RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 12 NOVEMBRE 2020

https://www.lintellettualedissidente.it/pangea/gian-ruggero-manzoni-tradizione/

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 12 NOVEMBRE 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

I letterati amano quelli che essi divertono, come i viaggiatori amano quelli ch’essi stupiscono.

NICOLAS CHAMFORT, Massime e pensieri, Guanda, 1988, pag. 85

 

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La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.

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SOMMARIO

E la centralinista di BANKITALIA/IVASS rispose al cittadino … 
Presentazione del libro “Connessioni”. Video dell’Autrice Francesca Sifola
Fiducia nel Vaccino , ossia Prendi i soldi e scappa
Pfizer’s CEO cashed out 60% of his stock on the same day the company unveiled the results of its COVID-19
La denuncia sui tamponi che smaschera il grande inganno del covid-19.
Il Parlamento Europeo? Incrementa i vincoli sul Recovery Fund. L’ennesima presa in giro europea si avvicina
Stranezza terapeutica : a causa del Covid, mancano i farmaci
Continua il siparietto sulla Campania
Le Autostrade  non valgono più niente
Nella tradizione la sola avanguardia
Così Houellebecq abbatte gli idoli progressisti
L’assalto alle pensioni
Hai un box? Adesso arriva la “botta”
Nihil difficile volenti
Africa: trappola malthusiana ed esplosione demografica
Macron prende a schiaffi Conte Quella mossa che umilia l’Italia
COVID: coprifuoco a che scopo?
Esce l’agenda del “paciere” Biden: priorità all’aborto
Congratulazioni Kamala, futura presidente degli Stati Uniti
Diritto ai brogli e all’odio professato da Saviano & Co.
Elezioni presidenziali USA: aprite gli occhi!

 

 

EDITORIALE

E la centralinista di BANKITALIA/IVASS rispose al cittadino …           

RILETTURA (PER RITORNARE SUL TEMA QUANTO PRIMA!)

E la centralinista di BANKITALIA/IVASS rispose al cittadino …

Manlio Lo Presti – 27 agosto 2020

Oggi, 27 agosto 2020, alle ore 8,59 chiamo l’IVASS al numero 06/421331 e mi risponde la Banca d’Italia.

 

Chiedo di avere un contatto con l’ufficio studi dell’IVASS. Attendo 2 minuti e 38 secondi.

La centralinista riprende la chiamata e mi dice che non è riuscita a trovare il ridetto ufficio.

A parte lo stupore per la mancata risposta da un organo di vigilanza prestigioso (oggi forse meno di una volta), cosa volevo sapere dall’introvabile ufficio studi dell’IVASS?

Alquanto allarmato dalla ricerca di 13 pagine in Pdf effettuata dalla ALLIANZ GLOBAL CORPORATE & SPECIALITY

(https://www.agcs.allianz.com/content/dam/onemarketing/agcs/agcs/reports/AGCS-Electric-Vehicles-Risk-Report.pdf).

volevo sapere l’incidenza media ponderata dei morti da sinistri con auto elettriche, PRIMA DI COMPRARNE UNA.

Nel documento la Allianz esprime più di una perplessità sui pericoli mortali indotti dalle pesantissime batterie in dotazione a queste vetture.

La ricerca ha il pregio di esporre con chiarezza e senza troppi tecnicismi né giri di parole né incomprensibili ed impronunciabili acronimi, che esiste un serio problema sulla efficacia della protezione del passeggero dalla folgorazione e/o intossicazione di batteria che fuoriesce dal suo alloggiamento quando, in caso di collasso strutturale da collisione, va a contatto con parti di lamiere conduttrici di shock elettrico omicida e in caso di fuoriuscita dei liquidi contenuti.

Dopo l’esito surreale della chiamata all’IVASS/BANCA D’ITALIA, ma per nulla scoraggiato, provo a chiamare l’ANIA allo 06/3626881 alle ore 10,50. L’operatore mi rimanda ad un altro numero (0277/64444) fornendo gentilmente una correlata e-mail (sportelloauto@ania.it ).

 

Il ridetto operatore ANIA, mi avverte che tali riferimenti sono operativi dal primo di settembre 2020, perché il personale è in ferie nella sua totalità!!! Trovo sorprendente che un organismo che rappresenta l’importantissimo settore assicurativo non faccia rotazione del suo personale. Peggio di quando accade nelle pubbliche amministrazioni centrali, regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali!

E poi stupidamente c’è qualcuno che afferma che il privato è più efficiente del pubblico…

Inizio una ricerca veloce in rete.

Trovo oltre quaranta collegamenti ma IN NESSUNO DI QUESTI è possibile trovare i dati disaggregati del numero dei morti da incidente in auto elettrica.

Qualche sito riferisce che le tariffe assicurative delle auto elettriche sono più alte. Forse i calcoli della probabilità attuari inducono ad una tariffazione più altra o, perlomeno, differenziata anche per Casa automobilistica produttrice?

Ad una prima lettura, la differenza al rialzo dei premi assicurativi (probabilmente diversi per Compagnia) sembra che sia dovuta:

  1. agli altissimi costi di riparazione del veicolo incidentato;
  2. agli altissimi costi dei ferimenti quasi tutti gravissimi;
  3. alla percentuale di morti.

Ma sono prime impressioni di un cittadino che vuole saperne qualcosa di più preciso su un tema così delicato.

TUTTO CIÒ PREMESSO

I dati non ci sono e si incontra un muro di gomma, SEMPRE NELL’INTERESSE DEGLI ITALIANI E IN NOME DELLA TRASPARENZA E DELLA SEMPLIFICAZIONE: tutte parole!

A detta del gentilissimo operatore, gli uffici dell’ANIAsono chiusi per vacanza estiva di tutto il personale!!!!!!

I centralini dell’ex istituto centrale non sono stati in grado di dare indicazioni né riferimenti per avere informazioni utili per contattare un Ufficio studi per avere i dati.

P.Q.M.

Mi sorgono delle domande:

  • perché non esistono dati di facile consultazione, sia pure riportati nei siti di settore e di categoria?
  • Perché, ad un mio primo esame, nessuna associazione di consumatori ha proceduto ad una ricerca specifica sulla incidenza della mortalità da auto elettriche?
  • Perché i giornali non ne parlano apertamente?

Effetto silenzio dovuto alla titanica magnitudine delle somme investite sulle auto elettriche per migliaia di miliardi e che, quindi, non va disturbato il manovratore?

Ovviamente, tutto sopra riportato in buona fede da un cittadino intenzionato ad acquistare un’auto elettrica che oggi è più diffidente che mai!

MA………. GLI AFFARI SONO AFFARI

SEMPRE NELL’INTERESSE DEGLI ITALIANI, OVVIAMENTE!

FONTE: https://www.dettiescritti.com/editoriale/e-la-centralinista-di-bankitalia-ivass-rispose-al-cittadino/

 

 

 

EVENTO

Presentazione del libro “Connessioni”. Video dell’Autrice Francesca Sifola

https://www.facebook.com/FrancescaSifolaScrittrice/posts/2645403605730403?__cft__[0]=AZUlw36Tl9vjHs8T3dEAiIU1fvCL_ctyjiLZ3-USJbyOHvrPFSw_lPBjGLM7b8uzfcKb6Z0ov1DUuExK89ZDDLFOHV_v4aHl9BXR8sgRHxIuNd-xyzQJH74OKRIPCMpBXbsj2LYS_GRaSR_vLWAj-KL6boHolAIx_VNptU9QQ8F6WwRGOcGSP2Al5aJe1_OyBaA&__tn__=%2CO%2CP-R  

 

 

IN EVIDENZA

Fiducia nel Vaccino , ossia Prendi i soldi e scappa

Il CEO di Pfizer ha incassato il 60% delle sue azioni lo stesso giorno in cui l’azienda ha svelato i risultati della sua sperimentazione sul vaccino COVID-19

 

  • Il CEO della Pfizer Albert Bourla ha venduto il 62% delle sue azioni nella società lo stesso giorno in cui il produttore di farmaci ha annunciato i risultati della sua sperimentazione sul vaccino COVID-19.
  • Bourla ha venduto $ 5,6 milioni di azioni lunedì come parte di un business plan  predeterminato adottato il 19 agosto.
  • La sua vendita di azioni è stata effettuata a $ 41,94 per azione. Il massimo di 52 settimane per le azioni Pfizer è di $ 41,99, il che significa che il CEO ha incassato le sue azioni quasi al prezzo più alto quest’anno.

https://markets.businessinsider.com/news/stocks/pfizer-ceo-sold-stock-day-covid-19-vaccine-results-unveiled-2020-11-1029790705

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/fiducia-nel-vaccino-ossia-prendi-i-soldi-e-scappa/

 

 

 

Pfizer’s CEO cashed out 60% of his stock on the same day the company unveiled the results of its COVID-19 vaccine trial

Shalini Nagarajan

Nov. 11, 2020

Pfizer CEO Albert Bourla
Pfizer CEO Albert Bourla.

Pfizer CEO Albert Bourla sold 62% of his stock in the company on the same day the drugmaker announced the results of its COVID-19 vaccine trial.
Bourla sold $5.6 million in stock on Monday as part of a predetermined trading plan adopted August 19.
His stock sale was carried out at $41.94 a share. The 52-week-high for Pfizer stock is $41.99, which means the CEO cashed out his shares at close to their highest price this year.
Pfizer and its German partner BioNTech on Monday became the first to post positive results from late-stage COVID-19 vaccine trials.
Visit Business Insider’s homepage for more stories.
Pfizer CEO Albert Bourla sold 62% of his stock on the same day the company announced its experimental COVID-19 vaccine succeeded in clinical trials.
The vaccine announcement sent Pfizer’s shares soaring almost 15% on the day.
Bourla sold 132,508 shares in the company at an average price of $41.94 a share, or $5.6 million total, according to filings registered with the Securities and Exchange Commission. The 52-week high for Pfizer’s stock is $41.99, meaning Bourla sold his stock at almost its highest value in the past year.
His stock sale was carried out through a routine Rule 10b5-1, a predetermined trading plan that allows company staff members to sell their stock in line with insider-trading laws. Bourla’s sale was part of a plan adopted August 19, the filing showed. He continues to own 81,812 Pfizer shares.

  • Pfizer CEO Albert Bourla sold 62% of his stock in the company on the same day the drugmaker announced the results of its COVID-19 vaccine trial.
  • Bourla sold $5.6 million in stock on Monday as part of a predetermined trading plan adopted August 19.
  • His stock sale was carried out at $41.94 a share. The 52-week-high for Pfizer stock is $41.99, which means the CEO cashed out his shares at close to their highest price this year.
  • Pfizer and its German partner BioNTech on Monday became the first to post positive results from late-stage COVID-19 vaccine trials.
  • Visit Business Insider’s homepage for more stories.

Pfizer CEO Albert Bourla sold 62% of his stock on the same day the company announced its experimental COVID-19 vaccine succeeded in clinical trials.

The vaccine announcement sent Pfizer’s shares soaring almost 15% on the day.

Bourla sold 132,508 shares in the company at an average price of $41.94 a share, or $5.6 million total, according to filings registered with the Securities and Exchange Commission. The 52-week high for Pfizer’s stock is $41.99, meaning Bourla sold his stock at almost its highest value in the past year.

His stock sale was carried out through a routine Rule 10b5-1, a predetermined trading plan that allows company staff members to sell their stock in line with insider-trading laws. Bourla’s sale was part of a plan adopted August 19, the filing showed. He continues to own 81,812 Pfizer shares.

Pfizer confirmed that Bourla’s stock sales were part of a plan that allows major shareholders and insiders of exchange-listed corporations to trade a predetermined number of shares at an agreed time.

“Through our stock plan administrator, Dr. Bourla authorized the sale of these shares on August 19, 2020, provided the stock was at least at a certain price,” a Pfizer spokesperson told Business Insider.

Read more: Biotech execs hunting for COVID-19 vaccines and treatments have raked in more than $1 billion by selling company stock this year. Here are the 27 leaders who’ve cashed in the most.

On Monday, Pfizer and its German partner BioNTech said their COVID-19 vaccine was found to be over 90% effective in preventing illness, based on 94 observed cases in a trial with thousands of participants. The pharma firms are the first to report positive results from late-stage COVID-19 vaccine trials.

Pfizer is already working on a workaround powder-form vaccine to address the current one’s biggest limitation: having to be stored at extremely low temperatures.

The vaccine, which involves two doses administered three weeks apart, won’t be distributed immediately, as it still needs to be evaluated and approved by the US Food and Drug Administration.

Read more: We just got our first evidence that a coronavirus vaccine works. Here’s everything we know about the race for a vaccine and when you might be able to get a shot.

FONTE: https://markets.businessinsider.com/news/stocks/pfizer-ceo-sold-stock-day-covid-19-vaccine-results-unveiled-2020-11-1029790705

 

 

 

La denuncia sui tamponi che smaschera il grande inganno del covid-19.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA

I sottoscritti
Dr, Fabio Franchi Medico Infettivologo Esperto di virologia
Dr.ssa Antonietta Gatti Scienziata Esperta di nanopatologie
Dr. Stefano Montanari, Farmacista Ricercatore scientifico e Nanopatologe
Dr. Stefano Scoglio, Ricercatore Scientifico, Candidato Premio Nobel per la Medicina 2018
tutti nella loro qualità di esperti e ricercatori scientifici, con riferimento all’utilizzo dei c.d. tamponi Covid-19, che sono al centro dell’attuale gestione dello stato di emergenza collegato alla nota problematica del Govid-19.

DICHIARANO

  • di aver appurato, da un documento della Commissione Europea e da uno dell’istituto Superiore di Sanita’ [1], che i tipi di tampone circolanti in Europa al 16 Maggio 2020 erano 78, nessuno dei quali autorizzato, valutato o validato:
  • di aver riscontrato dai medesimi documenti che gran parte dei medesimi tamponi sono altresi privi della dichiarazione delle sequenze geniche contenute, abbiamo deciso di approfondire la cosa.

Si é pertanto ritenuto necessario approfondire la problematica attinente alla validita dei risultati dei tamponi e si é potuto accertare che:

1) per stessa ammissione del Centers for Disease Control and Prevention americanco (doc. 3) e del Gruppo di Lavoro Covid della Commissione EU, il virus SARS-Cov2 (doc. 2), presunto responsabile dal Covid, non é mai stato isolato fisio-chimicamente

2) I liquidi patogeni usati come modello per il sequenziamento genico non avevano nessuna titolazione del virus, il che implica che in tali liquidi erano contenute miliardi di altre particelle simil-virali (incluse le non patogeniche vescicole extracellulari naturalmente presenti nel nostro organismo),

Ciò comporta che:
non esiste a tutt’oggi nessun marker specifico del virus, e dunque nessuno standard che possa rendere i tamponi affidabili.

3) I tamponi attualmente circolanti, oltre 100, sono esentati dai controlli previsti dalla legge europea sui dispositivi medici del 1997;

4) Al contempo non sono ancora assoggettati alla nuova norma europea del 2017, che entrerà in vigore solo nel Maggio 2022.

5) Tale limbo normativo rende i produttori liberi di far circolare qualsiasi tipo di dispositivo senza nessun controllo:

Ciò comporta che
La conformità dei tamponi prodotti a degli standard che ne possano accertare la corretta efficacia non è oqgi verificata.

6) Ci sono numerosi studi che attestano la continua mutazione del virus, e le stesse autorità sanitarie riconoscono che se il virus continua a mutare i tamponi diventano inutili.

7) Ci sono quasi 150.000 diversi sequenziamenti del virus presso la banca dati dei virus GISAID; erano 70.000 ad Aprile; e continuano a crescere, perché si trovano sempre nuove mutazioni, e ciò rende i tamponi circolanti del tutto inutili. Sul punto si allega la ricerca scientifica del dott. Scoglio che analizza anche questo elemento essenziale[3].

Ciò comporta che
I tamponi circolanti, anche qualora si volessero ritenere astrattamente efficaci e nel concreto conformi alla normativa, sono del tutto inutili in quanto non possono accertare le mutazioni.

8) Esiste inoltre un problema sostanziale legato alla metodologia utilizzata nei tamponi, la RT-PCR. Come sottolineano i massimi esperti di questa metodologia, per funzionare correttamente tale metodologia idealmente dovrebbe utilizzare tra i 20 e i 30 cicli di PCR; e non si dovrebbe comunque mai superare i 35 cicli, perché sopra tale soglia la PCR inizia a creare sequenze casuali. Ebbene, come confermato anche da diversi documenti che alleghiamo, quasi tutti i tamponi superano i 35-40 cicli di media, e sono dunque da considerare del tutto inefficaci e produttivi di falsi positivi.

9) Da ultimo, come spiegato in un recente documento dell’Istituto Superiore di Sanita, l’efficacia dei tamponi dipende da 3 fattori: la sensibilita, la capacita di rilevare la presenza di RNA, la specificità, la capacita di limitare tale RNA a quello specifico del virus che si cerca; e la prevalenza, ovvero la presenza della patologia virale nella popolazione. Questo perché maggiore é la prevalenza, maggiore é la circolazione del virus, e dunque maggiore é la possibilita di rilevarlo. Ad oggi, la prevalenza in Italia, che nelle vere pandemie può arrivare anche al 30% della popolazione, é allo 0.1%; e anche se aumentasse di 10 volte sarebbe sempre un livello di prevalenza irrisorio; il che significa, in base ad una tabella della autorevole organizzazione internazionale FIND[4] ripresa dall’ISS, che i tamponi di media performance, in Italia, producono attorno ail’85%-90% di falsi positivi.

Ciò comporta che

Comunque, ferme le superiori considerazioni gia effettuate, i risultati dei tamponi sono del tutto inaffidabili.

Per tutte queste ragioni,
i sottoscritti ritengono che proseguire nell’utilizzo dei tamponi da cui ricavare dati utili a determinare proclami sullo stato di emergenza, quarantene individuali o di gruppo, e per imporre limitazioni e lockdown, dalle scuole alle imprese alle famiglie, è pratica senza nessun fondamento scientifico.

Roma, lì 07/10/2020

Dr. Fabio Franchi
Medico Infettivologo
Esperto di virologia

Dr.ssa Antonietta Gatti.
Scienziata
Esperta di nanopatologie

Dr. Stefano Montanari
Farmacista Ricercatore scientifico
Nanopatologo

Dr. Stefano Scoglio
Ricercatore Scientifico
Candidato al Premio Nobel per la Medicina 2018

 

[1]Doc. ! Current performance of COVID-19 test methods and devices and proposed performance criteria.
Doc. 2 ISS Covid tests Part 2 https://www.epicentro.iss.it-coronavirus-pdf-rapporto-covid-19-46-2020.

[2]CDC 2019-Novel Coronavirus (2019-nCoV) Real-Time RT-PCR Diagnostic Panel – doc.3 aggiormato al 13-07-2020.

[3]Doc. 4 – Dott. Scoglio – Sui Tamponi Covid- 19.

[4]Doc. 5 – FIND evaluation update- SARS-CoV-2 molecular diagnostics — FIND.

FONTE: https://comedonchisciotte.org/la-denuncia-sui-tamponi-che-smaschera-il-grande-inganno-del-covid-19/

 

 

 

Il Parlamento Europeo? Incrementa i vincoli sul Recovery Fund. L’ennesima presa in giro europea si avvicina

Novembre 10, 2020 posted by Guido da Landriano

Lunedì in commissione ECON è  stato  discusso il Recovery Fund, o meglio, come è chiamato in ambiente europeo, tanto per fare confusione , quello che tutti in Italia chiamano Recovery Fund. Solo che, mentre tutti pensano che la sua trattazione avvenga per migliorarne le condizioni, in realtà avviene l’esatto opposto: Il Parlamento con la maggioranza PPE (cioè FI), S&D (cioè il PD) , RN e M5s, non ha come finalità quella di rendere le cose semplici ed usufruibili, ma complesse, astruse e , soprattutto, di utilizzarle per imporre le sue personali politiche. Ed anche questa volta è andata così. Vediamo cosa dice Antonio Maria Rinaldi:

‘Nella discussione sul Recovery and Resilience Facility prendiamo atto con rammarico e disappunto che il  Parlamento Europeo presenta ancora una volta una posizione troppo  ideologica, volendo imporre una serie di ulteriori vincoli che  condizioneranno l’utilizzo dei fondi secondo i voleri di Bruxelles.

Un’occasione sprecata da parte dell’Ue: a fronte di una apertura  positiva sull’anticipo delle risorse, nella sostanza l’Ue vuole  aumentare tempi, burocrazia e condizionare i futuri governi con limiti eccessivi”.

“Ci auguravamo che l’Europa della Troika, del Patto di Stabilità e del fallimentare sistema di regole, con questa crisi, avesse imparato dagli errori del passato: invece ne sta commettendo di nuovi e sta complicando ulteriormente un negoziato già complesso. Le famiglie, i lavoratori, le aziende italiane hanno bisogno di risposte concrete, subito: auspichiamo che, da qui al voto in plenaria, le istituzioni Ue possano rendersene conto e correggere il tiro, anziché peggiorare ulteriormente la situazione”, conclude RINALDI.

Ricordiamo che ad esempio, nei giorni scorsi, ha causato molte polemiche il fatto che si pensa di rafforzare il cosiddetto “Stato di Diritto” per punire i governi di Ungheria e Polonia. Perchè ricordatevi che in Europa la democrazia è un puro optional.

FONTE: https://scenarieconomici.it/il-parlamento-incrementa-i-vincoli-sul-recovery-fund-lennesima-presa-in-giro-europea-si-avvicina/

 

 

Stranezza terapeutica : a causa del Covid, mancano i farmaci

Un’allarmante penuria di  medicinali :  in Francia, per ora.

L’associazione  francese dei consumatori UFC-Que Choisir denuncia “la moltiplicazione e l’allungamento della carenza di medicinali”  disponibili nelle farmacie, riferisce Le Parisien. La responsabilità, ha detto, ricade sia sui laboratori che sulle autorità di governo.

Guarda la coincidenza, il 75% delle carenze riguarda farmaci commercializzati da più di vent’anni [non più coperti da brevetto] e prodotti a basso margine di profitto,  venduti a meno di venti euro: corticosteroidi, anestetici, antitumorali, analgesici.Dei 7.500 farmaci di maggiore interesse terapeutico (MITM), ci sono 2.400 segnalazioni di “esaurimento degli stock o tensioni  sulla disponibilità dei prodotti” da parte dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza dei Medicinali (ANSM) nel 2020, ovvero venti volte di più rispetto al 2010.

Il problema è “allarmante” in quanto riguarda farmaci essenziali e si allungano i periodi di indisponibilità.

L’associazione dei consumatori sospetta “una deliberata strategia dei   fabbricanti “. Dallo studio emerge infatti che il 75% delle carenze riguarda vecchi farmaci, commercializzati da più di vent’anni, venduti a meno di venti euro. Due terzi delle carenze riguardano farmaci efficaci (beneficio effettivo “significativo”).

“In questi tempi di Covid, i laboratori si presentano come i salvatori dell’umanità, ma sono lì soprattutto per fare affari. ” Alain Bazot denuncia anche le scelte strategiche dei laboratori che scelgono “delocalizzare per produrre al minor costo, anche se significa imporre rischi al consumatore con conseguenze a volte gravi”.

Le autorità pubbliche sono anche messe sotto accusa per non avere “fatto nulla di efficace per prevenire queste carenze con conseguenze a volte gravi per i pazienti”,  segnala ancora Alain Bazot. A riprova ricorda la virtuale assenza di sanzioni contro i laboratori: “La Francia non punisce  la penuria, la gestisce. ”

Fin qui il caso francese. Sta avvenendo anche in Italia? Ci sono medicinali  poco costosi che cominciano a mancare? In attesa che qualcuno ci informi, notiamo questo paradosso:

In Francia (come in Italia), il governo non risparmia nessuno sforzo  (nostro) per salvarci dal tremendo virus che ci sta falciando,  ci chiude in casa e ci vieta di andare in altro comune perché sennò ci ammaliamo; in Francia il direttore del massonico Express,  accasciato per la salute di tutti, caldeggia lo spostamento al 25 marzo   del Natale,  perché provoca assembramenti e quindi “un picco di contagi tre settimane dopo”; la UE ci ha comprato già 300 milioni di dosi del vaccino Pfizer , spendendo decine di miliardi  – ma non conta, tutto per farci star  sani in Europa –  insomma tutto la dittatura terapeutica  non ha altro scopo che restituirci la salute nostra, messa in pericolo dalla pandemia – e nello stesso tempo fa  mancare i medicinali? Quelli sotto i 20 euro e a basso margine di profitto?

No signori, non è possibile. L’Europa è la nostra mamma, Speranza è il nostro infermiere-capo e  Conte il benefattore, Macron il dottorino benefico che si china sulle nostre sofferenze. Rimane il fatto che in Italia, nella foga di trasformare tutti gli ospedali  in ospedali- Covid, non si fanno più le operazioni chirurgiche, né si mettono gli stent agli infartuati,  e si sono interrotte le visite di controllo ai cancerosi, praticamente il servizio sanitario nazionale non dà più servizi ai malati. Non è strano per una dittatura mondiale terapeutica?  Ma no,  abbiate fede, obbedite, chiudetevi in casa a sentire quanti morti di Covid oggi e domai, e dopo…, perdete il lavoro, uscite con le mascherine: è per il vostro bene. Il Vero Bene. Il gran reset.

Come non commuoversi ed obbedire al commosso appello del  filantropo  qui sotto?

 il principe Carlo  sollecita un "cambiamento mondiale" 
(cioè un reset globale) poiché siamo "letteralmente all'ultima ora"
 prima che l'apocalisse climatica colpisca l'umanità.

https://twitter.com/disclosetv/status/1326228363355283458

Sventare l’apocalisse climatica vale ogni sacrificio. E’ quindi con soddisfazione che possiamo mostrare come la “cura della pandemia” via lockdown sta riducendo, come auspicato, il Global Footprint del genere umano. Qualche assaggio:

“I lockdown riducono la qualità media della vita nell’ordine del 20-40%. Quel livello di riduzione del benessere è parallelo a una malattia acuta (vedi Figura 1). Almeno un quarto delle persone in quarantena ha subito un orribile crollo della propria salute mentale e della qualità della vita. Secondo uno studio del CDC, l’11% delle persone ha preso seriamente in considerazione il suicidio durante il blocco, di cui 1 su 4 giovani adulti. Il distanziamento sociale ha reso la vita così intollerabile che le persone preferirebbero morire di COVID.
Deprimendo gravemente l’economia, i lockdown  hanno trascinato molte persone verso il basso nella scala del reddito, per la quale c’è una corrispondente aspettativa di vita inferiore su ciascun gradino. I paesi ricchi con assistenza sanitaria pubblica gratuita non fanno eccezione (vedi Figura 2). L’ILO (Istituto Internazioanle del Lavoro) ha stimato che i blocchi fanno diminuire i guadagni di 1,6 miliardi di lavoratori del settore informale in media del 60%. La solitudine cronicizzata, retaggio dell’allontanamento sociale, è un potente fattore di rischio per la salute. Oltre a indebolire il benessere emotivo, gli studi hanno dimostrato che la solitudine aumenta l’incidenza di molte condizioni mediche e toglie in media 10 anni alla vita di una persona.
“La depressione è prevalente anche tra le vittime del lockdown. Secondo un ampio studio canadese, l’aver avuto uno o più episodi depressivi riduce l’aspettativa di vita in media di 12 anni. Più in generale, anche la scarsa soddisfazione per la vita è mortale. Secondo i ricercatori dell’University College di Londra, uomini e donne sulla cinquantina che sono felici possono aspettarsi di vivere 6 anni in più rispetto a coloro che sono generalmente infelici”.

La differenza politicamente più notevole tra i decessi per COVID-19 e le  decine di milioni dei morti da lockdowns  è che la maggior parte dei decessi per quest’ultima  causa si verificherà durante molti anni in futuro, quando le vittime si avvicineranno alla loro aspettativa di vita ridotta dal lock”.

covid19 Genèse et conséquences d’une hystérie mondiale

La  terapia  accorcia la vita. Contenti?

(Anche in Gran Bretagna c’è  qualcuno che, dubbioso, chiede: il costo di 2,4 miliardi di sterline al giorno del lockdown  del Regno Unito non potrebbe salvare più vite se usato per il  servizio sanitario nazionale e per tutte le malattie? Questo dubbioso ha fatto piangere il principe Charles)-

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/stranezza-terapeutica-a-causa-del-covid-mancano-i-farmaci/

 

 

 

 

ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME

Continua il siparietto sulla Campania

11 11 2020

Ha sempre da passà ‘a nuttata. Tutto, pure il lockdown. Non si capisce come mai gli amici della Campania riescano sempre a complicarsi la vita a livelli impossibili; eppure, impassibili, loro tirano avanti, in quel modo dolcemente complicato, amabilmente incomprensibile e figurarsi se potevano fare eccezioni per il Covid. Dove, per non sbagliare, non si capisce un ciufolo: insomma, la zona resta gialla, diventa aranciata, o direttamente rosso chiusura? Non si sa, bisogna aspettare, ha da passà ‘a nuttata. E poi un’altra. E un’altra. E un’altra.

Ma come: non diceva il governatore più pazzo del mondo, De Lukashenko, che lì era l’ecatombe, l’apocalisse, e “chiudiamo tutto”, e mettiamo sottochiave pure “Allouìn”? E invece, vedi un po’, la Campania si ritrova risparmiata dalla prima ondata claustrale, e così la gente, che comunque non ne può più, se ne futte delle raccomandazioni e delle proibizioni e gira fin che le pare, il che provoca qualche mal di pancia ai piani alti e complica un altro po’ la faccenda. E il governo, come le stelle, sta a guardare. Di che avete paura, cari? Che De Lukashenko, dopo tanto tuonare, passi alla cassa? Delle rivolte di piazza? Perché i campani sono gente squisita ma ogni loro pazienza ha un limite e quando s’incazzano, giustamente, mica fanno come i polentoni lombardi che sfiorano la margherita tenendosi per mano: quelli menano, come minimo.

Di che avete paura? Della degenerazione cavalcata dalla camorra? E ha da passà ‘a nuttata, e niente si decide ancora, il semaforo campano resta fisso sul giallo, in attesa chi sa di che cosa. Per incasinarsi ancora un po’ la vita, la grottesca incursione dei tecnici ministeriali, i bimbi di Speranza che calano per “una ricognizione sui dati sull’epidemia di covid19, per avere un quadro preciso in vista di una decisione sulla fascia in cui deve essere posta la Regione”. Che è un modo burocratico per dire: non sappiamo che altro fare.

“I tecnici inviati – spiega, si fa per dire, una velina ripresa dall’Ansa – stanno analizzando la mole dei dati per capire se si è creata una falla nella raccolta e nella trasmissione e se il flusso dei dati è stato messo insieme correttamente. I tecnici devono appurare eventuali deficit e capire come potere recuperare ciò che manca. L’obiettivo è avere un quadro epidemiologico il più aderente possibile alla realtà così da capire se la Campania è ancora in un quadro di fascia gialla oppure no. Con l’aumento consistente del numero dei contagi negli ultimi giorni, spiegano dal ministero, bisogna anche verificare quanti potenziali contatti sono sfuggiti al tracciamento. Il numero potrebbe influenzare la valutazione dell’area di rischio di appartenenza”.

Tradotto: siamo al caos e non ne usciamo. Tanto mica siamo in Liguria, dove al povero Toti, ancora sbarellato dopo la gaffe sugli anziani non produttivi, le procure fanno un mazzo tanto.

Qui si aspetta, si vede, si sente, si verifica, si traccia il quadro, si mandano i burocrati, si analizzano i dati, si cerca di capire il flusso, si prova a interpretare gli eventuali deficit: insomma, si gioca. “Una decisione verrà presa al termine di questo lavoro e dopo l’analisi al ministero dei dati raccolti e potrebbe arrivare quindi nella serata di oggi o domani”. Ha da passà ‘a nuttata. Quale non si sa, le verifiche non finiscono mai.

FONTE: https://www.nicolaporro.it/continua-il-siparietto-sulla-campania/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Le Autostrade  non valgono più niente

Ora per volontà degli stupidi-disonesti grillini insieme ai farabutti  piddini,  accortisi   trent’anni dopo che hanno regalato ai Benetton un monopolio naturale, la società Autostrade   passerà a Cassa Depositi e  Prestiti, che pagherà ai Benetton altri miliardi, soldi nostri.

Adesso quindi agli italiani vengono accollate le future perdite . I profitti e mega-profitti che il PD ha regalato ai Benetton non ci sono più, e non ci saranno  nel futuro prevedibile.

Ancora non è chiaro che la Quarta Rivoluzione Industriale, il Gran Reset, prevede l’abolizione del turismo internazionale, e  la riduzione degli spostamenti che consumano carburante  con tele-lavoro, scuola distanza, digitalizzazione totale degli scambi? Ciò che i Padroni chiamano  ”contact-free economy”?   I paesi turistici sono quelli che vengono stroncati deliberatamente :Italia, Spagna, Grecia, Francia.  Ristoratori, albergatori, personale delle fiere, deve capirlo ormai: non c’è più lavoro per loro.

Riporto nuovamente i passi dell’articolo di Pecchioli:

“…La  tesi è che non ci sarà più abbastanza energia per far funzionare l’economia globale; ecco perché interi settori devono essere abbandonati. Essenziale è comprendere che l’iperclasse che gestisce il mondo non ha alcun senso e vincolo morale o nazionale; ciò che conta è che alla fine della ristrutturazione (il Grande Reset) ciò che resterà sia solido, intatto nelle loro mani e sufficientemente ampio da comprendere la parte dell’umanità che lorsignori non ritengono superflua.

Un’ottima opportunità, immediatamente realizzabile grazie alla paura amplificata artificialmente della pandemia, è distruggere la mobilità di massa, il turismo internazionale e il grande settore ricreativo. Molto è già stato fatto: l’industria alberghiera e il settore dei trasporti sono devastati, trascinando con sé ristoranti, terme e tutte le altre attività che accolgono lo svago di massa. Le navi da crociera verranno smantellate per essere rottamate. Ciò riduce il consumo di distillati di petrolio. A differenza della benzina, che serve per spostarsi in piccoli veicoli ed è in gran parte uno scarto creato dalle raffinerie di petrolio, i distillati di petrolio come cherosene, carburante per bunkeraggi, olio combustibile e gasolio sono la linfa vitale dell’economia globale. Il loro utilizzo per trasportare i turisti verso luoghi di villeggiatura è diventato, agli occhi di lorsignori, uno spreco enorme, insostenibile.

Ma se l’uso di distillati di petrolio è in calo, lo è anche la benzina, che rappresenta circa la metà dei prodotti di raffinazione del petrolio greggio. La soluzione pensata è impedire a milioni di persone di recarsi al lavoro facendoli lavorare da casa. È puro spreco fornire agli impiegati un posto dove dormire e un altro dove lavorare; possono fare tutto dalla loro stanza e con connessione Internet personale, utilizzando lo stesso computer e il medesimo telefono cellulare. Se non c’è più bisogno di muoversi, scompare anche l’esigenza di mantenere gli uffici nelle grandi città. Città e periferie possono spopolarsi. La popolazione può “telelavorare” altrettanto facilmente in città, in periferia e in campagna. La necessità di recarsi al supermercato per le provviste può essere sostituita da un camion per le consegne settimanali, che consente anche la chiusura della maggior parte delle attività commerciali al dettaglio.

Una volta che non è più necessario fare il pendolare e guidare verso i negozi, diventa possibile ridurre la mobilità complessiva della popolazione, riducendo ulteriormente il consumo di energia. Il modo migliore per farlo è eliminare il trasporto privato a lunga distanza introducendo tasse, pedaggi autostradali molto elevati e allo stesso tempo istituendo norme rigorose per consentire ai passeggeri l’accesso a bordo dei mezzi pubblici, dei treni o aerei. Questo sembra essere il ruolo a lungo termine delle misure di salute e sicurezza pubblica che stiamo sperimentando.

Dunque le  Autostrade dell’Italia vedranno una riduzione del traffico e dei pedaggi di quanto? Di meno 30? Meno 70%? E’  il caso di calcolarlo, e calcolare il costo della manutenzione che  peserà su una società in  perdita.  Autostrade, oggi, non vale più niente. E i grillini, coi magistrati che hanno salvato i Benetton mettendo in galera i loro dipendenti invece che la famiglia, i mandanti, stanno facendo l’ultimo  regalone.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/le-autostrade-non-valgono-piu-niente/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

 

CULTURA

Nella tradizione la sola avanguardia

Pangea – 11 11 2020 – Gian Ruggero Manzoni

La cultura del ricordo è un fenomeno universale. La cultura del ricordo rimanda a un passato che deve dimorare, mai come oggi, nella coscienza di noi tutti. Non dimentichiamo che la memoria culturale si concentra attorno ad alcune figure simboliche (archetipiche) del passato, le più significative, che permettono il riconoscimento dell’identità degli appartenenti a un gruppo, a un popolo, a una determinata geografia, a un determinato territorio… un’identità che valica il dato quotidiano e assume un valore cerimoniale, un valore sacro, oserei liturgico, imperituro. Mediante tale liturgia, oltremodo rituale (e anche un’esposizione di artisti, che hanno poetiche simili, nella nostra visione del fare risulta “rito”), dicevo… mediante tale liturgia ne esce garantita la partecipazione alla memoria culturale che, da sempre, ha, però, alcuni detentori speciali (appunto cantori, poeti, sacerdoti, pittori, scultori, musicisti) che, innegabilmente, si differenziano, per ruolo, dai restanti membri della comunità. Storicamente questa differenziazione si è espressa in maniera netta (nelle civiltà antiche), ora in maniera (tristemente) sempre più sfumata. Inoltre non scordiamo che la memoria culturale fa acquisire alla vita umana una bidimensionalità/bitemporalità importantissima (Genius Loci-cielo/ Passato-presente) che permane in tutti gli stadi dell’evoluzione culturale: il mondo attuale è però pervaso da un’irresistibile e inesorabile avanzata verso l’unidimensionale, verso la globalizzazione (o mondializzazione), verso l’omologazione, l’omogenizzazione, in una continua “attualità” (termine che odio), e ciò, miseramente, si accompagna, appunto, al declino dell’importanza di quel sacro, eterno e, per essenza, immutabile, che ho sovra ricordato. L’unidimensionalità è una caratteristica del quotidiano e, in base a quello a cui ogni giorno assistiamo, implica la mancanza di grandi prospettive: invece il ricordo del passato sempre si traduce nell’aspettativa del ritorno di un’era etico-estetica “aurea”, più favorevole per l’uomo perché più vicina all’origine (anche se i positivisti-progressisti, dalla Rivoluzione Francese in poi, hanno creduto e quindi professato, erratamente, il contrario).

https://www.lintellettualedissidente.it/pangea/gian-ruggero-manzoni-tradizione/

Sempre nel passato, l’evoluzione temporale operò una grande trasformazione del “luogo del sapere” che, col procedere dei secoli, meno risiedette esclusivamente nel rito per scivolare nell’esegesi dell’immagine, poi nel simulacro (icona-totem-scultura), quindi nel testo. Nell’oggi questa prassi viene scientificamente definita come il passaggio dalla coerenza rituale alla coerenza testuale, transito che di solito si è venuto a verificare quando la società si è affrancata dalla ripetitività della celebrazione per infine definire un codice (un canone – una summa) che andasse a raccogliere l’intero flusso della tradizione. Mai come ora, in ambito visivo e plastico, il concetto di canone è fondamentale per determinare le categorie di appartenenza; infatti il suo corpus di regole rappresentative fonda e modella, ulteriormente, un’identità. Molti di noi occidentali, nonché non pochi euroasiatici, hanno opposto e ancora oppongono una strenua resistenza alla distruzione di quel canone accettato da secoli e secoli e secoli, quindi combattono, strenuamente e con valore, contro il cosiddetto “oblio della (propria) identità”. Non per nulla il tramonto di un’etnia risulta un vero e proprio crepuscolo collettivo, una tragedia, mentre l’intensificazione dell’identità di un determinato gruppo di “resistenti” si accompagna alla formazione di particolari componenti che saldano o rinsaldano i legami, così che quel piccolo insieme iniziale (quel “cenacolo di perseveranti”), unendosi ad altri, giunge prima o poi a ri-definirsi popolo… un popolo che, nell’apoteosi della conoscenza-coscienza, si riconosce, appunto, in un’unica matrice tradizionale.

L’unidimensionalità è una caratteristica del quotidiano e, in base a quello a cui ogni giorno assistiamo, implica la mancanza di grandi prospettive: invece il ricordo del passato sempre si traduce nell’aspettativa del ritorno di un’era etico-estetica “aurea”, più favorevole per l’uomo perché più vicina all’origine

Gian Ruggero Manzoni

Lo storico, antropologo e linguista tedesco Dietz Bering ha osservato che la memoria culturale oltre a riferirsi al concetto identitario di specifiche collettività (nazioni, comunità, famiglie, gruppi di fedeli, laici o religiosi che siano) risulta sempre ricostruttiva, perché non compie una ricognizione del passato alla ricerca di una verità generica o in modo disinteressato, bensì parte dal bisogno di identità nel presente quale ri-consolidamento del passato per ritrovare criteri stabilizzanti atti a dare forma compiuta, non liquida, non evanescente, al futuro (cioè, come diceva José Ortega y Gasset, “il futuro sta nel passato” o, come dico io, “nella tradizione dimora, sempre, l’unica avanguardia”). Del resto in una certa Europa (quella che amiamo) si attribuisce un’importanza straordinaria alla cultura della memoria. È possibile che in altri continenti (in particolare nelle Americhe e in Australia) ciò sia talora percepito come un’esagerazione, o, meglio, non sia capito, ma la memoria fa parte dei “miti fondanti” il nostro mondo (il Vecchio Mondo) sia del prima la Seconda Guerra Mondiale che del dopo. Infatti mai come in una certa Europa la cultura della memoria presenta sinergie interdisciplinari tanto forti ed effetti mediatici tanto grandi, e una buona parte dei territori di lingua germanica, ad esempio, ne sono una riprova, in modo che la cultura della memoria tedesca, nelle scienze del sapere, acquisisce un carattere esemplare per tutto l’Occidente.

Per dinamizzare la cultura della memoria europea ed euroasiatica, come ci suggerisce il filosofo e politologo russo Aleksandr Gel’evič Dugin, occorre una simultaneità di testimonianze primarie e secondarie del tempo. Tale fenomeno viene definito, in ambito socio-politico, “ostalgia” (cioè nostalgia), termine entrato ufficialmente nella lingua tedesca nel 1993 quando la Gesellschaft für Deutsche Sprache (la Società per la Lingua Tedesca) lo inserì nell’elenco delle dieci parole più rappresentative per indicare il sentimento melanconico sviluppatosi nei primi anni ’90 nella ex Germania Orientale a seguito della scomparsa del governo totalitario-assolutista presente in tale geografia, il quale, come ben sappiamo, dava continuità, seppure con colore diverso, a quello che lo aveva preceduto. L’egittologa e antropologa tedesca Aleida Assmann ha dedicato alla memoria culturale il suo principale studio, “Erinnerungsräume. Formen und Wandlungen des kulturellen Gedächtnisses” (1999), che, nell’edizione italiana, con una modifica del titolo, ha perso la connotazione spaziale a vantaggio della più generale funzione del riandare al passato col pensiero, divenendo “Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale” (2002). Questa scelta espunge tuttavia un importante fattore della concezione della Assmann, che intende la memoria culturale come il principio monumentale del sapere, il quale abbisogna di una interazione tra condizioni spaziali e temporali per potersi sedimentare e diventare patrimonio collettivo. A questa prima fondazione concettuale, che è nata da una più antica analisi della Assmann, sviluppata in collaborazione con Dietrich Harth nello studio “Kultur als Lebenswelt und Monument” (1991) – includendo la dicotomia tra una Lebenswelt (una “situazione esistenziale”) che si riferisce all’effimero, al vacuo, al quotidiano, all’“attuale”, e un Monument, che invece indica una permanenza di messaggi eterni, in quanto legati a valori che sempre più si consolidano nel tempo – si sono aggiunte le rielaborazioni dei principi fondativi della memoria, che implicano un’ulteriore e oltremodo interessante distinzione tra memoria individuale, memoria generazionale o epocale, memoria collettiva e memoria culturale. Infatti per la Assman la memoria configura, quale compresenza ‘viva’ di ciò che viene ricordato come importante, uno “spazio di coscienza” (Besinnungsraum) che si estende ampiamente nel passato. Del resto tra gli impegni dello studioso della memoria culturale si trova anche quello di osservare i fenomeni di trasformazione dei ricordi lungo l’asse della storia, con attenzione ai mutamenti generazionali. Quindi con identità collettiva (o identità in quanto “Noi”) intendiamo l’immagine che un gruppo costruisce di sé, tramite il suo progettare poi fare, e in cui i suoi membri credono e, di seguito, si identificano. Del resto l’identità collettiva è una questione di fusione a opera degli individui che vi hanno e vi fanno parte: non esiste “di per sé”, bensì sempre e solo nella misura in cui soggetti ben determinati e culturalmente elevati (una élite) la professano.

Ma quali i massimi nomi degli studiosi che hanno sostenuto tali tesi inerenti la rilevanza della memoria culturale? In ordine sparso Simonide, Harald Weinrich, Elie Wiesel, lo stesso Proust, Pierre Nora, Paul Ricoeur, Reinhart Koselleck, Nicolas Perthes, Jens Ruchatz, i quali hanno fatto della “narrazione della memoria” punto focale, cioè: radice, fondamento, sul quale ergere ogni possibile costruzione di pensiero, oppure ogni forma creativa. Tra gli artisti contemporanei che hanno imboccato tale strada mi piace qui ricordare personalità come Anselm Kiefer, Giulio Paolini, Christan Boltanski, il primo Carlo Maria Mariani, la compianta Louise Bourgeois, Mimmo Paladino, William Kentridge, Luigi Ontani, Raúl Hevia, Serena Gamba, Tony Oursler, Fernando De Filippi, il compianto Igor Mitoraj, Urs Fischer, Claudio Parmiggiani, Jan Knap, Fabio Viale, il compianto Vettor Pisani, Simone Pellegrini, che sono riusciti a rendere visibile l’assenza di qualità che domina l’odiato “attuale” insistendo sulle tante metafore dell’“abbandono”, laddove la presenza di libri o antiche immagini, nelle loro opere, diventa una forma di propiziazione della memoria sempre ritrovata e sempre “tonificata”, e ciò con la volontà di ristabilire le condizioni antecedenti “l’era meccanicistico-industriale”, assumendo, in tal modo, un carattere apertamente “reazionario”, nel significato alto del termine, cioè quello del: “porsi contro”, con tenacia e per indole ribellistica, a una vacua modernità tecnologica, tecnocratica e tecnicistica.

FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/pangea/gian-ruggero-manzoni-tradizione/

 

 

 

Così Houellebecq abbatte gli idoli progressisti

Michel Houellebecq recupera, incarna e prosegue la grande linea della letteratura francese che potremmo definire reazionaria.

Michel Houellebecq recupera, incarna e prosegue la grande linea della letteratura francese che potremmo definire reazionaria. Nessun paese come la Francia possiede infatti una cosi chiaro ed evidente, tracciato reazionario nella letteratura, il che non stupisce, come risposta ai droits de l’homme, al repubblicanesimo e, dopo il 1945 e per molti anni, all’egemonia marxista.

Bisogna naturalmente intendersi su cosa voglia dire reazionario e perché definiamo cosi il grande romanziere.

Non essendo critici letterari, e ben consci della difficoltà di utilizzare categorie politiche per comprendere le opere di fantasia, ci limiteremo alle prese di posizione pubbliche di Houellebecq, ora raccolte nel volume Interventions 2020 (Flammarion), una nuova edizione rispetto a quella uscita anni fa e arricchita di nuovi spunti, fino a prendere in considerazione la pandemia. Cosa significa reazionario?

Contrariamente alla vulgata di chi ha letto solo un paio di manuali, il reazionario non è colui che vuole tornare ad un regime precedente: da pessimista, e da anti-volontarista, è ben conscio dell’impossibilità di tutto questo. Il reazionario è piuttosto colui che re-agisce, si attiva, per frenare la corsa del tempo verso la direzione non di maggiore libertà ed eguaglianza, come vuole la religione progressista, ma di cancellazione dell’uomo, del suo spirito e pure dei suoi bisogni, dei suoi istinti. Il reazionario è a tutti gli effetti un conservatore e, almeno nella tradizione politica francese, i due termini finiscono per coincidere. Non v’è dubbio che tutta l’opera di Houellebecq sia una fredda, razionale, quasi asettica, disanima della distruzione delle radici e della identità e di quanto l’uomo nuovo, prodotto dalla tecnologia, sia impoverito rispetto ai secoli e ai millenni precedenti. «L’uomo è un infermo affettivo, incapace di interesse per gli altri, di compassione e di amore, profondamente egocentrico, definitivamente prigioniero di se stesso, si situa in questa zona crepuscolare tra la scimmia e l’umano». L’uomo moderno è quindi regredito, per Houellebecq, non biologicamente ma culturalmente, a uno stadio inferiore: il progresso non è sinonimo di bene, e anzi più spesso lo è di male. E non è che l’inizio, visto che il progetto dell’uomo moderno, convinto di essere più «avanti» rispetto ai suoi avi, spinge per il «controllo tecnologico assoluto sulla natura», per costruirne una nuova «su basi conformi alla legge morale».

Diversamente dallo stereotipo del reazionario, Houellebecq è immerso in questa modernità che, per altro, giudica orrenda: è uno scrittore metropolitano, del tutto estraneo alla tradizione bucolica di molta letteratura francese, e vuole approfittare della tecnologia, fino a voler farsi clonare non appena possibile. Che cosa può fungere da forza frenante rispetto a questa decadenza? Per Houellebecq quasi nulla. Non la politica: egli è uno scrittore tremendamente impolitico, come quasi tutti i grandi conservatori, ed è per questo che le sue intuizioni politiche sono più lucide. Non la letteratura: che non «serve a niente, se fosse servita a qualcosa la feccia di sinistra non avrebbe potuto neppure esistere». Può fungere da katéchon, da forza frenante, la religione. Houellebecq si dice ateo, ma si colloca su una linea anch’essa tipicamente francese, di «cattolici atei» non credenti confidanti nella religione come ultimo baluardo in difesa dello spirito e dell’uomo. Insieme all’interesse per la religione negli ultimi romanzi, anche gli interventi dei recenti anni, sempre qui raccolti, dimostrano un avvicinamento, almeno da un punto di vista intellettuale, di Houellebecq alla religione cattolica. Cattolica e non cristiana, visto il giudizio molto duro sul protestantesimo. Come Edmund Burke, Houellebecq è convinto che l’uomo sia di natura un «animale religioso» e quindi «ogni felicità è di origini religiosa, perché la religione offre la sensazione di essere legati al mondo di non essere uno straniero in un mondo indifferente», mentre l’età contemporanea, dominata dal nichilismo, esprime tutto «l’orrore di un mondo senza Dio».

Reazionario vuol dire conservatore, e viceversa, dicevamo. Il pezzo forte della raccolta, almeno per comprendere Houellebecq politico, è un saggio sul conservatorismo, che per scrittura e lucidità sarà da meditare a lungo. Con il tipico stile paradossale della sua prosa, Houellebecq scrive che il vero progressista è il conservatore, allo stesso modo che la pigrizia è «madre della efficacia». Il conservatore non condivide l’antropologia del progressista, che «vive in una sorta di epifania permanente, in cui tutto ciò che appare è buono solo per il fatto che appare». Il conservatore o nuovo reazionario, come scrive lo stesso Houellebecq, invece è abitato dalla «pigrizia», più attinente alla natura umana: non a caso nella società degli uomini i passaggi avvengono con «sforzo minimale» lentamente e gradualmente, al di là della retorica della rottura e della novità tipiche della modernità. Quella di Houellebecq è una antropologia, più che una filosofia, conservatrice: il conservatorismo è la visione del mondo più attinente la natura dell’uomo, che «come qualsiasi altro animale, non è fatto per vivere in un mondo costantemente variabile. L’idea di un cambiamento permanente rende la vita impossibile». Da qui l’ostilità alle retoriche del globalismo, da quella dell’immigrazione come fonte di ricchezza («gli immigrati meno integrati sono quelli più apprezzati», come i cinesi) a quella della Ue: «una idea nefasta o meglio stupida, che si è poco a poco trasformata in un brutto sogno». Dalle spire demoniache della modernità – questa è la lezione di tutta l’opera di Houellebecq – non si sfugge tuttavia scappando ma solo immergendosi in essa, per criticarla, smontarla e combatterla fino in fondo.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/cos-houellebecq-abbatte-idoli-progressisti-1901385.html

 

 

 

ECONOMIA

L’assalto alle pensioni

Di ConiareRivolta.org

Nel pieno dell’emergenza sanitaria e delle sue terribili conseguenze socioeconomiche, di pensioni, negli ultimi mesi, si era stranamente parlato poco. A occuparsene, in maniera non rassicurante, erano rimaste solo le istituzioni europee, subordinando ad un loro taglio la scialuppa di salvataggio che dovrebbe salvare le economie dei paesi membri. A parte questo, uno dei temi sociali più martellati dal legislatore negli ultimi trent’anni era finito per un po’ in soffitta. Eppure, il tempo scorre anche per il sistema previdenziale e tornano gli spettri del recente passato.

Il triennio sperimentale della cosiddetta “quota 100” volge ormai al termine e l’ultimo anno in cui sarà possibile beneficiarne sarà il 2021. Dal 2022 si torna ai fasti del precedente status quo, fissato in via definitiva dalle Leggi Sacconi-Tremonti e poi dalla Legge Fornero nel 2011: si potrà così andare in pensione di vecchiaia a 67 anni, con almeno 20 anni di contributi, oppure usufruire della pensione anticipata con 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Requisiti che sono soggetti, come noto, al continuo adeguamento sulla base della speranza di vita e che, al momento, resteranno validi fino al 31 dicembre 2022.

Si sgretola così il castello di sabbia della “riforma” pensionistica del governo penta-leghista che aveva previsto, proprio per il suo tassello più importante, una durata a tempo determinato, dimostrando così l’inconsistenza di una riforma già debole e parziale nei suoi contenuti.

In assenza di misure correttive, dal 1° gennaio 2022 anche chi ha raggiunto i fatidici 62 anni di età e 38 anni di contributi sarebbe costretto ad attendere altri cinque anni per poter aspirare all’agognato riposo. Un terribile scalone sopra le teste di centinaia di migliaia di lavoratori.

Il governo attuale, dai primi mesi della nuova legislatura, specie tramite dichiarazioni del Ministro dell’Economia, aveva lasciato intendere più volte che quota 100 non sarebbe stata rinnovata, tacciandola di misura iniqua e finanziariamente insostenibile e rispolverando i peggiori luoghi comuni sul presunto conflitto intergenerazionale che la misura generava tra giovani e vecchi, penalizzando i primi a beneficio dei secondi. Dentro e fuori dall’ambiente governativo, nella cerchia dei più fanatici sostenitori del rigore finanziario e della compressione dello stato sociale, negli ultimi due anni si è scatenata una vera caccia alle streghe contro quota 100, diventata all’improvviso la fonte di tutti mali.

Si è distinto di recente per lucida volgarità argomentativa un editoriale de “Il Foglio” a cura del direttore Claudio Cerasa, puntualmente rilanciato dal solito Marattin di Italia Viva. Secondo Cerasa, il pensionamento anticipato di personale sanitario e scolastico avrebbe comportato una grave carenza di organico che, al momento dello scoppio della crisi sanitaria da Covid-19, si sarebbe poi manifestata in tutta la sua drammaticità. Insomma, decenni di assunzioni bloccate nella scuola e nella sanità, decine di migliaia di giovani in attesa di inserimento dopo le scuole di specializzazione in medicina o dopo i concorsi di abilitazione per l’insegnamento costretti a lunghi periodi di precariato, circa 10.000 laureati in medicina che non avranno una borsa di specializzazione e non potranno andare nei reparti, una classe medica sempre più anziana (come certificato – pagina 27 – dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio), e, quindi, sempre più a rischio nella battaglia contro il virus, d’un tratto scompaiono dalla realtà e il problema di un organico ridotto all’osso diventa il pensionamento anticipato di qualche migliaio di medici e insegnanti. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.

Sulla stessa linea Davide Faraone, Presidente dei senatori di Italia Viva, che così argomenta:

La doppia fregatura. Anzi il doppio pacco che ci ha lasciato il governo gialloverde. Che oggi, alla luce dell’emergenza Covid-19, non solo è una beffa, è soprattutto la dimostrazione che il populismo non fa bene alla salute. I dati sono pubblici e fanno male. E sono dell’Inps. Parlo di Quota 100. Bene, con questa misura costosissima che ha ipotecato il futuro delle nuove generazioni, sono andati in prepensionamento 7.225 dipendenti del sistema sanitario nazionale. Morale della favola, in un momento così drammatico, con una carenza di personale sanitario di migliaia e migliaia di donne e uomini, abbiamo 7 mila sanitari in meno. In più, se fossero rimasti al lavoro quei soldi sarebbero potuti servire per assumere giovani medici, giovani infermieri, più operatori per le ambulanze… insomma, più sicurezza sanitaria per i cittadini. E invece no. Il populismo ha fatto un altro danno. E questa volta è davvero un danno grave“.

In poche righe esce fuori tutta la miseria delle argomentazioni liberiste, nelle quali al mito della scarsità delle risorse – in un paese con il 10% ufficiale di disoccupati e centinaia di migliaia di sottoccupati e occupati precari – si unisce il mito del fardello della spesa pensionistica che ricadrebbe sulle giovani generazioni.

Così la crociata liberista contro quota 100 continua! Una battaglia tutta ideologica, a ben vedere, data la natura in verità sbiadita e temporanea della misura, finalizzata a preparare il terreno culturale e politico per richiudere quanto prima il dibattito pensionistico sui binari dell’ineluttabilità delle riforme restrittive scolpite nella pietra e che nessuno deve osare discutere. Nel contempo, tuttavia, il governo si è dovuto in qualche modo confrontare con il rischio sociale (e di tenuta di un consenso già molto fragile), rappresentato dalla brutalità dello scalone determinato dalla fine della misura, denunciato a più riprese anche dai sindacati confederali.

Nella Nadef viene così abbozzata una misura che è un pannicello caldo, quota 102. Si tratterebbe di una replica di quota 100 spostata però due anni in avanti per quanto riguarda il requisito anagrafico che da 62 viene elevato a 64. Resterebbero i 38 anni di contribuzione minima. Non è dato sapere al momento se la misura sia pensata come strutturale o nuovamente come palliativo a tempo determinato. C’è però già qualche voce tristemente nota per i lavoratori e i pensionati che mette le mani avanti auspicando un provvedimento temporaneo. Si parla poi della possibile estensione del pensionamento con 41 anni di contribuzione, oggi limitato ai lavoratori precoci che rispettino determinati requisiti, anche ai cosiddetti «lavoratori fragili», identificati in alcune categorie di persone malate, o che non possono prestare attività lavorativa perché giudicati inidonei al lavoro o che siano stati licenziati per superamento del periodo di comporto (6 mesi), e coloro che sono impegnati in settori con un più alto rischio di contagio come la sanità e i trasporti. Una misura, insomma, non universale, ma selezionata per categorie specifiche.

L’impressione è che il governo propenda ancora una volta per misure tampone. La predilezione per questo tipo di misure, va sottolineato, non è un semplice capriccio della nostra classe politica, ma la conseguenza di scelte deliberate. Le sue cause vanno ricercate in un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, vi è l’obbligo di rispettare gli stringenti vincoli alla spesa pubblica dettati dai Trattati europei: ciò impedisce di pensare a forme di pensionamento “anticipato” strutturali. In secondo luogo, manca la volontà politica di accorciare la vita lavorativa, perché una tale scelta, garantendo reddito negli anni più avanzati dell’esistenza di una persona, significherebbe fondamentalmente stimolare l’occupazione, anche quella giovanile, con tutto ciò che questo comporta a livello di conflitto distributivo.

A dispetto delle intenzioni dichiarate nel gennaio 2020, con l’apertura di tavoli di discussione con il mondo sindacale al fine di approntare nuove forme strutturali di flessibilità in uscita e risolvere i più gravi problemi di insostenibilità sociale degli striminziti redditi pensionistici attesi, sembra proprio che non vi sia nulla di nuovo sotto il sole.

La già di per sé peggiorativa (rispetto a quota 100) quota 102 e la timida estensione dei 41 anni per la pensione anticipata non risolvono in alcun modo i nodi più gravi del sistema previdenziale per come è stato costruito dal 1995 in poi. La coesistenza del sistema contributivo con carriere lavorative precarie e bassi salari condurrà da qui ai prossimi anni a pensioni misere, sia come percentuale del salario medio percepito sia in termini assoluti. Una situazione che tocca livelli di indecenza per i lavoratori dipendenti e autonomi o falso-autonomi con carriere precarie e discontinue, che in alcuni scenari potrebbero ritrovarsi con pensioni pari al 30-40% del reddito medio percepito. In questo quadro strutturalmente così fosco, suona quasi come una beffa discutere animatamente e spesso sentire osteggiare con tanto accanimento timidissime forme di mera flessibilità in uscita. Queste ultime, infatti, per la logica insita nel sistema contributivo – meno anni di contribuzione e più anni di aspettativa di vita dopo il pensionamento equivalgono ad un taglio dell’assegno pensionistico – si risolvono sempre in una decurtazione di pensioni già molto basse. Si baccaglia per qualche provvedimento sulle briciole mentre la pagnotta a poco a poco scompare.

Oltre a promuovere sacrosante, strutturali e ben più serie forme di uscita flessibile dal lavoro e accesso ai diritti pensionistici, occorrerebbe con urgenza una rivisitazione generale dell’impianto del sistema previdenziale che rimetta al centro del dibattito l’entità della pensione. Una battaglia che non può che essere condotta in parallelo a quella per redditi da lavoro dignitosi e stabili nella chiara consapevolezza che il diritto alla pensione è la naturale prosecuzione del diritto al lavoro e il diritto al lavoro è la premessa sostanziale del diritto alla pensione.

Di ConiareRivolta.org

Titolo originale: “Pensioni: tanto rumore per poche briciole, mentre la pagnotta scompare” – https://coniarerivolta.org/2020/11/08/pensioni-tanto-rumore-per-poche-briciole-mentre-la-pagnotta-scompare/

FONTE: https://comedonchisciotte.org/lassalto-alle-pensioni/

Hai un box? Adesso arriva la “botta”

Nel calcolo della superficie catastale utile ai fini della Tari inciderà non solo la superficie dell’abitazione ma anche quella di box e garage. Per chi scatta l’aumento

Superfici di box auto, cantine, depositi e autorimesse con accesso autonomo sulla strada incideranno sul calcolo della Tari.

Un’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate basata sulla Legge di Stabilità ha stabilito che gli spazi sopra citati sono a tutti gli effetti unità immobiliari a sé stanti. E che dunque la tassa sui rifiuti riguarderà tanto le abitazioni principali quanto le suddette pertinenze.

Che cosa cambia

Il ragionamento dell’Agenzia è chiaro: laddove sia presente una sola unità immobiliare residenziale unita a cantine o autorimesse, anche quest’ultimo spazio extra deve essere individuato “di norma come area esclusiva dell’abitazione“. Detto altrimenti, per il calcolo della superficie catastale utile ai fini della Tari inciderà non solo la superficie dell’abitazione ma anche quella di box e garage.

È tuttavia doveroso fare delle precisazioni. Nel caso dei condomini, quando i depositi e i magazzini (che rientrano nella categoria catastale C/2) o le autorimesse (categoria C/6) possiedono un accesso autonomo “da strada o da corte esclusiva o da parti comuni“, questi spazi costituiscono “unità immobiliari a sé stanti” e come tali dovranno essere classificati nelle dichiarazioni di nuova costruzione.

Ma se depositi e cantine dovessero comunicare direttamente con le abitazioni, sarebbero invece da considerare a tutti gli effetti pertinenze. In tal caso, ha precisato l’Agenzia, “rientrano di norma nella maggiore consistenza delle unità immobiliari cui risultano correlate, in quanto prive di autonomia funzionale e reddituale“.

Quando scatta l’aumento Tari

Alla luce di tutto ciò, come ha sottolineato Il Sole 24 Ore, la Tari potrebbe subire un aumento. Il motivo è presto detto: la tassa sui rifiuti sarà calcolata prendendo in considerazione il dato della superficie catastale, comprendente tanto le abitazioni principali che le relative pertinenze.

Non sempre scatterà l’aumento. Nelle aree comuni delle abitazioni monoresidenziali non c’è, ad esempio, l’obbligo di ricondurre box e depositi alle aree esclusiva se in precedenza erano stati iscritti nella categoria dei beni comuni non censibili. I box di condominio, in caso di nuova costruzione, saranno considerati unità indipendenti – ovvero produttivi di relativo reddito – solo se presentano un accesso autonomo (dalla strada, da una corte privata o da altre parti comuni dello stabili).

Sempre nel caso dei box di condominio, ha sottolineato La legge per tutti, se la costruzione è già esistente, lo scorporo dall’immobile (e relativa variazione catastale) avverrà soltanto in caso di interventi edilizi che abbiano inciso sulle caratteristiche e sulla destinazione d’uso dello spazio.

FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/economia/avete-box-auto-aumento-tari-vista-1902619.html 

 

 

LA LINGUA SALVATA

Nihil difficile volenti

Vocabolario on line

nihil difficile volenti ‹nìil diffìčile …› (lat. «niente è difficile a chi vuole»).

Motto citato anche nelle varianti nihil volenti difficilevolenti nihil difficile, con cui si vuole affermare che con la forza di volontà si vincono facilmente gli ostacoli e si superano le difficoltà.

La frase, che non si trova negli autori latini, è forse esemplata su una simile di Cicerone, nihil difficile amanti puto (Orator 10), ed è stata spesso adottata come motto araldico.

Si legge inoltre in Rousseau (Èmile, ediz. Amsterdam 1762, t. III, p. 226), nella forma volenti nihil difficile.

FONTE: https://www.treccani.it/vocabolario/nihil-difficile-volenti/

 

 

 

Africa: trappola malthusiana ed esplosione demografica

La popolazione africana sta subendo un’esplosione demografica senza precedenti. Se nel 1960 contava meno di 300 milioni di abitanti (285 per l’esattezza) oggi si attesta a circa un miliardo e duecento milioni di persone. Secondo le stime dell’Onu in pochi decenni essa raddoppierà, passando nel 2050 a 2 miliardi e 500 milioni di persone. 

Secondo la teoria economica della cosiddetta “transizione demografica”, ogni popolazione umana tende a transitare da una situazione iniziale caratterizzata da elevata mortalità e alta fecondità a una contraddistinta da scarsa mortalità e bassa fecondità. Il passaggio dalla prima alla seconda avviene con un’iniziale riduzione del livello di mortalità, cui fa seguito un consistente aumento del tasso di crescita demografica, che si attesterà presto intorno allo zero grazie a una riduzione del livello di fecondità, completando così il percorso della transizione demografica.

A innescare tale processo sono generalmente migliori condizioni igienico-sanitarie e di salute, che ingenerano un declino del tasso di mortalità; ne segue un mutamento di stile di vita della popolazione adulta, che rivolgerà ai figli maggiori cure e aspettative e sceglierà spontaneamente di pianificare una riduzione delle nascite. Come dimostra il grafico sopra, esiste una relazione inversa molto forte tra reddito e crescita demografica.

Questa transizione, avvenuta nel XIX e nella prima parte del XX secolo nei paesi sviluppati, nella seconda parte del secolo scorso si è estesa a molti dei paesi in via di sviluppo, ad eccezione proprio dell’Africa.

L’Africa subsahariana costituisce un unicum nel panorama demografico contemporaneo dove, a fronte di una mortalità che ha conosciuto una diminuzione generalizzata negli ultimi decenni, persiste un tasso di fecondità tra i più elevati nel mondo.

È venuta a concretizzarsi  una spirale nefasta, nota come “trappola malthusiana”, che rende impossibile adeguare l’aumento della produzione e delle risorse alimentari in modo da compensare il forte incremento della domanda legato alla crescita della popolazione, e condanna il paese a una situazione di stagnazione economica.

Per spezzare la trappola malthusiana in cui si trovano gran parte dei paesi dell’Africa subsahariana sono necessarie politiche economiche e sociali orientate alla qualificazione della forza lavoro e all’educazione sessuale della popolazione, altrimenti l’unica via di fuga per una fetta sempre più ampia di giovani condannati alla disoccupazione rimarrà quella dell’emigrazione, che non fa altro che aggravare la condizione di sottosviluppo del continente. Abbandonare la propria terra e rinunciare a ogni possibilità e speranza di sviluppo dell’economia locale non è la soluzione, ma parte del problema.

 

(tratto da I coloni dell’austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni di massa)

FONTE: https://ilariabifarini.com/africa-trappola-malthusiana-e-migrazioni-di-massa/

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Macron prende a schiaffi Conte Quella mossa che umilia l’Italia

Macron appare irritato per la mancata azione di filtraggio dell’Italia in occasione dell’attentato di Nizza e non ha invitato Giuseppe Conte a una conferenza sulla sicurezza in cui, oltre al cancelliere austriaco Kurz, erano presenti i vertici di Germania, Paesi Bassi e Ue

Dopo gli attacchi subiti in casa propria, Francia e Austria hanno avviato un’intesa fase di confronto sulla sicurezza in Europa. Non a caso ieri il presidente Macron ha visto all’Eliseo il cancelliere Sebastian Kurz. E assieme hanno dato vita a una videoconferenza sulla sicurezza nel vecchio continente.

Dall’altra parte dello schermo c’erano il cancelliere tedesco Angela Merkel, il premier olandese Mark Rutte, nonché il presidente della commissione europea Ursula Von Der Leyen e il presidente del consiglio europeo, Charles Michel. Nessun altro. Nemmeno il presidente del consiglio italiano, Giuseppe Conte.

Roma esclusa

L’Italia dunque in questa tornata è stata lasciata ai margini. Da Parigi hanno fatto sapere, tramite una nota dell’Eliseo, che l’intento era quello di coinvolgere inizialmente soltanto i leader di Paesi che hanno già subito attacchi terroristici. E che, dopo questa prima fase, si apriranno le vere discussioni all’interno delle sedi comunitarie. Anche perché la Francia nel 2022 assumerà la presidenza di turno dell’Ue e Macron per quella data vorrebbe arrivare con un nuovo piano di sicurezza pronto e approvato.

Ma la spiegazione fornita dai francesi è apparsa in realtà solo un modo per spegnere sul nascere possibili polemiche con altri governi non invitati. A partire proprio dal nostro. L’assenza dell’Italia potrebbe non essere stata dettata dalla volontà di Parigi di aprire soltanto in un secondo momento il dialogo in sede comunitaria. Al contrario, potrebbe essere figlia di un’esplicita scelta volta a tener fuori Roma dopo l’attentato di Nizza.

Un’azione quest’ultima provocata da un terrorista tunisino sbarcato il 27 settembre a Lampedusa. In linea di logica, se Macron volesse dar vita quanto prima a una discussione sulla sicurezza, avrebbe dovuto iniziare proprio dal dialogo con il capo del governo del Paese di primo approdo dei migranti. E invece l’Italia è stata messa, ancora una volta, da parte. Una decisione politica in cui il segnale è ben evidente: Roma non ha fatto da filtro e adesso sulle discussioni che contano la Francia è pronta a rispolverare l’asse con la Germania.

Venerdì il ministro dell’Interno transalpino è stato al Viminale, ha parlato con l’omologa italiana Luciana Lamorgese ed è stata smentita qualsiasi irritazione da parte francese verso Roma. Così come è stata dichiarata unità d’intenti sulla sicurezza e la volontà di Parigi di far pressione sulla Tunisia affinché diminuisca la pressione migratoria sull’Italia.

Un clima disteso dunque nel bilaterale, che però non è evidentemente bastato per evitare l’esclusione del nostro Paese dai primi dialoghi sulla sicurezza. Una circostanza politica da non sottovalutare, anche in vista di altri importanti incontri futuri in sede comunitaria: “Altro che buoni rapporti con l’Europa: questo governo si conferma incapace, pericoloso e senza credibilità”, ha rimarcato dall’opposizione l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Il piano di Macron

Intanto il piano a cui sta pensando il presidente francese dovrebbe prendere forma già nei prossimi mesi. In particolare, come accennato dal Corriere della Sera, si dovrebbe andare verso uno sviluppo delle banche dati comuni, così come dello scambio di informazioni tra i vari Paesi Ue.

Per Macron sarebbe essenziale una vera e propria rimodulazione del trattato di Schengen, da Parigi sono filtrate anche indiscrezioni sull’idea di una creazione di un nuovo Consiglio di sicurezza interno il cui obiettivo sarebbe quello di vigilare sul controllo effettuato dai Paesi europei di primo approdo dei migranti. Impossibile non vedere in quest’ultima circostanza un preciso riferimento all’Italia.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/italia-esclusa-vertice-sulla-sicurezza-europeo-organizzato-1902612.html

 

 

COVID: coprifuoco a che scopo?

Stupefatti, i francesi hanno appreso che una misura di ordine pubblico, il coprifuoco, è efficace per prevenire un’epidemia. Ognuno di noi, sapendo che non esiste un virus che si metta in pausa rispettando orari fissati per decreto, pone una domanda che infastidisce: perché un coprifuoco?

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Il presidente Emmanuel Macron ha scelto i giornalisti di punta di France2 e di TF1, Anne-Sophie Lapix e Gilles Bouleau, per essere intervistato sul COVID-19. Nell’occasione, il presidente ha annunciato la misura sanitaria del coprifuoco.

Parecchi Paesi occidentali pensano di essere di fronte a una nuova ondata dell’epidemia di COVID-19. Le popolazioni – che hanno già molto sofferto, non per la malattia, ma per le misure adottate per proteggerle – accettano con difficoltà nuove misure di ordine pubblico, adottate in nome di ragioni sanitarie. È l’occasione per fare un’analisi dei comportamenti.

Chi governa sa che dovrà rendere conto di quanto fatto e di quanto non fatto. Per contenere la malattia, ma soprattutto per la pressione del futuro giudizio, i governanti hanno dovuto agire. Come hanno elaborato la propria strategia?

Si sono basati sui consigli degli specialisti (medici, biologi e statistici). Ma presto, all’interno di ciascuna disciplina gli esperti si sono divisi, sicché i governanti hanno dovuto decidere chi seguire. Ma in base a quali criteri hanno scelto?

Molte incertezze

Le opinioni pubbliche sono convinte:
- che il virus si trasmette attraverso le goccioline respiratore;
- che le contaminazioni possono essere limitate indossando mascherine chirurgiche e mantenendo una distanza di almeno un metro dagli interlocutori;
- che le persone malate possono essere individuate attraverso test diagnostici PCR.

Gli specialisti invece sono molto meno categorici. Alcuni infatti sostengono:
- che la trasmissione del virus avviene non tanto attraverso le goccioline respiratorie, ma soprattutto attraverso l’aria che respiriamo;
- che, di conseguenza, le mascherine chirurgiche e il distanziamento sociale non servono a nulla;
- che i test PCR danno risultati diversi secondo i laboratori che li eseguono; di conseguenza, le statistiche cumulative sommano dati disomogenei.

Così, a dispetto dei messaggi rassicuranti, regna ancora la massima confusione sulle connotazioni dell’epidemia.

Che fare?

Il problema con cui i governanti hanno dovuto confrontarsi era nuovo. Non essendo stati in alcun modo preparati, si sono perciò rivolti agli specialisti. Se i consigli dei primi scienziati sono stati chiari, tutto è diventato complicato quando altri scienziati hanno contraddetto i primi. I governanti ne sono stati sopraffatti.

I politici non hanno potuto che reagire in base alla propria esperienza politica, che ha loro insegnato che bisogna proporre sempre qualcosa più degli avversari: non lo 0,5% di aumento delle retribuzioni promesso dai concorrenti, bensì lo 0,6%, pronti però a trovare una scusa per non mantenere la promessa. Di fronte all’epidemia, presi alla sprovvista si sono lanciati in una gara con i Paesi vicini: chi sapeva adottare le misure più drastiche dimostrava la propria superiorità. Ma soprattutto hanno mascherato la propria incompetenza ricorrendo a misure autoritarie.

I tecnocrati non hanno potuto che reagire in base all’esperienza del corpo burocratico cui appartengono, maturata di fronte alle grandi catastrofi. Ma è difficile adattare a una crisi sanitaria le esperienze acquisite lottando contro inondazioni o terremoti. È stato perciò naturale per loro rivolgersi alle strutture di sanità pubblica esistenti. Nel frattempo, i responsabili politici hanno creato nuove strutture che sono andate a sovrapporsi alle esistenti, ma non hanno precisato le rispettive competenze. Sicché, invece di unire gli sforzi, ognuno ha cercato di salvaguardare il proprio orticello.

Se i governanti fossero stati scelti per autorevolezza, ossia per fermezza e attenzione al prossimo, avrebbero affrontato il problema appoggiandosi sulla propria cultura generale.

In tal caso, avrebbero saputo che i virus per sopravvivere hanno bisogno di persone da infettare: nelle prime settimane dell’irruzione, per quanto mortale sia, il COVID-19 non cercava di distruggere l’umanità, ma vi si stava adattando. Raggiunto lo scopo, la letalità si sarebbe abbassata rapidamente e non ci sarebbe stato un nuovo picco dell’epidemia. Una “seconda ondata” sarebbe apparsa improbabile. Infatti, da quando sappiamo distinguere i virus dai batteri mai si è osservata una malattia virale dispiegarsi in più ondate.

Le recrudescenze cui oggi assistiamo, per esempio negli Stati Uniti, non sono ulteriori piccole ondate: indicano invece l’arrivo del virus in nuovi strati di popolazione cui non si è ancora adattato. La somma del numero dei malati su scala nazionale maschera la ripartizione a livello geografico e sociale.

Peraltro, non sapendo come il virus si trasmetta, questi governanti avrebbero supposto che lo faccia alla stregua di ogni altra malattia virale respiratoria: non attraverso le goccioline respiratorie, bensì attraverso l’aria che si respira. Avrebbero altresì saputo che in tutte le epidemie virali la maggior parte dei decessi non è imputabile al virus, ma alle malattie opportuniste che sopraggiungono con l’occasione. Sicché avrebbero deciso di raccomandare a tutti la frequente aerazione dei luoghi in cui si vive e d’imporla alle amministrazioni. Avrebbero altresì raccomandato a tutti non già di disinfettarsi le mani, ma di lavarle il più spesso possibile. A tale scopo avrebbero installato ovunque possibile punti per poterlo fare.

Del resto, sono queste le due principali misure consigliate dall’OMS all’inizio dell’epidemia, quando l’isteria non si era ancora sostituita alla riflessione: non l’obbligo di mascherine chirurgiche, non disinfezioni, non quarantena di persone sane, tantomeno il loro isolamento.

La scienza non ha risposte definitive, suscita solo domande

Il modo in cui i media hanno messo in scena gli scienziati dimostra la manifesta incomprensione della natura della scienza, che non è somma di saperi, ma processo di conoscenza. Abbiamo potuto verificare quanto la pratica attuale sia pressoché totalmente incompatibile con lo spirito scientifico.

È assurdo pretendere da scienziati un rimedio a quanto ancora non conoscono, dal momento che hanno appena iniziato a studiare il virus, la sua modalità di propagazione, nonché i danni che causa. Ed è pretenzioso da parte degli scienziati aderire a simili richieste.

Un cambiamento della società

Alcune delle misure adottate quando il virus ha fatto irruzione si possono spiegate con errori di valutazione. Per esempio, il presidente Emmanuel Macron ha messo in atto il confinamento generale dopo essere stato fuorviato dalle statistiche catastrofiche di Neil Ferguson (Imperial College di Londra) [1], che annunciava almeno 500 mila morti in Francia. Le statistiche ufficiali – benché si sappiano sopravvalutate – dicono che la mortalità è stata 14 volte inferiore. Retrospettivamente si può affermare che una così pesante limitazione delle libertà personali non era giustificata.

Ma la decisione, dopo pochi mesi, di un coprifuoco per una lieve crescita del numero dei morti è, in Stati democratici, incomprensibile: tutti hanno potuto constatare che la malattia è molto meno letale di quanto si temesse e che il periodo più pericoloso è passato. Nessun dato attuale giustifica questa limitazione delle libertà personali.

Il presidente Macron ha giustificato la misura parlando di una seconda ondata, che tuttavia non esiste. Se ha preso questo provvedimento sulla base di un’argomentazione così poco convincente, quando lo revocherà?

È d’obbligo osservare che questa volta non può trattarsi di errore di valutazione, bensì di politica autoritaria che prende a pretesto una crisi sanitaria [2].

NOTE

[1] “COVID-19: Neil Ferguson, il Lyssenko liberale”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 19 aprile 2020.

[2] “Il COVID-19 e l’Alba Rossa”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 aprile 2020.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article211415.html

 

 

 

Esce l’agenda del “paciere” Biden: priorità all’aborto

Pubblicate le priorità abortiste del candidato democratico: così, mentre certi cattolici si preoccupano di giustificare il voto ad un partito radicale, sostenendo che Biden è aperto al dialogo necessario per riportare la pace in un’America divisa, non comprendono che la guerra è nata con l’aborto e l’egoismo a norma (come spiegò Madre Teresa di Calcutta). Trump ha solo deciso di reagire all’attacco, motivo per cui il nemico ora mostra tutta la sua violenza.
– AVVENIRE ADULA BIDEN TRAVISANDO FEDE E LAICITÀdi Stefano Fontana

 

Diversi cattolici in Usa hanno votato Biden (le stime parlano di 49 per cento contro 50) perché cattolico praticante, preferibile ad un uomo che, secondo loro, con i suoi muri e la sua incapacità di dialogo ha contribuito a rendere gli Usa un territorio di guerriglia civile perenne.

Lo scontro fra repubblicani e democratici, infatti, non è mai stato così acceso. E, appunto, la colpa la si dà a Trump. Meglio quindi un membro moderato della sinistra che dà la parvenza di saper dialogare con ogni parte, si legge negli editoriali e commenti di alcuni intellettuali cattolici, come quello di Mauro Magatti su Avvenire, che un guerra-civile-fondaio. Illudendosi così che i prossimi anni serviranno alla pace sociale (clicca qui per un approfondimento dell’articolo di Magatti). Costoro considerano che per Biden la questione dell’aborto sarebbe da ritenere secondaria.

Peccato che le cose non stiano proprio così: infatti, Lifenews ha pubblicato un documento della squadra di transizione di Biden sulle sue priorità. Il documento è netto e rivela che per il dem l’aborto non è assolutamente una questione secondaria ma, appunto, un’urgenza, solo che all’inverso del presidente repubblicano.

Ecco alcuni punti del documento: invertire le azioni di Trump sull’aborto e l’assistenza sanitaria riproduttiva, tra cui lo stop della Mexico City Policy, il ripristino dei finanziamenti a Planned Parenthood (colosso abortista miliardario) e la copertura contraccettiva prevista dall’ACA (Affordable Care Act, comuneme te conosciuto come Obamacare).

La Mexico City Policy, introdotta per la prima volta dal presidente Ronald Reagan, richiede alle organizzazioni non governative straniere di non “eseguire o promuovere attivamente l’aborto come metodo di pianificazione familiare”, ma oggi è anche più incisiva di prima dato che Trump l’ha espansa, vietando anche alle organizzazioni straniere che ricevono finanziamenti federali per la salute globale di promuovere o eseguire aborti all’estero.

Ancor peggio però è la volontà di Biden di ripristinare immediatamente l’ACA, abrogato dall’amministrazione repubblicana poiché prevedeva che le istituzioni anche religiose pagassero ai propri dipendenti e utenti assicurazioni che forniscono l’aborto e la contraccezione (compresi gli ordini come le Little Sisters of the Poor, il cui apostolato è la cura degli ultimi, precedentemente in causa contro il governo Obama). Il che sarebbe una minaccia enorome alla distensione fra le parti (le cause contro il governo furono moltissime) e alla libertà religiosa anche di ospedali, scuole e università cristiane o di aziende i cui proprietari non vogliono collaborare materialmente all’aborto.

Eppure quando si fa notare ai cattolici che hanno votato per Biden che il democratico, pur partecipando alla Messa domenicale non rispetta la morale naturale difesa dalla Chiesa, schierandosi non solo a favore dell’aborto (anche fino al nono mese) ma persino del cambiamento di sesso dei bambini o delle cosiddette “nozze” omosessuali (per cui chi non le risconosce viene perseguitato da leggi sull’omofobia), questi si difendono rispondendo che sebbene Trump non abbia favorito l’aborto ha danneggiato i bambini immigrati, separandoli dalle loro famiglie. Non importa se la poltica immigratoria serva a tutelare, oltre che il territorio nazionale, proprio i bambini.

Il National Review spiegò bene quello che accade quando gli immigrati superano illegalmente, insieme ai bambini, il muro sul confine con il Messico (alla cui costruzione parteciparono anche le passate amministrazioni democratiche): “L’amministrazione Trump non sta cambiando le regole che riguardano la separazione di un adulto dal bambino.. La separazione avviene solo se i funzionari scoprono che l’adulto sostiene falsamente di essere il genitore del bambino, o se rappresenta una minaccia per il bambino, o quando viene coinvolto in un procedimento penale”. Spesso, infatti, questi adulti sfruttano i bambini che non sono loro oppure li usano per il traffico di droga. In questi casi, continua il giornale, i bambini vengono separati per alcune ore dagli adulti che li accompagnano per essere interrogati, come accade sempre in ogni Stato quando un adulto, con bambino a presso, delinque.

Ad ammettere quanto la pratica sia diffusa non è stato solo il National Review ma perfino il New York Times che viene citato nell’articolo: “Alcuni migranti hanno ammesso che portano con sé i figli non solo per toglierli dal pericolo di certi paesi come il Centro America o l’Africa ma perché pensano che questo spinga le autorità a rilasciarli in tempi più brevi. Altri hanno ammesso di aver finto di essere genitori di bambini che non erano i loro e gli ufficiali hanno dichiarato che questi casi di frode sono in aumento”.

Dopo aver ridimensionato la retorica del Trump ipocrita che difende la santità della vita ma che colpisce i piccoli immigrati (e che è così razzista che il voto degli Afro-americani e degli Ispanici per Trump è cresciuto rispetto al 2016) occorre però tornare alla questione dell’aborto per far comprendere chi abbia davvero innescato la guerra in corso, se Trump o il pensiero e la politica liberal. Ed occorre farlo con le parole di colei che più di tutti ha consumato la sua esistenza fra gli ultimi, non donando i suoi soldi ma la propria vita.

Santa Madre Teresa di Calutta parlò così nel 1979 mentre ritirava il Premio Nobel per la pace“Io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta – un’uccisione diretta – un omicidio commesso dalla madre stessa…oggi il più grande mezzo – il più grande distruttore della pace è l’aborto…Tante persone sono molto, molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa dove tanti ne muoiono, di malnutrizione, fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è ciò che è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla”.

La guerra in Usa è iniziata da decenni solo che non la si vedeva perché il nemico, avendo la strada spianata da una opposizione quasi inesistente, poteva agire indisturbato. E così, mentre oltre 60 milioni di bambini sono morti ammazzati dalla madre con la complicità della legge e della cultura, anche le famiglie, la solidarietà, la gratuità fra le persone sono andate sempre più disfacendosi.

Trump ha solo avuto il merito di reagirvi contro (vedi qui e qui) per non consegnare totalmente il paese al nemico dell’egoismo progressista. E così facendo il nemico, a differenza di quando poteva guadagnare terreno senza dover usare le armi, ha dovuto a sua volta venire allo scoperto.

La guerra contro la pace sociale non l’ha voluta Trump, ma quanti hanno messo a legge l’egoismo abortivo (e poi le unioni dello stesso sesso, l’adozione da parte di queste, il cambio di sesso dei bambini, l’impossibilità di esprimere opinioni contrarie a tutto questo etc.). Trump ha solo deciso di riconoscere la guerra e finalmente di trattarla come tale, rispondendo al fuoco con il fuoco, sapendo bene che l’intento nemico di esaltare il dialogo serve solo a toglierti, mentre tu parli, anche l’ultimo centimetro di possibilità per far vivere il bene, ossia la libertà di dichiararlo senza leggi liberticide che ti tappino la boccA.

FONTE: https://lanuovabq.it/it/esce-lagenda-del-paciere-biden-priorita-allaborto

 

 

Congratulazioni Kamala, futura presidente degli Stati Uniti

 

Taxi
platosguns.com

La cosa più gentile che si possa dire di Joe Biden è che è una persona sicuramente smemorata, la cui vita quotidiana, fisica e cognitiva, dipende dal costante controllo da parte della moglie su tutto ciò che fa o che dice. È sempre con lui, ovunque si trovi: pronta a sussurrargli una parola dimenticata o a mostrargli dove si trova il podio o la porta d’uscita. Semplicemente, è lei che gli fa da cane guida, controfigura e suggeritore. E, per quanto ne sappiamo, Biden  potrebbe anche essere già incontinente e aver bisogno sotto il pigiama dei pannoloni per adulti e la signora Biden potrebbe anche avere il ruolo di cambia pannoloni personale.

Questo è lo stato pre-elettorale del nostro nuovo presidente, Joe Biden.

Ma che dire del post-elezioni? In che modo, il nostro handicappato e non-indipendente presidente sarà in grado, nei prossimi quatto anni, di gestire affari di stato complessi e politiche estere ancora più intricate? Ha già 77 anni e, chiaramente, le sue capacità cognitive continueranno a diminuire in modo naturale con l’età, senza alcuna prospettiva per un ritorno ad una robusta elasticità [mentale].

Si pone quindi la domanda: perché diavolo il Partito Democratico lo ha scelto come leader del partito e lo ha candidato alla presidenza, quando conoscevano meglio di chiunque altro suo il declinante stato cognitivo? Che ci sia sotto qualcosa di non detto, ma comunque evidente? Sì? No? Sì, in effetti c’è e potremmo chiamarla “Operazione Kamala.” La leadership del Partito Democratico, che ha un disperato bisogno di entrare alla Casa Bianca e di rimanervi per otto anni, ha fatto ricorso a metodologie non convenzionali per inserire il proprio, vero, candidato preferito: un candidato impopolare per gli standard presidenziali; un candidato selezionato, non eletto.

Il vero candidato preferito dal Deep State e dal Potere Ebraico è Kamala Harris, la vicepresidente scelta da Joe Biden, e non lo stesso Joe Biden. Il Partito Democratico effettuerà presto il suo “grande cambio di rotta,” non appena diventerà impossibile coprire le carenze mentali di Biden. Ciò che i caporioni e i disperati strateghi del Partito Democratico hanno realmente fatto è stato aggirare cinicamente la nostra costituzione e le regole elettorali, ingannando l’elettorato americano con il vecchio trucco delle due carte. Ora vedete la carta Biden, democraticamente eletta, e ORA vedete la carta del Vicepresidente scelto, Kamala Harris. Ogni previsione in questo ingannevole gioco fa di ogni singolo elettore americano un perdente.

Kamala Harris, la viscida avvocatessa che era arrivata all’alta carica di Procuratore Distrettuale della super liberale San Francisco, è di razza mista: asiatico-indiana e afro-americana. È una combinazione fra Modi (Israele innanzitutto) e Sammy Davis Jr (Israele innanzitutto), eppure i media mainstream si riferiscono costantemente a lei come ad una “Americana di colore” e questo perché il termine “asiatico-indiana” non sarebbe elettoralmente convincente. Qui abbiamo la stessa e voluta imprecisione razziale che era stata venduta agli elettori con il presidente mulatto Obama. E, come nel caso dei presidenti Obama e Trump prima di lei, anche Kamala è infatuata e legata al potere ebraico. È stata lobby ebraica a patrocinare la scelta di Kamala come futuro presidente, nonostante fosse stata la prima democratica ad aver abbandonato la corsa alla nomination presidenziale, anzi la prima democratica ad essere stata eliminata da Tulsi Gabbard. A 56 anni, non avendo figli ed essendo sposata con un Ebreo divorziato, parla di se stessa come di una “matrigna orgogliosa e amorevole” per i suoi due figliastri ebrei. Evidentemente, Kamala ha un interesse personale e di carriera nel servire, prima di tutto, Israele. In questo senso, possiamo dire che Kamala ha effettivamente sposato Israele e, così facendo, si è garantita l’ascesa agli alti ranghi della politica statunitense, nonostante la sua scarsa popolarità anche tra i democratici. In quale altro modo la più grande perdente alle primarie potrebbe, alla fine, diventare il vero presidente degli Stati Uniti d’America? Questo è lo stratagemma “non convenzionale” ideato dai criminali strateghi democratici. Questa è la scena del delitto dove la democrazia americana è stata pugnalata al cuore e in mezzo agli occhi. Questo potrebbe benissimo essere il fattore scatenante della guerra razziale pianificata per l’America dal potere ebraico, quando l’America si troverà, dall’oggi al domani, governata da una presidente di colore selezionata (e non eletta).

Quando accadrà, prevedo una marea di Bianchi infuriati e di proiettili che volano.

E, fino al giorno in cui Kamala non entrerà alla Casa Bianca con l’aiuto dei prestigiatori ebraici, ci terremo Biden.

Biden il Sionista impegnato. Biden, il vecchio a cui piace toccare le bambine. Biden, il sostenitore delle Rivoluzioni Colorate e delle guerre per gli Ebrei. Biden, che non sa dove sia la porta di uscita. Biden, che è scarso in matematica ma bravo ad intascare denaro da affari loschi. Biden, emblema e cardine della più grande truffa ebraica contro gli elettori americani e la loro amata costituzione.

Non ci resta da dire che: buona fortuna, Americani. Sarete sicuramente fottuti per i prossimi 4-8 anni. Magari sarete fottuti anche per l’eternità.

Taxi

Fonte: platosguns.com
Link: https://platosguns.com/2020/11/08/congratulations-president-kamala/
08.11.2020
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

FONTE: https://comedonchisciotte.org/congratulazioni-kamala-futura-presidente-degli-stati-uniti/

 

 

 

POLITICA

Diritto ai brogli e all’odio professato da Saviano & Co.

Dalle elezioni in Usa a Saviano fino alla Aspesi vengono dichiarazioni che giustificano le frodi, l’odio e la violenza: questi gli ipocriti di sinistra per cui il pluralismo serve solo quando loro sono in minoranza; se, invece, hanno il potere, gli avversari vanno ridotti al silenzio con ogni mezzo. Davanti a questo attacco la risposta sono i ponti che ci vedono accettare regole che valgono solo per noi.

 

Sembra (ripeto: sembra) che Biden abbia vinto le elezioni. Dopo qualche ora leggo un twitt che recita (perdonate l’italiano traballante): «Sono stati fatti giustamente dei brogli perché se il popolo non è capace a votare e sceglie di pancia un fascista come Donald Trump è giusto usare anche metodi illegali per il bene degli USA e del MONDO». Ma come: non ci sono delle regole (ad esempio, competere onestamente durante le elezioni) per garantire la convivenza civile?

Questa cosa mi fa venire in mente una recente intervista a Roberto Saviano nella quale lo scrittore dice testualmente: «[…] non basta più rintanarci dentro i buoni modi, la buona educazione. Basta con le prediche contro l’odio. Io, per esempio, sento di odiare tantissimo. Devo disciplinarmi per non far emergere in pubblico un odio che provo in modo assoluto. […] Io odio chi mi ha fatto del male. Odio quelli che stanno dalla mia parte ma poi mi pugnalano alle spalle perché mi detestano. Li odio profondamente, personalmente. Devo lavorare per andare oltre, perché questo odio mi delegittima, corrompe le mie parole e il mio impegno, corrode me stesso. Ma non credo la strada da seguire sia la gentilezza. È ora dire basta: basta con il mondo mediatico che ospita il peggio, con giornali che hanno fatto cose ignobili, dossieraggio e istigazione al razzismo, che hanno perso qualsiasi autorevolezza ma vengono tenuti al tavolo perché deve esserci tutto, anche la quota della m***a». Ma come: non era giusto sentire anche l’altra campana, in modo da formarsi un’opinione obiettiva e critica? Ma come: i «discorsi d’odio» (vabbeh, l’italiano lo rispetteremo in un altro articolo) non sfociavano necessariamente nella deprecabile violenza?

A proposito della deprecabile violenza, ecco la giornalista Natalia Aspesi: «Anziché spararmi a causa loro [Salvini e Di Maio], pian piano, ho maturato la fantasia di sparare a loro. Devo dire che la legge sulla legittima difesa mi è venuta incontro. Nessuno può più negarmi di imbracciare un kalashnikov. Sono vecchia. Sono sola. Sono gravemente turbata dalla condizione disperata degli italiani. Ho tutto il diritto di fare una strage». Ma come!?

Massì, ormai non ci stupiamo più. Abbiamo perfettamente capito che i nemici del Logos fanno le regole solo per gli avversari ma, in realtà, non hanno alcuna intenzione di rispettarle quando sono a loro svantaggio. Il pluralismo serve solo quando loro sono in minoranza; se, invece, hanno il potere, gli avversari vanno ridotti al silenzio con ogni mezzo, anche violento. La Costituzione non si tocca se le modifiche non le propongono loro; altrimenti (vedi pareggio di bilancio, vedi riduzione del numero di parlamentari) qualsiasi stravolgimento è sacrosanto. Le sentenze giudiziarie non si commentano; ma, se danneggiano una certa fazione (come in Polonia) si scateni l’inferno.

La censura e la violenza? Fasciste, se usate contro di loro; altrimenti va tutto bene. Questa, lo abbiamo detto, non è incoerenza. È ipocrisia. L’incoerenza è di chi professa certi princìpi che non sempre riesce a mettere in atto. L’incoerenza non è una brutta cosa: è la distanza tra ciò che siamo e ciò che possiamo, vogliamo e dobbiamo essere, tra noi e la santità. L’unica persona coerente è colei che ha rinunciato ad ogni ascesi e si accontenta di ciò che è. Molti rivoluzionari sono tali perché hanno accettato come inemendabili i loro errori. L’ultima, splendida frase del romanzo di Paul Bourget intitolato Il demone meridiano, acutamente osserva: «Bisogna vivere come si pensa, altrimenti, presto o tardi, si finirà per pensare a come si è vissuto».

L’ipocrisia è altro. L’ipocrisia è di chi mente, finendo di credere in princìpi nei quali, in realtà, non crede. Ed è una cosa molto brutta. Nel Vangelo, Gesù usa la parola «ipocrisia» e i suoi derivati una ventina di volte; e, ogni volta, lo fa in una accezione spaventosa. Non credo sia un caso. Credo che l’ipocrisia (come quella espressa negli esempi qui sopra) sia la cifra dei nemici del Logos incarnato.

Eppure, gli crediamo. Dimentichiamo l’avvertimento evangelico: «Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Mt 10, 16). Abbattiamo muri e costruiamo ponti a chi non vede l’ora di invadere e distruggere la nostra cittadella.

Poi ci lamentiamo perché «c’è confusione». Confusione è un eufemismo; fa chiaramente capire che non abbiamo capito cosa sta accadendo, che non sappiamo leggere «i segni dei tempi» (Mt 16, 3). Ci lasciamo ingannare dai lupi che si travestono da pecore (Mt 7, 15), crediamo che il mondo sia neutrale nei confronti del Vangelo e ci dimentichiamo che chi non è con il Logos è contro di Lui (Mt 12, 30); abbiamo scordato chi sia il principe di questo mondo (GV 12, 31). Non vogliamo accettare che la storia sia la cronaca della guerra del principe del mondo contro Cristo.

Così tendiamo la mano, facciamo accordi, accettiamo regole che, lo scopriamo poi, valgono solo per noi. In fondo, diciamo, non cambia la sostanza; è solo per casi eccezionali, per situazioni limite. Concediamo 10, non perché sia un gradino per arrivare a 100; ma per accontentare gli avversari, tenerli buoni perché non chiedano di più. Cosa che, invece, avviene puntualmente ogni volta. Come si può pensare di scendere a patti con un simile avversario, resta per me un MISTERO.

FONTE: https://lanuovabq.it/it/diritto-ai-brogli-e-allodio-professato-da-saviano-co#.X6u64Zdh6FV.twitter

Elezioni presidenziali USA: aprite gli occhi!

Il risultato delle elezioni statunitensi non segna il trionfo dei Democratici e di un vecchio senatore, ma della corrente repubblicana sui jacksoniani; lungi dal riflettere le opinioni politiche dei cittadini, cela la crisi di civiltà che affonda il Paese.

e elezioni presidenziali del 2020 confermano la tendenza generale, in atto dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica: la popolazione statunitense attraversa una crisi di civiltà e si sta inesorabilmente avviando verso una nuova guerra civile che, secondo logica, dovrebbe sfociare nella divisione del Paese. Quest’instabilità dovrebbe concludersi con la fine dell’Occidente come iperpotenza.

Per capire quanto accade è necessario ignorare il terrore che suscita nelle élite europee la prossima sparizione della potenza che le protegge da tre quarti di secolo e guardare con onestà intellettuale alla storia mondiale degli ultimi trent’anni. Occorre altresì reimmergersi nella storia degli Stati Uniti e rileggerne la Costituzione.

L’ipotesi della dissoluzione di NATO e Stati Uniti d’America

Quando, dopo tre quarti di secolo di dittatura assoluta, l’Unione Sovietica crollò, quanti se lo auguravano da tempo vennero tuttavia colti di sorpresa. Per anni la CIA aveva organizzato il sistematico sabotaggio della sua economia e denigrato ogni sua realizzazione; ma non aveva previsto che il regime sarebbero stato rovesciato dalle popolazioni sovietiche, in nome degli stessi ideali.

Tutto cominciò con una catastrofe che lo Stato non seppe evitare: l’esplosione nel 1986 della centrale nucleare di Chernobyl. Circa 250 mila persone dovettero lasciare definitivamente la propria terra. L’incompetenza all’origine della catastrofe mise fine alla legittimità della dittatura. Nei successivi cinque anni gli alleati del Patto di Varsavia riacquistarono l’indipendenza e l’URSS si smembrò. Il processo, condotto dal principio alla fine dalla Gioventù comunista in ogni Paese satellite, fu all’ultimo momento strumentalizzato dal sindaco di Mosca Boris Eltsin e dalla sua équipe, formatasi a Washington. Il saccheggio dei beni collettivi che ne seguì e il conseguente crollo economico fecero regredire di un secolo la nuova Russia.

Gli Stati Uniti dovrebbero dissolversi allo stesso modo: il crollo sarà preceduto dalla perdita della forza centripeta e dall’abbandono dei vassalli. Chi avrà lasciato la nave prima del naufragio avrà più possibilità di riportare danni minori. La NATO dovrebbe estinguersi prima degli USA, così come il Patto di Varsavia morì prima dell’URSS.

La forza centrifuga degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono un Paese molto giovane, con una storia di soli duecent’anni. Ancora oggi la popolazione si forma con ondate successive di migranti provenienti da ogni parte del mondo. Secondo il modello britannico, ogni comunità conserva la propria cultura e non si mescola con le altre. Il concetto di “crogiuolo” (melting pot) si è concretizzato solo dopo il ritorno dei soldati neri dalla seconda guerra mondiale e con l’abolizione della segregazione razziale che ne seguì sotto Eisenhower e Kennedy, per poi scomparire di nuovo.

La popolazione statunitense si sposta molto da uno Stato all’altro. Dalla prima guerra mondiale, fino alla fine della guerra del Vietnam, le sue componenti hanno tentato di coabitare in alcuni quartieri. Per una ventina d’anni la popolazione si è cristallizzata. E dal crollo dell’Unione Sovietica a oggi si sta di nuovo ghettizzando, non più secondo differenze razziali, ma culturali. Il Paese è di fatto già diviso.

Già ora gli Stati Uniti non sono più un’unica nazione, bensì 11 distinte.

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Le 11 comunità culturali antagoniste che oggi si spartiscono gli Stati Uniti.
Fonte: Colin Woodard

Il conflitto interno della cultura anglosassone

La mitologia delle origini degli Stati Uniti collega la nascita del Paese ai 67 “Padri Pellegrini”, gl’immigrati del Mayflower, un gruppo di cristiani fanatici inglesi che vivevano in “comunità” nei Paesi Bassi. Ottennero dalla Corona l’incarico di insediarsi nel Nuovo Mondo per combattere l’impero spagnolo. Alcuni di loro sbarcarono nel Massachusetts, dove edificarono una società settaria, la colonia di Plymouth (1620). Facevano indossare il velo alle donne e punivano con duri castighi corporali chi aveva peccato, così allontanandosi dalla “Via Pura”, da qui il loro nome: i Puritani.

Gli statunitensi non conoscono quale fosse la missione politica dei Padri Pellegrini né il loro settarismo, tuttavia li celebrano con la festa del Thanksgiving. Questi 67 fanatici ebbero notevole influenza su un Paese che oggi conta 328 milioni di abitanti. Otto dei 46 presidenti degli Stati Uniti – tra cui Franklin Roosevelt e i due Bush – ne sono diretti discendenti.

I Puritani organizzarono in Inghilterra una rivoluzione imperniata su Lord Oliver Cromwell. Decapitarono il re, fondarono una repubblica intollerante, il Commonwealth, massacrarono gli eretici irlandesi (papisti). Avvenimenti chiamati dagli storici Prima Guerra Civile (1642-1651).

Oltre un secolo dopo i puritani del Nuovo Mondo si ribellarono allo schiacciante peso delle tasse imposte dalla monarchia britannica, dando inizio a quella che gli storici statunitensi chiamano Guerra d’Indipendenza (1775-1783). Gli storici britannici la considerano invece “Seconda Guerra Civile”. Infatti, se i coloni che la combatterono erano povera gente che lavorava duro, a organizzarli erano i discendenti dei Padri Pellegrini, bramosi di affermare il proprio ideale settario di fronte alla monarchia britannica restaurata.

Ottant’anni dopo gli Stati Uniti si lacerarono con la Guerra di Secessione (1861-1865) – che alcuni storici chiamano “Terza Guerra Civile” anglosassone – in cui gli Stati fedeli alla Costituzione originaria, che volevano mantenere i dazi interni, si scontrarono con gli Stati che volevano invece instaurare dazi a livello federale, sì da creare un unico grande mercato interno. Ma questa guerra opponeva anche le élite puritane del Nord alle élite cattoliche del Sud, riverberando le divergenze delle due precedenti guerre.

Anche la “Quarta Guerra Civile” anglosassone che si sta delineando è ordita dalle élite puritane. La continuità è mascherata dalla trasformazione di queste élite, che ora non credono più in Dio ma sono animate dallo stesso fanatismo. Sono le classi dirigenti dedite oggi alla riscrittura della storia del Paese; secondo loro, gli Stati Uniti sono un progetto razzista degli europei, che i Padri Pellegrini non sono riusciti a correggere. Sono convinti che bisogni ripristinare la “Via Pura” distruggendo i simboli del Male, come le statue dei monarchi, degli inglesi e dei confederati. Usano un linguaggio “politicamente corretto”, affermano che esistono diverse “razze” umane, scrivono “Nero” in maiuscolo e “bianco” minuscolo, e si avventano sugli astrusi supplementi del New York Times.

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Ingresso della Pilgrim’s Society (Società dei Padri Pellegrini): Inghilterra e Stati Uniti reggono insieme la fiaccola che illumina il mondo.

La storia recente degli Stati Uniti

Ogni Paese ha i propri demoni. Il presidente Richard Nixon era convinto che il primo pericolo da cui gli Stati Uniti dovessero difendersi non fosse la guerra nucleare con l’URSS, ma una possibile “Quarta Guerra Civile” anglosassone. Si avvaleva della consulenza di uno specialista in materia, lo storico Kevin Phillips, il consigliere elettorale che gli consentì di accedere due volte alla presidenza. Ma gli eredi dei Padri Pellegrini non condividevano la sua preoccupazione e lo fecero precipitare nello scandalo Watergate (1972), ordito all’indomani della sua rielezione, dal vice e successore di J. Edgar Hoover.

Quando la potenza USA cominciò a perdere slancio, la lobby imperialista, dominata dai Puritani, issò al potere un diretto discendente dei 67 Padri Pellegrini, il repubblicano George Bush figlio che, sotto lo sguardo attonito dei concittadini, organizzò uno choc emozionale (gli attentati dell’11 settembre 2001) e adattò le forze armate alle esigenze del nuovo capitalismo finanziario. L’opera fu continuata dal successore, il democratico Barack Obama, che vi adattò l’economia. A tale scopo scelse i suoi più importanti collaboratori tra i membri della Pilgrim’s Society.

Nel 2016 accadde un fatto dirompente. Un conduttore televisivo, che aveva contestato la trasformazione del capitalismo e la versione sugli attentati dell’11 settembre, Donald Trump, si candidò alla presidenza. Conquistò dapprima il Partito Repubblicano, poi la Casa Bianca. Gli stessi che si erano liberati di Nixon cominciarono ad attaccare Trump ancor prima dell’investitura. Adesso sono riusciti a sventare il pericolo di una sua rielezione stipando maldestramente le urne. Ma quel che importa è che durante il mandato di Trump sono emersi secoli di malumori inespressi. Grazie ai Puritani, gli statunitensi sono di nuovo divisi.

Per questa ragione, sebbene sia evidente che la maggior parte degli statunitensi non abbia votato con entusiasmo un vecchio senatore, mi sembra sbagliato affermare che quest’elezione 2020 sia stata un referendum pro o contro Trump. Si è trattato invece di un referendum pro o contro i Puritani.

Un risultato utile al progetto dei Padri Pellegrini

Quando finì la Guerra d’indipendenza – o, se si preferisce, la Seconda Guerra Civile anglosassone – i successori dei Padri Pellegrini redassero la Costituzione. Non fecero mistero di voler creare un sistema aristocratico sul modello inglese, né nascosero il loro disprezzo per il popolo: la Costituzione degli Stati Uniti non riconosce infatti la sovranità popolare, ma quella dei governatori.

Il popolo, che aveva fatto e vinto la guerra, accettò, ma impose dieci emendamenti: la Dichiarazione dei Diritti (Bill of Right), che stabilisce che la classe dirigente non può in alcun caso calpestare i diritti dei cittadini in nome di una supposta «ragione di Stato». La Costituzione così emendata vige ancora oggi.

Se si prende atto che gli Stati Uniti costituzionalmente non sono, e mai sono stati, una democrazia, il risultato delle elezioni non può indignare. Nel corso di due secoli nelle elezioni presidenziali il voto popolare, benché non previsto dalla Costituzione, si è progressivamente imposto in tutti gli Stati federati. Nella designazione dei 538 delegati al Collegio elettorale presidenziale, i governatori devono seguirne le indicazioni. Per questa ragione alcuni governatori hanno con poca abilità stipato le urne: in oltre una contea su dieci il numero dei votanti è stato superiore a quello della popolazione maggiorenne. Non se ne dispiacciano i commentatori: è impossibile stabilire quanti elettori abbiano realmente votato e per chi.

Un cupo avvenire

In simili circostanze, il presidente eletto, Joe Biden, non potrà ignorare la giustificata furia dei partigiani dell’avversario. Non potrà unire il popolo. Quattro anni fa ho scritto che Trump sarebbe stato il Gorbaciov degli Stati Uniti. Mi sbagliavo: ha saputo ridare nuovo slancio al Paese. Alla fin fine sarà Joe Biden che non riuscirà a preservare l’unità territoriale degli Stati Uniti.

Gli Alleati che non vedono avvicinarsi la catastrofe ne pagheranno pesanti conseguenze.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article211584.html

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