 31 marzo quando ha dichiarato “l’Unione europea è fondata sui valori di libertà, di democrazia, di Stato di diritto e di rispetto dei diritti dell’uomo. Questi valori ci sono comuni. Noi dobbiamo rispettarli e difenderli anche in questi tempi
difficili”.

Ma come conciliare – gentile signora Ursula – questi valori con le sue dichiarazioni di cui sopra? Evidentemente è stata influenzata da Terenzio che a suo tempo scrisse “Senectus ipsa est morbus” (la vecchiaia stessa è una malattia). Ma a distanza di qualche migliaio di anni può essere ancora valida una tale affermazione?

Nell’ultimo Congresso nazionale di Geriatria e Gerontologia è stato sostenuto che un 75enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 55enne del 1980 e il 65enne ha la forma fisica e cognitiva del 40-45enne del 1980. I progressi della scienza nel corso del secolo appena passato e nei decenni del nuovo che stiamo vivendo, sono stati straordinari; per non parlare dei progressi compiuti dalla medicina che hanno del miracoloso.

Non vorrei che le numerosissime commissioni scientifiche (15!) consulenti del Governo con i loro altrettanti numerosi componenti (oltre 450! Addirittura una è costituita da 72 membri!) siano rimaste ancorate al XIX secolo! Questi signori dovrebbero sapere: 1) che gli anziani agli arresti domiciliari e quindi impossibilitati a fare moto vanno incontro ad un progressivo aumento del rischio cardiaco e vascolare con notevole crescita di infarti ed ictus e al peggioramento delle malattie metaboliche come ad esempio il diabete; 2) che la carenza di moto all’aperto determina una instabilità della deambulazione che frequentemente causa cadute e fratture di vario genere; 3) che la mancanza di contatti sociali determina un deterioramento dei processi cognitivi ed eventi depressivi; 4) che gli anziani anche ultrasettantenni svolgono importanti attività professionali (imprenditori, professionisti, artisti etc.) e familiari (accompagnare i nipoti a scuola e assisterli in attesa del rientro dei genitori, disbrigo di pratiche dei figli impegnati al lavoro etc.).

Pertanto il protrarsi per ancora lungo tempo della clausura degli anziani potrebbe determinare gravi conseguenze sociali ed economiche per l’intera comunità. Consentitemi, quindi, di ringraziare il Dott. Filippo Anelli, Presidente FNOMCeO, che ha dichiarato con altri illustri scienziati e giuristi che questo “approccio anagrafico è sbagliato e non risolutivo”. E il Prof Raffaele Antonelli Incalzi, Presidente della Società italiana di Gerontologia, a proposito degli over 70enni, afferma: “se sono in buona salute hanno un profilo di rischio inferiore a quello di un 50enne fumatore”.

L’ISTAT nel rapporto sulla popolazione italiana del 2019 indica che gli ultra 65enni sono circa 14 milioni di cui solo il 10% circa fragili e bisognosi di assistenza. Il restante 90% (in gran parte certamente con una o più malattie pregresse ma non malato) verrebbe sottratto alla vita civile con le gravi conseguenze socio economiche già citate.

L’ipotesi di prevedere una ripresa graduale per settori favorendo quelli produttivi, il commercio ed il turismo nel rispetto delle regole del distanziamento sociale,diagnosi di contagio e di immunizzazione, igiene delle mani ed adozione di dispositivi di protezione sono totalmente condivisibili per la tenuta economica del Paese. Allo stesso tempo le stesse norme devono essere adottate, con gradualità e sicurezza per la ripresa delle attività educative, culturali, di svago e per consentire la libertà di relazioni nei nuclei familiari, nelle micro comunità e nella società da tutti i componenti delle famiglie indipendentemente dall’età.

La responsabilità individuale deve essere strettamente collegata con quella sociale e realizzata da persone libere e consapevoli che i comportamenti individuali ed il rispetto delle norme condivise realizzano sicurezza per tutti ed equità. La limitazione temporanea del diritto alla libertà può essere introdotta ma deve essere compresa e giustificata da esigenze straordinarie e comuni a tutte le persone. La norma discriminatoria introdotta per arbitrio porta la persona ad avere sfiducia nell’equità dello Stato e alla disubbidienza.

Questa consapevolezza e senso civico ci può indurre ad espressioni di disobbedienza civile, quando le norme risultassero ingiuste ed inique, basterebbe mettersi tutti in marcia a distanza di due metri l’uno dall’altro e camminare in silenzio nelle nostre città per alcune ore ogni giorno, per i giorni necessari a recuperare rispetto, dignità, ruolo nella comunità e senso alla nostra identità.
Abbiamo illustrato brevemente alcune delle conseguenze sanitarie e sociali per il nostro Paese se si adottassero i suggerimenti franco-tedeschi (guarda caso…) relativamente alla reiterazione per i 65-70enni della quarantena fino a dicembre.

Consentitemi, ora, qualche considerazione sulla dubbia costituzionalità di alcune norme previste dallo “stato di emergenza” dichiarato dal Governo il 31 gennaio u.s. per sei mesi, in relazione al “rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” ai sensi del Dlgs n°1 del gennaio 2018. Nel corso dei numerosi dibattiti televisivi e non solo, poco è stato approfondito il rapporto tra la normativa urgente derivata dal Covid-19 e la nostra Costituzione. E’ stato spesso affermato che il diritto alla salute è il primo assoluto diritto della persona e che gli altri diritti costituzionalmente previsti, anche la libertà personale, debbano praticamente sottostare ad essa. Non credo, però, sia semplicemente un caso se il primo diritto riconosciuto in Costituzione è quello della libertà personale (ex art.13) e della libera circolazione (ex art.16) mentre il diritto alla salute è previsto all’art.32.

Bisogna, pertanto, operare un bilanciamento tra libertà personale e diritto alla salute anche alla luce del principio di proporzionalità che costituisce un grande argine all’esercizio del potere pubblico sotto il triplice profilo dell’idoneità, della necessità e dell’urgenza. E la soluzione di una quarantena infinita non può essere ritenuta idonea ad evitare di realizzare il risultato prefissato che è quello di evitare la propagazione del virus, quando è oramai dimostrato che i contagi si verificano
essenzialmente negli ambienti chiusi, in famiglia e negli ospedali.

E’ ovvio che la salute sia un bene fondamentale da tutelare, ma non possono esistere “gerarchie” di valori costituzionali. In merito la Consulta è stata chiarissima con la famosa sentenza n°85/2013 sull’ILVA di Taranto sul conflitto tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro. E’ pur vero che si tratta di provvedimenti temporanei che dovrebbero concludersi entro il 3 maggio, ma la eventuale proroga della quarantena per gli over 65-70enni fino a dicembre prossimo può essere considerata lecita? E se sarà ulteriormente reiterata? Hanno più volte affermato illustri costituzionalisti che la libertà personale mai possa essere derogata
per motivi di salute creando una scala di valori tra questi due diritti. Ciò si può verificare in regimi totalitari (alla cinese) e non nel nostro ordinamento. Questi due diritti, pertanto, debbono essere sempre contemperati. Un altro principio da tenere presente e che emerge nei dibattiti è quello secondo cui ai medici spetterebbe l’ultima parola il che, da medico, mi inorgoglisce non poco.

Sono, però, profondamente convinto che l’ultima parola spetti alla politica e agli organi costituzionali a ciò preposti, dopo avere sentito attentamente i tecnici, contemperando le loro conclusioni con le esigenze del sistema paese. Purtroppo fino ad ora ciò non si è verificato e mi pare che i politici, e i politicanti soprattutto, si stiano scudando dietro la scienza.

Nei vari dibattiti spesso viene affermato che ci troviamo in un regime di guerra; non vorrei che lo “stato di emergenza”, peraltro non previsto dalla Costituzione, fosse confuso con lo “stato di guerra” previsto dalla Costituzione e che deve essere deliberato dal Parlamento e dichiarato dal Presidente della Repubblica. E questa considerazione si collega direttamente alla costituzionalità dei
provvedimenti assunti nello “stato di emergenza” che esclude una piena libertà per il Governo di adottare ogni misura anche in contrasto con i principi costituzionali relativi alla libertà individuale.

In verità la Costituzione prevede per ragioni sanitarie (ex art. 16) limiti, per breve tempo, alla circolazione delle persone e tutti gli altri divieti previsti dallo “stato di emergenza” (divieto di riunioni, chiusura dei cinema, teatri, delle attività commerciali, limitazioni alla libertà personale consentendo spostamenti solo per esigenze lavorative, per situazioni di necessità o motivi di
salute, oppure spostamenti da comune a comune etc.), ma se viene imposto un comportamento simile a quello degli arresti domiciliari, è chiaro che viene leso il diritto alla libertà personale che trattandosi di un diritto inalienabile può essere ridotto in ipotesi eccezionali previste dalla legge con riferimento a singoli comportamenti e solo a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

E’ di dubbia costituzionalità, quindi, il provvedimento che ha relegato a casa milioni di cittadini, senza neanche distinguere tra persone sane e malate. Ciò, comunque, non significa che il provvedimento non fosse giustificato da un’emergenza senza precedenti nella storia del dopoguerra del nostro Paese, ma non può portarci ad affermare che il provvedimento sia costituzionalmente legittimo.

A maggior ragione, però, sarà inaccettabile se questo provvedimento il 3 maggio sarà reiterato fino a dicembre prossimo solamente per gli over 65-70enni o peggio ancora fino alla realizzazione di un vaccino che presumibilmente non avverrà prima di uno-due anni. E’ indispensabile, quindi, a conclusione di questo drammatico momento la costituzionalizzazione dello “stato di emergenza” per dare maggiori garanzie ai cittadini stabilendo i poteri del Governo fissandone i limiti e precisando una corretta armonizzazione dei diritti fondamentali della persona.

Lo “stato di emergenza”, inoltre, dovrebbe essere dichiarato dal Parlamento anche per evitare che i vari provvedimenti siano emanati a colpi di Dpcm (Decreti Presidenza del Consiglio dei Ministri) che non debbono essere convertiti in legge diversamente dai Decreti legge e quindi non sono controllati, anche se a posteriori, dal Parlamento stesso come avviene oggi.
Pertanto qualora il Governo dovesse reiterare il 3 maggio la quarantena solo per gli anziani la FEDERSPeV e la CONFEDIR impugneranno il provvedimento in tutte le sedi giurisdizionali.

FONTE:https://www.startmag.it/mondo/emergenza-covid-19-dubbi-di-costituzionalita/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=emergenza-covid-19-dubbi-di-costituzionalita&ct=t(RSS_EMAIL_CAMPAIGN)

 

 

 

IMMIGRAZIONI

Migranti, 90 arrivano a Trieste. Siulp: “Poliziotti senza protezioni”

 

 

LA LINGUA SALVATA

Clausura
La strana coppia
clau-sù-ra

SIGNIFICATO Chiusura; regola che in certi ordini limita i contatti fra religiosi e mondo esterno; parte del convento soggetta a tale regola; luogo isolato, vita appartata

ETIMOLOGIA voce dotta, recuperata dal latino tardo clausūra, derivato di clàudere ‘chiudere’

Chi ha dimestichezza con l’etimologia è accostumato all’emergenza di parentele nascoste, talora affatto inopinate, tra parole apparentemente distanti l’una dall’altra. A volte, però – e questa è una – ci si sorprende ancora. Che la clausura abbia a che fare con la clausola, l’enclave, il conclave e il chiostro va da sé: sempre di chiusura si tratta. Decisamente meno ovvio, invece, che sia imparentata con il chiodo, la clavicola e la caviglia – per non parlare del fatto che in tedesco Klausur sia un esame scritto. Quale sarà la chiave dell’arcano?

Nell’antichità, le serrature erano congegni assai rudimentali: essenzialmente, un chiodo o un cavicchio infilato in un anello. Logico, quindi, che clavis (chiave) fosse quasi identico a clavus (chiodo), entrambi derivati dalla radice clau- (il latino classico non distingueva tra u e v), da cui anche claudere, chiudere. La serratura, ciò che sbarrava un ingresso, era detta claustrum (da cui il chiostro) o, in epoca più tarda, clausura (da clausus, chiuso, participio passato di claudere). Dal significato di ‘serratura’, poi, clausura passò ad indicare il luogo che ne viene serrato (fortezza) e infine l’esistenza ritirata dei religiosi tenuti a non uscire dal proprio convento.

Oggi, naturalmente, esistono ancora monaci e suore di clausura, reclusi per vocazione, ma la clausura si è secolarizzata, come tutta la società: c’è quella degli hikikomori, forma estrema di autoesclusione sociale; quella temporanea dell’artista, che quando scende nel suo porto sepolto per trarne alla luce le perle, deve farlo da solo; quella luttuosa di chi attende di poter accettare una mancanza; e infine c’è la clausura di questi nostri giorni sospesi: funzionale, imposta, per sfuggire all’insidia di un nemico invisibile.

Ma l’esame scritto dei tedeschi? Se anche non si condivide l’idea di Michel Foucault della scuola come “istituzione disciplinare” affine al carcere e alla caserma, è innegabile che essa sia un mondo, per certi versi, a sé stante, con pratiche e riti propri, tra i quali svolgono una funzione specialmente simbolica le prove scritte al termine di un ciclo scolastico: quasi una liturgia laica, riti di passaggio celebrati in stanze chiuse, ove occhiuti officianti vigilano affinché nessuna irregolarità infici il rigoroso appuramento dei meriti e dei demeriti.

In questa luce, la Klausur tedesca è perfettamente coerente, persino ovvia nel suo incarnare la natura esclusiva (ex claudere, chiudere fuori) delle prove d’esame scritte, svolte di norma in aule inaccessibili ai profani e sotto il rigido controllo di una commissione esaminatrice. E non si tratta neppure, in questo caso, di un prodotto della Burschensprache, il gergo degli studenti tedeschi che, tra Settecento e Ottocento, ha prodotto delizie come ‘fidel’, ma solo di una banale analogia.

No, non abbiamo dimenticato clavicola e caviglia: le abbiamo tenute in serbo proprio perché niente affatto banali. Anche se per vie diverse, entrambe derivano da clavicula (diminutivo di clavis, quindi ‘piccola chiave’); ma il loro legame con la chiave, più che nella forma, sta nella funzione di collegamento che svolgono – la clavicola tra sterno e scapola, la caviglia tra gamba e piede. Un tempo, infatti, in anatomia chiave valeva ‘giuntura, articolazione’.

Di più: se consideriamo che per chiudere una ferita bisogna unirne i lembi, e per far scorrere l’elettricità si chiude il circuito, siamo sicuri che clausura sia necessariamente separazione e assenza di contatto? A volte, per aprirsi a qualcosa, bisogna chiudersi a tutto il resto.

Parola pubblicata il 28 Aprile 2020

Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/clausura

 

 

 

LAVORO PENSIONI

La tragica efficienza del capitalismo perfetto sotto coronavirus

“In cinque settimane soltanto,  i disoccupati sono saliti alla  cifra spaventosa di 26,4 milioni negli Stati Uniti. Questi milioni di lavoratori sono stati licenziati da società per azioni che ricevono denaro pubblico  –   soldi dai  contribuenti  –  nel più osceno programma di salvataggio lanciato dallo Stato con trilioni di dollari stampati per farle sopravvivere al lockdown. Perché queste società, e le banche, non vengono  costrette dallo stato a pagare i loro lavoratori il salario durante il blocco, o il sussidio-malattia?”.

Non sono discorsi che si  possono fare negli Stati Uniti. Ma l’articolo  postato su Zero Hedge, e vogliamo prenderlo come la speranza. Di un risveglio. Risveglio dell’opinione pubblica americana trascinata nella tragedia,  sulla vera natura del capitalismo,  che soffrono così platealmente  in questi lockdown sulla loro pelle: un capitalismo che – lungi dalla narrativa eroico-fantastica  – si fa ripetutamente salvare dallo Stato;  a spese dei contribuenti; che questo capitalismo scatenato e “libero”   a dispetto della ideologia corrente, rappresenta per la società e il settore pubblico un costo enorme – in quanto provoca ripetute e rovinose crisi, da cui si fa’   tirar fuori con i trilioni della Fed .    E la cui “efficienza”  consiste puramente nel  retribuire sempre il meno possibile il lavoro  a  vantaggio del capitale finanziario: in un colossale sequestro-furto. E che in queste settimane di Coronavirus, esercita la sua “efficienza”, nel Paese dove la sua efficienza è massima perché non ostacolata da lacci e lacciuoli del controllo pubblico,  nel modo non solo più brutale e crudele, ma stupido.

Questa brutalità inumana e stupida è più  orribilmente in atto dove meno ci se lo aspetterebbe: negli ospedali, ovviamene imprese private  a caccia di profitti.  Ebbene: dal 28 aprile, la Mayo Clinc System  (famosa catena di cliniche)  metterà in  licenza a paga ridotta 30 mila medici ed infermieri  –  sui  70 mila che impiega. Com’è possibile, nel pieno della “pandemia”?   Il punto è che la chiusura da quarantena ha diminuito ricoveri, visite e  interventi per tutte  le  altre cause; molto personale è di troppo;  quindi la catena ospedaliera  riduce le spese mettendo in licenza un terzo dei dipendenti.

A  cominciare dall’amministratore delegato e dal direttore medico che avranno tagli salariali del 20  per cento,  e tutto il  personale non strettamente  medico tagli dal 7 al 15%.  Con eccezioni notevoli: le infermiere diplomate, e  tutto il personale ospedaliero pagato ad ore come  i tecnici di laboratorio  , non subiranno alcun taglio. Semplicemente  non faranno gli straordinari che possono essere una  parte consistente della busta-paga (un’infermiera professionale prende oltre 6 mila dollari al mese per 40 ore).

Il quotidiano USA Today ha scoperto che Medicare  (l’assicurazione federale di base per anziani)  paga medici ed ospedali 5 mila dollari  per una polmonite; ma 13 mila se il paziente è Covid, e per il paziente Covid ventilato o intubato, si sale a 39 mila dollari.

Questo può spiegare perché in America i casi  di coronavirus aumentino?

***

Devo le notizie che vi ho dato, e la domanda finale,  ai twitter di Giovanni Zibordi, che non conoscono personalmente.  E’ forse un giornalista? No, è un trader, economista  e autore di alcuni libri interessanti sulla moneta.   Ha  dei dubbi  sul fatto che la gravità della malattia  giustifichi la “chiusura totale modello Wuhan” adottata dal governo italiano “prima e più a lungo di qualunque altro”,    che provoca il crollo del Pil oltre il 20%  e il disastro economico forse irreversibile del Paese.

Lo “sgomento” di 24 Ore  per certe notizie

Siccome sa di numeri,  Zibordi  ha guardato e compulsato  in quelli dei morti e degli infetti, de i guariti e dei positivi, e  concluso: in  Italia essendo  circa 60 milioni, avendo normalmente  650 mila decessi l’anno e nel periodo a gennaio ad aprile (durante l’epidemia) 230 mila morti, “non è morta più gente rispetto agli anni precedenti in Italia”.

Su  questa valutazione, Zibordi ha scritto un articolo insieme a Paolo Becchi (il filosofo che fu vicino ai 5 Stelle), e il loro articolo è stato pubblicato sul sito di 24 Ore, il giornale economico; non sul cartaceo, ma sul sito online, dove appaiono “posizioni che non impegnano  la  linea del  giornale”.

Ecco l’articolo, apparso il 17 aprile:

INTERVENTI

L’economia ferma e il dubbio sui decessi in Italia

di Paolo Becchi* e Giovanni Zibordi*

https://www.ilsole24ore.com/art/siamo-l-unico-paese-mondo-che-sta-distruggendo-sua-economia-e-sua-cultura-causa-virus-ADemZwK

L’articolo,  riconoscendo che “In Lombardia,Piacenza  e altre province da fine febbraio la mortalità è stata tripla rispetto alla media”, contesta che “il lockdown” tipo Wuhan “ abbia fatto scendere la mortalità”; perché, anzi, “quella italiana è la seconda più alta del mondo per Covid, 338 morti per 1  milione  di abitanti”  mentre  paesi che non hanno messo tutti agli “arresti domiciliari” come noi (Corea, Giappone, Taiwan, Hong Kong, Australia, Svezia) hanno mortalità inferiore a 90 morti per 1 milione.

La chiusura non ha salvato vite, anzi.

“Lasciamo ad altri le spiegazioni nel merito”, dicono i due autori. “Ci limitiamo ad osservare che non è la mortalità eccessiva a livello nazionale che giustifica il blocco prolungato dei diritti e della vita degli italiani”.

Quanto al numero dei morti che non sarebbero superiori a quelli di un anno senza epidemie, Becchi e Zibordi dicono:

“Noi stessi siamo sorpresi di questo dato e siamo aperti a spiegazioni e correzioni che spieghino diversamente i dati che abbiamo rilevato dall’Istat. Insomma, si apra un dibattito libero, come avviene negli altri Paesi”.

Libero dibattito? Il comitato di redazione ha fatto apporre  il testo seguente:

COMUNICATO SINDACALE
Il comitato di redazione dei giornalisti del Sole 24 Ore prende con fermezza le distanze dai contenuti di questo intervento.
Ogni forma di censura, anche delle opinioni più distanti, è lontana da noi: per questo non abbiamo chiesto che il contenuto fosse cancellato.
La nostra testata si è, però, distinta negli anni per la qualità degli interventi che ogni giorno ospita.
Troviamo, allora, sorprendente che un tema così delicato e triste come la morte di migliaia di italiani in queste settimane venga trattato sulla base di analisi che pochissimo hanno di scientifico.
Nell’intervento lo leggiamo, testualmente, che “non è la mortalità eccessiva a livello nazionale che giustifica il blocco prolungato dei diritti e della vita degli italiani”.
Sono parole che preferiamo non commentare in giornate nelle quali, purtroppo, i morti a causa del Covid-19 si contano nell’ordine di centinaia ogni giorno.
Chiediamo, allora, alla direzione del Sole 24 Ore massima attenzione nella selezione dei contenuti che la testata ospita. Ci pare che stavolta ce ne sia stata molto poca.
Questi commenti, come recita la nota in testa al pezzo, “non impegnano la linea editoriale del giornale”. Aggiungiamo che lasciano sgomenti i giornalisti del Sole 24 ore.
Continueremo a vigilare affinché il lavoro della redazione non venga danneggiato da scelte discutibili.
Il Cdr

https://www.ilsole24ore.com/art/siamo-l-unico-paese-mondo-che-sta-distruggendo-sua-economia-e-sua-cultura-causa-virus-ADemZwK

La  giunta sindacale non si degna di smentire i dati;  dice che i giornalisti del giornale sono colti da “sgomento”  e invita il direttore a censurare interventi che non vengano da dentro.

Oppure che siano di alta qualità, come il segiente rapporto UE:

copio  e incollo:

L’UE avverte : notizie false dalla Russia su presunti rimedi contro il virus

Il servizio europeo per l’estero  avverte che la Russia e la Cina stanno diffondendo menzogne ​​sul virus della corona in Europa, mettendo in pericolo la salute di milioni di persone.

Nientemento, milioni. E’ giusto allarmarsi . Leggiamo l’articolo:

La disinformazione sostenuta dal Cremlino ... contraddice le linee guida ufficiali dell’OMS [Organizzazione Mondiale della Sanità]”  [Pensate l’impudenza di Putin, ndr.], così  EUobserver citando  un rapporto del Servizio estero dell’UE lunedì.  Alcuni rapporti russi su presunti rimedi sono “particolarmente preoccupanti e dannosi” perché rappresentano una minaccia per la salute delle persone in Europa.

I media statali russi riferirebbero che bicarbonato di sodio, limone, vitamina C e zinco potrebbero uccidere il virus corona,   mentre il  lavarsi le mani era inefficace [ecco perché tutti questi europei stanno morendo come mosche] Secondo i diplomatici dell’UE, i falsi report dalla Russia comprendono  anche teorie secondo cui il miliardario americano Bill Gates “forzerà le vaccinazioni di massa e l’impianto di nanoparticelle” per controllare le persone. Inaudito, vero? Ndr. 

I media russi hanno anche affermato che le reti 5G hanno causato la pandemia [Ha stato Putin!] o che il virus corona era una frode che non esisteva .

Inoltre, secondo i diplomatici dell’UE, è una notizia falsa quando i rapporti dalla Russia affermano che i paesi dell’UE sono “inefficaci, divisi e cinici” nei loro rapporti reciproci per la  crisi della corona. [Cosa di cui ciascuno può constatare la falsità, ndr.]

Allo stesso tempo, la Cina “sta conducendo una campagna di disinformazione globale per distrarre dalla sua colpa per lo scoppio della pandemia della corona e per migliorare la sua immagine internazionale”, secondo il rapporto del Servizio europeo per l’azione esterna pubblicato.

Russia e Cina hanno usato “tattiche aperte e segrete” secondo i diplomatici dell’UE. Le tattiche aperte includevano il disdegno [?] da parte dei diplomatici russi e cinesi e la propaganda governativa. Le tattiche segrete includevano blog falsi, troll ed eserciti di bot.

[Eserciti di bot! Eserciti! Ndr.]

I rapporti su presunti rimedi hanno una “lunga emivita”, secondo il rapporto dell’UE. Parte del materiale è stato condiviso 1,7 milioni di volte su Facebook e visto da oltre 117 milioni di persone. “Il contenuto sbagliato o altamente fuorviante continua a essere distribuito in tutte le lingue, anche se è stato contrassegnato da verificatori di fatti locali.”

(Putin ha fatto credere che la vodka curi il Covid. L’Europa è in pericolo]

Le notizie false possono avere effetti pericolosi. Un terzo dei britannici ritiene che la vodka sia un efficace disinfettante per le mani, secondo un recente sondaggio di YouGov  [il che mette in pericolo milioni di vite  in Europa, specie perché gli inglesi non si limitano  a lavarsi le mani con la vodka –   ndr.]. Secondo lo stesso sondaggio, un quinto degli inglesi crede che il coronavirus non sia naturale, ma sia stato prodotto in laboratorio [Ma pensa  te a che punto arrivano i britannici succubi di Vladimir!]!]. La fiducia in Cina è salita alle stelle quando l’approvazione dell’UE è precipitata in Italia a marzo, secondo un altro sondaggista [Colpa di Putin, altrimenti gli italiani amerebbero l’UE più di prima…] .

“Siamo in una battaglia di narrazioni su quale sia il miglior sistema politico […] che modellerà il panorama geopolitico dopo la crisi”, ha dichiarato il capo della politica estera europea Josep Borrell “.

https://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/503614/EU-warnt-vor-Fake-News-aus-Russland-ueber-angebliche-Corona-Heilmittel

Sicuramente l’ordoliberismo vincerà, grazie alla qualità di queste informazioni UE. Imparate, Zibordi e Becchi!.

FONTE:https://www.maurizioblondet.it/la-tragica-efficienza-del-capitalismo-perfetto-sotto-coronavirus/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Geopolitica del virus

A. Alia e G. Molinari intervistano Raffaele Sciortino

b996bd9995e3e451cc596c47060977d0Con il sopravvento dell’epidemia e poi con lo spettro, non più tanto latente, della crisi economico-finanziaria, molte trasformazioni rischiano un’improvvisa accelerazione: sia quelle che riguardano la forma delle tensioni e delle spinte sociali sia quelle che concernono l’assetto geopolitico. I due piani sono fortemente intrecciati e si strutturano a spirale: le dinamiche e i comportamenti sociali influenzano le scelte e i posizionamenti dei governi e quest’ultimi, a loro volta, rimodulano il tessuto sociale. Con Raffaele Sciortino proviamo a scattare una fotografia del modo in cui i principali attori globali hanno risposto alla crisi sanitaria e di come si accingono a rispondere alla crisi economica. Facciamo questa analisi sempre tenendo in considerazione il fatto che essi non possono controllare o definire l’evoluzione della crisi, ma che gli sviluppi successivi vanno considerati sempre in relazione alle spinte dal «basso».

* * * *

In una prima fase i governi e i media occidentali hanno sfruttato l’epidemia per attaccare la Cina, che però ha saputo reagire e superare l’emergenza medico-sanitaria in un tempo relativamente breve, a giudicare dalle informazioni che riceviamo. In una seconda fase l’epidemia ha raggiunto l’Italia e altri paesi, europei e non, mentre la Cina si è proposta come paese guida nella risoluzione dell’emergenza (per esempio con l’invio di personale medico e di macchinari sanitari in Italia) seppur con delle contraddizioni che restano aperte all’interno dei suoi confini. Questa crisi può essere il banco di prova della via allo sviluppo perseguita dalla Cina, favorire la sua ascesa nella gerarchia globale e segnare la nascita di un nuovo ordine mondiale? Che partita sta giocando il paese guidato da Xi Jinping sullo scacchiere europeo?

«Parto da una considerazione scontata: il caos che sta montando è dovuto all’intreccio tra crisi sanitaria e crisi economica. La prima si è fatta strada in maniera molto accelerata e con una capacità virale inusuale nell’arrivare dall’Asia all’Europa e diventando globale potenzialmente può avere conseguenze politiche. La questione sanitaria ha prodotto incertezza, costringendo i governi e la comunità scientifica a reazioni di negazione prima, sorpresa e panico poi. È una considerazione importante da fare perché è evidente che stiamo assistendo a una crisi della governance a livello globale, una vera e propria crisi di comando politico. La crisi sanitaria è andata poi a collidere in maniera violenta con i problemi irrisolti della crisi globale che si trascinano da tempo, visto che dopo il 2008/2009 non c’è stata una vera ripresa, un forte rilancio dell’accumulazione. Inoltre i poteri globali arrivano a questa seconda fase della crisi, se di questo si stratta, con le armi spuntate: i debiti sono ormai alle stelle, le politiche monetarie di tassi zero e di immissione di liquidità hanno raggiunto i propri limiti, inoltre negli ultimi anni abbiamo assistito alla guerra commerciale tra Usa e Cina con il chiaro obiettivo, da parte statunitense, di bloccare la risalita della catena di valore globale della Cina, dunque una guerra tecnologica. Oltretutto i segnali di recessione, dovuta sia allo shock dell’offerta – con il blocco delle filiere globali di produzione di valore – che della domanda, si erano palesati o perlomeno si intravedevano già dalla fine del 2019.

Proviamo a fotografare la situazione cinese per quello che è possibile con i dati che abbiamo a disposizione. La reazione delle masse cinesi alle notizie sul diffondersi del virus è stata molto forte e ha spinto sullo Stato centrale di Pechino a fronte della trascuratezza e dell’incompetenza delle autorità locali che hanno tentato di mettere a tacere i focolai. Il gioco tra centro e periferia dello Stato cinese è stato sempre presente, ma questa dialettica tra politico-centrale e amministrativo-periferico la vediamo in atto in piccolo anche in Italia – pensiamo alla querelle tra regioni e Conte – o negli States nello scontro tra Trump da un lato e, dall’altro, Stati con una base sociale non trumpista e governati dai democratici, come California oppure New York. Questo è interessante per capire quanto è profonda la crisi che fa emergere queste fratture.

Quindi in Cina c’è stata questa forte pressione dal basso affinché lo Stato intervenisse, tenuto conto che il welfare cinese, in particolare la sanità, è deficitario perché smantellato o privatizzato dalle riforme prodotte da Deng e seguaci. Una situazione simile agli Stati Uniti dunque, ma con livelli di reddito bassissimi, ragion per cui i proletari e quel poco di ceto medio presente devono risparmiare tantissimo per le eventuali prestazioni sanitarie. Alla forte spinta dal basso su Pechino si sono affiancate le mosse di Xi Jinping che è intervenuto in maniera molto decisa perché c’era in gioco la legittimazione del partito e dello Stato nel riuscire a salvaguardare la popolazione. Quindi una dialettica democratica intesa nel senso sostanziale del termine, ovvero come costituzione materiale del rapporto tra proletariato, partito e Stato in Cina, in cui il popolo ha spinto nei confronti del potere e, a sua volta, Xi è intervenuto propagandisticamente come se fosse una vera e propria guerra di popolo, non solo contro il virus. Infatti ciò ha un profondo significato geopolitico perché uno dei messaggi veicolati, neanche troppo implicito, verteva sulla possibilità che l’Occidente, soprattutto gli Usa, potesse approfittare della crisi sanitaria per dare un colpo alla Cina. L’altra cosa interessante, più direttamente geopolitica, è che il modello cinese di intervento – necessario alla luce delle carenze dell’infrastruttura cinese – ha avuto un’immediata ripercussione nell’Occidente imperialista nel rapporto tra popolazione e rispettivi governi. L’Italia, dopo la negazione e la sottovalutazione iniziale, è stata il primo paese ad adottarlo con il semi-blocco deciso dal governo, che oggi si allenta per volere di Confindustria e di parte della popolazione. È interessante perché abbiamo visto qui sia la dinamica regioni-centro, ovvero l’iniziale “Milano non si ferma” contro la chiusura voluta dal governo, sia la spinta della popolazione, nella fattispecie spezzoni di classe operaia che hanno fatto scioperi spontanei. È un’analogia che ovviamente va maneggiata con cautela ma che non vale solo per l’Italia, pensiamo ad esempio a BoJo che chiama alla morte gli abitanti della Gran Bretagna con un messaggio neomalthusiano, o a Trump che inizialmente ha negato l’esistenza di un’emergenza. Alla fine sono entrambi stati costretti a prendere delle misure più restrittive.

Pur tenendo conto del virus e della particolarità della situazione, è la prima volta che la Cina ha esercitato un soft power vincente – mi ha particolarmente colpito un sondaggio di La7 sulla valutazione dell’intervento cinese e statunitense che mostrava un netto dislivello a favore del primo. Inoltre il paese guidato da Xi Jinping ha lanciato un messaggio universalistico, fin qui prerogativa dell’Occidente, ovviamente non declinandolo sui diritti umani ma sulla necessità di prendere misure restrittive e di cooperare in termini economici per superare il virus. Quindi l’invio di mascherine e di altre attrezzature è sì strumentale ma ha anche questo sottofondo più propriamente politico, una sorta di universalismo in salsa cinese che ha contato nello spostamento degli umori e delle reazioni dell’opinione pubblica dei paesi occidentali. D’altro canto non bisogna sopravvalutare la risposta cinese perché, se è vero che da un certo punto di vista è stato la meno peggio nello scacchiere internazionale, è chiaro che la diffusione di questo virus, ancorché apparentemente contenuto, ha messo in estrema difficoltà l’economia cinese e il suo tentativo di risalire la catena del valore, anche perché l’incrocio tra questione sanitaria e recessione economica può tramutarsi in un’enorme depressione che può bloccare l’aspirazione cinese. Quindi ci saranno due ordini di difficoltà: a differenza del 2008/2009, quando i suoi interventi hanno evitato che l’Occidente precipitasse completamente, la Cina è oggi completamente dentro la crisi perché si è indebitata e ha difficoltà a varare un piano di interventi economici infrastrutturali keynesiani come fece a suo tempo; dunque, non potrà salvare l’Occidente ma dovrà salvare se stessa e per farlo, tenendo conto delle attuali relazioni con gli Usa, si dovrà salvare dall’Occidente. L’altra questione di cui dovrà tener conto è che avrà bisogno di maggiori spese per creare un vero e proprio welfare perché ci sarà una domanda diversa della popolazione cinese. Cambierà lo stesso patto sociale tra Stato, ceto medio e proletariato, non più immaginabile semplicemente come scambio tra stabilità politica e crescita economica, sarà qualcosa di differente. Quindi l’instabilità sarà sia interna che internazionale, però intanto ha posto alcuni paletti.»

 

La crisi dunque avrà esiti incerti, gli Stati Uniti per la prima volta rischiano di uscire ridimensionati da questo passaggio. Trump, sollecitato sia internamente che esternamente, ha annunciato un piano massiccio di investimenti e di interventi monetari (tra cui la proposta dell’helicopter money), mentre la Fed è costretta a garantire che farà di tutto per assicurare la liquidità a Wall Street e mantenere l’egemonia del dollaro nel sistema bancario e finanziario globale (pensiamo ad esempio che il sistema bancario europeo ha un’esposizione in dollari per 4000 miliardi); solo qualche giorno fa ha inviato un memorandum agli apparati di Stato in cui indica la necessità di intervenire in sostegno dell’Italia con ogni mezzo necessario, purché non si comprometta la stabilità americana. Come si riconfigura il rapporto degli Stati Uniti con la Cina? Come si sta muovendo Trump per coniugare il piano interno e quello esterno, soprattutto per quanto riguarda l’Europa? 

«Negli Stati Uniti la situazione è ancora più complessa. Si incrociano l’azione dell’amministrazione Trump, che inizialmente ha negato l’emergenza sanitaria, l’anno elettorale, quindi lo scontro con i democratici, e la recessione economica. Trump si aspettava un lieve rallentamento dell’economia nell’anno delle elezioni, una leggera frenata che poteva essere tamponata dagli interventi di liquidità della Federal Reserve, ma questa prospettiva è franata, in quanto la crisi da covid ha colpito duramente lo stato di New York e le filiere globali della produzione. Il presidente americano è stato costretto a un doppio salto mortale: ha dovuto riconoscere che il virus esiste, attribuendo la colpa alla Cina e all’Oms, e varare un piano di interventi, in accordo col Tesoro e con la Fed, di due trilioni di dollari, cifra immane, il doppio di quanto messo in campo da Obama all’indomani del fallimento della Lehman Brothers. Il piano è un ampliamento degli interventi di immissione di liquidità fatti dalla Fed per salvare le istituzioni finanziare e le banche, per frenare i cali di Borsa – teniamo conto che a marzo la Borsa è crollata del 30% – e per evitare un’interruzione della catena dei pagamenti nel circuito finanziario internazionale fornendo dollari a una serie di banche centrali, ma ha al suo interno anche una serie di interventi che potremmo definire di erogazione di risorse alla cosiddetta economia reale, nei termini di misure tampone per chi perde il lavoro e per le piccole e medie imprese, a patto che non licenzino. Si vede in questo la vena nazionalpopolare o “populista” di Trump, uno dei fattori che spiega perché la sua popolarità non sia calata nonostante la negazione iniziale. Questi interventi, necessitati dalla precipitazione della crisi e da esigenze politiche interne, permettono a Trump di andare avanti, bisogna vedere cosa succede se si voterà. Questo cambio di passo sulla politica economica è interessante, sembra che dopo tanti anni non si tratti solo di liquidità ma di finanziamenti all’economia reale, di sostegno alla domanda, ai redditi e alle piccole e medie imprese. Inoltre il taglio dei tassi d’interesse e il quantitative easing IV al momento non sono serviti per bloccare il crollo delle borse, mentre le misure di Trump sì.

È chiaro che al momento non possiamo valutare quanto ci sia di keynesiano effettivo e quanto di keynesiano finanziario, però si nota un cambiamento rispetto all’amministrazione Obama. Il problema è se e per quanto potranno reggere l’azione di politica monetaria della Fed, quindi l’immissione stratosferica di dollari nei circuiti finanziari, e il netto incremento dell’indebitamento statale dovuto alle misure. È vero che grazie all’esorbitante vantaggio del dollaro gli americani possono stampare e utilizzare questa liquidità per salvare la propria economia scaricando i costi sugli altri attori globali, però ci sono alcuni segnali che mostrano come il gioco inizi a mostrare delle controindicazioni: nelle settimane precedenti è cresciuto il rendimento dei buoni del tesoro americani, solitamente molto liquidi, perché si è fatto fatica a collocarli – questo aumento dei rendimenti implica che si pagano più interessi e quindi il debito aumenta. Ma, soprattutto, la guerra sui prezzi del petrolio, coincisa con il crollo di Borsa, ha mostrato che gli Usa hanno difficoltà a salvare le imprese energetiche dello shale oil che sono non redditizie, indebitate e che hanno retto – facendo degli Usa il primo produttore mondiale di petrolio – perché legate a Wall Street, a finanziamenti a debito stratosferici che gli States possono scaricare sugli altri paesi. Molte di queste imprese sono a rischio fallimento e attualmente non ci sono i fondi necessari perché servono ad altro, così Trump ha dovuto trovare un accordo telefonando a Putin e all’Arabia Saudita, accettando per la prima volta un taglio delle produzioni dello shale oil in Texas, stato fondamentale per le elezioni. Quindi non è detto che il dominio mondiale del dollaro possa andare avanti se la recessione diventa una grossa depressione mondiale, con la Cina coinvolta.

Per chiudere su questo, che ci apre alla questione sulla tendenza alla deglobalizzazione, il grande interrogativo è quanto può reggere il rapporto Stati Uniti-Cina che, ancorché asimmetrico perché basato sul dominio finanziario degli Stati Uniti ma che ha permesso alla Cina di uscire dal sottosviluppo, è stato un pilastro fondamentale insieme alla finanziarizzazione; oppure se è iniziato il cosiddetto decoupling, ovvero la rottura del nesso tra Cina e Stati Uniti. Questa è la domanda dei prossimi anni. Negli States ci sono tantissime spinte a rompere con la Cina, a spostare le produzioni dal paese asiatico, c’è una forte leva sulle multinazionali affinché investano in paesi amici del sud-est asiatico per mettere in estrema difficoltà il progetto cinese di sviluppo delle nuove vie della seta, spinte che partono dallo stesso Trump. È un processo che ha al suo interno molte contraddizioni perché non è facile spostare tutte le produzioni, al momento è difficile che la forza lavoro cinese possa essere sostituita come produttrice di valore per le multinazionali americane e occidentali, per via del prelievo che il capitale finanziario opera su questo valore. Allo stesso tempo è chiaro che affinché ci sia un reshoring di massa è necessario ricreare delle condizioni adeguate in Occidente, ovvero riprodurre le condizioni di sfruttamento della classe operaia cinese, cosa che significa un taglio enorme del salario diretto e indiretto, quindi la messa in discussione del patto sociale complessivo. Inoltre probabilmente questo processo deve essere accompagnato da una forte automazione e digitalizzazione, che significa investimenti ingenti e capacità di reggere la disoccupazione tecnologica conseguente. Inciderà molto il clima anti-cinese, che è un sentire non solo dei repubblicani, rinvigoritosi con la propaganda sul virus di Wuhan. Teniamo sempre conto dei primi segnali di indebolimento del dollaro, la guerra sul petrolio va letta in questa prospettiva. Gli altri attori globali, pressati dalle proprie popolazioni, spingono su una rinazionalizzazione delle proprie politiche e vedono negli Stati Uniti non più un alleato ma un partner inaffidabile, che mette al primo posto i propri interessi a scapito di tutti gli altri. Questo avrà altre ripercussioni politiche e geopolitiche.»

 

La pandemia ha palesato per l’ennesima volta la rigidità – potremmo dire ideologica, sebbene si tratti di un’ideologia con potenti sottostanti materiali – dell’architettura europea. Se forse è vero che tutti i paesi membri concordano sulla necessità di prendere misure straordinarie per affrontare la crisi e che si ritorna a parlare di keynesismo, c’è però una differenza tra il cosiddetto fronte del sud, guidato dall’Italia, e il fronte del nord, alla cui testa ci sono Germania e Olanda, con la Francia in una posizione ambiguamente intermedia e la Bce che continua a svolgere il ruolo di guardiano finanziario della Ue. I primi spingono per una maggiore europeizzazione e socializzazione dei costi della crisi con gli ormai famosi coronabond, i secondi per mantenere l’attuale assetto economico-istituzionale con il ricorso al Mes. L’architettura europea è quindi messa fortemente sotto stress da questo rinnovato scontro tra Sud e Nord Europa. Quali sono le ragioni materiali della posizione tedesca e olandese? Quale scenario si può aprire in Europa in seguito a questa crisi?

«La Ue esce a pezzi politicamente da questa crisi sanitaria e in Italia è ancora più evidente rispetto agli altri paesi. Anche in Europa notiamo il passaggio dalle politiche di immissione di liquidità ad accenni di politiche keynesiane a sostegno dell’economia reale. Qui, molto più che in Cina e negli Stati Uniti, si palesa subito chi ha le risorse per fare queste politiche e chi non può. La Germania, ad esempio, ha varato un piano da 1.100 miliardi di euro per finanziare cassa integrazione, lavoro a tempo parziale e imprese; una parte di questi fondi sono prestiti garantiti dallo Stato, cioè debiti che incrementano il debito pubblico, l’altra parte sono interventi di finanziamento immediati. Il punto è che la Germania ha margini di bilancio per poter ampliare il debito pubblico, mentre gli altri Stati non hanno le stesse possibilità, in parte neanche la Francia, ma lo Stato teutonico non può permettere agli stati del fronte mediterraneo di accedere alla mutualizzazione perché l’euro non è il dollaro, valuta internazionale accettata da tutti che gli States possono stampare a piacimento riversando i costi sugli altri paesi. Questa cosa viene spesso dimenticata dagli europeisti, che individuano i problemi della Ue semplicemente nella politica egoistica tedesca. Se la Germania accettasse la mutualizzazione dei debiti esporrebbe l’euro, l’Unione Europea e se stessa alla speculazione internazionale; anche se concedesse dei crediti garantiti dallo Stato, senza alcuna condizionalità, essi andrebbero raccolti sui mercati finanziari aprendo la competizione per concedere prestiti e capitali e determinando un aumento dei tassi di interesse. Concedere la mutualizzazione indiscriminata significa dunque mettere a rischio l’euro e se stessa. Qui si apre un dilemma reale: quali sono le alternative? Nei passaggi precedenti della crisi si è visto che l’Europa è sempre meno coesa, ma lo strano connubio tra politica di rigore tedesca e politica di emissione di liquidità della Bce a banche e circuito finanziario ha retto, con i costi sociali che ben sappiamo.

Mi sembra che potrebbe approssimarsi a ritmi accelerati il momento in cui la Germania per salvare se stessa non può più salvare l’euro, quindi si intravede la possibilità di politiche a diverse velocità, già prevista nelle tornate precedenti, che rischia di portare alla frantumazione dell’Europa. Questo processo non sarà deciso dai no-euro italiani o spagnoli, ma cadrà come una tegola in testa a tutti e segnerà un passaggio decisivo della crisi mondiale. Dunque, il massimo che i paesi del Nord possono, non che non vogliono, concedere all’Italia e alla Spagna è di accedere al Mes con condizionalità più soft, permettendo alla Bce di superare i precedenti limiti del patto di stabilità acquistando a man bassa i titoli per tamponare la speculazione internazionale. Però è evidente, e qui è interessante l’intervento di Draghi, che gran parte degli interventi, soprattutto quelli che non possono essere coperti dagli Stati perché fortemente indebitati, sono garanzie, cioè debiti dello Stato che qualcuno deve pagare: se falliscono le imprese e il debito viene socializzato, lo pagherà il cosiddetto cittadino. Ecco perché si è tornato a parlare di patrimoniale, di consolidamento del debito, di una sorta di bail-in che dovrebbe socializzare i costi di questi interventi colossali e scaricarli sulla popolazione. Sempre tenuto conto che quantunque avessero successo gli interventi nell’economia reale, la ripresa avverrebbe al costo di tagli del salario diretto e indiretto e che non è scontato che essi servano per la ripresa effettiva, dipende se l’accumulazione si riprende. Se entriamo in una grande e lunga depressione, gran parte dell’apparato produttivo degli attori più deboli, tra cui l’Italia, verrà spazzato via. Quindi possiamo parlare di un keynesismo relativo, ultracompetitivo e ultraselettivo, che quantunque fosse declinato in termini di finanziamenti reali avrà come conseguenza quella di tagliare via parte dell’apparato produttivo e di ridimensionare i debiti e gli Stati come l’Italia. Si aprirà uno scenario drammatico, saranno intaccati i risparmi, i sistemi bancari.

Per riassumere: la Ue continua ad avere un handicap fondamentale, l’euro non è una moneta internazionale perché per diventarlo sarebbe necessario uno scontro con gli Stati Uniti, dunque non può permettersi la mutualizzazione del debito, necessaria per salvare l’Italia; dovremmo confrontarci con un keynesismo che non tutti potranno permettersi, che si sostanzierà con un ridimensionamento delle aspettative di reddito, un impoverimento generalizzato. Nulla sarà più come prima e questa percezione è presente nel tessuto sociale. Quindi, gli strettissimi vincoli europei ora vengono allentati però, una volta effettuato l’eccesso al Mes, in seguito interverranno le condizionalità oppure l’Italia sarà costretta ad accedere ai capitali sui mercati finanziari, che per certi aspetti è ancora peggio. Le prospettive sugli investimenti sulla sanità devono dunque tener conto di queste cose, del vincolo del dollaro, del ruolo degli Stati Uniti, della speculazione internazionale che non aspetta altro che razziare come nel 2011/2012. I nodi vengono al pettine, però è impossibile prevedere un’evoluzione.»

 

I tuoi ragionamenti ci mostrano i limiti oggettivi e l’inconsistenza delle posizioni europeiste a prescindere: il problema non è sola la rigidità ideologica della Merkel, ma i sottostanti interessi materiali. La Germania ha, dunque, maggiori possibilità di far fronte alla crisi e non può permettersi la mutualizzazione dei debiti. Approssimando, possiamo dire che l’architettura europea è stata costruita in sua funzione? Da cosa dipende questo vantaggio?

«Il processo di costruzione della Ue è complesso, dobbiamo ritornare all’immediato dopoguerra e alla guerra fredda, poi alla crisi degli anni Settanta, alla creazione del serpente monetario e dello Sme. Se dovessi dirlo in termini molto generali, più storici che politici, la Germania è stata recuperata dagli Stati Uniti in funzione anti-sovietica, con la politica di doppio contenimento: agli Usa premeva intraprendere una politica anti-sovietica evitando che la Germania potesse arrivare nuovamente a sfidare il potere mondiale anglosassone. Inoltre, il potenziale produttivo industriale tedesco era fondamentale per ricostruire l’Europa distrutta dalla guerra e conquistare il consenso del proletariato e della popolazione europea in funzione anti-russa, quindi contenere, limitare, se non isolare le spinte dell’Europa occidentale che attraverso la guerra partigiana o il richiamo alla Russia sovietica guardavano a Oriente. La Germania era quindi fondamentale in questo progetto, sia politicamente che economicamente, seppur subordinata agli accordi di Bretton Woods, al dominio del dollaro.

Con il ’68, le lotte anti-coloniali e la crisi degli anni Settanta, si incrina questo ordine bipolare simmetrico. Con la mossa dell’amministrazione Nixon del ’71 inizia a emergere il dominio del dollaro e la necessità nella borghesia europea non solo di procedere a una spartizione concordata del mercato interno e dell’imperialismo europeo, ma anche di pensare a una relativa autonomia economica e monetaria, tenuto conto che la crisi del petrolio degli anni Settanta fu pagata dall’Europa e non dagli Stati Uniti – col sistema del petroldollaro le rendite dell’Arabia Saudita vengono investite nei Treasures e nelle borse americane. Da qui in poi vediamo la sconfitta del lungo ’68 e della classe operaia, l’affermazione del reaganismo/thatcherismo, la fine dell’Urrss; col crollo del muro di Berlino si riapre la questione tedesca e si pone il problema della Germania che si riunifica e viene imbrigliata, in qualche modo, rispetto alla Francia, perché per procedere a una moneta unica bisogna contenere i vantaggi derivati dalla strapotenza del marco. Il punto è questo: la Ue è stata costruita intorno alla Germania non per la sua volontà di dominio – tra l’altro la Germania negli anni Novanta era impegnata fortemente nei costi della riunificazione, gran parte della borghesia tedesca e soprattutto il potere finanziario della Bundesbank non erano favorevoli alla rinuncia del marco, che era stato il fattore principale della rinascita tedesca dopo Hitler – ma per la centralità del suo apparato produttivo che si è imposto nonostante il tentativo di imbrigliamento, utilizzando l’euro per ricostruire l’equilibrio intorno alla centralità della propria industria. Quest’ultima, mentre gli States si deindustrializzavano, ha sempre tenuto rispetto all’economia finanziaria, organizzandosi con una sorta di taylorismo digitale, con un crescente afflato verso l’Oriente, verso Russia o Cina, esportando macchinari, beni strumentali e industriali ad alto valore aggiunto. Grazie all’euro ha ristrutturato intorno ai propri interessi una divisione internazionale del lavoro europeo, quindi di tutta la filiera produttiva. Perciò oggi la Confindustria tedesca chiede a quella italiana di non chiudere le fabbriche, perché le aziende nostrane lavorano soprattutto in subappalto del metalmeccanico tedesco e l’organizzazione italiana degli industriali spinge su Conte. Dunque è la potenza produttiva economica tedesca che strattona i paletti della costruzione europea.

L’Unione Europea non potrà mai diventare uno stato federale se non si scontra con gli Stati Uniti, perché un’Europa più unita implica un euro più forte che toglie spazi al dollaro, cosa poco gradita al paese a stelle e strisce che manovra per evitare questo rafforzamento europeo, come ad esempio è successo con la Gran Bretagna. Al contempo la borghesia tedesca non ha alcuna intenzione di scontrarsi perché gli Usa, insieme alla Cina, sono il paese verso cui esportano maggiormente. L’atlantismo è in profonda crisi anche in Germania, ma all’orizzonte non si intravede una configurazione di potere nuova che possa metterlo in discussione, che significherebbe buttare a mare 70 anni di politica tedesca, di grande crescita, di rafforzamento economico, di benessere, di pace sociale con l’integrazione del proletariato e quindi la possibilità di giocare il proprio ruolo imperialista.

Questi margini per la Ue sono sempre più stretti perché gli Stati Uniti impediscono di commerciare con la Russia, ad esempio interrompendo Nord Stream 2, in quanto vogliono rompere con la Cina e costringere l’Europa a seguirla, inoltre Trump impone i dazi anche ad essa. Un’Europa unita comporterebbe uno scontro geopolitico e un rafforzamento del governo europeo che disciplini ed elimini tanto di borghesia parassitaria negli altri paesi. Non credo sia possibile addivenire a questa soluzione, quindi penso si approfondisca la possibilità della rottura.

Ancora una questione per capire le difficoltà della Germania. Dagli anni Settanta in poi gli Stati Uniti son diventati un paese debitore e consumatore, cioè hanno permesso agli altri paesi produttori di esportare. Questa configurazione funziona perché ripagano col dollaro o con buoni del tesoro e se l’economia va bene si crea un circolo virtuoso. La Germania per concedere politiche meno rigoriste dovrebbe intraprendere una politica simile, ovvero diventare consumatore, mentre invece è un paese dall’enorme potenziale produttivo con un inadeguato mercato interno ed è impossibile cambiare questo dato dall’oggi al domani. Quindi le politiche rigoriste sono inevitabili, altrimenti si lavora per la speculazione internazionale.»

 

Rivolgendo lo sguardo ai nostri confini, come si sta ricollocando la borghesia italiana in questo passaggio di fase? E che sviluppi può avere quello che hai definito come il momento neopopulista? 

«Parto dalla seconda parte della domanda: anche volendo rimanere agli ultimi due mesi e allo scoppio della crisi sanitaria, chi ha spinto per misure più drastiche per contenere il virus? La gente comune, gli scioperi spontanei nelle fabbriche che hanno sortito poco effetto perché a Brescia e a Bergamo c’è stato il caos. Però la spinta dal basso, nella fattispecie operaia, certamente contraddittoria, sul governo Conte per un indurimento delle misure rispetto al “Milano non si ferma”, poco conta se progressista o leghista, è stata importante, si percepiva che la gente era preoccupata. A sostenere questa spinta è l’interesse della vita contro l’interesse dell’economia, è il non possiamo salvarci da soli ma possiamo farlo come comunità, in questo caso nazionale, che preme sullo Stato affinché esso regolamenti e disciplini gli interessi egoistici privati. Il preoccuparsi di sé all’interno della comunità, l’abbandonare l’individualismo neoliberista, il premere sullo Stato affinché esso si faccia portatore degli interessi della comunità nazionale e della riproduzione sociale, sono caratteristiche del terreno neopopulista, ovviamente in una situazione diversa da quella che abbiamo visto negli ultimi anni, quindi gli scioperi non erano economici nel senso classico del termine. Dobbiamo sempre vedere l’ambivalenza negli atteggiamenti, è probabile che lo stesso soggetto che ieri premeva per la chiusura oggi spinge per la riapertura perché preso dalla drammaticità economica o perché lo Stato può riutilizzare questa legittimazione per spingere sulla socializzazione delle perdite di cui parlavamo prima, quindi richiamare al sacrificio, all’unità nazionale. In questo passaggio, inoltre, chi ne sta pagando le conseguenze al momento è la Lega di Salvini che in Veneto, Lombardia, Piemonte ha mostrato come sia il peggio di quanto ci si possa aspettare in termini di competenza, sfacciataggine, arroganza. Quanto più la Lega perde sul fronte del preteso sovranismo tanto più prende credito, in questa ottica di preservare la comunità, Conte, cosa alquanto inaspettata. Il premier finora in qualche modo ha resistito, ora è pressato su due livelli: dalla piccola-media borghesia del Nord che lavora per l’estero e voleva tenere aperto; dalla situazione in Europa, che lo ha costretto a battere i pugni sui coronabond che però non otterrà. Il vuoto lasciato dai 5 Stelle, e non colmato dalla Lega, non scompare, ma dovrà essere riempito: per ora lo sta facendo Conte che, se facesse il suo partito, prenderebbe voti sia al Nord che al Sud. È interessante perché potrebbe rappresentare il sovranismo nazionale, ma forse non lo farà mai perché molle, vincolato a Mattarella ecc. Quindi c’è una dialettica tra dinamiche sociali, governo e Stato che porta allo sconvolgimento degli assetti politici, partitici, istituzionali.

È più difficile rispondere alla prima domanda. Partiamo dal fatto che l’apparato produttivo italiano è uscito molto ridimensionato dalla crisi, si stima che abbia perso il 25% della produzione. A resistere sono qualche grande impresa (come l’Eni o l’Enel), la media-piccola impresa, le multinazionali che lavorano per il mercato estero, di medio livello, strettamente legate alle esportazioni e alle filiere tedesche, quindi senza una reale autonomia. Questo dato è drammatico perché non c’è una borghesia forte a rafforzare l’operato del governo e lo si nota al livello delle politiche internazionali, visto che l’Italia ha sempre il piede in due scarpe: ha perso l’influenza in Libia, prende colpi da tutte le parti in Medio Oriente sul settore energetico con l’Eni che è a rischio scalata, le multinazionali francesi hanno fatto man bassa dei marchi italiani, molte imprese padane sperano di potersi agganciare agli investimenti tedeschi di cui si parlava prima. Inoltre il tentativo di guardare verso Cina e Russia è ostacolato dagli Stati Uniti, è subalterno alle politiche economiche del paese a stelle e strisce. Se al quadro aggiungiamo lo scontro Roma-regioni, vediamo come l’Italia sia diventata ancora più fragile, a meno che non avvenga una reazione del basso che negli ultimi anni è stata incanalata. Iniziano a mancare i numeri a livello produttivo per dare sponda a livello economico, perciò continuerà a barcamenarsi e piegare la testa ai diktat statunitensi. Al limite potrebbe diventare il cavallo di Troia statunitense, vedremo.»

 

Un’ultima domanda per concludere: quali sono secondo te in questa fase i possibili terreni di conflitto? 

«Questa inedita situazione di autoconfinamento, di uscite concesse solo per lavoro, non potrà durare in eterno. Terrei un occhio di riguardo sulla questione giovanile perché se da un lato sembra che siano meno colpiti dal virus, dall’altro vengono sacrificati, trattenuti a casa senza grosse prospettive per evitare che possano contagiare. Il capitalismo odierno è così maturo da essere marcio, non è in grado di utilizzare le risorse che ha: potrebbe usare queste forza giovanili per supportare una rete minima di solidarietà, di supporto alla riproduzione sociale. Credo che questo spreco si rifletta per ora come depressione, ma un ragionamento del tipo “non possiamo uscire cosa ci danno in cambio?” potrebbe esprimere un rifiuto di questa situazione. Inoltre percepiscono che si sta determinando qualcosa che inciderà sul loro futuro complessivo.

L’altra questione che si apre riguarda il ceto medio-basso, che sarà spazzato via dalla crisi, per cui torniamo al discorso del neopopulismo. Il turismo sarà azzerato, la piccola impresa, i piccoli lavori di manutenzione, tutti coloro che non sono pagati direttamente dello Stato scompariranno, i risparmi verranno bruciati. A questo si aggiungerà la questione degli impiegati pubblici, sempre ceto medio proletarizzato, perché non è scontato che lo Stato continuerà a poterli pagare tranquillamente.

L’altro segnale, vedremo se si consoliderà, proviene dal proletariato manifatturiero, che si è fatto risentire dopo 25-30 anni, segmento sociale che non è più quello di un tempo, rotto al proprio interno tra le esigenze della riproduzione immediata attraverso l’accesso al reddito monetario e della riproduzione più complessiva, ovvero come salvare la propria vita e quella della propria famiglia.

Sono abbastanza convinto che le ipotesi sulle dinamiche neopopuliste sono plausibili. Rispetto allo scorso anno oggi, all’incrocio tra crisi economia e covid, è necessario fare i conti più direttamente con il quadro globale. Permane una spinta a salvaguardare la vita nella comunità di riferimento però il problema è chiaramente globale, cosa che potenzialmente può innescare il superamento di quelle prospettive nazionalistiche, dipende come andrà la crisi in termini geopolitici. L’altra questione abbastanza promettente è che, forse per la prima volta, non è passata la propaganda anti-cinese. Si inizia a cogliere nel tessuto sociale che non è possibile salvarsi solo come individuo, vediamo cosa ne viene fuori.»

FONTE:https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/17608-raffaele-sciortino-geopolitica-del-virus.html

 

 

 

OMS E CINA COMPLICI: LE RAGIONI DI TRUMP

Oms e Cina complici: le ragioni di TrumpLo scorso 15 aprile fa il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha preso la drastica decisione di congelare, per due mesi, i finanziamenti americani all’Organizzazione mondiale della sanità ed è una decisione che ha un certo “peso” e con evidenti ricadute, dal momento che le sovvenzioni statunitensi costituiscono il 22 per cento del suo budget. Secondo il presidente Trump, la diffusione intercontinentale del Covid-19 non sarebbe stata adeguatamente contenuta, anzi, sarebbe stata colpevolmente “agevolata” da condotte negligenti e poco trasparenti dell’Oms e del suo direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ex ministro della sanità dell’Etiopia, stato satellite della Cina.

Ghebreyesus, biologo di fama mondiale, ha un trascorso di quarantennale militanza nel “Popolo delle tigri”, un partito marxista-leninista locale, ed è stato anche accusato, senza aver mai riportato condanne, di aver nascosto ben tre epidemie di colera quando era alla guida del competente ministero. La decisone di Donald Trump ha comportato la reazione, tra gli altri, anche dell’Unione europea che ha parlato di una “Mossa senza ragione”, ma la presa di posizione più dura è stata quella della Cina che ha “Invitato gli Stati Uniti ad adempiere agli obblighi”, annunciando, altresì, il contestuale aumento della propria quota di finanziamento e donando anche 30 milioni di dollari. Da quanto è dato capire, Donald Trump ha sostanzialmente accusato i vertici dell’Oms di incapacità e di gravi errori di sottovalutazione della portata epidemica del virus, nonché nell’insabbiamento di dati e di ritardi che, complessivamente, hanno contribuito ad una sua più penetrante diffusione anche negli altri continenti, in particolare, in Europa, in America ed in Africa.

Come è noto, gli Stati Uniti sono il paese che attualmente sta pagando il prezzo più alto nel mondo con oltre 50mila decessi, seguiti dall’Italia a quota 26mila. Inoltre, sempre secondo Trump, questa negligente gestione non sarebbe, per così dire, “casuale”, ma dipenderebbe da un’eccessiva contiguità dei vertici dell’Oms con la Cina e, quindi, si sarebbe tradotta in un tentativo di “avvantaggiare”, più o meno direttamente, il competitor cinese. La decisione di Donald Trump necessita di un approccio molto prudente perché, in questa fase, l’Oms è in prima linea contro il coronavirus ed un suo “indebolimento” potrebbe essere rischioso, tuttavia, da una sommaria analisi dei dati a disposizione, il temporaneo ritiro dal consesso internazionale da parte degli Stati Uniti non sembra una decisione del tutto immotivata.

Donald Trump è stato accusato di cercare a tutti i costi un nemico a su cui scaricare le proprie responsabilità, ma, in realtà, ne ha deprecato incapacità di gestione, ritardi e contiguità con la Cina. In effetti, già guardando semplicemente in casa nostra, la condotta dell’Oms non è esente da critiche perché, secondo il professor Andrea Grisanti, stretto collaboratore del presidente Luca Zaia, la regione Veneto si è positivamente distinta contro la diffusione del virus anche e soprattutto perché, nella fase iniziale dell’emergenza sanitaria, non ha seguito fino in fondo le direttive del ministro della Sanità, Roberto Speranza, che erano state attinte a piene mani dalle linee guida dell’Oms, di cui fa parte un suo strettissimo collaboratore, il dottor Walter Ricciardi. Secondo il dottor Grisanti, tra i primi a sostenerlo insistentemente – anche se Ricciardi, all’inizio, non lo prese troppo sul serio perché “Mancavano pubblicazioni scientifiche a sostegno delle sue tesi” – le linee guida governative erano troppo generiche, anzi, addirittura, erronee, perché limitavano l’obbligo del tampone solo ai sintomatici che avessero interagito con soggetti provenienti dalla Cina, senza monitorare gli asintomatici quali vettori di trasmissione del virus.

A conferma, la Lombardia che ha seguito alla lettera le indicazioni ministeriali si è trovata in forte difficoltà avendo proceduto, inizialmente, a tamponare solo i soggetti sintomatici con recenti interazioni cinesi. Quindi, l’errata disposizione dell’Oms ha influenzato negativamente le autorità sanitarie italiane ed ha sostanzialmente permesso al virus di girare indisturbato in questo paese per almeno 30 o forse anche 45 giorni prima che venisse scoperto il focolaio di Codogno il 21 febbraio. In altre parole, la “raccomandazione” dell’Oms ha permesso al virus di prenderci alle spalle perché gli ospedali erano stati allertati a monitorare prevalentemente i casi di soggetti sintomatici con pregresse e recenti interazioni cinesi, senza “guardarsi” più di tanto dagli asintomatici. Tuttavia, secondo uno studio del 16 marzo della rivista scientifica Science, gli asintomatici sono risultati essere, in Cina, la causa di infezione nell’80 per cento dei casi.

Quindi, se a prendere questo tipo di cantonate è proprio l’istituzione che ha l’alto compito di tendere al raggiungimento del massimo livello di salute della popolazione mondiale, cioè l’Oms, giocoforza, la decisione del presidente Trump di sospenderne i finanziamenti ha una sua giustificazione razionale, considerato che il grave errore di impostazione in cui è stato indotto anche il governo italiano si è tradotto in una “falsa partenza” per noi, ma anche per quei paesi che si sono attenuti alle medesime linee guida. Curiosamente, appena poche ore dopo la pubblicazione del rapporto Science, anche l’Oms ha cambiato posizione raccomandano i test agli asintomatici.

Anche analizzando le tempistiche della fase pandemica si rilevano elementi di riflessione sui presunti ritardi dell’Oms “denunciati” da Trump. In effetti, lo stato di “pandemia” è stato dichiarato soltanto l’11 marzo, cioè, in una fase in cui il virus aveva già raggiunto oltre 110 paesi, aveva mietuto decine di migliaia di morti in più continenti, stava facendo strage in Europa, soprattutto nel nostro paese, ed era in procinto di sbarcare anche nel continente americano. Ma anche lo step cronologicamente precedente, cioè, lo “stato di emergenza sanitaria globale” è stato dichiarato dall’Oms solo il 30 gennaio, dopo che il Covid-19 si era già diffuso in oltre 20 paesi ed aveva infettato quasi 10mila persone. Con riguardo alla presunta “vicinanza” del direttore dell’Oms con la Cina, è notorio che la Cina ha avuto un ruolo decisivo nella sua nomina avvenuta, nel 2017, nel quadro di un progressivo aumento di influenza cinese all’interno del continente africano, già saldamente in mano loro.

Inoltre, il 14 gennaio il direttore ha pensato bene di “avallare” su Twitter il report cinese secondo cui il coronavirus non era trasmissibile da persona a persona, dato clinico che, come noto, si è rivelato, da subito, del tutto infondato. Ciò è avvenuto anche il 24 febbraio quando gli ispettori dell’Oms hanno “avallato” il report clinico cinese che sostanzialmente escludeva gli asintomatici dalle fonti di trasmissione del virus, “ritenuti un fattore non trainante” e questa erronea conclusione, non adeguatamente vagliata, è confluita nelle linee guida internazionali dell’Oms che hanno fuorviato le risposte sanitarie nazionali. Curioso che, perfino in quella sede, l’agenzia abbia trovato il modo di elogiare Pechino, rappresentando che “la Cina ha messo in atto il più ambizioso sforzo di contenimento della storia”. Inoltre, lascia quantomeno perplessi che, nel momento in cui molti stati, tra cui il nostro, stavano prudentemente chiudendo le rotte aeree con la Cina, il direttore dell’Oms abbia invitato il mondo intero a non interrompere i rapporti commerciali con il paese asiatico, e ciò è avvenuto il 28 gennaio, cioè, quando a Wuhan c’erano già stati migliaia di decessi, erano già state messe in quarantena decine di milioni di persone ed il Governo aveva già chiuso, da settimane, lo spazio aereo “interno” in entrata ed in uscita dalla provincia dell’Hubei.

Ma anche ai primi di gennaio il direttore aveva avuto modo di elogiare la Cina per “la velocità e trasparenza con cui ha isolato il virus ed ha sequenziato il genoma”. Quindi, le accuse di Trump di negligenza e contiguità con la Cina non sembrano apparentemente così infondate, anche se occorre la massima prudenza perché la lotta al coronavirus è ancora in corso e l’Oms è un protagonista che, peraltro, ha appena raggiunto un importante accordo con l’Onu, con la Commissione europea e con la Francia per anticipare i tempi di produzione e di distribuzione del vaccino. Tuttavia, non è necessario avere l’esperienza decennale del pubblico ministero per rilevare alcune incongruenze che, se venissero confermate da accertamenti più approfonditi, imporrebbero all’Italia di seguire l’esempio degli Stati Uniti, in attesa di accertare eventuali responsabilità nei competenti consessi internazionali. In particolare, la Cina dovrà spiegare al mondo come mai i suoi reports clinici sugli asintomatici siano risultati così inattendibili e, alla stessa maniera, l’Oms dovrà spiegare come mai si è fidata, più volte e al buio, di report cinesi che hanno condizionato negativamente la risposta sanitaria internazionale.

FONTE:http://opinione.it/politica/2020/04/27/ferdinando-esposito_trump-covid-19-oms-etiopia-cina-unione-europea-america-africa-grisanti-zaia-speranza/

 

 

 

PSEUDO-AMBIENTALISTI E TROGLODITI STANNO PARALIZZANDO IL MONDO

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LETTERA

DIETRO LA VIRUS-MANIA CI SONO PURE GLI AMBIENTALISTI

Ciao Valdo, ti voglio sottoporre una nuova chiave di lettura di questa pandemia. Concordo con te sul fatto che sia una messinscena planetaria. Molto probabilmente lo scopo è quello della vaccinazione di massa. A quel punto cercherò di farmi inoculare il nettare infetto per ultimo. Sarà difficile essere l’ultimo perché il posto è già occupato da quelli che finanziano la vaccinazione di massa.

A parte questi retroscena già ben descritti nelle tue ultime tesine e a parte il grande dubbio scientifico sul virus contagiante o meno, credo che dietro questo circo ci siano gli ambientalisti.

IL TAM-TAM MEDIATICO DEGLI ULTIMI TEMPI FA PENSARE A QUESTO

Da qualche anno e dall’avvento della bimba svedese, c’è un tam-tam mediatico che ci avverte come i ghiacciai si stiano sciogliendo e come l’orso polare si stia per estinguere. Il futuro dei nostri figli è in pericolo e il motivetto incalzante preceduto dagli hashtag che ricorre in ogni dove.

 

I potenti non ci sentono e non firmano i protocolli di Kyoto. La bambina si altera e con lei tutta la compagnia di giro di artisti, scrittori e politici. Nei mesi ante-virus andava a fuoco l’Australia, Venezia si allagava dopo 2 dita di pioggia, la conferenza sul clima di Madrid ra fallita, a Ottobre c’erano 21 gradi e Bolsonaro tagliava giù foreste grandi come campi di calcio.

UN INNOCENTE VIRUS È IDEALE PER PARALIZZARE MEZZO MONDO

A quel punto, gli ambientalisti hanno studiato un piano B. Dato che gli appelli e le conferenze non davano risultati, sono ricorsi alla pandemia. Ci voleva un modo per fermare l’economia che conta e che produce, calpestando tutto e tutti. Una guerra non la puoi fare dato che con un click sul pulsante salta per aria un continente. No troppo distruttiva. Meglio un virus che paralizza mezzo mondo. Dietro l’emergenza e la paura ecco che si può pensare di ripartire con una nuova rivoluzione industriale.

UN MODO DITTATORIALE PER FARCI RIDIVENTARE SOBRI E FRUGALI ?

Infatti la parola che sento più spesso è che non torneremo più come prima. Chissà che un giorno ringrazieremo il corona come un virus salvifico. Avremo aria e acque più pulite, meno traffico, meno stress e vita a km zero, a misura d’uomo, una grande mela verde. Può essere, chissà. Magari i climatologi sapevano con certezza che se non ci fermavamo, da qui a un paio di anni avremo vissuto come Kevin Costner su un catamarano in mezzo all’oceano come in Waterworld. O magari i climatologi sono solo al servizio di qualche lobby green.

MA GLI AMBIENTALISTI CONSUMANO PIÙ ACQUA DELLE TRIBÙ DEL BORNEO

Sì perché gli ambientalisti non sono mica 4 hippy a piedi scalzi che girano sul furgone come negli anni 70. No, questi hanno le scarpe in caucciù e hanno preso più aerei dei Rolling Stones. Hanno consumato CO2 a manetta. Hanno le piscine riscaldate e quando vanno a lavare le loro auto da 5000 cc consumano tanta acqua quanto il fabbisogno delle tribù del Borneo.

NOI CI ROTOLAVAMO LIBERAMENTE NEL FANGO, MA I BAMBINI ODIERNI POSSONO GIOCARE SOLO SUI PAVIMENTI STERILI DELLO SPALLANZANI

FONTE:https://www.valdovaccaro.com/pseudo-ambientalisti-e-trogloditi-stanno-paralizzando-il-mondo/

 

 

 

POLITICA

 

La “fase 2” ovvero il de profundis della rappresentatività

Le guerre, i conflitti. Queste le scansioni temporali del ’900, per Eric Hobsbawn: il “secolo breve”, secondo lo storico, inizia con la Grande Guerra (1914) e termina con quella del Golfo (1991).

Un secolo, quindi, che inizia con un conflitto, finisce con un altro e, nel mezzo, regala altre ostilità con qualche parentesi di tranquillità all’ombra, comunque, di un’altra guerra, quella “fredda”. L’epilogo del ’900 non è diverso dal suo incipit e finisce «in un disordine mondiale di natura poco chiara e senza che ci sia un meccanismo ovvio per porvi fine o per tenerlo sotto controllo» evidenziando così il «fallimento apparente di tutti i programmi, vecchi e nuovi, per gestire o migliorare la condizione del genere umano». E all’abbrivo del terzo decennio del XXI secolo, in effetti, pare che quel “genere umano” tutto sia meno che al riparo. Da cosa? Dalle guerre, dalle “migrazioni”, dalle precarietà, dalle vecchie e nuove povertà e dulcis in fundo, in piena balìa di una pandemia senza precedenti.

Non va meglio se analizziamo la condizione del “genere umano” dall’interno, cioè, singolarmente: l’uomo stesso sta cambiando il suo modo di percepire le cose, di ragionare, di “essere”. L’individuo non si sente più un io compatto e unitario, con una coscienza che instaura dei valori e dei giudizi di valore, ma piuttosto un aggregato o un reticolo di pulsioni e reazioni, una “fluttuante medusa” – come scrisse Claudio Magris nel 2001 – «che non sa bene dove finisca il suo corpo e inizi il mondo, quale sia il confine tra un suo fallimento sensibile e un’alga che lo sfiora facendolo reagire».

Ciò è stato possibile poiché la società – piuttosto che l’ambito espressivo del libero gioco di interessi e tensioni – si è progressivamente configurata come una sorta di firmamento riflesso di un ordine predisposto le cui singole stelle e costellazioni rispondono alla forza di una legge ineluttabile nella quale l’individuo non ha più voce: l’unica possibilità di scelta pare essere quella tra rimanere fuori da questa architettura cosmica o farne parte. Ogni impulso, ogni fremito sociale, trova naturale composizione nella straordinaria capacità di assorbimento del “tutto”. E a ognuno non rimane che il “diritto-dovere” di sostenere la propria parte di civismo e di socialità.

Le diverse tipologie governative, i contrasti sociali, il gioco delle maggioranze parlamentari, gli interventi riformatori, si configurano da decenni solo come la trama intricatissima di una grande commedia, in cui ciascuno ha un ruolo ben preciso, ma deciso aprioristicamente. Il governo diventa “trasformismo politico” e la gestione del potere da onerosa è divenuta “onorevole”. Il concetto stesso della rappresentatività non segue più il percorso che dalla somma dei singoli interessi arriva alla loro espressione formale, ma tende a realizzarsi nell’esatto contrario.

Quando ciò accade le nostre stesse esigenze diventano l’effetto di una formula politica, di una forma di governo sostanzialmente a noi estranea poiché distante, inafferrabile, il cui centro operativo è intuibile ma insondabile. Si realizza e si compie “in nome del popolo” un ordinamento di regole e di istituzioni che il “popolo” non si è mai accorto di volere.

É quello che sta accadendo all’ombra dell’emergenza pandemica nel nostro Paese e non solo. Per rimanere entro i nostri confini, chi palesa la detenzione di un potere di governo tramite messaggi televisivi lo fa annunciando ormai settimanalmente nuovi decreti, disponendo nuove limitazioni, prolungando sospensioni dei diritti individuali e legittimando eccezioni in virtù del fatto di avere “prevalentemente” in vista il benessere della collettività nel suo complesso. Un “avvocato del popolo” senza mandato sacrifica – senza esitazione alcuna – l’interesse particolare del singolo privato cittadino in favore di quello “generale” e “societario” anche se poi, una tale decisione finisce importando il sacrificio di ogni singolo individuo e di tutti quanti, partitamente.

La “fase 2” di cui tanto si parla in questi giorni non può non preoccupare per come si sta configurando: più che il preludio al ritorno alla normalità essa si palesa come il de profundis – per dirla con Salvatore Satta – del principio politicamente inteso della rappresentatività. É la cartina di tornasole di un conflitto in atto ben più drammatico e pericoloso di tutti quelli del “secolo breve”.

A guidare il Paese, infatti, ci saranno – non si sa per quanto tempo e schermati da un preoccupante “scudo penale” che fa impallidire il più anatemico dei conflitti di interesse – quasi 300 esperti, (100 in più del numero dei senatori previsto dalla legge di riforma istituzionale) divisi in 8 diverse task force in costante aumento che prenderanno decisioni al posto di Ministri e parlamentari. Ciò che decideranno non potremo saperlo poiché hanno l’obbligo della riservatezza. Alla guida di tutto ciò un dream team di un top manager scelto da chi ha guidato, con più ombre che luci, la “fase 1”.

Insomma, lo scenario è quanto di più lontano dalla democrazia e quanto di più vicino al democratismo si possa pensare: affida la governance a tecnici calati dall’alto che finora – a differenza di medici, infermieri, forze dell’ordine, operatori della Protezione Civile, religiosi e volontari – hanno visto l’emergenza dalle loro camerette regalando, nel migliore dei casi, qualche apparizione in webcam. La machiavelliana realtà effettuale, dunque, ci porta a considerare la situazione per quella che è non per quella che dovrebbe essere ponendoci una domanda: può nel 2020 una costellazione di ideali per definizione democratici, trasformarsi in un rigido sistema di coercizione? Guardatevi intorno e rispondetevi. Ma a bassa voce. Non si sa mai…

FONTE:http://www.ilpensieroforte.it/italia/3374-la-fase-2-ovvero-il-de-profundis

VIRUS SALVA-GOVERNO E AMMAZZA-NAZIONE

Non sto a ripetere quanto ho scritto al manifestarsi di questa maledetta epidemia, al primo (che qualcuno dice non essere affatto il primo) apparire del “Coronavirus”: “Virus salvagoverno”. Un altro degli eventi, il più grave, il più pauroso, di quelli che si sono succeduti proprio mentre questo Governo sembrava sull’orlo del precipizio della sua dissoluzione e caduta.Potremmo chiamarlo “virus salvagoverno”, ma ripugna giuocare con le parole e, sia pure per giuoco, dire che questa gente non fa che salvare qualcuno. Ma se, bene o male, per nostra gioia o per nostra disgrazia, ancora una volta un evento sciagurato prolunga la vita del Governo, ciò che oramai sostituisce l’orrore e la paura della pestilenza, sono le “misure antivirus”.

Dopo una prima scrollata di spalle che nel nostro Paese pare sia il meglio da fare quando i nostri Governanti ci annunziano taluna delle loro “prodezze”, per le “misure del Governo” per questa o quella evenienza, sono bastati un attimo di riflessione per essere presi da un’angoscia, da una forte perplessità, più grandi di quelle che di solito ci impongono già la prospettiva di una morte misteriosa per un male indecifrabile. Il terrore vero, si sarebbe portati a dire, è quello che da qualche giorno ci perseguita con avvisi, intimazioni, suggerimenti che televisione, giornali, manifesti ci propinano: le “misure antivirus” del Governo ConteAnticonvivenza umana, antinazione, antisocialità. Persino antifamiglia.

Leggete: vi spaventerete all’idea di tutto ciò che vi circonda e costituisce il vostro ambiente, il complesso delle vostre necessità essenziali quotidiane, mandato in rovina dai “suggerimenti” governativi.

Misure antivirus. Pensate un momento ad un’Italia che le prende proprio sul serio. Altro che pestilenza. Disgregazione generale. E tutto che si ferma, come il cuore di chi passa a “miglior vita”.

Avrei voluto fare qualche esempio, cercando di ragionare e far ragionare. Sono stato preso da una sorta di sconfortante depressione che non ho mai provato di fronte all’evenienza della mia fine.

Scusate amici. Ma ciò che posso suggerirvi è solo di seguire pure le ingiunzioni ed i consigli, ma di non insistere troppo a cercare di immaginare un’Italia che su suggerimento del Governo pretenda veramente di seguire puntualmente non so dire se, più esattamente, intimazioni o suggerimenti. Vorrei non capire. Ed aiutarvi a non capire. Ma morire di antivirus è la fine che proprio ritengo di non meritare. E che non meritate. Anche se, sia detto senza offesa, magari, avete votato 5 Stelle.

FONTE:http://opinione.it/editoriali/2020/03/11/mauro-mellini_coronavirus-misure-governo-conte-disgregazione-m5s/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Fermare il tracciamento automatico: davanti ai rischi, bisogna poter scegliere

È notizia recente che da domani, 28 aprile, un framework di tracciamento dei contatti verrà integrato automaticamente nell’aggiornamento del sistema operativo per iPhone e come update ai servizi di Google Play su Android.

Alla lunga serie di soppressioni di diritti costituzionali a cui assistiamo in questi giorni, potrebbe aggiungersi a breve l’obbligo di rinuncia al proprio diritto alla riservatezza. Se si dimostrassero fondate, infatti, le voci dei politici che parlano del download dell’app “Immuni” come condizione per tornare ad accedere alle libertà individuali, la cessione dei nostri dati personali sarebbe tutt’altra che volontaria.

Al di là degli enormi dubbi sul funzionamento e sull’utilità di una simile misura, è impossibile non considerare i rischi che comporterebbe mettere nelle mani delle attuali istituzioni politiche, che nessuno può controllare, la cui indipendenza è spesso da dimostrare, e che hanno dato spesso prova di palese inadeguatezza, dei dati estremamente sensibili sulla nostra salute e sui nostri spostamenti.

Tutto ciò nella totale ignoranza di quali dati dovrebbero venire raccolti, di che uso ne verrà fatto, di quali soggetti saranno preposti a trattarli e con quali garanzie di sicurezza, riuscendo difficile immaginare come il Garante della privacy possa vigilare adeguatamente sull’operato del governo.

Come M3V riteniamo illegittima qualunque imposizione che comporti un rischio per l’individuo che deve adottarla. Migliaia di persone, negli scorsi tre anni, hanno gridato nelle piazze italiane, ignorati dai media e dalla politica che “se c’è un rischio dev’esserci una scelta”.

In nome di un legittimo principio di precauzione e in attesa dei doverosi chiarimenti sul tema, coloro che desiderino astenersi dall’installazione del framework, hanno la possibilità di non aggiornare più il sistema operativo dei propri cellulari e tablet, disattivandone l’aggiornamento automatico.

Il percorso per farlo è:

  • Per Apple: Impostazioni>Generali>Aggiornamento software>Aggiornamenti automatici: Selezionare “no”
  • Per Android: Impostazioni>Aggiornamenti Software>Scarica Aggiornamenti automaticamente: disattivare

In risposta a questa politica che impone sempre più rischi e nega sempre più libertà, deve sorgere la politica nuova di una nuova società, che rispetti le persone e restituisca ai cittadini tutti i diritti, a partire da quelli costituzionali.

Non a caso il prossimo passo del Movimento 3V sarà una grande manifestazione nazionale, tema “Salviamo la costituzione”, a cui siamo tutti invitati per ribadire la nostra esigenza di tornare ad essere uomini e donne liberi.

Movimento 3V – Libertà di scelta

FONTE:https://www.vaccinivogliamoverita.it/2020/04/27/fermare-tracciamento-automatico-davanti-a-rischi-bisogna-poter-scegliere/

 

 

 

STORIA

Annibale, colui che voleva distruggere Roma

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