RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 2 NOVEMBRE 2023

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 2 NOVEMBRE 2023

 

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Lo sporco peggiore è quello morale, istiga ad un bagno di sangue

STANISLAW J. LEC, Pensieri spettinati, Bompiani, 2006, pag. 94

 

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SOMMARIO

LA QUESTIONE DELLA LINGUA GIURIDICA IN ITALIA
Un alto funzionario dell’ONU a New York si dimette citando il “genocidio” dei civili palestinesi
Netanyahu si fa messia e la guerra diventa religiosa
I miti ebraici, l’Iran e le ossessioni di Netanyahu
Al Pentagono è venuto un dubbio
La Procura sospetta le merendine
ALLERTA GENOCIDIO: LO DICE IL PRESIDENTE DI ISRAELE ISAAC HERZOG
Il Reichstag di Netanyahu: lo Stato sionista condivide la logica nazista
Insolita Anatomia dell’intelletto
Hannah Arendt. Del politicamente corretto
Menzogna caratteristica
Gli “atti di antisemitismo” sono falsi?
The Washington Post – La CIA “preoccupata” per le prossime azioni dei servizi ucraini
Il progetto per deportare i cittadini di Gaza nel Sinai
Una nota del ministero israeliano dell’Intelligence raccomanda l’espulsione degli abitanti di Gaza in Egitto
Israele/TPO: fino a ieri 78 bambini uccisi a Gaza
DOLLARIZZAZIONE: HOW IT ALL BEGAN? (COME TUTTO EBBE INIZIO)
La perpetuazione del dominio occidentale prevale sulla vita dei palestinesi
La Nato respinge l’adesione dell’Ucraina
Putin spiega gli scopi dei “burattinai geopolitici”
Verifica identità o esposizione dati? X utilizza azienda israeliana guidata da ex militari per verifica utenti
Le ragioni storiche del rastrellamento in corso a Gaza

 

 

EDITORIALE

LA QUESTIONE DELLA LINGUA GIURIDICA IN ITALIA

di Manlio Lo Presti (scrittore e esperto di banche e finanza)

Nel nostro Paese non è stata mai risolta la “questione della lingua”. È stata denunciata a più riprese da professori di linguistica, da giuristi, da costituzionalisti eminenti e da Pasolini (1). Tutti stupidamente ignorati, e se ne vedono oggi le conseguenze.
Per questi motivi è un errore gravissimo sottovalutare la ridetta “questione”, siamo ormai al punto che non ci capiamo più nemmeno fra noi. Non a caso, varie università e centri di cultura erogano corsi di linguistica giuridica (2). Sono stati creati corsi di laurea, e viene valorizzato nel campo del diritto (3) il profilo professionale del mediatore linguistico.
Con questa lingua triturata, inselvatichita e imbastardita da inglesismi e dal trascinamento negativo e distruttivo, provocato da un collasso generalizzato dell’insegnamento scolastico e universitario. Abbiamo una montagna di norme scritte malissimo: norme incomprensibili che generano un immenso numero di contenziosi, con rallentamento o perfino blocco della Giustizia e della certezza del diritto. L’ermeneutica e le martellanti “interpretazioni” prendono sempre più il sopravvento rispetto alla semplice applicazione del diritto. L’effetto immediato è il blocco della tutela dei diritti contrattuali e di legge, sopraffatti da un oceano di liti e procedimenti. Siamo in un permanente stato di “lite temeraria” (4).
Tutto ciò premesso, è fondamentale capire che avere una propria lingua è la premessa per snellire e ripulire la stesura delle norme che sembrano scritte da malati di mente, incapaci di padroneggiare la sequenza SOGGETTO-VERBO-PREDICATO. Altra assurdità è l’utilizzo scriteriato della parola “urgente” nella titolazione delle norme. Perché ogni cosa deve essere urgente? La velocità è la madre di quasi tutti gli errori concettuali, linguistici e giuridici il cui effetto immediato è la generazione esponenziale del caos.
Per fare un esempio: il testo sulla semplificazione burocratica comprende ben 128 pagine scritte in un ossessivo burocratese, ostile ed incomprensibile nelle cui pieghe si apriranno infiniti varchi per processi, liti e questioni alla Suprema Corte. Il problema giustizia è radicato nella lingua afasica in cui sono scritte le norme, male e con l’urgenza.
L’urgenza assieme ad una lingua collassata e colonizzata generano mostri giuridici ma anche discriminazioni sociali e razziali, come sta avvenendo con l’affermazione che le comunicazioni semplificate saranno inviate esclusivamente sui canali telematici veicolati dai cellulari. Cellulari che – sottolineiamo – sono di proprietà privata e non di uso pubblico. Non a caso la normativa non prevede esplicitamente l’obbligatorietà dell’uso del cellulare per la lettura delle comunicazioni ministeriali, ma costringe la popolazione ad usarlo per non essere tagliata fuori. Non posso costringerti ma ti stritolo lentamente: una tecnica usata continuamente nel periodo Covid per piegare la popolazione dissidente.
Il sito del ministero ha riportato che la app IO è stata scaricata da ventotto milioni di persone. Un caso di mancata “semplificazione” ed emblema di complicazione dettata dall’urgenza.
L’Italia ha 62 milioni di residenti e oltre 7 milioni di stranieri immigrati. Di fatto, la cosiddetta semplificazione esclude 35 milioni di vecchi, bambini e coloro che non vogliono usare il cellulare: si escludono altresì tutti gli immigrati senza cellulare. Ecco un bell’esempio di discriminazione razziale e sociale di cui i buonisti inclusivi globalisti non parlano per non disturbare il “manovratore”. In Francia, intelligentemente, sono corsi ai ripari garantendo parità di conoscenza anche alla popolazione esclusa dalle automazioni.
Con questa normativa scritta con i piedi, su tutti gli “esclusi” incombe la mancata “conoscibilità del terzo” che non sarebbe più imputabile da parte dello Stato e dalla Agenzia delle Entrate, scatenando milioni di procedure e contenziosi pluridecennali sul tema.
Ancora pensiamo di snobbare la “Questione della lingua” che risale a Dante?

Note
1) https://nencioni.sns.it/fileadmin/template/allegati/pubblicazioni/1979/Lingua_1979.pdf
2) https://www.unimi.it/it/corsi/laurea-triennale/mediazione-linguistica-e-culturale-applicata-allambito-economico-giuridico-e
3) https://www.unisalento.it/documents/20152/1245556/Slides+lezione+linguaggio+giuridico+11+aprile.pdf/42dea4c7-7c5a-214b-e5b6-ec6f280f7e57?version=1.0 Alla ricerca del linguaggio giuridico tra carta e telematica
4) http://www.salvisjuribus.it/condanna-per-lite-temeraria-lart-96-c-p-c-alla-luce-dei-recenti-interventi-giurisprudenziali/

FONTE: https://www.lapekoranera.it/2023/10/30/la-questione-della-lingua-giuridica-in-italia/

 

 

 

IN EVIDENZA

Un alto funzionario dell’ONU a New York si dimette citando il “genocidio” dei civili palestinesi

Craig Mokhiber, direttore dell’organismo per i diritti umani, accusa gli Stati Uniti, il Regno Unito e gran parte dell’Europa di essere “totalmente complici del terribile assalto”

Il direttore dell’ufficio di New York dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha lasciato il suo incarico, protestando contro il fatto che l’ONU sta “fallendo” nel suo dovere di prevenire quello che lui definisce un genocidio dei civili palestinesi a Gaza sotto il bombardamento israeliano e citando gli Stati Uniti. , Regno Unito e gran parte dell’Europa come “totalmente complici del terribile assalto”.

Craig Mokhiber ha scritto il 28 ottobre all’alto commissario delle Nazioni Unite a Ginevra, Volker Turk, dicendo: “Questa sarà la mia ultima comunicazione con te” nel suo ruolo a New York.

Mokhiber, che si è dimesso per aver raggiunto l’età pensionabile, ha scritto: “Ancora una volta stiamo vedendo un genocidio svolgersi davanti ai nostri occhi e l’organizzazione che serviamo sembra impotente a fermarlo”.

Ha affermato che le Nazioni Unite non sono riuscite a prevenire precedenti genocidi contro i tutsi in Ruanda, i musulmani in Bosnia, gli yazidi nel Kurdistan iracheno e i Rohingya in Myanmar e ha scritto: “Alto Commissario, stiamo fallendo ancora.

“L’attuale massacro del popolo palestinese, radicato in un’ideologia di coloni coloniali etno-nazionalisti, in continuazione di decenni di persecuzioni ed epurazioni sistematiche, basate interamente sul loro status di arabi… non lascia spazio a dubbi”.

Mokhiber ha aggiunto: “Questo è un caso di genocidio da manuale” e ha affermato che gli Stati Uniti, il Regno Unito e gran parte dell’Europa non solo “rifiutano di rispettare i loro obblighi” ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, ma stanno anche armando l’assalto di Israele e fornendo copertura politica e diplomatica per Esso.

La lettera di partenza del direttore uscente non menziona l’attacco del 7 ottobre di Hamas al sud di Israele che ha ucciso più di 1.400 persone e preso 240 ostaggi. In modo ancora più controverso, la sua lettera chiede la fine effettiva dello Stato di Israele.

“Dobbiamo sostenere la creazione di un unico Stato democratico laico in tutta la Palestina storica, con uguali diritti per cristiani, musulmani ed ebrei”, ha scritto, aggiungendo: “e, quindi, lo smantellamento del sistema profondamente razzista dei coloni”. progetto coloniale e la fine dell’apartheid in tutto il paese”.

Mokhiber lavora per le Nazioni Unite dal 1992, ricoprendo una serie di ruoli sempre più importanti. Ha guidato il lavoro dell’Alto Commissario sull’elaborazione di un approccio allo sviluppo basato sui diritti umani e ha operato come consigliere senior per i diritti umani in Palestina, Afghanistan e Sudan.

Avvocato specializzato in diritto internazionale dei diritti umani, ha vissuto a Gaza negli anni ’90.

Nel suo ruolo di direttore dell’ufficio di New York dell’Alto Commissario per i diritti umani, è stato occasionalmente criticato da gruppi filo-israeliani per i suoi commenti sui social media. È stato criticato per aver sostenuto il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) e per aver accusato Israele di apartheid – un’accusa che ha ripetuto nella sua lettera di pensionamento.

Giornalisti e accademici hanno iniziato a pubblicare il contenuto della lettera su X, precedentemente noto come Twitter, martedì pomeriggio.

FONTE: https://www.theguardian.com/world/2023/oct/31/un-official-resigns-israel-hamas-war-palestine-new-york

 

Netanyahu si fa messia e la guerra diventa religiosa

Netanyahu parla di una lotta tra luce e tenebre ed evoca Amalek. Al fondamentalismo di Hamas contrappone il messianismo ebraico. Cambia tutto

Netanyahu si appoggia ai suoi partner ultra-ortodossi e, abbandonando l'usuale pragmatismo, ne sposa il millenarismoTempo di lettura: 5 minuti

“La nostra è una lotta tra l’asse le Male, Iran, Hezbollah, Hamas e l’asse della Libertà e del Progresso, noi siamo il popolo della luce, loro il popolo delle tenebre e la luce trionferà sulle tenebre”. Così Netanyahu nel discorso alla nazione.

“Dovete ricordare cosa vi ti ha fatto Amalek, si legge sulla nostra Sacra Bibbia”, ha proseguito, aggiungendo che quella attuale è parte di una serie di guerre combattute dal popolo ebraico per la propria esistenza che dura da  3mila anni.

Il passo della Bibbia citato è forse il più tragico del testo sacro. Adirato contro Amalek per le efferatezze commesse contro il popolo eletto, il Signore invia un messaggio a Saul tramite il profeta Samuele: “Va dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini”.

Netanyahu ha poi proseguito affermando che i tragici errori della Sicurezza che hanno permesso l’attacco di Hamas saranno indagati e che tutti dovranno rispondere di quanto avvenuto – “me compreso” ha aggiunto – ma che ciò accadrà “solo alla fine della guerra”, che egli ha la responsabilità di guidare per portare Israele verso “una vittoria schiacciante”.

Il messaggio messianico di Netanyahu

Tre elementi in questo discorso. Il primo è che Netanyahu si appoggia ai suoi partner ultra-ortodossi e, abbandonando l’usuale pragmatismo, ne sposa il millenarismo. Evidentemente reputa che questo sia l’unico modo di salvare il collo dal cappio che gli hanno già preparato i suoi concittadini.

Che sia terrorizzato dal futuro lo indica il tweet pubblicato successivamente, nel quale spiegava che l’intelligence e la Difesa non l’avevano avvertito di eventuali pericoli provenienti da Gaza. Tweet che si ha dovuto ritirare, scusandosi, dopo l’insurrezione degli interessati.

Un articolo di Ravit Hecht  su Haaretz spiega che il tweet in questione potrebbe risultargli fatale, avendo incrementato la diffidenza nei suoi confronti da parte di diversi membri del suo partito e degli ultraortodossi dello Shas. Se lo abbandonassero, si potrebbe profilare un altro governo, non più a trazione ultra-ortodossa.

Fin qui le previsioni della Hecht, che riecheggiano la crescente irritazione del Paese verso Netanyahu, alla quale si aggiunge il dissidio latente creatosi con l’amministrazione Biden, che insiste sulla necessità di agire con attacchi chirurgici e non massivi contro Gaza.

Se riferiamo gli interna corporis di Israele, apparentemente secondari rispetto alla mattanza della Striscia, è perché lasciare che la risposta agli attacchi del 7 ottobre sia guidata da un leader che lotta per la sua sopravvivenza politica e che quindi potrebbe modulare guerra secondo tale necessità – come peraltro ha fatto in passato – è molto pericoloso, sia per gli antagonisti di Israele che per la stessa Israele, nonché per il mondo (visto che siamo in tema biblico, è da presumere che Bibi conosca anche il passo riguardante l’l’auto-immolazione di Sansone pur di eliminare tutti i filistei).

Ma la comparazione tra Amalek e Hamas non è solo una consegna alle pulsioni messianiche che attraversano Israele, è anche altro e più inquietante, dal momento che destina Gaza allo sterminio.Al di là della pretesa di parlare a nome di Dio come ebbe a fare Samuele (pretesa che appare alquanto eccessiva), resta che, in tale chiave, l’attacco a Gaza non ha più i connotati di un’operazione volta a eliminare una minaccia o a ricostruire una deterrenza, ma è tutt’altro.

Così al fondamentalismo di Hamas si contrappone quello del messianesimo ebraico (pure oggetto di accese critiche all’interno dell’ebraismo). Peraltro, anche l’evocazione di una lotta tra luce e tenebre appare alquanto eccessiva. Sul punto vale il detto: troppa luce acceca.

Tornare all’Asse del Male

Fin qui la guerra di Gaza. Ma nelle parole di Netanyahu c’è anche altro. Rievocare l’Asse del Male, banalizzazione posta a fondamento delle guerre infinite post 11 settembre che tanti danni hanno arrecato al mondo, intende riportare indietro le lancette dell’orologio, far ripiombare il mondo in quell’incubo, in particolare per l’identificazione dell’Asse maligno in questione, che da Hezbollah porta all’Iran.

Da sempre Netanyahu ha una vera e propria ossessione per l’Iran, che ha avuto il suo focus nel denunciare in maniera martellante veri o presunti passi di Teheran verso la bomba atomica. Ne scriveva Yossi Verter su Haaretz nel 2018 ed era notorio che tale ossessione mirava ad arrivare a una guerra con Teheran, che ovviamente coinvolgesse gli americani.

Così iniziava un articolo di Bradley Burston su Haaretz del novembre del 2017: “Benjamin Netanyahu ha bisogno di una guerra. Ha bisogno che sia con l’Iran. E ne ha bisogno presto”.

“Netanyahu ha bisogno di una guerra perché è disperato e quindi una guerra potrebbe rispondere a due dei suoi bisogni più immediati: in primo luogo, creerebbe una distrazione generale e posticiperebbe [problematiche per lui critiche] e, in secondo luogo, se la guerra dovesse avere successo anche se coincidesse con la fine della sua carriera, resta l’unica cosa che il primo ministro desidera di più in questa vita: lasciare un’eredità”.

Cenni che appaiono di stretta attualità. Più procede e più dura diventa la mattanza di Gaza e più il rischio che altri attori entrino in gioco è alto. Il leader di Hezbollah, Nasrallah, finora silente, ha annunciato che parlerà venerdì prossimo. Non è di buon auspicio.

Il rischio genocidio

A mietere vite a Gaza non sono solo le bombe, che nel frattempo hanno fatto oltre 8mila vittime di cui più di 3mila bambini (vendetta portata a compimento), ma il tiro al bersaglio sugli ospedali, le strade intasate di rovine che impediscono ai soccorsi di giungere a destinazione in tempo, la mancanza di cibo, acqua potabile, medicine (vedi Haaretz: “Allarmanti e catastrofici: ecco come erano gli aiuti a Gaza prima della guerra – e come sono adesso”).

“Moriremo in questa guerra, moriremo tutti, ma non sappiamo quando”, così una testimonianza da Gaza riferita in un articolo di The Intercept da leggere.

The Lights Are Off. Here’s What We Know About Life and Death Inside Gaza.

Una vittima viene trasportata tra le macerie nella città di Khan Yunis, Gaza, dove gli edifici sono crollati per gli attacchi aerei israeliani

Concludiamo riportando un articolo di Consortiumnews: “Sebbene il tema del genocidio non sia ancora emersa nella politica internazionale sulla questione palestinese, ora ci sono buone ragioni per aspettarsi che nei prossimi mesi verrà sollevata sia dai governi arabi che dalle organizzazioni per i diritti umani”. 

“Questo è certamente il momento storico per portare avanti la causa contro il genocidio di Israele, come richiesto dalla stessa Convenzione sul Genocidio. Il requisito legale per tale accusa non è provare l’omicidio di massa di milioni di persone come ebbe a ordinare Hitler”. 

CONSORTIUMNEWS

Rovine a Gaza dopo un attacco aereo

È sufficiente dimostrare che uno Stato ha ‘l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un ‘gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso’. cosa che sta avvenendo e ‘deliberatamente infliggere al gruppo condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale‘. La guerra imposta alla popolazione di Gaza da Israele rientra ovviamente in queste due disposizioni cruciali della convenzione”. Di tale genocidio, conclude Consortiumnes, saranno complici gli americani (difficile siano chiamati in causa).

A qualche lettore apparirà estremo, ma se Gaza rischia di essere rasa al suolo insieme ai suoi abitanti, Israele si sta consegnando a un marchio di infamia che lo perseguiterà negli anni a venire. La Nabka sconvolse solo gli arabi, quel che sta accadendo a Gaza si sta consumando sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale. Oscurare le comunicazioni non basterà a nasconderlo.

Porre un freno alla mattanza non è solo una questione umanitaria, pur basilare, ma è anche nell’interesse del mondo e della stessa Israele, come ben sa anche l’ambito più lucido dell’ebraismo, in Israele e altrove.

FONTE: https://www.piccolenote.it/mondo/netanyahu-messia-e-la-guerra-religiosa

 

 

I miti ebraici, l’Iran e le ossessioni di Netanyahu

netanyahu

[Benjamin Netanyahu al Muro del pianto © Nadav Neuhaus/Sygma/Corbis]

Secondo alcuni media il primo ministro israeliano sarebbe un demagogo estremista. Un’analisi del suo pensiero e della tradizione ebraica suggerisce una spiegazione diversa. Dopo i nazisti, Ahmadi-Nejad è il nuovo Amalek?

di Anna Maria Cossiga

Il discorso del premier israeliano Benjamin Netanyahu in occasione della 67° sessione dell’Assemblea generale dell’Onu dello scorso settembre ha suscitato non poche reazioni sulla stampa e sul web. Alcune positive, che hanno visto nelle sue parole, benché pronunciate davanti ad una “bomba di cartone”, un segnale di distensione nei confronti dell’amministrazione americana, “diffondendo un’immagine di Netanyahu mai così positiva prima di allora. L’immagine del leader di uno degli Stati più piccoli e allo stesso tempo più influenti del mondo che, quasi in un momento di illuminazione, ha mostrato tutto il suo lato diplomatico” [1].

 

Una parte della stampa, soprattutto quella israeliana che potremmo chiamare “progressista”, e anche qualcuno sul web, non la pensa allo stesso modo. Il grafico del premier è stato considerato “grezzo” e “infantile” ed è stato paragonato ai fumetti Looney Tunes – quelli di Wile Coyote che insegue il grande uccello corridore, per capirci.

 

Nemmeno sulla presunta diplomazia del presidente del Consiglio israeliano i commentatori sembrano essere d’accordo. Negli ultimi mesi hanno definito Netanyahu “messianico e “apocalittico”. Aner Shalev, su Haaretz del 2 ottobre scorso, giudica il recente intervento all’Onu il più paranoico degli ultimi tempi; sullo stesso quotidiano, Yitzhak Laor ha affermato che “Bibi si è inserito nella tradizione evangelica dei predicatori demagoghi”. Anche gli intellettuali israeliani criticano i toni del premier. David Grossman qualche mese fa affermava che, secondo la sua linea di pensiero e la sua visione storica, “Israele è il ‘popolo eterno’ mentre gli Stati Uniti sono una specie di Assiria o di Babilonia, di Grecia o di Roma dei giorni nostri. Vale a dire: noi [israeliani] siamo per sempre, destinati a rimanere, mentre loro [gli Usa] sono momentanei, transitori, motivati da considerazioni politiche ed economiche limitate ed immediate. Il popolo ebraico, invece, rappresenterebbe la sfera dell’Israele eterno, che porta una memoria storica in cui balenano miracoli e imprese di salvezza che vanno oltre la logica e i limiti della realtà” [2].

 

Abraham B. Yehoshua, dal canto suo, si lamenta del fatto che Netanyahu, “forse per colpa dei suoi consiglieri religiosi, non si sia riservato di citare i fatti storici. Certo, ancora una volta ha optato per i cliché del Regno di Davide; dalle promesse divine fatte nella Bibbia al popolo ebraico al legame spirituale di quest’ultimo con la terra di Israele. Ma non gli è venuto in mente di parlare dell’editto di Ciro, re di Persia, che nel 538 a. C. esortò gli ebrei a fare ritorno in patria e a ricostruire il loro tempio (un innegabile fatto storico che, se citato, avrebbe sgretolato le menzogne di Ahmadi-Nejad e suscitato forse un sentimento di consapevolezza negli iraniani, un popolo dalla profonda coscienza storica)” [3].

 

Il pensiero e persino la linea politica di Netanyahu, insomma, apparterrebbero ad un piano metastorico o, per dirla in altri termini, “mitico”, che mal si adatta alla concretezza storica del presente. Alla luce di questi fatti, non si può negare una qualche ragione a giornalisti e intellettuali. Basta rileggere alcuni passi del discorso per rendersene conto. “Tremila anni fa – ha ricordato il premier – Davide ha regnato sullo Stato ebraico nella nostra capitale eterna, Gerusalemme. Lo dico a tutti coloro che proclamano che lo Stato ebraico non ha radici nella nostra regione e che sparirà presto. Nel corso della sua storia, il popolo ebraico ha sconfitto tutti i tiranni che hanno cercato la sua distruzione. E il popolo di Israele vive. Sfidando le leggi della storia … abbiamo raccolto gli esuli, restaurato la nostra indipendenza e ricostituito la nostra vita nazionale. … In Israele camminiamo sulle stesse vie percorse dai nostri Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, ma tracciamo vie nuove nel campo della scienza, della tecnologia, della medicina, dell’agricoltura. In Israele, il passato e il futuro trovano un terreno comune. Oggi si combatte una grande battaglia tra la modernità e il medievalismo. Le forze del medievalismo vogliono un mondo in cui le donne e le minoranze siano assoggettate, in cui la conoscenza sia cancellata, in cui sia glorificata la morte, e non la vita. … Le forze medievali dell’islam radicale … sono intenzionate a conquistare il mondo. Vogliono distruggere Israele, l’Europa, l’America. … Vogliono la fine del mondo moderno. L’islam militante ha molti rami – dai governanti dell’Iran ai terroristi di Al Qaeda… che, nonostante le loro differenze, sono radicate nel medesimo terreno amaro dell’intolleranza. … Ma sono sicuro di una cosa: alla fine soccomberanno. Alla fine, la luce splenderà tra le tenebre. … Circa settant’anni fa, il mondo ha visto un’altra forma di fanatismo alla conquista del mondo. Si è consumata tra le fiamme. Ma prima ci sono voluti milioni di morti …”.

 

“Chi si è opposto a quel fanatismo ha aspettato troppo a lungo per agire. Alla fine ha trionfato, ma ad un costo orribile. Amici miei, non possiamo permettere che questo accada di nuovo. La posta in gioco non è solo il futuro del mio paese, la posta in gioco è il futuro del mondo. Niente può mettere in pericolo il nostro comune futuro più di un Iran in possesso di armi nucleari. Per capire come sarebbe il mondo con un Iran in possesso di armi nucleari, basta immaginare il mondo con Al Qaeda in possesso di armi nucleari. Non fa differenza che tali armi siano in mano del regime terrorista più pericoloso del mondo o dell’organizzazione terrorista più pericolosa del mondo. Condividono entrambe lo stesso odio e sono guidate dalla stessa sete di violenza. Lo scontro tra la modernità e il medievalismo non deve essere uno scontro tra progresso e tradizione. Le tradizioni del popolo ebraico esistono da migliaia di anni. Sono la fonte dei nostri valori collettivi e il fondamento della nostra forza nazionale. Allo stesso tempo, il popolo ebraico ha sempre guardato al futuro. … Nel corso della storia, siamo sempre stati in prima linea per diffondere la libertà, promuovere la parità e i diritti umani. Sosteniamo questi principi non malgrado le nostre tradizioni, ma grazie ad esse. Seguiamo le parole dei profeti ebrei Isaia, Amos e Geremia che ci insegnano a trattare tutti con dignità e compassione, a cercare la giustizia, ad amare la vita, a lottare e pregare per la pace. Questi sono i valori senza tempo del mio popolo e sono il più grande dono del popolo ebraico all’umanità”.

 

L’Iran nuclearizzato e, di conseguenza, un terrorismo nuclearizzato capaci di fare sprofondare il mondo in un nuovo oscurantismo medievale, sembrano essere una vera e propria “ossessione” per Netanyahu. “È da più di quindici anni che parlo della necessità di impedire all’Iran di sviluppare armi nucleari”, ricorda ancora il premier nel suo discorso all’Onu. “Ne ho parlato durante il mio primo mandato come primo ministro, poi ne ho parlato quando il mandato è scaduto. Ne ho parlato quando era di moda e ne ho parlato quando non era di moda. E ne parlo adesso perché si sta facendo tardi, molto tardi. Ne parlo adesso perché quando si tratta della sopravvivenza del mio popolo, non solo è mio diritto parlare, ma è mio dovere”.

 

Anche nel discorso all’Assemblea generale dello scorso anno i toni e gli argomenti erano fondamentalmente gli stessi. “Tra Est e Ovest sta crescendo qualcosa di maligno che minaccia la pace di tutti. … Questo qualcosa è l’islam militante. Si copre con il mantello di una grande fede, ma uccide allo stesso modo ebrei, cristiani e musulmani con implacabile imparzialità. L’11 settembre ha ucciso migliaia di americani e ha ridotto le Torri Gemelle a ruderi fumanti. Ieri ho deposto una corona sul memoriale dell’11 settembre, ma mentre mi recavo sul posto qualcosa mi echeggiava nella mente: le parole oltraggiose pronunciate ieri dal presidente dell’Iran su questo stesso podio. Ha insinuato che gli avvenimenti dell’11 settembre siano stati una cospirazione americana. …Da allora l’islam militante ha massacrato moltissimi altri innocenti a Londra, a Madrid, a Baghdad, a Mumbai, a Tel Aviv, a Gerusalemme. Credo che il più grande pericolo che il nostro mondo debba oggi affrontare sia che questo fanatismo si doti di armi nucleari. E questo è precisamente ciò che l’Iran sta cercando di fare. Riuscite ad immaginare l’uomo che farneticava qui, proprio ieri, armato di armi nucleari? La comunità internazionale deve fermare l’Iran prima che sia troppo tardi. Se non fermeremo l’Iran, ci troveremo di fronte allo spettro del terrorismo nucleare”.

 

Se vogliamo parlare di “ossessione”, tuttavia, ci sembra evidente che l’Iran nuclearizzato e l’islam integralista che minacciano la stabilità mondiale rappresentino solo alcuni aspetti. Ad essi vanno aggiunti quelli che mettono più direttamente a rischio Israele e gli ebrei: l’antisemitismo mai sconfitto; la Shoah; il pericolo di uno Stato palestinese davvero sovrano e, dunque, anche militarizzato; il richiamo costante al “miracolo” dell’esistenza di uno Stato ebraico, forte e ben armato, risorto dalle ceneri di secoli di oppressione e di massacri; la citazione di particolari passaggi dei testi sacri che ricordano le vittorie degli Israeliti sui nemici e la grandezza del passato ebraico. Potremmo riassumere questa “ossessione” in due argomenti chiave: “pericolo esistenziale e necessità di difesa per la sopravvivenza” e “ricordo del passato per la costruzione del presente e del futuro”.

 

Alcuni commentatori sono convinti che l’uso reiterato di questi argomenti da parte di Netanyahu sia soltanto retorica, il bluff di un uomo cinico, o pragmatico, a seconda dei punti di vista, che alla fine si piega sempre a ciò che è utile o inevitabile. Se da una parte si cerca di convincere l’opinione mondiale in un intervento contro un Iran che mette a rischio non soltanto Israele, ma i valori stessi della cultura occidentale e del mondo moderno, dall’altra la realpolitik rende inevitabile non inimicarsi l’amministrazione americana. Dunque, per quanto “cattivo” e medievale possa essere l’Iran di Ahmadi-Nejad, è bene aspettare prima di attaccarlo. Tutto ciò che si può fare è stabilire una linea rossa che non gli si deve permettere di oltrepassare.

 

Eppure, l’interpretazione potrebbe essere un’altra. Un’analisi più approfondita del pensiero di Netanyahu, in particolare, e della tradizione ebraica, in generale, potrebbe contribuire a trovare una spiegazione diversa dal cinismo o dal pragmatismo che dir si voglia.

 

Lo sviluppo intellettuale di Netanyahu è avvenuto all’ombra del padre Ben-Zion, grande ammiratore di Ze’ev Jabotinski, fondatore del sionismo revisionista, ed eminente studioso dell’ebraismo spagnolo. Il suo libro più famoso, Le origini dell’Inquisizione nella Spagna del XV secolo, giunge alla conclusione che l’antisemitismo di ogni tempo e luogo è una forma di odio sui generis che, adattandosi alle diverse circostante, è impermeabile ad ogni logica ed è eterna. Come insegna la sorte degli ebrei spagnoli e dei milioni di altri ebrei sterminati dagli antisemiti, la risposta ad un simile sentimento non può essere né la ragionevolezza, né la debolezza, ma solo l’autodifesa militante. All’esempio del padre si è aggiunto anche quello del fratello Yonatan, ucciso mentre era al commando del raid di Entebbe nel 1976 e divenuto forse la figura più venerata nella martiriologia ebraica post-Ghetto di Varsavia, probabilmente perché Entebbe simbolizza l’espressione più pura della reazione ebraica moderna alla passività.

 

jabotinski

[Vladimir Jabotinski, leader sionista, con alcuni soldati durante una visita a Londra nel 1920 © Hulton-Deutsch Collection/Corbis]

 

Insomma, Bibi avrebbe imparato tre cose ben precise, in famiglia: la prima è che quelli che minacciano gli ebrei, e hanno i mezzi per concretizzare le loro minacce, devono essere neutralizzati preventivamente; la seconda è che nessuno difenderà gli ebrei se non gli ebrei stessi; la terza è che il destino ha scelto i Netanyahu per scoprire e combattere l’antisemitismo prima che raggiunga il genocidio [4].

 

Ma non bastano le memorie familiari a giustificare una simile “ossessione”. Netanyahu si richiama a memorie ben più antiche, che fanno parte di quella che Jan Assmann, noto egittologo e studioso dei legami tra ricordo, identità e tradizione, chiama “memoria culturale” . “Tale memoria basa sul passato e si coagula in figure simboliche a cui viene ancorato il ricordo, aprendo i riflettori sulle situazioni presenti” [5]. Ebbene, una delle figure simboliche a cui Netanyahu fa riferimento è Amalek, capostipite di quegli amalechiti che, in base al racconto del Deuteronomio, attaccarono la retroguardia degli israeliti in fuga dall’Egitto e che furono sconfitti grazie all’intervento divino. L’aggressione di Amalek è la prima esperienza di guerra del popolo ebraico all’indomani della sua uscita dall’Egitto; si tratta, quindi, del primo vero conflitto di cui parla la Torah. Una vittoria così importante che a Mosè fu comandato di scriverla nel suo Libro per farla diventare, a pieno titolo, un momento paradigmatico dell’esperienza storica dell’ebraismo. La tradizione ebraica vede in Amalek l’archetipo dell’antiebraismo gratuito e irrazionale di tutte le generazioni, il precursore di quanti, nei secoli a venire, minacceranno l’esistenza di Israele. Tanto è vero che il preciso ammonimento “Ricorda ciò che ti ha fatto Amalek”, ribadito dalla Torah (Deuteronomio 25, 17) è annoverato fra i 613 precetti cui si deve informare la vita di ogni ebreo [6].

 

Amalek è dunque il nemico allegorico degli ebrei, diventato il simbolo di tutti gli antisemiti che nel corso della storia hanno cercato di distruggere il popolo ebraico. Non è di certo stato un caso che, durante il discorso in occasione della Giornata Internazionale della Memoria ad Aushwitz-Birkenau del 2010, Netanyahu abbia ricordato proprio quel precetto.  “Forse [alcuni dei miei fratelli gassati, bruciati e uccisi in mille altri modi] hanno pronunciato, esalando l’ultimo respiro, un’altra antica preghiera: “Ricorda ciò che ti fece Amalek. Non dimenticare mai! A coloro che qui sono stati assassinati, a coloro che sono sopravvissuti alla distruzione, io faccio una promessa: Non dimenticheremo mai! Non permetteremo mai a chi ha dissacrato questo monumento di distorcere o cancellare il vostro ricordo. [7] Ricorderemo sempre ciò che gli eredi nazisti di Amalek vi hanno fatto. Saremo sempre pronti a difenderci quando un nuovo Amalek compare sul palcoscenico della storia e minaccia di nuovo di annientare gli ebrei. Non ci illuderemo credendo che le minacce, le diffamazioni e la negazione della Shoah siano soltanto parole vuote. Non dimenticheremo mai. Saremo sempre vigili”.

 

L’identificazione di Amalek con i nazisti è incontrovertibile, ma non meno evidente è l’identità del “nuovo Amalek” che vuole cancellare “il ricordo”, che diffama e che nega la Shoah. Da qui nasce l’accostamento tra l’Iran e i nazisti. Del resto, come Bibi ha imparato dal padre, l’antisemitismo è eterno; se Amalek è stato il primo antisemita della storia, i suoi degni eredi, come insegna anche parte della tradizione ebraica, sono stati Nabucodonosor, i crociati, l’Inquisizione e, in tempi più recenti, gli arabi, i palestinesi e ora anche l’Iran e l’integralismo islamico [8]. Come lo stesso Netanyahu ha rimarcato nel discorso alle Nazioni Unite dello scorso settembre, non vi è differenza tra il regime terroristico iraniano e le organizzazioni terroristiche islamiche: entrambi incarnano l’oscurantismo medievale che vuole mettere fine al mondo occidentale e moderno.

 

Gli ebrei, però, non sono più quelli di una volta, deboli e remissivi. Hanno imparato a difendersi e “quando si tratta della sopravvivenza di Israele, noi ebrei dobbiamo sempre rimanere padroni del nostro destino” ha affermato orgogliosamente il premier durante il suo intervento all’American Israel Public Affairs Committee nel marzo di quest’anno. “In questi giorni- ha continuato – nelle sinagoghe di tutto il mondo gli ebrei festeggeranno il Purim. Leggeremo di come 2.500 anni fa un antisemita persiano [9] cercò di annientare il popolo ebraico e di come il suo piano fu sventato da una donna coraggiosa: Ester. In ogni generazione c’è qualcuno che vuole distruggere il popolo ebraico”.

 

L’antisemita persiano è Aman, discendente di Amalek e consigliere del re Assuero. Nemmeno questa citazione è stata una circostanza un caso. Né può esserlo l’episodio che, in occasione dell’incontro tra Netanyahu e Obama (sempre nel marzo 2012) ha visto il premier israeliano donare al presidente americano un’edizione istoriata della Megillat Esther, il Rotolo di Ester, in cui questa storia è narrata. Forse ha ragione Yeoshua: Netanyahu sarebbe più credibile e incisivo, e potrebbe fare breccia tra gli iraniani, se si attenesse alla storia e non al “mito”.

 

Al termine “mito” viene di solito associato il significato di “racconto falso”, fantastico e privo, dunque, di qualunque fondamento storico. Ma anche i miti sono quelle “figure di ricordo” essenziali per la memoria culturale di cui parla Assmann. Anzi, sostiene ancora lo studioso, “la differenza tra mito e storia cessa di valere. … Per la memoria culturale è valida non la storia de facto, ma solo quella ricordata; si potrebbe anche dire che nella memoria culturale la storia de facto viene trasformata in storia ricordata e dunque in mito. Il mito è una storia fondante, una storia che viene raccontata per chiarire il presente alla luce delle origini … Nel ricordo della propria “storia” e con l’attualizzazione delle figure del passato, il gruppo assoda propria identità” [10].
Del tutto a prescindere dal problema della loro dimostrata storicità, dunque, la narrazione di certi episodi o il ricordo di determinati personaggi conservano un valore, dal momento che conferiscono un significato al presente e rafforzano l’identità del gruppo e, quindi, la sua coesione interna.

 

Potremmo probabilmente aggiungere altri due “argomenti chiave” all’ossessione di Netanyahu: l’identità e la coesione interna di Israele. Ma quale identità?

 

Sin dalla nascita dello Stato ebraico, la società civile e la politica israeliana sono state estremamente sfaccettate, come lo furono, del resto, lo stesso movimento sionista e l’atteggiamento dell’ortodossia religiosa nei suoi confronti. Il mondo religioso ebraico si divise sin dall’inizio sull’opportunità o meno di un ritorno in Eretz Israel, la Terra d’Israele. Una parte dell’ortodossia più conservatrice, che aveva già combattuto la haskalah, l’illuminismo ebraico e la crescente assimilazione, si oppose all’emigrazione ebraica in Palestina in base ai tre giuramenti del Talmud pronunciati alla vigilia della dispersione: il divieto di ritornare in massa e in modo organizzato in Terra d’Israele; il veto di non ribellarsi contro le Nazioni; il fatto che le Nazioni non avrebbero sottomesso il popolo d’Israele oltre misura [11]. Soltanto con l’arrivo del Messia Israele avrebbe potuto riunirsi e tornare ad essere indipendente, creando quindi uno Stato nazionale su basi politiche, il che avrebbe il significato di una ribellione ai voleri divini.

 

israele, terra santa, giudea, samaria

[Carta storica tratta da Limes 5/11 “Israele, più solo, più forte”]

 

Tale posizione oltranzista, benché ancora sostenuta dai Naturei Karta e dal gruppo haredi dei Satmar, è oggi del tutto minoritaria. Parte degli antisionisti religiosi fondò, in seguito alla diaspora, l’Agudat Yisrael che, dopo la Shoah e la distruzione dei grandi centri dell’ebraismo in Europa centrale ed orientale, accettò lo Stato come un fatto compiuto ed ebbe la sua rappresentanza alla Knesset [12]. Una parte dei religiosi, invece, si dimostrò non solo favorevole al sionismo, ma lo considerò addirittura come l’inaugurazione dei tempi messianici. Secondo gli insegnamenti del principale teorico del sionismo religioso, Rav Abraham Yitzhak Kook, era necessario sostenere il movimento secolare e, a questo fine, promuovere la collaborazione tra laici e ortodossi. I nazional-religiosi sono oggi politicamente attivi all’interno di numerosi partiti, tra cui il Likud, il Mafdal (Partito nazional-religioso) e Habayt Hayehudit [13]. Il movimento sionista ha dato vita ai partiti storici del Mapai di Ben Gurion, confluito nel Partito Laburista nel 1968, e dell’Herut, confluito nel 1973 tra le schiere del Likud di Menachem Begin, Ariel Sharon e Netanyahu. La nascita di uno Stato democratico ha dato vita ad una miriade di altri partiti che costituiscono, insieme ai minoritari movimenti arabi [14], il complesso scenario politico israeliano. Le enormi difficoltà con il mondo arabo-palestinese, datato alla nascita del sionismo stesso, e la quasi impossibilità di creare una pace duratura con i palestinesi all’interno e con i paesi circostanti all’esterno, hanno ulteriormente contribuito a frammentare la società israeliana, le cui posizioni vanno da quelle oltranziste dei coloni a quelle dei membri di movimenti come Shalom Achshav (Pace adesso).

 

Prima di Herzl, l’ebreo derivava la propria identità dalla Torah, dunque da fattori esclusivamente religiosi. Il sionismo vuole invece un “nuovo ebreo”, la cui essenza non è più l’appartenenza religiosa, ma quella ad uno Stato indipendente stanziato su un determinato territorio. Il sionismo vuole la “normalizzazione” degli ebrei in una compagine nazionale simile a quella di tutti gli altri popoli, senza dimenticare la tradizione e rivendicando i “diritti storici” sulla Terra dei Padri; una terra rimasta “sacra”, ma in termini ormai laici e non più religiosi. Il “nuovo ebreo”, tuttavia, non ha mai sostituito quello “vecchio”. La storia di Israele è fatta anche di numerosi compromessi tra l’anima ebraica religiosa e quella laica. Fu proprio David Ben Gurion ad inaugurare tale compromesso, cercando la piena partecipazione al neonato Stato anche da parte della galassia ultraortodossa; sebbene lo stesso Ben Gurion ritenesse che quest’ultima si sarebbe ridotta numericamente nel corso degli anni. È per questo motivo che nello Stato ebraico si continua ad osservare lo shabbat, che le festività religiose sono anche nazionali e che nelle mense pubbliche si osserva la kasherùt.  Sempre grazie al compromesso, i tribunali rabbinici sono gli unici abilitati a giudicare materie di stato civile, mentre i giovani studenti delle yeshivot sono esentati dal servizio militare [15].

 

Sino ad oggi il compromesso sembra aver funzionato, ma che cosa riserverà il futuro? Divisi tra ultra-ortodossi antisionisti, nazional-religiosi, laici progressisti, coloni o pacifisti oltranzisti: falchi e colombe. Chi sono gli israeliani di oggi e chi saranno quelli di domani? Chi sono e chi saranno gli ebrei? Non è mai facile definire chiaramente i confini di un’identità di gruppo, religiosa, nazionale o politica che sia. Anzi, contrariamente alla tendenza corrente, soprattutto quando si tratta di conflitti etnici, culturali e religiosi, dovremmo abituarci a considerare l’identità come qualcosa di fluido, che muta in base al contesto, alle necessità, ai rapporti di forza e alla Storia [16]. Ma la teoria è una cosa, la realtà un’altra. Per quanto fluida e culturalmente costruita possa essere, teoricamente l’identità, per chi si riconosce in essa, è un fatto assolutamente concreto ed imprescindibile. Senza un’identità comune e senza una memoria culturale comune la coesione sociale può venire, pericolosamente, a mancare.

 

Forse è ciò che comincia ad accadere agli ebrei di Israele e della diaspora. In un recente articolo comparso su Haaretz, dal titolo “È arrivata la nostra data di scadenza?”, Kobi Niv riporta le parole di Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, pronunciate all’inizio dell’ottobre di quest’anno: tra dieci anni Israele non esisterà più. Una sciocchezza, commenta sarcasticamente Niv, e per tre motivi: il primo, è che i nostri leader ci dicono che Israele è per sempre; il secondo, perché abbiamo un buon esercito, bombe intelligenti, un’economia stabile e anche l’high-tech; terzo, perché Dio è dalla nostra parte.

 

Ma quale Israele ci sarà tra dieci anni? La preoccupazione dell’autore è che sia in corso una lotta per “l’anima degli ebrei israeliani”. E’ una lotta tra l’ala sionista religiosa e quella laico-progressista. Alcuni sostengono che, alle prossime elezioni, i laico-progressisti, “grazie all’influenza di una qualche costellazione, con l’aiuto di Dio, di qualche combinazione casuale o di chissà quale abracadabra”, riusciranno ad edificare un governo. Ma la realtà è un’altra: i sionisti religiosi hanno già vinto. Hanno vinto perché la maggior parte degli israeliani sono sionisti religiosi. Bisogna solo capire se lo sono al 70, o anche solo al 60%. E quando raggiungeranno la “massa critica del 90%”. Chi sarà in grado di rovesciare il governo dei sionisti religiosi? (Leggi: governo Netanyahu). Pian piano, tutto passa sotto il loro controllo: il sistema scolastico, l’esercito, i tribunali, i media. “E se sollevassimo gli occhi oltre i muri che abbiamo innalzato per nascondere la realtà che cosa vedremmo? Forse il ghetto di Gaza scomparirà e cesseranno le ostilità al suo interno se continuiamo ad ignorarlo? I palestinesi del West Bank diventeranno più sionisti con l’aumentare degli insediamenti? E se bombardiamo l’Iran, questo migliorerà i legami con i paesi della regione o, piuttosto, li peggiorerà? Se continueremo su questa linea, fra tre, sette o dieci anni Israele diventerà più sionista religioso, più fanatico, gretto e senza freni”. Un articolo duro, dai toni “apocalittici” come certi discorsi del premier, anche se arriva dall’ala laico-progressista, pertanto contraria all’attuale governo. Un articolo che riflette anche sulla “questione morale” nei confronti dei palestinesi e sui rapporti con il mondo arabo-musulmano circostante.

 

Sono questi due atteggiamenti “messianici” che potrebbero davvero mettere in pericolo l’esistenza di Israele? E la questione non è soltanto l’esistenza concreta di uno Stato ebraico, ma lo status morale che un tale Stato assumerà.

L’apocalittica retorica di Netanyahu sottolinea il pericolo di un islam oscurantista e medievale, sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali. In qualche modo, il suo atteggiamento nei confronti del pericolo nucleare iraniano e di uno Stato palestinese realmente sovrano sono le due facce di una stessa medaglia. I suoi toni, però, non si richiamano semplicemente alla “tradizione”, come del resto ha sempre fatto anche il sionismo, ma sono di stampo prettamente religioso e, con le dovute cautele, “fondamentalista”, dando al termine il suo significato originario di “basato sui fondamenti” di un determinato credo [17].

 

Anche il concetto di fondamentalismo, come quello di identità etnica e culturale, è sfuggente e fluido e sono definiti “fondamentalisti” gruppi che condividono alcune caratteristiche ma le cui finalità e i cui mezzi per conseguirle sono molto diversi. Il premier Israeliano, almeno per ciò che si evidenzia dai suoi discorsi, condivide con i fondamentalisti l’idea di una lotta in cui la luce trionferà sulle tenebre, il bene sul male; infine quella dell’esistenza di un “nemico” da cui ci si deve guardare per continuare ad esistere [18], sia esso Amalek, l’Iran, Hamas, Hezbollah, il terrorismo o uno Stato palestinese indipendente a tutti gli effetti. Forse bisognerebbe riflettere anche sul perché Netanyahu ricordi spesso (lo ha fatto anche nel discorso all’Onu dello scorso anno) il suo incontro con Menachem Mendel Schneerson, ultimo Rebbe del movimento Habad Lubavitch, ritenuto il Messia da molti dei suoi seguaci. Nel 1984 – racconta – quando venni nominato ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, feci visita al grande rabbino Lubavitch. Mi disse  che stavo per prestare servizio in una casa dalle molte menzogne. Ma ricorda – aggiunse – che anche nel luogo più buio la luce di una sola candela può essere vista da molto lontano”.

 

rebbe menachem

[Rebbe Menachem Mendel Schneerson nel 1993 ca. © Ricki Rosen/Corbis Saba]

In qualunque modo si voglia interpretare la frase, certo ha in sé qualcosa di arcano e di profetico; e non ci sembra troppo azzardato vedere, sotto tale prospettiva, la luce di Israele (e del suo ambasciatore) nel buio di un’Organizzazione che ha equiparato il sionismo al razzismo. Il rabbino Schneerson, scomparso nel 1994, era un personaggio controverso, amato in alcuni ambienti ed aspramente criticato in altri. Nel 1978, il presidente americano Jimmy Carter proclamò l’Education and Sharing Day (Giornata dell’istruzione e della condivisione), da celebrarsi ogni anno in occasione del genetliaco del Rebbe, a ricordo dell’opera umanitaria svolta dal movimento Lubavitch in tutto il mondo, tra gli ebrei e i non-ebrei [19]. L’altra “faccia” di Schneerson e del suo movimento, tuttavia, è rappresentata dalla drastica opposizione alla cessione di anche un solo centimetro della terra d’Israele e di quei territori occupati dalla maggior parte delle nazioni del mondo, ma definiti dagli israeliani Giudea e Samaria, secondo gli antichi nomi biblici. Quelle terre furono promesse da Dio al suo Popolo e ad esso solo appartengono. Il movimento Chabad, inoltre, è stato ed è a tutt’oggi sostenitore di Netanyahu e della sua coalizione di governo, che ha fortemente appoggiato le sue campagne elettorali.

 

Forse anche le posizioni dei laici progressisti, del quotidiano Haaretz, di Grossmann, di Oz e di Yeoshua hanno qualcosa di fondamentalista. Secondo loro il “buio” e il “nemico” sono tutto ciò che Netanyahu e i nazional-religiosi rappresentano. Forse è proprio lo scontro tra questi due “messianismi”, tra queste visioni apocalittiche che mettono in risalto un rischio incombente, che rischia di mettere realmente in pericolo l’esistenza e lo status morale di Israele; più ancora della minaccia nucleare iraniana. Dovremo aspettare le prossime elezioni per sapere chi sarà il vincitore.

 

A proposito di Amalek occorre aggiungere un’ultima riflessione. Sul sito del movimento chassidico Breslov [20], si legge: “Un altro aspetto di Amalek è oggi assai diffuso: quello dei falsi leader. Nella Torah è scritto: Amalek ha colpito le tue retrovie (Deuteronomio, 25:18). I nostri Saggi insegnano: Amalek ha separato le code e le ha gettate in alto (Midrash Tanchuma, Ki Taytze 10). Reb Noson scrive: Amalek scoprì un modo astuto per distruggere il popolo d’Israele. ‘Prende le code’, cioè persone di bassa o nessuna levatura, e le “getta in alto”, cioè le trasforma in leader israeliani (Likutey Halakhot, Shabbat, 5:9) [21] . In questo modo il popolo ebraico è stato condotto erroneamente a credere che i suoi leader siano uomini di valore mentre, in realtà, sono persone ordinarie incapaci da fare da guida”.

 

Saranno gli israeliani a dare al succitato passo l’interpretazione che ritengono più giusta.

 

Per approfondire: Una certa idea di Israele disponibile in ebook o su iPad.

 

Note:
1. Nello Scalzi, Meridiani, 10 ottobre 2012.
2. “L’Iran, Re Bibi e il ‘popolo eterno’ di Israele”, Il Corriere della Sera, 3 agosto 2012
3. A.B. Yehosuha, La Stampa, 1 ottobre 2012.
4. Si riporta in parte l’articolo di Jeffrey Goldberg dal titolo “Israel’s fears, Amalek’s arsenal”, apparso sul New York Times del 16 maggio 2009. Sull’influenza del padre Benzion, vedi anche l’articolo di Akiva Eldar, “The shadow that Netanyahu’s late father cast: the world is against us”, su Haaretz del 30 aprile 2012. Riguardo al “destino dei Netanyahu”, riportiamo un passo tratto dal Discorso all’assemblea Generale dell’Onu del 2011 che ci sembra interessante. “Nel mio ufficio a Gerusalemme ho un antico sigillo. È l’anello di un funzionario ebreo dei tempi biblici, scoperto vicino al Muro Occidentale e che risale a 2700 anni fa, durante il regno di Ezekia. Su quell’anello è impresso il nome del funzionario ebreo. Si chiamava Netanyahu. Che è il mio cognome. Il mio nome, invece, Binyamin, è antico di millenni ed è il nome di uno dei figli di Giacobbe, conosciuto anche come Israele. Giacobbe e i suoi dodici figli abitarono proprio queste colline di Giudea e Samaria 4000 anni fa e da allora, in questi luoghi, c’è sempre stata una presenza ebraica”.
5. Jan Assmann, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, 1997, pp.26-27. Per lo studioso, il caso ebraico è l’esempio paradigmatico di tale memoria culturale.
6. Roberto Della Rocca, “La Rassegna Mensile di Israel”, n.1-2 (Terza Serie) Gennaio-Agosto 1993.
7. Il corsivo è mio. È chiaro il riferimento ad Ahmadi-Nejad.
8. A questo proposito, è interessante riportare che sta facendo il giro del web un video del 2002: si tratta del discorso tenuto da Binyamin Netanyahu alla House Committee on Oversight and Government Reform (Comitato della casa dei rappresentanti per la supervisione e la riforma del governo) degli Stati Uniti. L’allora cittadino privato Netanyahu metteva in guardia gli americani dal dittatore iracheno. “Non vi è assolutamente alcun dubbio – sosteneva – sul fatto che Saddam stia lavorando allo sviluppo di armi nucleari e stia facendo dei progressi. … E non c’è dubbio che, una volta che sarà in possesso di tali armi, la storia cambierà drasticamente”. E concludeva: “Oggi, gli Stati Uniti devono distruggere quel regime perché un Saddam Hussein in possesso di armi nucleari metterà a rischio la sicurezza di tutto il mondo. E non vi illudete: se e quando Saddam avrà armi nucleari, anche la rete del terrore avrà armi nucleari”. Un altro Amalek, questa volta iracheno, che vuole dotarsi di armi nucleari. Anche in questo caso, insieme a lui anche i terroristi islamici saranno dotati di armi nucleari. La storia si ripete, di qualunque nazionalità sia l’Amalek di turno.
9. Anche qui il corsivo è mio.
10. J. Assmann, op. cit., pp. 26-27.
11. Yakov M. Rabkin, Una minaccia interna. Storia dell’opposizione ebraica al sionismo, Ombre Corte, 2005, pp. 86-87. Quanto a “non sottomettere il Popolo d’Israele oltre misura”, è certamente peculiare che siano gli ebrei a fare un giuramento in nome delle nazioni della terra.
12. Il partito si interessava principalmente al benessere dei propri elettori, tenendosi lontano dalla politica attiva se non nei campi riguardanti le istituzioni educative, la distribuzione degli alloggi pubblici, del welfare, dell’esenzione dal servizio militare e del carattere religioso dello Stato. In passato, non aveva una chiara posizione nello spettro politico destra-sinistra ma, dall’inizio degli anni Novanta, viene identificato con le posizioni nazionaliste. (Da www.knesset.gov.il. Parliamentary Groups, Agudat Yisrael). Alla Knesset è presente un altro partito religioso originariamente antisionista, lo Shas, nato nel 1984 per proteggere gli interessi dei sefarditi, dimenticati, a parere dei loro leader, dall’ashkenazita Agudat. Contrariamente a quest’ultimo, lo Shas, che sostiene comunque posizioni considerate “di destra”, ritiene la vita umana più importante del possesso del territorio.
13. Il Mafdal e Habayt Hayehudit costituiscono attualmente un unico gruppo parlamentare all’interno della Knesset. Il Mafdal, noto anche come Nrp (National Religious Party) nacque nel 1956 dall’unione del Mizrachi (movimento sionista religioso fondato a Vilna nel 1902) e dell’Hapoel Mizrachi. “Sino alla guerra dei Sei Giorni nel 1967, il Mafdal era considerato un partito moderato ma, dopo la guerra, le posizioni nazionalistiche del partito si sono rafforzate, in special modo dopo la creazione del movimento Gush Emunim (Blocco dei fedeli) nel 1974 (dal sito ufficiale della Knesset, www.knesset.gov.il). I nazionalreligiosi e Gush Emunim sono spesso considerati estremisti, sia in Israele, sia nella diaspora. Secondo Giorgio Gomel, co-fondatore del Gruppo Martin Buber, “i sionisti religiosi, un tempo politicamente moderati, sono ormai dominati dall’estremismo nazional-religioso. Con la nascita del Gush Emunim negli anni ‘70 – il movimento che ha fornito ai coloni il fondamento teologico della loro azione, affermando l’integrità e sacralità di Eretz Israel, promessa da Dio agli ebrei e riservata quindi al loro possesso esclusivo, come un assoluto irrinunciabile – il sionismo religioso è scivolato via via nell’estremismo politico, una minaccia crescente, purtroppo a lungo sottovalutata, per la natura democratica del paese”. Nel 1983, Amos Oz, scrittore e intellettuale israeliano, affermava nel suo In terra di Israele”: “Dal punto di vista ebraico quella dei coloni è una concezione integralista e monomane : una concezione che riduce l’ebraismo a religione, la religione a culto e il culto a un unico oggetto: l’integrità della Terra di Israele” (da: http://www.martinbubergroup.org/documenti/art12-2.asp).
14. I parlamentari arabi sono attualmente nove, appartenenti ai partiti Hadash, National Democratic Assembly e Ra’am-Ta’al.
15. Dall’agosto di quest’anno, l’esenzione dal servizio militare degli ultra-ortodossi, prevista dalla legge Tal, è stata abolita.
16. Per approfondimenti sul tema dell’identità vedi Ugo Fabietti, L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, 1998; Francesco Remotti, L’ossessione identitaria, Laterza, 2007 (1° ed. 1996); Francesco Remotti, L’ossessione identitaria, Laterza, 2010.
17. Il termine “fondamentalismo” viene oggi associato a gruppi di diversa estrazione religiosa e, in relazione all’islam, ha assunto un significato altamente negativo. Le sue origini, tuttavia, vanno ricercate nell’ambito del cristianesimo protestante statunitense che reagisce, con la pubblicazione dei cinque principi fondamentali della fede cristiana (1895) al liberalismo teologico, al modernismo e al darwinismo. Tra il 1905 e il 1915, esce l’opera in dodici volumi intitolata The Fundamentals e nel 1920 i teologi del movimento vengono definiti per la prima “fondamentalisti” dal giornalista Curtis L. Laws. Da S. Allievi, D. Bidussa, P. Naso, Il libro e la spada. La sfida dei fondamentalismi, Claudiana, 2000.
18. Per una definizione del concetto di fondamentalismo, vedi Luca Ozzano, Fondamentalismo e democrazia, Il Mulino, 2009, particolarmente pp. 21-57. Sull’esistenza di un fondamentalismo ebraico vedi anche Laurence J. Silberstein (edito da), Jewish Fundamentalism in Comparative Perspective, New York University Press, 1993: e Israel Shahak e Norton Mexvinsky, Jewish Fundamentalism in Israel, Pluto Press, 2004.
19. In occasione dell’Education Day del 2009, il presidente Obama ha detto: “Pochi hanno capito e promosso queste idee più del rabbino Menachem Mendel Schneerson, il Lubavitcher Rebbe, che ha sottolineato l’importanza dell’istruzione e della disponibilità verso gli altri. Grazie alla creazione di centri educativi e dedicati ai servizi sociali in tutto il mondo, il rabbino Schneerson ha cercato di stimolare e di ispirare persone di ogni età. Rinnoviamo oggi il suo impegno”.
20. www.breslov.org/where-is-amalek-today/. Il movimento Breslov fu fondato alla fine del 1700 da Rav Nachman, pronipote del Baal Shem Tov, a sua volta fondatore del chassidismo ed eminente figura all’interno dell’ebraismo.
21. Il Likutey Halakhot è un’opera i otto volumi redatta dal fondatore del movimento Breslov. Si tratta di commenti ai codici della Legge.

FONTE: https://www.limesonline.com/netanyahu-iran-miti-ebraici-sionismo-amalek-herzl/39194

 

 

Al Pentagono è venuto un dubbio

 

E’ il n&gro capo del Pentagono

Lloyid Austin: la strategia di Putin conta sul fatto che la Russia duri più a lungo dell’Occidente: così può vincere

Il segretario alla Difesa americano Lloyd AUSTIN: “Putin ha

la sensazione di poter durare più a lungo di noi”. Fa parte della sua strategia, la sua parte principale. Egli ritiene che l’Occidente si stancherà di sostenere l’Ucraina e che la Russia presto riuscirà a farsi valere. Se non continuiamo a sostenere l’Ucraina, Putin vincerà”

SERGEY SHOIGY: AVREMO BISOGNO DI 20 GIORNI PER DISTRUGGERE TUTTI GLI F-16 CHE RICEVERÀ L’UCRAINA

Gli analisti militari russi stimano che la cattura di Avdeevka rappresenterà un punto di svolta nella guerra in Ucraina

La dichiarazione di Shoigu non giunge a caso: questa notte, due camion che trasportavano due caccia F-16 smontati sono entrati in Ucraina dalla Polonia. Dal 2 novembre, 5 aerei di questo tipo erano già stati trasportati in Ucraina.

Il Ministro ha osservato che nell’ultimo mese gli equipaggi della difesa aerea russa hanno distrutto più di 400 armi d’attacco aereo nemiche, tra cui 37 aerei e 6 missili tattici operativi ATACMS.

Allo stesso tempo, i 37 aerei abbattuti sono quasi 2 volte superiori al numero che era garantito per essere fornito all’Ucraina con gli aerei F-16.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/al-pentagono-e-venuto-un-dubbio

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

La Procura sospetta le merendine

 

Misteriosi malori a raffica tra medici e operatori del 118 a Bologna: indaga la Procura sulle macchinette per il caffè e le merendine☕️⚰️

Il dipartimento di sanità pubblica dell’Ausl inizia a scandagliare tutte le possibilità: acqua, aria, virus. Si vagliano tutte le piste, non emerge nulla. Viene tolta una fontanella per l’acqua, vengono eliminate anche le macchinette per le merende e le bevande, fredde e calde. Anche da quella per il caffè non emerge nulla. Nel frattempo ecco altri malori sempre con la stessa dinamica.

L’inchiesta va avanti Verrà aperto un fascicolo contro ignoti.

Il sospetto peggiore è che possa essere stato messo in atto un avvelenamento e si dovrebbe chiaramente guardare all’interno della struttura.
L’Ausl ha già preparato le cartelle cliniche e i dati dei dipendenti coinvolti e dall’analisi dei loro esami si potrà forse capire di più, soprattutto se davvero si ipotizza un avvelenamento.

Qualunque Massoneria straniera e nemica può sempre far conto sulla magistratura italiana. Ora, il Male Assoluto:

 

Guerra mondiale e inoculo, stessa mano:

stessa-manobegin

 

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/la-procura-sospetta-le-merendine/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

ALLERTA GENOCIDIO: LO DICE IL PRESIDENTE DI ISRAELE ISAAC HERZOG

#VelenoQB 🇮🇱🇵🇸🇺🇳🇪🇺

Il presidente israeliano Isaac Herzog afferma ad alta voce che Israele opera secondo il diritto internazionale, perché “L’intera nazione della Palestina è responsabile. Questa retorica secondo cui i civili non sono consapevoli e non sono informati, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio”.

MA COSA DICE???… Israele si sente a proprio agio nel massacrare civili perché, letteralmente, secondo il suo Presidente, vede i civili palestinesi come combattenti militari responsabili anche degli attacchi di Hamas?

Il presidente israeliano ha appena incolpato oltre 5 milioni di civili, metà dei quali sono bambini, per gli attacchi di Hamas, e ritiene che sia colpa loro e che quindi MERITANO DI ESSERE STERMINATI

SIgnore e Signori: questo è un GENOCIDIO ANNUNCIATO.

Per capire cosa succede nel mondo segui: t.me/VQBChannel

FONTE: t.me/VQBChannel/129837

 

 

 

Il Reichstag di Netanyahu: lo Stato sionista condivide la logica nazista

Una settimana dopo l’Operazione militare ‘’Tempesta di Al Aqsa’’, l’Istituto per la Sicurezza Nazionale e la Strategia Sionista ha delineato “un piano per il reinsediamento e la ricollocazione finale in Egitto dell’intera popolazione di Gaza, basato sulla “opportunità unica e rara di poter evacuare l’intera Striscia di Gaza” 1, un piano per la pulizia etnica che (di fatto) sta portando Israele a consumare un crimine efferato sotto gli occhi dell’Occidente collettivo.

Volantini lanciati dagli aerei da guerra israeliani. Israele ha chiesto a più di 1,1 milioni delle città del nord e del centro di Gaza di partire verso sud. Una violazione del Diritto internazionale che configura un tentativo di massacro e pulizia etnica 2

Pubblicato in lingua ebraica, il piano è in linea con gli interessi geopolitici di diversi regimi clienti degli Stati Uniti, non soltanto lo Stato ‘’per soli ebrei’’, ma anche Egitto ed Arabia Saudita. Il documento è stato redatto da Amir Weitman, “gestore di investimenti e ricercatore ospite”, il quale guida anche l’ala ‘’libertaria’’ del Likud. Emulando l’Accordo del Trasferimento (1933), stipulato dai nazisti col potere bancario inglese, il progetto di Weitman prevede che Israele acquisti queste terre al costo di 5-8 miliardi di dollari, un costo enorme pari al 1/1,5% del PIL israeliano.

Questa somma di denaro [necessaria per ripulire Gaza] in relazione all’economia israeliana è minima “; “Investire qualche miliardo di dollari per risolvere questo difficile problema è una soluzione innovativa, economica e sostenibile 

In questa prospettiva, l’imperialismo israeliano invaderebbe di ‘’capitali stranieri’’ i regimi clienti unendo la subordinazione militare a quella economica; per fare ciò è necessario consumare un autentico massacro su larga scala, quindi il documento delinea una geoeconomia di sangue:

Non c’è dubbio che per far sì che questo piano si realizzi, devono presentarsi molte condizioni tutte allo stesso tempo. Attualmente, queste condizioni esistono e non è chiaro quando si presenterà di nuovo una simile opportunità, se mai si presenterà. Questo è il momento di agire. Ora 

Il regime israeliano, con cinismo e nell’indifferenza, ha recuperato ed approfondito i metodi della Germania nazista: trasformare una intera area geografica in un lager, ponendo la base per la ‘’soluzione finale’’.

 

Netanyahu a lezione da Hitler

Lo scorso 7 ottobre l’IDF ha ricevuto l’ordine di bombardare case e civili israeliane dopo essere stato umiliato militarmente da Hamas. I documenti e le testimonianze pubblicati dal giornale israeliano Haaretz, sono stati riesaminati dal giornalista d’inchiesta Max Blumenthal su The Grayzone:

‘’TuvalEscapa, un membro della squadra di sicurezza del Kibbutz Be’eri, ha istituito una hotline per coordinare i residenti del kibbutz e l’esercito israeliano. Ha detto al quotidiano israeliano Haaretz che quando la disperazione ha cominciato a prendere il sopravvento, “i comandanti sul campo hanno preso decisioni difficili – incluso bombardare le case dei loro occupanti per eliminare i terroristi insieme agli ostaggi”.

Un rapporto separato pubblicato su Haaretz ha osservato che l’esercito israeliano è stato “costretto a richiedere un attacco aereo” contro la propria struttura all’interno del valico di Erez verso Gaza “al fine di respingere i terroristi” che ne avevano preso il controllo. All’epoca quella base era piena di ufficiali e soldati dell’amministrazione civile israeliana.’’ 3

Una donna israeliana, Yasmin Porat, ha confermato come l’IDF abbia volutamente ucciso molti civili, descrivendo con una coraggiosa intervista su Radio Israel un “fuoco incrociato molto, molto pesante”. Sui guerriglieri di Hamas ha ricordato:

“Non ci hanno abusato. Siamo stati trattati in modo molto umano… Nessuno ci ha trattato violentemente”(Ibidem)

L’obiettivo di Hamas era quello di portare a Gaza un alto numero di civili, per evitare che il deep state sionista facesse ricorso ai bombardamenti e in particolare quelli al fosforo bianco; purtroppo Israele non ha a cuore le sorti degli israeliti, uccide senza pietà fomentando il ‘’doppio antisemitismo’’contro i palestinesi (che sono tutti semiti) e contro gli stessi cittadini israeliani. I bombardamenti (anche quelli al fosforo) proseguono da giorni senza sosta colpendo indistintamente palestinesi ed israeliani, una guerra genocida finanziata dagli USA con la finalità di gettare una intera area geografica nel caos, secondo la dottrina che il Pentagono ha chiamato ‘’guerra eterna’’.

Lo slogan del Mossad‘’attraverso l’inganno faremo la guerra’’, ritrae la logica sionista, quella della ‘’Grande Bugia’’. Israele ha bombardato una propria base militare, centro nevralgico dell’operazione militare contro la Striscia di Gaza, mandando sotto shock (come vedremo nella prossima citazione) una parte rilevante del proprio ‘’stato profondo ’’. Riporta il giornale Haaretz:

‘’il comandante della Divisione Gaza, Brig. Il generale Avi Rosenfeld, “si trincerò nella sala di guerra sotterranea della divisione insieme a un pugno di soldati e donne, cercando disperatamente di salvare e organizzare il settore sotto attacco. Molti soldati, la maggior parte dei quali non combattenti, sono stati uccisi o feriti all’esterno. La divisione è stata costretta a richiedere un attacco aereo contro la stessa base [Erez Crossing] per respingere i terroristi”.’’ (Ibidem)

Il governo israeliano vive nella menzogna: rilancia le fake news dei coloni sui bambini ‘’decapitati’’4, mentre gli squadroni della morte del Mossad trucidavano civili innocenti nei kibbutz. Pianificando lo sterminio della popolazione palestinese di Gaza e mediatizzando la violenza, Israele è diventato il maggiore promotore dell’antisemitismo mondiale.

Il collasso dell’intelligence dello Stato israeliano ha spinto Netanyahu ad emulare l’incendio del Reichstag tedesco, nel 27 febbraio 1933: erede del sionismo-revisionista, il Premier sionista ha proiettato la logica nazista nella transizione ad una nuova Architettura di potere.

https://comedonchisciotte.org/un-think-tank-sionista-pubblica-il-progetto-per-il-genocidio-dei-palestinesi/

https://twitter.com/Samehahabeeb/status/1712766573474103613

https://www.maurizioblondet.it/il-7-ottobre-israele-ha-ammazzato-un-bel-po-dei-suoi-civili/

https://thegrayzone.com/2023/10/11/beheaded-israeli-babies-settler-wipe-out-palestinian/

Nessuna descrizione disponibile.

FONTE: https://www.linterferenza.info/esteri/reichstag-netanyahu-lo-sionista-condivide-la-logica-nazista/

 

 

CULTURA

Insolita Anatomia dell’intelletto

Quando sarà, molto lontano in questo tempo lineare, desidero oltrepassare la Grande Porta abbracciata al mio intelletto, risorsa che mi è stata donata dall’Ente Supremo per alleggerire il mio percorso in questa dimensione terrena.

Mi è sempre sembrato come un Angelo che mi tira via dai guai, sospendendomi ad alta vibrazione energetica dentro il suo recinto.

Depuro così il Male e riscuoto quella quota che ci viene spesso data, senza che ce ne rendiamo conto, gratuitamente, dal Bene.

Francesca Sifola
scrittrice
sito ufficiale: www.francescasifola.it
Facebook fan page: http://www.facebook.com/pages/Francesca-Sifola/127198417303669?ref=hl

Hannah Arendt. Del politicamente corretto

Il totalitarismo del politicamente corretto ha i suoi eroi e le sue eroine. Hannah Arendt è tra le antesignane della filosofia decaffeinata, al punto da essere insapore. La filosofia è per sua fondazione radicale, essa è “contropotere” con la funzione etica e politica di neutralizzare le forze che minacciano la comunità e le singole soggettività. A tal fine il metodo filosofico è dialettico e concreto. Esso risponde ai drammi e alle potenzialità trasformatrice della propria epoca mediante l’approccio olistico: il dato è riportato al contesto, e in tal modo si affinano gli strumenti critici e si smascherano posture ideologiche. La filosofia non abita nelle stanze del potere, vive nella comunità, è concretezza dialettica, ha lo scopo di ricostruire relazioni di giustizia su fondamenta veritative. Il potere teme la giustizia sociale e il suo inevitabile antagonismo, al punto da far scomparire dallo spazio pubblico ogni riferimento a essa.

Il potere oscura i filosofi non spendibili dal circo mediatico. La filosofia addomesticata regina dei salotti trasforma i concetti in chiacchiere e il concreto in astratto. Lo scopo è l’irrazionale, la comprensione degli eventi storici e il giudizio qualitativo sul sistema è sostituito dagli slogan e dalla chiacchiera colta.

Nei luoghi della formazione e nei media si segue l’astratto discorrere, pertanto si selezionano i “filosofi” che rafforzano e consolidano con l’irrazionalità l’ipostatizzazione del presente.

Hannah Arendt è largamente utilizzata in tal senso, al punto da essere una icona del politicamente corretto. Il suo impegno filosofico e i suoi scritti non turbano il liberismo, ma ammiccano a essi.

Le categorie del liberismo sono proiettate nella storia, i Greci appaiono allo sguardo del lettore della Arendt come gli antenati dei liberisti inglesi. La Arendt proietta categorie del suo tempo nell’interpretazione dei Greci addomesticandoli e rendendoli conformi al “politicamente corretto”, ne disinnesca le potenzialità critiche e divergenti per gli uomini e le donne del nostro tempo. La storia diviene una lunga conferma del presente.

Costanzo Preve filosofo controcorrente e radicale è esplicito nel suo giudizio: per la Arendt i Greci sono gli antenati imperfetti degli anglo-americani, in quanto discriminavano le donne e possedevano gli schiavi. La storia ha dunque due modelli positivi: i Greci e gli inglesi. I Greci sono i precursori degli inglesi. Naturalmente “l’imperfezione greca” non è spiegata razionalmente con la cornice storica ed è risolta dal liberismo, in tal modo si plana “nel migliore dei mondi possibili”. Il paradigma liberista è usato per giudicare i popoli antichi e contemporanei, con questa modalità il liberismo diviene non un modello storicamente situato con le sue contraddizioni, ma il discrimine con cui dividere il bene dal male:

La Arendt, evidentemente, si immagina i greci come dei liberali anglosassoni moderni, sia pure ancora imperfetti perché possedevano ancora degli schiavi e tenevano chiuse in casa le loro donne, i quali effettivamente discutono liberamente di politica presupponendo che la cosiddetta “economia” sia un dato che funziona e si riproduce per conto suo1”.

 

Logos

Il termine logos è tradito e misconosciuto nella sua verità storica. La filosofia è dispositivo anticrematistico. Lo scandalo per i liberisti di ogni partito è la filosofia, di conseguenza essa dev’essere deformata e mutilata della sua capacità di dare-donare risposte agli effetti distruttivi del liberismo. La Arendt si presta a tale operazione di occultamento della filosofia. Il logos per la Arendt è “semplicemente la parola” da usare all’interno di formalismi giuridici. Il logos, invece, rileva Costanzo Preve è emancipazione dalle forze economiche e crematistiche che vogliono strumentalizzare i cittadini, oscurarne la coscienza e il senso critico. Il logos è attività critica che rende la coscienza individuale luogo di resistenza e attività in opposizione alla manipolazione persuasiva. Il logos ha una valenza politica e veritativa e coincide con il filosofare, è prassi sociale senza la quale guerre e ingiustizie divorano comunità e individui in un fatale destino di dolore:

Per la Arendt il termine logos significa unicamente parola, libera parola che convince, decisione presa in base al convincimento delle sole parole. (…) La filosofia, anzi, è nata proprio sulla base della messa in discussione problematica del potere di convincimento della parola in nome di una istanza veritativa esterna al puro potere di convincimento della parola stessa (Socrate contro Gorgia, Platone contro Isocrate eccetera). La Arendt evidentemente cerca di comprendere la polis combinando idealmente Gorgia e Rorty: il logos si riduce alla parola che convince, e dal momento che la verità non esiste la democrazia prevale sempre sulla filosofia2”.

Il logos è misura delle giuste proporzioni, è il katechon che deve contenere derive dissolvitrici nelle quali popoli e individui sono reificati dai processi economistici. Sfruttamento e indebitamento sono il risultato delle logiche crematistiche, i popoli sono sospinti all’indigenza e sono saccheggiati del loro lavoro e della loro capacità creativa e comunitaria.

Il pensiero greco è modello eterno da ripensare, in quanto definisce la natura umana e stabilisce la stabilità della comunità sulla giustizia e sulla verità “mostrate e dimostrate”. Non è sufficiente vivere secondo la verità, per il greco il logos è la parola con cui si dimostra la necessità di una vita conforme alla natura umana. La scissione tra pensiero ed essere è trascesa, sicché il logos pensa il proprio tempo storico, lo giudica qualitativamente al fine di porre in essere la prassi trasformatrice. Il logos della Arendt ridotto a espressione vocale astratta non può che contraddire la sua funzione emancipatrice per divenire chiacchiericcio colto che conserva gli equilibri-squilibri sociali in atto:

Il termine logos significa calcolo (loghizomai), e più esattamente, calcolo delle proporzioni delle corrette proprietà ispirato alla misura (metron), alla giustizia (dike), alla concordia fra i cittadini (omonoia), all’equilibrio fra i beni in una comunità (isorropia), all’istituzione di un freno sociale (katechon) per impedire l’accumulazione infinita-indeterminata (apeiron) delle ricchezze private (chremata) potesse portare alla corruzione-dissoluzione del corpo sociale (phthorà)3”.

 

Destoricizzare

La destoricizzazione e la desocializzazione usate come metodo d’indagine finiscono con deformare non solo i Greci ma anche il tempo contemporaneo. La storia finisce con diventare una fiaba aspaziale e atemporale. La storia per la Arendt è una lunga corsa verso il liberismo, i totalitarismi riconosciuti e giudicati come tali sono solo i sistemi politici avversi al liberismo. Quest’ultimo, invece, è giudicato il regno della libertà. Per evitare gli ostacoli storici e la sua dura realtà la Arendt destoricizza l’essere umano in modo da fondare una antropologia organica allo scopo della sua opera, tutto è abilmente neutralizzato, non mette in campo le categorie interpretative che potrebbero destabilizzare la sua “filosofica visione”.

In primo luogo, l’antropologia della Arendt è completamente destoricizzata, in modo quasi incredibile (e per questo piace nell’epoca postmoderna di rifiuto della coscienza storica). Non c’è traccia di Polany, per cui l’antropologia umana del comportamento privato e pubblico non si sviluppa in correlazione con le forme di rapporto comunitario reciproco (reciprocità, ridistribuzione, scambio eccetera). Non c’è traccia naturalmente di Hegel, per cui è proprio attraverso il lavoro (e cioè prima di lavorare, e poi l’operare) che l’uomo prende coscienza prima di se stesso (e cioè la sua coscienza libera), e poi dei suoi rapporti di asservimento (il servo che si rende conto che lo stesso signore dipende dal suo lavoro). Non c’è ovviamente traccia di Marx, per cui lo stesso <<metabolismo dell’uomo con la natura>> (definizione marxiana) è una pura astrazione del tutto inesistente se non è immediatamente concretizzata con i rapporti sociali di produzione dentro i quali questo metabolismo uomo-natura avviene4”.

L’unica diade individuata dalla Arendt è l’opposizione uomini-donne. La lotta di classe è rimossa dalla storia e dai modi di produzione, su tutto campeggia la storia pacificata dalla vittoria del liberismo anglosassone. Non potrebbe essere altrimenti, poiché il liberismo è per sua costituzione lotta tra le classi, tra le nazioni e tra gli individui, è “guerra perenne”. La diade uomo-donna la rende particolarmente spendibile per il sistema capitale che ha velato i conflitti sociali e di classe con il femminismo e i soli diritti civili, la diade uomo-donna è l’oscuramento della verità storica e catalizzatore del consenso pianificato a livello mediatico:

Insomma, non ci sono tracce di Polany, Hegel e Marx, ma non c’è un briciolo di storia. Abbiamo un Uomo, anzi la diade Uomo-Donna (la sola in cui avviene evidentemente una dialettica biunivoca, il che fa della Arendt, assai più della Simone de Beauvoir, la vera fondatrice del femminismo filosofico, o più esattamente della sostituzione del femminismo al marxismo), che entra in rapporto diretto con la Natura, e che prima lavora per riprodursi, e poi opera per costruire strumenti artificiali5”.

 

Morte e Natalità

Non vi è traccia nelle opere della filosofa della genealogia dei modi di produzione, e in generale, della genetica della divisione in classe con l’evolversi in senso crematistico dell’economia. Le classi sociali sono ipostatizzate, sono tali da sempre, per cui sono intoccabili, non c’è politica che possa intervenire per rigenerare nella giustizia le comunità. La speranza ha il suo succedaneo nel formalismo della parola. La democrazia diviene uso della parola in un sistema formale di regole che compensa il vuoto veritativo. Non a caso la Arendt tratta della “condizione umana” e non della “verità”:

In secondo luogo, l’antropologia della Arendt non è soltanto destoricizzata, ma anche del tutto desocializzata. Non c’è traccia nella Arendt del fatto che all’interno della divisione sociale del lavoro nascono le classi sociali antagonistiche, gli sfruttatori e gli sfruttati6”.

La filosofia al femminile è la frontiera da contrapporre alla filosofia maschile. Non vi sono altre contrapposizioni. Heidegger è simbolo del filosofare maschile. Gli uomini non possono generare la vita, pertanto perseguono la morte. L’Heidegger della Arendt è banale fino al semplicismo. Costanzo Preve dimostra che l’essere per la morte di Heidegger non è finalizzato ad affermare la morte, ma è giudizio sul modello liberista. La reificazione è una forma di morte, mentre si è in vita. La vita inautentica è vita dominata dalla tecnocrazia (Gestell), la tecnica capitalistica si impianta nella carne viva e deforma la natura umana. Il logos è sostituito dal calcolo e dal vuoto ciarlare. L’antitesi della natalità della Arendt alla morte di Heidegger non ha dunque ragion d’essere:

Secondo, la Arendt contrappone la sua teoria della centralità della natalità alla teoria heideggeriana della mortalità, provocando lodi dal concerto del politicamente corretto e del buonismo universale (chi infatti – potendolo fare – non sceglierebbe la natalità alla mortalità?). Ma il Vivere-per-la-Morte di Heidegger non c’entra nulla con una (presunta e inesistente) centralità della cosiddetta Mortalità. Centrale per Heidegger è soltanto l’autenticità, e cioè il vivere autentico (parlo solo del cosiddetto “primo Heidegger”, nel secondo centrale diventa il rapporto degli enti storici con l’Essere7”.

Malgrado i filosofi del politicamente corretto, la natura etica e razionale dell’essere umano non può essere congelata dall’inverno dello spirito sostenuto dagli oratores e dai filosofi di regime. Per poter riportare la storia e la verità dove impera l’astratto è necessario l’esodo dalle Accademie e dai filosofi da salotto. Un concetto radicale e vero può muovere a trasformazioni inaspettate che la pletora dei libri prodotti in serie non potranno mai causare. Il tempo che verrà esattamente come l’attuale momento storico è lavoro dello spirito-concetto da contrapporre all’aggressività della menzogna pianificata. La prassi è innanzitutto verità da definire e tradurre in agire politico, Costanzo Preve ci rammenta con le sue critiche al pensiero della Arendt il senso del filosofare e denuncia le storture e gli occultamenti ideologici del sistema capitale.

Origini del totalitarismo di Hannah Arendt: trama e analisi | Studenti.it


Note
Costanzo Preve, La Scuola di Francoforte Adorno e lo spirito del Sessantotto, Schibboleth, Roma 2023, pag. 285
2 Ibidem pag. 286
3 Ibidem pag. 287
4 Ibidem pag. 281
5 Ibidem pp. 281 282
6 Ibidem pag. 282
7 Ibidem pag. 283

FONTE:  https://www.linterferenza.info/cultura/hannah-arendt-del-politicamente-corretto/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Menzogna caratteristica

Giornalista Israeliana ha dato questa notizia:

Hanno ucciso suo padre.

Hanno violentato sua madre in gruppo, ancora e ancora, e hanno riso tutto il tempo.

Mentre cuocevano vivo il suo bambino nel forno.

I palestinesi sostengono Hamas.

AMANO Hamas.

NESSUN RIFORNIMENTI. NESSUNA CONCESSIONE. NESSUNA PIETÀ.

Ha poi dovuto dire che non era vero

“Ogni accusa sionista è una confessione”

Questo è realmente accaduto. Lo hanno fatto loro a  un bambino palestinese nel massacro di Deir Yassin nel 1948.

Documentario completo qui: https://youtu.be/Bwy-Rf15UIs

Come i media hanno mentito sui bambini decapitati per “giustificare” i crimini di guerra israeliani

La Casa Bianca è stata costretta ad ammettere che Joe Biden non aveva visto “immagini confermate”
Israeli bad journalism,

Praticamente tutti i giornali britannici hanno riferito questa settimana che i combattenti di Hamas hanno decapitato 40 bambini durante l’assalto dello scorso fine settimana. La maggior parte di loro lo usava come prima pagina.

È stata usata come prova evidente dell’atroce ferocia di Hamas, presunta giustificazione per il pestaggio di Gaza e l’assassinio dei palestinesi.

Ma giorni dopo non ci sono prove a sostegno di tale affermazione e giornalisti e politici stanno fuggendo.

Mercoledì la Casa Bianca è stata costretta a ritirare i commenti fatti dal presidente Joe Biden. Ha affermato di aver visto “immagini confermate di terroristi che decapitano bambini” in Israele.

Un portavoce ha detto al quotidiano The Washington Post che Biden non aveva visto nessuna foto del genere. Hanno detto che stava basando le sue affermazioni sulle affermazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e su notizie riportate.

Quasi nessuno lo pubblicherà e il danno è comunque fatto . Marc Owen Jones, uno studioso con sede in Qatar, ha affermato che il rapporto non confermato ha avuto almeno 44 milioni di impressioni, 300.000 Mi piace e oltre 100.000 ripubblicazioni entro 24 ore su X (Twitter).

È un’altra bugia usata per scatenare una guerra. La denuncia sui bambini decapitati è nata da giornalisti che martedì hanno visitato Kfar Aza, un insediamento vicino al confine di Gaza, luogo di un attacco di Hamas.

I giornalisti di i24NEWS, una rete televisiva israeliana, sono stati tra i primi a denunciare l’accusa, che attribuivano ai soldati che avevano recuperato i corpi delle vittime.

In un’intervista con Sky martedì sera, il ministro dell’economia israeliano Nir Barkat ha fatto eco all’affermazione: “Abbiamo visto proprio ora… abbiamo sentito parlare di 40 giovani ragazzi. Alcuni di loro furono bruciati vivi. Alcuni furono decapitati. Alcuni sono stati colpiti alla testa”.

L’agenzia di stampa turca Anadolu è stata la prima a riferire che l’esercito israeliano non avrebbe confermato tale affermazione. L’esercito in seguito ha detto ad altri organi di stampa che non avrebbe confermato i rapporti perché “irrispettosi nei confronti dei morti”.

Almeno altri due giornalisti hanno successivamente cancellato i tweet che facevano riferimento ai rapporti. “Ho appena guardato le prime pagine del Regno Unito di oggi. Sono inorridito dai titoli dei giornali che affermano che “40 bambini sono stati decapitati da Hamas” a Kfar Aza”, ha twittato martedì la giornalista del Guardian Bethan McKernan.

“Sì, molti bambini sono stati assassinati. Sì, ci sono state diverse decapitazioni durante l’attacco. Questa affermazione, tuttavia, non è verificata e totalmente irresponsabile”.

Lo Stato di Israele è abituato a mentire. Il 9 giugno 2006 le forze israeliane hanno fatto saltare in aria sette civili su una spiaggia di Gaza. Il filmato dell’unica sopravvissuta, Huda Ghalia, di dieci anni, che urla tra le rovine della sua famiglia era così insopportabile che Israel ha persino mormorato qualche scusa.

Ma solo per un momento. L’esercito ha rapidamente convocato un comitato per indagare sulle morti sulla spiaggia e quasi altrettanto rapidamente si è assolto da ogni responsabilità.

Il comitato ha riconosciuto che l’esercito ha sparato sei proiettili sopra e intorno alla spiaggia di Beit Lahia dall’artiglieria all’interno di Israele. Ma si diceva che un’altra esplosione, probabilmente una mina piazzata da Hamas, aveva ucciso la famiglia. Quella era una bugia.

Un gruppo di pressione statunitense filo-israeliano, Camera, che cerca di influenzare la copertura mediatica, è arrivato al punto di suggerire che il film sul trauma di Huda Ghalia fosse un falso. Si chiedeva: “I corpi sono stati spostati, alla ragazza è stato chiesto di rievocare la sua scoperta davanti alla telecamera, il video è stato messo in scena?” Quella era un’altra bugia.

La storia dei bambini decapitati ne riecheggia altre. Prendiamo la storia dei bambini kuwaitiani del 1990, usata per giustificare una guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq dopo che le forze di Saddam Hussein presero il controllo del Kuwait. Le sue origini risalgono alla prima guerra mondiale, quando la propaganda britannica accusò i tedeschi di lanciare in aria i bambini belgi e di catturarli con le baionette.

La versione della guerra del Golfo prevedeva che i soldati iracheni irrompessero in un moderno ospedale kuwaitiano e trovassero il reparto dei neonati prematuri. La propaganda occidentale affermò che avevano poi buttato i bambini fuori dalle incubatrici in modo che le incubatrici potessero essere rimandate in Iraq.

La storia è stata riportata per la prima volta dal Daily Telegraph il 5 settembre. Ma la storia aveva bisogno di più colore per essere davvero efficace. Non c’erano foto o interviste con parenti in lutto. Ciò fu presto fornito.

Un’organizzazione che si fa chiamare Citizens for a Free Kuwait è stata finanziata dal governo kuwaitiano in esilio. Aveva firmato un contratto da 8 milioni di sterline con il colosso americano delle pubbliche relazioni, Hill & Knowlton, per promuovere l’intervento militare occidentale per cacciare l’Iraq dal Kuwait.

Il Caucus per i Diritti Umani del Congresso degli Stati Uniti si è riunito in ottobre. Hill & Knowlton fece in modo che una ragazza kuwaitiana di 15 anni raccontasse la storia dei bambini davanti ai membri del Congresso.

Come ha scritto Phillip Knightley, “Lo ha fatto brillantemente, soffocando dalle lacrime al momento giusto, con la voce rotta mentre lottava per continuare. Il comitato del Congresso la conosceva solo come Nayirah e il segmento televisivo della sua testimonianza mostrava rabbia e determinazione sui volti dei d

Altre menzogne

Perché questi adolescenti israeliani, i cui genitori sarebbero stati appena uccisi da Hamas, si sforzano senza successo di trattenersi dal ridere

La delegazione israeliana alle Nazioni Unite ha indossato la stella gialla per far pesare  il fatto di essere il popolo vittima dell’olocausto. Secondo la loro logica chi non asseconda Israele è antisemita. Quindi secondo la loro perversa logica chiunque condanni la carneficina che compiono è antisemita.  La loro recita non servirà a niente, non sono vittime ma carnefici e ciò che compiono non ha giustificazione.

La delegazione israeliana alle Nazioni Unite ha indossato la stella gialla per far pesare  il fatto di essere il popolo vittima dell’olocausto. Secondo la loro logica chi non asseconda Israele è antisemita. Quindi secondo la loro perversa logica chiunque condanni la carneficina che compiono è antisemita.  La loro recita non servirà a niente,non sono vittime ma carnefici e ciò che compiono non ha giustificazione.

“Antisemtismo a Parigi!”

Le stelle di David su case e palazzi: sessanta casi solo a Parigi

(Se le sono fatte loro…)

Stelle di Davide sono apparse su decine di edifici a Parigi. Il susseguirsi di episodi di antisemitismo preoccupa le autorità e i politici europei. Fonte immagine Bfm Tv

A Parigi decine di stelle di Davide sono apparse sugli edifici
Stelle di David blu apparse sui muri di Parigi. Non si tratta di episodi isolati, dato che finora ne sono state contate almeno una sessantina solo nella capitale francese e nelle zone immediatamente periferiche. Si tratta dell’ultima spia che si accende sull’antisemitismo risvegliatosi a seguito della guerra dichiarata da Israele nei confronti di Hamas

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/menzogna-caratteristica/

 

Gli “atti di antisemitismo” sono falsi?

Da Il Sole 24 Ore:

Stelle di David su palazzi e negozi a Parigi, allarme antisemitismo. Vienna: incendio e svastiche al cimitero ebraico

Dalla Francia al Caucaso, dagli Usa alla Cina si moltiplicano gli atti di ostilità nei confronti delle comunità ebraiche

 

Si noti l’allarme mediatico creato ad arte  sulla pretesa “ondata” di antisemitismo in Europa.  Le “prove”  sono così facilmente falsificabili e fattibili da chiunque  (le pietre d’inciampo  “annerite”,  sai che impresa! Le stelle di Davide comicamente  a stampo a Parigi…) che possiamo  legittimamente sospettare che esse siano compiute da agenti israeliani, magari volontari (sayanim)  in obbedienza alla direttiva – dimostrata dalla delegazione sionista all’ONU che ha inalberato la stella gialla per dichiararsi   Vittima dell’Olocausto e Agnello mentre compie il ferocissimo genocidio in Palestina contro un popolo  inerme con la complicità del suo strumento Hamas – che  il preteso Antisemitismo faccia  grandissimo comodo a loro,   che ne  hanno bisogno non solo  per  tacitare chi protesta e denuncia la loro politica di sterminio, ma prelude a una repressione penale di tali proteste, stato l’accusa di odio razziale contro i poveri agnelli ebrei all’estero.

Del  resto sono noti per  aver mentito e continuare a mentire  sugli eventi del 7 ottobre, tacendo che parte degli uccisi  ebrei sono stati uccisi dai soldati israeliani.

Gli antisemiti sono loro:

Le bombe israeliane sganciate in queste settimane sul territorio martoriato della Striscia di Gaza stanno assassinando in media quasi 500 bambini palestinesi al giorno.

A loro, alle più giovani e innocenti vittime sacrificali della follia messianica sionista, va dedicata questa giornata in cui i cristiani onorano i cari defunti.

Un Post Scriptum sulla Meloni presa in giro dai comici russi:

da quel  che ha detto, si capisce che essa non sa delle crisi internazionali più di  quanto sappiamo noi –  anzi un po’ meno di quanto sappiamo noi lettori di notizia alternative..

Quanto  alla figuraccia che secondo l’opposizione (miserabile opposizione) avrebbe fatto,  vale ricordare che nell’inganno dei comici russi prima della Meloni ci sono cascati una dozzina di ministri e affiini stranieri..

Un solo esempio fra i tanti:

Il segretario americano all’Energia ingannato in una falsa intervista con comici russi

Di Timothy Gardner

3 MINUTI DI LETTURA

WASHINGTON (Reuters) – Il segretario americano all’Energia Rick Perry ha discusso con ottimismo dell’espansione delle esportazioni di carbone americano verso l’Ucraina e di altre questioni energetiche durante una lunga telefonata questo mese con un burlone russo che Perry pensava fosse il primo ministro ucraino.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/gli-atti-di-antisemitismo-sono-falsi/

 

The Washington Post – La CIA “preoccupata” per le prossime azioni dei servizi ucraini

25 Ottobre 2023

The Washington Post - La CIA "preoccupata" per le prossime azioni dei servizi ucraini

Di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico

 

Stando al The Washington Post, da un po’ di tempo sia CIA che MI6 sarebbero preoccupati per le azioni dei Servizi di sicurezza (SBU) di Kiev, cui d’altra parte impartiscono lezioni da almeno tre decenni e, con particolare cura, dal golpe neonazista del 2014. Il giornale – e non è la prima volta che lo fa – ammette che diversi atti terroristici particolarmente crudeli e sanguinosi, compiuti dal SBU, causano un’impressione del tutto negativa «tra diversi funzionari di Washington», contrariati dal coinvolgimento mediatico di agenti americani in azioni particolarmente efferati portate a segno in territorio russo.

Tra queste, TWP ricorda l’assassinio di Darija Dugina, o l’attacco con droni al Cremlino: operazioni «valutate come misure estreme che l’Ucraina era stata costretta a intraprendere» sin dal 2014.

Dobbiamo ora render grazie a TWP se veniamo a conoscenza di dettagli di cui, ingenuamente, in questi dieci anni, non ci eravamo accorti, e cioè che proprio nel 2014 – ma non è mai stato un segreto che un intero piano dell’edificio del SBU a Kiev, fosse occupato da agenti americani, sin dai tempi della presidenza di Viktor Jushchenko – si stabilirono «nuovi stretti legami» tra CIA e SBU: a queste “misure estreme” cominciarono a prender parte «gruppi di agenti ucraini, formati, addestrati e equipaggiati in stretta collaborazione con la CIA».

Poi, dal 2015, gli USA hanno speso «decine di milioni di dollari per trasformare i servizi dell’Ucraina, creati in epoca sovietica, in potenti alleati nella lotta contro Mosca». Peccato che Washington i milioni avesse cominciato a spenderli diversi decenni prima del 2015: a dir poco dai primi anni ’50, quando la CIA disegnava la mappa delle aree ucraine a suo dire più favorevoli a possibili incursioni yankee in territorio sovietico; oppure, nel 1991, immediatamente dopo la proclamazione della “indipendenza” ucraina; o, ancora qualche anno dopo, quando aveva cominciato ad addestrare militarmente tutti quei nazionalisti che poi si sarebbero distinti, nelle formazioni neonaziste, nel golpe del 2014 e nelle spedizioni terroristiche in Donbass.

Tra l’altro, sostiene TWP, il primo periodo della “cooperazione” fu abbastanza complesso, poiché a Washington si temeva che i ranghi del SBU fossero pieni di infiltrati dei Servizi russi. È per questo che all’interno del SBU fu creata la “V Divisione”, che operava «staccata dalle altre unità» e, più tardi, anche la “VI Divisione”, che si occupava della cooperazione con l’MI6 britannico. Poi si cominciò a operare e, stando al quotidiano yankee, negli ultimi 20 mesi SBU e GUR (intelligence militare) hanno organizzato «decine di omicidi di funzionari russi» nelle nuove aree passate a Mosca: «ufficiali al di là delle linee del fronte» e anche non militari, come è stato il caso del corrispondente di guerra Maksim Fomin, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Vladlen Tatarskij, ucciso a Piter la scorsa primavera.

TWP cita un anonimo agente ucraino, che si proclama non del tutto d’accordo sugli obiettivi degli assassinii mirati: «Ci sono moltissimi nemici che per noi sarebbe molto più importane neutralizzare: sono quelli che lanciano missili», piuttosto che procedere ad azioni «molto ciniche», come l’omicidio di Darija Dugina.

Sembra che anche alcuni agenti CIA considerino superflue queste azioni. «Se le operazioni del SBU diverranno ancora più tracotanti, ad esempio, contro russi in paesi terzi, ciò può portare a disaccordi con quei paesi e a gravi contraddizioni, quando si tratta di raggiungere obiettivi più importanti per l’Ucraina», quali, ad esempio, «l’adesione a UE e NATO». Da parte sua un altro agente del SBU confessa candidamente che questo «ha messo a punto una propria linea su quali operazioni condividere e quali mantenere segrete», dato che oltrepassare alcuni limiti avrebbe potuto comportare la rinuncia degli americani a partecipare a operazioni particolarmente pericolose.

Ma la CIA, oltre che operare col SBU, si è data anche alla trasformazione del GUR, praticamente «rifondato da zero», tanto che in un anno i suoi agenti sono riusciti a «captare da 250 a 300.000 messaggi russi: così tante informazioni da non riuscire a elaborarle tutte», cosicché il grosso è stato passato a Washington per l’analisi da parte di CIA e NSA.

Ed è stata proprio la stretta interazione tra CIA e SBU, ammette TWP, a rendere possibili l’attacco al ponte di Crimea sullo stretto di Kerch e i continui attacchi con droni al territorio russo.

Ora, a detta del politologo ucraino Vladimir Skachko, sentito dalla russa Vzgljad, il servizio del quotidiano USA testimonia della necessità, avvertita in Occidente, di prendere le distanze dalle azioni terroristiche ucraine che, oltre a gettare un’ombra negativa su CIA a MI6, mettono a rischio queste organizzazioni: non ricordo nessun dipartimento, afferma Skachko messo in piedi da MI6 o CIA in un qualunque paese, che non somigli allo spirito che, «uscito dalla lampada, rifiuta di rientrarci. Dopo di che, quest’essere magico, si lancia contro i suoi creatori, che sia in Medio Oriente, Africa o America Latina». Ne vien fuori che la CIA ha speso montagne di soldi solo per insegnare al SBU a compiere attentati ed è per questo che Washington ora dice pubblicamente a Kiev «Basta!»; almeno in modo così plateale.

Dello stesso parere anche il politologo russo Vladimir Kornilov: il servizio del TWP non è che un tardivo tentativo della CIA di dissociarsi «da quel tipo di terrorismo invece non disdegnato dal SBU, proprio sotto la curatela dei servizi americani e britannici».

La “scoperta” del Washington Post si risolve dunque nel comunicare al mondo che la CIA ha sì impegnato forze e denaro nell’addestramento dei terroristi ucraini, ma d’ora in avanti si tira fuori da azioni così grossolane che squalificano la “professionalità” yankee: ne va del “buon nome”. Vien quasi da crederci.

Infatti, un altro politologo, Aleksej Nechaev, pensa che il servizio del TWP sia stato ispirato non tanto a “ripulire” la CIA dagli attentati già compiuti, quanto a mascherare Langley da quelli che potranno avvenire in seguito: un metodo simile al meme “I told you so”.

Difficile credere, dice Nechaev, che la CIA sia infarcita di sentimentali diplomati di una scuola di ballo che, perso il controllo di SBU e GUR, si rendono conto dei crimini commessi e decidono quindi di fare penitenza all’altare di uno dei principali media americani. Sono invece tutt’altra cosa gli attacchi terroristici e i sabotaggi che sono ora in preparazione: «a Langley fingono di non controllare a pieno la situazione, lasciando una certa libertà di azione ai propri subordinati; così che quando e se succede qualcosa di brutto, alla CIA alzeranno le mani e diranno: “l’avevamo detto che non siamo noi!”».

Di fatto, si sta ora mettendo a punto un alibi mediatico per la CIA, quantunque solo nei media padronali si giuri di ignorare che gli agenti americani istruiscano sempre nei dettagli i propri allievi, in ogni loro “impresa” e che dietro gli esecutori ci sono sempre gli organizzatori.

L’Italia ne sa molto più di qualcosa, purtroppo.

 

 

DIRITTI UMANI IMMIGRAZIONI 

Il progetto per deportare i cittadini di Gaza nel Sinai

Il Ministero dell’intelligence israeliana ha stilato un piano per deportare i palestinesi di Gaza nel Sinai. Lo rivela, e lo rende pubblico la rivista israeliana Mekovit

Tendopoli a Khan Younis, nel sud di Gaza. Il primo passo per deportare tutti gli abitanti di GazaTempo di lettura: 4 minuti

Riportiamo un articolo di grande interesse pubblicato da The Cradle il 29 ottobre. La rivista culturale israeliana Mekovit il 28 ottobre ha pubblicato un documento trapelato dal Ministero dell’Intelligence di Tel Aviv che raccomandava l’occupazione di Gaza per deportare tutti i suoi 2,3 milioni di abitanti nella penisola egiziana del Sinai.

Il documento, pubblicato il 13 ottobre, dettaglia un piano per trasferire tutti i residenti della Striscia di Gaza nel Nord Sinai come l’opzione preferita tra tre alternative per quanto riguarda il futuro dei palestinesi a Gaza alla fine dell’attuale guerra tra Israele e Hamas […].

Il documento raccomanda che Israele evacui la popolazione di Gaza nel Sinai durante la guerra, stabilisca tendopoli e nuovi insediamenti nel nord del Sinai per accogliere la popolazione deportata, e poi crei una zona di sicurezza recintata che si estenda per diversi chilometri all’interno dell’Egitto. Ai palestinesi deportati non sarà permesso di ritornare in nessun territorio vicino al confine israeliano.

L’esistenza del documento non indica necessariamente che le sue raccomandazioni siano state attuate dall’establishment della sicurezza israeliano.

Il Ministero dell’Intelligence, guidato da Gila Gamliel del partito Likud, non controlla nessuna delle agenzie di intelligence israeliane, ma prepara in modo indipendente studi e documenti che vengono inviati al governo e agli organi di sicurezza perché siano esaminati.

Deportare i palestinesi

Tuttavia, le recenti dichiarazioni di alcuni funzionari governativi israeliani e le azioni dell’IDF [Israel defence force ndr] a Gaza suggeriscono che il piano sia effettivamente in fase di attuazione. Dal 7 ottobre, i funzionari israeliani hanno ripetutamente lanciato avvertimenti ai palestinesi affinché si trasferiscano nel sud di Gaza prima dell’imminente invasione di terra

Israele ha imposto un assedio totale a Gaza, tagliando cibo, acqua, carburante ed elettricità. L’assedio, combinato con gli intensi bombardamenti israeliani che hanno ucciso oltre 8.000 palestinesi, in maggioranza donne e bambini, minaccia di rendere Gaza inabitabile.

Un funzionario del Ministero dell’Intelligence ha confermato che il documento di dieci pagine è autentico ma “non avrebbe dovuto esser reso pubblico”, come osserva la rivista Mekovit .

Secondo un attivista di destra, il documento del Ministero dei servizi segreti è stato fatto trapelare da un membro del Likud. La rivelazione del documento è stata un tentativo di verificare se ‘l’opinione pubblica israeliana è pronta ad accettare l’idea di un trasferimento [dei palestinesi] da Gaza [riteniamo che, all’opposto, la rivelazione serva a impedire la deportazione ndr.].

Il documento raccomanda inequivocabilmente ed esplicitamente il trasferimento dei civili da Gaza come risultato auspicabile della guerra.

Il piano di trasferimento è diviso in diverse fasi: nella prima fase, la popolazione di Gaza sarà costretta a spostarsi nel sud di Gaza, mentre gli attacchi aerei israeliani si concentreranno su obiettivi ubicati nel nord di Gaza.

Anche Allah lo vuole…

Nella seconda fase inizierà l’ingresso via terra dell’esercito israeliano a Gaza, che porterà all’occupazione dell’intera Striscia, da nord a sud, e alla “pulizia dei bunker sotterranei dai combattenti di Hamas”.

Quando la Striscia di Gaza sarà occupata, i cittadini di Gaza saranno trasferiti in territorio egiziano e gli sarà impedito di far ritorno per sempre.

“È importante lasciare utilizzabili le vie di transito verso sud, per consentire l’evacuazione della popolazione civile verso Rafah”, si legge nel documento.

Il documento raccomanda di avviare una campagna dedicata a “motivare” gli abitanti di Gaza “ad accettare il piano” per spingerli a rinunciare alla loro terra.

Gli abitanti di Gaza dovranno essere convinti che “Allah ha fatto in modo che voi perdiate questa terra a causa della leadership di Hamas – non c’è altra scelta se non quella di trasferirvi in ​​un altro posto con l’aiuto dei vostri fratelli musulmani”, si legge nel documento.

Inoltre, il piano prevede che il governo debba lanciare una campagna di pubbliche relazioni che promuova tale programma di trasferimento presso gli stati occidentali, in modo da non fomentare l’ostilità verso Israele o danneggiare la sua reputazione.

Deportazione come misura umanitaria

Per ricevere il sostegno internazionale, la deportazione della popolazione da Gaza deve essere presentata come una misura umanitaria necessaria. Tale deportazione potrà essere giustificata perché causerà “meno vittime tra la popolazione civile rispetto al numero che si registrerebbe se rimanessero” dove si trovano, si afferma nel documento.

Il documento spiega, inoltre, che gli Stati Uniti dovrebbero far pressione sull’Egitto affinché accolga i residenti di Gaza e deve incoraggiare i Paesi europei, in particolare Grecia, Spagna e Canada [quest’ultimo, ovviamente, non è un Paese europeo ndr], ad aiutare nell’accoglienza e a sistemare i rifugiati evacuati da Gaza.

Infine, il documento spiega che se la popolazione di Gaza restasse, si conterebbero “molti morti arabi” nel corso dell’occupazione di Gaza da parte dell’esercito israeliano e questo danneggerebbe l’immagine internazionale di Israele in misura maggiore della deportazione della popolazione. Per tutte queste ragioni, la raccomandazione del Ministero dell’Intelligence è di promuovere il trasferimento permanente di tutti i palestinesi di Gaza nel Sinai.

Danny AyalonCosì non appare un caso che l’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Danny Ayalon abbia dichiarato che i residenti di Gaza debbano essere trasferiti nel Sinai. E non è il solo. Per fortuna non tutti in Israele concordano con tale programma, come denota il fatto che il piano sia stato fatto trapelare dalla rivista Mekovit .

L’anticipazione di Bibi e il gas di Gaza

L’idea suddetta, peraltro, non è nuova. Riportiamo il titolo di un articolo del Timesofisrael del 30 novembre 2017: “Netanyahu ha proposto di insediare i palestinesi nel Sinai, afferma Mubarak”. L’ex presidente egiziano, spiega l’articolo, ha rifiutato la richiesta. Non c’era stata ancora l’aggressione di Hamas del 7 ottobre…

Alle dichiarazioni di Ayalon ha accennato anche il comico egiziano Bassem Youssef in un’intervista di rara intelligenza (qui il link), che ci permettiamo di consigliare ai lettori.

Video intervista di Bassem Youssef

Ci permettiamo di aggiungere un altro particolare. Di recente è stato rinvenuto un ricchissimo giacimento di gas naturale al largo della Striscia di Gaza, 30 Km dalla costa, che si stima di “più di un trilione di piedi cubi di gas naturale”. Agli inizi di giugno, il governo israeliano ha dato l’approvazione preliminare al progetto Gaza Marine per il suo sfruttamento.

Non c’entra nulla con il dramma che si sta consumando nella Striscia, ma è un elemento del quale ci sembra opportuno dar conto, aggiungendo che la presenza dei missili di Hamas renderebbe lo sfruttamento troppo oneroso, a causa dei presidi difensivi necessari, oltre che a rischio.

 

FONTE: https://www.piccolenote.it/mondo/progetto-deportare-abitanti-gaza-nel-sinai

 

 

 

Una nota del ministero israeliano dell’Intelligence raccomanda l’espulsione degli abitanti di Gaza in Egitto

Fonte testo: https://www.voltairenet.org/IMG/pdf/_-_-_-_-_-_-2.pdf 

Pubblichiamo la nota del ministero israeliano dell’Intelligence che prospetta tre opzioni per il futuro di Gaza. È stata redatta sotto sotto la direzione della ministra Gila Gamliel ed è intitolata Alternative per una direttiva politica per la popolazione civile di Gaza: raccomanda l’espulsione dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza nel Sinai egiziano.

Il ministero dell’Intelligence è organo di riflessione e prospettiva. Non ha autorità sulle agenzie d’intelligence, ma si appoggia su di esse.

Il documento è stato consegnato ad alcuni partecipanti alla Conferenza del Cairo sulla questione palestinese. Questo spiega perché i capi di Stato arabi abbiano continuato a riferirsi alla Risoluzione della Lega araba del 1969, che vedeva nel trasferimento dei palestinesi un mezzo per stroncarne la lotta, quindi lo respingeva.

Le tre opzioni del ministero dell’Intelligence sono:
porre la popolazione di Gaza sotto la tutela dell’Autorità palestinese;
sottoporre la popolazione di Gaza a un’autorità locale;
espellere la popolazione di Gaza nel Sinai egiziano.

Il documento analizza le opzioni sotto tre angolature:
la fattibilità;
la legittimità (N.B. la nota non fa mai riferimento al Diritto internazionale);
l’influenza ideologica.

La terza opzione è presentata come «una vittoria netta di Israele che ripristinerebbe il potere di deterrenza dell’intero Occidente, danneggiato dall’attacco a Israele».

L’Egitto verrebbe protetto dalla contaminazione ideologica di Hamas grazie all’istituzione di un’area sicura nel Sinai. Parte della popolazione di Gaza potrebbe essere spostata in Grecia, Spagna, Marocco, Libia, Tunisia e Canada.

Dopo l’evacuazione dei civili in Egitto, le Forze di Difesa israeliane saranno libere di combattere i terroristi nelle rovine di Gaza.

L’operazione dovrebbe essere accompagnata da una campagna mediatica per convincere gli abitanti di Gaza che Allah vuole che perdano per sempre la loro terra a causa dei crimini di Hamas.

Non possiamo certificare l’autenticità del documento, ma le organizzazioni pacifiste israeliane lo ritengono tale. È in linea con l’attuale strategia delle forze armate israeliane.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article219949.html

 

Israele/TPO: fino a ieri 78 bambini uccisi a Gaza

Non noto il numero delle piccole vittime in Israele. Ancora una volta i bambini e ragazzi pagano il prezzo più alto dell’escalation di violenza in Israele e nei Territori palestinesi occupati

I bambini stanno affrontando rischi inimmaginabili per la loro sicurezza, con conseguenze terribili a lungo termine per la loro salute mentale, tra cui depressione, incubi, enuresi e autolesionismo: questo l’allarme di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro.

Con l’intensificarsi dell’escalation in Israele e a Gaza, il numero di bambini coinvolti nella violenza è in aumento. Fino a ieri, erano stati uccisi almeno 700 israeliani e 413 palestinesi, tra cui almeno 78 bambini a Gaza. Il numero di bambini uccisi in Israele non è ancora stato confermato. Mentre la violenza continua, le fonti ufficiali faticano a tenere il passo con le vittime, che si prevede continueranno ad aumentare con il proseguire delle operazioni militari.

A Gaza, gli attacchi aerei hanno raso al suolo le abitazioni dei bambini e delle loro famiglie, mentre almeno tre scuole e un ospedale sono stati danneggiati. Anche un centro medico in Israele sarebbe stato colpito dal lancio di razzi. Tutte le scuole in Israele e a Gaza sono chiuse, interrompendo ancora una volta l’accesso dei bambini all’istruzione, da anni vittima delle ripetute escalation, in particolare a Gaza.

Le notizie di bambini palestinesi uccisi e feriti negli attacchi aerei e di bambini israeliani rapiti e tenuti in ostaggio, rafforzano i timori di un tributo psicologico senza precedenti.

Save the Children condanna la violenza, affermando che la portata degli attacchi in Israele e a Gaza sta causando danni che dureranno a lungo dopo la crisi.

Jason Lee, direttore di Save the Children per i Territori Palestinesi Occupati, ha dichiarato che il senso di sicurezza dei bambini è stato “strappato via”.

“Anche i nostri operatori e le loro famiglie sono terrorizzati, si sentono come bersagli fissi. I minori di tutta la regione vivono in costante stato di paura”, ha dichiarato. “Questa violenza deve finire, altrimenti i bambini continueranno a pagarne il prezzo”.

L’Organizzazione chiede un cessate il fuoco immediato per evitare un’ulteriore escalation che metta a rischio i bambini. Tutte le parti devono fare del loro meglio per proteggere i bambini e rispettare il diritto umanitario internazionale.

L’Organizzazione – una delle maggiori che operano nei TPO di Gaza e Cisgiordania – sta rispondendo alle esigenze umanitarie immediate e di sviluppo a lungo termine di bambini e famiglie. Attualmente Save the Children attua programmi nei settori dell’istruzione, della protezione dell’infanzia, e supporta la popolazione con mezzi di sussistenza, opportunità economiche, servizi idrici e igienico-sanitari, servizi per la salute e la nutrizione a donne e bambini e a supporto per la tutela della salute mentale.

FONTE: https://www.savethechildren.it/press/israeletpo-fino-ieri-78-bambini-uccisi-gaza-non-noto-il-numero-delle-piccole-vittime-israele

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

DOLLARIZZAZIONE: HOW IT ALL BEGAN? (COME TUTTO EBBE INIZIO)

La dollarizzazione del commercio mondiale nasce in un preciso momento storico, il 1944, in cui le condizioni del precedente predominio britannico (e quindi della Sterlina) sullo scenario vengono meno e gli Stati Uniti approfittano della posizione di forza del momento per definire un assetto che gli permetterà di fatto nei decenni successivi di fare il bello e cattivo tempo, imponendo la propria valuta, il Dollaro, come moneta di riserva di gran parte dei paesi e principale mezzo di pagamento internazionale.

Keynes e White a Bretton Woods

 

Di Franco Ferrè per ComeDonChisciotte.org

Negli anni Sessanta, il futuro presidente francese Valery Giscard d’Estaing, all’epoca ministro delle Finanze di De Gaulle, definì lo status internazionale del Dollaro statunitense con l’epiteto, da allora divenuto proverbiale, di “Esorbitante privilegio”. Nel 1971 la risposta arrivò, trasversalmente, dall’allora Segretario al Tesoro americano, John Connally, che dichiarò, con cinico realismo:

“Il dollaro è la nostra valuta ma un vostro problema”.

Nel prosieguo dell’articolo, cercheremo di raccontare perché il Dollaro USA è diventato un problema, partendo dal momento esatto in cui sono state create le condizioni perché lo diventasse, ovvero dal mese di luglio del 1944, quando furono conclusi gli accordi di Bretton Woods.

Perché partire da Bretton Woods? Il Dollaro statunitense è una moneta, e la moneta, recita il sito ufficiale della BCE è qualcosa che ha cambiato aspetto nel tempo, assumendo via via significati diversi a seconda dei contesti e, soprattutto, a seconda dei modi con cui le persone che vivevano in quei contesti decidevano di volta in volta di utilizzarla. Generalmente, la moneta può assumere i significati sia di mezzo di scambio che di riserva di valore; tuttavia, esistono diversi contesti in cui NON si utilizza affatto la moneta, né come riserva di valore, né come mezzo di scambio. In pratica, per farla breve, ciò che la moneta significa in un determinato sistema sociale dipende tempo per tempo da una CONVENZIONE, ossia da ciò che gli appartenenti a quel sistema decidono di fargli fare. Lo stesso dicasi per la forma (anche fisica) che la moneta, se utilizzata, assume e, ovviamente, per il VALORE che la moneta, ove utilizzata, assume tempo per tempo.

Per questo, se vogliamo comprendere cosa ha significato la “dollarizzazione” del mondo, dobbiamo descrivere le convenzioni, cioè gli accordi, da cui questa modalità di intendere la moneta è nata, e le condizioni in cui tali accordi sono stati stipulati, ovvero gli accordi di Bretton Woods del 1944.

“La costruzione di Bretton Woods rappresenta il tentativo finale di mantenere un legame delle istituzioni monetarie con la merce, il cui fallimento segna il definitivo passaggio alla fiat money” [1]

Quando, in piena Seconda Guerra Mondiale, i delegati di 44 paesi si riuniscono a Bretton Woods, amena località del New Hampshire, negli Stati Uniti, non esiste nessun accordo internazionale che definisca le regole generali di scambio monetario tra i diversi paesi. Del resto, il caos generato dalla guerra aveva fatto passare in secondo piano ogni altra considerazione, sostituita, molto spesso, da tematiche di sopravvivenza primaria per la gran parte della popolazione coinvolta, e nessuno aveva più fatto più di tanto caso alle convenzioni sulla moneta: ogni paese aveva fatto per sé, al limite stipulando accordi bilaterali con altri paesi, quando ritenuto necessario. Il Gold Standard, in vigore di fatto fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, era stato via via abbandonato a furia di eccezioni, modifiche, uscite più o meno temporanee dei vari paesi; come racconta Filippo Cesarano [2]

“Il fatto più rilevante [NdA: dopo la Prima Guerra Mondiale e dopo la Crisi del ‘29] è il capovolgimento dell’opinione prevalente a favore del Gold Standard. Quello che era considerato, fino al 1914, un modello ideale è visto come la fonte dei profondi squilibri degli anni Trenta e l’ostacolo maggiore al ripristino di relazione monetarie stabili”.

Infatti, negli anni che precedettero e seguirono la Grande Depressione, si assistette prima a dei tentativi (fallimentari e spesso velleitari) di ritorno al Gold Standard, da parte di vari paesi, secondo la c.d. Restoration Rule, che mirava a ripristinare le parità con l’oro precedenti alla Grande Guerra ad ogni costo [3] e poi al suo successivo abbandono da parte via via di tutti coloro che l’avevano applicata [4]. In generale, negli anni che hanno preceduto Bretton Woods, è possibile individuare, passando in rassegna le diverse correnti di pensiero sottostanti le decisioni intervenute nei vari paesi, un progressivo ed inesorabile spostamento dell’opinione prevalente – prima negli studiosi e poi nei vari policymakers – da un concetto di moneta “naturale” ovvero autodeterminata e indipendente da ogni “ingerenza” esterna, a un concetto di moneta “governata”, il cui valore era frutto sia di fattori peculiari ad essa, sia di interventi da parte di qualcuno autorizzato a farlo. Su chi dovesse essere questo “qualcuno” (così come su molte altre cose) le opinioni divergevano alquanto, ma – con un certo grado di semplificazione – non è azzardato ipotizzare che si fossero determinate in quel momento le condizioni ideali perché si affermasse un nuovo attore egemone sulla scena, che in quel particolare momento storico non potevano che essere gli Stati Uniti. Il caos era la regola, nel mondo ancora in guerra, e l’America era palesemente l’attore più forte in campo: quali migliori circostanze per organizzare una “costituente” della moneta che stabilisse delle nuove regole e, già che c’era, determinasse – di fatto – chi sarebbe stato quel “qualcuno” che ne avrebbe indirizzato l’andamento (a proprio favore, ovviamente)? Ed eccoci così a Bretton Woods, nel luglio del 1944.

Le proposte sul tavolo erano due, una del vecchio egemone, ovvero il Regno Unito, opera di John Maynard Keynes e l’altra americana, sostenuta da Harry Dexter White (chi era costui? [5]). Nonostante la differenza di qualità ed originalità delle due proposte, che rifletteva la differenza di statura intellettuale dei due portavoce, la proposta “vincente” fu sostanzialmente quella americana (ah, i rapporti di forza…), molto simile al già fallito assetto del Gold Standard, dove l’ancoraggio diretto delle monete all’oro con rapporti di cambio fissi era sostituito dall’ancoraggio dell’oro al solo Dollaro americano, a sua volta poi legato alle altre monete da cambi sostanzialmente fissi, pur con la previsione di possibili oscillazioni, in presenza di circostanze predeterminate ed eccezionali. Contestualmente, venivano creati il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale con il compito di favorire, tramite prestiti e sovvenzioni ai vari paesi, gli aggiustamenti che si sarebbero resi necessari nel nuovo assetto e, più in generale, per finanziare i vari progetti di sviluppo.

Questo assetto aveva il pregio, agli occhi degli americani, di ristabilire una sorta di quadro di regole che non si discostasse troppo, all’apparenza, dal vecchio, creando però gli spazi (e gli strumenti) per degli interventi di correzione nel sistema. Interventi che avrebbero dovuto essere concordati all’interno delle nuove istituzioni monetarie internazionali. La realtà degli anni successivi vide ben pochi aggiustamenti concordati e molte più variazioni dal sentiero originario derivate da decisioni di politica interna degli americani, decisioni funzionali agli obiettivi che tempo per tempo i vari governi a Washington andavano perseguendo. Gli Stati Uniti negli anni del dopoguerra puntarono alla piena occupazione e, in coerenza con le “nuove” idee in campo monetario, la Federal Reserve assecondò tali politiche con gli interventi sulla moneta che via via ritenne necessari, senza concordarli con le banche centrali degli altri paesi. Il che ebbe, ovviamente, dei riflessi sul Dollaro e, tramite esso, sugli altri paesi che al Dollaro si erano agganciati (compresi i paesi sconfitti, Italia inclusa, of course). Certo, a politiche monetarie espansive avrebbe sempre dovuto corrispondere, in teoria, una uguale quantità di oro nelle riserve americane, (il che avrebbe dovuto scoraggiarle) ma tale corrispondenza si fece via via sempre più sfumata, nei fatti, fino al 1971, quando l’allora presidente Nixon – spinto anche dalle spese militari in crescita continua per la guerra del Vietnam – decretò la fine del sistema dichiarando insieme al così detto “Gruppo dei Dieci”, la fine della convertibilità del Dollaro in Oro (c.d Smithsonian Agreement).

Tuttavia, ventisette anni di sistema monetario mondiale (o quantomeno delle principali economie) ancorato al Dollaro statunitense avevano creato una situazione per cui la gran parte delle transazioni commerciali tra i diversi paesi erano ormai svolte in Dollari. E solo due anni dopo, come ricorda Domenico Moro nell’articolo dedicato alla dedollarizzazione, venne concluso l’accordo tra Stati Uniti e Arabia Saudita per l’utilizzo del Dollaro nelle transazioni riguardanti il Petrolio, accordo che “blindò” l’uso della moneta americana su larga scala nei commerci mondiali di materie prime e di fatto trascinò tutto il commercio mondiale nella stessa direzione, Bretton Woods o meno. Di conseguenza, come faceva notare mr Connaly, che fosse agganciato o no all’oro, il Dollaro restava l’egemone, e quindi restava un problema di chi ci si era legato. Se la gran parte dei beni acquisiti dall’estero dovevano essere comprati in Dollari, il valore della moneta locale rispetto al Dollaro avrebbe condizionato pesantemente tutte le politiche dei rispettivi paesi e, di converso, avrebbe permesso agli Stati Uniti di influenzare a proprio favore tutti gli scambi internazionali con gli altri paesi. Come? In varie maniere, ad esempio governando a proprio piacimento le quantità di dollari in circolazione, il che influenzava sia il cambio con le altre valute, sia il valore delle riserve altrui (sì, perché il Dollaro, essendo il più diffuso mezzo di scambio, era diventato anche moneta di riserva di molti paesi esportatori) ma anche attraverso l’arma strettamente politica delle sanzioni. Se un paese usa il Dollaro per i propri interscambi commerciali, il paese che emette Dollari può impedirne i commerci bloccandone l’accesso alle fonti valutarie [6] anche semplicemente (come fatto con la Russia nel 2022) chiudendone gli accesso al sistema di regolamento delle transazioni, lo SWIFT, che lavora – ovviamente – in Dollari.

I dati del FMI mostrano come nel 1999, ben ventotto anni dopo lo Smithsonian Agreement, la quota di riserve mondiali espresse in Dollari fosse ancora oltre il 71%.

Quanto agli scambi commerciali, la preminenza (e permanenza) del Dollaro negli scambi internazionali può essere sinteticamente intuita considerando un semplice dato, inerente i paesi aderenti all’Euro, ovvero quella moneta che, al momento della sua nascita, era stata presentata come la sua possibile alternativa, destinata – nei sogni dei promotori – addirittura a sostituirla nel ruolo di valuta di riserva. Ebbene, perfino i paesi dell’area dell’Euro hanno in realtà continuato ad usare prevalentemente i Dollari per i propri scambi internazionali, se è vero che ancora trenta anni dopo Maastricht, nel 2022 essi utilizzavano l’Euro per non più del 50% delle esportazioni e meno del 40% delle importazioni [7]. Il Dollaro, nel 2022, pesava ancora oltre i due terzi del totale sulle importazioni di materie prime, il che senza dubbio riflette anche uno scarso potere contrattuale dei paesi dell’UE verso gli altri attori presenti sui mercati, ed in particolare sui mercati delle merci di cui è carente.*

Il che, per concludere, avrebbe consigliato un comportamento un filino più ponderato negli ultimi tempi quando, proni ai voleri dei padroni del Dollaro, si è deciso dall’oggi al domani di privarsi di quelle fonti di approvvigionamento a basso costo che fino a ieri avevano costituito la base di ogni attività produttiva nei paesi europei.

Il futuro per i paesi europei, così restando le cose, rischia di essere una riproduzione su larga scala di quanto ha fatto poche settimane fa la BASF, ovvero concludere (obtorto collo) un mega-accordo di fornitura di Gas Liquefatto da un fornitore statunitense per sostituire la fine forzata della partnership decennale con la Gazprom russa. In che moneta saranno regolati questi scambi? La dedollarizzazione, per noi europei, è un po’ come il paradiso del famoso film: può attendere.

Di Franco Ferrè per ComeDonChisciotte.org

NOTE

[1] F.Cesarano – Gli Accordi di Bretton Woods – Collana Storica Banca d’Italia  Ed.Laterza – Bari 2014 (p.140)

[2] F.Cesarano – Ibidem (p.83)

[3] In Inghilterra venne applicata da Winston Churchill nel 1925 e generò effetti nefasti, che ispirarono il libro di Keynes “Le conseguenze economiche di Winston Churchill”.

[4] Nel Regno Unito fu abbandonata nel 1931. Negli USA un paio di anni dopo

[5] Così lo definisce il sito del FMI, ente fondato proprio in occasione della conferenza di Bretton Woods: “Without question, Harry Dexter White was one of the two great intellectual founders of the IMF and the World Bank. (…) chief international economist at the U.S. Treasury” – https://www.imf.org/external/pubs/ft/fandd/1998/09/boughton.htm – La pagina di Wikipedia riporta, però, soprattutto le accuse di cui fu oggetto nel dopoguerra, ovvero che fosse una spia al servizio dei sovietici, accuse per cui venne processato – in pieno maccartismo – nel 1948 e che lo portarono alla morte d’infarto subito dopo la sua deposizione al processo. Harry Dexter White – Wikipedia.

[6] Tutti i pagamenti in Dollari transitano dalla Federal Reserve americana.

[7] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Extra-EU_trade_by_invoicing_currency,_2022_june_2023.png

 

FONTE: https://comedonchisciotte.org/dollarizzazione-how-it-all-began-come-tutto-ebbe-inizio/

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

La perpetuazione del dominio occidentale prevale sulla vita dei palestinesi

Assistiamo impotenti al massacro della popolazione di Gaza. Già 8.000 morti! Le potenze occidentali hanno abbandonato i civili alla loro sorte. Loro unica preoccupazione: continuare a dominare il mondo. A Gaza non è in gioco la questione palestinese, ma l’ordine internazionale. Dopo la disfatta della Nato in Ucraina, quella di Israele segnerebbe la fine di un mondo.
Negli ultimi settantacinque anni mai siamo stati così vicini a uno scontro generalizzato.

Il 25 ottobre il presidente russo Vladimir Putin ha presieduto dal suo bunker una vasta esercitazione di guerra nucleare.

IL MASSACRO

Israele continua a bombardare la città di Gaza per ritorsione all’attacco della Resistenza palestinese unita (cui non ha partecipato solo Fatah) del 7 ottobre. Le bombe si abbattono su tutto l’agglomerato urbano uccidendo migliaia di abitanti. Secondo un sondaggio di giugno 2022 del Palestinian Center for Policy and Survey Research [1], se venissero indette elezioni legislative solo il 34% dei palestinesi voterebbe per Hamas; il 31% voterebbe per Fatah. Due terzi della popolazione colpita dai bombardamenti israeliani è quindi ostile ad Hamas. Il 71% sostiene invece la lotta armata contro l’occupazione israeliana. Di questo 71%, il 56% preferisce Ismail Haniyeh (Hamas) a Mahmoud Abbas (Fatah).

Quindi Israele non potrà sradicare Hamas, ma eliminerà la popolazione di Gaza, peraltro ostile per due terzi ad Hamas.

ESPULSIONE DEGLI ABITANTI DI GAZA

Tre quarti dell’esercito israeliano è posizionato davanti al Muro di separazione, in attesa dell’ordine di varcarlo per eliminare i sopravvissuti ai bombardamenti.
Gli Stati Uniti esortano ufficialmente Israele alla moderazione per evitare un genocidio. In realtà Washington sa che l’operazione di Israele inizialmente non era diretta contro Hamas, ma mirava a risolvere la questione palestinese evacuandone la popolazione. Infatti il Dipartimento di Stato ha proposto all’Egitto l’annullamento dell’intero debito estero (135 miliardi di dollari) in cambio dell’accoglienza e naturalizzazione dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza.

Per il momento il presidente egiziano, maresciallo Al-Sisi, respinge la proposta. Il Cairo si attiene alla risoluzione della Lega araba che, dopo la Guerra dei sei giorni, ha affermato che spostare i palestinesi e naturalizzarli non è operazione umanitaria, ma una manovra per liquidare la loro causa.

Durante l’audizione alla Knesset il generale Yitzhak Brik ha tracciato un bilancio catastrofico della preparazione delle forze armate israeliane.

LA DEBOLEZZA DELLE FORZE ARMATE ISRAELIANE

Dall’inizio di questa guerra, o meglio dell’ultimo episodio di una lunga guerra, gli israeliani si rendono conto dell’attuale inadeguatezza delle forze armate. Dal 2015 la stampa specializzata parla della decadenza di Tsahal, ma la classe politica ne ha preso coscienza solo nel 2018, quando il generale Yitzhak Brik fu ascoltato alla Knesset (parlamento). Il generale sbalordì i deputati spiegando che i soldati avevano smarrito il concetto di difesa del Paese, che gli ufficiali non esitavano a mentire per coprire le proprie responsabilità, che i generali facevano carriere politiche invece che militari. Cinque anni dopo, non solo non è cambiato nulla, le cose sono addirittura peggiorate.

In questi giorni la stampa israeliana è tornata sulle dichiarazioni del generale Brik secondo cui, in una guerra futura, gli israeliani potrebbero essere costretti a difendersi da soli senza sperare nel soccorso delle forze armate.
È esattamente quanto accaduto il 7 ottobre.
Il 22 ottobre il primo ministro Benjamin Netanyahu ha consultato il generale Brik; non ci sono state dichiarazioni né comunicati, sicché non si conosce il contenuto del colloquio. Si sa solo che il generale ha chiesto il siluramento del direttore dell’Intelligence militare (Aman) e del capo del Comando Sud.

Non è tutto. Per la prima volta i nemici della colonizzazione hanno a disposizione armi performanti. L’analisi dei video di Hamas non lascia dubbi: l’organizzazione possiede lanciamissili anticarro FGM-148 Javelin (di fabbricazione statunitense) e NLAW (di fabbricazione svedese), nonché lanciarazzi AT4 (di fabbricazione svedese o statunitense). Lo Hezbollah libanese ha a disposizione una scorta impressionante di missili a media gittata che, con l’addestramento dei soldati, ne fa una potenza militare competitiva, molto superiore a quella degli Stati arabi.

Le armi di Hamas sono statunitensi o svedesi. Sono state acquistate in Ucraina da ufficiali corrotti. Quelle dello Hezbollah provengono dall’Iran, via Iraq e Siria. Nessuno conosce quante armi possieda Hamas.

Il segretario generale dello Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha ricevuto il numero due di Hamas, Saleh el-Arouri, e il capo della Jihad islamica, Ziad el-Nakhala.

Per il momento il conflitto è circoscritto alla Striscia di Gaza. I palestinesi della Cisgiordania e di Israele non si sono sollevati, così come non sono insorti i rifugiati di Giordania e Libano. Lo Hezbollah è vincolato dalla risoluzione 1701, firmata dai suoi ministri alla fine della guerra tra Israele e Libano del 2006 [2]. Non può superare il fiume Litani per entrare in territorio israeliano senza violare l’impegno preso. Al contrario degli Occidentali, Hezbollah attribuisce valore alla parola data, ma il vincolo cadrebbe se Israele attaccasse il Libano. Infatti lo Hezbollah si tiene pronto e nel frattempo distrugge una dopo l’altra tutte le videocamere e i radar che Israele ha installato lungo il confine. In questo modo potrà prendere di sorpresa le forze armate israeliane, qualora decidesse di entrare in guerra.

GLI OCCIDENTALI HANNO DECISO DI SACRIFICARE GLI ABITANTI DI GAZA

Come non essere stupefatti di fronte al veto opposto da Stati Uniti, Francia e Regno Unito alla proposta di un cessate-il-fuoco umanitario immediato? Come non interpretare questa decisione come volontà di prolungare un conflitto iniziato 76 anni fa? Sotto questo aspetto, l’analisi di Recep Tayyip Erdogan è corretta. Davanti al parlamento il presidente turco ha dichiarato: «Chi è causa del problema naturalmente non ne vuole la soluzione», alludendo agli imperi francese e britannico che hanno creato l’irresolubile questione palestinese. «Più la crisi si aggrava e più si radica, meglio è per i loro interessi (…) Vogliono che la questione palestinese si aggravi… Vogliono continuare a tenere lontane da questa regione pace e stabilità … Vogliono che l’ombra della guerra aleggi sempre sul Mediterraneo orientale… Vogliono che i popoli che abitano queste terre da migliaia di anni non beneficino delle loro risorse… Vogliono che il loro sistema di sfruttamento, fondato sul sangue, la persecuzione e le lacrime si perpetui… A tutto questo ci opponiamo. Rifiutiamo questo regime di sfruttamento il cui prezzo è pagato da tutti i popoli della regione, siano essi mussulmani, cristiani o ebrei».

Il 23 ottobre la prima ministra francese, Elisabeth Borne, ha difeso una posizione equilibrata sul conflitto israelo-palestinese. Tuttavia ha tentato di nascondere il veto francese alla proposta di cessate-il-fuoco umanitario immediato, dimostrando così di non aver in pugno la situazione. Il seguito degli avvenimenti sfuggirà al suo governo.

È davvero vergognoso che la prima ministra francese, Elisabeth Borne, parlando alla tribuna dell’Assemblea nazionale, abbia accusato la propaganda russa di aver imputato, a torto, alla Francia il veto alla proposta russa di cessate-il-fuoco immediato… menzionando la proposta del Brasile votata invece dalla Francia. Ci sono state in effetti due proposte: quella russa, presentata nella sessione a porte chiuse del 17 ottobre, che osservava la stretta neutralità cui un’azione umanitaria deve attenersi; e quella del Brasile, presentata nella sessione pubblica del 25 ottobre, che condanna Hamas per le barbarie commesse.

È la prima volta, dal 1976, che la Francia ricorre al veto; allora lo usò per continuare a colonizzare Mayotte, come ha ammesso il rappresentante permanente francese al Consiglio di Sicurezza, Nicolas de Rivière. La proposta di risoluzione brasiliana era inaccettabile perché condannava una delle parti in causa. La Francia lo sapeva, eppure l’ha votata.

LA FINE DELL’OCCIDENTE

Esiste tuttavia un’altra spiegazione. Dapprima gli Stati Uniti hanno invitato Israele alla moderazione; poi hanno inviato due gruppi navali e predisposto un ponte aereo di 97 aerei cargo per consegnare grandi quantitativi di munizioni (in Israele, ma anche in Giordania e Cipro); infine hanno bombardato milizie filo-iraniane in Iraq e in Siria.
Washington ha meditato sulle possibili conseguenze di un’eventuale sconfitta israeliana a Gaza immediatamente successiva alla disfatta della Nato in Ucraina. Nessuno più temerebbe l’Occidente. Tutte le regole imposte al di fuori del Diritto internazionale sarebbero rimesse improvvisamente in discussione. Tutti i popoli che l’Occidente costringe alla minorità da secoli, sfruttandoli spudoratamente, si rivolterebbero. Comincerebbe una nuova era.

Il rancore accumulato da decenni fa prevedere una ferocia incontrollabile, di cui Hamas ha dato un assaggio. Le grandi potenze occidentali hanno perciò deciso di chiudere gli occhi sul massacro che si sta compiendo. Sono consapevoli di permettere e favorire un genocidio, ma temono soprattutto di dover rendere conto dei crimini commessi in passato e di quelli attuali.

A Gaza è quindi in gioco non la questione palestinese, ma la supremazia occidentale, l’imposizione delle sue regole, nonché gl’indebiti vantaggi che ne traggono gli Occidentali.

La tensione non è mai stata così alta dalla seconda guerra mondiale. La Russia ne è consapevole e si prepara all’eventualità di una guerra nucleare. Dall’inizio della guerra di Gaza la Russia ha fatto due esercitazioni militari molto vaste, con tiri di missili balistici intercontinentali. Non è più un gioco: ha simulato la morte di un terzo della popolazione russa e la trasformazione di parte del proprio territorio in area inabitabile per le ricadute atomiche.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article219939.html

 

 

 

La Nato respinge l’adesione dell’Ucraina

Jessica Cox, responsabile della politica nucleare dell’Alleanza atlantica, in una riunione al Centro studi strategici e internazionali (CSIS) che la Nato ha respinto l’adesione dell’Ucraina.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha definito il rifiuto «un’umiliazione», tanto più che il Regno Unito gli aveva garantito che l’adesione sarebbe stata una semplice formalità.

La Russia, che aveva annunciato che avrebbe ritenuto l’adesione una dichiarazione di guerra, non ha commentato.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article219942.html

 

 

 

POLITICA

Putin spiega gli scopi dei “burattinai geopolitici”

Putin convoca i membri del Consiglio di sicurezza e del Governo e i capi delle agenzie di sicurezza russi e denuncia: “Seminare l’odio e provocare uno scontro tra le persone di tutto il mondo…Questo è il vero obiettivo dei burattinai geopolitici che stanno dietro al conflitto in Medio Oriente”.

“Voglio ribadire che coloro che stanno dietro al conflitto in Medio Oriente e ad altri conflitti regionali utilizzeranno l’impatto distruttivo di questi conflitti per seminare odio e provocare scontri tra le persone in tutto il mondo. Questo è il vero obiettivo di questi burattinai geopolitici”.

http://en.kremlin.ru/events/president/news/72618

Incontro con i membri del Consiglio di sicurezza e del Governo e con i capi delle agenzie di sicurezza

Vladimir Putin ha tenuto una riunione con i membri del Consiglio di sicurezza e del Governo e con i capi delle agenzie di sicurezza.

30 ottobre 2023 21:15
Novo-Ogaryovo, Regione di Mosca

Riunione con i membri del Consiglio di sicurezza e del Governo e i capi delle agenzie di sicurezza.

All’incontro hanno partecipato il Primo Ministro Mikhail Mishustin, la Presidente del Consiglio della Federazione Valentina Matviyenko, il Presidente della Duma di Stato Vyacheslav Volodin, il Procuratore Generale Igor Krasnov, il Vice Presidente del Consiglio di Sicurezza Dmitry Medvedev, il Segretario del Consiglio di Sicurezza Nikolai Patrushev, il Primo Vice Primo Ministro Andrei Belousov, il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov, Ministro della Difesa Sergei Shoigu, il Direttore del Servizio federale di sicurezza Alexander Bortnikov, il Direttore del Servizio federale delle truppe della Guardia nazionale – Comandante in capo delle truppe della Guardia nazionale Viktor Zolotov, il Direttore del Servizio di intelligence estera Sergei Naryshkin, il Presidente del Comitato investigativo Alexander Bastrykin e il Primo Vice Ministro degli Interni Alexander Gorovoy.

* * *

Il discorso di apertura del Presidente alla riunione con i membri del Consiglio di Sicurezza e del Governo e i capi delle agenzie di sicurezza

Il Presidente della Russia Vladimir Putin: Colleghi,

Oggi voglio discutere con voi un’ampia gamma di questioni.

Il Ministro della Difesa [Sergei Shoigu] è tornato dal suo viaggio ufficiale all’estero e ci informerà sui suoi risultati e sui progressi dell’operazione militare speciale.

Naturalmente, discuteremo della situazione in Medio Oriente e delle questioni relative alla garanzia dell’ordine pubblico in Russia. Discuteremo di ciò che è necessario fare per proteggere i diritti del nostro popolo, la sicurezza pubblica, la pace civile e l’accordo interetnico, anche in vista delle minacce esterne.

Come sapete, in un recente incontro con i leader delle associazioni religiose, ho parlato dei tentativi di usare la drammatica situazione in Medio Oriente e altri conflitti regionali contro il nostro Paese per destabilizzare e dividere la nostra società multietnica e multireligiosa. A questo scopo, vengono utilizzati molti mezzi diversi, tra cui, come vediamo, menzogne, provocazioni e sofisticate tecniche di aggressione psicologica e informativa.

Voglio ribadire che coloro che stanno dietro al conflitto in Medio Oriente e ad altri conflitti regionali utilizzeranno l’impatto distruttivo di questi conflitti per seminare odio e provocare scontri tra le persone in tutto il mondo. Questo è il vero obiettivo di questi burattinai geopolitici.

Ricordiamo come è iniziata l’attuale fase della crisi mediorientale: è stato un attacco terroristico contro civili israeliani e civili di altri Paesi che si trovavano in quel momento in Israele. Vediamo che, purtroppo, invece di punire i criminali e i terroristi, hanno iniziato a vendicarsi secondo il principio della responsabilità collettiva. Non c’è alcuna giustificazione per i terribili eventi che si stanno verificando ora a Gaza, dove centinaia di migliaia di persone innocenti vengono uccise indiscriminatamente, senza avere un posto dove fuggire o nascondersi dai bombardamenti.

President of Russia (http://en.kremlin.ru/events/president/news/72618)
Meeting with members of the Security Council and Government, and heads of security agencies
Vladimir Putin held a meeting with members of the Security Council and Government, and the heads of security agencies.

Maurizio Blondet, [01/11/2023 08:41]
Quando si vedono i bambini sporchi di sangue, i bambini morti, la sofferenza delle donne e degli anziani, quando si vedono i medici uccisi, ovviamente, si stringono i pugni mentre le lacrime salgono agli occhi. Non c’è altro modo per dirlo.

Tuttavia, non dobbiamo, non abbiamo il diritto e non possiamo lasciarci trasportare dalle emozioni. Dobbiamo capire chiaramente chi c’è dietro la tragedia dei popoli in Medio Oriente e in altre regioni del mondo, chi ha organizzato questo caos letale e chi ne trae vantaggio. A mio avviso, è già diventato chiaro a tutti, poiché le menti agiscono sfacciatamente alla luce del sole.

Si tratta delle attuali élite al potere negli Stati Uniti e nei loro satelliti, che sono i principali beneficiari dell’instabilità globale che usano per estorcere la loro sanguinosa rendita. Anche la loro strategia è chiara. Gli Stati Uniti come superpotenza globale si stanno indebolendo e stanno perdendo la loro posizione, e tutti lo vedono e lo capiscono, anche a giudicare dalle tendenze dell’economia mondiale. Il mondo all’americana, con l’egemonia di un solo Paese, si sta distruggendo e si sta ritirando gradualmente ma inesorabilmente nel passato.

Tuttavia, gli Stati Uniti non sono disposti ad accettarlo e cercano invece di preservare ed estendere il loro dominio, la loro dittatura globale, che è più facile da raggiungere in mezzo al caos, perché ritengono che questo caos li aiuterà a contenere e destabilizzare i loro rivali o, come dicono loro, i loro avversari geopolitici, tra i quali annoverano anche il nostro Paese, che in realtà sono nuovi centri di crescita globale e Paesi sovrani indipendenti che non sono disposti a inchinarsi e a svolgere il ruolo di servi.

Oggi la Russia non solo partecipa attivamente alla formazione di un nuovo mondo multipolare più equo, con pari diritti e opportunità per tutti i Paesi e le civiltà. Non siamo solo uno dei leader di questo processo storico oggettivo, ma dirò di più, e tutti lo sanno: La Russia sta combattendo sul campo di battaglia per il nostro futuro, per i principi di un ordine mondiale giusto, per la libertà dei Paesi e dei popoli. Stiamo combattendo con coerenza e i nostri soldati e ufficiali, i nostri eroi, stanno combattendo e perdendo i loro compagni d’armi.

Lo ripeto ancora una volta: le élite al potere degli Stati Uniti e dei loro satelliti sono dietro la tragedia dei palestinesi, il massacro in Medio Oriente in generale, il conflitto in Ucraina e molti altri conflitti nel mondo – in Afghanistan, Iraq, Siria e così via. Questo è diventato evidente a tutti. Sono loro che installano le loro basi militari ovunque, che usano la forza militare con ogni pretesto e senza alcun pretesto, che inviano armi nelle aree di conflitto. Stanno anche convogliando risorse finanziarie, anche verso l’Ucraina e il Medio Oriente, e alimentano l’odio in Ucraina e in Medio Oriente.

Non ottenendo risultati sul campo di battaglia, vogliono dividerci dall’interno, per quanto riguarda la Russia, per indebolirci e seminare confusione. Non vogliono che la Russia partecipi alla soluzione di alcun problema internazionale o regionale, compresa la soluzione del Medio Oriente. Non sono affatto soddisfatti quando qualcuno non agisce o parla esattamente come gli è stato ordinato. Credono solo nella propria esclusività, nel poter fare qualsiasi cosa.

Non hanno bisogno di una pace duratura in Terra Santa, ma di un caos costante in Medio Oriente. Di conseguenza, stanno cercando di screditare i Paesi che insistono per un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, per porre fine allo spargimento di sangue, e che sono pronti a dare un contributo reale alla risoluzione della crisi, invece di parassitarla. Stanno persino attaccando, ostracizzando e cercando di screditare le Nazioni Unite e la chiara posizione della comunità globale.

Maurizio Blondet, [01/11/2023 08:41]
Vorrei sottolineare che, a differenza dell’Occidente, il nostro approccio alla situazione in Medio Oriente è sempre stato privo di interessi mercenari, intrighi e doppi standard. Abbiamo dichiarato e continuiamo a dichiarare apertamente la nostra posizione, che non cambia ogni anno. La chiave per risolvere il conflitto sta nella creazione di uno Stato palestinese sovrano e indipendente, uno Stato palestinese a tutti gli effetti. Lo abbiamo ripetuto più volte in modo aperto e onesto durante i nostri contatti con i leader palestinesi e israeliani.

Ripeto, la verità è che quanto più forte diventa la Russia e quanto più consolidata è la società russa, tanto più efficacemente saremo in grado di difendere i nostri interessi nazionali, così come gli interessi delle nazioni che sono vittime della politica neocoloniale occidentale.

Vorrei ribadire che dobbiamo capire dove si trova la radice del male. Dobbiamo sapere dove si trova il ragno che sta cercando di impigliare l’intero pianeta e il mondo intero nella sua ragnatela. Vuole assicurarsi la nostra sconfitta strategica sul campo di battaglia e sta usando persone sul territorio dell’Ucraina contemporanea a cui ha fatto il lavaggio del cervello per decenni. Vorrei sottolineare ancora una volta che, mentre combattiamo questo nemico nel corso dell’operazione militare speciale, rafforziamo le posizioni di tutti coloro che lottano per la loro indipendenza e sovranità.

Gli eventi di ieri sera a Makhachkala sono stati istigati anche attraverso i social network, non da ultimo dall’Ucraina, da agenti dei servizi di intelligence occidentali. A questo proposito vorrei chiedermi: è possibile aiutare la Palestina cercando di attaccare il popolo Tat e le sue famiglie? I Tat, tra l’altro, sono la nazione titolare del Daghestan. L’unico modo per aiutare la Palestina è combattere coloro che sono dietro questa tragedia. Noi, la Russia, li stiamo combattendo con un’operazione militare speciale, per noi stessi e per coloro che cercano la vera libertà.

A proposito, non smetto mai di stupirmi del regime di Kiev e dei suoi padroni d’oltremare. Sappiamo che Bandera e altri scagnozzi di Hitler sono già stati messi su un piedistallo d’onore, sappiamo e vediamo come la leadership ucraina applaude i nazisti della Seconda guerra mondiale, colpevoli delle vittime dell’Olocausto, che hanno partecipato personalmente a questi crimini e che oggi, sotto la guida dei loro patroni occidentali, stanno cercando di istigare pogrom in Russia. Tra l’altro, non sono sicuro che tutti i circoli dirigenti degli stessi Stati Uniti ne siano consapevoli. Non sarebbe una cattiva idea per coloro che si preoccupano tanto dei cittadini di Israele indagare su ciò che i loro servizi di sicurezza stanno facendo in Ucraina, se stanno cercando di istigare pogrom in Russia. Feccia, ecco tutto. Non c’è altro modo per dirlo.

Ma coloro che si battono davvero per la verità e la giustizia, che lottano contro il male e l’oppressione, contro il razzismo e il neonazismo, che l’Occidente incoraggia, stanno ora combattendo al fronte – vicino a Donetsk, Avdeyevka, sul Dnieper. Ripeto: questi sono i nostri soldati e ufficiali. E la scelta di un vero uomo, di un vero guerriero, è quella di imbracciare le armi e di schierarsi con i suoi fratelli, di essere lì dove si decide il destino della Russia e, di fatto, del mondo intero, compreso il futuro del popolo palestinese.

Voglio richiamare l’attenzione dei capi di tutte le regioni, dei capi delle forze dell’ordine e dei servizi speciali sulla necessità di un’azione ferma, tempestiva e chiara per proteggere l’ordine costituzionale della Russia, i diritti e le libertà dei nostri cittadini, l’accordo interetnico e interreligioso.

Passiamo alla discussione di tutti i temi proposti.

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http://en.kremlin.ru/events/president/news/72618

Meeting with members of the Security Council and Government, and heads of security agencies

Vladimir Putin held a meeting with members of the Security Council and Government, and the heads of security agencies.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/putin-spiega-gli-scopi-dei-burattinai-geopolitici/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Verifica identità o esposizione dati? X utilizza azienda israeliana guidata da ex militari per verifica utenti

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-verifica_identit_o_esposizione_dati_x_utilizza_azienda_israeliana_guidata_da_ex_militari_per_verifica_utenti/39602_51419/

di Jessica Buxbaum* – Mintpress

La piattaforma di social media X (precedentemente nota come Twitter) sta lavorando con un’azienda tecnologica israeliana per verificare gli abbonati BlueTick, sollevando il sospetto che i dati personali potrebbero cadere nelle mani del governo israeliano o del settore privato, entrambi con una lunga storia di illegalità per rubare i dati degli utenti, anche dallo stesso X, e spiare sia gli alleati che gli avversari.

Ad agosto, il ricercatore di app Nima Owji X ha dato la notizia che X stava testando le funzionalità di verifica dell’identità. Nel mese di settembre X ha ufficializzato le voci e rilasciato informazioni sui mezzi di verifica. Il processo richiede il caricamento di una foto del tuo documento d’identità insieme a un selfie, con i dati poi condivisi con AU10TIX, una società israeliana di verifica dell’identità fondata da ex funzionari dell’intelligence israeliana che archivia i dati per 30 giorni prima che, secondo X, vengano cancellati.

Secondo X, AU10TIX cancella le immagini degli ID utente memorizzati entro 72 ore dalla loro ricezione e i selfie vengono cancellati dopo aver ricevuto i risultati dell’elaborazione. X nota che raccoglie dati sui volti e altri dati estratti dall’ID di un utente. Il processo di verifica è facoltativo per gli abbonati ed è attualmente disponibile solo per privati ??e non per aziende o organizzazioni.

X sostiene che l’etichetta verificata aiuterà ad autenticare gli account utente, prevenendo la rappresentazione. Propongono inoltre altri vantaggi per gli utenti verificati, come una verifica dell’ID visibilmente etichettata quando si fa clic su un segno di spunta blu, nonché il supporto utente prioritario. L’azienda promette inoltre vantaggi per gli utenti disposti a inviare i propri dati all’azienda israeliana, incluso un processo di revisione semplificato e una maggiore flessibilità nell’apportare modifiche alla foto del profilo, al nome visualizzato o all’handle di un utente.

Tuttavia, diversi esperti di diritti digitali hanno messo in guardia dalle possibili implicazioni che questo sviluppo potrebbe avere.

“Stiamo parlando di fornire tali informazioni non solo a Twitter, ma a terzi”, ha detto a MintPress News Jason Kelley, direttore dell’attivismo per il gruppo per i diritti digitali Electronic Frontier Foundation. “In qualsiasi tipo di scenario di verifica, sia che si tratti di andare online per verificare la tua età o verificare il tuo indirizzo effettivo, dovrebbero esserci delle preoccupazioni.”

In una conversazione con Middle East Eye , Nadim Nashif, direttore esecutivo di 7amleh, un’organizzazione palestinese per i diritti digitali, ha espresso allarme per la presunta collaborazione.

“Au10tix si trova in Israele ed entrambi hanno una storia ben documentata di sorveglianza militare e raccolta di informazioni”, ha detto Nashif. “Questa associazione solleva interrogativi sulle potenziali implicazioni per la privacy degli utenti e la sicurezza dei dati.”

Altri analisti hanno avvertito che le procedure di verifica potrebbero portare Israele a compromettere informazioni sensibili. “Sarebbe un danno deliberato e definitivo per gli utenti comuni se venisse usato, e/o abusato, da Israele, ed è molto probabile che lo sia”, ha detto il sociologo britannico ed esperto di propaganda, David Miller, nel programma televisivo Palestine Declassified.

Antony Loewenstein, giornalista indipendente e autore di The Palestine Laboratory, un nuovo libro sulle esportazioni di tecnologia israeliana, afferma che il processo di verifica di X normalizzerà la tecnologia di sorveglianza israeliana. In un comunicato stampa , Loewenstein ha dichiarato:

La diffusione mondiale della tecnologia di sorveglianza, spesso creata da veterani dei servizi segreti israeliani che hanno trascorso anni a monitorare i palestinesi sotto occupazione, è una minaccia per la democrazia in tutto il mondo. In un’epoca di crescente nazionalismo etnico, dall’India all’Ungheria fino a Israele, è fondamentale porsi domande critiche sull’origine e sul pedigree di qualsiasi azienda digitale israeliana”.

Loewenstein ha sottolineato che occorre sapere di più sulle misure di verifica. Quanto sono sicure le informazioni? Dove verranno archiviati e chi ha accesso ai dati? “Queste sono tutte domande legittime, soprattutto perché negli ultimi cinque anni si sono verificati numerosi casi davvero inquietanti di attori del cattivo stato di Twitter che hanno avuto accesso a informazioni delicate”, ha detto Loewenstein a MintPress News.

Nel 2014 e nel 2015, tre agenti sauditi si sono infiltrati su Twitter per identificare le persone che criticavano il governo del Regno da account Twitter anonimi. Alla fine, le identità di migliaia di utenti anonimi di Twitter sono state rivelate e in seguito, secondo quanto riferito, questi individui sono stati arrestati e torturati dal governo saudita. Per questo motivo, X è ora implicato in una nuova causa civile negli Stati Uniti per aver aiutato l’Arabia Saudita a commettere violazioni dei diritti umani.

X non ha risposto alle richieste di commento riguardanti i problemi di privacy e sicurezza sollevati. Invece di un’emoticon sorridente e fecale, che è ormai consuetudine per le risposte alla stampa di Twitter, il dipartimento stampa ha inviato una risposta automatica, scrivendo: “Occupato adesso, per favore ricontrolla più tardi”. Anche l’azienda israeliana AU10TIX non ha risposto alle domande riguardanti il ??suo processo di verifica dell’identità con X o per affrontare i problemi di sicurezza della tecnologia.

Chi c’è dietro AU10TIX?

AU10TIX è stata fondata nel 2002 come braccio tecnologico della società di sicurezza olandese ICTS International, a sua volta fondata da ex membri dell’agenzia di sicurezza israeliana, Shin Bet, ed ex funzionari di sicurezza della compagnia aerea israeliana, El Al.

Il fondatore e attuale presidente di AU10TIX, Ron Atzmon, ha prestato servizio nella famigerata unità 8200 dello Shin Bet, che sorveglia i palestinesi e utilizza le informazioni per persecuzioni politiche e semina divisione nella società palestinese identificando potenziali informatori. L’unità è ampiamente nota per incanalare i suoi veterani nel settore high-tech israeliano. Gli ex ufficiali delle 8.200 unità hanno fondato più di 1.000 aziende, con l’80% delle aziende israeliane di tecnologia informatica fondate da diplomati delle 8.200 unità.

Atzmon non è l’unico membro dello staff AU10TIX ad aver fatto parte dell’unità di intelligence d’élite. In effetti, molti ingegneri dell’azienda lavoravano nell’unità 8200.

Anche la dirigenza della compagnia è composta da ex soldati israeliani. Il vicepresidente della gestione del prodotto di AU10TIX, Nir Stern , ha prestato servizio nell’aeronautica israeliana. Avidan Lamdan, vicepresidente della ricerca e sviluppo, ha lavorato come ingegnere nell’esercito israeliano. Il consigliere generale della compagnia, Udi Abram, ha lavorato come capitano militare israeliano, oltre a lavorare per cinque anni presso Elbit Systems, il più grande produttore di armi israeliano. Elad Elazar, vicepresidente delle prevendite, era un maggiore dell’esercito israeliano. E il capo dell’area Asia-Pacifico di AU10TIX, Rom Amir , era un tenente dell’esercito israeliano.

“Spesso queste aziende hanno acquisito esperienza per la loro attività lavorando nell’esercito sorvegliando i palestinesi”, ha detto Loewenstein. “E portano quella cosiddetta esperienza in una comunità globale e la vendono per grandi quantità di denaro”.

Alcuni dirigenti dell’azienda hanno anche lavorato con le principali società informatiche israeliane accusate di controverse tattiche di sorveglianza.

La responsabile marketing Amazia Keidar ha precedentemente lavorato come vicepresidente del marketing internazionale per Cellebrite, un’azienda israeliana di tecnologia informatica nota per la vendita dei suoi prodotti alle forze dell’ordine nei paesi dell’America Latina. Edo Soroka, vicepresidente delle vendite per Europa, Medio Oriente e Africa, ha lavorato come direttore delle vendite per AnyVision, una start-up israeliana accusata di sorvegliare i palestinesi nella Cisgiordania occupata. Il direttore finanziario Erez Hershkovitz ha lavorato nello stesso ruolo per Voyager Labs, una società israeliana citata in giudizio da Meta per aver utilizzato quasi 40.000 account Facebook falsi per raccogliere dati su circa 600.000 utenti.

 Le tattiche clandestine di AU10TIX

AUT0TIX ha iniziato fornendo servizi di intelligence sull’identità per aeroporti e controllo delle frontiere in tutto il mondo, affermandosi come esportatore di tecnologia antiterrorismo. Ora, l’azienda si propone come uno dei principali esperti di frodi, vantandosi del fatto che il suo strumento di verifica dell’identità può determinare l’età e persino la posizione di una persona.

AU10TIX non solo impiega ex personale dell’Unità 8200, ma utilizza anche lo stesso tipo di tecnologia di riconoscimento facciale sviluppata dall’unità per condurre attività di spionaggio contro i nemici di Israele, sollevando ancora una volta preoccupazioni su come potrebbero essere utilizzati i dati biometrici raccolti.

Il giornalista Richard Silverstein, che si occupa della sicurezza nazionale israeliana, ha spiegato che AU10TIX deve mantenere un ampio database contenente le informazioni personali di milioni o addirittura decine di milioni di persone per rilevare modelli simili a frodi. Questi dati potrebbero provenire da fonti pubbliche e da enti privati ??accedendo a informazioni ottenute da altre società, agenzie governative e forze dell’ordine.

“I suoi algoritmi… potrebbero anche etichettare coloro che non hanno adottato alcun comportamento del genere, ma che potrebbero farlo in futuro”, ha scritto Silverstein su The New Arab. “Il punto è che nessuno, tranne AU10TIX e i suoi clienti, sa cos’è l’algoritmo e come effettua tali determinazioni.”

Beyond X, l’azienda di sicurezza informatica è orgogliosa di aver collaborato con numerose aziende internazionali, tra cui Microsoft, Uber, LinkedIn, UpWork, Airbnb, PayPal e Google.

“Le aziende israeliane come AU10TIX affermano di aderire ai più alti standard etici e di proteggere i diritti alla privacy di coloro ai cui dati accede” ha scritto Silverstein. “Ma quando i clienti utilizzano questi strumenti, anche per quello che ritengono uno scopo legittimo, stanno acquistando la tecnologia e l’ideologia che li hanno creati”.

Come la sua controllata AU10TIX, anche ICTS International ha sviluppato sistemi di verifica dell’identità per gli aeroporti. E anche la leadership della compagnia ha un sordido passato, con Menachem Atzmon, presidente del consiglio di sorveglianza della ICTS International, condannato nel 1996 per frode nel finanziamento della campagna elettorale mentre era co-tesoriere del partito Likud del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

 Diritti digitali in pericolo

Israele è stato a lungo accusato di collaborare con i giganti dei social media come Meta per prendere di mira gli utenti palestinesi e filopalestinesi.

Secondo 7amleh, la Cyber ??Unit del Ministero della Giustizia israeliano invia richieste ad aziende come Meta, Google e YouTube per rimuovere i contenuti che secondo Israele incitano i palestinesi. Secondo l’ex ministro della Giustizia Ayelet Shaked, queste aziende soddisfano il 95% delle richieste di Israele.

Prima dell’acquisto dell’allora Twitter da parte del miliardario tecnologico Elon Musk, decine di presunti bot israeliani seguivano in massa account pro-Palestina. Gli esperti hanno suggerito che questa potrebbe essere una forma di censura poiché i falsi follower attivano l’algoritmo di Twitter e possono portare la piattaforma a sospendere un account.

Aumentano le accuse di censura durante i periodi di crisi e quando Israele-Palestina fa notizia a livello internazionale. Durante l’assalto israeliano a Gaza, Al-Aqsa e Sheikh Jarrah nel 2021, gli attivisti palestinesi hanno riferito che le società di social media stavano rimuovendo i loro contenuti sulla violenza israeliana e sulla pulizia etnica per aver violato le linee guida della comunità. Gli utenti dei social media riferiscono anche di essere sottoposti a shadowban nel contesto dell’attuale guerra di Israele a Gaza.

Non solo i resoconti filo-palestinesi hanno segnalato attività limitate, ma sono stati documentati oltre 103.000 casi di incitamento all’odio contro i palestinesi e incitamento alla violenza contro di loro in ebraico dal 7 ottobre, quando è iniziata la guerra. La stragrande maggioranza del contenuto, nota 7amleh, si è verificata su X.

Il direttore di 7amleh, Nashif, ha invitato X a risolvere i problemi e prevenire la violenza sul suo sito. “Questi tweet, classificati come incitamento all’odio e incitamento all’odio, possono potenzialmente tradursi in attacchi reali contro i palestinesi, come visto in precedenza con l’incitamento sulla stessa piattaforma, portando ad attacchi organizzati da parte di coloni israeliani contro le comunità palestinesi sia in Cisgiordania che in Israele. C’è preoccupazione che attacchi simili possano ripetersi”, ha sottolineato Nashif in una nota.

E non è solo la violenza dei coloni a destare preoccupazione. Le forze israeliane hanno approfittato della situazione attuale per reprimere gli attivisti. Da quando è iniziata la guerra, i funzionari israeliani hanno preso di mira i cittadini palestinesi di Israele e persino alcuni ebrei israeliani semplicemente per aver espresso sostegno a Gaza online.

Adalah – Il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele rappresenta attualmente 74 studenti palestinesi e monitora altri 89 studenti iscritti in istituti israeliani che affrontano azioni disciplinari per i loro post sui social media, alcuni dei quali sono stati sospesi e persino espulsi.

“Nella maggior parte di questi casi, gli studenti hanno semplicemente espresso solidarietà al popolo palestinese di Gaza o citato versetti del Corano, azioni che rientrano nell’ambito della libertà di espressione e di religione”, ha affermato Adalah in un comunicato stampa. “Queste azioni draconiane sono state provocate dalle denunce ricevute da gruppi di studenti politicamente di estrema destra”. Adalah ha documentato almeno 80 arresti legati ai post sui social media.

Una volta Twitter era visto come un centro per la libertà di parola, con Musk che prometteva addirittura di mantenere intatta la caratteristica per eccellenza della piattaforma come forum di dibattito. Eppure, questa idea viene messa in discussione in quanto X collabora con la tecnologia israeliana.

Traduzione de l’AntiDiplomatico

*Giornalista residente a Gerusalemme per MintPress News che si occupa di Palestina, Israele e Siria. Il suo lavoro è stato pubblicato su Middle East Eye, The New Arab e Gulf News.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-verifica_identit_o_esposizione_dati_x_utilizza_azienda_israeliana_guidata_da_ex_militari_per_verifica_utenti/39602_51419/

 

 

STORIA

Le ragioni storiche del rastrellamento in corso a Gaza

Michelangelo Severgnini –

Le ragioni storiche del rastrellamento in corso a Gaza

Se un tempo c’era la storia degli aggressori e degli aggrediti, da quasi due giorni siamo passati al livello successivo.

Da una parte i rastrellatori e dall’altra i rastrellati.

Perché di questo stiamo parlando.

Se bombardare per 3 settimane di fila oltre due milioni di civili perché ritenuti ingiustamente colpevoli dell’operazione militare di Hamas è rappresaglia, andare a scovare militari casa per casa passando sopra i civili è rastrellamento.

Non so se queste parole vi risuonino. Non so se risuonino a chi sta gestendo questa azione militare per conto di Israele. Non so se risuonino a qualcuno nelle redazioni dei giornali italiani.

Ma anche i partigiani italiani si nascosero tra la popolazione civile e ebbero da questa tutta la copertura necessaria durante la seconda guerra mondiale in Italia.

Anche allora i generali nazifascisti decisero di spazzare via quelle comunità di civili che davano nascondiglio alle formazioni partigiane. Chiamammo quelle operazioni “rastrellamenti”.

I partigiani non erano terroristi, erano partigiani, dicevamo.

Almeno, così li abbiamo chiamati.

Cos’è che non quadra dunque in questa storia? Perché i termini sono ferocemente stati rimossi oggi?

Lo dico in modo solenne: chi ha condannato Hamas e chi pretende da qualcun altro che Hamas sia condannato, sta esponendo la popolazione di Gaza a ciò che sta succedendo.

Lo dico agli allegri giovinetti della sinistra che condannano Israele, ma anche Hamas.

Lo dico a chi per condannare Israele ha bisogno che sia condannato anche Hamas.

Lo dico a chi considera terrorismo Hamas e eccesso di legittima difesa Israele.

Hamas è un residuato bellico.

Hamas si impose nella striscia di Gaza nelle elezioni del 2006. Allora si era in pieno nella stagione della “guerra al terrore” di Bush. L’islamismo armato era il pericolo numero uno per l’agenda americana e Hamas era facilmente assimilabile a tutte le altre formazioni che in quegli anni furoreggiavano nel Medio Oriente, a cominciare da Al Qaeda e tutte le altre sigle impegnate nella resistenza irachena e altri fronti.

Quando Hamas vince le elezioni, viene pertanto immediatamente inserito nella lista delle formazioni terroristiche mondiali dall’amministrazione Bush con tutto il suo stuolo di servi e paggetti, e da Israele naturalmente. In questo modo si abbassava la saracinesca su ogni possibilità di dialogo. I Palestinesi tutti la presero malissimo: “dunque, prima ci chiedete di essere democratici, poi quando andiamo a votare non vi piace l’esito delle nostre scelte: ma che democrazia è questa?”.

Se da un lato dal 2006 i Palestinesi di Gaza non sono mai stati così soli sul piano internazionale, dall’altro da allora si sono compattati sempre di più sulla linea di Hamas, perché giusta o sbagliata questa era stata la loro scelta democratica e l’Occidente l’aveva respinta con sprezzo.

Una voce in Occidente e negli USA allora si levò contro questa sciagurata decisione: George Soros!

E vi spiego perché. Alla fine del 2007, come ho più volte raccontato, venni invitato a New York a proiettare il mio film documentario “Isti’mariyah –  controvento tra Napoli e Baghdad” (guarda il film: https://rumble.com/v3ovruz-istimariyah-controvento-tra-napoli-e-baghdad.html) da un film festival sponsorizzato dalla Open Society Foundation.

Come ho già avuto modo di raccontare, in quell’occasione mi mostrarono informalmente l’agenda estera per il Medio Oriente della Open Society per gli anni a venire.

Tutta l’area andava rivoltata come un calzino e la Fratellanza Musulmana sarebbe stato l’agente che avrebbe reso possibili queste trasformazioni sul campo occupandosi di coltivare la mobilitazione della gente.

A quel punto la Fratellanza Musulmana avrebbe garantito un’aderenza più fedele rispetto a quanto andavano garantendo in quegli anni i vari pupazzi ormai screditati al potere in nord Africa.

Questo piano era stato preparato negli anni precedenti, prima del 2006, quindi quando Hamas vinse le elezioni fu una buona notizia per Soros, sennonché Bush e Israele non ne vollero sapere: Hamas è una formazione terroristica e noi non ci dialoghiamo.

Soros inveì contro questa decisione, la prese malissimo, mise in guardia da ciò che questo avrebbe comportato.

Poi venne il 2011 e la Fratellanza Musulmana andò al potere in Tunisia, Libia (militarmente) ed Egitto.

Ormai Bush aveva lasciato il posto ad Obama, il quale, avendo potuto contare su un cospicuo aiuto economico della Open Society per la sua campagna elettorale, non poté far altro che accogliere l’agenda della stessa e sostenere le azioni e le rivolte nel paesi arabi.

Ma Hamas, che era una formazione sorella di coloro che avevano preso il potere in Tunisia, Libia ed Egitto, e che per noi erano degli eroi, rimase formazione terroristica per l’Occidente.

Israele non ne voleva sapere: Hamas rimane una formazione terroristica.

Ma così si chiude il dialogo!

“Esatto!!!”, la risposta compiaciuta delle autorità israeliane che hanno visto in Hamas il pretesto per chiudere il dialogo, evitare concessioni e poter usare una sola politica a loro gradita, quella del martello e dei crimini contro l’umanità.

Poi è passato un altro decennio.

Putin ha invertito la rotta del vento in Medio Oriente. Salvando Erdogan dal colpo di Stato, ottenne da questi che il presidente siriano Assad rimanesse al suo posto.

Con la cacciata della Fratellanza Musulmana in Egitto (2015) e Tunisia (2020) e con i residui del movimento abbarbicati a Tripoli, con il resto della Libia che vorrebbe mettergli le mani addosso, diciamo che il movimento ha subito delle variazioni negli ultimi anni.

Se Hamas è stato fondato nel 1986, il movimento della Fratellanza Musulmana fu fondato addirittura nel 1928.

Soros mise gli occhi sulla Fratellanza già negli anni ’90 (celebre la sua foto con un giovanissimo Erdogan ancora sconosciuto) e tra i due nacque un patto.

Ma cosa sia rimasto di quel patto, non è chiaro.

Nel 2017 accade una cosa che qui in Occidente ci siamo persi un po’ tutti: Hamas ufficialmente lascia la Fratellanza Musulmana.

La Fratellanza stessa forse non è più quella cosa come 10-15 anni prima.

Lasciato Soros ora si guarda intorno.

Prendere il potere sulla spinta del sostegno occidentale non ha funzionato, anche perché Israele non ne ha voluto sapere.

Allora negli ultimi anni, dal 2017 in poi, Hamas ha spostato l’asse verso l’Iran.

Dietro all’operazione “Al Aqsa Flood” ci sta l’Iran, come ha ben capito sin dalle prima ore Israele.

E chi ha parlato di “false flag” o di operazione pianificata con Israele non ha capito nulla, temo.

Come abbiamo lasciato ripetere per giorni e giorni ai Palestinesi a Gaza con cui sono in contatto, l’operazione ha colto Israele di sorpresa e ne ha provocato una reazione violenta, ma scomposta.

Chi ha condannato Hamas in queste settimane non ha capito che Hamas oggi è il frutto più genuino della Resistenza palestinese, perché è quel messaggio di irredentismo irriducibile che il popolo palestinese mandò a Bush nel 2006 e che nessuno ha da lì in poi saputo prendere in considerazione.

Ora la sinistra sorosiana europea si schiera contro Israele, lo condanna, scende in piazza, i suoi paggetti fingono scandalo e disertano iniziative culturali dove Israele è ospite.

Beh, un po’ tardino, direi.

Soros e i suoi paggetti sono inferociti: “avete visto, ci siamo fatti sfuggire Hamas, io lo potevo controllare, invece voi considerandolo una formazione terroristica l’avete spinto verso l’Iran, adesso chi lo controlla più?”.

E così Soros, ebreo, si scaglia contro Israele e in particolare contro questa amministrazione.

I suoi paggetti europei gli vanno dietro, ma è una dinamica interna al mondo ebraico-israeliano.

Se Soros e paggetti condannano Israele, condannano questo Israele. E condannano certamente anche Hamas.

Questa sinistra eterodiretta dagli USA, questi organismi politicamente modificati, che condannano Israele ma anche Hamas (“altrimenti noi non veniamo”) non fanno gli interessi dei Palestinesi, sono contro le ragioni stesse della Resistenza palestinese, sono solo contrari a questa amministrazione israeliana e quindi ti vengono a spiegare che Hamas è una cosa e il popolo palestinese che soffre a Gaza è un’altra cosa.

No signori, i Palestinesi si sono espressi chiaramente in queste settimane e voi non li avete ascoltati, così come ormai da molto tempo.

Sia sigle storiche della resistenza palestinese quali il FPLP (il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), sia tutti i Palestinesi a Gaza con cui sono in contatto lo hanno detto chiaro: “Hamas fa parte della resistenza palestinese, non è un corpo estraneo, e noi siamo tutti con la resistenza, piuttosto moriamo qui a Gaza ma non lasceremo le nostre case”.

E allora la sintesi è questa: chi condanna Hamas oggi condanna tutta la resistenza palestinese e finanche le ragioni stesse del concetto di Resistenza.

Chi condanna Hamas oggi è il solito paggetto servo della visione degli oppressori.

In questi ultimi giorni ho parlato a lungo con i miei contatti a Gaza, anche se non ho pubblicato fin qui i loro messaggi per motivi di sicurezza.

Ma due cose ripetevano chiare: noi non ce ne andiamo e Israele non invaderà la striscia, non se lo possono permettere militarmente e diplomaticamente.

Sulla seconda hanno avuto torto.

Israele ci ha provato, a costo di mettere a repentaglio la sua stessa esistenza, perché sta reagendo in maniera scomposta e i Palestinesi stanno speculando su questa dinamica.

Come sappiamo le connessioni internet con Gaza sono state spente al momento dell’invasione. Ma questa mattina per qualche ora sono tornate.

Il tempo per risentirmi con i Palestinesi a Gaza con cui sono in contatto:

 

<< – [29/10, 05:09] Ci hanno provato, ma non sembra che abbiano ottenuto nulla.

  • Oh caro, sono così felice di sentirti. Quindi, hanno cercato di entrare e hanno trovato la resistenza di Hamas…>>.

Togliamoci le maschere: chi condanna Hamas condanna la resistenza e fa il gioco di Israele, fa il gioco di tutti coloro che dal 2006 a oggi hanno respinto la volontà popolare palestinese in nome della lotta al terrorismo.

Chi condanna oggi Hamas vuole mettere sullo stesso piano oppressori e oppressi, vuole solo un cambio di governo a Tel Aviv, non la fine dell’occupazione.

Chi condanna Hamas non vuole la pace, tantomeno la giustizia.

Vedi “Fuori e dentro la Fiera di Torino”, un servizio che realizzai nel 2008 in occasione del boicottaggio alla Fiera che invitava Israele come ospite d’onore. 15 anni fa, quando Hamas era al potere da solo 2 anni: https://www.youtube.com/watch?v=hL66oNnPuoo

Il rastrellamento in corso è cominciato allora ed è continuato nei silenzi e nell’indifferenza che sono seguiti.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-le_ragioni_storiche_del_rastrellamento_in_corso_a_gaza/41939_51370/

 

 

 

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