In questi ultimi mesi, il Presidente della Repubblica è stato costantemente presente nei media, con una serie di interventi ed ammonimenti sempre appropriati ed equilibrati e non ho alcun dubbio che, anche al di là delle manifestazioni  pubbliche del suo pensiero, la sua azione si sia esercitata e si eserciti dietro le quinte, sul Governo e sui Partiti, in maniera discreta ed efficace. Azione necessaria, nei momenti difficili che attraversiamo, nei quali il Paese ha assoluto bisogno di un punto di riferimento sicuro e generalmente accettato (dico ”generalmente” ma dovrei dire “universalmente”: le eccezioni della Lega e di IDV sono davvero irrilevanti).

Non è la prima volta nella storia della Repubblica che il Capo dello Stato è portato ad esercitare al limite e magari anche oltre il ruolo che la Costituzione gli attribuisce, quella Costituzione tanto criticata ma di cui ogni giorno si può constatare la fondamentale saggezza (il che non vuol dire che non vada ammodernata in alcune parti operative). Già Scalfaro aveva svolto un ruolo di supplenza delle forze politiche in momenti di carenza (ma aveva dato una sensazione di parzialità che aveva nuociuto in definitiva al suo stesso prestigio). In passato, Gronchi  aveva cercato di travalicare i suoi poteri, specie in politica estera e con l’incarico a Tambroni, ed era entrato in conflitto col suo stesso partito.  Pertini aveva assunto un ruolo di presenza davvero pervasiva in ogni manifestazione della vita nazionale ed aveva determinato, con l’incarico a Spadolini, la rottura del lungo monopolio democristiano di Palazzo Chigi. Senza dimenticare Cossiga, i cui tentativi di interventismo furono però sempre frustrati dal loro carattere spesso improvvisato e  intemperante.

Che il Capo dello Stato si ponga al centro nodale della vita politica è tuttavia, sempre segno di una crisi nel normale funzionamento delle istituzioni democratiche, quale quella a cui abbiamo assistito, indignati e scoraggiati, negli ultimi lunghi e penosi  mesi del Governo Berlusconi. Perché il ruolo di garanzia si eserciti  è, in effetti, necessario che Parlamento e Governo da soli non funzionino o funzionino male. Vi è da augurarsi che, passata l’emergenza e consolidatosi un minimo di dialogo democratico tra le maggiori forze politiche (se non altro per stabilire le regole del gioco, tra cui la reciproca legittimazione e rispetto e la ricerca di consenso sui temi fondamentali di interesse generale), il prossimo Capo dello Stato abbia un ruolo più normale, quale lo hanno avuto altri  Presidenti, come l’indimenticato Luigi Einaudi, Segni, Saragat e più di recente Ciampi.

Ciò non vuol dire che la scelta del successore di Napolitano abbia poca importanza: in un Paese sempre esposto al malfunzionamento della politica, è essenziale avere al Quirinale una personalità di sicuro affidamento, dotata della serenità, prestigio e saggezza necessari. L’ideale sarebbe, certo, una continuità dell’attuale Presidente, ma Giorgio Napolitano, dimostrando ancora una volta il suo equilibrio, ha già chiaramente detto di “non essere candidato” alla rielezione. In verità, “non essere candidato” di per sé non vuol dire non vuol dire nulla, giacché non esiste nessun atto formale di candidatura: nessuno “si candida” alla più alta carica dello Stato, la cui scelta avviene in modo spontaneo da parte del Parlamento; in anni lontani, Aldo Moro, che desiderava moltissimo  essere eletto al Quirinale, perse ogni possibilità quando, da Beirut dove era in visita ufficiale come Ministro degli Esteri, rispondendo a una precisa domanda di un giornalista italiano al seguito, disse di “non essere candidato alla Presidenza”; ero con lui in quei giorni e capii subito che con quelle parole aveva voluto dire una cosa ovvia, cioè appunto che non si fa atto di candidatura al Quirinale, non “ci si candida”, ma si è scelti (se Moro avesse voluto dire una cosa differente, avrebbe detto che non avrebbe “accettato” una sua elezione alla Presidenza). Pare una questione di lana caprina ma ebbe conseguenze fatali. La  dichiarazione di Moro fece i titoli di tutti i quotidiani italiani nel senso che lo statista pugliese “non voleva” andare al Quirinale e fu   strumentalizzata dai suoi avversari  per metterlo fuori gioco. Vidi da vicino il suo smarrimento e la sua delusione: d’altra parte, a quel punto sarebbe stato penoso, e forse impossibile, smentirsi o cercare di chiarire. Com’è noto, al Quirinale fu eletto Giovanni Leone: chissà come sarebbe stata diversa la Storia se Moro non avesse avuto quella infelice espressione e fosse stato davvero eletto al Colle, come fortemente desiderava. Chiudo questa parentesi notando subito che il caso di Napolitano è diverso: tutti capiscono cosa ha voluto dire e i precedenti, l’età del Presidente e la fatica che certo prova, confermano l’assoluta sincerità delle sue intenzioni. Ed è forse la sua naturale cortesia che gli ha impedito di chiarire che non accetterebbe un secondo mandato.

E allora chi? Napolitano ha espresso l’auspicio che si tratti di una donna. Sarebbe magnifico, ma non vedo in giro nessuna personalità femminile abbastanza super partes e con abbastanza prestigio da imporsi come candidata di una larga fetta del Parlamento (mi scusi la mia vecchia amica Emma Bonino, in qualche modo una candidata naturale e che le qualità le avrebbe tutte,  ma temo appaia una scelta di parte, invisa tra l’altro ad una parte dell’opinione cattolica). A titolo completamente personale, e pensando al precedente di Ciampi, mi sembra che un candidato  potrebbe essere lo stesso Monti, però solo se il suo Governo arriva fino al termine naturale con successo e in armonia con i partiti che lo sostengono e con un grado alto di accettazione nell’opinione pubblica, cose tutte da verificare. Confesso che non ho capito il “passo falso” fatto dal Professore – di solito così prudente e modesto – nelle sue dichiarazioni dall’Asia sulla popolarità rispettiva del Governo e dei Partiti. Un caso, magari comprensibile, di hubris? Un velato avvertimento? Chissà. Per fortuna il Presidente del Consiglio ha subito corretto il tiro (pur evitando di smentirsi letteralmente) con la sua lettera al Corriere e le dichiarazioni successive.  È importante, non solo per  lui ma per il Paese, che in futuro l’armonia con le forse politiche il cui sostegno resta indispensabile, resti intatta e si rafforzi, reggendo – con il necessario buonsenso – alla difficile prova dell’art.18, sul quale è augurabile che nessuno, dico nessuno, faccia le barricate.

Insomma, a un anno di distanza dalla elezione del nuovo Capo dello Stato, nulla di sicuro e neppure di prevedibile con una certa dose di probabilità. Tutto dipenderà naturalmente dal tipo di maggioranza che uscirà dalle elezioni. Nel frattempo, Napolitano ha ancora un anno di mandato: un periodo non lunghissimo,, ma anche decisivo nelle attuali condizioni e durante il quale il Paese deve augurarsi che egli continui a svolgere con equilibrio ed efficacia le sue delicate e importantissime funzioni di arbitro di un sistema politico che solo per ora pare aver ritrovato la strada del buonsenso.

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