RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 22 GIUGNO 2020

https://www.ilgiornale.it/news/qui-siamo-morte-civile-1870119.html

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

22 GIUGNO 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

L’Italia è una nazione pietrificata dalla universale passività.

Ha bisogno di rivolte popolari per infrangerla e rimodellarla 

GUIDO CERONETTI, L’occhio del barbagianni, Adelphi, 2014, pag. 64

 

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La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.

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SOMMARIO

La lotta al contante e il “voucher”
L’affaire Fremm e l’ombra della Francia
La Germania riafferma la propria sovranità sull’Unione Europea
Ecco come Zingaretti scavalca il M5S su Egitto e Fremm (Parigi gode)
Tutti i crimini di Bill Gates: 496.000 bambini paralizzati in India ed altro ancora
Quelo, Greta e la dottrina neoliberale della verità multipla
IL PARLAMENTO EUROPEO CREA UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA. SULLA POVERTA’?
ESPERTI ONU:“ANNESSIONI IN CISGIORDANIA SONO APARTHEID DA 21 ESIMO SECOLO”
“Qui siamo alla morte civile”
Mediobanca, Borsa, Open Fiber. Il Copasir e l’intelligence economica. Parla Volpi
Naomi Klein: il Coronavirus è il disastro perfetto per il “capitalismo dei disastri”
Strage di Bologna: la verità in documenti ancora segreti?
Il Mes è in crisi, e intanto l’Europa smentisce l’assenza di condizioni e sorveglianza
Il Virus, opportunità Tutti-Frutti
IL FENOMENO DELLE FAKE NEWS
Sbarcano migranti Covid-positivi ma il Viminale smantella il Dl Sicurezza
Bomba pensioni sul governo: possono cambiare gli assegni
Ecco come un lavoro stabile può diventare precario senza che il lavoratore se ne accorga
I cavi sottomarini di Facebook per l’Africa
L’uomo artificiale
I rappresentanti del Terzo Stato si riuniscono a Versailles – 20 giugno 1789

 

 

EDITORIALE

La lotta al contante e il “voucher”

Manlio Lo Presti – 22 giugno 2020

Sono trascorsi oltre tre mesi dall’apertura dei rastrellamenti degli italici con la scusa della presunte “epidemia”. Il governo in carico non ha preso alcuna decisione per limitare i danni della carcerazione di decine di milioni di cittadini nelle loro case quando è stato dichiarato che i morti sono stati in gran parte nelle strutture protette (ospedali, case di riposo, ospizi-lager).

L’inutilità del confinamento di massa è stato dichiarato da vari medici ed esperti che sono stati minacciati, irrisi, licenziati, isolati e anche oscurati dalla informazione prevalente allineata con il ridetto governo. La tecnica di accerchiamento e spegnimento dei dissidenti è in atto in tutta l’Europa. Il sito di Huffingtonpost ha comunicato che in Germania è stata internata in un manicomio di Mannheim una avvocatessa “non-allineata-con-il-pensiero-dominante” (1). Lo stesso è accaduto a Ravanusa in Italia. Un ragazzo è stato internato con eccezionale rapidità (che non hanno MAI per controllare il fenomeno dei clandestini perché sarebbe razzismo) (2-3-4-5-6).

NESSUNA RETE TELEVISIVA E NESSUN PERIODICO STAMPATO HA RIPORTATO LA NOTIZIA, ad eccezione delle strutture indipendenti e dei giornali autofinanziati. SIAMO AFFOGATO DA UNA ENORME MELASSA COLLOSA DI INFORMAZIONI IRRILEVANTI E FUORVIANTI…

Assistiamo ad un aumento vertiginoso del ricorso all’internamento forzato (tso) avvitando il Paese in una spirale infernale di:

  1. -paura per diffusione di informazioni contraddittorie mitragliate ininterrottamente da reti disinformative di terra di mare e di aria. Un vero e proprio procurato e ripetuto allarme di cui qualcuno dovrà rispondere in sede penale quanto prima;
  2. -richiesta di presunti-salvifici interventi energici da parte della popolazione;
  3. -paura aumentata da martellamento mediatico e proclami governativi di stampo terroristico;
  4. -rastrellamenti di massa quartiere per quartiere, casa per casa;
  5. -utilizzo di sistemi di tracciamento elettronico, braccialetti, droni, telecamere con tracciamento facciale, spiate dei vicini, filmatini dei cellulari realizzati dagli spontanei UTILI IDIOTI (nessuna di questi mezzi sono mai stati usati per gestire l’immigrazione selvaggia perché sarebbe RAZZISMO);
  6. Prossime legiferazioni-fate-presto per imporre vaccinazioni obbligatorie di massa ai cittadini con età superiore ai 65  anni. Lo scopo è la uccisione di oltre la metà della popolazione anziana, oramai considerata SPAZZATURA dal neoliberismo neomaccartista globalista commerciale utilitaristico. Gli anziani sono un costo ospedaliero, percepiscono pensioni, ecc. Gli immigrati invece – a detta di una ex altissima esponente del Parlamento – sono RISORSE, fanno guadagnare cifre immense a tutta l’industria dell’accoglienza, della carità setolosa (Comunità-piovra molto famose e onnipresenti, case-famiglia, vaticano, coop, 26 gruppi politici, 8 mafie, ONG guidate da esponenti del mondo industriale finanziario italiano e mondiale)

Il clamore causato da questo delirio totalitario (7) serve a coprire le operazioni per realizzare fino in fondo il totalitarismo finanziario contro la popolazione contro la quale si sta attuando un lento processo di espropriazione inserendo lentamente il ragionamento che “LA PROPRIETÀ NON E’ PIÙ UN DIRITTO ASSOLUTO” (8).

L’EROSIONE DEL PRINCIPIO DI PROPRIETÀ INDIVIDUALE STA FAVORENDO IL PROGRESSIVO SPOSTAMENTO VERSO IL PRINCIPIO DEL CONTROLLO DELLA RICCHEZZA, DELLE STRUTTURE ECONOMICHE E SOPRATTUTTO FINANZIARIE. Questa linea di tendenza è  conseguente alla progressiva  rimozione di qualsiasi regole che ostacola l’eliminazione delle differenze di genere. Ii una società liquida, non hanno più senso regolamentazioni giuridiche strutturate sulle differenze sessuali ed economiche. Abbiamo la diffusione e l’imposizione della figura dell’umano-liquido.

TUTTO CIÒ PREMESSO

offre una chiave di lettura dei motivi della diffusione ed affermazione della

  1. lotta al contante – antiriciclaggio – GDPR – dossieraggio elettronico di massa
  2. distribuzione dello strumento del VOUCHER, per il controllo del contante anche con questo mezzo impedendo il diritto al rimborso di una prestazione contrattuale divenuta impossibile. Un diritto tutelato da tutti gli ordinamenti democratici del mondo!

Per tutti coloro che non hanno prestato la necessaria attenzione, la diffusione del VOUCHER DI MASSA è iniziata con il mancato rimborso del concerto di McCartney . Ora, questa pratica sarà diffusa come ulteriore controllo ed espropriazione di fatto del contante!

L’operazione di spossessamento è iniziata con la diffusione del lavoro indotto gratuito  con il quale le aziende di beni e servizi scaricano sui compratori i costi dell’assistenza e della consulenza (es: il tempo che gli acquirenti spendono per montare gli oggetti acquistati; il tempo che gli utenti spendono per comprare biglietti e prenotazioni). Nel cosiddetto minor costo dell’oggetto o servizio comprato gli acquirenti non aggiungono IL COSTO ORARIO DEL TEMPO PERSONALE SPESO PER  PROCESSI DI ACQUISTO NON SEMPRE FACILI E SPESSO LUNGHI.

Molte voci autorevoli sostengono che l’eliminazione del contante non abbatterà il riciclaggio di denaro sporco che in gran parte è “lavorato” e lavato da centrali bancarie e reti finanziarie mondiali fuori controllo e che operano indisturbate, in zone franche come Hong Kong, Singapore, Isolette del Pacifico e in nazioni famose come l’Olanda, Lussemburgo, Liechtenstein, Svizzera, San Marino, ecc. Il controllo futuro dei flussi globali di offerta di beni e servizi sarà assicurato dalle tecnologie BLOCKCHAIN, 5G, BITCOIN.

P.Q.M.

Possiamo comprendere che i tumulti in corso a Hong Kong e una serie di fusioni e fallimenti a catena nel mondo della finanza sono motivati dalla battaglia in atto fra due fazioni planetarie (USA – Cina) per il controllo dei flussi piuttosto che la difesa della loro proprietà legale!

All’interno di questa “revisione” e eliminazione del concetto di proprietà individuale di beni e di servizi che ha un senso l’affermazione di Mario Monti per il quale avere case di proprietà è un ostacolo alla mobilità totale del lavoratore isolato e senza diritti sociali.

Sempre in questo quadro, ha un senso  la diffusione del lavoro a distanza svolto in casa. Una sorta di immenso caporalato elettronico che avrà come immediata conseguenza la eliminazione della vita associativa delle aziende, nelle strutture pubbliche, ecc. Avremo un mondo di individui isolati, senza la protezione dell’associazionismo sindacale, né una tutela dei diritti di categoria. Avremo un mondo liquido senza garanzie prefigurato dal sociologo Zygmunt Bauman con persone ricattate e soggette alla prepotenza unilaterale dei colossi planetari committenti.

Ecco perché possiamo tranquillamente dare un nome allo sconquasso socioeconomico attuale in quasi tutto il mondo con la scossa demolitrice della cosiddetta epidemia in tutto il mondo: si chiama SHOCK ECONOMY

Ne riparleremo molto presto … ma si discuterà di proprietà virtuale dei beni 

 

 

NOTE

1)https://www.huffingtonpost.it/entry/avvocatessa-tedesca-critica-la-quarantena-la-portano-in-un-reparto-psichiatrico_it_5e96bab0c5b6ead14004d17d

2)https://www.inuovivespri.it/2020/05/07/ravanusa-lincredibile-storia-di-un-giovane-che-dissente-sottoposto-a-tso/

3)https://www.secoloditalia.it/2020/05/lse-dissenti-sei-matto-la-storia-di-dario-musso-ricoverato-da-4-giorni-in-psichiatria-sedato-e-legato-video/

4) https://www.radioradio.it/2020/05/dario-musso-la-pandemia-non-esiste-e-vengono-internati-dal-regime/  

5)https://enricaperucchietti.blog/2020/05/13/caso-musso-tso-la-nuova-arma-contro-il-dissenso/

6)http://www.lavocedilucca.it/post_esp.asp?id=79200&arg=17

7)https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/paura-e-delirio-in-italia/

8)https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-ii/capo-i/art832.html

 

 

 

IN EVIDENZA

L’affaire Fremm e l’ombra della Francia

Da una parte l’Italia, dall’altra l’Egitto. Al centro due navi e un omicidio – quello di Giulio Regeni – mai risolto. Nell’ombra, invece, si staglia un terzo incomodo: la Francia.

Si può descrivere così, con questa immagine estremamente semplice, quello che sta avvenendo tra Roma e il Cairo per la vendita delle fregate Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi. Immagine semplice che cerca però di sintetizzare un ben più complesso e articolato negoziato in cui le due Fremm commissionate dalla Marina Militare italiana a Fincantieri rappresentano solo una enorme punta dell’iceberg.

L’accordo tra Italia ed Egitto sembra definito in ogni parte e il semaforo verde è arrivato sia da parte dei partiti politici che compongono la maggioranza, sia da parte del consiglio dei ministri, che ha già detto di aver dato l’ok alla vendita delle due fregate. Vendita non certo a cuor leggero visto che la Marina resta senza due fregate Fremm che potevano essere molto importanti per la flotta italiana. Ma le conferme arrivate da Fincantieri di una prossima consegna di due navi più moderne, meglio equipaggiate e in dotazione in meno di quattro anni rende meno difficile da accettare.

Il problema resta la questione Regeni. Secondo gli avversari dell’accordo, non può esserci un patto di naturale militare senza la verità sul brutale omicidio del ricercatore italiano in Egitto. E a ribadirlo è stato non una personalità qualunque, ma Nicola Zingaretti, segretario del Partito democratico e quindi leader del secondo partito di maggioranza. Non certo una personalità secondaria nel panorama del già debole governo giallorosso. Il segretario dem ha scritto una lettera a Repubblica con cui dichiara che senza un processo per i cinque agenti egiziani indagati per il sequestro del ricercatore non può esserci alcun passo avanti nei rapporti tra i due Paesi. Parole dure che arrivano non a caso nel momento di una possibile svolta nelle relazioni bilaterali tra i due governi e che sembra far tornare le lancette dell’orologio indietro di qualche anno, quando addirittura l’Italia rinunciò ad avere un ambasciatore nella capitale egiziana come protesta per il trattamento riservato al dossier Regeni.

Mossa dettata dall’emotività e dalla doverosa condanna nei confronti della morte misteriosa di un nostro connazionale, ma che è costata parecchio all’Italia in termini di interessi strategici. Costi che sono invece tramutati in affari (e anche grandi) per altri nostri competitor internazionali, in particolare per la Francia, che ha ovviamente sfruttato a pieno titolo le frizioni tra Italia ed Egitto per provare a completare l’opera di inserimento di Parigi nel mercato egiziano. A partire da quello della difesa, strumento strategico fondamentale per Macron e i suoi predecessori e che è da sempre uno dei pilastri della diplomazia economica e politica dell’Eliseo.

Ma ecco che nello schema francese si rompe qualcosa. Il Cairo, dopo aver acquistato già una fregata Fremm dalla Francia, decide che è arrivato il momento di cambiare. Quella classe di fregate piace eccome al governo di Abdel Fattah al Sisi, ma piace ancora di più la versione italiana. Iniziano le trattative e lentamente si raggiunge l’intesa. Ed è chiaro che per Parigi è uno schiaffo non di poco conto. Non solo perché, come detto, per la Francia è imprescindibile il ruolo dell’industria militare, ma anche perché le navi le aveva già vendute all’Egitto (due sono anche navi d’assalto anfibie in precedenza indirizzate alla Russia ma negate a Mosca per via dell’annessione della Crimea e la condanna della comunità occidentale). Se a questo si aggiunge il fatto che il vantaggio va all’Italia, il quadro è completo e si capisce perché anche i media francesi abbiano iniziato a trattare la questione come di un ulteriore schiaffo egiziano verso la Francia. Lo spiega bene Formiche, che descrive la faccenda riportando le parole de La Tribune, quotidiano francese da sempre molto attento alle dinamiche belliche e che parla di “ironia del destino” e di vendite tra i due Paesi che sembrano “completamente sepolte”.

Vendite che però in Italia qualcuno sembra intenzionato a dissotterrare, specialmente a sinistra. E il governo rischia di traballare su un tema fondamentale, specificamente perché nel frattempo la Turchia si sta armando, in Libia siamo tagliati fuori e Il Cairo può rappresentare un partner imprescindibile, dal gas al fronte di Tripoli. I tentennamenti non piacciono quando un accordo è ormai concluso  e il pericolo esiste. Specie perché l’esecutivo Conte si sente pressato da sinistra. Zingaretti chiede chiarezza, ma qualcuno al Cairo potrebbe leggerlo come un attacco. Luigi Di Maioprossimo a un viaggio ad Ankara, scrive un post su Facebook in cui ricorda di aver inviato una lettera al ministro degli Esteri egiziano attendendosi un “segnale di svolta sul caso di Giulio Regeni”, “perché il tempo dell’attesa è finito”. Un post che sembra contraddire l’accordo in consiglio dei ministri, come fa notare anche Paolo Grimoldi della Lega che fa notare il cambio di posizione dopo la rivolta della base grillina.

Un avvertimento che non tiene conto di due fattori. Il primo è l’importanza del ruolo del Regno Unito, in cui Regeni lavorava per conto dell’università di Cambridge, e di cui nessuno chiede ancora contezza. Ma soprattutto il rischio di un raffreddamento che possa riportare in auge il nostro rivale parigino, che ora attende con ansia che Roma e Il Cairo rompano su un tema così delicato e che significherebbe perdere un partner per quanto riguarda il gas, l’industria bellica e la Libia. Come ricorda Portale Difesa, “Ankara ha proiettato in Libia, ovvero nel Mediterraneo Centrale, oltre 10.000 miliziani siriani filo-turchi, 300-400 consiglieri (appartenenti in particolare forze speciali ed intelligence), decine di UAV armati, sistemi veicolari KORAL per la guerra elettronica ed una fregata a dare copertura contro gli attacchi degli UAV emiratini WING LOONG operanti in supporto alle forze di Haftar”. Se a questo si aggiunge una prossima base militare (forse due) e un inserimento nel mercato del petrolio con l’asse con Tripoli, avere un riequilibrio delle forze in campo potrebbe essere essenziale. Ed è meglio che sia fatto con mezzi prodotti in Italia e non in Francia… sempre che le quinte colonne pro Macron non diano spallate molto pericolose. Del resto non è un mistero che in alcuni settori della sinistra italiana si guardi più all’interesse esterno che a quello interno. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

FONTE:https://it.insideover.com/politica/fremm-egitto-italia-macron.html

 

 

FONTE:https://it.gatestoneinstitute.org/16146/germania-propria-sovranita

Ecco come Zingaretti scavalca il M5S su Egitto e Fremm (Parigi gode)

Ecco come Zingaretti scavalca il M5S su Egitto e Fremm (Parigi gode)

Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, scrive a Repubblica riaprendo la partita della vendita delle due fregate Fremm all’Egitto in nome della verità per Giulio Regeni. Solo poche ore prima i media francesi lamentavano i successi italiani con il Cairo

A febbraio era “un nuovo schiaffo dall’Egitto”. Pochi giorni fa è diventato “L’Italia in nirvana con l’Egitto, la Francia nell’oblio”. Il settimanale economico francese La Tribune non ci sta a guardare Parigi lasciare a Roma gli affari con il Cairo. Tutto ruota attorno alla vendita al Paese guidato da Abdel Fattah Al Sisi di due fregate Fremm di Fincantieri. 

A febbraio, quando l’affare venne alla luce, La Tribune sottolineava, come ricorda Agenzia Nova, che il gruppo italiano partner di Naval Group per l’operazione gode del sostegno di Cassa depositi e prestiti, che sarebbe pronto a concedere un prestito per l’esportazione. Il quotidiano ricorda che in occasione di una conferenza stampa congiunta con l’omologo egiziano Abdel Fatah Al Sisi, il presidente Emmanuel Macron ha dato una “lezione di morale” sul rispetto dei diritti umani al suo interlocutore. Un “errore fatale” che adesso Parigi paga caro. Il Cairo ha messo fine alla relazione “privilegiata” che aveva aperto con la Francia nel 2015 attraverso l’allora ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian, nel settore della vendita degli armamenti. Gli egiziani potrebbero acquistare degli F-35 al posto dei 12 caccia Rafale, giudicati troppo cari. Anche nel settore degli elicotteri, il Cairo potrebbe rivolgersi ad altri concorrenti, ricordava La Tribune citando l’intesa con Leonardo Helicopters per una ventina di AW149. Ma non è tutto. Il settimanale evidenziava come l’Italia abbia cercato per diversi anni di vendere navi in Egitto. In particolare Fincantieri aveva offerto al Cairo le Fremm. La marina egiziana aveva già acquisito una Fremm francese nel 2015, l’ex Normandia che è diventata la Tahya Misr. Naval Group, che ha venduto anche quattro corvette di tipo Gowind all’Egitto, sperava di ricevere un ordine dalla Marina egiziana di una seconda fregata e altre due corvette. Tuttavia, questi contratti non si sono materializzati. Il Cairo, dopo aver ordinato quattro sottomarini da Tkms, ha nuovamente scelto l’opzione tedesca per le nuove fregate leggere. La scorsa primavera, Berlino ha approvato la vendita in Egitto di sei unità Meko A-200, un modello già in servizio in Sudafrica. 

La Tribune è tornato sulla questione pochi giorni fa, ripercorrendo tutta la storia e sentenziando: “La Francia è stata completamente esclusa dal mercato degli armamenti egiziani a beneficio dell’Italia e della Germania in particolare. Le nuove vendite di Rafale e corvette Gowind sembrano essere definitivamente sepolte”. Il settimanale evidenzia “l’ironia del destino” per la Francia: l’affare delle Fremm si concretizzerà “mentre il caso tra il Cairo e Roma relativo allo studente italiano Giulio Regeni, trovato morto, atrocemente mutilato e torturato, non è mai stato risolto nonostante le richieste dell’Italia”. Una beffa, ripensando al 2019, a quando cioè la Francia “ha giocato la carta dei diritti umani”. L’Italia, invece, “ha preferito nel frattempo la realpolitik”, nota La Tribune ricordando anche che a unire Italia ed Egitto ci sono questioni energetiche (e la tela che tesse Eni).

Affare fatto? Forse no. E a Parigi starebbero iniziando a stropicciarsi gli occhi. Infatti, dopo le molte voci contrarie levatesi negli ultimi giorni, il Partito democratico sta cercando di mettere pressione sul premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (da sinistra, per non lasciare ulteriori spazi ad Alessandro Di Battista; su questo dossier ma non soltanto). Il via libera definitivo alla cessione che spetta però all’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, che fa capo alla Farnesina. “Con una lettera a Repubblica”, riporta oggi il quotidiano diretto da Maurizio Molinari, “il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti riapre la partita della vendita delle due fregate Fremm all’Egitto. Senza la certezza di un processo per i cinque agenti indagati per il sequestro di Giulio Regeni, attraverso la loro ‘elezione di domicilio’, secondo Zingaretti, non si possono immaginare passi avanti nei ‘rapporti bilaterali’ con l’Egitto”.

FONTE:https://formiche.net/2020/06/egitto-regeni-zingaretti-fremm/?fbclid=IwAR1H9u1vBvagR0ElkZbob49gf5hYbJqgeeU0pAOrnK-9T4TZ7FjuU7l8Tic

 

 

 

Tutti i crimini di Bill Gates: 496.000 bambini paralizzati in India ed altro ancora

Bill Gates crimini contro l'umanità

I medici indiani danno la colpa a Gates per una devastante epidemia di poliomielite da vaccino che ha paralizzato 496.000 bambini tra il 2000 e il 2017 [scarica pdf].
Nel 2017, il governo indiano ha richiamato il regime vaccinale di Gates e sfrattato Gates. I tassi di paralisi della poliomielite sono scesi precipitosamente.

di Llewellyn H. Rockwell, Jr.

“I vaccini, per Bill Gates, sono una filantropia strategica che alimenta le sue numerose attività legate al vaccino (inclusa l’ambizione di Microsoft di controllare un’impresa globale di identificazione dei vac) e gli danno il controllo dittatoriale sulla politica sanitaria globale – la punta di diamante del neoimperialismo aziendale.

IL “FILANTROPO” KILL BILL GATES.
L’ossessione di Gates per i vaccini sembra alimentata dalla convinzione messianica di essere ordinato a salvare il mondo con la tecnologia e la volontà divina di sperimentare la vita di esseri umani minori.
Promettendo di sradicare la polio con $ 1,2 miliardi, Gates ha preso il controllo del National Advisory Board (NAB) dell’India e ha imposto 50 vaccini contro la polio (da 5) a ogni bambino prima dei 5 anni.

I medici indiani danno la colpa alla campagna Gates per una devastante epidemia di poliomielite da vaccino che ha paralizzato 496.000 bambini tra il 2000 e il 2017 (download pdf).
Nel 2017, il governo indiano ha richiamato il regime vaccinale di Gates e ha sfrattato Gates e i suoi compari dal NAB. I tassi di paralisi della poliomielite sono scesi precipitosamente.

Sfrattato? Perché non arrestato e processato in un tribunale per i crimini contro l’umanità?

Il seguente hashtag intanto è di tendenza sui social media: #jailBillGates
Nel 2017, l’Organizzazione mondiale della sanità ha ammesso a malincuore che l’esplosione globale della polio è prevalentemente una varietà di vaccini, il che significa che proviene dal programma sui vaccini di Gates.Le epidemie più spaventose in Congo, nelle Filippine e in Afghanistan sono tutte legate ai vaccini di Gates. Entro il 2018, ¾ dei casi globali di polio provenivano dai vaccini di Gates.
Nel 2014, la Fondazione Gates ha finanziato test di vaccini sperimentali per HPV, sviluppati da GSK e Merck, su 23.000 ragazze in remote province indiane.

Circa 1.200 hanno sofferto di gravi effetti collaterali, inclusi disturbi autoimmuni e della fertilità.
Sette sono morti. Le indagini del governo indiano hanno accusato i ricercatori finanziati da Gates di aver commesso violazioni etiche pervasive: spingendo le ragazze vulnerabili del villaggio nel processo, opprimendo i genitori, falsificando i moduli di consenso e rifiutando le cure mediche alle ragazze ferite.

Il caso è ora nelle mani della Corte suprema del paese.
Nel 2010, la Gates Foundation ha finanziato uno studio sul vaccino sperimentale contro la malaria della GSK, uccidendo 151 bambini africani e causando gravi effetti avversi tra cui paralisi, convulsioni e convulsioni febbrili a 1.048 dei 5.049 bambini.

Durante la campagna MenAfriVac di Gates 2002 nell’Africa subsahariana, gli agenti di Gates hanno vaccinato con la forza migliaia di bambini africani contro la meningite.
Tra 50-500 bambini hanno sviluppato paralisi.
I giornali sudafricani si sono lamentati: “Siamo cavie per i produttori di medicine!!”.
L’ex economista senior di Nelson Mandela, il professor Patrick Bond, descrive le pratiche filantropiche di Gates come “spietate e immorali “.

Nel 2010, Gates ha impegnato 10 miliardi di dollari con l’OMS promettendo di ridurre la popolazione, in parte, attraverso nuovi vaccini. Un mese dopo Gates ha dichiarato a Ted Talk che i nuovi vaccini “potrebbero ridurre la popolazione”.
Nel 2014, la Catholic Doctors Association del Kenya ha accusato l’OMS di aver sterilizzato chimicamente milioni di donne keniote non disposte con una fasulla campagna di vaccinazione contro il “tetano”.

Laboratori indipendenti hanno trovato la formula di sterilità in ogni vaccino testato. Dopo aver negato le accuse, l’OMS ha finalmente ammesso di aver sviluppato i vaccini per la sterilità per oltre un decennio.

Accuse simili arrivarono dalla Tanzania, dal Nicaragua, dal Messico e dalle Filippine.

Uno studio del 2017 (Morgensen et.Al.2017) ha mostrato che il famoso DTP dell’OMS sta uccidendo più africani della malattia che pretende di prevenire. Le ragazze vaccinate hanno sofferto 10 volte il tasso di mortalità dei bambini non vaccinati.
Gates e l’OMS si sono rifiutati di confermare il vaccino letale che l’OMS impone ogni anno a milioni di bambini africani.

I sostenitori della salute pubblica globale in tutto il mondo accusano Gates di dirottare l’agenda dell’OMS dai progetti che hanno dimostrato di contenere le malattie infettive; acqua pulita, igiene, alimentazione e sviluppo economico.
Dicono che abbia deviato le risorse dell’agenzia per servire il suo scopo malefico e personale per cui la buona salute arriva solo in una siringa.

Oltre a usare la sua filantropia per controllare l’OMS, l’UNICEF, il GAVI e il PATH, Gates finanzia aziende farmaceutiche private che producono vaccini e una vasta rete di gruppi di facciata dell’industria farmaceutica che trasmettono propaganda ingannevole, sviluppano studi fraudolenti, conducono operazioni di sorveglianza e psicologiche contro esitazione del vaccino e uso del potere e dei soldi di Gates per mettere a tacere il dissenso e costringere alla conformità.

In queste recenti apparizioni ininterrotte di Pharmedia, Gates sembra felice che la crisi di Covid-19 gli darà l’opportunità di forzare i suoi programmi di vaccinazione del terzo mondo sui bambini americani ”.

Riferimenti: ncbi.nlm.nih.govCorrelation between Non-Polio Acute Flaccid Paralysis Rates with Pulse Polio Frequency in India [.pdf]

Di Marcello Buglione

FONTE:https://www.jedanews.com/tutti-i-crimini-di-bill-gates-496-000-bambini-paralizzati-in-india-ed-altro-ancora/

 

 

 

Quelo, Greta e la dottrina neoliberale della verità multipla

22 gennaio, 2020

Propongo di seguito, leggermente editato, un lungo articolo dell’amico Pier Paolo Dal Monte apparso alcuni giorni fa sul blog Frontiere. L’analisi – finora unica nel suo genere, salvo mie sviste – ha il pregio di collocare l’ultima moda emergenziale del «clima» nella più ampia cornice metodologica dettata dai modelli produttivi e sociali che oggi dominano senza alternative, evidenziando nelle contraddizioni e nelle omissioni del dibattito in corso uno specchio fedele della crisi di quei modelli e della violenza destinata a scaturirne.

Salvo pochi dettagli (ad esempio sulla praticabilità di relegare il modello capitalistico alle attività minori, o sulla funzione di «negazionismo» che distinguerei più nettamente dall’attività di gatekeeping, pur servendo entrambe i medesimi scopi) condivido profondamente la tesi esposta e saluto nel lavoro di Pier Paolo un tentativo molto ben riuscito di dipanare e documentare il «filo rosso» spesso intuito negli articoli e nei commenti di questo blog.


Sovrastruttura e sottostante

«C’è grossa crisi», direbbe Quelo, quella sorta di parodistica crasi di santone e telepredicatore che fu interpretato da Corrado Guzzanti.

La crisi, è l’«ospite inquietante» dei nostri tempi, accompagna sempre qualunque presente, con un montante subentrare di tante crisi: Leconomia, Lecologia, Lademografia, Lemigrazioni, Lapovertà, Lepidemie, Linflazione, Ladeflazione… un incalzare di crisi che riduce i poveri esseri umani come tanti pugili suonati che, incapaci di reagire, ricevono tutti i colpi che i mezzi di informazione riversano sulle loro povere menti.

Ovviamente, ora non possiamo parlare di tutte le crisi portate alla ribalta dall’inesauribile cornucopia dei mezzi di comunicazione; ci concentreremo, pertanto, su una sola di esse che, periodicamente (e ora, anche, prepotentemente), viene portata all’attenzione dell’opinione pubblica, ovvero quella che viene definita «crisi climatica» o «riscaldamento globale» che dir si voglia.

Questa volta, per creare sgomento nelle vittime della mitologia mediatica su questo «fantasma che si aggira per il mondo», non è stato utilizzato uno scienziato dal linguaggio algido e un po’ astruso, non un politicante imbolsito alla Al Gore, o un attore Hollywoodiano al guinzaglio (che, non si sa mai, avrebbe potuto essere fotografato alla guida di una Lamborghini o a bordo di un jet privato). No, niente di tutto questo. Questa volta gli sceneggiatori delle unità di creazione delle crisi si sono superati e hanno tirato fuori dal cilindro un personaggetto ideale per emozionare le infantilizzate masse postmoderne: una povera ragazzina iposviluppata e autistica (seppur di basso grado) che sostiene di percepire (non si sa con quale organo di senso) l’aumento di CO2 nell’atmosfera (che si calcola in parti per milione). Insomma, una testimonial che ha la presenza scenica di Topo Gigio e l’apoditticità predittiva del Mago Otelma la quale, però, parla ai «potenti della terra».

Tanto di cappello agli sceneggiatori: con ingredienti così scarsi, sono riusciti a creare un manicaretto mediatico di portata mondiale, che ha dato origine ad un «movimento» di pari portata, il cosiddetto Friday for Future (insomma, un week end lungo), spontaneo come può essere la disinvoltura mostrata da chi cerca di passare una frontiera con una valigia di cocaina nel bagagliaio. E così è stata creata una nuova forma di «Fate presto!» di portata globale, un cosmico «vincolo esterno», uno stato di eccezione planetario al quale subordinare le politiche di quello che un tempo si chiamava «occidente».

Per la verità, questa «emergenza» non è poi così emergente come vorrebbero far credere i registi dell’odierna intemperie, visto che il fenomeno è studiato fin dagli anni ’50, quando si iniziò a parlare dell’impatto dell’aumento della CO2 su base antropogenica [1]. Il fenomeno divenne noto all’opinione pubblica mondiale nel 1988, in occasione di un’audizione al Congresso degli Stati Uniti di James Hansen, climatologo della Columbia University, che lanciò un allarme circa il rischio di riscaldamento globale dovuto, appunto, all’aumento dei «gas serra». Nello stesso anno venne istituito dall’ONU l’IPCC. A tale allarme fece rapidamente seguito la risposta “negazionista” dei giganti dell’industria energetica (ai quali si unirono svariati settori merceologici), che diedero vita ad un centro studi, la Global Climate Coalition (1989-2001),[2] col compito di confutare e contrastare le conclusioni dell’IPCC, adottando quindi la tipica strategia neoliberale (anche questo verrà elucidato in seguito) di mettere “scienza contro scienza”. Dopo lo scioglimento della GCC, il testimone venne passato ad altre entità, tra le quali è bene ricordare lo Heartland Institute.

Nella seconda metà degli anni ’90 il tema del riscaldamento globale fu oggetto di un’attenzione crescente da parte dei mezzi di comunicazione, che andò vieppiù intensificandosi nei primi anni del nuovo secolo, subendo un brusco arresto in occasione della crisi finanziaria del 2007/2008 e della recessione economica conseguente. Ubi major, minor cessat e, nel sistema capitalistico, il major è sempre e comunque legato a questioni economiche; naturalmente questo non significa che gli altri problemi non siano considerati tout court – in fondo, nonostante ciò che asserì quel sempliciotto di Fukuyama, la storia non è finita – ma ciò dovrebbe far sorgere qualche domanda circa il motivo per il quale un tema così cruciale, quale dovrebbe essere il riscaldamento globale, salti fuori solo periodicamente. E, si badi bene, non ne facciamo una questione di merito, ovvero se vi sia o meno un’emergenza climatica, ma, sempre e soltanto, una questione di metodo: un’emergenza dovrebbe essere sempre tale, ossia impellente ed improcrastinabile, qualsivogliano siano le condizioni economiche o politiche concomitanti. Se invece tale emergenza assume un carattere «intermittente», sorge il sospetto che, coeteris paribus (ovvero non mettendone in dubbio la veridicità), lo scopo principale di questa periodica comparsa sia, ancora una volta, quello di indirizzare l’attenzione delle masse verso la direzione desiderata da chi controlla il sistema (i famosi «potenti della terra» intimoriti dalla ragazzina che percepisce l’aumento di CO2).

È dagli anni ‘60 che si denuncia l’esistenza di gravi problemi ambientali[3] (non solo climatici), ed è dal decennio successivo che si è iniziato a colorare l’attività economica con una sfumatura «ecologica», a tingerla di verde (colore che stava bene con tutto, prima che se ne appropriassero i famigerati populisti padani), il cosiddetto «green washing», che è anche definito, con locuzione più elegante, «sviluppo sostenibile», ineffabile ossimoro che ha il pregio di suonare assai bene e non significare alcunché, visto che i due termini del sintagma non sono connotati da definizioni precise. «Sviluppo» presuppone un tèlos, un fine cui volgere, mentre «sostenibile» necessita un termine di confronto: sostenibile per chi? Per cosa? Rispetto a cosa? Come? E via dicendo.

In mancanza di queste precisazioni, rimane solo un motto epitomico del politicamente corretto che testimonia la meravigliosa abilità del capitalismo di trasformare tutto, anche i fattori apparentemente negativi, come l’inquinamento e la crisi della biosfera, in nuove nicchie di mercato: in questa incessante opera mimetica e reificante è riuscito a creare finanche una disciplina di studio dal nome di «Ecological Economics» (con tanto di rivista dedicata) ispirata dagli studi di Nicholas Georgescu-Roegen[4] (e, successivamente di Hermann Daly) che cercarono di evidenziare l’incompatibilità dei parametri termodinamici con quelli economici. Come tutte le buone intenzioni, questi studi non hanno fatto altro che lastricare le vie dell’inferno sfociando, da un lato, nella ricerca di un valore monetario dei «servizi degli ecosistemi» (Robert Costanza) e, dall’altro, come si diceva, nella creazione di nuove nicchie di mercato surrettiziamente denominate «bio», «green», «eco», o che dir si voglia.

Tutte queste operazioni di «lavaggio» hanno lo scopo, non solo di creare nuove nicchie commerciali e di trasformare le residue parti di mondo in merce e mercato; ma anche quello di distogliere l’attenzione dal vero tema, quello che conduce inevitabilmente a tutti i problemi particolari dai quali è affetto il capitalismo, ovvero l’incommensurabilità concettuale e ineludibilmente fattuale tra parametri economici e mondo fisico che, come ben comprese Marx, risiede nella primazia del valore di scambio sul valore d’uso (o, prima di lui, Aristotele quando distinse tra oikonomia e crematistica). Siccome il fondamento del capitalismo poggia sull’accumulazione esponenziale di mezzi monetari (il capitale), che è virtualmente infinita, ma che si deve manifestare, giocoforza, in un ambiente che dispone di una quantità di materia che è data, è facile comprendere come questo fatto possa giungere a provocare qualche problema.

La gabbia epistemica del neoliberalismo

Partendo da queste premesse, possiamo ora parlare di come le questioni di cui sopra siano inserite nel quadro epistemico che caratterizza il capitalismo odierno, la cui forma è stata plasmata da ciò che è stato definito «neoliberalismo». Come ha documentato Philip Mirowski[5] (e in parte anche Michel Foucault, sebbene non in modo così esplicito[6]), il nucleo del pensiero neoliberale non è tanto economico quanto epistemologico e si è andato storicamente a connotare come un vero e proprio «collettivo di pensiero», come asserì Dietrich Plehwe[7] (prendendo spunto dagli scritti di Ludwik Fleck che descrisse l’impresa scientifica come formata da «una comunità di persone che scambiano mutualmente idee o mantengono un’interazione intellettuale»).[8] Non ha quindi molto senso il considerare (come, peraltro, fanno molti), questo fenomeno come un orientamento economico o, tanto meno, di spiegarlo con le obsolete categorie del pensiero politico del secolo scorso ( destra politica, conservatorismo, liberalismo, ecc.).

Questo equivoco spiega, in larga parte, l’insuccesso dei movimenti che criticano e cercano di contrastare la fisionomia attuale del capitalismo (che viene definita «liberismo» o «neoliberismo»),[9] nel quale non sono state mantenute le promesse che sembravano implicite nei «trent’anni gloriosi» del dopoguerra, quando appariva ineluttabile un futuro progressivo di benessere ed uguaglianza per tutti (almeno nei paesi del cosiddetto capitalismo avanzato). Non solo nulla di tutto questo si è avverato, ma non si è neanche mantenuta una sorta di stato stazionario nel quale si fossero consolidate le conquiste precedenti. Viceversa, in tutto il mondo occidentale, si è assistito a una progressiva diminuzione del benessere che sta portando alla scomparsa della classe media, a una riduzione dei servizi e a una polarizzazione sempre maggiore della ricchezza.

La più parte delle critiche si è limitata a considerare lo stato attuale della nostra forma-mondo come una sorta di malattia benigna in un organismo, altrimenti, sano, la cui terapia consisterebbe in una sorta di ripristino dello status quo ante (confondendo il mezzo con il fine), una sorta di irenico riequilibrio da ottenersi grazie a un ripristino di efficaci regolazioni del mercato, a un’economia che torni sotto il controllo degli Stati, nella quale si riaffermi il primato della manifattura sulla finanza (il mito dell’«economia reale»: un’altra chimera fatta da domini incommensurabili ma, soprattutto, che «rimetta i debiti ai debitori» (la Grecia, i Paesi poveri, ecc.). Questa carenza di analisi ha fatto sì che, i movimenti di cui sopra, si siano cullati nell’illusione che fosse sufficiente mettere in scena azioni di protesta che «sorgono dal basso» contro il «crudele e distorto stato del mondo»,[10] per sperare di contrastare efficacemente lo status quo. Viceversa, ciò che è avvenuto nel regno della realtà è che quasi tutti questi movimenti di protesta (dal movimento no global alle varie rivoluzioni colorate) si sono rivelati, nel corso del tempo, abili maskirovka che hanno mantenuto sotto controllo il malcontento e ostacolato vieppiù la possibilità di contrastare il sistema.

È difficile per coloro che sono spinti dall’afflato di «cambiare il mondo» credere che la «spontaneità» di tali proteste sia, in realtà la messa in scena di un copione scritto da altri, un prodotto pronto per essere messo sul mercato delle idee. Ma il mondo creato dal collettivo di pensiero neoliberale funziona proprio così: esso è stato in grado di creare un’epistemologia omnicomprensiva che permea la cultura contemporanea con un coacervo di verità multiple, tutte ugualmente «vere», che sono in grado di coprire tutte le alternative possibili: dal conformismo all’anticonformismo, dalla reazione alla rivoluzione, dal sistema all’antisistema. Un regime caleidoscopico e proteiforme nel quale una critica reale e sensata allo status quo non ha alcuna base sulla quale poggiare (difficile combattere contro qualcosa che non ha una forma definita, essendo in grado di assumere tutte le forme). Quando il mondo è rappresentato, in ogni suo aspetto, con un’immagine distorta, è quasi impossibile percepire questo ribaltamento: come nella caverna platonica, gli spettatori sono portati a credere che le immagini proiettate sulle pareti corrispondano al mondo reale.

Non affronteremo questo argomento nella sua totalità, ma ci soffermeremo soltanto sul problema del riscaldamento globale, in modo che possa costituire un paradigma esemplificativo della manipolazione suddetta.

L’utopia neoliberale e il riscaldamento globale

Come abbiamo detto, il collettivo di pensiero neoliberale è stato capace di costruire un intero armamentario di proposte epistemiche e politiche che, di fatto, hanno occupato tutto lo spazio delle alternative possibili. Naturalmente non stiamo parlando della banale e falsa dialettica centro-destra/centro-sinistra, democratici/repubblicani, conservatori/laburisti che, tuttavia, invade tutto lo spazio parlamentare delle democrazie liberali. No, stiamo parlando di un’operazione molto più capillare e pervasiva di occupazione (obliterazione, quando questo non sia possibile) di tutte le forme di pensiero e di azione, anche al di fuori della «politica politicata», che è riuscita a confezionare, con la complicità delle anime belle del progressismo di ogni forma e di ogni età, non solo, una panoplia di vacue utopie volte a sterilizzare le velleità politiche delle masse come, ad esempio, la fratellanza tra i popoli, la società senza frontiere, il governo globale (o, con una maggiore vena distopica, le corbellerie del post-umano e la moltiplicazione dei generi), inibendo, grazie alla vacuità del fine, ogni possibilità di azione reale, ma – e qui sta la genialità – a creare un catalogo omnicomprensivo di proposte «politiche», in grado di coprire l’intera gamma della domanda da parte del pubblico, con obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Per comprendere appieno questa operazione è bene fare un piccolo passo indietro e spiegare brevemente un punto cruciale dell’epistemologia neoliberale. Essa ha sempre respinto la falsa dicotomia dei liberali classici laissez faire di Stato versus mercato come dispositivi antitetici. Al contrario di questi ultimi, i neoliberali non considerano il mercato un luogo di allocazione delle merci (materiali o immateriali), ma un elaboratore di informazioni, il più efficace ed efficiente elaboratore che si conosca, assai migliore di qualsivoglia entità umana (individuale o collettiva).[11]

In secondo luogo – anche qui diversamente dal pensiero liberale classico e alle sue moderne propaggini – l’ideologia neoliberale propugna uno Stato forte che, tuttavia, non abbia come compito principale (e neanche secondario, per la verità) quello di controllare gli animal spirit del mercato, ma quello di controllare se stesso, ovvero, come direbbe Marx, agire da «comitato d’affari della borghesia» il cui scopo sia quello di promuovere, salvaguardare ed estendere gli ambiti del mercato. Per svolgere questo supremo compito, lo stato deve operare con tutte le proprie prerogative (compresa quella del monopolio della forza) per costruire una sorta di totalitarismo del mercato (un telos potenzialmente infinito) mediante una mercificazione sempre più estesa e capillare dell’esistente.

Anche per ciò che riguarda il riscaldamento globale (che è di natura ecologico/termodinamica), possiamo notare la differenza di approccio tra neoliberali e liberali classici. Per questi ultimi, i problemi della biosfera sono sintomi di malfunzionamento del mercato (market failure), la cui soluzione dovrebbe risiedere nell’attribuire un giusto prezzo alle esternalità (inquinamento, ecc.), alle risorse e ai cosiddetti servizi degli ecosistemi (approccio della Ecological Economics). Per i neoliberali, invece, questo tipo di problemi è destinato a sorgere ineluttabilmente a causa dell’inestricabile complessità delle interazioni tra la società e la biosfera, per comprendere le quali la conoscenza umana è affatto inadeguata. In realtà, il pensiero neoliberale adotta questa panoplia epistemologica in maniera affatto opportunistica, adoperando la complessità pro domo sua: siccome non ci si può affidare alla conoscenza umana per comprendere e prevedere questa multiforme e diveniente realtà, vi è bisogno di una sorta di deus ex machina, di un diavoletto di Maxwell, di una finzione retorica spacciata per verità: un’ immagine idealizzata di mercato perfetto, spontaneo ordinatore dell’ordine spontaneo e supremo elaboratore di informazioni, il motore immobile (ma, di fatto, mobile) al quale si demanda il compito di trovare soluzioni a qualsivoglia problema. Siccome, tuttavia, questo ordine «spontaneo» non è dato nei sistemi politici – e ci mancherebbe altro! – è necessaria tutta la forza di uno Stato forte che, col suo imperio, possa spontaneizzare ciò che spontaneo non è (da qui anche la finzione del «libero» mercato).

A questo punto, la strategia appare alquanto circolare: siccome non ci si può affidare alle decisioni politiche per affrontare i problemi complessi (dei quali fa sicuramente parte quello del cambiamento climatico), visto che la capacità conoscitiva dei decisori è fallace per definizione, allora è necessario che i decisori facciano un passo indietro abdicando al loro compito e affidino al mercato[12] – con una decisione politica! – il compito di decidere quali siano le soluzioni migliori. Ma a volte il problema è piuttosto restio a farsi incanalare con disinvoltura nei meccanismi di mercato, e quello del riscaldamento globale fa senz’altro parte di questa categoria. In questi casi la strategia dovrà seguire un piano più complesso ed essere dipanata secondo vari stadi successivi. Qui possiamo individuare una strategia composta da diversi stadi caratterizzati da diverse strategie di manipolazione dell’opinione pubblica: dalla promozione del «negazionismo» scientifico alla creazione di fenomeni come Greta Thurnberg o Friday for Future Tutte facce della medesima medaglia: la «risposta neoliberale» ai cambiamenti climatici.[13]

a) Il «negazionismo» scientifico

Il primo stadio consiste generalmente nel prendere tempo per poter elaborare gli stadi successivi. In casi come questo, la tecnica più efficace è quella di instillare il dubbio nell’opinione pubblica che questo tipo di problemi non sia correlato al modello economico della società attuale (sovraconsumo, inquinamento, sovrasfruttamento della biosfera, ecc.), in poche parole: che il mercato non è mai colpevole (a tal proposito è utile far notare che, ad esempio, nei paesi del blocco sovietico i problemi ecologici erano assai più gravi ecc.).

Lo scopo di quello che è stato chiamato «negazionismo» scientifico, promosso, principalmente, dalla Global Climate Coalition e, poi, dalla Hearthland Foundation, alle quali abbiamo già accennato, è stato quello di controllare l’opinione pubblica che, allarmata dal problema del riscaldamento globale, avrebbe potuto far pressione sui governi per affrontarlo con decisioni politiche, ovvero, come abbiamo detto, a prendere tempo per elaborare opportune soluzioni per far rientrare la questione nel recinto del mercato. La soluzione «negazionista», ancorché di carattere temporaneo, aveva il vantaggio di essere rapidamente dispiegabile ed economica e di distogliere l’attenzione del pubblico dagli argomenti appropriati.

La strategia del «collettivo di pensiero neoliberale» vuole che la prima risposta a una sfida di natura politica debba sempre essere di tipo epistemologico:[14] è necessario mettere in dubbio ciò che costituisce l’argomento di tale sfida, in questo caso, negare il problema e temporeggiare indefinitamente con sterili diatribe riguardo al merito (ovvero, se esista o meno il riscaldamento globale su base antropogenica). Il «mercato delle idee» deve essere sempre irrorato col dubbio affinché, come un efficace diserbante, esso possa far sviluppare solo le piante (idee) desiderate. Questa tecnica, descritta dallo storico Robert Proctor sotto il nome di «agnotologia»,[15] si è rivelata nel tempo assai efficace.

La dottrina neoliberale difende, formalmente, il diritto di chiunque di sostenere qualsivoglia scempiaggine con egual diritto (la «saggezza delle masse»)[16] perché, in ultima analisi, l’ambito nel quale si stabilisce la verità è sempre il mercato. Quest’ultimo, tuttavia, non è mai libero come viene spacciato, ma è controllato da coloro ai quali fa comodo che venga spacciato come libero (e non certo da quella congrega di esperti che rappresenta la «scienza ufficiale»). Di fatto, la dottrina neoliberale coincide perfettamente con quella di Quelo: «la risposta è dentro di voi, epperò è sbajata [a meno che non coincida con la nostra]».[17]

Questo primo stadio però è ben lungi dall’essere sufficiente per incanalare il problema nei meccanismi di mercato, pertanto è necessario elaborare gli stadi successivi facendo sì che essi si dispieghino mediante un’offerta merceologica che sia in grado di coprire l’intero spettro della “domanda” di “soluzioni”. È altresì necessario che ognuna di queste implichi la creazione di un profitto e, possibilmente, che estenda la sfera del mercato ad ambiti mai toccati prima.

b) La mercatizzazione della CO2 e l’accumulazione per espropriazione

Dopo questo primo stadio agnotologico, è necessario che a un certo punto il mercato faccia il suo ingresso. In questo caso, l’azione del mercato si dispiega secondo due linee principali: la prima è costituita dalla monetizzazione e dalla conseguente finanziarizazione dei servizi degli ecosistemi, ovvero dalla creazione di permessi di emissione di CO2; la seconda, da quella che David Harvey ha definito «accumulazione per espropriazione».

L’istituzione di mercati dei permessi di emissione costituì un’abile strategia per costruire un nuovo settore merceologico e finanziario, ma anche per convincere gli attori politici del fatto che la risposta al problema dei cambiamenti climatici, ovvero la diminuzione dell’emissione di gas serra dovesse competere ai mercati invece che ai governi: si è mercatizzato qualcosa che avrebbe dovuto essere politico. Naturalmente, questa «soluzione» non ha condotto ad alcun risultato, per quello che era lo scopo dichiarato: di fatto non ha evitato l’emissione di una sola molecola di CO2.[18] D’altra parte, questo non era certo lo scopo reale, che viceversa, era quello di adoperare la scusa del riscaldamento globale per creare un nuovo strumento finanziario dal nulla, una merce virtuale che mercifica un dato fisico, peraltro virtualizzato, un nuovo derivato da immettere nella grande fucina della finanza fornendo agli operatori un ulteriore strumento speculativo da trasformare in moneta reale.

L’altro braccio della strategia a medio termine è stato quello dell’accumulazione per espropriazione, che merita qualche parola di spiegazione:

La descrizione di Marx dell’«accumulazione primitiva» comprende fenomeni come la mercificazione e la privatizzazione della terra e l’espulsione da essa della popolazione contadina; la conversione di varie forme di beni collettivi in proprietà privata; la mercificazione della forza lavoro e la eliminazione delle alternative ad essa; processi di appropriazione coloniale o neocoloniale di beni e risorse naturali; monetizzaione degli scambi e tassazione della terra; commercio degli schiavi; usura; il debito pubblico e il sistema creditizio.[19]

Si potrebbe pensare che questi tipi di accumulazione siano un retaggio del passato, dei tempi del capitalismo nascente e di quelli in cui iniziava ad affermarsi in maniera sempre più estesa e capillare.

A questo scopo si adottano infatti metodi sia legali sia illegali […] Tra i mezzi legali si annoverano la privatizzazione di quelle che un tempo erano considerate risorse di proprietà comune (come l’acqua e l’istruzione), l’uso del potere di espropriazione per pubblica utilità, il ricorso diffuso a operazioni di acquisizione, fusione e così via che portano al frazionamento di attività aziendali, o, per esempio, il sottrarsi agli obblighi in materia di previdenza e sanità attraverso le procedure fallimentari. Le perdite patrimoniali subite da molti durante la crisi recente possono essere considerate una forma di espropriazione che potrebbe dar luogo a ulteriore accumulazione, dal momento che gli speculatori acquistano oggi attività sottovalutate con l’obiettivo di rivenderle quando il mercato migliorerà, realizzando un profitto.[20]

Una delle forme più sottili di accumulazione per espropriazione è quella di drenare surrettiziamente denaro pubblico, o direttamente dalle tasche dei cittadini, per generare un profitto privato tramite una tassazione ad hoc, oppure obbligare la popolazione a un consumo tramite l’imposizione decretata dal potere dello Stato.

Un esempio del primo tipo di pratica è, senza dubbio, quello degli impianti di produzione di energie rinnovabili (eolica, fotovoltaica, idroelettrica ecc) che sono casi nei quali l’energia prodotta viene remunerata a un prezzo superiore a quello di mercato (altrimenti non sarebbero economicamente sostenibili). In questo caso, il sovrapprezzo viene corrisposto dalla fiscalità generale o da un esborso aggiuntivo nelle tariffe delle forniture elettriche. Se si eccettua la sparuta produzione (in termini di MW/h) degli impianti ad uso familiare, la più parte della generazione di elettricità da queste fonti proviene da grandi impianti per i quali l’investimento è sostenuto da grandi investitori, in genere società finanziarie.[21] Questo è un caso nel quale lo Stato opera come perfetto agente del mercato: invece che favorire, con un’azione diretta la tanto sbandierata «transizione energetica», esso si fa promotore di un sistema nel quale i profitti delle società finanziarie sono a carico dei cittadini tramite un aggravio dei costi energetici o mediante la fiscalità generale.

Un altro esempio di questo tipo di accumulazione, anche se un poco più indiretto, è quello dei veicoli adibiti a trasporto stradale. In questo caso, lo Stato interviene modificando le regolamentazioni che regolano le emissioni dei veicoli (specie quelle di CO2) e inibendo la circolazione per quei mezzi che non rispettano i parametri imposti. Questa tecnica di marketing condotta tramite la forza della legge costringe attualmente gli utenti a cambiare veicolo tramite una sorta di obsolescenza programmata de jure, e apre la strada a nuove nicchie di mercato (veicoli elettrici, ibridi, ecc.). Ovviamente, questo è un altro un trucco per costringere i cittadini a esborsi di denaro in un certo senso coatti, senza alcun beneficio per ciò che riguarda le emissioni di CO2 in quanto tali, se si considera che il processo di produzione di un auto, è responsabile di una produzione di CO2 che è, in media, superiore a quella che la medesima auto produrrà nel suo ciclo di utilizzo (verosimilmente, da questo punto di vista, sarebbe più ecologico tenere la medesima auto per qualche decennio, ma questo non aiuta il mercato).[22]

Naturalmente, per imporre alla popolazione questa visione senza troppi incidenti (cosa che, ad esempio, non è riuscita in Francia),[23] è necessario predisporre l’opinione pubblica con massicce campagne moralizzatrici, come quella per la quale stanno usando la ragazzina che intimorisce quei «potenti della terra» che hanno tutto da guadagnare dalla creazione di nuove nicchie di mercato. Tuttavia, l’inesauribile cornucopia di idee del collettivo di pensiero neoliberale non si esaurisce qui, ma è lanciata verso sempre nuovi orizzonti.

c) Geoingegneria e altre distopie neoliberali

Dato che il sistema dei permessi di emissioni e le miriadi di impianti ad energia rinnovabile sono, ormai, soluzioni datate, anche se sono servite egregiamente allo scopo, che era quello di estendere il dominio del mercato o estrarre denari dalle tasche della popolazione e dei governi, è ora di superare queste reliquie del passato con la soluzione neoliberale per il lungo periodo: la geoingegneria. Qui si arriva al nucleo stesso della Dottrina, la quale postula che l’ingegno imprenditoriale, se lasciato libero di manifestare le proprie pulsioni di «distruzione creativa», può essere in grado di trovare soluzioni di mercato per risolvere qualsivoglia problema. Le idee non possono essere lasciate improduttive. Quando vi è la possibilità, esse vanno inserite nel discorso politico e perseguite con tutti i mezzi. È quindi ora di aprire nuove ed incredibili opportunità (!) per trasformare in merce e mercato parti del globo che nessuno pensava potessero avere questo destino – e questa destinazione. La geoigegneria rappresenta il volto futuribile e fantascientifico del neoliberalismo e, assieme ai deliri sull’ingegneria genetica e sull’intelligenza artificiale, il suo volto più distopico.

«Geoingegneria» è una sorta di definizione collettiva che individua un’ampia gamma di manipolazioni in larga scala volte a modificare il clima della terra, per «correggere» i cambiamenti climatici. Essa comprende «soluzioni» come l’aumento artificiale dell’albedo del pianeta attraverso vari tipi di «gestione» della radiazione solare (tramite la diffusione di particelle riflettenti nella stratosfera, l’installazione di specchi nell’orbita terrestre spaziali o la copertura dei deserti con materiale riflettente); l’aumento del sequestro di CO2 da parte degli oceani tramite la stimolazione della crescita del fitoplancton (concimazione degli oceani con nutrienti, mescolamento degli strati) o della terraferma (seppellimento dei residui vegetali; introduzione di organismi geneticamente modificati, oppure, ancora, l’estrazione e il confinamento della CO2 direttamente al punto di emissione). Questa sorta di ideazione delirante ha connessioni piuttosto strette col «collettivo di pensiero neoliberale» in quanto diverse istituzioni che ne sono emanazione diretta, come L’American Enterprise Institute, Ii Cato Institute, la Hoover Institution e il Competititive Enterprise Institute si occupano in maniera assai attiva nella promozione della geoingegneria. Lo stesso tempio accademico del neoliberalismo, la Chicago School of Economics, ha pubblicamente appoggiato questo delirio[24].

Naturalmente, questi progetti sono solamente allucinazioni lisergiche portate ad un livello istituzionalmente riconosciuto: vedi alla voce: «lo dice Lascienza». Ma questa mirabolante scienza, in questi casi, può solo asserire ipotesi che non hanno alcuna possibilità di essere provate sperimentalmente. Non vi è alcun modo di verificare ex ante gli assunti ipotizzati né, tanto meno, gli effetti indesiderati. Qui il laboratorio è costituito dall’intero mondo e l’ex post potrebbe essere una catastrofe di proporzioni inimmaginabili. Ma evidentemente queste considerazioni non hanno il potere di scalfire l’adamantina determinazione dei nostri apprendisti stregoni arsi dal sacro fuoco di Prometeo. Ça va sans dire che queste mirabolanti proposte agirebbero solo sugli effetti e non certo sulle cause del problema. D’altronde, agire sulle cause significherebbe mettere in discussione le basi sulle quali poggia il capitalismo stesso mentre secondo l’epistème neoliberale. Se il capitalismo ha causato dei problemi, la soluzione è: più capitalismo!

Quindi, le soluzioni geoingegneristiche apportano enormi vantaggi secondo i criteri neoliberali, perché non limitano mercati consolidati (non sia mai che, nel mondo, si producano meno pezzi di Hallo Kitty o di cheeseburger, o che a Dubai non si possa più sciare al coperto!), ma espande gli ambiti del mercato verso nuovi orizzonti: niente di meno che la privatizzazione dell’atmosfera e del clima. Perché, qualora non si fosse compreso, lo scopo è questo, nonché porre il pianeta in ostaggio di alcune entità private (quelle che mettono a punto le «soluzioni» protette da brevetto),[25] affinché possano trarre profitto da qualcosa che, magicamente, può diventare merce con pochi tratti di penna, con la scusa di un «fate presto!» globale perché «ce lo chiedono le prossime generazioni».

***

Con questo si chiude il cerchio. Nel mirabolante mondo di Quelo e Greta, la teknè viene politificata mediante l’ennesimo ragionamento circolare, perché i problemi sono troppo complessi per poter essere affrontati con soluzioni che non siano tecniche (la risposta è dentro di voi, epperò è sbajata), fino ad obliterare interamente lo spazio della politica che non sia quello di mero «comitato d’affari della borghesia». Perché non vi è alternativa alle verità di una scienza che è divenuta dogma e di una società che ha abbandonato ogni dogma che sia non sia quello dell’ordine del mercato, quella secondo cui la «provedenza che governa il mondo» agisce con mano invisibile affinché si possa manifestare il mistero della creazione.

La stessa scienza, ha abbandonato qualsivoglia funzione epistemica per divenire un mero paradigma gestionale e non ha maggior significato, per ciò che riguarda la conoscenza del mondo, di quanto ne abbiano le regole del Monopoli. L’ordine del mercato è rimasto l’unica praxis che orienti le azioni umane e l’unico tèlos, autotelico e perpetuamente progressivo, al quale si volge lo sguardo di quella che un tempo usavamo chiamare civiltà.


  1. Gli studi più rilevanti furono condotti da Hans Suess, Gilbert Plass, Roger Revelle e Charles Keeling. 
  2. Lista dei membri della Global Climate Coalition: American Electric Power, American Farm Bureau Federation, American Highway Users Alliance, American Iron and Steel Institute, American Forest & Paper Association, American Petroleum Institute, Amoco, ARCO, Association of American Railroads, Association of International Automobile Manufacturers, British Petroleum, American Chemistry Council, Chevron, DaimlerChrysler, Dow Chemical Company, DuPont, Edison Electric Institute, Enron, ExxonMobil, Ford Motor Company, General Motors Corporation, Illinois Power, Motor Vehicle Manufacturers Association, National Association of Manufacturers, National Coal Association, National Mining Association, National Rural Electric Cooperative Association, Ohio Edison, Phillips Petroleum, Shell Oil, Southern Company, Texaco, Union Electric Company, United States Chamber of Commerce. Fonte: K. Brill, “Your meeting with members of the Global Climate Coalition”, United States Department of State, 2001. 
  3. Almeno dall’uscita del libro di Rachel Carson, Primavera silenziosa (1962). 
  4. A sua volta influenzato dagli studi di Frederick Soddy. 
  5. In P. Mirowski, Never let a serious crisis go to waste, Verso, London-New York, 2013; P. Mirowski, D. Plehwe, The Road from Monte Pelerin, Harvard University Press, Cambridge, 2009. 
  6. In M. Foucault, The Birth of Biopolitics. Lectures at the Collège de France 1978–79, Palgrave McMillan, Basingstoke, 2008. 
  7. In P. Mirowski, D. Plehwe, cit., p. 4 sgg.; 417 sgg. 
  8. In L. Fleck, The Genesis and Development of a Scientific Fact, University of Chicago Press, Chicago, 1979. 
  9. Residuo linguistico della sterile diatriba tra Benedetto Croce e Luigi Einaudi, che data alla fine degli anni ’20 del secolo scorso. 
  10. In P. Mirowski, Never let a serious crisis go to waste, cit., cap. 6. 
  11. In P. Mirowski, “Naturalizing the market on the road to revisionism: Bruce Caldwell’s Hayek’s challenge and the challenge of Hayek interpretation”, in Journal of Institutional Economics, 2007. 
  12. Che include anche quella scienza che ha dimostrato il proprio successo nel «mercato delle idee», anch’esso spontaneo come lo spacciatore alla dogana di cui sopra. 
  13. In P. Mirowski, Never let a serious crisis go to waste, cit. 
  14. Ibid. 
  15. In R. N. Proctor, L. Schiebinger, Agnotology. The Making and Unmaking of Ignorance, Stanford University Press, 2008. 
  16. Cfr. F. A. Hayek, “The use of knowledge in society”, in American Economic Review, XXXV, No. 4, September 1945, pp. 519-30. 
  17. «First and foremost, neoliberalism masquerades as a radically populist philosophy, which begins with a set of philosophical theses about knowledge and its relationship to society. It seems to be a radical leveling philosophy, denigrating expertise and elite pretensions to hard-won knowledge, instead praising the “wisdom of crowds.” It appeals to the vanity of every self-absorbed narcissist, who would be glad to ridicule intellectuals as “professional secondhand dealers in ideas.” In Hayekian language, it elevates a “cosmos”—a supposed spontaneous order that no one has intentionally designed or structured—over a “taxis”—rationally constructed orders designed to achieve intentional ends. But the second, and linked lesson, is that neoliberals are simultaneously elitists: they do not in fact practice what they preach. When it comes to actually organizing something, almost anything, from a Wiki to the Mont Pèlerin Society, suddenly the cosmos collapses to a taxis. In Wikipedia, what looks like a libertarian paradise is in fact a thinly disguised totalitarian hierarchy» (in P. Mirowski, D. Plehwe, The Road from Monte Pelerin, cit., pp. 425-426). 
  18. La stima è dell’ufficio studi della banca svizzera UBS, in una relazione ai clienti del novembre 2011 (cfr. https://www.thegwpf.com/europes-287-billion-carbon-waste-ubs-report). 
  19. In D. Harvey, “The ‘new’ imperialism: accumulation by dispossession”, in Socialist Register, No. 40, p. 74. 
  20. In D. Harvey, L’enigma del Capitale, Feltrinelli, Milano, 2011, pp. 60-61. 
  21. Tipicamente con sede all’estero, se ci riferiamo all’Italia o anche ai cosiddetti Paesi in via di sviluppo. 
  22. Cfr. S. Kagawa, K. Hubacek, K. Nansai, M. Kataoka, S. Managi, S. Suh, Y. Kudoh, “Better cars or older cars?: Assessing CO2 emission reduction potential of passenger vehicle replacement programs”, in Global Environmental Change, Volume 23, Issue 6, December 2013, pp. 1807-1818; M. Messagie, “Life Cycle Analysis of the Climate Impact of Electric Vehicles”, in Transport and enviroment, 2014; H. Helms, M. Pehnt, U. Lambrecht, A. Liebich, “Electric vehicle and plug-in hybrid energy efficiency and life cycle emissions”, 18th International Symposium Transport and Air Pollution, 2010. 
  23. Ricordiamo che il fattore che ha innescato la rivolta dei Gilet Jaunes è stata proprio l’inasprimento dei parametri per le emissioni veicolari. Naturalmente queste riguardavano soprattutto I veicoli di una certa età, che sono quelli che garantivano la mobilità della fascia di popolazione meno abbiente (in presenza di concomitante smantellamento delle reti di trasporto pubblico di prossimità). 
  24. Cfr. P. Mirowski, Never let a serious crisis go to waste, cit. 
  25. Cfr. D. Cressy, “Geoengineering Experiment Cancelled Amid Patent Row”, in Nature, No. 15, May 2012; M. Specter, “The Climate Fixers”, in The New Yorker, May, 2012. 

FONTE:http://ilpedante.org/post/quelo-greta-e-la-dottrina-neoliberale-della-verita-multipla

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

IL PARLAMENTO EUROPEO CREA UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA. SULLA POVERTA’?

NO…. Leggete su che cosa..

Giugno 19, 2020 posted by Leoniero Dertona

Per capire chi veramente domina il parlamento e le istituzioni europee, e per quali motivi, basta leggere i temi in discussione. Oggi il Parlamento europeo vota per la creazione di una Commissione d’Inchiesta che dovrà raccogliere i casi di denuncia e violazione delle norme comunitarie.

  • Si tratta di una Commissione sulla povertà in Europa e sull’ignavia dei governi ad affrontarla? NO, questo non merita una commissione d’inchiesta!
  • Si tratta di una Commissione sulla lentezza nel pagamento della Cassa Integrazione in Italia, non arrivata per lo meno ad un milione di lavoratori, che vivono nella miseria più nera? NO, questo non  merita una commissione d’inchiesta!
  • Si tratta di una Commissione che denunci chi è dietro gli sporchi traffici di vite umane nel Mediterraneo ed ai confini con la Grecia, illeciti che costano la vita a centinaia, anzi migliaia , di migranti illegali e che sono incentivati dalle ONG? NO, questo non merita una commissione d’inchiesta!
  • Si tratta di una Commissione che denunci gli abusi della polizia durante le manifestazioni dei Gilet Gialli nel 2019 in Francia ? NO, questo non merita una commissione d’inchiesta. 
  • Si tratta di una Commissione che studia la ricaduta economica negativa della creazione dell’Eurozona per spiegare il rallentamento della crescita nell’area euro a seguito dell’introduzione della moneta unica e la relativa esplosione della disoccupazione nelle aree mediterranee? NO, questo non merita una commissione d’inchiesta. Alla fine si tratta solo di poveri italiani, spagnoli e greci…

No il Parlamento ha costituito una commissione d’inchiesta …. “Incaricata di esaminare le denunce di infrazione nell’applicazione del diritto dell’Unione in relazione al trasporto degli animali“. Questa commissione, che si occupa di fatti di cui, normalmente, si occupano le forze di polizia nazionali, con grande capacità per altro e con l’appoggio, in Italia, dei servizi veterinari delle ASL, oltre alla collaborazione di associazione di tutela degli animali, non è altro che una tangente politica che viene pagata dal PPE, dai Liberali e dalla Sinistra ai Verdi del Nord Europa, lobby potentissima, senza la quale non ci sarebbe la Commissione Von Der Leyen. La responsabilità è soprattutto della CDU Tedesca, dove la Merkel è soccube in patria dei Verdi con cui, probabilmente, costituirà la prossima maggioranza.

Questa norma è puramente politica e sarà la base della criminalizzazione delle produzioni agricole animali che porteranno alla fine della dieta mediterranea, in cui salumi e formaggi hanno una parte essenziale, a favore delle soluzioni industriali ed artificiali così amati nei paesi nordici. meglio un finto Tofu di finta soia piuttosto che un pezzo di Parmigiano, di Jamon iberico o di Pecorino romano, questo è il pensiero dei vari verdi tedeschi, svedesi etc. Che poi questo significhi la devastazione delle aziende agricole mediterranee per loro è ininfluente, anzi, è un bene: alla fine esiste un razzismo esiziale di queste persone verso i bruti e spendaccioni italiani e spagnoli!

Quindi il Parlamento si occuperà del trasporto degli animali, non del benessere degli uomini. Benvenuti nell’Unione del Green Deal. L’Inferno Verde.

FONTE:https://scenarieconomici.it/il-parlamento-europeo-crea-una-commissione-dinchiesta-sulla-poverta-no-leggete-su-che-cosa/

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

ESPERTI ONU:“ANNESSIONI IN CISGIORDANIA SONO APARTHEID DA 21 ESIMO SECOLO”

In un comunicato pubblicato ieri, 47 esperti indipendenti delle Nazioni Unite hanno condannato il piano israeliano di annettere parti consistenti del territorio cisgiordano a partire dal 1 luglio. Un progetto che, si legge nella nota, “intensificherà le violazioni dei diritti umani dei palestinesi”.
Gli Emirati Arabi, intanto, aprono sempre più ad Israele: “Abu Dhabi può lavorare con Tel Aviv in alcuni campi”

Roma, 17 giugno 2020, Nena News – In un comunicato pubblicato ieri, 47 esperti indipendenti dell’Onu per i diritti umani hanno condannato il piano israeliano di annettere parti consistenti della Cisgiordania occupata palestinese definendolo un progetto da “apartheid del 21esimo secolo”.
Gli esperti affermano che l’occupazione israeliana del territorio cisgiordano è causa di “profonde violazioni dei diritti umani” palestinesi, innanzitutto perché nega il diritto all’autodeterminazione.

Un quadro che, affermano gli autori del comunicato, “si intensificherà dopo le annessioni [israeliane]”.
“Quello che resterà della Cisgiordania saranno isole separate di Bantustan palestinesi completamente circondate da Israele con nessun collegamento territoriale con il mondo esterno”. “Così – si legge ancora nella nota – la mattina successiva all’annessione ci sarà la cristallizzazione di una realtà già ingiusta: due popoli che vivono lo stesso spazio governati dallo stesso stato, ma con diritti profondamente disuguali. Questa è una visione da apartheid da 21esimo secolo”.

Secondo quanto ha riportato la scorsa settimana il portale The Times of Israel, Tel Aviv dovrebbe iniziare ad annettere il 1 luglio i tre maggiori blocchi coloniali: Maale Adumim, nella parte occupata di Gerusalemme est; Ariel, nel nord della Cisgiordania; Gush Etzion, vicino alle città palestinesi di Betlemme e Hebron. In una seconda fase, a settembre, sarà annessa la Valle del Giordano.

Se Israele può procedere con il suo progetto di annessioni è perché ha la copertura statunitense: le annessioni sono state infatti sdoganate dal cosiddetto “Piano del Secolo” rivelato a gennaio dal presidente Usa Donald Trump.
Il piano permette ad Israele di accaparrarsi di un terzo della Cisgiordania in cambio di un riconoscimento di uno stato palestinese disunito con nessun controllo sui suoi confini terrestri e del suo spazio aereo. Un progetto che è stato immediatamente respinto dai palestinesi. Proprio al “Piano del Secolo” gli esperti dell’Onu hanno fatto implicitamente riferimento ieri quando hanno espresso nel loro comunicato “grande rammarico” per il ruolo di Washington nel “sostenere e incoraggiare i progetti illegali israeliani”. Gli Usa, sottolineano gli autori, dovrebbero invece “opporsi con forza” alla violazione del diritto internazionale “piuttosto che agevolarne attivamente le sue infrazioni”.

Palestinesi

Per ora non c’è stato alcun commento da parte del governo israeliano sul documento degli esperti. Soddisfazione, invece, è stata espressa a Ramallah, sede dell’Autorità nazionale palestinese. Il capo negoziatore Saeb Erekat ha parlato di “promemoria per la comunità internazionale delle sue responsabilità, della gravità della situazione e dell’urgenza di implementare misure che pongano fine all’impresa coloniale illegale [israeliana]”.

Non sono giunte solo cattive notizie ieri per Israele. Intervenendo alla conferenza del Comitato degli ebrei americani (Ajc), il ministro degli esteri degli Emirati Arabi, Anwar Gargash, ha detto che comunicare con Israele è importante e darebbe maggiori risultati rispetto ad altre strade prese nel passato. Non solo: Gargash ha sostenuto che Abu Dhabi può lavorare con Tel Aviv in alcuni campi, come ad esempio nella lotta contro il Coronavirus o nel settore tecnologico, nonostante le differenze politiche tra i due Paesi.

Le sue parole sono state definite “storiche” dall’Ajc e giungono a distanza di pochi giorni dall’editoriale pubblicato sul quotidiano israeliano Yediot Ahronot di un altro alto ufficiale emiratino in cui, se da un lato si sosteneva che Israele non può aspettarsi di normalizzare le relazioni con il mondo arabo qualora dovesse decidere di annettere parti della Cisgiordania, dall’altro si ammetteva implicitamente che lo status quo attuale (quindi di occupazione e senza alcuna pre-condizione) basta agli Emirati per intraprendere relazioni politiche alla luce del sole con quella che un tempo (ormai un passato lontano) era definita nel mondo arabo “entità sionista”.

Posso avere un disaccordo politico con Israele, ma allo stesso tempo provo a creare un ponte in altre aree? Penso di sì e penso che è dove fondamentalmente siamo”, ha detto ieri Garghash. Di fatto l’ennesima dichiarazione di normalizzazione dei rapporti tra emiratini e israeliani.
Fonte: Nena News

FONTE:https://www.controinformazione.info/espertionuannessioni-in-cisgiordania-sono-apartheid-da-21-esimo-secolo/

 

 

CULTURA

“Qui siamo alla morte civile”

Cari amici! Qui si sono venute a creare circostanze così tremende che il nostro carteggio e i nostri rapporti si sono dovuti interrompere.

Pubblichiamo uno stralcio della lettera scritta da Olga Ivinskaja a Sergio d’Angelo, databile alla fine di marzo, primi d’aprile del 1959.

Boris Pasternak ha vinto il Nobel e il regime lo affama senza alcuna pietà. Il documento è in Pasternak e Ivinskaja (Feltrinelli) di Paolo Mancosu.

Cari amici!

Qui si sono venute a creare circostanze così tremende che il nostro carteggio e i nostri rapporti si sono dovuti interrompere. Non sono riuscita neppure a ringraziarla. Grazie, grazie di cuore.

Non so in che formato devo scrivere le ricevute, Sergio caro – per il momento le spedisco questa. Se non va bene gliela riscrivo.

Vengo brevemente al sodo. Personalmente non mi fa piacere che la de Proyart si immischi nei fatti nostri, ma per il momento, a quanto pare, occorre passare per il suo tramite. B.L. era convinto che sarebbe tornata presto in Russia: di qui tutti quei discorsi sugli editori francesi. Da parte di Feltrinelli non c’era bisogno di insistere tanto sulla sua priorità per quanto riguarda tutte le edizioni, tanto più che B.L. capisce molto bene la situazione e lo appoggerà. B.L. non ha alcuna idea precisa della somma per la quale sottoscrivere la delega. Ci dica lei grossomodo quanto mettere e come formulare la cosa.

Qui siamo in pieno boicottaggio, siamo alla morte civile. Sono partite direttive per farci mettere fuori legge. La situazione non è mai stata peggiore. A tutti i collaboratori di Goslitizdat è arrivato l’ordine implicito di non stampare più una riga. Non esiste più nessuno di nome P-k, non ci sono più rapporti economici che tengano. Juliusz Sowacki lo ha tradotto, però non lo pagano, anche se giuridicamente il contratto è ancora valido. Non arrivano più diritti neanche per le antologie, anche quando i versi suoi sono solo una dozzina. Come se non bastasse, hanno minacciato di portarci in tribunale per l’intervista concessa al soggetto ostile Brown (gli hanno fatto firmare un accordo di riservatezza).

La invito alla massima cautela, ma rifletta anche sul da farsi. Non è impossibile che con il prossimo Congresso ricomincino daccapo le persecuzioni. Surkov sta preparando un altro intervento! Tutte queste cose che le scrivo – lei capisce – sono segretissime. Se le sfuggisse un’indiscrezione io rischierei di pagarla con la libertà e la vita. Però mi fido ciecamente di lei, lei si è dimostrato un amico vero e non ho niente da rimproverarle. Scriva.

FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/qui-siamo-morte-civile-1870119.html

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Mediobanca, Borsa, Open Fiber. Il Copasir e l’intelligence economica. Parla Volpi

Mediobanca, Borsa, Open Fiber. Il Copasir e l’intelligence economica. Parla Volpi

Conversazione con il presidente del Copasir e deputato della Lega Raffaele Volpi. Da Mediobanca a Borsa Italiana, ecco i timori del comitato sulla finanza italiana. Open Fiber sarà ascoltata in audizione per l’interessamento di Macquarie. Mattarella? Lavoro impeccabile, ma ha ricordato che non può fare da supplente al governo

Basta anche solo fare il nome, e il politico, l’imprenditore, il manager di turno scatta sull’attenti. Il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) non è mai stato così sotto i riflettori. Non perché cerchi attenzioni, ma perché nel giro di due anni, prima sotto la presidenza di Lorenzo Guerini, poi sotto la guida di Raffaele Volpi, il comitato di controllo dei Servizi ha davvero spinto sull’acceleratore.

Un’indagine annuale sulla sicurezza della rete 5G, conclusa con un allarme molto chiaro lo scorso dicembre: il governo escluda le aziende cinesi. Poi, quest’anno, un ciclo di audizioni sull’esposizione del sistema economico ad azioni ostili. Banche, assicurazioni, authority, intelligence, il via vai di audizioni a Palazzo San Macuto non si è mai fermato, neanche durante la pandemia.

“Forse, e dico forse, un po’ il nostro lavoro ha aiutato a mettere alla portata del cittadino temi che un tempo erano ristretti agli ambienti interessati”, confida il deputato della Lega e capo del Copasir in una conversazione con Formiche.net. Volpi, cuore leghista ma anche un po’ Dc, primissima fila del Carroccio (lui, pavese, ha seguito passo passo la costruzione di “Noi con Salvini”, la creatura politica che ha portato anche nel profondo Sud, con un certo successo, Alberto da Giussano), elenca a memoria i prossimi convocati: “Borsa italiana, Intesa, Unipol, abbiamo iniziato con l’Aise e finiremo con Aisi, a queste due agenzie va riconosciuto un ampliamento molto qualitativo rispetto all’intelligence economica”, dice.

È solo la coda di una lunga trafila di invitati speciali del comitato, che non si è permesso il lusso dello smart working. Anche perché l’emergenza sanitaria se ne è portata dietro un’altra, quella della sicurezza degli asset strategici, come da copione in ogni crisi che si rispetti. Il crollo verticale delle quotazioni in Borsa di giganti dell’industria italiana dopo il primo inciampo di Christine Lagarde ha suonato un campanello d’allarme. Di lì l’esigenza di alzare l’asticella. Qualcuno ha visto nell’attivismo dell’organo bipartisan uno sconfinamento. Accusa rispedita al mittente: “Io insisto sempre a dire che non ci occupiamo di scelte di mercato, ma di interesse nazionale”, ci dice Volpi. “La speranza è di aver aumentato la consapevolezza dei rischi. E forse un po’ di deterrenza l’abbiamo messa in campo”.

Che asset strategici del Paese facciano gola ad attori stranieri, non è un mistero. Che facciano gola anche a vicini di casa, come i francesi, nemmeno. Anche per questo il Copasir si è concentrato sul mondo finanziario. Tra i dossier più caldi, quello della scalata di Leonardo Del Vecchio, presidente esecutivo del gruppo italo-francese Exilor-Luxottica, in Mediobanca, dove vuole aumentare la sua quota dal 9,9% al 20%. Il timore del comitato è che l’operazione apra una finestra dall’estero nelle Generali, di cui Piazzetta Cuccia detiene oggi il 13%. “Lo dico in senso positivo. Ci possono essere, e spero che ci siano le condizioni per cui il sistema bancario assicurativo italiano trovi vie di convergenza per rafforzare la testa in Italia di queste grandi realtà”, spiega Volpi. Nella partita è entrata anche Unicredit di Jean-Pierre Mustier, sentito dal Copasir, che il leghista definisce “un manager capace, che fa molto bene il suo mestiere, predilige una dinamica molto rapida delle scelte e sa leggere bene la realtà italiana”.

Nel mirino dei cugini d’Oltralpe c’è anche un altro gioiello italiano, oggi di stanza a Londra. Si tratta di Borsa Italiana, in mano alla London Stock Exchange che però presto dovrà liberarsene, causa Brexit. Alla porta ci sono i francesi di Euronext. A meno che da Roma non si faccia avanti una cordata per riportare la Borsa (e i dati sensibili che contiene) nello Stivale. L’idea convince Volpi. “A prescindere dai nomi, e dal possibile coinvolgimento di Cdp, il mio personalissimo parere è che per operazioni di questo livello servano delle convergenze, alleanze con capacità contrattuali importanti che riportino un asset strategico in Italia. Non è remota la possibilità di mettere insieme un’alleanza”.

L’interesse verso asset italiani, va da sé, si spinge molto oltre i confini europei. È finito sulla scrivania di Palazzo San Macuto, ad esempio, l’interessamento del fondo australiano Macquarie ad acquistare la quota di Enel (50%, l’altro 50% è in mano a Cdp) di Open Fiber, la società a partecipazione pubblica che sta costruendo la fibra ottica in tutto il Paese. L’operazione ha una sua logica di mercato, perché, secondo alcuni analisti, smarcando Enel sbloccherebbe la partita Open Fiber-Tim per la rete unica in Italia.

Come riportato da Formiche.net, il comitato segue da vicino la vicenda. Volpi non commenta nel merito, perché, dice, “non abbiamo ancora fatto nomi di singoli attori né alcuna valutazione”, ma conferma l’indiscrezione di una possibile audizione di Open Fiber: “Abbiamo deciso che approfondiremo, questo certo, e ci sembra giusto ascoltare dagli operatori, dunque anche da Open Fiber, la loro versione”. Il tema è sensibilissimo, in ballo c’è la rete 5G su cui, dice Volpi, “penso che abbiamo individuato tutti gli strumenti per una valutazione dirimente del governo”.

Gli strumenti per intervenire e bloccare operazioni sospette ci sono. Il Golden power, ad esempio, su cui il governo ha fatto un lavoro di ricamo (anche con il Copasir) negli ultimi mesi, estendendo i poteri speciali a settori prima scoperti. Ma l’ultima parola, ricorda il leghista, spetta alla politica: “Il Golden power c’è, manca l’idea di applicarlo. Difficile migliorare uno strumento se non lo si usa, rimane un esercizio di teoria”.

È una tentazione, decidere di non decidere, che attraversa tutta la maggioranza, spiega Volpi, e non solo quando si parla di sicurezza. Manca la “concretezza” di cui ha parlato con il governo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dice. “Il Presidente, persona di alta moralità e rettitudine, già provato dal triste spettacolo che sta dando il mondo della magistratura, sta facendo un grande lavoro di diplomazia a sostegno dell’Italia più che del governo. Talvolta, sembra, quasi in supplenza del governo. Il suo è suonato come un richiamo chiaro: vi ho aiutato con l’Europa, indicato una strada, non posso sostituirvi. Se si chiede al presidente di risolvere tutti i problemi, allora è inutile parlare di Repubblica parlamentare”.

FONTE:https://formiche.net/2020/06/mediobanca-open-fiber-volpi-copasir/

 

 

 

 

Naomi Klein: il Coronavirus è il disastro perfetto per il “capitalismo dei disastri”

Traduzione di un’intervista di Marie Solis

17 / 3 / 2020

Naomi Klein spiega come i governi e le élite globali sfrutteranno la pandemia. Traduzione di Anna Clara Basilicò dell’articolo pubblicato in inglese su Reader supported News.

Il Coronavirus è ufficialmente una pandemia globale che ha contagiato, finora, 10 volte il numero di persone colpite da SARS. Scuole, università, musei e teatri stanno chiudendo in tutti gli Stati Uniti e presto potrebbero fare lo stesso intere città. Gli esperti avvertono che alcune persone, pur sospettando di essere affette da Covid-19, stanno continuando la loro routine quotidiana, sia perché non hanno accesso a misure sussidiarie di reddito, sia a causa del collasso sistemico del sistema sanitario privatizzato.

La maggior parte di noi non sa esattamente cosa fare o chi ascoltare. Il presidente Donald Trump ha contestato le raccomandazioni del Centro di Controllo e Prevenzione Sanitaria e questi segnali contraddittori hanno ridotto la finestra temporale entro cui agire per limitare i danni dell’epidemia.

Per i governi e le élite globali si tratta delle condizioni perfette per rendere effettivi quei programmi politici che, in circostanze diverse, se non fossimo tutti disorientati, incontrerebbero una durissima opposizione. Questa catena di eventi non è una prerogativa solamente della crisi provocata dal Coronavirus, è un progetto che la classe politica e i governi hanno perseguito per decenni e noto come “dottrina dello shock” secondo la categoria coniata dall’attivista e scrittrice Naomi Klein nel volume pubblicato nel 2007 [Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastrindt].

La storia è una cronaca di “shock” – gli shock della guerra, dei disastri naturali, delle crisi economiche – e delle loro conseguenze. Le ripercussioni si configurano nel cosiddetto “capitalismo dei disastri”, nelle “soluzioni” di libero mercato pianificate in risposta a crisi che sfruttano ed esasperano le disuguaglianze esistenti.

La Klein sostiene che stiamo già assistendo allo spettacolo del capitalismo dei disastri su scala nazionale. In risposta al Covid-19, Trump ha proposto un pacchetto di incentivi per 700 miliardi di dollari che includerebbe tagli sull’imposta sui salari (il che devasterebbe la previdenza sociale) e un sostegno alle imprese che registreranno un calo degli affari a causa della pandemia.

«Non lo stanno facendo perché credono sia il modo migliore per contenere il danno in tempo di pandemia – covano questo progetto da lungo tempo e ora hanno trovato un’opportunità per perseguirlo» sostiene la Klein.

Partiamo dalle basi. Cos’è il capitalismo dei disastri? Che rapporto ha con la dottrina dello shock?

Il modo in cui io intendo il capitalismo dei disastri è estremamente diretto: descrive il modo in cui l’industria privata si solleva per trarre profitto diretto da crisi su larga scala. Le speculazioni sulla catastrofe o sulla guerra non sono nulla di nuovo, ma sono seriamente cresciute sotto l’amministrazione Bush dopo l’11 settembre, quando il governo ha approvato questa sorta di crisi di sicurezza permanente, contemporaneamente privatizzandola e subappaltandola – tanto lo stato di sicurezza, privatizzata, interna quanto l’invasione e l’occupazione (anch’essa privatizzata) dell’Iraq e dell’Afghanistan.

La dottrina dello shock è la strategia politica dell’usare crisi su larga scala per far passare politiche che sistematicamente aumentano le disuguaglianze, arricchiscono le élite e tagliano fuori chiunque altro. Nei momenti di crisi, le persone tendono a concentrarsi sull’emergenza quotidiana del sopravvivere alla crisi, qualunque essa sia, e tendono a riporre fiducia eccessiva nel gruppo al potere. Distogliamo un po’ lo sguardo nei momenti di crisi.

Questa strategia politica da dove arriva? Come ricostruisci la sua storia nella politica statunitense?

La strategia della dottrina dello shock è una risposta al New Deal di Roosevelt. L’economista Milton Friedman riteneva che ogni cosa fosse andata per il verso sbagliato in America durante il New Deal: in risposta alla Grande Depressione e alle Dust Bowl [le tempeste di sabbia che colpirono gli USA e il Canada tra il 1931 e il 1939 provocandoun terribile disastro ecologico, con conseguenze su centinaia di migliaia di persone, ndt], emerse un governo più marcatamente attivista, che assunse come obiettivo la risoluzione diretta della crisi economica attraverso la creazione di posti di lavoro statali e offrendo sussidi immediati.

Se sei un economista che sostiene strenuamente il libero mercato, capirai che quando i mercati crollano la situazione si presta a un cambiamento progressivo in maniera molto più organica rispetto a quanto non facciano le politiche di deregulation funzionali alle multinazionali. Di conseguenza, la dottrina dello shock è stata sviluppata come un modo per prevenire la tendenza, durante le crisi, a dare spazio a momenti organici in cui le politiche progressiste potevano farsi strada. Le élite politiche ed economiche capiscono che i momenti di crisi rappresentano la loro occasione di far emergere la loro lista dei desideri di politiche – affatto popolari – in grado di polarizzare ulteriormente il benessere all’interno di questo Paese e in tutto il mondo.

Al momento stiamo fronteggiando più di una crisi contemporaneamente: una pandemia, la mancanza di infrastrutture per gestirla e il crollo del mercato azionario. Riesci a tracciare un profilo di come ciascuna di queste componenti si inserisce all’interno della cornice che hai tracciato nel volume Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri?

Lo shock è proprio il virus. Ed è stato gestito in modo da massimizzare la confusione e minimizzare la protezione. Non penso sia un complotto, è semplicemente il modo in cui il governo USA e Trump hanno gestito drammaticamente male la crisi. Trump finora ha trattato la cosa come se non fosse una crisi della salute pubblica, bensì come una crisi della percezione e un potenziale problema per la propria ri-elezione. È il peggior scenario possibile, soprattutto se lo si legge in relazione alla mancanza di un programma di health care nazionale e al terribile programma di tutela dei lavoratori. Questa combinazione di forze ha prodotto uno shock esponenziale, che verrà sfruttato per salvare le imprese al centro delle crisi più gravi che stiamo affrontando, come quella ecologica e ambientale: l’industria dei trasporti aerei, il settore del fossile, l’industria crocieristica – l’obiettivo è di sostenerle tutte.

Come abbiamo assistito in passato a questo spettacolo?

In Shock economy ho parlato di come tutto ciò fosse accaduto dopo l’uragano Katrina. I centri di ricerca di Washington come l’Heritage Foundation se ne vennero fuori con una lista di soluzioni a favore del libero mercato. Possiamo essere certi che la stessa tipologia di riunioni stia avendo luogo in questo momento – in effetti, a presiedere la commissione su Katrina fu Mike Pence [attuale vicepresidente degli Stati Uniti, ndt]. Nel 2008, la stessa dinamica si è avuta con il salvataggio delle banche, quando gli Stati hanno emesso una serie di assegni in bianco alle banche, che alla fine sono arrivati a un totale di migliaia di miliardi di dollari. Ma i costi reali della crisi hanno preso forma nell’austerity e nei successivi tagli ai servizi sociali. Di conseguenza non è solo quello che sta succedendo ora, ma il modo in cui la pagheranno giù in strada quando arriverà il conto per tutto questo.

Esiste qualcosa che le persone possono fare per limitare i danni del capitalismo dei disastri che già scorgiamo in risposta al Covid-19? Ci troviamo in una posizione migliore o peggiore rispetto a quella in cui versavamo durante l’uragano Katrina o durante l’ultima recessione globale?

Quando reagiamo a una crisi o regrediamo e ci disperdiamo o cresciamo e troviamo riserve di forza e compassione che non credevamo di possedere. Questo sarà uno di questi test. La ragione per cui nutro qualche speranza sul fatto che sceglieremo di evolverci è che – a differenza del 2008 – abbiamo una reale alternativa politica che sta proponendo una risposta diversa alla crisi, una risposta che attacca alle radici le cause della nostra vulnerabilità e che ha un movimento politico tanto più esteso a sostenerla.

Questo è quello che tutto il lavoro intorno al Green New Deal ha rappresentato: prepararsi a un momento come questo. Semplicemente, non possiamo perdere il nostro coraggio; dobbiamo combattere più forte di prima per una sanità pubblica universale, per l’assistenza universale all’infanzia, per i permessi per malattia pagati – è tutto strettamente legato.

Se i nostri governi e le élite globali sfrutteranno questa crisi per i loro fini, le persone cosa possono fare per prendersi cura gli uni degli altri?

«Io mi prenderò cura di me e di me stesso, possiamo avere la migliore assicurazione in circolazione, e se tu non ne hai accesso è probabilmente colpa tua, non è un problema mio»: è questo che questa specie di economia alla winners-take-all fa alle nostre menti. Quello che un momento di crisi come questo scopre è la nostra permeabilità reciproca. Stiamo vedendo in tempo reale come siamo, in realtà, molto più legati gli uni agli altri di come il nostro brutale sistema economico ci vorrebbe far credere.

Potremmo pensare di essere al sicuro, se abbiamo una buona assicurazione sanitaria, ma se le persone che preparano il nostro cibo, che lo consegnano o che impacchettano le nostre scatole non hanno accesso a nessuna assicurazione e non possono permettersi il test – e figurarsi se possono rimanere a casa dal lavoro, dato che non hanno i permessi per malattia pagati – nemmeno noi saremo al sicuro. Se non ci prendiamo cura gli uni degli altri, nessuno di noi può dirsi al sicuro. Siamo intrappolati.

Modi diversi di organizzare la società mostrano parti diverse di noi stessi. Se fai parte di un sistema che sai non prendersi cura delle persone e non redistribuire le risorse in maniera equa, allora la parte più egoistica di te verrà sollecitata. Serve essere consapevoli di questo e pensare al modo in cui, invece di accumulare e di pensare al modo in cui prenderti cura di te stesso e della tua famiglia, puoi fare perno sulla condivisione con i tuoi vicini e sull’attenzione alle persone più vulnerabili.

FONTE:https://www.globalproject.info/it/mondi/naomi-klein-il-coronavirus-e-il-disastro-perfetto-per-il-capitalismo-dei-disastri/22638

 

 

 

Strage di Bologna: la verità in documenti ancora segreti?

Il 27 giugno saranno 40 anni dalla Strage di Ustica. E il 2 agosto dalla strage alla stazione di Bologna. Segnaliamo una clamorosa novità sulla strage di Ustica: la ricostruzione, grazie al reportage del giornalista Pino Finocchiaro, dell’audio dalla cabina del DC9 Itavia in cui il copilota Enzo Fontana dice: “Guarda, cos’è quello?”. Le ultime parole pronunciate dal copilota avvalorerebbero l’evento esterno alla base del disastro aereo così come sancito dalla Cassazione in sede civile. La voce strozzata del pilota conferma che in cabina di pilotaggio videro arrivare qualcosa: un missile o un velivolo da guerra così come ipotizzato dal giudice istruttore Rosario Priore e dai magistrati di rito civile in tutti i gradi di giudizio.
Seconda novità: strage di Bologna.  Carlo Giovanardi: “Ci sono carte che avrebbero potuto riscrivere la storia”. Partecipando ai lavori della Commissione Moro, il senatore dichiara di aver trovato carte che avrebbero potuto ricostruire la storia delle due stragi. Il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti presieduto da Raffaele Volpi auspica che i documenti custoditi negli archivi delle agenzie di sicurezza sul sequestro Moro, sulla strage di Bologna e quella di Ustica siano desecretate e messe a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Vi proponiamo la puntata di byoblu in onda lo scorso 13 febbraio, ospite Edoardo Sylos Labini, a 40 anni dalla consumazione di una delle stragi più efferate della storia italiana,

GUARDA IL VIDEO:

Ancora tu. Verrebbe da citare il grande Battisti per commentare l’ennesimo ingresso in scena del Venerabile Licio Gelli, fra gli indagati nella nuova inchiesta sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, costata la vita a 85 persone e il ferimento di oltre 200, conclusa dalla procura generale del capoluogo felsineo. Fra gli indagati Paolo Bellini: ritenuto esecutore materiale dell’attentato, ex di Avanguardia nazionale e informatore dei servizi segreti, indicato come esecutore materiale dell’attentato insieme a Valerio FioravantiFrancesca Mambro (già condannati in via definitiva, da sempre si dichiarano innocenti), Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini (condannato in primo grado per concorso in strage) e “con altre persone da identificare”.

E qui torna la P2: Bellini avrebbe agito in concorso con Licio GelliUmberto OrtolaniFederico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi. Tutti deceduti.

Ma l’avvocato Raffaello Giorgetti, storico legale di Licio Gelli, afferma: “Una volta testualmente il Gelli mi disse, prima che fosse coinvolto in questo processo, “E’ impossibile che sia una strage commessa da un italiano ma può essere stata commessa solo da terroristi stranieri”. (fonte AdnKronos)

Già, la pista palestinese. Ce la ricorda Edoardo Sylos Labini, editore del mensile CulturaIdentità, ospite il 13 febbaraio del TgTalk di Byoblu, insieme a Paolo Bolognesi, Presidente Associazione familiari delle vittime, Adriano Tilgher, già leader di Avanguardia Nazionale, l’ex direttore responsabile di Lotta Continua Fulvio Grimaldi e Giancarlo Seri, Sovrano Gran Maestro.

Nel corso della trasmissione Tilgher ha fatto notare che se Bellini fosse stato di Avanguardia Nazionale, nata nel 1970 e sciolta nel 1976, avrebbe dovuto avere 16 anni. L’ex leader di Avanguardia afferma di non aver mai sentito parlare di lui: anche confrontandosi, a suo tempo, con Stefano Delle Chiaie (deceduto quest’anno), non gli risultava alcunchè su Paolo Bellini.

Orologio della stazione di Bologna fermo alle 10:25 ora della strage del 02/08/1980 – Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported

Per illuminare i fatti della strage di Bologna, varrebbe la pena, come ha ricordato Sylos Labini, di ripartire dalla Conferenza Intergruppo 2 agosto. La verità, oltre il segreto sulla strage di Bologna, promossa lo scorso anno dai deputati Federico Mollicone e Paola Frassinetti e tutti i partiti dell’arco costituzionale.

Una lunga catena di ipotetiche (sottolineiamo: ipotetiche) responsabilità che partono dallo “sfregio” italiano al famoso lodo Moro e passano attraverso il coinvolgimento del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina sostenuto dall’oltranzismo antiatlantico della sinistra insurrezionale internazionale per arrivare alla stagione delle bombe del biennio 1992/1993 coincidente con l’inizio della stagione di Mani Pulite, forse una “punizione” a danno dell’Italia per la sua politica estera non ostile ai “vicini di casa” (Libia), da parte americana dopo la fine dello spauracchio comunista.

Labini cita in proposito l’intervista a Stefania Craxi (che si può leggere integralmente sullo scorso numero di febbraio di CulturaIdentità).

Ci atteniamo alle decisioni della Procura, ma pensiamo che varrebbe la pena ripartire anche da piste, come quella palestinese, che secondo noi non sono ancora state percorse fino in fondo.

FONTE:https://culturaidentita.it/strage-di-bologna-la-verita-in-documenti-ancora-segreti/

 

 

 

ECONOMIA

Il Mes è in crisi, e intanto l’Europa smentisce l’assenza di condizioni e sorveglianza

In Italia il dibattito sul Mes è surreale, perché si basa su qualcosa che non esiste: il Mes senza condizionalità.

Si ignorano le regole dei trattati che prevedono condizioni rigorose per l’accesso al prestito, e si ignora finanche quanto dichiarato dal vice presidente della Commissione Europea Dombrovskis, il quale non sostiene mica che non avremo condizionalità, ma che avremo non meglio precisate “condizioni light” e “sorveglianza light”.

Ricordiamoci che in caso di prestiti i trattati prevedono un tipo di sorveglianza, che non è light ma rafforzata, come quella attualmente vigente in Grecia. Periodicamente esponenti del Mes e della Commissione Europea si recano ad Atene per assicurarsi che il governo faccia quanto concordato quando è stato concesso il prestito, più altre prescrizioni in corso d’opera.

In Italia siamo passati dal Mes con condizionalità rigorose, e non abbiamo abboccato, troppo malcontento affinché il governo potesse con serenità metterci questo cappio al collo.

Quindi ci hanno proposto il Mes light, ma nemmeno in questo caso ci siamo cascati.

Dunque sono passati al Mes senza condizionalità ma con la sorveglianza rafforzata della Commissione Europea. Niente, gli italiani non hanno digerito nemmeno questa strana offerta. D’altronde cosa dovrebbero sorvegliare se non ci impongono condizioni?

Allora dall’Italia ci hanno presentato l’ennesima offerta, ossia il Mes senza condizionalità, poi come già detto smentita dall’Europa.

Insomma, il Mes sembra un venditore con prodotti fuori mercato, e quindi lancia super offerte speciali, poi smentite, poi confermate e poi nuovamente smentite.

Il motivo per cui il Mes è in crisi ve l’ho spiegato più volte, ne ho parlato qualche mese fa nell’articolo “Crisi, MES e l’incredibile verità sull’entrata in scena di Draghi: spiegato facile”.

La lunga battaglia legale tra la Bce e la Corte Costituzionale tedesca si è ad oggi conclusa favorevolmente agli interventi di sostegno della Bce che hanno sino ad ora evitato crisi finanziarie, che avrebbero dato potere di contrattazione al Mes.

La colpa non è mica dei giudici tedeschi o dei giudici europei, ma del sistema di regole che in primis Germania e Francia – con l’assenso di tutti gli altri paesi compresa l’Italia – hanno messo in piedi dopo la crisi del 2008, che è incoerente rispetto ai trattati fondamentali, nonché caratterizzato da vuoti normativi che compromettono gli equilibri di potere previgenti in Europa, almeno formalmente basati sulla parità tra stati.

La Corte Costituzionale tedesca bacchetta infatti anche il proprio governo e il proprio parlamento. Non è un caso che Schauble ha lanciato un grido d’allarme sulla sopravvivenza dell’euro messa a rischio dai giudici tedeschi.

In questa intervista su Byoblu spiego tutto questo, e quindi anche perché la decisione della Corte Costituzionale tedesca è legata al destino del Mes.

VIDEO QUI: https://youtu.be/C_eS8hcvWlw

Per concludere, il sistema di potere creato con il Mes è in crisi, e gli interventi della Bce ne rendono praticamente inutile e sconveniente l’uso da parte di paesi dell’Eurogruppo. Stanno tentando di sopravvivere.

La Spagna ha già fatto sapere che non è interessata

A quanto pare, a portare avanti la battaglia in favore del Mes è rimasto solo il pd, mentre il m5s continua ad opporsi, perché evidentemente ha sentito la puzza bruciato dietro l’uscio di casa. Se il governo fa ricorso al Mes il m5s perde tutti o quasi i suoi voti.

FONTE:http://www.lidiaundiemi.it/2020/05/09/il-mes-e-in-crisi-e-intanto-leuropa-smentisce-lassenza-di-condizioni-e-sorveglianza/

 

 

 

Il Virus, opportunità Tutti-Frutti

Mentre i Governi cavalcano la fase Post-Emergenza, le opposizioni aspettano al varco

16 giugno 2020

Guido Salerno Aletta

Guido Salerno Aletta
Editorialista dell’Agenzia Teleborsa

Nessuna crisi va sprecata. Serve discontinuità, ad ogni costo, per governare i processi di cambiamento.

Il superamento della emergenza sanitaria determinata dalla epidemia di Covid-19 viene strumentalizzato dappertutto nel mondo: sia da coloro che stanno al governo, sia da coloro che stanno all’opposizione.

I Governanti avanzano proposte volte a sostenere la ripresa economica, gli aiuti erogati alle famiglie ed alle imprese, così come gli investimenti, al fine di consolidare il proprio potere e realizzare le proprie strategie interne ed internazionali.

Le opposizioni aspettano che dilaghi la paura del futuro, si accingono a raccogliere la rabbia popolare derivante dalle nuove povertà determinate dalla crisi, per scalzare i governi. Per loro non c’è che da aspettare.

In Cina, la discontinuità è funzionale ai nuovi paradigmi di sviluppo

Le misure di controllo sociale che è stato necessario introdurre per evitare il diffondersi del contagio sono funzionali alle esigenze di un sistema politico che non può lasciare le dinamiche della crescita in mano alle sole logiche del capitalismo. Non si può continuare a reinvestire ogni profitto in nuova capacità produttiva, né in nuove costruzioni immobiliari che garantiranno rendite e plusvalenze. Anche il flusso di investimenti pubblici in infrastrutture diviene poco sostenibile.

C’è bisogno di governare il rallentamento, spostando l’asse della crescita verso i consumi collettivi all’interno, assorbendo il risparmio: sanità, istruzione e previdenza saranno strumenti di riequilibrio e di stabilizzazione.

Soprattutto in vista di un ribilanciamento delle relazioni con gli Usa, che hanno un risvolto molto rilevante dal punto di vista commerciale, occorre un netto raffreddamento delle dinamiche produttive in atto per poterle orientare verso le nuove strategie di crescita.

In Europa, la discontinuità serve all’Asse franco tedesco.

Il conflitto geopolitico tra Usa e Cina impone una accelerazione delle politiche volte a fare della Unione un soggetto “quarto”, nel confronto globale, accelerando la transizione verso modelli di produzione più sostenibili dal punto di vista ambientale, riportando al centro le nuove tecnologie e la capacità di competere alla pari con i colossi americani e cinesi. Decenni di Antitrust europeo, attento alla competizione interna, hanno limitato la crescita di soggetti in grado di contrapporsi. Solo Airbus, creata volutamente per contrastare il predominio americano della Boeing, ha fatto eccezione alla regola.

L’asse franco-tedesco ha interesse a strumentalizzare questa fase post-pandemica per rafforzare un assetto di programmi europei che superino il tradizionale divieto di aiuti di Stato alle industrie in quanto distorcono la concorrenza. I programmi europei, se finanziano programmi industriali sono per principio “pro-competitivi”. Gli incentivi di Bruxelles sono una maschera ben costruita: andranno a sostenere i processi di sviluppo delle imprese che fanno capo a Parigi ed a Berlino.

Il Recovery Fund, il programma di aiuti volti a realizzare la Next Generation UE, è solo una trappola, un amo al quale agganciare i Paesi indeboliti da un decennio di austerità forzata, imposta con il Fiscal Compact, e che rischiano il collasso finanziario e sociale dopo questa nuova crisi.

Ben conoscendo l’atteggiamento fortemente negativo delle popolazioni europee verso il controllo internazionale esercitato dalla Troika e dal Fondo Salva Stati, si mette in piedi una commedia in cui la regia è il controllo di Bruxelles sulla gestione dei programmi di aiuto previsti dal Recovery Fund: saranno condizionati ad una serie di impegni di sottomissione, sulla base delle disposizioni dell’articolo 122 del Trattato: “Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato“.

In Italia, la discontinuità serve ad imporre le Riforme strutturali

Il Governo Conte sta spianando la strada alla Troika: non vuole recitare, fra settembre e dicembre e poi nuovamente a maggio, la solita litania del Fiscal Compact, con le lettere che vanno avanti ed indietro tra Bruxelles e Roma.

Ha fatto preparare il Piano Colao solo per avere in mano le carte che servono per chiedere gli aiuti previsti dal Recovery Fund. Non c’è neppure una parola sui finanziamenti necessari, né sulle coperture: ci penserà Bruxelles.

La BCE, con il PEPP, compra titoli di Stato ed evita di infiammare il dibattito politico: è il solito pezzo di formaggio, messo in fondo alla trappola per i topi. Vorrebbe mostrare un volto umano, nascondere la ferocia dimostrata con la Grecia, quando bloccò tutte le banche, i prelievi dai bancomat, i conti correnti e le carte di credito, per costringere il governo Tsipras a capitolare.

C’è chi fa finta di non ricordare la brutalità di quella decisione, che fece calare sul collo della popolazione greca una ghigliottina monetaria senza precedenti.

In Italia, c’è dunque chi pianifica di incatenarsi all’Europa, attivando subito il MES sanitario, il programma SURE e il Recovery Fund: per mettersi così al riparo da qualsiasi ribaltone, nella maggioranza di governo o alle elezioni.

Il Parlamento è stato zittito, tutto si svolge al di fuori dalle dinamiche istituzionali, agli Stati Generali che si tengono nel Palazzo di Villa Pamphili.

Negli Usa, la discontinuità condiziona le Presidenziali

Negli Usa, occorre una sterzata profonda al modello di crescita, basato sui servizi: se hanno un enorme valore dal punto di vista del PIL, dalla sanità alla istruzione, dalle assicurazioni alla previdenza, non sono sostenibili per via della mancanza di una base produttiva adeguata. La disoccupazione viene combattuta, ma offrendo salari bassissimi.

Gli Usa importano pressoché tutto, a debito. Bisogna reindustrializzare l’economia per riportare in pareggio la bilancia commerciale, soprattutto con la Cina nei cui confronti il deficit supera i 450 miliardi di dollari ‘anno.

La crisi sanitaria accelera la necessità di una discontinuità.

Dopo il primo momento di sbandamento e di sottovalutazione, la Amministrazione Trump ha reagito con decisione alla emergenza sanitaria, soprattutto sul versante economico e finanziario.

Gli aiuti ad imprese e famiglie non sono stati lesinati, con un deficit federale alle stelle e la Fed che ha ricominciato a pompare liquidità senza soste.

Era scontato che venissero strumentalizzate le proteste di piazza contro le violenze che sono state usate dalla polizia nei confronti degli Afroamericani. C’è chi spera di mobilitare così il voto a favore del candidato democratico Biden.

La campagna per le Presidenziali durerà tutta l’estate, tra le preoccupazioni per la disoccupazione e le aziende che chiudono, ma intanto il Presidente Trump ha proposto un piano infrastrutturale da mille miliardi di dollari. Una spesa che avrebbe un bassissimo impatto sulle importazioni, ed un alto valore in termini di aumento della produttività complessiva.

Mentre i Governi cavalcano la fase Post-Emergenza, le opposizioni aspettano al varco

FONTE:https://www.teleborsa.it/Editoriali/2020/06/16/il-virus-opportunita-tutti-frutti-1.html#.Xux0pGgzbIU

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

IL FENOMENO DELLE FAKE NEWS

21 April 2020 | by Abbate Valerio | in Penale

Secondo l’Internet Consumer Report 2019, l’ 81 % degli utenti si informa on line prima di prendere decisioni anche importanti e l’82 per cento non sa riconoscere una fake news da una notizia vera. Questi sono dati davvero preoccupanti dato l’evolversi in negativo della situazione.

La pubblicazione e la divulgazione di fake news sta aumentando parecchio in questo periodo. Da anni vengono cercate delle soluzioni per questo problema sia di carattere legislativo sia amministrativo come la costituzione di una commissione di inchiesta parlamentare e di leggi per lottare contro questo fenomeno che si fa strada soprattutto con i social network.

Alcuni politici considerano le fake news come “un fenomeno dilagante capace di condizionare la politica e gli esiti di un’elezione, di distruggere la reputazione di figure pubbliche ma anche di privati cittadini”.

In effetti in Italia nella seconda metà del 2019, verso l’inizio dell’estate, anche Facebook aveva censurato parecchie pagine create appositamente per la divulgazione di Fake News. Da analisi era stato appurato che la creazione dei profili falsi era stata effettuata alla vigilia delle elezioni europee. I profili risalivano ad appartenenti ad organizzazioni politiche in prima linea.

Una delle tante era “Vogliamo il movimento 5 stelle al governo”, pagina non ufficiale del M5S che però aveva parecchio sostegno con quasi 130.000 followers e negli ultimi tre mesi aveva raggiunto 700.000 interazioni. Ovviamente la pagina diffondeva notizie false su qualsiasi avversario politico e su qualsiasi personaggio famoso si mettesse contro il M5S.

Vi ricordate il video mostrato con il logo della Lega, che mostra alcuni migranti che distruggono una macchina dei carabinieri?. Circa 10 milioni di visualizzazioni! Una “ottima” notizia falsa atteso che si tratta della scena di un film.

Il business delle fake news ha anche portato a due fenomeni: riciclaggio di followers e aumento di falsi profili. Il riciclaggio di followers è quando si cambia nome della pagina a seconda del periodo e dello scopo che ha il suo amministratore tradendo la volontà dei seguaci che magari mettono mi piace ad una pagina di medicina e poi si ritrovano in una pagina di politica. Profilo falso invece è un profilo che ha un nome astratto ma nasconde un pensiero politico ben saldo condividendo magari i post di un sito internet, in pratica fa da mediatore tra il partito e gli utenti del social network.

Bisogna quindi attenzionare fake news, parole d’odio e profili che non corrispondono a quanto intestato sia perché violano la policy del più importante social del mondo ma anche perché potrebbero condizionare il pensiero di molti utenti con l’inganno.

Non dimentichiamoci anche in questo periodo di emergenza della disinformazione sui vaccini che c’è stata tempo addietro (tramite catene whatsapp) o l’ipotesi delle ONG di essere coinvolte con il sistema dei scafisti.

In ambito giuridico alcuni giustificano tutto questo con l’articolo 21 della Costituzione italiana. In pratica secondo alcuni giuristi la pubblicazione di una bufala significa manifestare liberamente il proprio pensiero da parte dell’autore e la stampa non potrebbe in alcun modo essere soggetta ad autorizzazione o censure.

Ma è realmente così?

La cosa certa è che qualsiasi giornale cartaceo o digitale non può ricevere censure per diffamazioni (a mezzo stampa). Ma bisognerebbe capire in primis se il sito dove è avvenuta la pubblicazione possa essere considerato dalle legge una rivista o in giornale.

Oggi le pubblicità ci avvertono che l’informazione è una cosa seria e necessaria anche per la sicurezza dei cittadini. Però ancora nel web sono presenti alcune testate online che diramano notizie non vere solo per avere parecchie visualizzazioni che ovviamente provocano errata divulgazione in cambio di alti guadagni.

Quando queste notizie vengono pubblicate dagli stessi utenti dovrebbe essere lo stesso social network a contrastare la pubblicazione dei contenuti illeciti e di gestire eventuali reclami. Ovviamente ciò è più difficile quando la notizia viene pubblicato su un qualsiasi blog.

In questi casi nell’ordinamento giuridico italiano esiste l’ art 321 del codice di procedura penale che recita: “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”

Ovviamente una notizia non vera con la sua divulgazione da parte di utenti inconsapevoli della veridicità o meno dei contenuti agevola la commissione di altri reati e ne aggrava le conseguenze aumentandone il raggio di azione.

Il sequestro del sito o l’oscuramento delle sue pagine però dovrà essere motivato e quindi dovrà essere verificata la sua legittimità.

Ovviamente c’è un motivo per cui si procede al sequestro e i motivi sono due: o per evitare che la disponibilità di una cosa pertinente al reato possa far persistere o aggravare le conseguenze dello stesso, oppure per evitare che ciò possa agevolare la commissione di altri reati. In quel caso vi troverete home page del sito con frontespizio del decreto di sequestro.

Tutto parte da una richiesta di oscuramento di una singola notizia o dell’intero sito in base alla gravità dei contenuti da parte della magistratura a seguito di una querela per diffamazione o una qualsiasi denuncia da parte di terzi, dopo che si è accertata l’esistenza del danno.

A volte bisogna stare attenti a non esagerare però, il sequestro preventivo di un intero sito dovrebbe essere effettuato quando il giornale ad esempio è accusato di apologia al fascismo o in qualche modo pregiudica la sicurezza della Stato o il suo buon costume ma quando in realtà il querelante ha denunciato un articolo specifico come ad esempio è avvenuto ad un famoso giornale anti bufale nazionale basterebbe solo il suo oscuramento.

Un medico oncologo aveva querelato il giornale per aver scritto parole non vere sul suo conto, la magistratura aveva disposto il sequestro dell’intero sito e ovviamente i difensori ne hanno ottenuto il dissequestro e l’oscuramento solo dell’articolo incriminato fino a fine processo.

La questione è stata anche valutata da un’importante pronuncia della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (n. 31022/2015) in cui si legge: “A partire dalla convenzione sul cybercrime del 2008 (ratif. L. 48/2008) il dato informatico è equiparabile al concetto di “cosa” pertinente al reato, in tal caso sequestrabile” e, pertanto, “ne deriva che al pari della stampa cartacea, ai sensi dell’art. 21 Cost., la stampa online non può essere oggetto di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p. a seguito della commissione del delitto di diffamazione a mezzo stampa”. La conclusione è negare il sequestro dell’intero sito per quanto riguarda la diffamazione, affermando pertanto la sicura possibilità di sottoporre a sequestro preventivo le pagine o i contenuti di tali mezzi informatici.

Ovviamente la Suprema Corte si ferma e non considera estendibile tale concetto ai mezzi di comunicazione come blog, social network e forum in quanto non ufficialmente definibili mezzi di stampa.

Ecco che per essere considerato un giornale on-line o una testata digitale deve avere dei requisiti imprescindibili che sono indicati nella legge 62/2001 – Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali.

Le testate giornalistiche on-line – in quanto “prodotto editoriale” – devono obbligatoriamente avere un direttore responsabile iscritto all’Albo dei giornalisti , un editore e uno stampatore che ovviamente per una testata online è il provider di servizi che mette a disposizione dello scrittore il proprio server per la pubblicazione delle informazioni, ma solo quando hanno una regolare periodicità (quotidiana, settimanale, mensile, bimestrale, etc)”. Inoltre deve essere necessaria l’iscrizione presso la cancelleria del tribunale dove ha sede la redazione e il tutto dovrebbe essere reso noto nel sito web per la sua autenticità. Questo aiuterebbe ogni utente a capire se la notizia proviene da un giornale ufficiale o meno. Ma questo ovviamente non avviene ed è anche vero che questi requisiti vengono meno quando manca la periodicità e anche l’ottenimento di finanziamenti pubblici.

Per i periodici non registrati e non periodici invece vige la legge n. 47/1948 che aell’articolo 2 recita: “Ogni stampato deve indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell’editore. I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d’informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione: del luogo e della data della pubblicazione; del nome e del domicilio dello stampatore; del nome del proprietario e del direttore o vicedirettore responsabile. All’identità delle indicazioni, obbligatorie e non obbligatorie, che contrassegnano gli stampati, deve corrispondere identità di contenuto in tutti gli esemplari”.

La legge ovviamente punisce qualsiasi stampa clandestina, stampa non registrata e in cui manca qualsiasi nome dell’editore, identità dello stampatore ma anche quando viene dichiarato il falso, come parecchie volte.

Una notizia è un ricordo di un qualsiasi avvenimento importante. Segna con carattere indelebile un’esperienza passata in un determinato contesto storico. Non roviniamo la realtà e aiutiamo a scovare le notizie false, informiamoci prima di condividere.

FONTE:http://www.salvisjuribus.it/il-fenomeno-delle-fake-news/

 

 

IMMIGRAZIONI

Sbarcano migranti Covid-positivi ma il Viminale smantella il Dl Sicurezza

La maggioranza fa pressioni per modificare i decreti sicurezza, ma intanto a Crotone è sbarcato un migrante positivo al Coronavirus e ad Agrigento un altro straniero è stato portato in ospedale dopo aver accusato un malore a bordo della nave-quarantena. Salvini: “Porti chiusi o sarà un disastro”

Mentre oggi pomeriggio si teneva al Viminale il vertice organizzato dai rappresentanti della maggioranza dell’esecutivo per decidere sulle modifiche da apportare al Decreto sicurezza, è arrivata la notizia di un caso di Coronavirus tra un gruppo di stranieri sbarcati di recente a Crotone.

Un fatto, questo, che ha immediatamente provocato la reazione dell’ex vicepremier Matteo Salvini, amareggiato da quanto sta per accadere ad uno dei provvedimenti a lui più cari. “Mentre il governo lavora per cancellare i decreti sicurezza e a Bergamo scoppia l’ennesimo scandalo sul business dell’accoglienza, a Crotone sbarcano 59 immigrati e spunta un caso di Coronavirus. Porti chiusi o sarà un disastro”, dichiara il leader della Lega, come riportato da “Agi”.

Dopo aver raggiunto in barca a vela le coste italiane lo scorso 13 giugno, gli stranieri sono stati sottoposti al test del tampone faringeo, ed uno di essi è risultato positivo. Si tratta di un giovane di nazionalità pakistana, ora in isolamento. Monitorate, naturalmente, anche le persone entrate in contatto con il ragazzo, inclusi operatori sanitari ed agenti di polizia. A questa notizia, è poi seguita quella di un altro cittadino extracomunitario trasportato di corsa in ospedale a causa di problemi di salute. Ristretto con altri immigrati in quarantena a bordo della nave Moby Zazà, a largo delle coste di Porto Empedocle (Agrigento), ha accusato un malessere (dei dolori al basso ventre, secondo alcune fonti) ed è stato portato in ambulanza al San Giovanni di Dio. Anche in Sardegna, alcuni giorni fa, un immigrato algerino appena sbarcato sull’isola era stato trovato positivo nel centro d’accoglienza di Monastir.

Ciò nonostante, come se nulla fosse mai accaduto, al termine del vertice con il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, i rappresentanti della sinistra si sono mostrati più che mai intenzionati ad andare avanti con le modifiche. “Cambieranno molte cose, il tema delle multe che era una delle osservazioni del presidente della Repubblica. Mi sembra che una delle questioni essenziali sia che i decreti Salvini avevano tolto la protezione umanitaria e questo ha prodotto la creazione di 30mila nuovi irregolari in più“, ha affermato il viceministro dell’Interno Matteo Mauri (Pd), come riportato da AdnKronos.

“I rilievi del presidente della Repubblica sui decreti sicurezza rappresentano un utile punto di partenza e non certo un punto di arrivo per una loro riscrittura. Deve essere infatti smontato l’impianto ideologico voluto dall’ex ministro Salvini a scopi propagandistici“, ha aggiunto Federico Fornaro, capogruppo di LeU alla Camera. “Una nuova politica dell’immigrazione deve innanzitutto riportare ad una corretta funzione sia il ruolo del ministero dell’Interno sia degli altri ministeri ed enti interessati, ponendo fine alla criminalizzazione delle ong e di chi opera nel campo dell’accoglienza e dell’integrazione. Le multe? C’è un cambio di paradigma: chi salva vite in mare va ringraziato e non multato”.

Più diretto il commento di Luca Rizzo Nervo, deputato Pd: “Il Partito democratico deve rivendicare un’ambizione maggiore che dia finalmente e per davvero conto della discontinuità sulle politiche migratorie dichiarata in premessa alla nascita di questo esecutivo. Il Pd quelle norme vergognose deve impegnarsi ad abrogarle. Sull’immigrazione abbiamo bisogno di un cambio di visione culturale e politica e per farlo occorre sgombrare il campo da anni di propaganda sulla pelle di migranti, Ong, operatori dell’accoglienza. Limitarsi a modificare quei decreti significherebbe di fatto accettare un impianto culturale razzista e inefficace che ha criminalizzato la povertà e il lavoro delle Ong, che ha smantellato il sistema di accoglienza più strutturato e trasparente (Sprar). Servono invece scelte nette”.

Difficile la posizione dei CinqueStelle, al governo con la Lega quando i decreti sicurezza furono emanati. Il capo del Movimento Vito Crimi ha dichiarato di essere intenzionato ad accettare solo quelle modifiche apportate ai punti indicati dal presindente Sergio Mattarella.

“Festeggiano i delinquenti come mafiosi e scafisti. Conte annuncia di voler calare le braghe e subito si moltiplicano le partenze: circa 600 clandestini salpati verso l’Italia nelle ultime ore, con più di 160 immigrati caricati dalla Ong Sea Watch. Questo governo è una sciagura anti-italiana”, ha dichiarato oggi Matteo Salvini sulla propria pagina Facebook.

FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/politica/sbarcano-migranti-covid-positivi-viminale-smantella-dl-1871395.html

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Bomba pensioni sul governo: possono cambiare gli assegni

La corte Costituzionale potrebbe dichiarare incostituzionale gli importi sulle pensioni di invalidità “costringendo” ad aumentarli

Una pronuncia attesissima quella della Corte Costituzionale prevista per il prossimo 23 giugno, i cui effetti potrebbero rappresentare, per il sistema delle pensioni, una vera e propria bomba sulle casse dell’Inps e dell’erario.

La suprema Corte, martedì prossimo, difatti, dovrà decidere riguardo alla richiesta della Corte di Appello di Torino riguardante le pensioni di invalidità totale, ritenuta da giudici piemontesi troppo bassa e, pertanto, in violazione dei principi dettati dalla Costituzione che prevede nell’art.38 della che “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale“.

L’attuale normativa prevede, difatti, che le persone con un’invalidità al 100% di età compresa tra i 18 e i 65 anni, viene riconosciuto un assegno mensile dell’importo di 286 euro in caso di un reddito inferiore ai 16.982,49 euro. Si tratta di una cifra estremamente bassa, soprattutto se messa a confronto con altre misure di sostegno al reddito come il Reddito di cittadinanza, ma pur essendo a lungo dibattuto un eventuale aumento degli assegni pensionistici, tutto è rimasto fermo sino alla richiesta della Corte di Appello di Torino.

I giudici piemontesi hanno ritenuto la somma prevista dalla legge “insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita“, in violazione del primo comma dell’articolo 38 della legge fondamentale del nostro Paese. Sulla base di questa posizione dottrinale la Corte di Appello ha ritenuto che non sia corretto che ci sia una tale differenza d’importo tra la pensione di invalidità (286,81 euro) e l’assegno sociale (459,83 euro) chiedendo alla Corte Costituzionale una pronunciazione di merito riguardo all’articolo 12, comma 1, della Legge del 1972 (e successivi aggiornamento) sugli invalidi civili che determina l’importo dell’assegno di pensione per gli invalidi civili totali.

Il punto ora, è quello di capire cosa succederà nel caso in cui la Corte ritenesse fondate le motivazioni addotte dai giudici di Torino. Difatti, questo presupporrebbe una modifica sostanziale degli importi stabiliti per legge con conseguenze per nulla trascurabili sulle casse dell’Inps soprattutto a seguito degli ultimi mesi, dove di soldi per CIG e misure di sostengo varie ne sono usciti davvero tanti.

Inoltre, una posizione favorevole all’aumento degli importi da parte dalla Corte rafforzerebbe le richieste di rivalutazioni degli assegni sulle pensioni, che è una delle battaglie portate avanti dai sindacati e che hanno provocato più volte dei momenti di tensioni tra parti sociali ed esecutivo. A sostengo di questa richiesta di rivalutazione ci sono anche molte sentenze tra cui quelle riguardanti le cosiddette “pensioni d’oro” e di cui Il Giornale.it si è già occupato.

Nel 2019 la Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia aveva accolto un ricorso presentato dal Cida (la Confederazione dei dirigenti), evidenziando che il prelievo sulle pensioni alte fosse una “decurtazione patrimoniale arbitrariamente duratura del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo gettito”.

Inoltre, anche il Tribunale di Milano, come già la Corte dei Conti, aveva ribadito, relativamente al prelievo forzoso su questi assegni pensionistici “alti”, la violazione dell’art.1 del Protocollo 1 della Cedu secondo cui : “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può esser privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste per legge e dai principi generali di diritto internazionale”.

Tutti questi fattori, messi insieme, potrebbero davvero provocare un salasso nelle casse già vuote dello Stato.

FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/economia/bomba-pensioni-sul-governo-possono-cambiare-assegni-1871341.html

 

 

 

Ecco come un lavoro stabile può diventare precario senza che il lavoratore se ne accorga

La precarietà invisibile che ti distrugge la vita

Il diritto è il linguaggio del potere, il diritto è l’arma del potere, la più potente che oggi viene utilizzata contro i lavoratori dei paesi occidentali. L’Italia è un esempio lampante.

A fine anno al Mise risultavano aperti ben 149 tavoli di crisi riguardanti vertenze eclatanti, come quella Mercatone Uno, Almaviva, Ilva e Alitalia, e vertenze meno eclatanti sconosciute alla maggior parte della gente.

Questa però è soltanto la punta compromessa di un gigantesco iceberg che presenta crepe in tutta la sua struttura, talmente profonde da far presagire un crollo dalle conseguenze incalcolabili, magari non immediato ma certamente a breve termine. Una o due generazioni al massimo.

Ecco, quest’iceberg è ovviamente il mondo del lavoro italiano, dilaniato da nuove riforme e “vecchie” norme che consentono oggi al capitale, in particolar modo alle multinazionali, di utilizzare leggi e strategie societarie quasi invisibili al lavoratore, mediante cui è stata svuotata dall’interno la possibilità di potere ottenere un posto di lavoro concretamente stabile.

Per i nuovi assunti il caso più intuitivo è l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che dal governo Monti in poi ha subito modifiche tali da non potere più garantire in molti casi la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiusto. I lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro in qualsiasi momento. Tuttavia molti di loro non ne sono consapevoli, ed il motivo è molto semplice: gli viene ripetuto ossessivamente che il loro contratto di lavoro è “stabile”, anche da chi ha fatto la propria fortuna elettorale promettendo di abolire quelle riforme che hanno distrutto l’articolo 18.

Fateci caso, oggi cercano di celare il mal tolto con statistiche dove viene messo in evidenza l’aumento dei posti di lavoro stabili che ormai non sono più tali.

Precari con un contratto di lavoro stabile, insomma, così nessuno se ne accorge, e la verità legale viene celata dietro errate convinzioni e slogan politici bugiardamente antisistema.

Mi è capitato di ascoltare giovani strafelici di avere finalmente ottenuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato come papà e mamma.

Non ho avuto il coraggio di dirgli che non solo il loro contratto non è quello dei loro genitori ma che questa precarietà invisibile oggi colpisce anche questi con metodi un tantino più complessi, e dunque ancora meno visibili.

Ne ho parlato tante volte. Quando le grandi aziende hanno in pancia migliaia di posti di lavoro veramente stabili e ben pagati, per intenderci quelli che si potevano avere con il vecchio articolo 18 e con una solida contrattazione collettiva, e il mercato offre lavoratori a basso costo, queste cercano – ovviamente dal canto loro – di buttar fuori i vecchi stabili per assumere i nuovi precari.
Se lo scopre, chi viene precarizzato si incavola parecchio e prova a difendersi, quindi meglio se non se ne accorge.

Per raggiungere tale obiettivo gli strumenti a disposizione delle aziende sono vari, ma ruotano principalmente attorno ad un concetto: esternalizzazione. Lo strumento più potente dal lato dell’impresa poichè nelle sue forme più sofisticate rende quasi invisibile la sua capacità di trasformare un posto di lavoro stabile in un posto di lavoro precario.

Uno dei metodi di esternalizzazione oggi più usati è conosciuto come “societarizzazione”, un termine che sembra non dire quasi nulla al lavoratore poco attento rassicurato dal fatto di lavorare per una multinazionale. Funziona così. Un giorno come tanti ad un lavoratore viene detto che lui e i suoi colleghi saranno trasferiti in una società di nuova costituzione che resterà comunque all’interno del gruppo multinazionali, e magari questa nuova società prenderà il nome della grande holding che si apprestano ad abbandonare. Una volta trasferiti, questi lavoratori guarderanno la busta baga e diranno “poco male! In fondo siamo sempre dipendenti della multinazionale!”. Peccato che non è così. Una multinazionale è formata da tante società più o meno importanti, e la legge italiana non prevede alcuna responsabilità solidale del gruppo nel suo complesso in favore dei dipendenti di una sola di esse, che è pertanto l’unica su cui gravano gli obblighi in favore dei lavoratori. Morale della favola, una multinazionale può produrre ingenti utili e mandare a casa i dipendenti di una società controllata, magari perchè un’altra società del medesimo ha deciso di togliergli la commessa ed affidarla ad un’altra società che ha assunto lavoratori a basso costo.

E’ così che il posto di lavoro stabile dei genitori diventa precario, una volta esternalizzati possono essere fatti fuori o costretti a rinegoziare il proprio salario. Ma per il mondo politico e per le statistiche loro continuano ad essere stabili.

Questa non è teoria, e non si tratta nemmeno di singoli casi, ma è ciò che sta accadendo alla classe media in tutti i settori produttivi.

Un’idea dell’importanza del fenomeno la si può ottenere entrando nelle aule di tribunale, dove ormai migliaia di lavoratori cercano di far valere il proprio diritto alla vera stabilità opponendosi a tali operazioni.

Sarebbe interessante censire le vertenze attualmente in atto, e con un certo stupore potremmo forse scoprire che queste crepe invisibili sono la triste realtà con cui dovremo scontrarci, purtroppo troppo tardi.

FONTE:http://www.lidiaundiemi.it/2020/01/03/ecco-come-un-lavoro-stabile-puo-diventare-precario-senza-il-lavoratore-se-ne-accorga/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

I cavi sottomarini di Facebook per l’Africa

La moderna versione delle vecchie catene coloniali

Manlio Dinucci - I cavi sottomarini di Facebook per l'Africa: la moderna versione delle vecchie catene coloniali

di Manlio Dinucci*

da il manifesto 16 giugno 2020

Molte industrie e società di servizi stanno fallendo o ridimensionandosi a causa del lockdown e della conseguente crisi. C’è invece chi ha guadagnato da tutto questo. Facebook, Google (proprietario di YouTube), Microsoft, Apple e Amazon – scrive The New York Times – «stanno facendo aggressivamente nuove scommesse, poiché la pandemia del coronavirus li ha resi servizi quasi essenziali». Tutti questi «Tech Giants» (Giganti della tecnologia) sono statunitensi.

Facebook – definito non più social network ma «ecosistema», di cui fanno parte anche WhatsApp, Instagram e Messenger  – ha superato i 3 miliardi di utenti mensili. Non c’è quindi da stupirsi se, in piena crisi da coronavirus, Facebook lancia il progetto di una delle maggiori reti di cavi sottomarini, la 2Africa: lunga 37.000 km (quasi la massima circonferenza della Terra), circonderà l’intero continente africano, collegandolo a nord all’Europa e ad est al Medioriente.

I paesi interconnessi saranno inizialmente 23. Partendo dalla Gran Bretagna, la rete collegherà il Portogallo prima di iniziare il suo cerchio attorno all’Africa attraverso Senegal, Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria, Gabon, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo, Sudafrica, Mozambico, Madagascar, Tanzania, Kenya, Somalia, Gibuti, Sudan, Egitto. In quest’ultimo tratto, la rete sarà collegata a Oman e Arabia Saudita. Quindi, attraverso il Mediterraneo, arriverà in Italia e da qui in Francia e Spagna.

Questa rete a grande capacità – spiega Facebook – costituirà «il pilastro di una enorme espansione di Internet in Africa: le economie fioriscono quando c’è un Internet largamente accessibile per le imprese. La rete permetterà a centinaia di milioni di persone l’accesso alla banda larga fino al 5G». Questa, in sintesi, la motivazione ufficiale del progetto. A metterla in dubbio basta un dato: nell’Africa subsahariana non hanno accesso all’elettricità circa 600 milioni di persone, equivalenti a oltre la metà della popolazione.

A cosa servirà allora la rete a banda larga? A collegare più strettamente alle case madri delle multinazionali quelle élite africane che ne rappresentano gli interessi nei paesi più ricchi di materie prime, mentre cresce il confronto con la Cina che sta rafforzando la sua presenza economica in Africa.

La rete servirà anche ad altri scopi. Due anni fa, nel maggio 2018, Facebook ha stabilito una partnership con l’Atlantic Council (Consiglio Atlantico), influente «organizzazione nopartisan», con sede a Washington, che «promuove la leadership e l’impegno Usa nel mondo, insieme agli alleati». Scopo specifico della partnership è garantire «il corretto uso di Facebook nelle elezioni in tutto il mondo, monitorando la disinformazione e l’interferenza straniera, aiutando a educare i cittadini e la società civile».

Quale sia l’affidabilità dell’Atlantic Council, particolarmente attivo in Africa, lo si deduce dalla lista ufficiale dei donatori che lo finanziano: il Pentagono e la Nato, la Lockheed Martin e altre industrie belliche (compresa l’italiana Leonardo), la ExxonMobil e altre multinazionali, la Bank of America e altri gruppi finanziari, le Fondazioni di Rockefeller e Soros.

La rete, che collegherà 16 paesi africani a 5 alleati europei della Nato sotto comando Usa e a 2 alleati Usa in Medioriente, potrà svolgere un ruolo non solo economico, ma politico e strategico. Il «Laboratorio di ricerca digitale forense» dell’Atlantic Council, attraverso Facebook, potrà comunicare ogni giorno ai media e ai politici africani quali notizie sono «false» e quali «vere». Le informazioni personali e i sistemi di tracciamento di Facebook potranno essere usati per controllare e colpire i movimenti di opposizione. La banda larga, anche in 5G, potrà essere usata dalle forze speciali Usa e altre nelle loro operazioni in Africa.

Nell’annunciare il progetto, Facebook sottolinea che l’Africa è «il continente meno connesso» e che il problema sarà risolto dai suoi 37.000 km di cavi. Essi possono essere usati, però, quale moderna versione delle vecchie catene coloniali.

*Pubblichiamo su gentile concessione dell’Autore

FONTE:https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-manlio_dinucci__i_cavi_sottomarini_di_facebook_per_lafrica_la_moderna_versione_delle_vecchie_catene_coloniali/82_35657/

 

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

L’uomo artificiale

05 gennaio, 2020

Questo articolo è stato pubblicato in versione ridotta su la Verità del 31 gennaio 2020 con il titolo “L’intelligenza artificiale non esiste ma serve a renderci come macchine”.

Non passa giorno senza che ci si imbatta nell’annuncio di nuove e vieppiù audaci applicazioni dell’intelligenza artificiale: quella all’indicativo futuro che guiderà le automobili, diagnosticherà le malattie, gestirà i risparmi, scriverà libri, dirimerà contenziosi, dimostrerà teoremi irrisolti. Che farà di tutto e lo farà meglio, sicché chi ne scrive immagina tempi prossimi in cui l’uomo diventerà «obsoleto» e sarà progressivamente sostituito dalle macchine, fino a proclamare con dissimulato orgasmo l’avvento di un apocalittico «governo dei robot». Questo parlare di cose nuove non è però nuovo. La proiezione fantatecnica incanta il pubblico da circa due secoli, da quando cioè «la religione della tecnicità» ha fatto sì che «ogni progresso tecnico [apparisse alle masse dell’Occidente industrializzato] come un perfezionamento dell’essere umano stesso» (Carl Schmitt, Die Einheit der Welt) e, nell’ancorare questo perfezionamento a ciò che umano non è, gli ha conferito l’illusione di un moto inarrestabile e glorioso. Come tutte le religioni, anche quella della «tecnicità» produce a corollario dei «testi sacri» degli officianti-tecnici un controcanto apocrifo di leggende popolari in cui si trasfigurano le speranze e le paure dell’assemblea dei devoti. Delle leggende non serve indagare la plausibilità, ma il significato.

Per intelligenza artificiale (IA) si intendono le tecnologie in grado di simulare le abilità, il ragionamento e il comportamento degli esseri umani. Risulta dunque difficile capire da che punto in poi l’IA si distingua, ad esempio, da una piccola calcolatrice che svolge un’attività propria della mente umana (il calcolo, appunto), o da un personal computer che già simula molte abilità dell’uomo per via riduzionistica, scomponendole cioè in enti numerabili. Il concetto di IA sembra perciò essere più ottativo che tecnico. Non introduce alcuna rivoluzione ma identifica piuttosto, sotto un’etichetta accattivante e di dubbia solidità epistemica, lo sforzo e l’auspicio di sviluppare tecniche informatiche sempre più sofisticate e potenti. Che poi queste tecniche finiscano sempre per replicare, potenziandole, alcune funzioni della mente umana è ovvio in definizione, essendo state concepite e create proprio da quella mente e proprio con quell’obiettivo, fin dall’inizio.

Ciò che appassiona delle più recenti applicazioni dell’IA (cioè del computer) è la crescente capacità di elaborare input non rigidamente formalizzati, come ad esempio le riprese fotografiche, i tratti somatici, le basi di dati incoerenti e – soprattutto – il linguaggio. Quest’ultimo, espressione libera e creativa che si rigenera in continuazione (Noam Chomsky), rappresenta in effetti il banco di prova più importante. Per essere compiutamente decifrato esige non solo la corretta comprensione delle pur complesse norme sintattiche, ma anche quella dei sottotesti e contesti culturali, simbolici, emotivi (comprensione semantica). Ben più che uno strumento, il linguaggio è l’incarnazione dell’intelligenza che nel linguaggio si (ri)crea, traduce gli infiniti rivoli dell’esperienza individuale e sociale e si comunica agli altri. L’assalto cibernetico a questo impervio monte, che tanto ricorda l’impresa babelica finita proprio nel caos delle lingue, è solo ai suoi timidi inizi e sinora ha prodotto metafore matematiche più o meno promettenti per avvicinarsi ai misteri della mente. Ma per quanta strada si possa percorrere in questa direzione, resteremmo comunque ontologicamente lontani dall’obiettivo.

L’intelligenza non è solo funzionale, non si limita cioè a risolvere i problemi ma li pone, li formula e li dispone secondo gerarchie. In ciò è insieme condizionata e finalizzata dal soggetto che la esprime, ne è definita anche etimologicamente perché espressione indissolubile e diretta dei suoi fines, dei limiti che ne tracciano l’irripetibile e indivisibile identità: desideri, preferenze, paure, affetti, educazione, empatia e relazioni sociali, fede nella trascendenza, corporeità, morte e molto altro. Se la competenza logico-matematica è terreno comune a tutti gli uomini e a tutte le macchine, il suo esercizio è invece asservito alle gradazioni e alla mutevolezza della condizione di ciascuno. Una macchina non può ragionare come un uomo semplicemente perché non è un uomo, proprio come un bambino non ragiona come un adulto, un ricco come un povero, un sano come un ammalato, un ateo come un cristiano, un aborigeno come un europeo ecc. Occorre allora chiedersi il perché di questa finzione, di negare il naturale rapporto di complementarietà tra i due domini con la pretesa che possano, per qualcuno anzi debbano, sovrapporsi fino a confondersi e sostituirsi.

***

Qui azzardo due risposte. Se il soggetto intelligente guarda dentro (intŭs lĕgit) la propria condizione nel mondo per formulare gli obiettivi da sottoporre ai processi logici e computazionali eventualmente delegabili a un algoritmo, se opera cioè una «scelta preanalitica» (Mario Giampietro) che antecede e informa quei processi, resta scoperto il problema di chi detterebbe ex multis gli obiettivi alle macchine affinché le si possa chiamare «intelligenti». Come il «pilota automatico» di Mario Draghi, l’IA guiderà da sola e supererà brillantemente ogni ostacolo, ma verso quale meta? Escludendo l’ipotesi apocalittica (quella in cui se la darebbe da sola), sarà inevitabilmente la meta iscritta nel codice dai suoi committenti, che governando il codice godranno del privilegio di imporre i propri modelli etici, politici ed esistenziali a tutti, ovunque esista un processore e una scheda di rete. Dal groviglio delle sofisticazioni tecniche emergerebbe allora una più lineare dinamica di dominio dell’uomo sull’uomo, dove la citata finzione non sarebbe altro che una variante della pretesa tecnocratica, di incapsulare gli interessi e i moventi di una classe in una procedura sedicente asettica, inalterabile e necessaria, sottraendoli così alle resistenze delle altre forze sociali. Per chi si è lasciato mettere in ceppi dalle «ferree leggi» dell’economia (cioè dalle priorità di qualcuno, secondo le sue premesse e la sua visione del mondo) e da «lo dice la scienza» (idem), non sarà difficile accettare che la soluzione migliore sia quella partorita dai ventriloqui della marionetta cibernetica e «intelligente».

La seconda ipotesi chiama in causa il limite dell’uomo, cioè la sua definizione. Numerosi indizi fanno temere che, nel sentire comune, la riduzione del corredo soggettivo e plurale delle intelligenze umane in un sottogruppo acefalo di procedure erga omnes sia intesa non già come un impoverimento, ma come un salutare superamento della brulicante e imprevedibile complessità di pensieri, comportamenti e moventi del formicaio umano, e quindi dei «pericoli» che vi si anniderebbero. La macchina (si pensa) non «tiene famiglia» e non ha nulla da perdere né da guadagnare e quindi (si pensa) non può che fare «la cosa giusta» per tutti. Dalla tentazione così squisitamente adamitica e gnostica di separare anzitempo la zizzania dal grano scaturisce l’illusione di distillare processi cognitivi e decisionali infallibili – o comunque i migliori possibili – disattivando tutto ciò che può generare l’«errore»: fragilità, affetti, inclinazioni, dolo, ma anche e in ultima istanza l’incomputabile libero arbitrio, la libertà di ciascuno. Si è però visto che l’unità indissolubile di intelligenza e soggetto rende vana questa illusione, il cui solo risultato può essere quello di spostare l’arbitrio in poche mani potenti, omologando il resto. Ma poco importa. Più forte è il disgusto e la paura dell’indisciplinabile incognita uomo, il desiderio di spuntarle le armi incatenandola e negandola nella sua essenza distintiva, quella pensante. Questa brama del non vivente, di spegnere il coro dissonante delle intelligenze per ridurli alla monodia degli zombie, non si misura solo dai sogni – assurdi anche tecnicamente – di dare scacco matto a truffa e corruzione grazie alle transazioni elettroniche certificate, di «eliminare (sic) le mafie» con il denaro virtuale o i brogli con le macchinette per votare, ma in modo ancora più diretto dall’eugenetica morale di chi vorrebbe espungere «l’odio», «la paura» e altri sentimenti «cattivi» (partendo, ça va sans dire, dalla più tenerà età, nei casi estremi fino al sequestro ideologico o fisico dell’infanzia), ridurre al silenzio agli specialisti della salute, del clima e dell’economia che non ripetono a pappagallo una tesi o mettere in cima ai valori politici «l’onestà», cioè l’esecuzione demente, sicut ac machina, di una legge scritta, immaginando così di programmare gli umani.

Osserviamo la realtà. Nella pratica, quasi tutto ciò che oggi si fregia sui rotocalchi e nei parlamenti dell’etichetta di IA – cioè la digitalizzazione, in qualunque modo o misura la si applichi – è molto lontano dal requisito di portare la macchina nel modus cogitandi et operandi degli esseri umani per mettersi al loro servizio. All’opposto, le sue applicazioni implicano la necessità o persino l’obbligo che siano invece gli uomini ad adeguarsi alle procedure della macchina e a servirla. Ad esempio, se davvero avessimo a che fare con un’intelligenza umanoide di silicio che si integra con discrezione nella nostra struttura mentale, che bisogno avremmo di lamentarci della mancanza di «cultura digitale»? Non dovrebbe toccare al calcolatore l’onere di assorbire la nostra cultura? E a che pro insegnare il «coding», la lingua dei computer, a tutti i bambini? Di salutarlo (boom!) come «il nuovo latino»? Non dovevano essere i robot a parlare la nostra lingua? E perché addannarci con procedure telematiche, moduli online, assistenti telefonici, PEC, app, PIN, SPID, registri elettronici ecc. e stravolgere il nostro modo di lavorare e di pensare per servire al calcolatore la «pappa pronta» da digerire? Perché faticare il doppio per trasmettergli le nostre fatture nell’unico formato che riesce a comprendere, quando un mediocre studente di ragioneria sarebbe stato in grado di decifrarle in ogni variante formale? E perché spendere tempo, quattrini e salute nervosa per imparare tutte queste cose? Il «deep learning» non doveva essere una prerogativa dei nuovi algoritmi? Insomma, si ha l’impressione che la celebrata umanizzazione della macchina si stia risolvendo proprio nel suo contrario: in una macchinizzazione dell’uomo. Che l’impossibilità – lo ripetiamo: ontologica – di portare i circuiti nei nostri ranghi stia producendo il risultato inverso di fletterci, costi quel che costi, alla rigida cecità della loro legge.

Certo, possiamo raccontarci che questi sono solo paradossi transitori che servono a perfezionare e a istruire l’IA affinché spicchi presto il volo promesso. Ma la verità è un’altra ed è sotto gli occhi di tutti. È che l’IA è la nostra intelligenza, l’IA siamo noi. Non ci parla dei progressi dell’ingegneria e della scienza, ma di un auspicato progresso dell’uomo chiamato a spogliarsi dei suoi difetti – cioè di se stesso – per rivestirsi della stolta obbedienza, della prevedibilità e della governabilità dei dispositivi elettronici. Se nella prima fase questa transizione si è imposta con la seduzione dei suoi vantaggi, dal personal computer in ogni casa ai servizi internet gratuiti fino alla connettività mobile, in quella successiva deve forzare la mano magnificando i suoi benefici e rendendoli in ogni caso obbligatori con qualche pretesto penoso: la semplificazione, il risparmio, il progresso-che-non-si-può-fermare. È la fase in cui ci troviamno oggi: quella del 5G, degli elettrodomestici e delle automobili in rete, dei telefoni che non si spengono mai, della telematizzazione kafkiana dei servizi pubblici e, insieme, dei mal di pancia di chi si preoccupa, resiste e dubita, anche perché le promesse di miglioramento sociale che hanno accompagnato la precedente ondata sono state tutte miseramente disattese (che si parli di crisi proprio da quando si parla di «rivoluzione digitale» è un dettaglio che non tutti hanno trascurato di notare). Nel frattempo qualcuno, reso audace dallo Stato innovatore-coercitore, scopre le carte e prepara la terza e ultima fase in cui gli esseri umani dovranno accogliere le macchine anche nel proprio corpo e non più solo nei pensieri, con l’impianto di circuiti e processori collegati agli organi o direttamente al cervello. Con tanti saluti ai computer che diventano intelligenti, l’intelligenza diventerà un computer e l’uomo «sarà allora bardato di protesi prima di diventare egli stesso un artefatto, venduto in serie a consumatori diventati a loro volta artefatti. Poi, divenuto ormai inutile alle proprie creazioni, scomparirà» (Jacques Attali, Une brève histoire de l’avenir).

***

Questa riflessione non sarebbe completa senza chiedersi: perché? Qual è il senso di questo processo e del suo essere salutato come una mano santa, o almeno come una sfida a cui non ci si deve sottrarre? Indubbiamente a qualcuno non dispiacerà l’idea di tracciare, controllare e condizionare ogni azione o pensiero di ogni singolo individuo, ovunque e in qualunque momento. Né di assoggettare i popoli a processi e processori automatici che non lasciano scampo, privi di riflessione e di empatia e perciò inesorabilmente fedeli al mandato, fosse anche il più atroce. Ma anche questo sogno o incubo non sarebbe nuovo. La psicopatologia dell’onnipotenza e la volontà di dominio sono sempre esistite. Più triste è invece l’assenso delle cavie che si prestano a un siffatto esperimento di subumanesimo: dai politici che assecondano beoti le mode globali e le impongono ai cittadini, ai cittadini stessi che si immaginano pionieri di un’ubertosa età del silicio. C’è, evidentemente, un problema di percezione che non può essere solo effetto della propaganda. Una civiltà che desidera superare l’umano non può che essere profondamente scontenta di sé. È una civiltà delusa e intrappolata, incapace di raggiungere gli obiettivi che si è imposta ma altrettanto incapace di respingerli e di riconoscerli come ostili al proprio bisogno di prosperità e giustizia. Non riesce a immaginare un’alternativa e immagina allora che l’anello marcio della catena siano proprio i suoi membri: gli uomini deboli e irrazionali, indegni della meta. Umso schlimmer für die Menschen! Nasce da qui, dalla percezione strisciante di un fallimento epocale, l’illusione di salvarsi incatenando i passeggeri ai sedili e di sopprimerne le salvaguardie per espiare la «vergogna prometeica» (Günther Anders) di non essere all’altezza delle proprie creature, anche politiche. Per comprendere le radici di questa disperazione è quindi inutile interrogare gli ingegneri. Le tecnologie, intelligenti o meno, sono solo il pretesto di una fuga da sé che andrebbe affrontata almeno abbandonando la tentazione puerile di soluzioni «perfette» e perciò estranee al mistero irriducibile di un’umanità in cui «si mescolano polvere e divinità» (Fritjof Schuon), che vive nella quantità mentre aspira all’innumerabile e dissemina le sue verità provvisorie in miliardi di anime. Rimarrà il compromesso di una vita non certo geometrica e rassicurante come un videogioco, ma proprio per questo possibile, forse anche degna di essere vissuta.

FONTE:http://ilpedante.org/post/l-uomo-artificiale

 

 

 

STORIA

I rappresentanti del Terzo Stato si riuniscono a Versailles – 20 giugno 1789

Si avvicina la Bastiglia

AVersailles i rappresentanti del Terzo Stato, costituitosi tre giorni prima in Assemblea Nazionale, si riuniscono al Jeau de Paume, la sala della Pallacorda. Gli Stati Generali, che erano stati convocati da Luigi XVI, nell’estremo tentativo di affrontare la gravissima crisi finanziaria dello stato, riuniti da maggio, erano subito entrati in una fase di stallo. Nella sala della Pallacorda i deputati del Terzo Stato giurano quindi di non separarsi fino all’adozione di una nuova costituzione per la Francia. Il 9 luglio l’Assemblea Nazionale, alla quale nel frattempo si sono uniti molti rappresentanti del clero e della nobiltà, si autoproclama Assemblea Nazionale Costituente. L’intervento di Luigi XVI per fermarne l’azione dà inizio a una fase più radicale della rivoluzione francese.
FONTE:https://www.raicultura.it/storia/accadde-oggi/I-rappresentanti-del-Terzo-Stato-si-riuniscono-a-Versailles-d5ea2f71-19bf-4620-9dd2-874f0dffd157.html

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