RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 14 APRILE 2022

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 14 APRILE 2022

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Eppure, l’esistenza è insieme troppo sinistra e troppo piccante perché dietro non ci sia qualcosa.

Mario A. Rigoni, Variazioni sull’impossibile, Il notes magico, 2006, Pag. 74

 

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SOMMARIO

IL VIOLINO IMMIGRAZIONISTA
Serve alla memoria. E’ noto come il massacro di My Lai.
SIATE SINCERI: VOLETE IL GAS O LA “VERITÀ SU GIULIO REGENI”?
Chi è Volodymyr Zelensky?
Disney: ecco le parole dei dirigenti sull’Agenda Gay
E CON L’ATTENTATO A NEW YORK SI CONSUMA L’ENNESIMA CAZZATA
“I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico”
Prof. Sinagra: l’Italia è un territorio occupato, rompiamo le catene
Le code del diavolo
DOPO L’ORRORE
Le vittime del missile sulla stazione di Kramators’k
COME LEGGERE LA GUERRA AL CONTRARIO, SENZA CERCARE DI ESSERE PIÙ FURBI DEGLI ALTRI
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha sospeso la partecipazione della Russia al Consiglio per i diritti umani dell’#ONU
DALLA GUERRA ALLA PACE
Ma le nuvole non le guardo più
Quando l’intellettuale rinuncia alla ragione
Nayirah, la finta infermiera libica
H+K è un’agenzia internazionale di pubbliche relazioni con oltre 80 uffici in tutto il mondo.
Terrorismo e media, i filmati di al Qaeda erano made in Usa?
Dall’antrace in Iraq ai cani soldato abbandonati: tutte le fake news di guerra
“I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico”
Guerre economiche, energetiche e disinformative
CI VORREBBE UNA NORIMBERGA FISCALE
Inflazione e recessione: i regali della guerra all’economia
GB: Royal Navy nella Manica contro l’immigrazione illegale
Draghi e i lavoratori abusivi
Russia, l’ombra del tradimento
La guerra totale per cancellare la Russia
Biden all’India: ‘condanni e isoli Mosca’
Taiwan, Cina avverte Usa: non si spingano su strada pericolosa
E dopo il Green Pass Microchip sottopelle ?

 

 

EDITORIALE

IL VIOLINO IMMIGRAZIONISTA
Manlio Lo Presti – 13 04 2022
Violino verniciato con colori da barca
Che tempo che fa RAI1 10 04 2022
Lo scrittore Michele Serra mostrava in frammento di legno da barca da utilizzare per creare un violino
Che tempo che fa RAI1 10 04 2022
Il violino è uno strumento dalle vette trascendentali.
È uno strumento difficile da costruire e da far suonare.
Il processo di assemblaggio è complesso ed è il frutto di una accuratissima selezione delle essenze lignee, di apposite vernici, di una lunga e complessa stagionatura della essenza selezionata, ecc.
Lo strumento fatto suonare egregiamente durante la puntata di “Che tempo che fa” su Rai 1 del 10 aprile 2022 viene narrato come il prodotto costruito ricavando legni di imbarcazioni di migranti provenienti dal nord Africa e poi lungamente depositati in aree adiacenti a punti marittimi di accoglienza.
Lo strumento, opportunamente e astutamente, viene lungamente ripreso in primo piano. Per certificare ed asseverare il concetto globalista immigrazionista commovente, lo strumento è coperto di incrostazioni delle vernici che ricordano quelle applicate sugli scafi in legno.
Siamo di fronte alla più  sfacciata e pura propaganda in stile neo-maoista edificante commovente-al-punto-giusto, ma totalmente falsa nei contenuti perché non è possibile costruire violini con legni da barca macerati dalla salsedine e dalla lunga esposizione inerte al sole!”
Amici violinisti mi hanno confermato che non è possibile estrarre melodie armoniose da un violino costruito con legni di barche che hanno attraversato il mare e sono state in seguito abbandonate alle intemperie. Questi legni esposti al sole e marciti dalla salsedine si sbriciolano al primo tentativo di curvarli o di dare loro la tipica forma del violino.
Inoltre, le incrostazioni di vernice renderebbero impossibile il rilascio libero e pulito delle vibrazioni sonore create dal sapiente uso dell’archetto.
Sorprende la imbarazzante cooperazione di un famoso scrittore che si è prestato al gioco buonista globalista neomaccartista green genderista plurirazziale con questa povera e inopportuna falsità!
L’IMPERO DELLA FALSIFICAZIONE E DELLA PROPAGANDA CHE NON CONOSCE SOSTE COLPISCE ANCORA!
… ma i soldi (tanti) ancora di più!

 

IN EVIDENZA

Serve alla memoria. E’ noto come il massacro di My Lai.

Marco Rizzo 16 03 2022

Era il 16 marzo del 1968, la Compagnia Charlie (11a Brigata), approdò nel piccolo villaggio della provincia di Quang Ngai, 840 km a Nord di Saigon. I soldati USA, su ordine del tenente Calley, svuotarono i caricatori sui civili disarmati. Buttarono le bombe a mano nelle capanne. Violentarono le ragazzine in branco e poi le trucidarono con le baionette. La pancia di una donna incinta fu squartata con un machete, il feto lanciato lontano nelle sterpaglie. Vecchi, donne e bambini furono raccolti in piccoli cerchi e falciati con le mitragliatrici. Un orrore senza limiti. 504 vittime. E’ una delle tante stragi senza motivo alcuno. E’ l’esercito statunitense nel Vietnam. Quelli che portano ancora oggi la ‘democrazia’ in giro per il mondo…(ringrazio il compagno Crucitti per il lavoro sulla memoria).

FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=4408111852555616&id=232595763440600

 

 

SIATE SINCERI: VOLETE IL GAS O LA “VERITÀ SU GIULIO REGENI”?

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Ci hanno detto di scegliere tra l’aria condizionata e la pace. Ma forse il Premier – in piena  sindrome di Pilato – dovrebbe prendere spunto da altri Gesù e Barabba.

La domanda oggi dovrebbe riguardare altre questioni di non minor peso, almeno per chi ha ancora una coscienza o qualche principio da rispettare.

Ci hanno raccontato che non si riesce a parlare con l’Egitto e ancor meno si può avere riscontro alla richiesta degli indirizzi cui notificare ai carnefici di Giulio le carte del processo sul suo omicidio.

Oggi sul Corriere della Sera la spiegazione delle nostre relazioni internazionali, del peso attribuito a questo o quel problema, del valore del reale impegno riversato dalla diplomazia e dalla politica.

Un titolo a caratteri cubitali fa capire anche ai più imbecilli che il dialogo con Il Cairo c’è. Eccome. Ma si parla d’altro.

La prevalenza del portafogli sul cuore è storia vecchia. Ne hanno scritto, e poi ne hanno riscritto, e in tanti ne hanno scritto ancora come si può vedere digitando su Google o qualunque altro motore di ricerca “ENI” e “Regeni”.

Amnesty International anni fa aveva chiesto al colosso italiano dell’energia di intervenire e su La Repubblica uscì “Regeni: l’ENI ai genitori «Noi al vostro fianco per scoprire la verità»”. Era il 1° marzo del 2016.

Forse negli oltre sei anni trascorsi, presi emotivamente da altre priorità, non c’è stata occasione di toccare l’argomento…

Si potrebbero far scorrere fiumi di parole, cercando di drenare la bile che il cittadino perbene sente scoppiare dentro di sé, ma sarebbe – come sempre – tempo perso.

Si vadano ad ammainare gli striscioni che hanno addobbato le piazze. Ci si tolga il braccialetto giallo dal polso. In un rigurgito di onestà almeno intellettuale si urli a squarciagola “sticazzi!”.

Ogni volta che ci si appresterà a cucinare o ad accendere la caldaia si pensi che quella fiamma sta bruciando la speranza. La speranza dei genitori di Giulio e quella di chi ha davvero cercato di condividerne il non rimarginabile dolore.

FONTE: https://www.infosec.news/2022/04/14/editoriale/siate-sinceri-volete-il-gas-o-la-verita-su-giulio-regeni/

 

 

 

Chi è Volodymyr Zelensky?

Dante Cantalamessa 27 03 2022

 

Breve storia del leader profetizzato della “resistenza” ucraina.

  • Nasce nel 1978 a Kryvyj Rih, in Ucraina meridionale.

Cresce in una famiglia di origini ebraiche. La sua prima lingua non è l’ucraino, ma il russo.

  • Si laurea in giurisprudenza all’Università Economica Nazionale di Kyiv, poi persegue la carriera di attore.
  • Nel 2003, insieme a Serhiy Shefir e Boris Shefir, Zelensky diviene il fondatore di , società attiva nel settore dell’intrattenimento televisivo sulle emittenti ucraine, che produce film, cartoni animati e serie tv.
  • Tra le serie più note di Kvartal 95 c’è <<Sluha Narodu>> (Servitore del Popolo).

In essa, Zelensky interpreta un professore del liceo che stanco della corruzione in politica, viene inaspettatamente eletto presidente dell’Ucraina.

  • Nel 2017, Zelensky annuncia la fondazione di un suo partito: <<Servitore del popolo>>, rifacendosi alla popolare serie tv.
  • Il 31 dicembre 2018, all’apice della sua carriera, Zelensky annuncia la sua candidatura alle elezioni presidenziali del marzo dell’anno successivo.

̀, , – – ‘ .

  • Proprio in questo periodo, la società d’intrattenimento fondata da Zelensky, la Kvartal 95, registra un anomalo flusso di finanziamenti, gestiti attraverso società off-shore con sedi in paradisi fiscali, per un ammontare di .
  • Il principale sovvenzionatore della campagna di Zelensky sarebbe Igor Kolomoyskyi, potente uomo d’affari dal triplo passaporto ucraino, cipriota e israeliano, già sponsor delle serie televisive del comico, nonché uno dei principali oligarchi dell’Ucraina.
  • (), ̀ , pubblicata la prima volta a ottobre 2021 dal Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICJI), le transazioni verso Kvartal 95 sarebbero avvenute quando Igor Kolomoyskyi era ancora proprietario di , la più importante banca in Ucraina, coinvolta in un caso di bancarotta fraudolenta e investimenti illeciti.
  • , ‘ , ̀ – che, nel 2014, hanno rovesciato il governo Janukovich, in seguito a violente manifestazioni filoccidentali conosciute col nome di “Euromaidan”.
  • ‘ “”, .

Ovvero, unità militari accusate di crimini di guerra da parte di Amnesty International, ma anche dalle Nazioni Unite.

Anche secondo quanto riportato da Reuters, Pravyj Sektor, i Battaglioni Azov e Aidar, sono stati fondati in parte grazie all’aiuto dell’oligarca Kolomoysky.

  • Nell’aprile 2019, Zelensky viene eletto Presidente dell’Ucraina, battendo nettamente al ballottaggio il presidente uscente, Petro Poroschenko.
  • Zelensky provvede subito a distribuire incarichi governativi ai soci di Kvartal 95, la sua società di intrattenimento.

Ivan Bakanov, già direttore della società, diventa il capo dei Servizi Segreti dell’Ucraina, mentre Serhiy Shefir viene battezzato primo assistente del presidente.

  • L’ex comico si trova subito a fronteggiare una brutta rogna: il coinvolgimento di Hunter Biden, figlio dell’attuale Presidente USA, nella Burisma Holdings, la maggiore compagnia energetica dell’Ucraina, attiva sia sul mercato del gas e del petrolio.

, ‘.

A completamento di ciò, per il lavoro di consulente di quella società, dal 2014 al 2019, Hunter Biden ha percepito .

  • Donald Trump, all’epoca presidente degli USA, aveva affermato che Joe Biden -suo competitor nella lotta per l’investitura alla Casa Bianca- avesse chiesto il licenziamento di un procuratore ucraino che indagava sul figlio, in modo da proteggerlo. Nonostante le pressioni di Trump, ̀ ‘ .

In tutta risposta, Trump decise di bloccare gli aiuti economici e militari degli USA destinati all’Ucraina.

  • Nacque così l’Ucrainagate, che si è trascinato per tutta la campagna elettorale delle presidenziali USA nel corso del 2020, fino all’elezione di Joe Biden.
  • A testimoniare i buoni rapporti tra l’attuale inquilino della Casa Bianca e Zelensky sono state le parole pronunciate dal presidente ucraino nel dicembre 2020, quando Joe Biden è stato eletto Presidente degli Stati Uniti: <<Lui conosce l’Ucraina meglio del precedente presidente e aiuterà davvero a risolvere la guerra nel Donbass e a porre fine all’occupazione del nostro territorio>>.
  • Nel giugno 2021, alcuni giornalisti britannici hanno pubblicato un documentario: “ , ’ ?”.

Nel documentario si sostiene la teoria secondo cui l’amministratore della compagnia del gas Burisma avesse bisogno di Hunter Biden per due motivi: da un lato per non ricevere formalmente sanzioni, dall’altro per poter riciclare i soldi sporchi che la compagnia aveva fatto negli anni precedenti.

  • Joe Biden si è impegnato a perseguire una politica americana tutta concentrata nel far riprendere all’Ucraina le zone del Donbass, attualmente dichiarate da Putin “Repubbliche riconosciute dalla Russia”.

L’interesse per quelle aree sarebbe stato innescato dal fatto che ’ ̀ .

  • Anche Kolomoysky ha forti interessi sul Donbass, motivo per cui il suo esercito privato di organizzazioni neonaziste, in parte inquadrate nell’Esercito ucraino, dal 2015 ̀ .
  • In base a quanto emerso nel Pandora Papers e riportato dal ” ” , Zelensky detiene quote azionarie di tre società off-shore. Una di queste, Film Heritage, è registrata in Belize.

Dalla documentazione spicca che Film Heritage detiene il 25% delle quote societarie di Davegra, azienda con sede a Cipro.

  • A sua volta, Davegra possiede Maltex Multicapital Corp, società registrata nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche. Zelensky e i fratelli Shefir detenevano ciascuno il 25% delle quote societarie.
  • Circa sei settimane dopo la vittoria di Zelensky, nel 2019, l’avvocato di Kvartal 95 ha siglato un ulteriore documento. Si legge che Maltex avrebbe continuato a pagare i dividendi alla società di Zelensky, la Film Heritage, nonostante quest’ultima non possedesse più alcuna azione della società. Dal 2019, unica proprietaria di Film Heritage è Olena, moglie di Zelensky.

, finanziamenti illeciti, introiti miliardari, armi e soldi ai neonazisti.

sarebbe stata messa su da Zelensky e dai suoi soci nella società di produzione televisiva Kvartal 95 già nel 2012.

‘ , piazzando basi missilistiche americane ai confini della Russia, invocando la no-fly zone e l’uso della bomba atomica.

Alla luce di questi fatti, resta da chiedersi se il presidente ucraino sia davvero l’eroe che i mass media occidentali stanno rappresentando.

~Grazie al compagno Daniele Kalidou Maffione che martedì ha pubblicato questo post pieno di informazioni importanti e vere, che meritano di essere condivise.

FONTE: https://www.facebook.com/dante.cantalamessa.1/posts/10159983966814461

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Disney: ecco le parole dei dirigenti sull’Agenda Gay

13 aprile 2022

VIDEO QUI: https://youtu.be/h3WRbXdQ8I4

 

 

FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=h3WRbXdQ8I4

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

E CON L’ATTENTATO A NEW YORK SI CONSUMA L’ENNESIMA CAZZATA
Tonio De Pascali – 13 04 2022
Attentato-nella-metro-di-New-York-dove-lattentatore-ha-perso-la-carta-di-credito
Ora io sono un becero complottista, lo sanno tutti. E pure fascista pro Putin.
Ma qualcuno mi deve spiegare: dunque io progetto di compiere un mega attentato criminale nella metropolitana di New York, mi procuro le armi, sparo tra la folla e che faccio? “Sputa ca n’coddha”, si dice nel Salento (sono troppo stanco per spiegare la traduzione), perdo proprio la carta di credito!
Già, mica sono in fila al bancomat, mica sono in fila alla cassa del supermercato o del bar.
Sto sparando tra la folla.
E perdo proprio il bancomat. Mentre faccio l’attentato.
Nella metro!
Ma dai!!!!
Basta!!!
E che ca@@o!!!
FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1190532814817525&id=100015824534248

“I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico”

Francesco Santoianni intervista Benedetta Piola Caselli

720x410c50njiu9fgUcraina: basta con il giornalismo di guerra ridotto a mera propaganda! È il sorprendente appello di dodici corrispondenti di guerra italiani (tutti provenienti da media mainstream) pure loro verosimilmente inorriditi dai reportages di tanti giornalisti italiani diventati meri cantori della narrativa atlantista.

Tra i pochi che sono sfuggiti a questo destino, Benedetta Piola Caselli, avvocato di Roma che, con le credenziali di un quotidiano nazionale, si è recata due volte in Ucraina realizzando video-reportages tutti pubblicati sul suo profilo Facebook. Video da vedere assolutamente anche perché costituiscono uno dei rari esempi di giornalismo teso a capire, dietro la propaganda, cosa sta veramente succedendo. L’abbiamo intervistata.

“La situazione che ho trovato è stata totalmente diversa da quella che credevo di trovare, e che avevo immaginato guardando la televisione e leggendo i giornali. Innanzitutto, io avevo capito che gli ucraini fossero tutti impegnati in guerra. In realtà, anche se tutti gli uomini fra il 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese, solo l’esercito professionale e i volontari stanno combattendo, mentre gli altri sono ancora coinvolti nella gestione normale del paese.

Nessuna coscrizione obbligatoria è ancora in atto, perché la legge prevede quattro livelli di mobilitazione (esercito, riserva, carcerati, mobilitazione generale) e siamo ancora al livello 1.

Oltre a questo, salvo che sulle linee del fronte, la vita continua normalmente con le due eccezioni del coprifuoco e delle sirene antiaeree, che suonano continuamente.

I corrispondenti spesso confondono le sirene con i raid, ma sono cose molto diverse. Per esempio, a Leopoli dal 26 febbraio ad oggi gli allarmi antiaerei sono suonati 74 volte, ma i raid sono stati 3 e tutti su obiettivi militari.

C’è da chiedersi perché le fanno suonare così tanto in assenza di pericolo, e se non sia una strategia per mantenere alta la tensione, peraltro con conseguenze pericolose: ho filmato come la gente non ci creda più e continui normalmente la sua vita, senza ripararsi.

Il giorno che ce ne fosse bisogno davvero, sarebbe una strage”.

* * * *

Ma come si vive a Leopoli?

Normalmente: si paga con il bancomat, i negozi sono pieni, tutti i servizi funzionano, la gente è per le strade e nelle piazze… Ho girato vari video sulla vita di Leopoli, che pure era descritta come una città in guerra. E’ vero però che c’è una situazione come di attesa, ci si aspetta sempre che gli eventi possano precipitare.

 

Cosa puoi dirci sulla libertà di stampa ed espressione del pensiero?

L’Ucraina è un paese in guerra e quindi, chiaramente, non c’è. Ad esempio, c’è un solo canale televisivo attivo, e io non riuscivo a collegarmi con nessuna agenzia russa per controllare anche la versione “nemica” degli avvenimenti. Detto questo, i media occidentali sono più realisti del re, perché non solo prendono per oro colato la propaganda bellica anche quando è palesemente ridicola, ma addirittura la superano. L’esempio delle storie delle mamme con il cuore spezzato per i figli diciottenni al fronte è una balla tutta italiana, perché gli ucraini sanno benissimo che stanno combattendo sono soldati professionisti e volontari; oppure la scemenza della nonnina che ammazza otto russi con la torta allo zinco, che era una traduzione sbagliata; o quella del volontario senza gambe…si potrebbe continuare per chissà quanto. Anche le coreografie con giubbetti antiproiettile, elmetti, sacchetti di sabbia e cavalli di frisia da zone tranquillissime, sono una buffonata tutta straniera, e non passerebbe mai fra gli ucraini che sanno benissimo dove si combatte e dove no. Ho scattato varie foto di reporter agghindati di tutto punto che descrivevano la “zona di guerra”, mentre erano di fronte a me che prendevo caffè e torta di fragole seduta al bar, con i ragazzini che mi giocavano a pallone a dieci metri.

 

Che atteggiamento hanno gli ucraini verso i giornalisti?

Gli ucraini hanno chiaro che questa guerra si gioca anche sull’informazione. I media internazionali sono benvenuti ed organizzati – una delle caratteristiche che ho scoperto degli ucraini è di essere grandi organizzatori.A Leopoli, dove si concentrano i giornalisti internazionali, c’è un media-centre efficientissimo dove si può lavorare, mangiare, trovare servizi ed assistenza. Lì vengono organizzate quasi quotidianamente le conferenze dei politici o dei militari sui temi del giorno. Ovviamente c’è un codice da rispettare quando si descrive la guerra, ma credo che sia normale che gli ucraini ne chiedono il rispetto: siamo ospiti e, come ospiti, ci si aspetta una narrazione amica. Quando le notizie non ci sono, si cerca collettivamente di raschiare il barile, per esempio segnalandosi l’un l’altro su una chat apposita quando arriva un “carico” di profughi. I “carichi” sono molto attesi. Siccome tutti i giornalisti più o meno tutti facevano le stesse cose – profughi, funerali di soldati, campi di addestramento per i volontari, io ho cercato di fare qualcosa di diverso.

 

E cioè? 

Cioè sono stata fra la gente, mi interessava davvero capire come viveva e come si organizzava. Mi sono fermata a dare una mano in un centro che prepara reti militari per la resistenza, cercando di ascoltare che cosa avevano da raccontare le persone lì presenti. Quasi tutti quelli che venivano dal Donbass, per esempio, mi dicevano che prima del 2014 il problema della discriminazione russa/ucraina non c’era, e che la ritenevano creata ad arte. Erano persone di lingua e cultura russa, che si sentivano perfettamente ucraine e che non giustificavano in nessun modo l’invasione sovietica.  So che c’è anche un’altra visione, ma il punto interessante è proprio questo: poterle raccontare tutte e due per mostrare il mondo nella sua complessità. Mi interessava anche capire cosa portasse gli stranieri a combattere per l’Ucraina, e così sono riuscita ad intervistare uno degli organizzatori della legione straniera, oltre che due foreign fighters venuti da Hong Kong a combattere per un debito di onore, e a un marine britannico che metteva in guardia dagli improvvisati della guerra… Secondo lui, molti degli incidenti della prima parte del conflitto attribuiti ai russi – e che i russi ribattevano essere colpa degli ucraini –  erano banalmente dovuti all’ imperizia dei volontari non pratici nell’uso delle armi. E poi tante donne, ognuna con la sua storia.

 

Ma tornando ai profughi, cosa hai visto?

E’ chiaro che quando c’è un conflitto la gente scappa, e sicuramente ne è scappata tanta. Dover lasciare la propria casa e la propria vita è una tragedia che non può essere raccontata con superficialità. Detto questo, mi sembrano totalmente inverosimili i numeri dati dall’ONU, che parlano di 4 milioni di rifugiati – i media a volte hanno detto anche 10. Gli ucraini sono 44 milioni: questo significherebbe che un ucraino su 10 (o addirittura 1 su quattro!) avrebbe lasciato il paese, allontanandosi anche da quelle parti che sono in sicurezza.

Non è così. Per esempio, quasi nessuno è partito da Leopoli, che ha invece accolto un numero importante di profughi, ufficialmente 200.000, senza che questo però abbia alterato la struttura e la vita della città. Io ho potuto filmare due frontiere. La prima volta è stato il 6/3 in due momenti diversi della giornata: dalle 7.30 del mattino alle 11 e dalle 18.30 della sera alle 22. Alle 7.30 passavano in Romania pochissime persone, il confine era praticamente deserto. La gente ha cominciato ad arrivare verso le 10-1030. Questo però vuol dire che era gente che si allontanava, ma non scappava, perché altrimenti avrebbe assediato il confine a tutte le ore del giorno e della notte. A sera si era effettivamente formata una fila lunghissima di macchine, e c’era un centinaio di persone che aspettava al freddo di passare a piedi. Questo da parte ucraina.

Da parte rumena continuava a non esserci pochissima gente, segno che le file si formavano per le lungaggini dei controlli e delle registrazioni  (durano effettivamente varie ore) e non perché il numero di persone era enorme. Certo, se uno inquadra solo la fila chilometrica di macchine e non si pone delle domande, per forza dà l’idea di una popolazione in fuga… Voglio precisare anche che, quando sono passata io, secondo i dati ONU erano passate da quello stesso valico oltre 80.000 persone, vale a dire 66.600 al giorno, 277 per ora sulle 24 ore. Solo nel giorno in cui ero io lì non passavano? Perché poi il numero ha continuato ad aumentare.

Sono poi passata per la frontiera in direzione Polonia partendo da Leopoli. L’ho attraversata il 25/3 e ho filmato il vuoto. Non c’era quasi nessuno. Eppure, secondo l’ONU, dalla frontiera polacca erano passati già 2 milioni e mezzo di persone, cioè 83.330 al giorno, 3.475 all’ora. I valichi sono tre: dividete per tre. Questi dati sono impossibili proprio da un punto di vista logico, prima ancora che esperenziale.

 

Si direbbe, quindi, che i profughi non ci siano…

Non ho detto questo. Ci sono e sono tanti, solo con numeri molto inferiori a quelli ufficiali. Ho filmato anche la stazione di Prémyzl (la prima in Polonia uscendo dall’Ucraina) e le 7 troupe televisive che erano con me. Si vede che filmavamo cose diverse, perché loro trasmettevano folle oceaniche, io un numero alto, ma gestibile, di persone: bastava allargare il campo. Ho anche filmato le stazioni di Leopoli quelle che, secondo la vulgata, sono prese d’assalto, e anche la stazione dei pullman. Tanta gente, ma non ingestibile.  Dipende tutto da cosa si inquadra. Non sottovaluto certo la gravità della situazione, ma ho l’impressione che l’esagerazione propagata dai media e dalle autorità serva per creare l’emergenza profughi.

 

Ti aspettavi questa situazione?

Assolutamente no! La prima volta che sono entrata in Ucraina ero con un convoglio di 10 tir e 4 pullman aiuti umanitari organizzato dal Vescovo della Chiesa Ortodossa di Milano, Mons. Don Ioan Bica Avondius.  Scaricati gli aiuti, la colonna di automezzi sarebbe servita per portare fuori dall’Ucraina i profughi: ne abbiamo portati nove. La ragione è presto detta: la gente in fuga non era molta, e dall’Ucraina si entra e si esce comodamente con pullman e treni e, in quel momento, molti erano anche gratuiti. Ma c’è una cosa ancora più importante. Il 12 marzo, quando sono rientrata in Ucraina col treno, ho filmato  famiglie ucraine, donne e anziani con i loro bambini, che tornavano a casa. Viaggiavano insieme a me!

Oggi ne parlano anche i media, ma tre settimane fa nessuno ha voluto pubblicare la notizia, sembrava un sacrilegio. Ora le stesse autorità militari a Leopoli hanno affermato che sarebbero rientrate 500.000 persone: anche questo dato mi sembra esagerato, però è vero che la gente rientra. I media italiani, dovendo alla fine dare una giustificazione a questo fenomeno, che smentisce da solo tutto quello che raccontano, hanno detto che si tratta di donne coraggiose che tornano per sostenere i loro uomini al fronte. Assurdità! Se così fosse, non tornerebbero con gli anziani e con i bambini.  La verità è che tornano perché hanno capito che il conflitto sarà lento e, avendo valutato tutte le opportunità, ritengono sufficientemente sicuro per sé e per la propria famiglia di tornare in patria.

 

E questo dovunque?

La situazione completamente diversa dove realmente ci sono i combattimenti. Ma qui i “giornalisti” di cui sopra non ci sono. Ci sono, invece alcuni free lance (i primi nomi che mi vengono in mente sono: Vittorio Rangeloni, Maurizio Vezzosi, Giorgio Bianchi). Loro portano avanti una versione molto diversa, che i nostri media non hanno affatto considerato e che mostra una realtà molto meno dicotomica: per esempio, hanno dimostrato che i soldati ucraini avevano postazioni nelle case civili poi bombardate; hanno smontato la storia delle “deportazioni” dei cittadini di Mariupol verso la Russia, mostrando che erano evacuazioni ben accette; hanno intervistato alcuni cittadini che raccontavano di come il Battaglione Azov si fosse fatto scudo con i civili; dimostrato che la blogger non era affatto stata rapita; o fotografato la donna sul cui cadavere è stata incisa una svastica, eccetera.  E’ un contraltare importante dell’informazione mainstream, così curiosamente omogenea, ed è allucinante che, in democrazia, non sia ascoltata e discussa, e loro siano addirittura censurati dai social.

Intanto l’informazione ufficiale diffonde solo cadaveri, bambini in lacrime o roba zuccherosa come la “spontanea manifestazione dei passeggini” svoltasi davanti al Media Centre di Leopoli per “ricordare le piccole vittime di guerra”.  Io c’ero, e l’ho vista con i miei occhi, quella manifestazione: organizzata sin nei minimi dettagli, altro che spontanea, e senza la presenza di cittadini. Il significato era chiaro, ed era messo nero su bianco sui cartelli, che ho fotografato: serviva a chiedere la NO FLY ZONE. Solo che questo, almeno in quel momento, non piaceva, e quindi questa parte è stata censurata.

 

Cosa ne pensi della tragedia di Bucha?

Penso che sia una tragedia, come tutto quello che è portato dalla guerra. Ma penso anche che molti punti siano da chiarire, e che sarebbe molto sbagliato farci travolgere dall’emozione senza avere accertato i fatti. L’esperienza ci ha insegnato che, quando si decide per un’escalation della violenza, la popolazione va preparata raccontando episodi che ripugnano alle coscienze. Credo che dobbiamo fare tesoro di questa esperienza e non farci coinvolgere in nessuna narrazione che giustifichi la guerra. C’è qualcosa di strano, di troppo omogeneo, nella comunicazione mainstream, e di troppo violento contro chi cerca di analizzare i fatti senza avere atteggiamenti fideistici.  A Bucha quel che è fatto è fatto, e una commissione indipendente accerterà i fatti quando sarà possibile. Per il momento, mi sembra prudente praticare il dubbio metodico e rimanere saldi nella convinzione che l’Italia non debba entrare in questo conflitto se non con l’aiuto alla popolazione civile.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/europa/22794-benedetta-piola-caselli-i-dati-sui-profughi-ucraini-sono-impossibili-da-un-punto-di-vista-logico.html

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Prof. Sinagra: l’Italia è un territorio occupato, rompiamo le catene

Italia territorio occupato

di Augusto Sinagra – ROMPIAMO LE CATENE!!!
La servile assicurazione data il 14 settembre 1943 da Pietro Badoglio al Gen. USA Donovan è stata pienamente adempiuta: l’Italia è solo una colonia americana, anzi un territorio occupato. Lo attestano i 13.000 militari e le circa 120 basi USA (forse di più). Tutti immuni dalla giurisdizione italiana. Qualcuno ricorda il Cermis?!
L’Italia è priva di indipendenza e di dignità. Chi ha tentato di difendere gli interessi nazionali è stato ucciso o è stato eliminato. Penso a Pella, Mattei, Moro, Craxi, e tanti altri ancora.

Eufemisticamente si dice che siamo uno “Stato satellite”. La realtà è che siamo diventati la discarica degli americani e ospitiamo ordigni nucleari USA, esponendoci così a rischio di totale distruzione. I “politici” sono marionette nelle mani dei pupari d’oltre Oceano. Meglio se si tratta di comici. Penso a Grillo o a Zelensky, ma anche Draghi fa ridere.

 

La situazione economica, sociale, della continua invasione di clandestini (favorita dal governo) rende chiare le finalità criminali. Gli USA continuano nella loro delinquenziale “politica” predatoria. Hanno provocato la guerra in Ucraina e non vogliono che finisca. L’Armata russa scopre efferati eccidi commessi fin dal 2014, laboratori finanziati dagli USA per la produzione di armi chimiche di distruzione di massa, immensi depositi di armi straniere, “esercitazioni” NATO che hanno toccato il territorio ucraino, la presenza di militari stranieri (USA, francesi, inglesi, ecc.) impegnati nel conflitto, i governi delle false democrazie occidentali forniscono gli ucraini di armamento pesante e distruttivo in esecuzione degli ordini americani, ma niente basta!!!

Italia territorio occupato

Il responsabile di tutto deve essere solo Vladimir Putin ma la guerra è contro la Russia che, tra l’altro, “deve” fornirci il gas e poi subire il sequestro dei relativi pagamenti da parte delle “democrazie” occidentali. Dunque, si pretende il gas e la Russia lo deve fornire gratis!!!!

Vogliamo finalmente capire – e agire – che l’unica nostra salvezza è il Presidente Vladimir Putin, la “terza Roma” e Santa Madre Russia che sola ci può affrancare dal servaggio verso il nostro vero nemico d’ oltre Oceano, d’ oltre Manica e d’ oltralpe (dall’ Ovest all’ Est)?!

AUGUSTO SINAGRA – Professore ordinario di diritto delle Comunità europee presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Avvocato patrocinante davanti alle Magistrature Superiori, in ITALIA ed alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a STRASBURGO

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/04/08/prof-sinagra-italia-territorio-occupato/

Le code del diavolo

Roberto Pecchioli – 8 marzo 2022

Ore 20,45, esterno notte, quartiere piccolo borghese di una città italiana. Il silenzio è surreale, luci fioche nella sera invernale. Tutto è chiuso, pochissime automobili, nessun passante. In fondo alla strada, una croce illuminata di verde segnala una farmacia. Una piccola folla di forzati del tampone attende il suo turno, intabarrata negli abiti pesanti. Le mascherine non fanno distinguere i volti. Colpisce il silenzio, una strana rassegnazione, la chiusura di ciascuno in se stesso. Timore, distanziamento, fastidio? Chissà. Lontani, divisi, silenti, simili ai naufraghi dell’Eneide, rari nantes in gurgite vasto.

Ore 8,45, esterno giorno. Dodici ore dopo, la medesima strada, stavolta animata di traffico. Pochi passanti, due, tre, quattro code. La solita farmacia, ma anche il fornaio, la posta, la banca. Stessa gente silenziosa, stesse maschere. Unica differenza, davanti alla farmacia dirige la coda un guardiano privato. Lo conosciamo, è un buttafuori di discoteca che si guadagna la vita così per la chiusura dei locali di divertimento. Almeno è professionale, non ha la spocchia e lo sguardo felice di troppi neoguardiani di rincalzo a cui il Covid ha offerto l’occasione di sfogare le frustrazioni. Ricordate il film Siamo uomini o caporali, la fila di cittadini con tessera alimentare e il caporale di turno, un ceffo in divisa dalle tendenze sadiche che tiranneggia Totò, un pover’uomo che sbarca il lunario facendo la coda per gli altri?

Altrove, sono in coda per il pane poiché al forno non possono accedere più di due avventori. Sull’uscio di una lavanderia, una scritta con i punti esclamativi intima: entrate uno alla volta; non oltrepassate la linea. Già, siamo oltre la linea, come nel libro di Ernst Juenger. Davanti alla banca e alla posta si fa la fila per ritirare il proprio denaro (che non è più nostro) o per conoscere lo stato dei risparmi. È quasi tutta gente modesta, i ricchi vanno per appuntamento e i promotori finanziari addirittura si recano a domicilio. Anche le code dividono la società in classi. A parte qualche lite per la precedenza o per la maledetta distanza, colpisce l’innaturale silenzio delle file.

Sembra svanita la naturale socialità della nostra gente, il chiacchiericcio magari banale, indice però di prossimità, di comunità, in cui vivevamo, bene o male, sino a due anni fa. Il Super Green pass ha trasformato troppi in occhiuti controllori autorizzati dal governo. Colpisce, in certi locali, l’imbarazzo dei titolari e, al contrario, un certo zelo compiaciuto dei commessi, salariati forse precari che esercitano le mansioni di vigilanti. Una piccola guerra civile tra poveri, la solita zuffa tra i capponi di Renzo.

Non credevamo di assistere a spettacoli così tristi. Ci sfugge una battuta: sono le code del diavolo. Si dice, quando qualcosa va storta, che il diavolo ci ha messo la coda. Oggi quasi nessuno crede in Dio, figuriamoci nella concorrenza. Eppure, secondo Baudelaire, la massima astuzia di Berlicche è farci credere che non esiste. Il poeta dei Fiori del Male era un antimoderno furioso, inutile prestargli fede. Solo Mefistofele – lo spirito che sempre nega – poteva ridurci così.

Un’amica commerciante ci mostra un messaggio sulle reti sociali in cui un cittadino si lagna delle code e offre la soluzione: compriamo tutto su Amazon. Riecco Tafazzi, il personaggio televisivo che prendeva a martellate le sue parti intime, o quel marito che per fare dispetto alla moglie se le tagliò. Viviamo in un mondo impazzito, ci hanno cucinati a puntino. Siamo passati dal pensiero unico all’unico pensiero: io, speriamo che me la cavo, ossia che non mi contagio.

Siamo trasformati in maschere e marionette, ma gli esseri umani hanno bisogno di vedersi in viso l’uno con l’altro. Una società che ignora un imperativo così naturale come vedere il volto dell’Altro, distruggerà se stessa e le persone che la compongono. L’uomo mascherato cela qualcosa, non mostra la verità: è un nemico e un mentitore. Siamo pupi i cui fili sono tenuti dietro le quinte, i personaggi di Rosso di San Secondo: Marionette che passione! Tipi umani, stereotipi, marionette sconfitte assoggettate a tutti i luoghi comuni; così ci appaiono i personaggi in coda, tristi, silenziosi, in guardia, reciprocamente ostili, milioni di opposte fazioni formate da una sola persona. Nel teatro di San Secondo, la Signora dalla Volpe Azzurra, il Signore in Grigio, il Signore in lutto, la Cantante. Nelle file al tempo del virus, la Signora dalla Maschera Leopardata, il Pensionato Rissoso, l’Ansioso Impaurito, la Cittadina Informata.

In alto si fregano le mani, sguinzagliano gli sgherri, i gazzettieri di regime altoparlanti della Voce del Padrone, i buffoni di corte da festival di Sanremo, esibiti per sbeffeggiare i cretinetti che temono la puntura e le tracce di grafene nelle pozioni di Big Pharma. Tutte balle: noi sì, noi conformisti, noi che sappiamo tutto di dosi e vaccini, che facciamo il pieno di telegiornali e opinioni degli esperti, noi siamo i Giusti. Siamo, grazie a Dio e al governo, la maggioranza, fiera di applaudire il copione a fattura di personaggi che recitano a soggetto e tirano quattro paghe per il lesso, come i manzoniani di Giosuè Carducci. Finita la storia, da tempo non resta che la cronaca, i tempi supplementari a cui l’arbitro non si decide a porre fine. In coda, siamo figuranti rassegnati di uno spettacolo che i potenti osservano sogghignando.

Sentiamo in sottofondo la voce lenta, grave, lievemente chioccia di Franco Battiato. Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos’è il pudore. Sarà lo sguardo del pessimista, ma la sensazione che aleggia sul popolo delle file, insieme con la rassegnazione, è una cupa indifferenza. Pessimo atteggiamento che, oltre a lasciare spazio ai malvagi – sempre proattivi – è l’indizio sicuro del degrado, della sconfitta esistenziale, in linguaggio virale l’esaurimento degli anticorpi. Un popolo – la sua maggioranza – simile ai fratelli Ardengo, i protagonisti degli Indifferenti, il primo romanzo di Alberto Moravia. Loro, incapaci di provare sentimenti, incuranti del declino sociale ed economico della famiglia. Noi, svuotati, inerti, automi resi obbedienti dal timore.

Invece no, non tutti: si fa strada un magma indistinto, ancora difficile da valutare, sorge un’opposizione sociale in nome delle libertà naturali che fa bene al cuore. Nella piazza diventata passerella di spettri guardinghi, una manifestazione partecipata e civilissima ha detto no al regime pandemico, alla libertà rubata, al ricatto del green pass, primo mattone dell’identità digitale. Pazienza se due signore dall’aspetto di insegnanti in pensione invocavano la denuncia dei presenti per attentato alla salute pubblica: c’è sempre qualcuno più realista del re. Indossavano un’altra maschera, fatta di diffidenza, il rancore reciproco che serpeggia tra dialoghi surreali a tema unico intrattenuti a prudente distanza.

Diceva Chesterton che l’uomo moderno si affanna a buttare giù ogni palizzata che incontra sulla sua strada, senza mai chiedersi perché fosse stata eretta. Crollata l’ultima, al tempo del virus ci affrettiamo a costruirne altre, le peggiori: palizzate di sfiducia, lontananza, paura, odio per chi non si comporta come noi, i Buoni, i Razionali, i Credenti della narrazione.

Per molti l’indifferenza è una forma di autodifesa, una corazza, la palizzata che ci separa da una realtà insopportabile. Si elaborano forme sofisticate di indifferenza, la sordità ai continui messaggi “virali” diffusi sui mezzi pubblici, alla radio, alla televisione, ovunque. L’indifferenza è la barricata estrema di chi non capisce più e non trova un senso, triste destino da stranieri, cioè estranei. Scuote l’anima non riconoscere più luoghi, persone, situazioni, sentirsi capitati in un interminabile Truman Show. Nessuno interrompe la rappresentazione gridando: sorridi, sei su Scherzi a parte!

Lo straniamento era il sentimento dominante di Arthur Meursault, il protagonista de Lo straniero di Camus. Sotto il sole implacabile di un’Algeria nativa ma straniera, Meursault sembra come tutti, ha un lavoro che gli dà tedio, vive di abitudini costanti, ripetitive, vagamente rassicuranti. Non ha alcun moto di ribellione, nessun guizzo di cambiamento. Non ha volontà di fuga o interesse per il mondo esterno, solo una quieta accettazione unita dal desiderio di conferma nella ripetizione dei gesti, una stanca tendenza alla passività. Costeggia la vita senza viverla, come noi ci mettiamo in coda tentando di non pensare o smanettando sullo smartphone. Ammazziamo un tempo già morto che non vale la pena misurare. L’incipit dello Straniero è un pugno nello stomaco: “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so.

Meursault è infastidito dalla veglia, dal funerale sotto il caldo soffocante, non costernato per il lutto. Al tempo del virus si muore da soli, nessuno tiene la mano di chi se ne va, circondato da operatori sanitari senza volto vestiti come palombari. Pochi consolano chi resta: il morto è una statistica. Se aveva il virus, meglio per l’azienda sanitaria: riscuoterà un credito dal governo.

Come non sentirsi stranieri? Dietro la maschera, siamo figurine tutte uguali, i pedoni degli scacchi. Tanti Meursault, indifferente anche all’amore. Conosce una donna, lei gli chiede se vuole sposarla, lui ricorda “la cosa mi era indifferente e avremmo potuto farlo se voleva”. Il datore di lavoro gli propone un incarico gratificante, ma lui è apatico: “Io gli ho detto di sì, ma in fondo per me era lo stesso. Allora mi ha chiesto se non mi interessava un cambiamento di vita. Ho risposto che non si cambia mai vita, che del resto tutte le vite si equivalgono”.

Educati dall’epidemia, resi i cittadini disciplinati del Grande Reset, il nostro destino sarà l’equivalenza, milioni di vite in fila, anche “dopo”, quando ci toglieranno la maschera e molti resisteranno, vorranno tenerla, inseparabile come la coperta di Linus.

Agli indifferenti tocca talora il destino di Meursault, che senza motivo uccide un uomo. Non è pentito e nemmeno atterrito: “si finisce per abituarsi a tutto”. In cella (il suo lockdown) è angustiato solo dalla difficoltà di passare il tempo. Appartiene alla razza indifferente allo spirito, interamente proiettata nel presente. Tutto ciò fa di lui un uomo assolutamente attuale, un piccolo uomo comune per il quale tutto è equivalente. Gli altri esistono solo in quanto li incontra in strada, al ristorante, al lavoro. Straniero alla società come a se stesso, non ha trascorsi, non ha ricordi, non ha oggetti o persone che lo leghino al passato. Meursault l’indifferente, quanto assomiglia alla post umanità che l’oligarchia dominante sta forgiando con l’ausilio dell’epidemia, ligia, silenziosa, in coda, mascherata, green pass alla mano.

Fortunatamente, gli italiani hanno tesori di ironia e fioriscono motivetti sulla nuova condizione. Ce l’hai il green pazz? Cantano Pietro Galassi e Omar Codazzi, colonne della musica da ballo, pantaloni corti e gambe a squadra come Cochi e Renato d’antan“È proprio vero che il mondo sta cambiando, non cui ci si può neanche più dare del tu, e bisogna stare a un metro di distanza, perfino quando stai davanti alla TV. Bisognerebbe essere tutti vaccinati, o almeno da due giorni tamponati”.

FONTE: https://www.ricognizioni.it/le-code-del-diavolo/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=gli-articoli-del-giorno_449

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

DOPO L’ORRORE

Toni Capuozzo 5 04 2022

 

La prima domanda che mi sono fatto è : pensi che sia impossibile che i russi, ritirandosi, abbiano fatto, per vendetta e odio, una strage di civili ? Non lo ritengo impossibile, ho visto troppe volte che la guerra porta a dare il peggio di sé. La seconda domanda è stata: pensi che sia impossibile che gli ucraini, aggrediti, bisognosi di aiuto, ansiosi di coinvolgere la comunità internazionale, abbiano “costruito” la scena ?  Ho una lunga esperienza, dal Kossovo al Libano, da Betlemme a Belgrado, di situazioni forzate, modificate, usate: in guerra ogni mezzo è buono. In più, in questo caso, ci sono i precedenti della ragazza di Mariupol (diceva la verità allora, o la dice adesso ?), il mistero del teatro di Mariupol, i numeri che vengono forniti dalle Nazioni Unite e dagli ucraini su vittime civili e perdite militari russe (sarebbero morti 400 militari russi per ogni civile ucciso….). Il mestiere del giornalista è farsi domande, anche quelle scomode. E allora mi ha sorpreso una sequenza di date:

– il 30 marzo le truppe di Putin  abbandonano Bucha

– il 31 marzo il sindaco, davanti al municipio, rilascia una dichiarazione orgogliosa, sul giorno storico della liberazione. Non parla di vittime per le strade.

-il 31 marzo Maxar Technologies pubblica le foto satellitari che rivelano l’esistenza di fosse comuni attorno alla chiesa. E’ una scoperta che poteva essere fatta a terra: è la fossa che pietosamente gli abitanti del posto hanno iniziato a scavare il 10 marzo per seppellirvi i propri morti nella battaglia – siamo poco lontani dall’aeroporto di Hostomel- in cui nessuno avrebbe fatto distinzioni tra civili e militari.

Il 1 aprile va in onda a Ukraine TV24 l’intervista al sindaco. Non è accompagnata da alcun commento su morti per strada.

Il 1 aprile un neonazi che si fa chiamare Botsman posta su Telegram immagini di Bucha. Dice solo di aver trovato un parlamentare, in città, non parla di morti. Ma lo si sente rispondere  a una domanda: “Che facciamo con chi non ha il bracciale blu’?” “Sparate”, risponde.

Il 2 aprile la Polizia ucraina gira un lungo filmato sul pattugliamento delle strade di Bucha (che non è enorme:28mila abitanti). Si vede un solo morto, un militare russo, ai bordi della strada. Nel filmato, lungo 8 minuti ci sono abitanti che escono dalle case, e passanti che si fermano a parlare con la polizia. Lieti di essere stati liberati, ma nessuno parla di morti per strada. La cosa peggiore è quando uno racconta di donne costrette a scendere in una cantina, e uomini prelevati per essere interrogati.

Il 3 aprile il neonazi su Telegram incomincia  a postare le foto dei morti. A tre giorni pieni dalla Liberazione.

Il 4 aprile, ieri, il New York Times pubblica una foto satellitare che riprende i morti per strada, spiegando che è stata scattata il 19 marzo (quindi i corpi sarebbero per strada da quasi due settimane, sembrano le armi chimiche di Saddam).

Va da sé che onestà e indipendenza (che poi uno scambi l’indipendenza come dipendenza da Mosca mi fa solo ridere amaramente) impongono domande.  Com’è che gli abitanti di Bucha che, sotto la dura occupazione russa, seppellivano i propri morti, questi invece, pur liberi,  li lasciano sulle strade ?  Com’è che attorno ai morti non c’è quasi mai del sangue ?  Se una vittima viene sparata alla tempia, è una pozza, finché il cuore batte. Se gli spari che è già morto, niente sangue. Com’è che in una cittadina piccola e in guerra, dove nessuno presumibilmente si allontana da casa, nessuno ha un gesto di pietà, per tre giorni, neanche uno straccio a coprire l’oscenità della morte ?  Erano morti nostri o altrui ?  Se uno vuole credere, se cioè è questione di fede, anche l’osservazione che i morti, per bassa che sia la temperatura non si conservano così, è inutile. Morti pronti per il camera car che è una gimkana tra i corpi. Una volta tirai un sasso a un randagio, io che amo gli animali, perché si stava cibando del corpo di un terrorista, e non era in una città affamata.

Purtroppo mi interessano poco le testimonianze  de relato – “mi hanno raccontato che”- o i servizi che aggiungono alla scena solo rabbia e indignazione, e pietà all’ingrosso. Ricordo ancora a Gerusalemme il responsabile della sede RAI scrivere una mail privata ai dirigenti palestinesi attorno alle immagini di un linciaggio a Ramallah: “La Rai non avrebbe mai mandato in onda immagini che vi danneggino”. I gonzi pubblicarono la mail di solidarietà sui giornali. Né mi turbano le accuse dei tifosi, dei trombettieri e dei tamburini. Senza insulti sono disposto a discutere con chiunque, e so che quelle persone, chiunque fossero, in qualunque circostanza fossero state uccise, a qualunque scopo venissero esibite (i russi per terrorizzare, gli ucraini per emozionare il mondo) sono morte nel modo peggiore, e meritano pietà e giustizia, non propaganda

Resta l’orrore, e la speranza che commissioni severe indaghino e la facciano pagare ai responsabili. Se sono russi, irraggiungibili, resteranno nell’album delle infamie. Se qualche ucraino ha abbellito o costruito la cosa, è giusto almeno porsi un altro paio di  domande scomode.

Come fai a non mandare armi a un popolo così martoriato, come fai a non reagire all’orrore ?

Come fai a convincere l’opinione pubblica mondiale che bisogna mandare altre armi e puntare a punire l’invasore, non a negoziarne il ritiro ? Come si giustifica un’escalation ?

In poche parole: a chi giova ?  Ma, attenzione, anche rispondere a questa domanda non dà alcuna certezza. Perché la guerra è calcolo, ma ancora di più follia e stupida ferocia.

FONTE: https://www.facebook.com/dalvostroinviato/posts/519286892930889

 

 

 

Le vittime del missile sulla stazione di Kramators’k

Toni Capuozzo 8 04 2022

 

Sono 39, e tra loro 4 bambini, le vittime del missile sulla stazione di Kramators’k.  Sul motore del missile appare una scritta in russo che suona come “a causa dei bambini”.

un’arma di produzione russa, ma non più in uso dal 2019 nell’esercito russo, e ora in dotazione dell’esercito ucraino.

La domanda più logica – perché? – è sepolta dalla follia della guerra.

La seconda domanda – chi è stato? – ha una risposta, se confidiamo nella lealtà di quella che non è una parte terza, nel conflitto.

La Nato sa, perché monitora tutti i lanci di missili e dunque sa da dove è partito.

FONTE: https://www.facebook.com/dalvostroinviato/posts/521632846029627

 

 

 

COME LEGGERE LA GUERRA AL CONTRARIO, SENZA CERCARE DI ESSERE PIÙ FURBI DEGLI ALTRI

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John Elmer
johnhelmer.net

Questa non è, ripeto non è, la storia del bambino di catrame, degli Afroamericani o degli Indiani d’America. Gli Stati Uniti e gli alleati della NATO non sono la volpe, la Russia non è il coniglio, tranne che l’Ucraina è davvero il bambino di catrame.

La ragione per cui i comandanti statunitensi erano fiduciosi che la Russia avrebbe fatto la sua mossa in Ucraina è perché avevano fatto in modo che lo stato maggiore russo capisse che, se [i Russi] non si fossero mossi verso ovest, sarebbero stati attaccati loro stessi, ad est attraverso il fronte dell’Ucraina, a nord verso Belgorod e Voronezh, a sud contro la Crimea e Rostov; mentre, allo stesso tempo, gli USA avrebbero lanciato la loro guerra lampo per distruggere l’economia russa. Il piano ucraino di attacco terrestre era la finta; la guerra delle sanzioni era l’attacco principale contro Mosca.

Secondo il manuale dell’anno scorso di quella che viene chiamata l’Iniziativa Strategica Russa secondo il Comando Europeo degli Stati Uniti a Stoccarda, la strategia di “difesa attiva” dell’esercito russo inizierebbe con “misure preventive attuate prima che scoppi un conflitto, allo scopo di prevenirlo.” A queste farebbe seguito “una difesa-offesa che prevede l’ingaggio continuo dell’avversario in tutto il teatro dell’azione militare, comprese le infrastrutture critiche sul suo territorio, con operazioni strategiche atte ad influenzare la capacità o la volontà dell’avversario di sostenere la lotta.” Tenendo conto della “sorpresa, della risolutezza e della continuità dell’azione strategica,” il comando degli Stati Uniti si aspetta dalla Russia “una condotta bellica caratterizzata da potenza di fuoco, attacchi e manovre, con le formazioni tattiche impiegate a distanza.”

Il “calcolo” russo, secondo le previsioni dell’esercito americano, “è che l’obbiettivo ultimo è quello di degradare il potenziale militare ed economico di uno stato, non di conquistarne il territorio.”

Dal momento che il piano di guerra degli Stati Uniti per distruggere la Russia ha richiesto otto anni per la trasformazione dell’Ucraina in una cannoniera, cos’è che ha sorpreso nella prima fase della guerra? Cosa si può prevedere per la fase 2, la fase 3 e la fase 4 – cioè quel lungo conflitto che il presidente Biden, il cancelliere Scholz e il primo ministro Johnson pensano di poter sostenere, nella convinzione che i Russi non possano fare altrettanto?

La tattica della guerra in poltrona inizia con il sapere cosa leggere, a quale velocità e cosa non leggere affatto.

Questo perché nella guerra d’informazione gli obiettivi dei social media e di quelli mainstream sono il pubblico interno del vari schieramenti bellici: la gente deve essere convinta di vincere, che il prezzo da pagare sarà piccolo e che varrà la pena pagarlo. Quei soldi però sono stati spesi male: non c’è stato alcun successo dei media occidentali dentro la Russia e, del resto, nessun successo dei media russi al di fuori della Russia.
Invece, prove credibili delle operazioni quotidiane sul campo di battaglia sono documentate minuziosamente da diverse fonti in lingua russa che possono essere seguite in parte con programmi di traduzione automatica. Tra queste, Colonel Cassad di Boris Rozhin e The World Today di Yury Podolyak.

Aggregatori di questi materiali con mappe e pubblicati in in inglese includono Andrei Martyanov e Andrei Raevsky.

Il passo successivo nella guerra in poltrona è fare domande semplici e ingenue, e confrontare le risposte che si ottengono. Per esempio, quante forze hanno schierato i Russi contro quanti Ucraini?

Nella dottrina di guerra dell’esercito degli Stati Uniti, si è stimato per molto tempo che una forza attaccante dovrebbe superare la forza difensiva con un rapporto di 3 a 1. Nelle operazioni di controinsurrezione e nella guerra del Vietnam, il comando degli Stati Uniti aveva calcolato che per l’attacco contro i Vietcong e l’esercito nordvietnamita, le forze statunitensi avrebbero dovuto superare i Vietnamiti di 10 a 1. Questo rapporto era stato poi corretto verso il basso a circa 5 a 1, tenendo conto della superiorità degli Stati Uniti nella potenza di fuoco, nei bombardamenti con l’artiglieria, aerei ed elicotteri

Simulazioni informatiche militari statunitensi più recenti, basate sulle guerre arabo-israeliane, sulle operazioni statunitensi contro l’Iraq e sui wargame della NATO, hanno incluso più dati nel calcolo del rapporto di forze occorrenti per un attacco della NATO contro la Russia, o di cui tener conto nel caso di un intervento della Russia contro la NATO.

DOTTRINA DELL’ESERCITO AMERICANO – RAPPORTI DI FORZA MINIMI

Fonte: US Department of the Army, Army Field Manual FM6-0, Commander and Staff Organization and Operations (Washington, DC: Government Printing Office, 2016), Tabella 9-2.

Come spiegare allora che nella Fase 1 dell’operazione militare speciale russa in Ucraina, i Russi hanno schierato nel Donbass tra 40.000 e 50.000 uomini, contro circa 80.000 truppe ucraine, un rapporto di forze significativamente inferiore ad un Russo in attacco contro un Ucraino in difesa?

Una fonte di Mosca ben informata con stretti contatti nel Donbass risponde: “sulla forza delle truppe, dobbiamo confrontare mele con mele. Dobbiamo anche guardare il quadro generale e considerare che il teatro delle operazioni è l’intera Russia sud-occidentale e non solo il territorio ucraino. All’interno di questo teatro le truppe russe hanno una chiara superiorità numerica. Naturalmente, all’inizio delle operazioni, il 24 febbraio, non sono state impegnate tutte insieme, per non rischiare colli di bottiglia peggiori di quelli che abbiamo già visto.

Non tutte le truppe russe in questo teatro più ampio erano vere e proprie formazioni d’attacco. Sono state tenute di riserva, a formare una linea difensiva arretrata ampia, profonda e complessa. Dovevano coprire un linea di difesa più estesa di quella ucraina. Gli Ucraini avevano sicuramente un vantaggio difensivo perché erano molto ben trincerati nel Donbass. Sarebbero stati in svantaggio se fossero stati loro la forza d’invasione. I numeri dei gruppi di battaglia locali, quindi, non dicono molto.

Quello che nessuno degli analisti ha ancora considerato è che lo stato maggiore russo aveva capito che c’erano seri rischi di un’offensiva ucraina – vale a dire, un attacco attraverso i confini russi, non solo contrattacchi contro le manovre iniziali russe. C’erano tutte le possibilità che un gruppo di battaglia ucraino irrompesse a nord verso Voronezh e poi si riparasse nelle aree civili per poi piegare a sud, verso Rostov, con l’obiettivo di accerchiare il Donbass.

Perché tutti danno per scontato che gli Ucraini stessero solo preparandosi alla difesa? Una grande offensiva ucraina sulla Crimea era imminente. I Russi, quindi, dovevano avere una grande forza difensiva in posizione fino a quando tutte le infrastrutture militari ucraine non fossero state eliminate.

Quello che nessuno degli analisti ha considerato è che l’Ucraina non era stata preparata dagli Stati Uniti per una guerra difensiva. Nei collegi militari britannici, c’è sempre stata la convinzione che, tatticamente, i Sovietici avessero perso la battaglia di Kursk. Sembra che tutti dimentichino che, secondo la comprensione europea, americana e britannica delle battaglie della Seconda Guerra Mondiale, [gli Occidentali] credono di poter vincere una guerra contro la Russia proprio su quel tipo di terreno di battaglia.

La cosa essenziale [in questo tipo di conflitto] è non impantanarsi nelle città, ma usarle come scudo. In ogni caso, il terreno da Kharkov a nord verso Belgorod e poi verso Voronezh si presta a questo genere di manovra, se la forza attaccante è ben equipaggiata con armi anticarro e può limitare la capacità di interdizione dell’aviazione russa mentre avanza da una città all’altra. Gli Ucraini si erano preparati esattamente per questo, attaccare rapidamente con la fanteria organizzata in unità estremamente mobili armate di MANPADS [sistemi di difesa aerea portatili].

I Russi erano ben consapevoli della possibilità di questo piano d’attacco statunitense. Perciò, personalmente, non considero l’avanzata russa verso Kiev, i lanci di paracadutisti sui campi d’aviazione, la distruzione delle basi aeree, delle scorte e delle guarnigioni ad ovest e le molte operazioni speciali in Galizia, tra Kiev

e Lvov, come un errore o uno spreco di risorse da parte dei Russi. Le vedo come una necessità per bloccare i centri di comando ucraini, minacciare Kiev e tutta la leadership ucraina e dissuaderla dal fare la mossa che aveva pianificato in territorio russo. Assolutamente necessario, in effetti.

Quindi, avendo raggiunto gli obiettivi della Fase 1, la distruzione delle infrastrutture, il blocco Kiev e il controllo del Mar Nero e della costa del Mar d’Azov, l’obiettivo russo è stato quello di difendere ed espandere il fronte del Donbass. L’esercito russo doveva assicurarsi che gli Ucraini non potessero sfondare verso Donetsk. Nel caso peggiore – se fossero riusciti a circondare Donetsk, sarebbe stata una catastrofe. Tutto sommato, quello ucraino dovrebbe essere considerato un esercito molto maturo diretto da abili istruttori USA e NATO, armato con i loro migliori sistemi d’arma. Non dobbiamo illuderci che le truppe ucraine trincerate lungo la linea di contatto [nel Donbass] fossero una forza difensiva in attesa di uccidere i Russi invasori.

Una volta eliminato con la Fase 1 il rischio di un’avanzata ucraina verso est, possiamo prevedere che nella Fase 2 arriveranno nuovi e cospicui rinforzi russi.
Certamente, i Russi sembrano aver sottovalutato la forza ucraina sul fronte nord-occidentale tra Kharkov, Sumy e Kiev, così come a sud, a Mariupol. I Russi hanno anche sottovalutato, errore più grave, le capacità difensive ucraine nella regione di Donetsk. Non si aspettavano una resistenza così ostinata. Le forze ucraine presenti a Kharkov e Sumy sembrano essere costituite da truppe di fanteria molto mobili, addestrate alle operazioni di guerriglia, a reagire rapidamente, a mimetizzarsi nelle aree civili e ad attaccare a sorpresa.

L’errore ucraino sembra essere stato politico, ma anche di aver sottovalutato i Russi. Il primo attacco a Kharkov avrebbero dovuto considerarlo un segnale. Ma hanno ripetuto l’errore di attestare i mercenari con i battaglioni territoriali Azov su posizioni che i Russi sono stati in grado di colpire ripetutamente. Questo ha contribuito alla narrazione propagandistica dei media occidentali, ma non ha sicuramente evitato la loro sconfitta e la loro distruzione.

Una seconda domanda: se i preparativi militari ucraini erano sofisticati e ben informati dall’intelligence statunitense, e se gli avvertimenti americani di un imminente attacco russo erano autentici, come mai il comando ucraino e le sue forze sono stati apparentemente colti di sorpresa, [con il risultato] di perdere nelle prime 48 ore la Marina, l’aviazione e gran parte dei centri di comando e controllo ?

Un veterano militare canadese con esperienza di combattimento nella NATO risponde: “gli Ucraini erano pronti a combattere la guerra che volevano gli Stati Uniti e la NATO. La sorpresa non ha mai fatto parte dell’equazione, poiché l’intero Paese è stato impostato come un’arma per fare la sua parte in una più grande guerra contro la Russia. È difficile sorprendere una mina anticarro.”

Detto questo, la sorpresa ha più a che fare con la strategia russa a lungo termine che con la distruzione iniziale dei centri comando e controllo ucraini, delle loro risorse aeree o navali. La guerra che gli Ucraini erano pronti a combattere si è rivelata non essere la guerra che i Russi intendono vincere. Io la chiamo la “Long Game Surprise.”

Le forze ucraine erano trincerate lungo le direttrici delle avanzate russe previste e avevano trasformato le città chiave in fortezze. Le informazioni degli Stati Uniti erano buone. Sapevano, nonostante i piagnistei di Zelensky nei giorni precedenti l’operazione, che l’attacco stava per arrivare. Gli Stati Uniti volevano che arrivasse. Un attacco russo faceva parte della strategia USA per battere la Russia.

Tutti, dalla parte ucraina/NATO/USA, avevano capito abbastanza bene che l’esercito russo avrebbe cercato di evitare vittime civili mentre, allo stesso tempo, avrebbe fatto di tutto per prendere le aree urbane chiave – Mariupol, Kherson, Izyum, ecc. La Marina e le forze aeree ucraine non hanno mai avuto un ruolo importante in questo schema, se non come mezzo per molestare o disturbare le forze russe e segnare punti di propaganda quando possibile. Le unità chiave ideologicamente motivate, come quelle dei battaglioni territoriali, le formazioni Azov, Aidar e Donbass, insieme alle unità regolari, come le brigate d’assalto aviotrasportate o meccanizzate che vediamo sul fronte di Donetsk, hanno ricevuto il grosso del loro addestramento secondo gli standard della NATO.

Sono queste le formazioni che i pianificatori ucraini/NATO/USA consideravano essenziali per la loro strategia. È chiaro che il loro ruolo era quello di lanciare un attacco alle DPR/LPR [Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk], come evidenziato dall’aumento dei bombardamenti e da altre azioni aggressive nelle settimane precedenti il 24 febbraio o di trascinare i Russi in una guerra di logoramento lungo linee di difesa in gran parte statiche, se i Russi avessero scelto di muoversi per primi. Il piano includeva lo stoccaggio di rifornimenti nelle zone urbane di difesa e fortificazioni ben preparate nel territorio del Donbass. I quartieri generali e i centri di comando e controllo erano in bunker in prossimità del fronte. La possibilità di un teatro di guerra più esteso, a livello nazionale, non era un problema, perché le formazioni orientali [nel Donbass] erano destinate a combattere battaglie in gran parte locali, senza contare su un grande intervento dell’esercito ucraino vero e proprio – soprattutto ad est del Dniepr. Le strutture di comando e controllo (C2) della regione orientale sembrano essere state progettate per resistere ai primi attacchi russi meglio di quelle centrali di Kiev.

Naturalmente, gli attacchi russi agli aerodromi, ai quartieri generali, ai complessi radar di difesa aerea sono stati importanti e hanno avuto un grande impatto sulla capacità ucraina di combattere a breve termine; ma, tanto per cominciare, quella capacità non era poi così sofisticata o così necessaria – non era stata progettata per esserlo. Ancora una volta, è stato subito evidente che lo sforzo principale degli Stati Uniti, in termini di preparazione, si era concentrato sulle forze di terra ucraine per ‘combattere’ con i Russi su un terreno scelto dagli Ucraini. La postura delle forze ucraine era dettata dalla consapevolezza che la guerra di manovra su larga scala, che richiede una forte capacità C2, era in gran parte fuori dalla loro possibilità, come gli Ucraini/NATO ben sapevano. Tuttavia, hanno sottovalutato la capacità russa di interdizione.

C’erano stati alcuni reparti che non avevano ricevuto le debite istruzioni. Le unità meccanizzate/motorizzate ucraine, per esempio, specialmente intorno alla zona di Kharkov, avevano tentato di intervenire contro l’avanzata russa o di ridispiegarsi per rafforzare le difese all’interno e intorno alla città. Avevano poi scoperto a loro spese che sarebbe stato molto più intelligente rimanere sul posto. Stare fermi o limitare i movimenti a piccole unità su veicoli ruotati, fa parte dello standard NATO per le forze che devono combattere senza il beneficio dell’ombrello di superiorità aerea degli Stati Uniti e tutto ciò che esso comporta.

Così [per gli Ucraini] abbiamo la linea Siegfried, le fortezze, e l’operazione Stay-behind Werewolf sotto steroidi, con i vecchi missili Tochka U per rendere le cose un po’ più “divertenti.” Suppongo che gli Ucraini avrebbero potuto spostare i loro jet, come i MiG 29, fuori dal Paese o dislocare la loro flotta (così com’era) nei porti amici del Mar Nero, ma, allora, il valore propagandistico di miti come il ‘Fantasma ucraino di Kiev‘ sarebbe andato perso. La perdita di queste risorse, tuttavia, era una cosa secondaria, perché il piano ucraino/NATO era ancorato alla tattica terrestre che ho menzionato.

Allora, perché [gli Ucraini] hanno impostato le cose in questo modo? Secondo me, credevano che, per raggiungere i loro obiettivi, i Russi non avrebbero avuto la forza di continuare [lo sforzo bellico] per settimane o mesi. Sembra che abbiano dato per scontato che, se avessero inflitto perdite e trattenuto l’avanzata russa, la guerra economica scatenata dagli Stati Uniti e la propaganda globale avrebbero fatto il resto in breve tempo. Ed è qui che sta la sorpresa – non l’hanno fatto e non lo faranno. Nonostante tutti i discorsi sul trasformare l’Ucraina in un nuovo Afghanistan per i Russi, quando Kiev, Bruxelles e Washington hanno cominciato ad accorgersi che la Russia era molto più resistente e determinata di quanto avessero immaginato e pronta ad impegnarsi per un lungo periodo (Ucraini, Europei, Americani e Canadesi non sono Afgani), era troppo tardi. Inoltre, come al solito, gli Americani hanno sopravvalutato le proprie capacità e, allo stesso tempo, le hanno proiettate sugli Ucraini.

Fin dall’inizio, ci sono stati gravi errori di calcolo e veri e propri fallimenti da parte degli Ucraini, della NATO e degli Stati Uniti. L’avanzata dei Russi lungo l’asse meridionale e la loro capacità di attraversare il Dniepr e prendere Kherson durante l’avanzata, mostra una cattiva preparazione e, a mio parere, l’incompetenza da parte dei pianificatori e dei comandanti dello staff ucraino e della NATO. Tutti gli analisti della difesa occidentale si sono detti d’accordo sul fatto che Kherson sarebbe stato un obiettivo importante per le forze russe che avanzavano dalla Crimea. Cosa è successo invece? Incompetenza da parte ucraina. Forse i loro pianificatori si aspettavano che Mariupol venisse assalita per prima.

Per quanto riguarda quest’ultima città, Mariupol, è andata esattamente come mi aspettavo – fino ai nazisti che hanno preso le posizioni che hanno preso e la tattica russa/DPR di frantumarle in pezzi più piccoli da masticare uno alla volta. Per quanto riguarda il personale NATO che potrebbe essere rimasto intrappolato nella zona, so solo quello che ho letto dai rapporti russi. Qualcuno forse si aspettava di essere salvato da Kiev, ha resistito troppo a lungo, solo per rimanere deluso ed essere intrappolato? Questo è il punto in cui la distruzione russa delle capacità C2 ucraine può aver pagato. Ma questo è supporre che [da parte ucraina] esistesse una volontà politica di fornire un qualche soccorso, reso poi inutile dall’avanzata russa. Forse è stata una combinazione di entrambi. Mentre il lungo gioco va avanti, la creazione delle fortezze all’interno degli altri centri urbani si è rivelata un vicolo cieco. Sono state trasformate in trappole mortali per le forze ucraine, dentro e intorno ad esse.

A peggiorare le cose per gli ucraini, la NATO e gli USA, il comando russo a Mosca e le forze russe sul campo non mostrano alcun accenno di stanchezza. Al contrario, stanno entrando nella Fase 2 e si stanno preparando a distruggere fino all’ultimo uomo le forze ucraine ad est del Dniepr. Se qualche corridoio rimane aperto ai rinforzi ucraini, è solo perché è lasciato come una via d’accesso al gigantesco calderone russo che i Russi stanno per chiudere ad est del Dniepr. Una volta che questa operazione sarà finita, la domanda dovrà essere: come sarà la fase 3 (e 4, 5 ecc.)?

Altrettanto importante è il fatto che, con il passare del tempo, la popolazione russa diventa sempre più favorevole all’operazione militare – capiscono cosa c’è in gioco e vogliono che il problema dell’Ucraina sia risolto. Guardate come hanno reagito la settimana scorsa al solo accenno di una riduzione dell’impegno russo durante i negoziati ad Istanbul.

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Nel frattempo, in Europa, la popolazione diventa sempre più scontenta dell’impatto che la guerra sta avendo sui loro stili di vita. Negli Stati Uniti e in Canada (quest’ultimo più del primo), è tutto ‘Slava Ukraini’, ma l’inflazione sta crescendo (7.20$/gallone- 1.90$/litro per il carburante) e, insieme all’aumento dei prezzi dei generi alimentari, degli affitti e di tutto il resto, raffredderà l’entusiasmo per la causa; accoppiatelo con l’incapacità degli Occidentali (a differenza dei Russi) di ottenere qualcosa in termini di programmi nazionali per spostare le priorità economiche a favore dei posti di lavoro, affitti e generi alimentari. Abbinate tutto questo all’approccio molto diverso alla situazione mostrato da Cina e India, e non è troppo difficile vedere che sorpresa potrà scaturire dal gioco lungo.

Gli Ucraini sono stati condizionati per essere usati come un mezzo per dissanguare l’esercito russo, mentre contro lo stato e il popolo russo veniva condotta la guerra su un altro livello. La strategia era Siegfried/Festung al fronte, sanzioni economiche e Blitzkrieg propagandistiche nelle retrovie – che sono comunque parte del fronte. Il modo in cui le forze ucraine sono state schierate e impiegate mostra qual’è il loro ruolo nella più ampia guerra contro la Russia – che finirà per costare loro almeno la metà del Paese, senza che sia servito a qualcosa.

Una terza domanda: cosa pensa la maggioranza dei Russi?

Alla fine di marzo, il Centro Levada, il centro sondaggi indipendente di Mosca, ha riferito [14] che “la percentuale di coloro che credono che le cose nel Paese stiano generalmente andando nella giusta direzione è aumentata significativamente al 69% rispetto al 52% di febbraio. La quota di coloro che credono che il Paese si stia muovendo sulla strada sbagliata era del 22% a marzo; a febbraio era del 38%”. Rispetto allo stesso sondaggio del novembre scorso, l’ottimismo pubblico è aumentato di 23 punti.

VALUTAZIONE DELLA DIREZIONE ATTUALE DEL PAESE

LEGENDA: nero = direzione giusta; blu = direzione sbagliata. Il sondaggio del Centro Levada è stato condotto dal 24 al 30 marzo su un campione rappresentativo di tutta la Russia nelle aree urbane e rurali tra 1.632 persone dai 18 anni in su. Lo studio è stato condotto nel domicilio di ogni intervistato con un’intervista personale. La domanda posta era: “Le cose stanno andando nella giusta direzione nel Paese oggi nel suo complesso o il Paese si sta muovendo nella direzione sbagliata?” Le opzioni di risposta erano: nella giusta direzione; sulla strada sbagliata; difficile da dire. Fonte: https://www.levada.ru/

Questo ottimismo ha anche sostanzialmente aumentato gli indici di gradimento del presidente Vladimir Putin e di altri funzionari governativi. Il gradimento di Putin è balzato dal 69% di gennaio al 71% di febbraio e all’83% di marzo. Non era così alto dalla fine del 2017, quando [la legge sull’aumento] dell’età di pensionamento e le modifiche pensionistiche si erano scontrate con una forte opposizione pubblica; leggere qui per maggiori dettagli [16].

APPROVAZIONE PUBBLICA DELL’OPERATO DEL PRESIDENTE PUTIN

Fonte: https://www.levada.ru/

 

A proposito, nel finale della storia del 1881 di zio Remo sulla volpe, il coniglio e la bambola di catrame, il coniglio inganna con successo la volpe e, dopo averla attirata nel cespuglio di rovi, riesce a sfuggire alla trappola – “he skip out des ez lively ez a cricket in de embers” [salta fuori così lesta come un grillo dalla brace].

John Elmer

Fonte: johnhelmer.net
Link: http://johnhelmer.net/how-to-read-the-war-in-reverse-without-outsmarting-yourself/
03.04.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

FONTE: https://comedonchisciotte.org/come-leggere-la-guerra-al-contrario-senza-cercare-di-essere-piu-furbi-degli-altri/

 

 

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha sospeso la partecipazione della Russia al Consiglio per i diritti umani dell’#ONU

FONTE: https://www.repubblica.it/esteri/2022/04/07/news/onu_russia_fuori_dal_consiglio_dei_diritti_umani_la_cina_ha_votato_contro-344561589/

 

 

 

CULTURA

DALLA GUERRA ALLA PACE

Manlio Lo Presti – 14 04 2022

Sergio Cotta è stato uno dei padri della filosofia del diritto in Italia. Ha insegnato questa materia per decenni. Le sue vaste ricerche sono state orientate sul versante conservatore. Ha compiuto studi approfonditi sulla dinamica dell’agire politico in rapporto alla morale. Leggere il suo pensiero consente di arricchire e completare le attuali e prevalenti ricerche di natura geopolitica ed economica, con una prospettiva eminentemente storica e filosofica.

Il suo libro “Dalla guerra alla pace” – oggi di grande attualità – è stato pubblicato nel 1989. La teoria è improntata alla ricerca delle origini della guerra considerata dall’Autore uno stato eccezionale, tenuto conto che la pace è una condizione connaturata all’uomo. Una sua riflessione afferma che la pace non viene “pensata” ma è concepita da sempre come una sospensione della guerra rivestendo un significato negativo. Il testo ha quindi lo scopo di confutare questa concezione della pace come una parentesi procedendo ad una analisi del pensiero antico, da S. Agostino per arrivare a Leibniz. Si discosta così da Eraclito il cui pensiero si appoggia sulla contesa che è il fondamento della guerra dove l’altro è un nemico da annientare e non una controparte con la quale negoziare, trovare un accordo, una sintesi di diverse visioni del mondo in un confronto pacifico.

Sergio Cotta ribadisce il grande ed intramontabile valore della fiducia reciproca, della cooperazione e della fratellanza ispirata ai valori cristiani, ma che ha significato anche in una prospettiva laica. Il volume è oggi di grande attualità dal punto di vista etico e umanistico in un’epoca – quella attuale – che è costituita da una cultura di morte. Il testo si articola in due parti che contengono sette capitoli per un totale di 185 pagine.  La trattazione inizia con il polémos di Eraclito, prosegue con i concetti giuridici della guerra come trasgressione e diffusione della paura sulla quale si fonda qualsiasi sistema di potere antidemocratico.  Si giunge alla conclusione che la pace è la condizione umana più autentica. La pace si tutela mediante una architettura giuridica del diritto all’esistenza.

Un bel libro da leggere con calma per comprendere lo spirito di una contemporaneità vittima del caos, della falsificazione, dell’eclisse dell’analisi culturale per lasciare il posto alla paralizzante paura.

Un libro che deve essere ristampato al più presto! Buona lettura a coloro che riusciranno a trovarne una copia.

Sergio Cotta, Dalla guerra alla pace, Rusconi, 1989, pag. 185

 

 

 

Ma le nuvole non le guardo più

Marygrusso  5 04 2022

Ho rivisto quel dottore. L’ho subito riconosciuto dall’inconfondibile salopette (sigh) che sfoggiava e sfoggia ancora oggi. E come non ricordare quegli occhiali dal filo rosso con i quali mi aveva scrutata così attentamente? Ho rivisto quel dottore dal quale mi avevano portato. Ero una bambina che cadeva spesso e amava inciampare nelle pozzanghere ma soprattutto distratta dalle storie delle nuvole del cielo.

Ma c’erano delle cose di me che gli altri bambini non facevano e preoccupavano i miei genitori. Davanti ai cartoni della TV tutti ascoltavano e capivano ciò che vedevano. Io invece  pensavo alle tante vite delle nuvole. E alle maestre non sapevo mai ripetere le storie che raccontavano se non quelle delle nuvole che crescevano, combattevano e si innamoravano. E cadevo spesso, troppo spesso mentre rincorrevo i volti delle nuvole che cercavo di conoscere.

Allora stanchi delle mie ginocchia sbucciate un giorno mi portarono da quel dottore che attento mi scrutò. Con la sua salopette, i suoi occhiali rossi mi esaminò attentamente non lasciandosi sfuggire un centimetro della di me di quel momento. Disse qualcosa che  non capii. Ricordo solo il volto in lacrime di mia madre e di mio padre che le carezzava il viso. Quella sera i miei genitori mi dedicarono più attenzioni del solito. Da quel giorno la società iniziò a trattarmi come una bambina “diversa”. C’era sempre qualcuno che mi teneva per mano e non caddi più per terra mentre guardavo le nuvole rincorrersi e saltare.

Ma un senso di disagio iniziò a nascere in me e l’eccessivo riguardo nei miei confronti mi convinsero di essere inadatta. Cosi’ iniziai a desiderare di essere come gli altri e a cercare di imitarli. Ho rivisto quel dottore che mi aveva giudicata, secondo le fredde formule della scienza, senza chiedermi un perché. Con la sua salopette, il filo rosso degli occhiali non poteva che essere che lui.

Per un istante mi ha guardata: io l’ho riconosciuto, lui non so.

Ma le nuvole non le guardo più

FONTE: https://www.facebook.com/marigracefree/posts/3991034804454078

 

 

 

Quando l’intellettuale rinuncia alla ragione

A proposito di Flores e di “Micromega”

di Angelo d’Orsi

Il 4 aprile 2022 l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ha diffuso il seguente comunicato:

“L’ANPI condanna fermamente il massacro di Bucha, in attesa di una commissione d’inchiesta internazionale guidata dall’ONU e formata da rappresentanti di Paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili. Questa terribile vicenda conferma l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra e al furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”.

“Questo comunicato è osceno, e infanga i valori della Resistenza”, è l’incipit del commento di Paolo Flores d’Arcais, direttore di “MicroMega”, mentre a me è parso un comunicato di buon senso, e di civile rigore. In un editoriale sul sito della rivista, invece di sostenere la linea della ricerca della verità, Flores la dà per assodata, e chiede, dopo un profluvio di insulti ai dirigenti ANPI e di volgarità contro i russi, reclama una Norimberga per processarli (e poi? pena di morte?): un editoriale di una rozzezza e di una violenza che può fare invidia ai fogli più osceni del bellicismo italiota.

E meno male che Flores si è sempre presentato come il campione del razionalismo neoilluministico! Ma che cosa chiedeva Romain Rolland nel 1914 quando si scatenò nel mondo della cultura, in tutta Europa, la canea bellicistica? Chiedeva agli intellettualie di stare “al di sopra della mischia”, non al di fuori, ma al di sopra, cercando di non cedere alle passioni nazionali, e di non perdere il lume della ragione critica. E che cosa invocava Antonio Gramsci, negli anni di quella stessa guerra? La necessità della verità: ad ogni costo.

Flores non ha dubbi, e “l’eccidio” di Timisorara, e la provetta del falso antrace di Colin Powel, e le fosse comuni qua e là attribuite ai nemici di turno di USA-NATO, non gli hanno insegnato nulla, a quanto pare. Lui la verità ce l’ha in tasca. Lui rappresenta la razionalità laica. E incarna la Verità e forse il Verbo.

Aveva ragione il compianto padre Ernesto Balducci quando nel 1991 denunciava le “disavventure della cultura laica”: anche allora c’era stata la levata di scudi dei guerrafondai che incitavano a combattere il nuovo “feroce Saladino”, come veniva presentato Saddam Hussein. Allora il papa (Karol Woytila) si schierò clamorosamente, convintamente, contro la guerra (“Fermatevi, in nome di Dio!”, forse qualcuno lo ricorderà), contro l’aggressione USA-NATO all’Iraq. E nessuno gli diede retta, come oggi nessuno dà retta a papa Francesco, a cominciare dai nostri governanti pronti a farsi il segno della croce, a genuflettersi e a cospergersi di acquasanta, e parlare di “valori”, alludendo a quelli incarnati da Gesù Cristo. Allora, Flores e “MicroMega” furono in prima fila contro il papa e per la guerra. Un editoriale di quell’epoca, firmato da Flores, mentre gli occidentali bombardavano un popolo, recitava: “Pacifismo, papismo, fondamentalismo: la santa alleanza contro la modernità”. La modernità, invero, era proprio l’Iraq, un Paese progredito, il più “moderno” tra i Paesi arabi, che oggi, dopo le due aggressioni di Bush padre (1991) e di Bush figlio, del 2003, è un Paese a pezzi e dove la vita umana non vale più nulla. Lo stesso dicasi per Afghanistan, Siria, Libia…

Ovunque l’Occidente (USA-NATO-UE) abbia deciso di “esportare la democrazia” ha portato l’inferno. E in tutti quei casi la propaganda è stata decisiva per giustificare interventi militari ingiustificabili. Quelle distruzioni, quei morti, ricadono anche sulla testa di intellettuali che hanno incitato, hanno approvato, hanno sostenuto. Stupisce che un libero pensatore, un ammiratore di Voltaire, perda in modo così plateale proprio il lume della ragione e si scateni contro l’ANPI, rifiutando precisamente l’esercizio della ragione. E si lasci andare a frasi inaccettabili, ricorrendo a termini di una pesantezza sconcertante. Paolo, ma che ti è accaduto? Il tuo odio per Putin ha accecato la ragione? Che cosa chiede l’ANPI? Quello che ogni persona di buon senso, in particolare chi fa professione di intellettuale, dovrebbe avere. Chiede di evitare di cadere una volta ancora nelle trappole della propaganda, chiede una commissione indipendente di inchiesta, come la stessa ONU, ridestatasi dal letargo, ha proposto, e come la Federazione Russa ha richiesto a sua volta. (Non del Tribunale dell’Aja, la cui attendibilità è del tutto dubbia). E allora? Era il caso di scatenarsi così platealmente contro l’ANPI? Aggiungo che già il titolo è assurdo e offensivo (Le Fosse Ardeatine!) e la richiesta di un nuovo Processo di Norimberga per i russi colpevoli! Dunque di nuovo il ricorso alla facile analogia storica che assimila Putin a Hitler, i russi non ai tedeschi, bensì ai nazisti. E tutto quello che stanno facendo e hanno fatto per un quindicennio gli ucraini, contro le popolazioni del Donbass, non dovrebbe essere preso in considerazione? E le torture e le violenze, stupri compresi, praticati ora, non nel 2014, dall’esercito ucraino e non solo dal Battaglione Azov, torture e violenze documentate, non vanno tenute in nessun conto? Ma come si può smarrire in tal modo il senso critico? Persino l’impaginazione con una foto del presidente ANPI, Gianfranco Pagliarulo, un po’ buffa, vorrebbe essere uno sberleffo volgare. E come non sottolineare che Flores nella sua violenta e sgangherata requisitoria si lasci andare a espressioni di un razzismo insopportabile? Ecco un esempio della sua prosa, degna di Giampaolo Pansa quando denigrava i partigiani: “Le “truppe ‘asiatiche’ di Putin”, i russi “macellai”, massacratori, violentatori, i quali “costretti a ripiegare perché respinti dalla resistenza eroica delle inferiori armi ucraine, sfogano sui civili inermi la loro bestiale frustrazione di “liberatori” mancati, la loro mostruosa rabbia di “trionfatori” sconfitti: trucidare vecchi, violentare donne prima di sterminarle, e l’orrore vieta di dire il destino di alcuni bambini”.

In calce pubblico l’intero articolo. E dico a Flores: Caro Paolo, certo, su “MicroMega” hai ospitato anche voci dissenzienti, ma questo tuo Editoriale per quanto mi riguarda è talmente orrendo, che mi sento obbligato a rompere ogni rapporto con la rivista, dopo 18 anni di collaborazione strettissima. Se questo è l’antifascismo, e non quello dell’ANPI, io sto con l’ANPI (o con la sua parte maggioritaria, che difende i valori della pace); se la tua è manifestazione di esercizio critico della ragione, io me ne dissocio. E ti dico che tu hai voltato le spalle a quella cultura del dubbio critico che mi ha insegnato il mio Maestro Bobbio.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/22796-angelo-d-orsi-quando-l-intellettuale-rinuncia-alla-ragione.html

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Nayirah, la finta infermiera libica

Lisa Stanton 8 04 2022

Nel 1990 Nayirah fu protagonista in un set che portò a Desert Storm, la 1^guerra del golfo. Intervenne live al Congresso Usa innanzi al quale, spacciandosi per un’infermiera kuwaitiana, raccontò di soldati iracheni che avevano fatto irruzione nell’ospedale e strappato 312 neonati dalle incubatrici lasciandoli morire a terra: piagnucolava come da copione e le maggiori testate giornalistiche e Tv le riservarono le prime pagine per giorni, col seguente risultato: prima solo il 14% degli americani era favorevole all’intervento, dopo il 41%, con punte oltre il 50%.

Al Senato la maggioranza non voleva la guerra ma dopo quella testimonianza, si rivotò e la situazione fu ribaltata: 52 voti a favore vs 47 contrari, con Nayirah citata nelle dichiarazioni di voto.

Quando si scoprì che era stata una messinscena architettata da Governo e CIA era troppo tardi: la storia millantata dalla ragazza, nipote dell’ambasciatore del Kuwait e ben addestrata dalla Hill&Knowlton, una grande agenzia di PR che lavorava anche per Hollywood, aveva fatto breccia nei cuori. I dubbi venivano zittiti con “evvabè, di sicuro stanno commettendo altri crimini di guerra laggiù”.

La Hill&Knowlton, finanziata dal Kuwait, lavorò per tutta la durata della guerra “come agenzia PR nella politica internazionale”. Venne assoldata 10 anni dopo da Bush jr e Blair per la seconda parte del set girato all’ONU contro l’Iraq: in questo caso l’attore protagonista fu il Segretario di Stato Colin Powell.

La Hill&Knowlton fu nuovamente ingaggiata nel 2011 dalla Clinton per giustificare l’intervento in Libia: si disse che Gheddafi avesse utilizzato lo stupro come metodo per combattere la rivoluzione colorata del paese e che lui stesso fosse colpevole di aver violentato alcune donne. L’8 giugno queste incriminazioni furono prodotte da Luis Moreno-Ocampo, procuratore capo alla Corte Penale Internazionale (CPI), che affermò: “Ci sono indicazioni che il dittatore libico Muammar Gheddafi abbia ordinato lo stupro di centinaia di donne nel corso dei violenti scontri con i ribelli e che ha addirittura fornito il Viagra ai suoi soldati per incrementare il potenziale per gli assalti.”

Stavolta l’agenzia di PR diffuse le storie degli stupri grazie a dottori che dichiararono ad Al Jazeera di aver curato le pazienti e trovato il Viagra e i preservativi nelle tasche dei soldati di Gheddafi morti. Ovviamente in 10 anni nessuna prova fu esibita e pure la testimonianza raccolta dalla Boldrini 2 anni dopo i fatti ritenuta inattendibile.

Dagli infanticidi alle armi chimiche sino allo stupro come arma di guerra.

Quello che vi fanno vedere a Bucha e Kramatorsk è il sequel: abbiamo le prove del coinvolgimento sul set di Servizi francesi, MI6 e DIpartimento di Stato USA, tutti pronti per una guerra atomica, ma non della Hill&Knowlton.

Domani chissà…

FONTE: https://www.facebook.com/lisa.stanton111/posts/5298003603551206

 

 

 

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Terrorismo e media, i filmati di al Qaeda erano made in Usa?

Gianluca Ferrara

Gianluca Ferrara

Senatore M5s, direttore di Dissensi Edizioni 7 ottobre 2016

Terrorismo e media, i filmati di al Qaeda erano made in Usa?

Nemmeno la mente più contorta avrebbe potuto ipotizzare che i famigerati filmati di al Qaeda potessero essere un prodotto del Pentagono. In realtà, se si studia bene la storia degli Stati Uniti, si evince che il casus belli di molti conflitti, come per esempio la seconda guerra mondiale, il Vietnam e quella all’Iraq, si basava su fandonie architettate per convincere l’opinione pubblica che era indispensabile mettere in moto l’ipertrofica macchina da guerra a stelle e strisce.

Dall’Iraq ci giunge l’ennesima menzogna dopo di quella sesquipedale sulle armi di distruzione di massa mai trovate; del resto le uniche possedute da Saddam Hussein gli erano state fornite proprio dagli Usa e che aveva usato a Halabia nel nord del paese contro i civili curdi.

Con il passare del tempo, anche gli ultimi pezzi del puzzle vanno al loro posto e si comprende il disegno di chi ha costruito la florida industria del terrore. Al Qaeda, l’Isis devono sostituire nell’immaginario collettivo il comunismo. Gli Usa, o meglio l’élite composta dagli strateghi che fissano la politica estera, non possono sopravvivere senza un nemico reale o fittizio che sia.

Il Bureau of Investigative Journalism in un documento ha rilevato che diversi filmati di al Qaeda erano un prodotto statunitense. A spiegarlo è direttamente Martin Wells, un video editor che ha girato i filmati. Weels dopo esser stato assunto da una società di pubbliche relazioni britanniche, la Bell Pottinger, fu condotto negli scenari di guerra iracheni.

Come spiegato direttamente dall’autore: “Producevamo finti filmati di propaganda di al Qaeda, secondo regole e tecniche precise; dovevano durare dieci minuti ed essere registrati su dei cd, che poi i marines lasciavano sul posto durante i loro raid, ad esempio durante un’incursione nelle case di persone sospettate di terrorismo. L’obiettivo era di disseminare questi video in più località, possibilmente lontano dal teatro di guerra, perché scoprire filmati di quel genere in località insospettabili, avrebbe aumentato il clamore e l’interesse mediatico“.

Ai popoli, tramite l’apparato mediatico vengono raccontate versioni atte a giustificare nuovi conflitti come se fossero degli assiomi. Si pensi alla Siria e alle bugie sul gas sarin che i media di mezzo mondo avevano sostenuto che il presidente Bashar al-Assad avesse usato contro i civili. L’Opcw, cioè l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, attribuì tale criminale utilizzo a quell’arcipelago di oppositori del presidente siriano sostenuti da Usa e petro-monarchie. In Siria, non potendo intervenire direttamente, si è innescata una violentissima guerra che perdura ancora, perché la Russia di Putin non intende perdere un Paese alleato strategicamente fondamentale.

Dopo gli anni ’80 e la concentrazione destabilizzatrice attuata in America Latina, è il turno del Medio Oriente. Area geografica fondamentale per i giacimenti di petrolio. L’inizio della saga dei Bush contro Saddam scaturì da un insieme di menzogne. La più celebre fu raccontata da una ragazzina kuwaitiana di 15 anni, chiamata Nayirah che sostenne: “Mentre ero lì, ho visto i soldati iracheni entrare nell’ospedale con i fucili e dirigersi nelle camere dove si trovavano i bambini nelle incubatrici. Hanno tolto i bambini, hanno portato via le incubatrici e li hanno lasciati morire sul pavimento gelido”.

https://youtu.be/LmfVs3WaE9Y – My name is Navirah

VIDEO QUI: https://youtu.be/LmfVs3WaE9Y

Nayirah continuò affermando che questo era accaduto a “centinaia” di bambini. Una storia che fu raccontata senza soluzione di continuità dal coro mediatico, persino il presidente Bush la riprese in una delle sue solite dichiarazione atte a mostrare la mostruosità di Saddam. Nayirah, in realtà, era figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington e la storia dei bambini lasciati morire sul “freddo gelido pavimento dell’ospedale”, una colossale finzione creata ad arte per poterla far replicare dai mass media e giustificare nell’opinione pubblica l’ennesima guerra.

Nayirah fu preparata a interpretare la sua fallace parte da un’importante società di pubbliche relazioni di Washington, la Hill Knowlton.

Per quanto ancora la maggioranza degli organi di “informazione” di massa continueranno a essere complici di queste potenti élite che innescano guerre le cui spese le pagano solo i popoli?

FONTE: https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/07/terrorismo-e-media-i-filmati-di-al-qaeda-erano-made-in-usa/3079184/

 

 

 

Dall’antrace in Iraq ai cani soldato abbandonati: tutte le fake news di guerra

Le presunte prove dell’antrace in Iraq sventolate da Colin Powell, i cani soldato abbandonati in Afghanistan dagli Usa, i cecchini in Siria e il cormorano soffocato dal petrolio. Le notizie false sulla guerra che hanno giustificato o cambiato la percezione dei conflitti.

Dalle fiale con l'antrace che giustificarono la guerra in Iraq ai cani soldato abbandonati in Afghanistan: tutte le fake news di guerra

False informazioni, circolate nel tempo per ragioni di propaganda. È storia antica, la base di ogni guerra. Nessuna esclusa. Attorno all’assordante rumore delle bombe, in mezzo a città devastate, si sviluppano spesso notizie costruite ad arte. Non lo è, purtroppo, il massacro di Bucha, nonostante il tentativo russo di bollarlo come «messinscena», che è valsa al Cremlino da più parti accuse di negazionismo. Ma dall’Ucraina sono già arrivate diverse notizie poi smentite. Una su tutte quella dei soldati sull’isola dei Serpenti, dati per morti dopo aver mandato al diavolo i russi. Giorni dopo si sarebbe saputo che erano stati invece fatti prigionieri, rilasciati in uno scambio di detenuti con i militari di Mosca.

Colin Powell e la fialetta di antrace sbandierata davanti alle Nazioni Unite

Ma la più grande fake news bellica, almeno nella storia recente, resta quella delle ipotetiche armi chimiche nelle mani di Saddam Hussein. Era la prova regina per giustificare l’attacco degli Stati Uniti al regime di Baghdad e innescare la seconda guerra del Golfo. Una costruzione narrativa totalmente inventata: una assoluta fabbrica di falsificazione di informazioni, spinta dai media internazionali. A distanza di ormai venti anni dall’invasione dell’Iraq, non è mai stata trovata una sola arma chimica. Nel frattempo l’ex rais è stato giustiziato e il Paese deve ancora completare il percorso verso l’agognata transizione democratica. La scena impressa nella memoria collettiva, emblema della fake news, è quella dell’allora segretario di Stato, Colin Powell, che agitava, nel febbraio 2003, una fialetta di antrace davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il capo della diplomazia di Washington sosteneva che l’Iraq avrebbe potuto produrre 25mila litri di antrace, diventando una minaccia per l’Occidente. I fatti hanno dimostrato altro e la falsa notizia ha messo a dura prova la credibilità degli Usa. E sempre all’Iraq è legata un’altra immagine storica, rivelatasi un falso: la fotografia del cormorano agonizzante in un mare di petrolio. Era il 1991, Saddam Hussein aveva occupato il Kuwait e aperto i terminal petroliferi. Quello scatto raccontava, tra le altre cose, come avesse provocato un disastro naturale, che uccideva ogni forma di vita. Nel tempo è emerso che la foto era stata scattata altrove, in un altro momento.

Il bambino che fugge dai cecchini, fake news anche dalla guerra in Siria

Altri casi sono meno ricordati, ma restano altrettanto eclatanti. Basti pensare alla guerra in Siria. Nel 2014 divenne virale il video in cui un bambino sfuggiva agli spari di un gruppo di cecchini che a ogni colpo urlavano Allah akbar, con lo scopo di salvare un’altra bimba nascosta dietro la carcassa di un’automobile. La scena, ripresa con immagini sgranate e instabili simili a quello di uno smartphone, fu vista da milioni di persone sul web. Si scoprì che era un falso a tutto tondo: si trattava di un filmato realizzato a Malta, nell’ambito di un progetto cinematografico, dal regista norvegese Lars Klevberg, sui minori e la guerra. Il video, tuttavia, era entrato nell’immaginario collettivo, alimentando il mito della crudeltà di jihadisti che miravano deliberatamente un bambino.

Il dubbio sull’effettivo rapimento del premier libico Al-Serraj

Ci sono altre fake, meno drammatiche e più diplomatiche. Ad esempio, qualche anno dopo, nel 2020, durante la crisi in Libia, si era diffusa la notizia del rapimento dell’allora premier al-Serraj da parte di non meglio identificate milizie. Dopo un breve giallo, ci fu la smentita in un clima di dubbio sul fatto che ci fosse stato un vero sequestro e una successiva liberazione oppure fosse una semplice bufala, fatta circolare ad arte per destabilizzare ancora di più il Paese. E aumentare il livello dello scontro con la fazione del generale Khalifa Haftar. La propaganda bellica non è quindi solo appannaggio occidentale. Anzi.

Dall’uccisione dei militari Usa ai cani soldato abbandonati: le fake news dall’Afghanistan

In Afghanistan, nel 2018, i talebani – in guerra contro il governo di Kabul – annunciarono l’uccisione di 16 militari statunitensi in un attacco nel distretto di Nangarhar. In quel caso fu raccontata, in maniera capillare, la dinamica dell’assalto. Che, però, non c’era mai stata: si era verificata una sparatoria, ma in un’altra area del Paese, in cui fu solo ferito un militare a stelle e strisce. Meno drammatica, ma pur sempre una bufala di guerra, è quella sui “cani soldato” abbandonati dagli Usa in Afghanistan: i militari avrebbero lasciato gli animali nelle gabbie e nelle mani dei talebani. Una versione che il Pentagono è stato costretto a smentire: «Contrariamente a informazioni inesatte, l’esercito americano non ha lasciato cani in gabbia all’aeroporto internazionale Hamid Karzai, e in particolare nessun cane militare». A dimostrazione che l’arma delle fake news non risparmia nessuno. Nemmeno gli animali.

FONTE: https://www.tag43.it/fake-news-cani-abbandonati-colon-powell-iraq-siria-guerra-ucraina-notizie-false-quali-sono/

 

 

 

“I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico”

Francesco Santoianni intervista Benedetta Piola Caselli

720x410c50njiu9fgUcraina: basta con il giornalismo di guerra ridotto a mera propaganda! È il sorprendente appello di dodici corrispondenti di guerra italiani (tutti provenienti da media mainstream) pure loro verosimilmente inorriditi dai reportages di tanti giornalisti italiani diventati meri cantori della narrativa atlantista.

Tra i pochi che sono sfuggiti a questo destino, Benedetta Piola Caselli, avvocato di Roma che, con le credenziali di un quotidiano nazionale, si è recata due volte in Ucraina realizzando video-reportages tutti pubblicati sul suo profilo Facebook. Video da vedere assolutamente anche perché costituiscono uno dei rari esempi di giornalismo teso a capire, dietro la propaganda, cosa sta veramente succedendo. L’abbiamo intervistata.

“La situazione che ho trovato è stata totalmente diversa da quella che credevo di trovare, e che avevo immaginato guardando la televisione e leggendo i giornali. Innanzitutto, io avevo capito che gli ucraini fossero tutti impegnati in guerra. In realtà, anche se tutti gli uomini fra il 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese, solo l’esercito professionale e i volontari stanno combattendo, mentre gli altri sono ancora coinvolti nella gestione normale del paese.

Nessuna coscrizione obbligatoria è ancora in atto, perché la legge prevede quattro livelli di mobilitazione (esercito, riserva, carcerati, mobilitazione generale) e siamo ancora al livello 1.

Oltre a questo, salvo che sulle linee del fronte, la vita continua normalmente con le due eccezioni del coprifuoco e delle sirene antiaeree, che suonano continuamente.

I corrispondenti spesso confondono le sirene con i raid, ma sono cose molto diverse. Per esempio, a Leopoli dal 26 febbraio ad oggi gli allarmi antiaerei sono suonati 74 volte, ma i raid sono stati 3 e tutti su obiettivi militari.

C’è da chiedersi perché le fanno suonare così tanto in assenza di pericolo, e se non sia una strategia per mantenere alta la tensione, peraltro con conseguenze pericolose: ho filmato come la gente non ci creda più e continui normalmente la sua vita, senza ripararsi.

Il giorno che ce ne fosse bisogno davvero, sarebbe una strage”.

* * * *

Ma come si vive a Leopoli?

Normalmente: si paga con il bancomat, i negozi sono pieni, tutti i servizi funzionano, la gente è per le strade e nelle piazze… Ho girato vari video sulla vita di Leopoli, che pure era descritta come una città in guerra. E’ vero però che c’è una situazione come di attesa, ci si aspetta sempre che gli eventi possano precipitare.

 

Cosa puoi dirci sulla libertà di stampa ed espressione del pensiero?

L’Ucraina è un paese in guerra e quindi, chiaramente, non c’è. Ad esempio, c’è un solo canale televisivo attivo, e io non riuscivo a collegarmi con nessuna agenzia russa per controllare anche la versione “nemica” degli avvenimenti. Detto questo, i media occidentali sono più realisti del re, perché non solo prendono per oro colato la propaganda bellica anche quando è palesemente ridicola, ma addirittura la superano. L’esempio delle storie delle mamme con il cuore spezzato per i figli diciottenni al fronte è una balla tutta italiana, perché gli ucraini sanno benissimo che stanno combattendo sono soldati professionisti e volontari; oppure la scemenza della nonnina che ammazza otto russi con la torta allo zinco, che era una traduzione sbagliata; o quella del volontario senza gambe…si potrebbe continuare per chissà quanto. Anche le coreografie con giubbetti antiproiettile, elmetti, sacchetti di sabbia e cavalli di frisia da zone tranquillissime, sono una buffonata tutta straniera, e non passerebbe mai fra gli ucraini che sanno benissimo dove si combatte e dove no. Ho scattato varie foto di reporter agghindati di tutto punto che descrivevano la “zona di guerra”, mentre erano di fronte a me che prendevo caffè e torta di fragole seduta al bar, con i ragazzini che mi giocavano a pallone a dieci metri.

 

Che atteggiamento hanno gli ucraini verso i giornalisti?

Gli ucraini hanno chiaro che questa guerra si gioca anche sull’informazione. I media internazionali sono benvenuti ed organizzati – una delle caratteristiche che ho scoperto degli ucraini è di essere grandi organizzatori.A Leopoli, dove si concentrano i giornalisti internazionali, c’è un media-centre efficientissimo dove si può lavorare, mangiare, trovare servizi ed assistenza. Lì vengono organizzate quasi quotidianamente le conferenze dei politici o dei militari sui temi del giorno. Ovviamente c’è un codice da rispettare quando si descrive la guerra, ma credo che sia normale che gli ucraini ne chiedono il rispetto: siamo ospiti e, come ospiti, ci si aspetta una narrazione amica. Quando le notizie non ci sono, si cerca collettivamente di raschiare il barile, per esempio segnalandosi l’un l’altro su una chat apposita quando arriva un “carico” di profughi. I “carichi” sono molto attesi. Siccome tutti i giornalisti più o meno tutti facevano le stesse cose – profughi, funerali di soldati, campi di addestramento per i volontari, io ho cercato di fare qualcosa di diverso.

 

E cioè? 

Cioè sono stata fra la gente, mi interessava davvero capire come viveva e come si organizzava. Mi sono fermata a dare una mano in un centro che prepara reti militari per la resistenza, cercando di ascoltare che cosa avevano da raccontare le persone lì presenti. Quasi tutti quelli che venivano dal Donbass, per esempio, mi dicevano che prima del 2014 il problema della discriminazione russa/ucraina non c’era, e che la ritenevano creata ad arte. Erano persone di lingua e cultura russa, che si sentivano perfettamente ucraine e che non giustificavano in nessun modo l’invasione sovietica.  So che c’è anche un’altra visione, ma il punto interessante è proprio questo: poterle raccontare tutte e due per mostrare il mondo nella sua complessità. Mi interessava anche capire cosa portasse gli stranieri a combattere per l’Ucraina, e così sono riuscita ad intervistare uno degli organizzatori della legione straniera, oltre che due foreign fighters venuti da Hong Kong a combattere per un debito di onore, e a un marine britannico che metteva in guardia dagli improvvisati della guerra… Secondo lui, molti degli incidenti della prima parte del conflitto attribuiti ai russi – e che i russi ribattevano essere colpa degli ucraini –  erano banalmente dovuti all’ imperizia dei volontari non pratici nell’uso delle armi. E poi tante donne, ognuna con la sua storia.

 

Ma tornando ai profughi, cosa hai visto?

E’ chiaro che quando c’è un conflitto la gente scappa, e sicuramente ne è scappata tanta. Dover lasciare la propria casa e la propria vita è una tragedia che non può essere raccontata con superficialità. Detto questo, mi sembrano totalmente inverosimili i numeri dati dall’ONU, che parlano di 4 milioni di rifugiati – i media a volte hanno detto anche 10. Gli ucraini sono 44 milioni: questo significherebbe che un ucraino su 10 (o addirittura 1 su quattro!) avrebbe lasciato il paese, allontanandosi anche da quelle parti che sono in sicurezza.

Non è così. Per esempio, quasi nessuno è partito da Leopoli, che ha invece accolto un numero importante di profughi, ufficialmente 200.000, senza che questo però abbia alterato la struttura e la vita della città. Io ho potuto filmare due frontiere. La prima volta è stato il 6/3 in due momenti diversi della giornata: dalle 7.30 del mattino alle 11 e dalle 18.30 della sera alle 22. Alle 7.30 passavano in Romania pochissime persone, il confine era praticamente deserto. La gente ha cominciato ad arrivare verso le 10-1030. Questo però vuol dire che era gente che si allontanava, ma non scappava, perché altrimenti avrebbe assediato il confine a tutte le ore del giorno e della notte. A sera si era effettivamente formata una fila lunghissima di macchine, e c’era un centinaio di persone che aspettava al freddo di passare a piedi. Questo da parte ucraina.

Da parte rumena continuava a non esserci pochissima gente, segno che le file si formavano per le lungaggini dei controlli e delle registrazioni  (durano effettivamente varie ore) e non perché il numero di persone era enorme. Certo, se uno inquadra solo la fila chilometrica di macchine e non si pone delle domande, per forza dà l’idea di una popolazione in fuga… Voglio precisare anche che, quando sono passata io, secondo i dati ONU erano passate da quello stesso valico oltre 80.000 persone, vale a dire 66.600 al giorno, 277 per ora sulle 24 ore. Solo nel giorno in cui ero io lì non passavano? Perché poi il numero ha continuato ad aumentare.

Sono poi passata per la frontiera in direzione Polonia partendo da Leopoli. L’ho attraversata il 25/3 e ho filmato il vuoto. Non c’era quasi nessuno. Eppure, secondo l’ONU, dalla frontiera polacca erano passati già 2 milioni e mezzo di persone, cioè 83.330 al giorno, 3.475 all’ora. I valichi sono tre: dividete per tre. Questi dati sono impossibili proprio da un punto di vista logico, prima ancora che esperenziale.

 

Si direbbe, quindi, che i profughi non ci siano…

Non ho detto questo. Ci sono e sono tanti, solo con numeri molto inferiori a quelli ufficiali. Ho filmato anche la stazione di Prémyzl (la prima in Polonia uscendo dall’Ucraina) e le 7 troupe televisive che erano con me. Si vede che filmavamo cose diverse, perché loro trasmettevano folle oceaniche, io un numero alto, ma gestibile, di persone: bastava allargare il campo. Ho anche filmato le stazioni di Leopoli quelle che, secondo la vulgata, sono prese d’assalto, e anche la stazione dei pullman. Tanta gente, ma non ingestibile.  Dipende tutto da cosa si inquadra. Non sottovaluto certo la gravità della situazione, ma ho l’impressione che l’esagerazione propagata dai media e dalle autorità serva per creare l’emergenza profughi.

 

Ti aspettavi questa situazione?

Assolutamente no! La prima volta che sono entrata in Ucraina ero con un convoglio di 10 tir e 4 pullman aiuti umanitari organizzato dal Vescovo della Chiesa Ortodossa di Milano, Mons. Don Ioan Bica Avondius.  Scaricati gli aiuti, la colonna di automezzi sarebbe servita per portare fuori dall’Ucraina i profughi: ne abbiamo portati nove. La ragione è presto detta: la gente in fuga non era molta, e dall’Ucraina si entra e si esce comodamente con pullman e treni e, in quel momento, molti erano anche gratuiti. Ma c’è una cosa ancora più importante. Il 12 marzo, quando sono rientrata in Ucraina col treno, ho filmato  famiglie ucraine, donne e anziani con i loro bambini, che tornavano a casa. Viaggiavano insieme a me!

Oggi ne parlano anche i media, ma tre settimane fa nessuno ha voluto pubblicare la notizia, sembrava un sacrilegio. Ora le stesse autorità militari a Leopoli hanno affermato che sarebbero rientrate 500.000 persone: anche questo dato mi sembra esagerato, però è vero che la gente rientra. I media italiani, dovendo alla fine dare una giustificazione a questo fenomeno, che smentisce da solo tutto quello che raccontano, hanno detto che si tratta di donne coraggiose che tornano per sostenere i loro uomini al fronte. Assurdità! Se così fosse, non tornerebbero con gli anziani e con i bambini.  La verità è che tornano perché hanno capito che il conflitto sarà lento e, avendo valutato tutte le opportunità, ritengono sufficientemente sicuro per sé e per la propria famiglia di tornare in patria.

 

E questo dovunque?

La situazione completamente diversa dove realmente ci sono i combattimenti. Ma qui i “giornalisti” di cui sopra non ci sono. Ci sono, invece alcuni free lance (i primi nomi che mi vengono in mente sono: Vittorio Rangeloni, Maurizio Vezzosi, Giorgio Bianchi). Loro portano avanti una versione molto diversa, che i nostri media non hanno affatto considerato e che mostra una realtà molto meno dicotomica: per esempio, hanno dimostrato che i soldati ucraini avevano postazioni nelle case civili poi bombardate; hanno smontato la storia delle “deportazioni” dei cittadini di Mariupol verso la Russia, mostrando che erano evacuazioni ben accette; hanno intervistato alcuni cittadini che raccontavano di come il Battaglione Azov si fosse fatto scudo con i civili; dimostrato che la blogger non era affatto stata rapita; o fotografato la donna sul cui cadavere è stata incisa una svastica, eccetera.  E’ un contraltare importante dell’informazione mainstream, così curiosamente omogenea, ed è allucinante che, in democrazia, non sia ascoltata e discussa, e loro siano addirittura censurati dai social.

Intanto l’informazione ufficiale diffonde solo cadaveri, bambini in lacrime o roba zuccherosa come la “spontanea manifestazione dei passeggini” svoltasi davanti al Media Centre di Leopoli per “ricordare le piccole vittime di guerra”.  Io c’ero, e l’ho vista con i miei occhi, quella manifestazione: organizzata sin nei minimi dettagli, altro che spontanea, e senza la presenza di cittadini. Il significato era chiaro, ed era messo nero su bianco sui cartelli, che ho fotografato: serviva a chiedere la NO FLY ZONE. Solo che questo, almeno in quel momento, non piaceva, e quindi questa parte è stata censurata.

 

Cosa ne pensi della tragedia di Bucha?

Penso che sia una tragedia, come tutto quello che è portato dalla guerra. Ma penso anche che molti punti siano da chiarire, e che sarebbe molto sbagliato farci travolgere dall’emozione senza avere accertato i fatti. L’esperienza ci ha insegnato che, quando si decide per un’escalation della violenza, la popolazione va preparata raccontando episodi che ripugnano alle coscienze. Credo che dobbiamo fare tesoro di questa esperienza e non farci coinvolgere in nessuna narrazione che giustifichi la guerra. C’è qualcosa di strano, di troppo omogeneo, nella comunicazione mainstream, e di troppo violento contro chi cerca di analizzare i fatti senza avere atteggiamenti fideistici.  A Bucha quel che è fatto è fatto, e una commissione indipendente accerterà i fatti quando sarà possibile. Per il momento, mi sembra prudente praticare il dubbio metodico e rimanere saldi nella convinzione che l’Italia non debba entrare in questo conflitto se non con l’aiuto alla popolazione civile.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/europa/22794-benedetta-piola-caselli-i-dati-sui-profughi-ucraini-sono-impossibili-da-un-punto-di-vista-logico.html

 

 

Guerre economiche, energetiche e disinformative

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Il contesto Europeo attuale e la crisi russo-ucraina. L’incontro promosso da ISPG

Guerre economiche, energetiche ma anche d’informazione. È questo il complesso scenario che la società occidentale sta affrontando quasi senza rendersene conto. Uno scenario amplificato ma reso ancor più indecifrabile dall’attuale guerra in corso in Ucraina. Guerra che vede come principale protagonista non solo l’uso della coercizione attraverso le armi leggere, tanks e gli obici ma anche, e soprattutto, attraverso l’uso delle informazioni e della propaganda volte ad influenzare e persuadere i cittadini, pubblico televisivo sottoposto a costante bombardamento informativo e emotivo, specialmente quello occidentale.

L’istituto Studi Politici Giorgio Galli (www.istitutostudipolitici.it) sta organizzato degli incontri molto interessanti in videoconferenza: l’ultimo si è svolto il 21 marzo. Sono intervenuti ospiti di grande preparazione e cultura: l’ambasciatore Sergio Vento, il giornalista e saggista Giovanni Fasanella, il prof. Mario Caligiuri (direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria), il prof. Aldo Ferrara, l’ing. Fabrizio Gonni e il generale di brigata Mauro Arnò, con il prof. Vinicio Serino nelle vesti di moderatore.

L’Ambasciatore Vento ha ricordato che i francesi, a suo tempo, hanno creato perfino una Scuola di geopolitica e di Guerra economica. Dopo di che ha tracciato un quadro storico, arrivando alla conclusione che oggi la parte politico-diplomatica è ancora molto sotto traccia, quasi di facciata, poco concreta da entrambe le parti. Le “derivate” di questo conflitto rischiano di essere pesanti, come la cosiddetta guerra del Gas, inasprita da un sistema di sanzioni non disciplinate dall’ONU, ma dai singoli Stati, che rappresenta un passo indietro nel sistema delle relazioni diplomatiche.

Giovanni Fasanella e la voluta povertà energetica dell’Italia

Parlando di energia, Giovanni Fasanella ha ripercorso l’attuale crisi energetica in cui versa l’Italia identificandone le cause remote che vanno ben oltre le attuali problematiche legate al conflitto ucraino: “…il 40 % del gas importato in Italia” dice Fasanella “proviene dalla Russia. Ma l’Italia avrebbe tutte le carte il regola per svincolarsi da questa dipendenza e sviluppare una propria politica energetica indipendente, specialmente per quanto riguarda il petrolio e il gas”.

Vi sarebbero infatti grossi giacimenti nel sud Italia, di cui solo due sono attivi (uno in mano all’ENI e l’altro ai francesi della TOTAL), che vanno dalla Basilicata fino al parco d’Abruzzo, del Pollino, poi verso la costa Ionico-Adriatica fino al canale di Messina.

Siamo molto ricchi ma non sappiamo sfruttare la nostra ricchezza” ha dichiarato Fasanella portando i dati di un’inchiesta che aveva fatto qualche anno fa per Panorama, quando aveva intervistato i tecnici che stavano lavorando sul posto.

Ha poi illustrato le fasi salienti della politica energetica italiana dalla fine del secondo conflitto mondiale fino ad oggi, specificando che vi è sempre stata una forte opposizione a tale politica indipendente dell’Italia da parte della Gran Bretagna e della Francia, con effetti chiaramente intuibili ancora oggi. Emblematico è infatti lo scontro diplomatico avvenuto nel 1967 tra il Ministro degli Esteri Inglese Brown e il governo di Aldo Moro sull’acquisizione dei giacimenti di petrolio in Iraq. Fanfani, all’epoca Ministro degli Esteri Italiano ebbe uno scontro durissimo con il suo omologo inglese.

L’intervento del prof. Caligiuri

L’intervento di Mario Caligiuri, esperto di intelligence, si è focalizzato sulla guerra informativa e la disinformazione ricordando che “durante le guerre la prima vittima è la Verità” avvertendo che tutti i sistemi mediatici amplificano “la voce del padrone”. Ha descritto gli elementi che caratterizzano la guerra informativa, con particolare riferimento a quello che stiamo osservando attraverso i nostri mezzi di comunicazione sulla guerra ucraina.

Sui social” avverte il professore “sta avvenendo la privatizzazione della politica. Nei social media infatti, sono le Big Tech che impongono le loro regole. Così viene consacrato il trionfo del politicamente corretto”.

In questo modo non vi è più la presenza di un’informazione pluralistica, bensì pilotata e modellata su idee, valori che ci vengono imposti. Caligiuri ha fatto degli esempi: il riferimento è alle polemiche sulla recente russofobia di alcuni settori della società italiana e occidentale, ricordando che “bandire le parole non è mai un bene. Ogni volta che si levano le parole ad una lingua si levano le fondamenta della nostra storia”.

In generale ha osservato che le democrazie occidentali non sembrano più in grado di produrre delle élite efficienti adeguate alle attuali sfide della politica internazionale.

La conclusione del professore sull’attuale e terribile guerra in corso in Ucraina è emblematica: “L’occidente sta vincendo la guerra dell’informazione. Putin sta vincendo la guerra sul campo”.

Il gen. Arnò ha evidenziato le forze in campo, rilevando che il corpo di intervento russo è relativamente modesto (130-150mila uomini) rispetto allo scopo di invasione e controllo dell’Ucraina, per cui la soluzione militare appare in stallo. Solo quella diplomatica può essere risolutiva.

L’ing. Gonni ha messo in rilievo i dati economici che sono sorprendenti: il PIL della Russia è inferiore a quello dell’Italia e il PIL dell’Ucraina è pari a quello del Veneto, con la differenza che il reddito medio annuo è di poco superiore a 3mila dollari mentre per un veneto è dieci volte tanto. In sostanza, come tutti sanno, litigare costa caro, qui non ci sono le basi minime per affrontare i costi di un conflitto militare di tale portata, nei mesi scorsi ampiamente preannunciato ed evitabile. In definitiva l’Ucraina non disporrebbe dei mezzi economici per affrontare un tale colossale riarmo ne di lanciare una sfida, come ha fatto sul Donbass. La sua economia è povera rispetto alla UE e alla Russia. Però ora dispone di enormi quantità di armi e mezzi militari che, forse, non sarà mai in grado di ripagare.

FONTE: https://www.civica.one/guerre-economiche-energetiche-e-disinformative/

 

 

 

ECONOMIA

CI VORREBBE UNA NORIMBERGA FISCALE

Antonio Pitoni 8 04 2022

 

Secondo il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, «il magazzino dei crediti non riscossi attualmente ha sfondato il tetto dei 1.100 miliardi di euro». Una situazione unica al mondo. Non solo perché, come rileva ancora Ruffini, «nessun Paese Occidentale tiene un magazzino di 22 anni di crediti non riscossi», «in continuo aumento» e di fatto «ingestibile». Ma anche perché, ha aggiunto, «è dal 2015 che il Parlamento è informato». Da allora «si sono fatti dei tentativi con la rottamazione, il saldo e stralcio e altri istituti similari», che evidentemente non hanno portato, com’era peraltro prevedibile visti i precedenti, ai risultati sperati. In compenso, stando all’ultimo aggiornamento, il debito pubblico italiano ha raggiunto i 2.678 miliardi. E se la matematica non è un’opinione, senza quei 1.100 miliardi di crediti fiscali non riscossi – per essere chiari, i 1.100 miliardi di tasse non pagate – il fardello che oggi grava sui nostri conti pubblici, e che ci costringe a subire periodicamente Manovre finanziarie lacrime e sangue, sarebbe quasi dimezzato. Uno scandalo alla luce del sole, in un Paese in cui, solo nel 2020 un italiano su due non ha versato neppure un euro di Irpef. Tradotto: il 50% della popolazione mantiene l’altra metà, che accede alla Sanità, ai trasporti, all’istruzione e a tutti gli altri servizi pubblici praticamente a scrocco. Una situazione aggravata dalla sfilza infinita di condoni, scudi fiscali e rottamazioni varie che negli anni, stando ai numeri dell’Agenzia delle entrate, non hanno fatto che trasformare il buco in una voragine. Di fronte alla quale la classe politica, per decenni, si è voltata dall’altra parte. Intervenendo a più riprese con provvedimenti che hanno favorito sistematicamente gli evasori fiscali. Con dolo nella peggiore delle ipotesi, con colpa grave nella migliore. Ed è forse arrivato il momento, certificato il danno (i 1.100 miliardi di cui sopra), di accertare anche le responsabilità. Con una bella Norimberga per crimini fiscali contro quella metà di cittadini italiani che, onestamente, mantengono lo Stato.

FONTE: https://www.facebook.com/antonio.pitoni.54/posts/1157815928326089

 

 

Inflazione e recessione: i regali della guerra all’economia

.economia di guerra

Non sarà breve, né facile, né senza conseguenze, per cui bisogna esserci preparati. Anche se non ce lo dicono, siamo nel pieno di un’economia di guerra; vediamo quali sono le caratteristiche di una tale situazione.

È vero che, almeno per ora, le vicende belliche non ci coinvolgono direttamente come partecipanti al conflitto: dopo la seconda guerra mondiale, questo è accaduto solo con la guerra del Kosovo negli anni ‘90, quando capo del governo era Massimo D’Alema. Tuttavia, viviamo in un mondo fortemente globalizzato, in mercati tendenzialmente aperti e soprattutto siamo stabilmente inseriti nel contesto dell’Unione Europea, la quale – anche se ancora non l’ha fatto – dovrà necessariamente farsi carico della soluzione del conflitto, della gestione dei flussi di profughi e, in seguito, degli sforzi di ricostruzione.

Inoltre, una serie di eventi nella direzione dell’economia di guerra era già in corso sia in seguito alla pandemia da coronavirus, sia per cause endogene, più o meno congiunturali. Come dire: piove sul bagnato.

Si tratta, in ordine di importanza, di inflazione, rischio di recessione e difficoltà di approvvigionamento di materie prime e semilavorati. I tre fattori sono naturalmente interconnessi, ma in tempo di guerra assumono andamenti del tutto particolari. Ad esempio, inflazione e recessione in genere hanno una correlazione inversa, nel senso che l’alta inflazione normalmente si accompagna a un buon ritmo di sviluppo dei sistemi economici e, anzi, è proprio questo surriscaldamento – che produce eccesso di domanda – a moltiplicare e accelerare l’inflazione stessa.

tiro alla fune

In questa fase, invece, il rischio effettivo è quello della stagflazione, un anomalo e molto pericoloso connubio fra prezzi alti e sistemi produttivi in affanno. A maggior ragione se uno dei paesi belligeranti, in questo caso la Russia, è anche grande esportatore di materie prime, in particolare quelle energetiche. Ciò comporta, almeno in una prima fase che è quella in cui ci troviamo, che gas e petrolio aumentano di prezzo, sono difficili da reperire e la loro carenza rischia di mettere in difficoltà molti produttori e obbliga tutti i paesi a rivedere in senso negativo le stime del PIL.

Viene quasi da sorridere pensando che solo qualche mese fa eminenti economisti e uffici studi ci volevano far credere che l’inflazione fosse transitoria, che il suo picco fosse già stato raggiunto e che fossimo al 5%. In realtà gli Stati Uniti hanno un livello ormai conclamato del 7,5%, mentre in Europa il 5% è palesemente sottostimato.

Chiunque viva nel mondo reale, e non nei salotti ovattati dell’informazione di regime (molto attiva, peraltro, anche sul fronte del virus e della guerra), avverte con chiarezza che già oggi siamo ben oltre il 10%, con picchi – nel comparto energetico – di circa il 100%. E la guerra non è ancora entrata nella sua fase più violenta, anche se bisogna dire che in economia molto accade in virtù delle aspettative, che influenzano i comportamenti.

.scacchi

In una fase come questa, i due principali protagonisti della politica economica (Governo e banche centrali) hanno obiettivi contrastanti e dispongono di strumenti che per fronteggiare uno dei punti critici sul tavolo provocano conseguenze negative per gli altri aspetti.

L’inflazione è un problema, un grosso problema, per le banche centrali e per i risparmiatori; la recessione colpisce i lavoratori, le imprese e preoccupa quindi molti Governi. Nel primo caso gli strumenti impiegati da Fed, BCE e colleghi sono soprattutto l’aumento dei tassi di interesse e la riduzione della liquidità; nel secondo caso i Governi possono manovrare la spesa pubblica e il deficit di bilancio. Come si vede, gli strumenti disponibili nel primo campo di gara sono tali da frenare lo sviluppo e indurre recessione e disoccupazione; gli strumenti del secondo campo sono invece fomentatori di inflazione.

La carenza di approvvigionamenti e disponibilità di materie prime è invece un aspetto che danneggia tutti quanti ma – ahimè – nessuno ha strumenti idonei in grado di porvi rimedio, se non nel lungo o lunghissimo periodo. Trovare materie prime alternative o nuovi mercati richiede tempo, fatica e risorse; costruire o rafforzare un settore economico di semiconduttori idem.

Detta così, sembra una mission impossible e, forse, lo è davvero. In passato tutte le guerre hanno prodotto grande inflazione, necessità di ricostruire e quindi domanda sostenuta. Grazie a questo, le banche centrali potevano attuare senza particolari patemi le necessarie politiche monetarie di contenimento, dopo che il valore reale del debito pubblico – cresciuto a dismisura per finanziare la guerra – era stato ampiamente ridimensionato. In alcuni casi la crisi provocata dalla grande inflazione ha portato disastri planetari come il diffondersi dell’ideologia nazista nella Repubblica di Weimar al termine della grande guerra 1915-18; in altri invece si sono avuti lunghi periodi di sviluppo e di benessere, come nel caso del miracolo economico in Italia.

Cosa succederà questa volta è difficile da prevedere. Certo è che con l’inflazione dovremo convivere per un bel po’ e che il drenaggio di liquidità già avviato dalle banche centrali (il cosiddetto quantitative tightening) ridurrà le risorse finanziarie in circolazione nel sistema che fino ad ora erano affluite copiose sui mercati finanziari.

.inflazione

Per gli investitori comincerà un periodo difficile: il valore reale dei patrimoni finanziari tenderà a diminuire, i mercati borsistici – che in verità hanno retto più che dignitosamente ai rumori della guerra – sono destinati a soffrire, dopo gli exploit degli ultimi due anni. Il costo del credito tenderà ad aumentare e, d’altra parte, mantenere il denaro in forma liquida sarà sempre più azzardato e costoso.

È quindi tempo di rivedere le strategie di investimento e di porre particolare attenzione alla prudenza. L’investimento in azioni sarà sempre il motore del portafoglio, ma occorre scegliere con molta cautela i titoli su cui investire e magari pensare a qualche strumento di protezione, attraverso derivati o opzioni. Per l’obbligazionario non è ancora il momento e nel caso saranno da considerare solo i titoli a tasso variabile.

Sarà necessario prendere in esame soprattutto gli investimenti in quegli asset in grado di difendere il valore reale dall’inflazione, tipicamente gli immobili – i cui prezzi non a caso hanno cominciato a salire in modo molto deciso – e i metalli preziosi, ma anche le materie prime. Una buona idea potrebbe essere quella di diversificare il rischio valutario aumentando con gradualità l’esposizione in dollari, franchi svizzeri e sterline.

E soprattutto speriamo che tutto questo finisca il prima possibile.

FONTE: https://www.marcoparlangeli.com/2022/04/13/economia-di-guerra

 

 

 

 

IMMIGRAZIONI

GB: Royal Navy nella Manica contro l’immigrazione illegale

Migranti gb

LONDRA, 14 APR – Il premier britannico Boris Johnson ha formalizzato la decisione di affidare alla marina militare il pattugliamento del canale della Manica per frenare l’impennata di sbarchi di immigrati illegali. L’annuncio è stato fatto durante un discorso tenuto sulla costa inglese del Kent nel quale il primo ministro Tory ha illustrato il già preannunciato piano draconiano definito dal suo governo per dare una stretta all’immigrazione: piano che prevede fra l’altro il controverso trasferimento di alcuni richiedenti asilo in Ruanda, in attesa della verifica dell’iter sulla loro eventuale ammissione nel Regno Unito.

Il piano contro l’immigrazione illegale

Il governo britannico di Boris Johnson lancia un piano draconiano e controverso per contrastare l’immigrazione illegale, in cui si prevede, fra l’altro, che “alcuni dei richiedenti asilo” siano trasferiti in Ruanda per la gestione dell’iter burocratico relativo alle loro richieste.

Lo stesso premier, secondo l’anticipazione di un suo intervento previsto per oggi, afferma che la situazione è diventata insostenibile per la Gran Bretagna, a fronte di sbarchi record sull’isola: oltre 600 persone sono arrivate solo ieri dopo aver attraversato su barchini e gommoni il Canale della Manica, portando il totale a oltre 5.000 quest’anno.

 

Johnson punta il dito contro i trafficanti di esseri umani, sottolineando che Londra non può tollerare un sistema illegale e afferma: “La nostra compassione può essere infinita, ma la nostra capacità di aiutare le persone non lo è”.

Come si legge sul sito della Bbc, la ministra degli Interni, Priti Patel, deve siglare col governo del Ruanda un accordo da 120 milioni di sterline che prevede in certi casi rimpatri rapidi per i richiedenti asilo arrivati nel Regno e la gestione dell’intero processo burocratico nel Paese africano.
Le ong hanno fortemente criticato il piano, definendolo “crudele” e hanno sollecitato un ripensamento del governo conservatore. Mentre l’opposizione laburista l’ha bollato come “impraticabile e immorale”. (ANSA).

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/04/14/royal-navy-manica-immigrazione-illegale/

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Draghi e i lavoratori abusivi

Ruggiero Capone – 14 aprile 2022

Il governo approva il PNRR (Piano nazionale ripresa e resilienza) che pone come condizione imprescindibile la lotta a lavoro abusivo e non a norma Ue, lavoro nero ed evasione fiscale.

In pratica parte dal 30 giugno (così recita il decreto) la guerra agli italiani che s’arrangiano e lottano per non precipitare nella povertà irreversibile per motivi fiscali, giudiziari, amministrativi e bancari.

Il decreto è approvato, il Parlamento ed i cittadini subiscono. Re Draghi può dire alla Commissione europea che non si farà alcuno sconto ai cittadini.

VIDEO QUI: https://youtu.be/eVhJ8to2Tfk

FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=eVhJ8to2Tfk

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Russia, l’ombra del tradimento

Vladislav Surkov, il teorico della “democrazia sovrana” che ha condizionato profondamente le direttrici dell’era Putin, sarebbe stato tradotto in arresto l’11 aprile. I fedelissimi Sergej Lavrov, Sergej Shoigu e Valerij Gerasimov hanno diminuito le comparsate davanti ai riflettori di pari passo con l’incedere della guerra. E, a fare da sfondo, si è assistito alla caduta in disgrazia di personaggi-chiave come il comandante Viktor Zolotov e il generale Roman Gavrilov, entrambi appartenenti alla Guardia nazionale, e di alcuni elementi del potente Fsb, tra i quali Sergej Beseda e Anatolij Bolyukh.

La domanda, alla luce del repulisti in corso nelle stanze dei bottoni, è più che lecita: che cosa sta succedendo nella Federazione russa all’ombra della guerra in Ucraina?

Surkov e gli altri

La presunta traduzione in arresto di Vladislav Surkov, il teorico della democrazia sovrana, è stata accolta e vissuta dall’opinione pubblica russa come un fulmine a ciel sereno. Il brillante e influente ideologo, classe 1964, era stato allontanato dalle stanze dei bottoni nel 2020 a mezzo di ordine presidenziale, per ragioni mai chiarite, e l’11 aprile sarebbe stato posto ai domiciliari per appropriazione indebita.

Dopo la silenziosa estromissione di Shoigu, Lavrov e Gerasimov dalle sale di comando, e dopo il ciclo di epurazioni tra servizi segreti e forze armate, l’affare Surkov (di)mostra che all’interno della Federazione è in corso un terremoto di elevata magnitudo dalla notte del 24.2.22, cioè da quando Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina e di personalizzare l’intero processo decisionale. Sbarrata la strada ai diplomatici, è stata spianata la strada ai falchi.

Caccia agli incompetenti o alle quinte colonne?

Il susseguirsi di vibrazioni telluriche che sta attraversando la Federazione è, per certi versi, naturale e fisiologico. I repulisti sono tipici dei paesi in stato di guerra, che è il momento per antonomasia in cui ogni nodo viene al pettine. Ed epurazioni, non a caso, sono in corso anche in Ucraina. Ma non è questo il punto. Perché non è il siluramento stricto sensu a rappresentare un problema, quanto la sua natura: se semplice o complesso.

I repulisti di natura semplice riguardano la sostituzione del personale rivelatosi non all’altezza, cioè degli inetti, degli incompetenti e dei negligenti. I repulisti di natura complessa hanno a che fare con qualcosa di molto più profondo, cioè con la lealtà allo stato, e coinvolgono i soggetti in odore, a torto o ragione, di doppiogiochismo e congiure di palazzo.

In Russia, data la difficoltà ad accedere ad informazioni di prima mano e considerata la guerra informativa in atto tra i blocchi, non è dato sapere quale genere di opera di pulizia stia dirigendo il Cremlino. È possibile, visti i nomi nell’elenco degli epurati e degli estromessi, che Putin stia portando avanti una maxi-campagna di defenestrazioni di natura mista: fuori gli incompetenti, fuori i sospetti. I primi come corsa ai ripari per la malagestione dell’operazione Ucraina. I secondi per prevenire trame sovversive, che, alla luce delle indiscrezioni del giornalismo investigativo e del desiderata di un cambio di regime espresso da Biden sul palco di Varsavia il 26 marzo, potrebbero non appartenere al mondo della fantapolitica.

La cricca fa crac (e Biden sorride)

Purghe ed effetto raduno attorno alla bandiera potrebbero aiutare Putin a compattare l’intera nazione attorno alla sua persona. Se ciò avvenisse, chiaramente, sarebbe un successo enorme e con implicazioni durevoli e tangibili, significanti stabilità, continuità e impermeabilità del sistema putiniano. Ma il pugno duro non è esente dal rischio del ritorno di fiamma e, allo stesso modo, l’ondata patriottica è destinata a scemare con il tempo, influenzata dall’esito della guerra e dallo stato dell’economia. Spiegato altrimenti: le crepe emerse con e a causa del conflitto non state chiuse, ma semplicemente stuccate, e potrebbero riaprirsi gradatamente, e pericolosamente, con l’approssimarsi dell’attesissimo appuntamento elettorale del 2024.

Tanti sono i fattori che influiranno sul risultato della stagione di destituzioni, inclusi alcuni esogeni – il dopo-Lukashenko in Bielorussia, gli sviluppi postguerra nello spazio postsovietico –, e nell’attesa di capire la profondità del malcontento e l’estensione delle divisioni resta un fatto: la cricca sta emettendo un fastidioso crac e questo è, anche se solo temporaneamente, un altro colpo a segno per la presidenza Biden e un’altra conseguenza del rischio calcolato male di Putin. Un’altra prova, l’ennesima, che questo primo tempo è stato vinto a mani basse dall’amministrazione Biden, come avevamo previsto sulle nostre colonne all’alba della guerra.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/russia-l-ombra-del-tradimento.html

 

 

La guerra totale per cancellare la Russia

Vaste aree del “NATOstan” sono state costrette a comportarsi in maniera russofoba. E nemmeno hanno avuto la possibilità dì comportarsi diversamente visto che nessun tipo dissenso è tollerato.

Ormai è ampiamente chiaro che la campagna russofoba neo-orwelliana  dei “Due Minuti dì Odio” lanciata dall’Impero delle bugie dopo l’inizio dell’operazione Z è in realtà divenuta “una campagna d’odio 24 ore al giorno e 7 giorni su 7. “

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Vaste aree del regime del NATOstan sono state costrette a comportarsi in maniera russofoba. Nessun dissenso è stato tollerato e la psyop  ha di fatto modificato l’Impero delle bugie trasformandolo nell’Impero dell’odio secondo i paradigmi dì una guerra totale  atta a cancellare la Russia.

L’odio, dopo tutto, è molto più potente delle semplici menzogne, che ora stanno virando verso una vera e propria ridicolaggine statunitense che ricorre a tutto quello che possa essere utile per combattere la guerra dell’informazione contro la Russia.

Se l’eccesso di propaganda è stato assolutamente efficace sulle masse occidentali zombificate – chiamatela una “vittoria” nella guerra delle PR – sul fronte dove conta davvero, ovvero all’interno della Russia, invece è stato un grave fallimento.

Il sostegno dell’opinione pubblica sia all’Operazione Z che al Presidente Putin non ha precedenti. Dopo i video delle torture dei prigionieri di guerra russi che hanno causato una diffusa repulsione contro coloro che li avevano commessi, la società civile russa si sta persino preparando ad una “lunga guerra” della durata di mesi, non settimane, a patto che gli obiettivi dell’Alto Comando russo vengano raggiunti.

Gli obiettivi dichiarati sono la “smilitarizzazione” e la “denazificazione” di una futura Ucraina neutrale, ma geopoliticamente vanno ben oltre: l’obiettivo è capovolgere l’accordo di sicurezza collettiva europea post-1945, costringendo la NATO a comprendere e fare i conti con il concetto di “sicurezza indivisibile”. Si tratta di un processo estremamente complesso che se va bene sarà raggiunto il prossimo decennio.

Il regime del NATOstan semplicemente non può ammettere pubblicamente una serie di fatti che da anni un analista militare del calibro di Andrei Martyanov spiega tranquillamente. E questo si aggiunge al loro dolore collettivo.

La realtà è che se la Russia volesse, potrebbe  affrontare la NATO e farla a pezzi in 48 ore. Potrebbe impiegare sistemi avanzati di deterrenza strategica senza eguali in tutto l’Occidente. Il suo asse meridionale – dal Caucaso e dall’Asia occidentale all’Asia centrale – è completamente stabilizzato. E se il gioco si fa davvero duro, il signor Zircon può consegnare il suo biglietto da visita nucleare ipersonico ai nemici prima ancora che questi capiscano cosa li ha colpiti.

L’Europa ha scelto il suo destino”

Può essere illuminante vedere come questi complessi processi vengono interpretati dai russi, i cui punti di vista sono ora completamente bloccati all’interno del regime del NATOstan.

Facciamo due esempi. Il primo è il tenente generale L.P. Reshetnikov, in una nota analisi in cui prende in esame i fatti della guerra di terra.

Alcuni punti chiave sono i seguenti:

– “Su Romania e Polonia volano aerei con sistemi di allerta precoce della NATO con a bordo equipaggi esperti, e inoltre ci sono sempre satelliti dell’intelligence statunitense nel cielo. Si ricordi che solo in termini di budget per la nostra agenzia spaziale Roscosmos abbiamo stanziato 2,5 miliardi di dollari all’anno, mentre il budget civile della NASA è di 25 miliardi di dollari, e il budget civile di SpaceX da solo è uguale a Roscosmos – e questo senza contare le decine di miliardi di dollari  stanziati ogni anno per tutti gli Stati Uniti, attraverso il febbrile sistema di controllo occidentale”.

– La guerra si sta svolgendo secondo “il volere ed il sentire della NATO. Gli Ukro-nazisti non sono altro che zombi controllati. E l’esercito ucraino  quindi è un ente di zombi controllati a distanza”.

– “Le tattiche e la strategia di questa guerra saranno oggetto di libri di testo per le accademie militari di tutto il mondo. Ancora una volta: l’esercito russo sta distruggendo un organismo nazista di zombi, completamente integrato nel corpo della NATO”.

Passiamo ora a Oleg Makarenko, che punta su quella che potremmo definire the Big Picture.

– “L’Occidente si considera “tutto il mondo” solo perché non ha ancora ricevuto un destro sul naso tirato come si deve. È successo che la Russia ora invece glielo stia dando anche grazie al supporto di Asia, Africa e America Latina. E l’Occidente non può farci assolutamente nulla, dal momento che oltre tutto è in ritardo anche in termini di numero di testate nucleari”.

– “L’Europa ha scelto il suo destino. E ha scelto il destino per la Russia. Quello che state vedendo ora è la morte dell’Europa. Anche se non si effettuano attacchi nucleari ai centri industriali, l’Europa è egualmente condannata. In una situazione in cui l’industria europea è rimasta senza fonti energetiche e materie prime russe a basso costo – e la Cina inizierà a ricevere gli stessi vettori energetici e materie prime a prezzi scontati, non si può parlare di una reale concorrenza tra Cina ed Europa. Di conseguenza, proprio lì tutto crollerà: dopo che l’industria crollerà, l’assistenza sociale e la sicurezza sociale crolleranno, inizieranno la fame, il banditismo e il caos totale“.

È giusto considerare Reshetnikov e Makarenko come rappresentanti fedeli del sentimento generale russo, che interpreta la false flag di Bucha come una copertura per nascondere i sistemi nazisti adoperati dai soldati ucraini nei confronti di quelli russi.

E, se vogliamo scavare ulteriormente, Bucha ha permesso la scomparsa dei laboratori di armi biologiche del Pentagono dall’area occidentale, completo di tutte le sue ramificazioni: l’esistenza dei quali altro non è che la prova di una spinta americana volta a schierare alla fine vere armi di distruzione di massa contro la Russia.

La bufala a più livelli di Bucha doveva includere la presidenza britannica del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che di fatto bloccava una qualsiasi discussione seria, il giorno prima che il Ministero della Difesa russo si sforzasse di presentare alle Nazioni Unite – prevedibilmente meno gli Stati Uniti e il Regno Unito – tutti i dettagli sulle armi biologiche che hanno portato alla luce in Ucraina. I cinesi sono rimasti inorriditi da quello che è stato ritrovato.

Il Comitato investigativo russo almeno sta continuando il suo lavoro, con 100 ricercatori che portano alla luce prove di crimini di guerra in tutto il Donbass da presentare a un tribunale nel prossimo futuro, molto probabilmente istituito per l’occasione a Donetsk.

E questo ci riporta ai fatti sul campo. C’è molta discussione sul possibile finale dell’operazione Z. Una valutazione equa includerebbe la liberazione di tutta Novorossiya e il controllo totale della costa del Mar Nero che attualmente fa parte dell’Ucraina.

L’“Ucraina” infatti non è mai stata un vero e proprio stato; ha sempre fatto parte di un altro stato o impero come la Polonia, l’Austria-Ungheria, la Turchia e, soprattutto, la Russia.

Lo stato russo di riferimento era Kievan Rus. “Ucraina”, in russo antico, significa “regione di confine”. In passato si riferiva alle regioni più occidentali dell’Impero russo. Quando l’Impero iniziò ad espandersi a sud, le nuove regioni annesse principalmente dal dominio turco furono chiamate Novorossiya (“Nuova Russia”) e le regioni nord-orientali Malorossiya (“Piccola Russia”).

E’ stata l’URSS  nei primi anni ’20 a mettere tutto insieme e chiamarlo “Ucraina”, aggiungendo anche la Galizia a ovest, che storicamente non era russa.

Tuttavia lo sviluppo chiave si è avuto quando l’URSS si è sciolta nel 1991. Poiché l’Impero delle menzogne controllava de facto la Russia post-sovietica, non avrebbero mai potuto permettere che le  regioni russe dell’URSS – cioè Novorossiya e Malorossiya – tornassero a far parte della Federazione Russa.

La Russia ora le sta reintegrando, in un modo del tipo “si fa come dico io”.

Vamos un bailar nel Porto Rico europeo

Ormai è anche abbastanza chiaro a qualsiasi seria analisi geopolitica che l’operazione Z ha aperto un vaso di Pandora. E la vittima storica suprema di tutta la tossicità finalmente liberata sarà sicuramente l’Europa.

L’immancabile Michael Hudson, in un nuovo saggio sul dollaro USA che divora l’euro, sostiene un po’ per scherzo ma nemmeno più di tanto che l’Europa potrebbe anche rinunciare la sua valuta e diventare “una versione di Porto Rico”, solo un po’ allargata.

Dopotutto, l’Europa “ha praticamente smesso di essere uno paese politicamente indipendente, e sta cominciando ad assomigliare di più a Panama e alla Liberia – un agglomerato di centri bancari offshore che non sono veri e propri ‘stati’ perché non emettono una propria valuta, ma semplicemente usano il dollaro USA.

In sintonia con alcuni analisti russi, cinesi e iraniani, Hudson afferma che la guerra in Ucraina – in realtà nella sua “versione Nuova Guerra Fredda” – durerà probabilmente “almeno un decennio, forse due, dal momento che gli Stati Uniti estendono la lotta tra neoliberismo e socialismo [intendendo il sistema cinese] per incorporare il tutto in un conflitto mondiale”.

Ciò che potrebbe essere seriamente controverso è se gli Stati Uniti, dopo “la conquista economica dell’Europa”, saranno in grado di “bloccare nuovamente paesi africani, sudamericani e asiatici”. Il processo di integrazione dell’Eurasia, in corso da ormai 10 anni, condotto dalla partnership strategica Russia-Cina e che si espande alla maggior parte del Sud del mondo, difficilmente si fermerà.

Non c’è dubbio, come afferma Hudson, che “l’economia mondiale sta andando letteralmente in fiamme” – con il commercio di armi degli Stati Uniti. Eppure dalla parte giusta della storia abbiamo il Rublegas, il petroyuan e il nuovo sistema monetario/finanziario progettato in collaborazione tra l’Unione economica eurasiatica (EAEU) e la Cina.

E questo è qualcosa che nessuna guerra del tipo cancel culture può eliminare.

di Pepe Escobar, traduzione Martina Giuntoli

FONTE: https://visionetv.it/la-guerra-totale-per-cancellare-la-russia/

 

 

 

Biden all’India: ‘condanni e isoli Mosca’

Biden America arsenale di vaccini

In un colloquio con Narendra Modi il presidente americano Joe Biden non ha nascosto l’irritazione della sua amministrazione per l’atteggiamento neutrale di New Delhi nei confronti della guerra in Ucraina e ha chiesto al premier indiano di schierarsi dalla “parte giusta della storia”. ansa

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/04/12/biden-allindia-condanni-e-isoli-mosca/

 

 

 

POLITICA

Taiwan, Cina avverte Usa: non si spingano su strada pericolosa

zhao Lijian oms Cina

PECHINO, 14 APR – La Cina “si oppone fermamente a qualsiasi forma di scambio ufficiale tra gli Usa e Taiwan”: è il commento del portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian alla visita di sette senatori Usa, guidata dal presidente della commissione Esteri Bob Menendez, attesa in serata a Taipei, secondo le anticipazioni dei media dell’isola.

 

I parlamentari del Congresso Usa “dovrebbero attenersi alle linee guida del governo americano”, rispettando il principio della “‘Unica Cina’ e le disposizioni dei tre comunicati congiunti, interrompendo gli scambi ufficiali”.

L’invito, ha concluso Zhao, è di “astenersi dall’andare sempre più lontano lungo una strada pericolosa”.
Il gruppo, composto da sette senatori, dovrebbe atterrare in serata all’aeroporto di Songshan di Taipei, secondo Formosa Television, e ripartire domani: in programma c’è anche un incontro con la presidente Tsai Ing-wen. (ANSA).

Cina Usa

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/04/14/taiwan-cina-avverte-usa-non-si-spingano-su-strada-pericolosa/

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

E dopo il Green Pass Microchip sottopelle ?

8 ottobre 2021
VIDEO QUI: https://youtu.be/UP7Zcbkh_kE
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=UP7Zcbkh_kE

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