NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 9 DICEMBRE 2019

https://www.agenziacomunica.net/2019/11/15/ma-de-felice-oggi-sarebbe-censurato/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

9 DICEMBRE 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Io sto in giro con mamma se no chi la difende?

E poi lo spacciatore si commuove quando mi vede

perché io sono simpatico e i bambini gli fanno pena.

MARIA RITA PARSI, Il pensiero bambino, Mondadori, 1991, pag. 148

 

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Tutti i numeri dell’anno 2018 e 2019 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com

 

 Precisazioni

 

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La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.

 

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SOMMARIO

Per farla finita con l’ECONAZISMO

Il 70% dell’inquinamento è prodotto da 100 multinazionali, ma per guadagnare ci colpevolizzano 1

Greenpeace: multinazionali dietro l’inquinamento da plastica 1

Plastica, Greenpeace: «Dalle multinazionali solo false soluzioni sull’inquinamento da usa e getta» 1

Mariangela Pira: «Mi spaventa di più la stupidità umana dell’intelligenza artificiale» 1

Quando era la snistra ad essere sovranista

Alle radici del pensiero sovranista 1

Marchionne, la vera storia 1

Il critico della critica 1

L’altra faccia della Silicon Valley. 1

VERSO UN NUOVO CONCETTO DI USO DELLA CITTÀ. 1

Il miracolo italiano: l’ultimo discorso di Enrico Mattei 1

Dialogo sul conflitto 1

MA DE FELICE OGGI SAREBBE CENSURATO. 1

Il mistero della Rosa Rossa. La deviazione dei rosacroce 1

Carrai e i soci in Lussemburgo, l’intreccio con i finanziatori di Open. 1

Infanzia: ancora molte disuguaglianze in Italia

Vi spiego la fregatura del salva-stati

Lo shopping senza limiti non aumenta né consumi né produttività. 1

IL FONDO AMERICANO ELLIOTT CONQUISTA IL CDA DI TIM.. 1

Paolo Maddalena – È il momento della rinascita dell’IRI 1

La decrescita infelice del neoliberismo trionfante 1

Perché Visco (Bankitalia) lancia prima il sasso sul Mes e poi nasconde la mano? 1

Nove anni da indagato: si erano scordati il fascicolo. 1

MEDICI DENUNCIANO: “STUFI DI RICUCIRE BAMBINI SODOMIZZATI DAI PROFUGHI” 1

Migranti: i costi dell’accoglienza

È ripartita l’invasione all’Italia: oltre 800 migranti in mare 1

La frontiera invisibile che passa da Trieste 1

L’anima longobarda della lingua italiana

Inquinamento, ecco i Paesi e le aziende che danneggiano il pianeta

ECO-IDEOLOGIA E PREPOTENZA POLITICA. 1

La destituzione di Trump e lo scenario della Guerra di Secessione 1

La politica estera americana: dalla distorsione alla realtà. 1

Qualche info su Mattia Santori, leader delle Sardine 1

Piazza Fontana mezzo secolo dopo. 1

Intervista a Francesco Agnoli: “Vi spiego perché Nilde Iotti non è un’eroina” 1

D’Annunzio, il rivoluzionario che il Duce non fu. 1

 

 

 

EDITORIALE

Per farla finita con con l’ECONAZISMO

Manlio Lo Presti – 10 dicembre 2019

Il martellamento mediatico e teatrale dell’econazismo continua.

Colpisce le popolazioni dell’intero pianeta.

Le agenzie di comunicazione più costose della terra sono da tempo reclutate perché sia creata una percezione della realtà dei fatti totalmente rovesciata.

 

Modificare la percezione della realtà mediante

un deficit cognitivo di massa

è la colonna portante del totalitarismo

come fase suprema della dittatura.

 

Sono mesi che la popolazione di tutto il mondo è letteralmente bombardata a martello da radio, reti televisive, carta stampata, rete internet con messaggi elaborati da abilissimi, strapagatissimi ed oscuri scienziati della disinformazione (cioè creatori di mezze verità che solitamente sono più credibili di una bugia intera).

L’argomento? L’inquinamento del pianeta da parte della popolazione cui fa seguito il surriscaldamento del pianeta ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.

Il prof. Rubbia ha tentato di spiegarlo di fonte ad una commissione parlamentare. A causa di questa sua sfacciataggine controcorrente rispetto alla vulgata econazista imperante, dopo qualche giorno è stato colpito dalla revoca di alcuni incarichi accademici. (1)

Non è la prima volta che il sistema di controllo planetario applica la defenestrazione dalle cattedre contro coloro che osano obiettare sulle direttive del pensiero dominante.

Lo strumento – per iniziare- è il licenziamento, l’esclusione dai circuiti accademici, il blocco delle case editrici, insomma, tutti gli ingredienti classi di una vera e propria proscrizione!

Del resto, considerate le somme titaniche investite a livello di sistema dai colossi multinazionali, una qualsiasi voce dissenziente può provocare danni economici e quindi va sterminata sul nascere…

Come ribadito da ben 500 scienziati di tutto il mondo, inquinamento e surriscaldamento del pianeta hanno origini diverse anche se uno può aggravare l’altro. (2, 3, 4 e 5).

TUTTO CIO PREMESSO

 

Diventa comprensibile la strategia di distrazione di massa operata abilmente dai professionisti della sovversione:

  • Censurare le notizie “contro”
  • Licenziare,
  • Minacciare,
  • Assassinare quelli che insistono,
  • Creare poli di attenzione per distrarre (il caso Greta),
  • Martellamento mediatico incrociato e continuativo,
  • Mobilitazione delle masse da parte di gruppi politici finanziati o comunque – marxianamente – “utili idioti”,
  • Colpevolizzare le popolazioni per aver provocato un inquinamento che è causato dalle multinazionali per almeno il 70% del totale grazie alla produzione inarrestabile di imballaggi monodose che consente la vendita di dosi minime a prezzi unitari esorbitanti.

Con la solita rapidità, anche il linguaggio si trasforma per la bisogna.

Abbiamo il martellamento delle parole

  • Sostenibile, sostenibilità
  • Ecocompatibile,
  • Compatibile con l’ambiente,
  • Surriscaldamento climatico,
  • Green-economy
  • Green food,

e altri deliri linguisti pseudoinglesi, in osservanza alla solita stupida esterofilia provinciale degli italici devoti previsti tanti anni fati dalla neolingua prossima ventura del penitenziagite riportata dal Nome della Rosa. (6)

http://www.comecucinarelanostravita.it/la-suocera-salutista/penitenziagite/

 

Lo sviluppo della covert-operation è sempre la stessa:

  1. Creare il problema: il surriscaldamento globale
  2. disinformare e deformare la realtà: l’inquinamento surriscalda il pianeta mentre i fatti hanno origini diverse;
  3. Aggravare il problema: ingigantimento della estensione dei fatti;
  4. Ritardare l’azione di risanamento;
  5. Creare ansia mediatico-percettivo-schizofrenica-autistica: bombardamento mediatico, manifestazioni di piazza, ecc. ecc. ecc.;
  6. Colpevolizzare le masse per coprire i danni provocati dalle multinazionali, consentendo l’adozione di provvedimenti draconiani e antidemocratici contro Paesi avversari (leggi Cina, India e Paesi in via di sviluppo che devono essere bloccati e – se possibile – sterminati con guerre di teatro provocate dalla NATO, NSA, CIA, UE in nome della libertà) con la benedizione delle solite agenzie internazionali (ONU, UNESCO, WHO) istituzioni universitarie, agenzie private di ricerca, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.

P.Q.M.

Facciamola finita

  • con la farsa indegna e recitata, peraltro male, delle thunberg di turno;
  • con l’uso ossessivo-maniacale-autistico del termine “sostenibile” infilato in quasi tutti i discorsi, articoli, pubblicazioni, trasmissioni pseudoscientifiche, propaganda politica, pubblicità di prodotti vari, dietologia, medicina, terapie ginniche, automobilistiche, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.

 

Facciamola finita e basta … per la estrema difesa della nostra integrità mentale e umana!

 

Ora e subito! Non aspettiamo anni…

 

NOTE

 

 

 

 

 

IN EVIDENZA

Il 70% dell’inquinamento è prodotto da 100 multinazionali, ma per guadagnare ci colpevolizzano

Di Luigi Vocalelli – 08 Dicembre 2019

 

Sempre schietto e graffiante il Segretario del Partito Comunista Marco Rizzo.

In questo video abbiamo approfondito uno dei temi di maggior interesse negli ultimi tempi: l’ambiente.

La questione è chiara: media mainstream e opinione pubblica puntano il dito contro le abitudini individuali quando invece ci sono dei veri e propri mostri dell’inquinamento contro cui non si scaglia nessuno e di cui non si fa i nomi.

Il tema del clima è fondamentale – la recente ascesa di Greta Thunberg lo evidenzia – ma la cosa bizzarra è che quelli che inquinano – il 70% dell’inquinamento è fatto da 100 multinazionali – hanno

Continua qui:

https://www.radioradio.it/2019/12/marco-rizzo-i-veri-inquinatori-sono-le-multinazionali-ma-per-guadagnare-ci-colpevolizzano/

 

 

 

 

 

 

 

Greenpeace: multinazionali dietro l’inquinamento da plastica

www.repubblica.it

Secondo un report dell’associazione ambientalista su 11 big di alimenti gli imballaggi non sempre sono riciclabili. ”Bisogna risolvere problema alla radice”

Le grandi multinazionali degli alimenti e delle bevande,

“con i loro prodotti in plastica monouso,

promuovono uno stile di vita e di consumo basato sull’usa e getta

e sono le forze predominanti dietro la grave crisi ambientale

dell’inquinamento da plastica”.

 

Lo afferma Greenpeace sulla base del report che ha diffuso oggi “Una crisi di convenienza. Le multinazionali dietro l’inquinamento da plastica del Pianeta” contenente i risultati di un questionario sull’uso

 

Continua qui:

https://www.repubblica.it/ambiente/2018/10/23/news/greenpeace_multinazionali_dietro_l_inquinamento_da_plastica-209776855/?refresh_ce

 

 

 

 

 

 

 

Plastica, Greenpeace: «Dalle multinazionali solo false soluzioni sull’inquinamento da usa e getta»

di Greenpeace 1 ottobre 2019

PARTECIPA

La sostituzione della plastica con materiali alternativi, non meno impattanti sul Pianeta come la carta e le plastiche biodegradabili e compostabili, e i crescenti investimenti nello sviluppo di nuovi sistemi di riciclo tutt’altro che efficaci, non sono soluzioni efficaci per risolvere il problema dell’inquinamento da plastica.

È quanto emerge dal report di Greenpeace Il Pianeta usa e getta. Le false soluzioni delle multinazionali alla crisi dell’inquinamento da plastica, che evidenzia come le soluzioni promosse dalle grandi aziende degli alimenti e delle bevande, non riducendo a monte la produzione di packaging usa e getta, consentiranno di perpetuare un modello di business e di consumo insostenibile per l’ambiente.

«Nonostante le crescenti prove scientifiche sui danni irreversibili che l’inquinamento da plastica può causare, la produzione aumenterà drasticamente nei prossimi anni» dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace. «Le multinazionali continuano a promuovere come sostenibili alternative che in realtà non lo sono e che rischiano di generare ulteriori impatti su risorse naturali già eccessivamente sfruttate, come le foreste e i terreni

Continua qui:

https://www.greenpeace.org/italy/comunicato-stampa/6232/plastica-greenpeace-dalle-multinazionali-solo-false-soluzioni-sullinquinamento-da-usa-e-getta/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mariangela Pira: «Mi spaventa di più la stupidità umana dell’intelligenza artificiale»

13 SETTEMBRE 2019

 

DI ALESSANDRO NARDONE

 

Di strada ne ha fatta parecchia da quando, nel 2000, Mariangela Pira vinse una borsa di studio all’Ansa di New York, dove ebbe l’occasione di lavorare al fianco di Marco Bardazzi, attuale direttore della comunicazione esterna di ENI: «Ho studiato lingue e letterature straniere ad indirizzo giornalistico alla Cattolica, a Milano – racconta Mariangela in un’intervista a La Nuova Sardegna – la svolta è avvenuta quando ho vinto una borsa di studio per l’Ansa a New York. Là ho seguito le prime cose importanti: il processo contro Bin Laden per le bombe in Kenya e Tanzania in particolare. Ho capito che non avrei potuto fare altro se non la giornalista.»

Dopo un’importante esperienza con il gruppo Class Editori che, tra le altre cose, l’ha vista ricoprire il ruolo di responsabile del Desk China e anchor di Class CNBC, Mariangela è diventata reporter economica di SkyTg24 nonché volto assai noto su Linkedin, dove cura con successo una rubrica che col tempo è diventata un vero e proprio brand: si chiama #3fattori ed è una finestra video in cui quasi ogni giorno Mariangela sottopone all’attenzione di una platea ogni giorno più vasta quelle che ritiene essere le 3 notizie più importanti della giornata con il suo stile asciutto ma al tempo stesso empatico, caratteristiche fondamentali – insieme all’autorevolezza – per conferire viralità a un contenuto, soprattutto quando si tratta di informazione.

Ormai, scrivere un articolo giornalistico significa, spesso, dover trovare qualcosa che non solo possa essere interessante per il lettore, ma che abbia anche gli elementi giusti a livello di immagine (foto, video e audio) per poter diventare virale sui social: questo, a suo avviso, limita o esalta la capacità di scelta del giornalista?

Dipende. La limita nel momento in cui con un titolo spingo a pensare che nell’articolo ci siano delle cose o nel momento in cui scrivo un articolo il cui fine è attrarre il lettore. Io devo scrivere partendo dai dati certi, che si tratti di immigrazione o finanza o geopolitica. So che la regola oggi impone il ‘click baiting’ ovvero un titolo anche scorretto, ma che spinga al click. Io lo trovo scorretto nei confronti del lettore e frustrante per il giornalista, se è ‘vero’ giornalista. Virale può essere anche un bel pezzo sull’Amazzonia che approfondisca il tema. Ma virale può essere anche una clip del Grande Fratello. Se un telespettatore guarda un servizio sull’Amazzonia le immagini, l’audio devono essere evocativi e devono fargli pensare di essere là.  Le informazioni devono dare un quid in più. Non tutti i lettori o telespettatori scelgono la viralità banale. C’è anche chi vuole l’approfondimento. Non è un caso che molte inchieste giornalistiche importanti vengano condivise.

Spesso si sente dire che Internet è il posto delle “fast-food news”, perché ormai gli utenti hanno poco tempo e leggono solo notizie brevi. Tuttavia, di recente, c’è chi si è inventato le “slow news” come alternativa a questo approccio. Lei da che parte sta?

Eh… c’era un motto, penso ci sia ancora, in casa Bloomberg. First and accurate. Primi e accurati. Se sei una tv che è guardata da chi l’investimento in borsa lo sta facendo in quel momento è ovvio che essere ‘first’ sia importantissimo. L’accuratezza è importante ma viene dopo. Nella seconda stesura. Faccio questo esempio specifico perché

Continua qui: https://orwell.live/2019/09/04/mariangela-pira-mi-spaventa-di-piu-la-stupidita-umana-dellintelligenza-artificiale/

 

 

 

 

 

 

Quando era la sinistra ad essere sovranista

di Scholaris 4 OTTOBRE 2019

 

Siamo abituati a pensare che al giorno d’oggi ci siano due diverse idee d’Europa opposte, chiare e definite, che non possono essere confuse. Da una parte ci sono “gli amici dell’Europa” che amano la globalizzazione, non possono fare a meno di vivere in un panorama internazionale e viaggiare; dall’altra c’è l’Europa sovranista, oscura, medievale, fatta di persone che già se superano i confini del loro paesino per comprare il latte si sentono perdute. La prima Europa è il futuro e rappresenta i giovani, i migranti e le donne, la seconda è il passato e piace solo a vecchi, rustici e tutto sommato “tipi da Papete” (o da Arcore, per ricordare un tempo quando il cattivo non era Salvini). Il concetto a fare da discrimine qui è quello di “sovranismo”, una parola che è diventata quasi un sinonimo di populismo ma che vale meno, perché non ha quel sottinteso di arguzia e acume politico di cui i populisti si ammantano.

Ma cos’è questo famigerato “sovranismo” e cosa significa in termini politici? Con questa parola, molto semplicemente, si indica la difesa della nazione come unità fondamentale di ogni processo attuale o futuro di integrazione europea. Lo Stato nazionale, secondo i sovranisti, è quindi la chiave imprescindibile da cui partire per ogni tipo di iniziativa internazionale congiunta, alleanza o cooperazione. Quest’idea è da tempo attribuita alla destra europea più “impresentabile”, unendo leader come Kurz e Orbàn a Salvini e Giorgia Meloni. Il concetto di “Europa delle nazioni”, in effetti, fu coniato in Francia da un controverso ispiratore di diversi movimenti conservatori continentali, ossia il generale Charles De Gaulle, oggi ritenuto nel bene e nel male un esempio per chi in Europa si pone a destra dello spettro politico. Questa somiglianza tra le istanze dei sovranisti e quelle golliste ha portato a pensare che il “sovranismo” fosse un fenomeno sempre e solo cucinato in salsa nazionalista, demarcando la differenza tra “buoni” e i “cattivi” europei. Le cose tuttavia non stanno così e in realtà ciò che nessuno ricorda è che nel corso degli anni ’90 il “sovranismo” europeo cambiò pelle, trovando rifugio in corso d’opera proprio a sinistra. Può sembrare sorprendente in effetti, ma a ben vedere slogan come “Europa dei popoli” o “Europa degli Stati sovrani” non sono arrivati a Salvini e Meloni senza intermediari, ma al contrario furono grandemente utilizzati da diversi leader socialdemocratici di primo piano come il defunto Presidente francese Mitterand (1981-1995) e il Primo ministro laburista Tony Blair (1997-2007) e dai loro epigoni fino a tempi relativamente recenti (si pensi a Tsipras).

Mitterand, segretario del partito socialista, fu uno dei capi di Stato europei ad indirizzare maggiormente l’Unione negli anni di Maastricht, riuscendo anche a far passare un referendum sull’appartenenza all’Europa che non riuscì, ad esempio, al suo successore Chirac. Il Presidente francese, al contempo, mise alcuni paletti all’integrazione europea. Il primo di questi era che l’Europa non dovesse danneggiare i popoli che ne facevano parte, o mettere da

Continua qui: https://loccidentale.it/quando-era-la-sinistra-ad-essere-sovranista/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alle radici del pensiero sovranista

8 AGOSTO 2019GIUSEPPE GAGLIANO

 

Oggi Giuseppe Gagliano ci parla delle radici storiche del pensiero politico del sovranismo di estrema destra.

Gran parte delle riflessioni della estrema destra contemporanea – come di numerosi programmi politici – possono essere lette anche come una rielaborazione delle riflessioni che, tra il 1970 e il 1990, formulò Franco Freda sia nella sua produzione saggistica (L’albero e le radici – I lupi azzurri. Documenti del fronte nazionale editi entrambi dalla casa editrice Ar di Padova fondata dallo stesso Freda) sia nel programma del Fronte Nazionale fondato a Milano il 21 dicembre del 1990.

 

Incominciamo la nostra breve rassegna dal cosiddetto razzismo morfologico.

 

Secondo l’autore la razza, soprattutto oggi, svolge la funzione di estremo baluardo di resistenza contro l’aggressione non solo dell’individualismo e del razionalismo ma soprattutto del cosmopolitismo cioè di tutte quelle forze che tendono a creare una società omogenea ed indifferenziata. Se da un lato l’Europa occidentale sta ormai conoscendo un arresto della propria crescita demografica, al contrario quei paesi che si affacciano sulla riva meridionale del Mediterraneo produrranno, a detta di Freda, vere e proprie turbe di immigrati destinate a invadere le nostre terre. Per ostacolare una tale invasione l’autore, fra l’altro, proponeva: la chiusura effettiva delle frontiere, l’espulsione immediata degli stranieri extra europei clandestini, la cancellazione progressiva sino all’abrogazione totale della legge Martelli, il rimpatrio di tutti gli stranieri extra europei immigrati, la revoca della cittadinanza italiana a tutti gli extra europei immigrati che l’abbiano tenuta a partire dal 1970. Una tale politica doveva anche essere attuata nei confronti degli zingari che vivono con i proventi di attività criminali e nei confronti dei nomadi Rom e Sinti che provengono dai paesi balcanici.

Ebbene, per l’autore, non vi è alcun dubbio che l’immigrazione extra europea sia favorita dal mondialismo finanziario il quale vuole distruggere le identità dei popoli e soprattutto quella degli Stati nazionali con lo scopo di far diventare il mondo un unico mercato planetario pervaso da una sola ossessione e cioè quella del profitto e popolato da una sola squallida figura e cioè quella dal consumatore globale.

Se questo progetto si realizzasse inevitabilmente porterebbe al meticciato etnico e culturale che finirebbe per costituire l’alveo biologico e ideologico di quella uniformità del mondo e della vita alla quale aspira il mondialismo.

 

D’altra parte, il progetto mondialista parte da una concezione assai precisa della modernità:

il mondialismo, sostiene Freda, infatti

vuole una unificazione del mondo priva di contenuto

che si deve realizzare attraverso l’economia globalizzata 

che si potrà realizzare solo con il dominio delle merci e del denaro.

Il denaro, sottolinea l’autore, è diventato una vera e propria divinità.

 

Al contrario “il nostro obiettivo, in quanto militanti del Fronte Nazionale, dovrà invece essere quello di sostenere la tutela dell’idea di Stato sul piano storico difendendone la dignità essenziale sia nel campo dell’economia che della finanza”, sottolinea Freda. Ma infatti dobbiamo dimenticare che il sistema finanziario che tiene in mano e domina il pianeta ha anche origine dalla commistione inaccettabile del privato con il pubblico. Per contrastare questa realtà lo Stato deve ritornare ad essere l’unico creatore della moneta legale poiché soltanto uno Stato sovrano potrà garantire la migliore ripartizione delle risorse e potrà anche contrastare l’oligarchia mondialista. Proprio per questo il nostro paese avrebbe dovuto, per i teorici dell’estrema destra, non solo respingere il trattato di Maastricht ma deve raggiungere l’autosufficienza nel settore energetico e in quello agroalimentare abbandonando l’FMI e riottenendo le riserve auree italiane depositate a Fort Knox.

Inoltre, sarà necessario ridimensionare profondamente le prerogative della Banca d’Italia restituendole a quelle dello Stato. Dal punto di vista storico, sottolinea l’autore, il trattato di Maastricht conclude una

 

 

Continua qui: https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/alle-radici-del-pensiero-sovranista/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marchionne, la vera storia

di Carlo Formenti – 28 agosto 2018

 

 

Non è il solo: la morte di un altro boss dell’industria contemporanea – il guru della Apple Steve Jobs – è stata celebrata con lodi funebri degne d’un faraone egizio.

 

Jobs non era uno stinco di santo. Al contrario: è stato un manager cinico e spietato, pronto a calpestare tutto e tutti pur di realizzare i propri obiettivi ma, almeno, ha inventato prodotti innovativi che hanno segnato un’epoca.

 

L’uomo di cui stiamo parlando, al contrario, non ha inventato nulla: si è limitato a rispolverare pratiche di repressione antisindacale che nel nostro Paese non si vedevano dagli anni Cinquanta, aggiornandole con i metodi importati dagli Stati Uniti, mentre l’altro suo “merito” è stato pompare denaro pubblico italiano, per poi scippare al Paese il controllo sulla più grande impresa che il nostro sistema economico abbia mai generato.

 

 

Stiamo parlando, ovviamente, della morte del “compianto” – da pagine e pagine di “coccodrilli” che hanno iniziato a uscire prima ancora dell’annuncio ufficiale della dipartita, oltre che dal coro unanime di politici di ogni colore – Sergio Marchionne, l’uomo che ha “salvato” la Fiat, o meglio, che ha salvato i soldi degli azionisti, visto che la Fiat in quanto tale non esiste più. Ma i suoi dipendenti, e più in generale i cittadini italiani, hanno valide ragioni per rimpiangerlo?

 

Ad alimentare qualche sano dubbio in merito, e ad aprire una crepa nella piramide di celebrazioni che gli sono state tributate, è una lunga, documentata e spietata indagine giornalistica che l’editore Mimesis ha appena dato alle stampe: “L’era Marchionne. Dalla crisi all’americanizzazione della Fiat” di Maria Elena Scandaliato.

 

Negli anni Cinquanta Vittorio Valletta, allora a capo della Fiat, si distinse per la durezza con cui tentò di estirpare dalla fabbrica comunisti e sindacalisti della Fiom, licenziandoli appena possibile o isolandoli in reparti confino. Nel 1958, in occasione delle elezioni della commissione interna, ricorda la Scandaliato, fece affiggere ai muri di Torino un manifesto nel quale si leggeva “presentarsi candidato o scrutatore per le liste Fiom significa mettersi in lista per il licenziamento”, mentre in un’altra circostanza ebbe a proferire la seguente, lapidaria sentenza con cui chiariva qual era, a suo parere, il rapporto fra il Paese e i padroni di cui si autoeleggeva portavoce: “se va bene alla Fiat va bene all’Italia”.

 

Per emularne le gesta, Marchionne ha fatto meno fatica, visto che operava in un Paese in cui il peso numerico e politico della classe operaia era assai minore che in quegli anni lontani, nel quale il Pci era morto e sepolto da tempo e nemmeno la Fiom si sentiva più tanto bene. Ecco perché non gli è stato troppo difficile estromettere a più riprese la Fiom dal tavolo delle trattative e riammetterla dopo averla ridotta a più miti consigli. Così come non gli è stato troppo difficile imporre

 

Continua qui: http://temi.repubblica.it/micromega-online/marchionne-la-vera-storia/

 

 

 

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Il critico della critica

Stefano Taccone – 22 AGOSTO 2019

 

A due anni di distanza dal Convegno di Montecatini, ove, ricorda un testimone d’eccezione quale Angelo Trimarco, «Con un titolo eloquente, Teoria e pratiche della critica d’arte1, nel maggio 1978 […] Egidio Mucci e Pier Luigi Tazzi, quasi a bilancio di due decenni, degli anni sessanta e settanta dell’altro secolo, hanno invitato studiosi di estetica, di teoria dell’arte e critici d’arte, che ormai hanno guadagnato meriti sul campo, per una discussione franca e un confronto aperto sullo statuto della teoria e della critica d’arte, delle sue metodologie e delle sue pratiche, e sul ruolo e sulle funzioni del critico d’arte»2, Filiberto Menna, tra i protagonisti di quell’ormai storico appuntamento, pubblica un volume ove non fa che approfondire le tesi già enunciate in tale sede: Critica della critica è del 1980 e in quanto tale risente di tutto il fermento politico e culturale del ventennio che chiude, ma – osservato a quasi quarant’anni di distanza – non può che indurre a considerare quanto tale anno sia anche e forse soprattutto soglia per il decennio successivo, segnato piuttosto – per adoperare una eloquente espressione ancora di Trimarco – da quello «sfiorire del teorico»3 che peraltro a tutt’oggi non conosce fine ed anzi si fa sempre più grave e profondo.

Piaccia o meno la visione politica di Menna ed il riflesso di essa sulla sua concezione dell’arte e della critica d’arte non dimostra mai – e tanto meno rivendica – alcuna coloritura rivoluzionaria, pur essendo naturalmente lontanissimo da posizioni conservatrici. Essa appare ben sintetizzata in un passaggio della premessa di Profezia di una società estetica, il libro attraverso il quale, in pieno clima sessantottino, il critico salernitano lancia la proposta di «una prospettiva estetica posta come alternativa alle altre soluzioni più frequentemente suggerite dalla cultura moderna, ossia alla prospettiva politica, che tende a risolvere i conflitti sociali con la modifica del rapporto delle forze socio-economiche, ed alla prospettiva tecnologica, che si affida interamente al progresso tecnico e scientifico, facendo dipendere da esso il superamento delle contraddizioni della società moderna»4. La premessa si chiude infatti come segue: «Naturalmente, non si tratta di ripetere l’illusione totalizzante dell’avanguardia e l’errore di voler sostituire un’operazione puramente tecnica (tecnico-estetica) alla operazione politica; ma – questo sì – di opporre dialetticamente la insostituibilità della dimensione estetica a ogni pretesa egemone (tecnologica o politica) che intenda farne a meno e rifiutarla»5.

Menna è cioè «convinto che le tre prospettive non evolvano separatamente, ma si intreccino di frequente con prestiti e scambi reciproci»6, tuttavia resta lontanissimo da una sorta di sintesi para-hegeliana basata sulla fine della separazione tra tali distinte dimensioni. Non di meno una posizione del genere, almeno nel tempo in cui scrive, è molto meno scontata di quanto allo stesso critico possa apparire. Basti pensare alle tesi che solo tre anni più tardi (1971) avanza Mario Perniola con L’alienazione artistica, il quale, considerando l’arte e l’economia le due categorie fondamentali della struttura sociale occidentale e reputandole rispettivamente puro significato separato dalla realtà e pura realtà separata dal significato, addita l’unica prospettiva rivoluzionaria possibile in un simultaneo superamento dell’arte e dell’economia in direzione della realizzazione del significato – che vive alienato nell’arte – e della significatizzazione della realtà – che vive alienata nell’economia –, processo che solo condurrebbe all’ «avvento di un linguaggio, di un comportamento e di un oggetto unitario, reale, significativo, qualitativo»7. Le stesse avanguardie storiche sono valutate dal filosofo in considerazione degli elementi di critica e realizzazione dell’arte che crede di riscontrare in ciascuna di esse e non ve n’è

Continua qui: https://operavivamagazine.org/il-critico-della-critica/

 

 

 

 

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

L’altra faccia della Silicon Valley

Emergenza abitativa, disoccupazione e povertà aumentano allo stesso passo delle grandi multinazionali tecnologiche

25 NOVEMBRE 2019 DI MATTEO MELANI

 

La “Silicon Valley” – come è stata chiamata la parte meridionale della San Francisco Bay Area – rappresenta la capitale mondiale dell’innovazione tecnologica. Qui hanno la propria sede grandi multinazionali come: Adobe, Amazon, Apple, Facebook, Google, Huawei… oltre a Università fra le avanzate d’America. Qui, ogni giorno nascono nuove start-up e nuovi progetti innovativi.

Da quasi vent’anni la Silicon Valley è meta di giovani ricercatori, progettisti o startupper che vogliono fare carriera in proprio o in una grande azienda, nonché di uomini d’affari che vogliono investire nel settore della tecnologia.

Eppure, come sempre più spesso accade nel mondo, accanto alla ricchezza si nasconde un dramma sempre più forte: la povertà assoluta. Secondo l’ultimo censimento il numero dei senzatetto registrati nel 2019 è di 9.706, con un aumento vertiginoso, ben il 31% in più, rispetto al 2017.

Viaggiando per città come San Josè e Palo Alto si può notare molto bene questa drammatica contrapposizione fra i ricchi, che abitano in lussuosi appartamenti, e i poveri che chiedono l’elemosina per strada. Si tratta di un fenomeno che riflette la condizione attuale della nostra epoca, in cui il “progresso” non è riuscito a risolvere i problemi sociali anzi, coniugandosi con il liberismo più sfrenato li ha solo aggravati.

IL PROBLEMA DELLA CASA

Sebbene l’emergenza abitativa sia un dramma con cui la California ha sempre dovuto fare i conti nella sua storia, i motivi della crisi in Silicon Valley sono diretta conseguenza dell’insediamento delle multinazionali dell’informatica che l’hanno scelta come sede per le proprie attività.

Infatti, se da una parte queste aziende hanno portato benefici in termini di lavoro e nuove opportunità, dall’altro hanno causato forti disuguaglianze. All’aumento di valore della zona ha fatto seguito un aumento vertiginoso del costo della vita. In particolare, sono stati proprio i costi delle case (vendite e affitti) a moltiplicarsi. Infatti, se negli anni sono cresciuti i posti di lavoro (quasi tutti per nuovi residenti), è di conseguenza calato il numero delle unità abitative disponibili, mentre i prezzi schizzavano in alto.

Uno squilibrio che ha portato molti “vecchi” cittadini a lasciare la Silicon

Continua qui: https://orwell.live/2019/11/25/laltra-faccia-della-silicon-valley/

 

 

 

 

 

 

 

 

VERSO UN NUOVO CONCETTO DI USO DELLA CITTÀ

di Ercole Incalza (*) – 05 dicembre 2019

 

 

Ho partecipato ad una conferenza organizzata dall’Università Pegaso sul tema “La città europea tra dimora e spazio di negotium”; l’intera conferenza si è incentrata in un confronto – dibattito tra il professor Alessandro Bianchi e il professor Massimo Cacciari.

Mi ha colpito, in modo particolare, un approfondimento del professor Cacciari sul tema della “esigenza di nomadismo ed esigenza di dimora”. Una dicotomia che, senza dubbio, caratterizza la società di oggi e la rende diversa da quella che eravamo abituati a conoscere, a capire, a interpretare. Ci si muove spesso senza un riferimento programmatico ben definito, si viaggia, si vive nel “paese – mondo” e poi però si ha bisogno di tornare ad una dimora certa, ad una dimora scelta, ad una dimora preferita. Queste due caratteristiche o meglio queste due categorie esistenziali, negli ultimi trenta anni, sono state ulteriormente amplificate dal servizio offerto dall’Alta Velocità ferroviaria.

Oggi circa 13 milioni di italiani si sentono al tempo stesso “nomadi” in quanto la residenza, il domicilio è solo quello della “dimora” ma il lavoro, le attività lavorative in molti casi sono ubicate in un’area completamente diversa. Si lavora a Napoli ma si dorme a Roma, si lavora a Firenze ma si dorme a Bologna, si lavora a Milano ma si dorme a Torino. E queste nuove abitudini stanno cambiando e cambieranno sempre di più; in realtà cambierà il concetto di “città”, cambierà il concetto di “costruito”, di “urbano” e, a mio avviso, è errato definire la rete ad alta velocità ferroviaria “la metropolitana del Paese” perché la metropolitana ha una caratteristica, ha una funzione che si conclude all’interno del “costruito” invece l’alta velocità

Continua qui: http://opinione.it/economia/2019/12/05/incalza_economia-citta-dimora-nomadismo-alta-velocita-1/

 

 

 

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Il miracolo italiano: l’ultimo discorso di Enrico Mattei

Scritto da Enrico Mattei – 27 Ottobre 2019

 

 “La ricchezza della Sicilia” è l’ultimo discorso di Enrico Mattei, tenuto a Gagliano Castelferrato (Enna) il 27 ottobre 1962, poche ora prima di morire nel disastro aereo di Bascapè. Enrico Mattei è stato antifascista, abilissimo comunicatore, capitano d’impresa dalle doti di prima grandezza che si dimostrò in grado di intuire straordinarie potenzialità di un settore che nell’opinione prevalente era destinato ad un rapida fine e che riuscì a dotare l’Italia di un’azienda forte, che sotto la sua energica guida venne messa nelle condizioni di trattare alla pari con i grandi del mondo, costruendo al contempo rapporti inediti con gli stati emergenti del terzo mondo

A questo link un suo profilo biografico.

Prima di tutto desidero ringraziarvi di questa calda accoglienza che abbiamo ricevuto, qui, nel vostro paese. Oggi si affacciano alla mia memoria quegli anni che possiamo considerare lontani, dell’immediato dopoguerra, quando nessuno credeva alle reali possibilità del nostro sottosuolo.

Noi cominciammo una lotta dura, fra l’ostilità di coloro che non credevano a queste possibilità del nostro paese, poi giungemmo alle scoperte della valle padana che hanno rivoluzionato, come diceva poco prima il vostro onorevole Lo Giudice, la valle padana e l’Alta Italia.

Quando chiedemmo di venire in Sicilia, trovammo che non eravamo di moda: allora erano in un momento favorevole tutte le compagnie petrolifere straniere. Io debbo ringraziare la regione siciliana di averci dato tutto quello che in pratica era rimasto, che gli altri non avevano scelto. Volevamo dimostrare anche alla Sicilia quello che potevano veramente fare gli italiani, gli italiani che si rendevano conto di quello che poteva significare questo tipo di progresso per la Sicilia.

Vennero i nostri primi geologi e gli scienziati, le prime squadre cominciarono il lavoro, svolto tra l’incredulità ed una certa ostilità. Arrivammo al rinvenimento del petrolio di Gela: a Gela oggi sta sorgendo un enorme complesso.

Il vostro presidente, ieri, ci ha onorato di una visita e si è reso conto di che cosa si può fare in Sicilia. Il nostro ringraziamento va a tutti i nostri scienziati, ai nostri operai, ai nostri tecnici, a tutti coloro che giornalmente si impegnano nella dura fatica di trovare nelle viscere della vostra terra le ricchezze che vi sono nascoste. Avete visto con quanto impegno ci siamo messi in questa impresa: momenti di attesa, di speranza, di lavoro duro, di polemiche ideologiche contro di noi. Siamo arrivati a scoprire il metano anche a Gagliano: di questo ringraziamo il Signore Iddio, perché gli uomini possono stabilire con i loro mezzi se ci sono le condizioni favorevoli, ma è solo l’aiuto divino che può far arrivare gli uomini a dei successi. Le risorse e le riserve che sono state messe alla luce sono importanti, però probabilmente lo saranno ancora di più perché prosegue il lavoro di ricerca dei

Continua qui: https://www.pandorarivista.it/articoli/ultimo-discorso-di-enrico-mattei/

 

 

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Dialogo sul conflitto

Se il divenire storico è il prodotto di un latente conflitto, che si evolve e si adatta alle differenti situazioni contingenti, il conflitto odierno non può che essere letto attraverso la lente della geopolitica. In questo contesto, la stessa “rivoluzione” assume in primo luogo i connotati di “rivoluzione spaziale”.

www.lintellettualedissidente.it

Il dialogo è la forma autentica del discorso filosofico. Da Platone a Heidegger, ogni grande opera filosofica, anche se impostata su differenti schemi narrativi o scritta ed elaborata nella più totale solitudine, è stata costruita in realtà come dialogo. Ad esempio, se Marx conversava, volente o nolente, con il suo maestro Hegel, allo stesso tempo Nietzsche conversava con gli autori greci dell’antichità e Heidegger con lo stesso Nietzsche.

Lungi dal voler azzardare scomodi paragoni, bisogna in primo luogo riconoscere a Dialogo sul conflitto (Editoriale Scientifica, 2019) il merito di riportare in auge (o quantomeno di tentare di farlo) un modello di confronto filosofico dimenticato da una intellettualità contemporanea, o pseudo tale, che preferisce di gran lunga trincerarsi nell’autoreferenzialità.

Non si può che apprezzare il fatto che un pensatore di lungo corso come Gianfranco La Grassa abbia accettato (cosa più unica che rara attualmente) di confrontarsi con Orazio Maria Gnerre: giovane intellettuale e ricercatore, già autore dell’interessante saggio “Prima che il mondo fosse. Alle radici del decisionismo novecentesco” (Mimesis Edizioni), e recentemente fatto oggetto di una disgustosa campagna denigratoria da parte di alcune comparse della politica e del giornalismo per il semplice fatto di sostenere la causa dei popoli delle repubbliche separatiste ucraine di Doneck e Lugansk.

Il tema di questo dialogo è il conflitto nelle sue svariate accezioni e interpretazioni. Entrambi i dialoganti partono dalla constatazione che la storia stessa è conflitto e che il conflitto è una realtà permanente di ciò che Heidegger identificava come “l’Esser-ci”. Ora, se la storia è conflitto, la lotta di classe (mai superata ma occultatasi sotto forme e termini diversi) è la più profonda manifestazione di esso. Il conflitto, a prescindere dalla possibile ricaduta nel mero economicismo della visione marxista, è in primo luogo di natura politica.

Di fatto, il conflitto è categoria della politica per eccellenza e i due aspetti non possono essere scissi. Ne erano ben consapevoli due Carl: von Clausewitz e Schmitt. In particolar modo il secondo, pur rimanendo tra le righe e citato di rado dai due interlocutori, in quanto teorico del conflitto politico e di una geopolitica dei grandi spazi ante litteram, è il protagonista nascosto di questo dialogo: uno spettro con il quale l’attualità politica e internazionale ha reso inevitabile il confronto.

L’inevitabilità di questo incontro/scontro con l’elaborazione teorica di Carl Schmitt venne già pronosticato e preparato negli anni passati dalla brillante pensatrice belga Chantal Mouffe. In un testo da lei stessa curato,

Continua qui: https://www.lintellettualedissidente.it/letteratura-2/dialogo-sul-conflitto/

 

 

 

 

 

 

CULTURA

MA DE FELICE OGGI SAREBBE CENSURATO

Renzo De Felice

 

Alcune riflessioni di Marcello Veneziani sui tabù che hanno inibito il giudizio storico sul fascismo

Ancora su Renzo De Felice. Quanti passi indietro ha fatto l’Italia e il giudizio storico, dai tempi e dai testi di De Felice ad oggi. Venuto da sinistra e dall’antifascismo, De Felice con la sua monumentale opera su Mussolini e con la sua meticolosa ricerca tra gli archivi, restituì il fascismo alla storia e all’Italia. Sulla base dei documenti, studiò il fascismo sul piano storico e non lo esorcizzò sul piano criminale. Dimostrò che non fu una malattia o un abominio, ma fa parte integrante della storia d’Italia e dell’autobiografia nazionale. Un giudizio storico che negli anni Ottanta conquistò il giudizio prevalente del nostro paese. Ma col passare degli anni siamo tornati indietro e in basso. E non a livello di opinione pubblica ma di istituzioni. De Felice oggi rischierebbe di passare per i tribunali e le commissioni ideologiche dell’inquisizione. Lo ha sconfessato perfino il mite Mattarella dicendo che il fascismo fu solo male, non ci furono lati positivi o interessanti. Fatica inutile, professore.

Ho davanti agli occhi un libro appena uscito, che conclude i cinque tomi degli Scritti giornalistici di Renzo De Felice. È curato da Giuseppe Parlato, che presiede la Fondazione Spirito-De Felice, e da Giuliana Podda, con prefazione di Gianni Scipione Rossi (Luni Editrice, pp.330, 25 euro). Lo abbiamo presentato qualche giorno fa a Rieti nella sua città natale. Vi appaiono gli ultimi interventi di De Felice, tra la fine degli anni ’80 e il 1996, anno della sua morte, ora avrebbe 90 anni. Il sottotitolo è eloquente: “Facciamo storia, non moralismo”. E invece quel poco di storia che resta in giro oggi, è tutta dentro il moralismo, anzi è schiacciata tra moralismo e via giudiziaria. Perché dopo la condanna morale, scatta pure quella penale. Soprattutto in tema di fascismo e nazionalismo.

La storia la scrivono i vincitori ma contano solo le vittime. Vittime però selezionate da un pregiudizio morale e ideologico; tra le vittime molte sono presunte, a volte sono carnefici sconfitti. In questi interventi e interviste De Felice smonta i tabù che hanno inibito il giudizio storico sul fascismo. Li cito in estrema sintesi.

Primo tabù: è vietato dire che il fascismo ha goduto per tanti anni di grande consenso popolare, furono col fascismo i maggiori artisti e intellettuali del tempo, ed ebbe giudizi positivi dai più grandi statisti del suo tempo, spesso rispecchiando l’opinione pubblica mondiale. De Felice infranse quel tabù.

Secondo tabù: non si può dire che il fascismo fu un regime di modernizzazione, tra grandi opere e sviluppo, integrazione di giovani, donne, contadini ed operai. E De Felice infranse quel tabù.

Terzo tabù: non si può dire che il razzismo e l’antisemitismo furono estranei al fascismo sino all’alleanza con Hitler, dopo l’isolamento delle Sanzioni, e poi le sciagurate leggi razziali. E De Felice, anche in questi scritti, infrange quel tabù.

Quarto tabù: non si può dire che nazismo e fascismo furono due realtà distinte,

 

Continua qui: https://www.agenziacomunica.net/2019/11/15/ma-de-felice-oggi-sarebbe-censurato/

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mistero della Rosa Rossa. La deviazione dei rosacroce

La nascita della Rosa Rossa come deviazione dei Rosacroce originali

Da Paolo Franceschetti – 6 Novembre 2008

 

 

 

  1. Premessa. 2. I Rosacroce. 3. La Rosa Rossa o Golden Dawn. 4. Il problema dei Rosacroce. Il rapporto con il Cristianesimo. 5. Gli omicidi della Rosa Rossa. 6. Il sistema della Rosa Rossa. 7. La Rosa Rossa nel cinema nella letteratura e nelle arti. 8. Conclusioni. Il mistero dei Rosacroce. 9. Bibliografia.

 

  1. 1. Premessa

Abbiamo spesso parlato in questo blog dei delitti della Rosa Rossa. A partire dai delitti del mostro di Firenze, per passare da Pantani, Fois, Cogne, Erba, Garlasco, Meredith. Vediamo quindi cos’è e come funziona questa organizzazione.
Prima di capire cosa è oggi, e come essa agisca nella politica e nella finanza, dobbiamo partire dai RosaCroce, per poi parlare specificatamente della Rosa Rossa e imparare a riconoscerla nella politica quotidiana, ma anche nella cronaca.
E’ necessario, per capire bene alcune delle problematiche, leggere anche il nostro articolo “Il trattato di Lisbona e i suoi antecedenti storici e culturali. Breve storia della massoneria dal 1300 ad oggi”. E’ opportuno leggere anche gli articoli “L’omicidio massonico parte 1” e la parte 2, relativa al delitto Pantani e Fois per non ripetere gli stessi concetti (i link li trovate alla fine dell’articolo). Questo articolo dunque presuppone la conoscenza degli altri.
Non saremo brevi, perché tenteremo di riassumere i punti principali di quella che è un’organizzazione che tiene le fila del potere da secoli, e che costituisce al tempo stesso uno dei misteri maggiori dell’umanità, i rosacroce.

 

  1. 2. I Rosacroce

I rosacroce, con questo nome e come organizzazione autonoma, entrano sul palcoscenico del mondo nel 1614. Prima di allora nessuno ne aveva mai sentito parlare né aveva mai sospettato la loro esistenza.
In quell’anno, a Kassel, in Germania, vennero pubblicati i primi manifesti Rosacrociani: la Fama Fraternitas, e la “Riforma generale e universale del mondo intero”.
L’organizzazione, cioè esce per la prima volta allo scoperto in un modo singolare e destinato a produrre un forte dibattito che durerà in tutti i secoli successivi e che ancora oggi non è del tutto sopito.
In questi manifesti in sostanza essi annunciano al mondo la loro esistenza.
Essi sostengono di essere stati fondati da Christian RosenKreutz, che sarebbe nato in Germania nel 1378 e sarebbe morto a 106 anni, nel 1484; sostengono di avere il dono dell’invisibilità e di poter parlare tutte le lingue. Invitano chi vuole aderire alla loro confraternita a manifestare la loro intenzione, ma affermano che chi vuole diventare dei loro non deve

 

 

Continua qui: https://petalidiloto.com/2008/11/il-mistero-dei-rosacroce-e-la-rosa.html

 

 

 

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Carrai e i soci in Lussemburgo, l’intreccio con i finanziatori di Open

Venerdì, 29 novembre 2019

 

 

Carrai e i soci in Lussemburgo, l’intreccio con i finanziatori di Open

Un archivio segreto con l’elenco degli imprenditori e accanto i nomi di politici e consiglieri di amministrazione che li avevano convinti a finanziare Open. Lo scrive il Corriere della Sera, secondo cui “era nella disponibilità dell’avvocato Alberto Bianchi, il presidente della Fondazione indagato per traffico d’influenze, riciclaggio e finanziamento illecito. Gli investigatori della Guardia di Finanza lo hanno trovato nel corso della seconda perquisizione compiuta tre giorni fa e adesso la lista dovrà essere ricontrollata per verificare se chi ha versato denaro «per sostenere l’attività politica di Matteo Renzi» abbia ottenuto vantaggi per le proprie aziende o incarichi nelle istituzioni”.

Open, archivio segreto di Bianchi con i nomi di imprenditori e politici

“I magistrati ritengono che un ruolo chiave in questa partita lo abbia avuto Marco Carrai, fedelissimo dell’ex premier che aveva un posto nel cda, ma soprattutto gestiva una serie di società — anche all’estero — che avevano tra i soci proprio alcuni soggetti poi comparsi tra i beneficiari della Open. E per questo gli specialisti della Finanza indagheranno anche su chat e-mail rintracciate nei suoi telefonini e computer. Un lavoro che non si preannuncia affatto semplice, anche perché Carrai utilizzava un sistema per criptare le telefonate prevedendo «l’autodistruzione» dei messaggi inviati e ricevuti”, spiega il Corsera.

Secondo il quotidiano Rcs “è lungo l’elenco di chi ha elargito denaro tra il 2012 e il 2018. Nella maggior parte dei casi sono stati i componenti del «giglio magico» a trovare sponsor per la Fondazione e il loro impegno veniva riconosciuto con una sigla apposta accanto al nominativo e alla cifra versata. Luca Lotti, Maria Elena Boschi, lo stesso Bianchi e altri politici vicini a Renzi si sono impegnati affinché Open ricevesse finanziamenti e alla fine la Fondazione ha ottenuto oltre 7 milioni di euro. Nel 2018, quando si è deciso di chiuderla dopo le dimissioni di Renzi da capo del governo, Bianchi ha dichiarato di avere

Continua qui: http://www.affaritaliani.it/politica/carrai-i-soci-in-lussemburgo-l-intreccio-con-i-finanziatori-di-open-640024.html

 

 

 

 

 

 

 

 

DIRITTI UMANI

Infanzia: ancora molte disuguaglianze in Italia

21 NOVEMBRE 2019

È stato presentato nei giorni scorsi il decimo Rapporto sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Gruppo CRC, di cui fa parte anche Cittadinanzattiva. Molte sono le questioni irrisolte da affrontare con urgenza per il nuovo Governo, a cominciare dal contrasto alla povertà minorile. Secondo l’ISTAT, nel 2018 i minorenni in condizioni di povertà assoluta erano 1.260.000 (il 12,6% della popolazione di riferimento), oltre 50mila in più rispetto all’anno precedente. A loro corrispondono oltre 725mila famiglie in povertà assoluta. Le famiglie con minori sono più spesso povere e, se povere, lo sono più delle altre. Un altro tema importante è la protezione dagli abusi e dalla violenza a danno delle persone di età minore, con particolare attenzione alla prevenzione degli stessi.

Ancora il nuovo “sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni” si sta avviando anche grazie ai fondi previsti dal Piano di azione nazionale pluriennale che ha previsto una dotazione di 209 milioni di euro nel 2017, 224 milioni nel 2018 e, a decorrere dal 2019, 239 milioni l’anno e la compartecipazione delle Regioni con un finanziamento

 

Continua qui: https://www.cittadinanzattiva.it/notizie/scuola/12779-infanzia-ancora-molte-disuguaglianze-in-italia.html

 

 

 

 

ECONOMIA

Vi spiego la fregatura del Fondo salva-Stati

di Nicola Porro – 7 DICEMBRE 2019

In questo intervento di pochi minuti a Stasera Italia cerco di spiegare cosa è davvero il Fondo salva–Stati e perché convenga molto di più alla Germania che all’Italia.

 

VIDEO QUI: https://www.nicolaporro.it/vi-spiego-la-fregatura-del-fondo-salva-stati/

 

 

 

 

 

 

Lo shopping senza limiti non aumenta né consumi né produttività

Il dibattito sulla regolamentazione degli orari e dei giorni di apertura degli esercizi commerciali appare viziato su entrambi i fronti (favorevoli e contrari).

 

15 settembre 2018 quotidianodipuglia.it

 

di Guglielmo Forges Davanzati

Il dibattito sulla regolamentazione degli orari e dei giorni di apertura degli esercizi commerciali appare viziato – su entrambi i fronti (favorevoli e contrari) – dal non tener conto di quanto si è fin qui fatto e dei risultati conseguiti. In altri termini, sembra che questo Governo abbia lanciato una proposta radicale e radicalmente nuova: così non é e gli argomenti a favore della maggiore regolamentazione degli orari e dei giorni di apertura erano noti da tempo.

I sostenitori della deregolamentazione fanno propria la tesi secondo la quale le c.d. riforme strutturali attivano crescita: la liberalizzazione del mercato dei beni e dei servizi – si sostiene – è un motore di crescita. Questa tesi – dominante in Italia qualche anno fa e niente affatto scomparsa – regge sull’ipotesi per la quale è la pressione concorrenziale a spingere le imprese a competere accrescendo la produttività. Si assume, cioè, che è solo creando le condizioni perché la concorrenza fra imprese sia completamente deregolamentata che le imprese abbiano incentivo a innovare. A ciò si aggiunge la tesi per la quale, con esercizi commerciali aperti ogni ora del giorno e ogni giorno dell’anno, i consumi aumentano.

L’evidenza empirica mostra che ciò non è accaduto; solidi argomenti teorici mostrano che molto verosimilmente non potrà accadere.

L’evidenza empirica. L’Italia, anche in questo caso, è un unicum in Europa. In alcuni settori, gli esercenti italiani, possono essere aperti 365 giorni l’anno, senza alcun limite. Ciò in virtù delle norme contenute nel c.d. Decreto Salva Italia promulgato dal Governo Monti. La proposta del governo – regolamentare gli orari e i giorni di apertura – non è una novità: ci aveva provato il Movimento 5 stelle nella scorsa legislatura e anche il PD.

Dal 2012 a oggi, il sentiero di riduzione del tasso di crescita della produttività del lavoro – che si avvia almeno dagli inizi degli anni Novanta – non si è mai interrotto. Ciò che semmai è accaduto è un ulteriore riduzione dei salari e un aumento delle ore lavoro. Va segnalato, a riguardo, che l’Italia, nel confronto con la media dell’eurozona, è il Paese nel quale gli occupati lavorano più ore. Cosa che evidenzia come le liberalizzazioni – e la conseguente accresciuta concorrenza fra esercizi commerciali – non si associano a innovazioni, ma a misure che incidono sui costi di produzione. La pressione concorrenziale può semmai generare eccedenze di produzione. La singola impresa è indotta a produrre quanto più possibile nei tempi più rapidi (la c.d.

 

Continua qui:

https://megachip.globalist.it/fondata-sul-lavoro/2018/09/15/lo-shopping-senza-limiti-non-aumenta-ne-consumi-ne-produttivita-2030810.html

 

 

 

 

 

 

 

 

IL FONDO AMERICANO ELLIOTT CONQUISTA IL CDA DI TIM

 

Nel corso dell’assemblea dei soci tenutasi ieri a Rozzano, nel milanese, il fondo americano Elliott ha conquistato la maggioranza nel consiglio di amministrazione di Tim con il 49,8% dei voti: potrà esprimere dieci consiglieri su 15, controllando di fatto la società di telecomunicazioni (Repubblica). Nel cda entrano, tra gli altri, Alfredo Altavilla, Massimo Ferrari, Luigi Gubitosi e Fulvio Conti, ex ad di Enel, che sarebbe in pole per la presidenza (Il Sole 24 Ore).

Si tratta di una vittoria nei confronti della francese Vivendi, azionista di maggioranza con il 23,9%, resa possibile dall’appoggio dei piccoli azionisti e di Cassa depositi e prestiti, che ora è pronta a salire nel capitale. Vivendi ha accusato Cdp di aver falsato il voto. Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda plaude alla vittoria e chiede che ora Tim sia “una vera public company”. Il titolo Telecom ha reagito bene in Borsa.

Chi comanda? Elliot controlla il 9,2% di Tim e ha confermato di voler dare fiducia al piano dell’ex ad e attuale direttore generale Amos Genish. Il nuovo board si riunirà lunedì per la distribuzione delle deleghe (Il Sole 24 Ore). Ma non c’è solo Tim: lo stesso Sole 24Ore ci spiega come l’Europa sia diventata terra di conquista dei fondi attivisti

Continua qui: https://www.agenziacomunica.net/2018/05/05/il-fondo-americano-elliott-conquista-il-cda-di-tim/

 

 

 

 

 

 

 

Paolo Maddalena – È il momento della rinascita dell’IRI

 

di Paolo Maddalena* Notizia del: 27/11/2019

 

L’esperimento, durato fin troppo, delle privatizzazioni, sostenute da soggetti le cui menti sono state sviate dal pensiero neoliberista, è arrivato alla resa dei conti.

Quanto all’Ilva, siamo in una situazione di temporanea stagnazione. Quanto all’Alitalia, invece, valgono le parole di Conte, secondo il quale la soluzione di mercato è sicuramente inattuabile. Dunque, non ci sarebbe altro sbocco se non la svendita o il fallimento.

Oggi, secondo le ultime stime, il prezzo di Alitalia per sua la vendita si agirebbe intorno a un miliardo di euro, mentre le Stato italiano, per sostenere una situazione priva di un qualsiasi piano di sviluppo dell’azienda, ha speso oltre 10 miliardi di euro.

Eppure, Alitalia fattura ogni anno tre miliardi di euro, i quali però non sono sufficienti per coprire i costi. Dal che si deduce che, a parte l’enorme somma che è gravata sul Popolo italiano, inutilmente spesa per tenere in piedi l’azienda, il controllo dello Stato sull’attività imprenditoriale di Alitalia non è stato sufficiente per evitare il suo crollo, in quanto è mancata una visione ad ampio raggio che svolgesse una politica aziendale tale da riportare in pareggio i conti dell’azienda.

È qui che si riscontra il fallimento del sistema economico predatorio neoliberista e la necessità di tornare al sistema economico produttivo di stampo keynesiano.

Se il privato non è in grado, nonostante i consueti controlli, di gestire


Continua qui: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-paolo_maddalena__e_il_momento_della_rinascita_delliri/11_31913/

 

 

 

 

 

 

 

 

La decrescita infelice del neoliberismo trionfante

di Francesco Piccioni – 254 NOVEMBRE 2019

 

La questione ambientale è una questione di sopravvivenza, anche sul piano economico. Trump (e i leghisti della Regione veneto) a parte, non c’è quasi nessuno che ormai contesti questa affermazione. Il problema, semmai, nasce quando si prova a immaginare concretamente cosa voglia dire in termini sistemici.

Detto altrimenti: è relativamente facile fare i conti dei danni di un’alluvione o di una frana, e stabilirne la relazione con il cambiamento climatico. Ma quanto incide, in generale, il cambiamento climatico sulla crescita economia del pianeta?

Un rapporto dell’Economist Intelligence Unit (centro studi della “bibbia” britannica The Economist), uscito nei giorni scorsi, ha provato a calcolarne l’impatto sul Pil da qui a 30 anni. Moltissimo, sul piano economico; un attimo su quello ambientale.

Queste stime vanno sempre prese con le molle, perché in genere vengono fuori da calcoli necessariamente ipotetici, in un cui una serie di variabili imprevedibili debbono essere considerate stabili o evolventi secondo una dinamica lineare. Il che è ovviamente impossibile; anche se aiuta a capire come si muove la tendenza che si vuole osservare, coeteris paribus.

Fatte le dovute premesse – in fondo l’economia è quella disciplina che prevede il passato – occupiamoci dei risultati dello studio.

Catastrofi naturali, come incendi e siccità, per esempio, continueranno a essere un freno per l’economia con il peggioramento delle condizioni climatiche. E l’impatto sarà più forte per le aree meno sviluppate, perché lì ci sono meno strumenti per combattere quelle sfide.

Le aree più ricche hanno risorse finanziarie più grandi, tecnologie migliori, istituzioni governative più esperte, reattive, preparate (non dappertutto allo stesso modo, ovviamente).

Al contrario, “Le istituzioni povere, pertanto, possono contemporaneamente danneggiare la crescita economica e aggravare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici”, afferma il rapporto. Ciò potrebbe includere investimenti nella difesa dalle inondazioni, nello stoccaggio dell’acqua o nelle infrastrutture pubbliche.

Non si fa fatica a crederlo, se guardiamo a “grandi opere” come il Mose e la cementificazione del suolo in tutta Italia. In molti paesi ri-colonizzati, dove impera la corruzione e l’asservimento alle multinazionali, la situazione è anche peggiore.

Insomma, le aree avanzate sono considerate più resilienti, disponendo di strumenti di difesa migliori.

Ciò nonostante, da qui al 2050 l’economia Usa dovrebbe diminuire dell’1,1%, così come tutto il Nord America (Canada e Messico compresi).

Poco peggio dovrebbe andare per l’Europa, con una perdita di Pil intorno all’1,7%.

Dietro viene il diluvio. L’Africa è logicamente più vulnerabile a un impatto

Continua qui: http://contropiano.org/news/ambiente-news/2019/11/24/la-decrescita-infelice-del-neoliberismo-trionfante-0121114

 

 

 

 

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Perché Visco (Bankitalia) lancia prima il sasso sul Mes e poi nasconde la mano?

di Giuseppe Liturri

Tutte le contraddizioni del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, su Mes e ristrutturazione del debito

Nella giornata in cui il ministro dell’Economia accusa l’opposizione di fare ‘terrorismo’ sul Mes spaventando le persone, appare necessario ritornare sulle parole del governatore della Banca d’Italia Visco che,  il 15 novembre scorso con il suo discorso ad un prestigioso seminario a Roma, fornì invece sostanziali elementi a sostegno della potenziale pericolosità del Mes.

Tale discorso fu seguito da una polemica pubblica col giornalista della Reuters, Gavin Jones, che fece notare su Twitter l’atteggiamento ‘schizofrenico’ di Bankitalia che sembrava avere paura delle proprie stesse parole giungendo a telefonare in redazione per chiedere un “ammorbidimento” dell’articolo di Jones.

Il 27 novembre scorso, il ministro Gualtieri in audizione al Senato, di fronte a specifica domanda del senatore Adolfo Urso di Fratelli d’Italia relativa alle parole allarmate di Visco, liquidò bruscamente il senatore, accusandolo in sostanza di non aver capito nulla delle parole di Visco.

Il 4 dicembre ci ha pensato però il deputato del M5S Raduzzi, a rivolgere specifica domanda a Visco, durante l’audizione di quest’ultimo davanti alle Commissioni Bilancio ed Affari Europei. E la risposta del governatore si è dimostrata piuttosto evasiva ed imprecisa, nonostante gli abbia dedicato quasi 7 minuti (da 47.40 a 54.30). Anche al netto dell’accusa al giornalista di aver compiuto “un’attività errata”, collegando erroneamente parole e concetti senza aver saputo individuare soggetto, predicato e complemento della frase.

Ma allora, considerata l’autorevolezza di Visco, è necessario tornare su quel passaggio del discorso del 15 novembre riletto lo scorso 4 dicembre davanti ai deputati, commentandolo periodo per periodo.

“Sta per essere finalizzata la riforma del Trattato sul Meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism, ESM) volta a rafforzare il ruolo di quest’ultimo nella prevenzione e gestione delle crisi sovrane degli Stati membri dell’area dell’euro. Tale riforma si inserisce fra le iniziative mirate a ridurre l’incertezza circa le modalità e i tempi di una possibile ristrutturazione di un debito pubblico.

Qui Visco ci dice chiaramente cos’è il Mes ed orienta tutti i periodi successivi: si tratta di uno strumento volto a ridurre l’incertezza su come procedere in caso di possibile ristrutturazione di un debito. Non lascia spazio a molti dubbi: Visco non dice che serve a prestare denaro a paesi che hanno perso l’accesso ai mercati, ma va dritto al sodo ed introduce subito la frase ‘ristrutturazione del debito’, ponendola da subito come finalità del Mes.

Chiarire le condizioni e le procedure per la ristrutturazione del debito ridurrà certamente quella parte degli oneri del default di uno Stato sovrano che derivano dall’incertezza sulle modalità e sui tempi della sua soluzione.

Premessa la finalità dello strumento, Visco aggiunge poi che il Mes interviene

 

Continua qui: https://www.startmag.it/economia/visco-bankitalia-lancia-prima-il-sasso-sul-mes-e-poi-nasconde-la-mano/

 

 

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Nove anni da indagato: si erano scordati il fascicolo

L’imprenditore reo confesso ma mai processato: il fascicolo rimasto fermo senza motivo

Simona Musco – 7 dicembre 2019

 

«Lo Stato pretende dai cittadini il rispetto di leggi e scadenze. Allora perché proprio lo Stato dovrebbe togliersi l’incombenza di una scadenza così importante, come quella di arrivare ad una condanna o ad un’assoluzione definitiva in tempi certi?». Il senso della protesta dei penalisti contro il blocco della prescrizione si potrebbe riassumere così, con storie come quella di Giovanni, piccolo imprenditore di Monza indagato, nel 2005, per una vicenda di fatture false. Un reato realmente commesso dall’uomo, che in un momento di difficoltà decide di violare la legge per salvare la propria attività. E che confessa tutto alla Guardia di Finanza. Ma a impedirgli di pagare il proprio debito con la giustizia, paradossalmente, è proprio la Procura, che decide di portarlo a processo solo nove anni dopo aver commesso il reato, quando ormai è prescritto.

Tutto comincia 14 anni fa, racconta l’avvocato Valentina Manchisi nel corso della maratona oratoria in piazza Cavour, quando le Fiamme Gialle effettuano un controllo nella bottega artigiana dell’uomo, scoprendo venti fatture emesse per operazioni inesistenti. Le indagini vanno avanti velocemente, con due accessi da parte della Finanza. Giovanni ammette subito tutto, racconta al Dubbio Manchisi, e così le indagini si chiudono a stretto giro, con una sintesi della documentazione raccolta contenuta in una relazione comprensiva dei verbali con le confessioni di Giovanni. Una relazione subito consegnata al sostituto procuratore titolare delle indagini, che iscrive così l’uomo sul registro degli indagati. «Da quel momento in poi – spiega Manchisi – non viene effettuato più alcun accertamento, come verificato personalmente analizzando il fascicolo». Passano anni e nessuno bussa

Continua qui: https://ildubbio.news/ildubbio/2019/12/07/nove-anni-da-indagato-si-erano-scordati-il-fascicolo/

 

 

 

 

 

 

IMMIGRAZIONI

MEDICI DENUNCIANO: “STUFI DI RICUCIRE BAMBINI SODOMIZZATI DAI PROFUGHI”

DICEMBRE 8, 2016

VIDEO QUI:

https://voxnews.info/2016/12/08/medici-a-tv-stufi-di-ricucire-sederi-lacerati-di-bambini-stuprati-da-profughi-video/

 

La televisione bulgara fa un reportage da una cittadina di confine con la Turchia che è assediata dalla presenza di accampamenti di ‘profughi’ islamici.

Fioriscono casinò e attività illegali. Disordini. Gli affaristi se ne avvantaggiano

Continua qui:

https://voxnews.info/2016/12/08/medici-a-tv-stufi-di-ricucire-sederi-lacerati-di-bambini-stuprati-da-profughi-video/

 

 

 

 

 

Migranti, i costi dell’accoglienza: 35 euro al giorno. Ma ai richiedenti asilo ne vanno 2,50

di Andrea Gagliardi – 4 giugno 2018

Nella corso della sua visita all’hotspot (centro di identificazione di migranti) di Pozzallo in provincia di Ragusa, il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini ha detto di aver aperto al Viminale numerosi fascicoli, tra i quali quelli del costo per l’assistenza dei richiedenti asilo che a lui risulterebbe il più caro d’Europa.

Costo di 35 euro al giorno nel sistema enti locali
Ma quale è il costo per l’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia? Quello medio è di 35 euro al giorno nel sistema di protezione gestito dagli enti locali (Sprar). Il sistema Sprar è finanziato dal Viminale, che attinge le risorse dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell’asilo, devolvendo agli enti locali (e non ai richiedenti asilo) i fondi in base alla stima che, per accogliere un migrante adulto, servano circa 35 euro al giorno (45 euro per i minori). Secondo i dati del Def 2018 a inizio aprile erano 25.657 i richiedenti asilo accolti nel sistema Sprar, che offre servizi all’avanguardia: dall’assistenza sanitaria alle attività multiculturali; dall’inserimento scolastico dei minori alla mediazione linguistica e interculturale; dall’orientamento e informazione legale all’inserimento lavorativo, ai tirocini, ai corsi formazione.

Costi analoghi nelle strutture temporanee
Quando i posti Sprar non sono sufficienti (come accade sistematicamente), entra in gioco il sistema di accoglienza straordinaria, gestito dalle prefetture. Qui, sempre secondo i dati del Def 2018, a inizio aprile 2018 erano concentrati 138.504 richiedenti asilo in strutture temporanee e 8.990 in centri di prima accoglienza, su un totale di 174mila migranti ospitati. Sono valutate tutte le offerte di posti letto, anche quelle che provengono da cooperative, albergatori o soggetti privati. E dato che questa accoglienza deve costare non più di 35 euro al giorno per persona (nel Def 2018 si parla di un costo medio di 32,5 euro al giorno) non si può trattare di strutture di lusso.

Ai migranti pocket money di 2,50 euro
Le prefetture offrono dunque la cifra massima di 35 euro a persona al giorno, riservandosi di aggiudicare i bandi col criterio del massimo ribasso. Come sono spesi questi soldi? I servizi offerti variano

Continua qui: https://www.ilsole24ore.com/art/migranti-costi-dell-accoglienza-35-euro-giorno-ma-richiedenti-asilo-ne-vanno-250-AE686hzE

 

 

 

 

È ripartita l’invasione all’Italia: oltre 800 migranti in mare

Più di 300 i migranti presenti all’interno delle navi Ong presenti nel Mediterraneo, tanti altri sono stati fermati in Libia ed alcuni intercettati dalla Guardia Costiera tunisina: è assalto alle coste italiane

Mauro Indelicato – Ven, 22/11/2019

Il maltempo ha concesso tregua per alcuni giorni tra l’Africa e la Sicilia ed i trafficanti ne stanno approfittando per mettere in mare quanti più migranti possibili.

Nell’ultima settimana, prima dell’atteso nuovo peggioramento previsto in questi week end, si può parlare di vero e proprio assalto: i gruppi criminali operanti in Tunisia Libia sono riusciti a far partire dalle coste nordafricane circa 800 migranti.

Un flusso inarrestabile che ha caratterizzato anche le ultime ore. Tra persone soccorse da navi militari e navi delle Ong, ben ci si può rendere conto dell’attuale situazione vigente nel Mediterraneo.

Le organizzazioni non governative hanno a bordo dei loro mezzi attualmente 367 persone. Sono tre le organizzazioni impegnate attualmente tra la Libia e la Sicilia. La prima è la Sos Mediterranée, la quale è stata protagonista con la sua Ocean Viking di tre missioni di salvataggio in pochi giorni ed ha attualmente a bordo 215 migranti.

L’altra ong impegnata è invece la spagnola Open Armsche ha caricato a bordo dell’omonima nave 73 persone, raccolte all’alba di ieri da un barchino in difficoltà non lontano dalla Libia. Infine, c’è un’altra ong, spagnola anch’essa, che ha iniziato ad operare proprio in questa settimana: si tratta della Aita Mari, impegnata con un omonimo mezzo nel Mediterraneo e che nelle ultime ore ha caricato a bordo 79 soggetti presi da un barcone in difficoltà.

Alarm Phone, il network telefonico che riceve e rilancia gli allarmi direttamente dai mezzi in difficoltà, dal proprio canale Twitter nelle ultime ore ha segnalato diverse situazioni di gommoni in avaria.

A completare il quadro anche le notizie arrivate dalla Tunisia. La Guardia Costiera di Djerba infatti, ha soccorso, come riferito da media locali, un barcone con 43 migranti a bordo a 10 miglia da Houmet Essouk. L’imbarcazione era partita proprio da questa cittadina costiera tunisina ed è stata raggiunta dai militari locali dopo essere stata individuata.

Nessun migrante in questo caso era tunisino, tutti infatti erano originari

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/assalto-libia-pi-800-migranti-nel-mediterraneo-negli-ultimi-1788483.html

 

 

 

 

 

 

La frontiera invisibile che passa da Trieste

Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale

12 novembre 2019 11.03

 

“Quando sono entrato in Italia ho ringraziato dio e poi mi sono messo a ballare in mezzo alla strada”, racconta Tariq Abbas, un ragazzo pachistano di 26 anni, mentre mostra il punto esatto in cui è sceso dall’auto del passeur che qualche mese fa lo ha portato dalla Bosnia all’Italia, davanti a un bar sull’autostrada che dalla Slovenia conduce a Trieste. Aveva provato ad attraversare la frontiera tra Bosnia e Croazia quindici volte, senza riuscirci. Alla fine, ha deciso di pagare un trafficante per essere portato in auto a destinazione, in Italia, insieme ad altre dieci persone. Si trovava da mesi nel campo governativo di Bira, un’ex fabbrica di Bihać, in Bosnia, dove è stato allestito un campo ufficiale dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim).

A Bira mancava tutto, racconta Abbas. L’acqua, i servizi, la fiducia negli altri. Risse e furti erano all’ordine del giorno in una situazione sempre più difficile. “Ero partito dal Pakistan un anno e mezzo prima e mi trovavo bloccato in Bosnia da mesi”. Così l’unica strada è stata quella di affidarsi a uno dei tanti passeur che frequentano il campo. “È pieno di persone che offrono di facilitare il viaggio, all’interno degli stessi campi in Bosnia”, racconta. Ha speso una cifra altissima: 3.500 euro per farsi portare prima a piedi e poi in auto dove voleva arrivare. Mentre percorre il sentiero che costeggia l’autostrada, Abbas mostra gli oggetti che altre persone hanno lasciato lungo la strada: zaini, sacchi a pelo, indumenti. Sono le tracce di un passaggio costante e silenzioso.

Una rotta di cui non si parla

L’8 novembre un ragazzo siriano di vent’anni è stato ritrovato senza vita nei boschi della Slovenia, a Iliza Bistrica, a pochi chilometri da Trieste. Come tanti prima di lui, come tanti dopo di lui, provava ad attraversare la frontiera, percorrendo una rotta che non è mai stata chiusa, nonostante l’accordo con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan costato all’Unione europea sei miliardi di euro nel 2016 e malgrado la costruzione del muro tra Ungheria e Serbia voluto dal premier ungherese Viktor Orbán nel 2015. Il ragazzo siriano aveva vent’anni e voleva raggiungere i suoi fratelli, emigrati anni prima in Germania. Si è perso nei boschi, in autunno, per sfuggire ai controlli della polizia slovena e croata lungo i sentieri che attraversano il confine. Secondo quanto ricostruito dalla volontaria Lorena Fornasir, il ragazzo aveva chiesto aiuto tramite un amico cinque giorni prima ed era venuto suo fratello dalla Germania per cercarlo, senza fare in tempo a trovarlo vivo. Per cinque giorni il ragazzo avrebbe aspettato i soccorsi nel bosco, senza ricevere aiuto.

Lo stesso giorno del suo ritrovamento trentacinque persone sono state fermate tra Croazia e Bosnia, e rimandate indietro in quella che si è trasformata nella frontiera orientale dell’Europa, proprio nelle stesse ore in cui in tutti i paesi del vecchio mondo si celebrava il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. “Non si è trattato di una fatalità”, afferma Gianfranco Schiavone del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste, membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). “Ma è la manifestazione di una situazione drammatica che riguarda migliaia di profughi lungo la rotta dei Balcani. Quella

Continua qui: https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camilli/2019/11/12/trieste-frontiera-muro

 

 

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

L’anima longobarda della lingua italiana

Com’è che in italiano ci sono così tante parole di origine longobarda? Che cosa c’è di unico in questa derivazione?

Giorgio Moretti25 novembre 2019

n italiano ci sono un sacco di parole di matrice longobarda, centinaia, parole quasi tutte di uso comune, anzi appartenenti al nostro lessico fondamentale. Parole molto umili, che parlano di attrezzi, di artigianato, di allevamento, di parti del corpo, di relazioni, di scontri. Ma c’è una cosa da capire bene, perché rappresenta un unicum nella storia della nostra lingua: quale è la posizione del longobardo rispetto all’italiano.

Sui dizionari etimologici tutto è equiparato: la tal parola può derivare dal longobardo, dall’arabo, dal provenzale, dall’inglese, dal neerlandese e via dicendo. Ma la formula che ci spiega da quale lingua deriva una certa parola rischia di essere fuorviante, perché queste derivazioni non sono tutte uguali.

Da quando la nostra lingua ha iniziato a prendere forma, sappiamo che ha raccolto una grande quantità di parole da lingue straniere. Ad esempio il numero di provenzalismi è impressionante; e parimenti è impressionante quello di francesismi, di arabismi, di anglicismi. In questi casi chi parlava e parla italiano ha colto una parola qua e là da queste lingue straniere, secondo necessità, consuetudine e ispirazione, fino a creare un insieme di dimensioni rilevanti. Ma quando parliamo di derivazione dal longobardo non parliamo di questo. Non parliamo della derivazione da una lingua straniera avvenuta durante la vita dell’italiano, ma prima.

La lingua longobarda è una lingua nonna, che la nipote italiana non ha mai conosciuto — anche se sul suo volto se ne riconoscono certi tratti. Per un certo tempo gli studiosi l’hanno considerata del ceppo germanico orientale, affine al gotico, ma oggi la collocazione del longobardo fra le lingue germaniche è molto discussa: in tanti sono propensi a collocarla nel ceppo occidentale, ma probabilmente è intrecciata in modo complesso fra rami diversi.

I Longobardi erano un popolo straniero per gli italici, quando nel 568 entrarono nella penisola. Il quadro è quello delle invasioni barbariche, ma questi Longobardi non arrivavano per distruggere e razziare, quanto per prosperare. Prosperare da padroni. La guerra greco-gotica si era conclusa appena quindici anni prima: il famoso imperatore romano d’oriente Giustiniano, da Costantinopoli, nel tentativo di riconquistare l’Occidente aveva obliterato il dominio gotico in Italia in un conflitto durato diciotto anni (peraltro i goti in Italia, quelli di Teodorico il Grande, ce li aveva mandati Zenone, predecessore di

Continua qui: https://unaparolaalgiorno.it/articoli/le-famiglie-delle-parole/l-anima-longobarda-della-lingua-italiana-8

 

 

 

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Inquinamento, ecco i Paesi e le aziende che danneggiano il pianeta

Federico Giuliani – 12 ottobre

 

L’inquinamento è un argomento troppo serio per essere lasciato nelle mani di chi pensa di poterlo risolvere con una carrellata di ovvietà, per lo più soluzioni semplici e irrisorie o talmente impraticabili da essere utopistiche. A danneggiare il pianeta non sono le persone che vanno a lavoro con la propria auto né chi beve utilizzando le bottigliette di plastica. La situazione è molto più complessa, perché i veri danni con la d maiuscola sono provocati da soggetti molto più grandi dei semplici cittadini. Il Guardian ha stilato la classifica delle 20 compagnie di combustibili fossili il cui sfruttamento incessante delle riserve mondiali di sostanze quali petrolio, gas e carbone può essere collegato a un terzo di tutte le emissioni di gas serra nell’era moderna. L’analisi è stata condotta dal Climate Accountability Institute degli Stati Uniti, e si basa sulla doppia azione delle aziende citate – cioè l’estrazione di sostanze e le conseguenti emissioni – in un arco di tempo che va dal 1965 al 2017.

Le aziende più inquinanti

Le prime 20 società della lista, si scopre dai dati, sono responsabili del 35% delle emissioni di combustibili fossili, più o meno 480 miliardi di tonnellate di Co2, degli ultimi 52 anni. Allargando ulteriormente la lente di ingrandimento notiamo come la metà delle emissioni prodotte dal 1751 a oggi risalgano al periodo posteriore al 1990. Ma quali sono queste aziende? Al primo posto troviamo Saudi Aramco, la compagnia di idrocarburi che fa capo all’Arabia Suadita, seguita dall’americana Chevron e dalla russa Gazprom. Seguono ExxonMobil, National Iranian Oil, Bp, Royal Dutch Shell, Coal India, Pemex e Petroleos de Venezuela per quanto riguarda i primi dieci posti. Dodici delle prime 20 società sono di proprietà statale. Quando il Guardian ha chiesto loro informazioni, alcuni soggetti hanno risposto di non essere direttamente responsabili di come il petrolio che hanno estratto

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ECO-IDEOLOGIA E PREPOTENZA POLITICA

di Dimitri Buffa – 27 novembre 2019

 

Ce lo ha prescritto l’eco medico. Di credere, obbedire e combattere per l’eco-ideologia. Perché siccome ci fa male, alla salute e al pianeta, non è possibile avere dubbi. Anzi non si può osare. Greta Thunberg urla che le rubiamo il futuro, gli eco-improvvisatori e i prepotenti di ogni latitudine politica si aggrappano alle ruote in corsa di un possibile carro vincente e noi si va allegramente con la testa dietro al nulla. Dietro a vane promesse di usare le teorie come se fossero scienze esatte. E dietro una cieca fiducia nelle nuove sorti ecologiche e progressive. Così ci si tappa occhi, orecchie e bocca sulle vere cause di questo declino catastrofico di tutto un Continente. Ridotto nelle condizioni post-pace di Versailles senza neanche avere fatto una guerra. Se non quella interminabile contro la propria cultura. Auto-sparandosi le proprie bombe atomiche, innescate con un indotto e tendenzialmente infinito senso di colpa.

Tutti questi mentecatti di ogni età e di ogni partito in mancanza di meglio cercano di spiegare quel che non capiscono. Usando la eco-ideologia come scudo per la propria incompetenza. Il tutto dopo avere accettato per quasi trent’anni il Governo “random” dei pm protagonisti che per fare carriera hanno fatto politica con alcune delle loro inchieste. È stata un po’ la contro rivoluzione khomeinista d’Italia. Invece che la guerra alla corruzione dei costumi è passata la purga alla cinese contro la corruzione vera e propria – con purga selettiva – e adesso è in corso una seconda guerra tipica di chi ama buttarla in caciara evocando le “statistiche postulato”, le “stime”, sull’entità dell’evasione fiscale. E adesso è nata una generazione che non crede in Dio né nella scienza, bensì in queste stime arbitrarie ed astratte. Nonché nel mito fondativo di Antonio Di Pietro così come glielo ha spiegato Beppe Grillo nei “vaffa day” e qualche giornalista nei teatri alla moda.

È l’Italia dei meravigliosi e autoritari – e filocinesi, filorussi e filoiraniani – ragazzi di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. E dei tanti cattivi maestri e strateghi interessati di sé stessi nel giornalismo. Soprattutto, ma anche nella magistratura e nella cosiddetta società civile, piene entrambe di esponenti che soffiano sul fuoco dell’invidia sociale. E poi si lamentano che ci sta “il populismo”. Il padre o i padri ideologici che non riconoscono i figli, legittimi o meno che

Continua qui: http://opinione.it/editoriali/2019/11/27/buffa_editoriali-eco-ideologia-europa-italia-populismo-invidia-sociale/

 

 

 

 

 

 

La destituzione di Trump e lo scenario della Guerra di Secessione

8 Dicembre 2019 DI BRANDON SMITH

alt-market.com

L’anno scorso abbiamo parlato molto di una guerra civile negli Stati Uniti, tanto che ultimamente persino i mezzi di comunicazione più diffusi hanno sviluppato l’argomento. Secondo un sondaggio realizzato da Rasmussen nel 2018, il 31% degli elettori americani credevano che l’America avrebbe conosciuto una seconda guerra civile nel corso dei 5 anni a venire. un sondaggio più recente dell’Istituto politics and Public Service segnala che 7 elettori su 10 stimano che gli Stati Uniti siano a due terzi del cammino verso una guerra civile.

Il nuovo discorso di impeachment sulla questione Ucraina ha aggravato ulteriormente la situazione, dato che alcuni conservatori affermano che scoppierà una guerra se Trump sarà destituito dalla sua carica.

Vorrei essere assolutamente chiaro e dire che resto sempre molto scettico in quanto la manfrina della destituzione è soltanto un’ulteriore distrazione per il pubblico, e penso che finirà in una bolla di sapone (proprio come il Russia Gates). Detto questo penso che ci siano poche possibilità che i globalisti organizzino un gioco di guerra di quarta generazione qui. Una guerra civile se viene diretta e manipolata nel modo giusto, potrebbe essere molto benefica per le élites soprattutto se combinata con alcuni altri ingredienti.

 

Per intanto dobbiamo capire qual è la situazione reale. Come sanno bene i miei lettori, avevo predetto ben prima delle elezioni del 2016 che Trump Presidente, sarebbe stato il capro espiatorio perfetto per l’implosione di una “bolla generalizzata”. Questa implosione si produce attualmente intorno a quasi tutti gli indicatori economici fondamentali, come ho sottolineato nel mio ultimo articolo. A questo punto ci sono due domande da porsi: i mercati borsistici seguiranno i fondamentali al ribasso prima delle elezioni del 2020? E se per caso i mercati resisteranno, questo avrà importanza quando il resto del sistema affonderà nella recessione?

Nel gennaio 2016, durante la sua campagna elettorale, Donald Trump ha dichiarato che l’economia americana era “in una bolla che egli temeva che potesse scoppiare e che non avrebbe voluto fronteggiare un disastro finanziario se fosse stato eletto alla Casa Bianca “. Ha fatto appello alla Federal Reserve perché alzasse i tassi di interesse e smettesse di sostenere i mercati fasulli.

Nel 2019, Trump ha collegato la sua amministrazione ai risultati dei mercati con infiniti commenti su Twitter, attribuendosi tutto il merito della bolla finanziaria che in precedenza aveva criticato. Ha anche chiesto alla Fed di rimettere a zero i tassi di interesse per sostenere ancora una volta artificialmente l’economia (evidentemente dobbiamo porci la grande domanda: se è la “più grande economia americana mai vista”, allora perché Trump vorrebbe che la FED introduca più stimoli per aiutarla?)

Io credo che questo bizzarro comportamento da parte di Trump sia completamente premeditato e che egli abbia intenzione di addossarsi la responsabilità del crollo in corso.

Se il mercato azionario cade con il resto dell’economia da adesso alla fine del 2020, è poco probabile che i globalisti prevedano di confermarlo per un secondo mandato. Il suo ruolo di capro espiatorio della crisi creata dalle banche centrali sarà compiuto.

In secondo luogo, i miei lettori sanno altresì che ho sottolineato i legami tra Trump e i globalisti, compreso il fatto che una gran parte della sua ricchezza e della sua reputazione sono state salvate da un intervento della famiglia Rothschild negli anni ‘90 del secolo scorso. Wilber Ross, l’agente dei Rotschild che si è occupato della faccenda, attualmente è segretario al commercio di Trump. La presenza di Ross nel gabinetto Trump, con numerosi altri rappresentanti delle élites, quali Pompeo, Mnuchin, Lightheizer, Kudlow e un gruppo di altri membri del Council on Foreign Relations, indica che Trump è, ed è probabilmente

 

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/la-destituzione-di-trump-e-lo-scenario-della-guerra-di-secessione/

 

 

 

 

 

 

La politica estera americana: dalla distorsione alla realtà

26 Novembre 2019

La politica estera americana, dall’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, sta finalmente suscitando un ampio dibattito negli Stati Uniti. Mentre prima la dissidenza rispetto alla dottrina neoconservatrice si limitava a pochi spazi culturali e di dibattito, oggi essa si colloca sotto gli occhi di tutti. Peraltro, niente di meno che grazie al Presidente in persona, il cui progressivo disimpegno da tutti gli scenari mondiali ha dato nuove consapevolezze alla popolazione. E nuovi scricchiolii all’impalcatura delle classi dirigenti, che sinora ha retto ma perché priva di chi fosse in grado di colpirla con durezza.

 

La Siria vista dai falchi statunitensi

La Madama Grigia ha imparato a codificare. Nel corso della settimana fra il 28 ottobre ed il 3 novembre 2019, il New York Times ha pubblicato una mappa ad alta risoluzione ed alta tecnologia, ed interattiva, della Siria. Una mappa la quale, tenuto debito conto della usuale, tediosa e pedante pesantezza del giornale, ha dato l’impressione che può dare una nonna anziana che cerca di accedere il suo forno attraverso l’iPad.

La grafica, attraverso una visione panoramica, fa porre l’attenzione degli occhi dei fruitori su una rappresentazione topografica del nord della Siria, codificata da colori diversi per indicare quali parti sono controllate da Bashar al-Assad, quali dai ribelli e quali dai curdi. In seguito, i colori cambiano e sanguinano finanche insieme, nel frattempo che il panorama politico cambia per riflettere il ritiro delle truppe americane fatto eseguire da Donald Trump.

Senza ombra di dubbio, è tutto quanto molto all’avanguardia. Tuttavia, la mappa presenta un difetto fatale: essa non è affatto della Siria. Essa, infatti, rappresenta – secondo i dettami della politica estera americana – la visione che le élite della politica hanno di come possa essere la Siria. Perciò, una sorta di lettura visiva che ogni falco a stelle e strisce potrebbe avere, in maniera pregiudiziale, di questo sfortunato Paese. Pensiamola maggiormente come una landa dal nome di “Siria di Mezzo“, cioè una terra immaginaria fatta di eroi e di villani, con imperativi morali tanto facili quanto possono esserlo quelli di una storia

 

Continua qui: https://oltrelalinea.news/2019/11/26/la-politica-estera-americana-dalla-distorsione-alla-realta/

 

 

 

 

 

 

POLITICA

Qualche info su Mattia Santori, leader delle Sardine

30 Novembre 2019 DI AUGUSTO DE SANCTIS

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Nel manifesto delle Sardine c’è un riferimento alla bellezza. Sacrosanto.
Poi leggo che il cosiddetto leader MattiaSantori è uno degli autori del mitico “Coesistenza tra Idrocarburi e Agricoltura, Pesca e Turismo in Italia”, scritto con i petrolieri (Assomineraria) per sdoganare le trivelle in Italia.
Noi abruzzesi lo conosciamo bene questo testo in quanto nella lotta contro il megaprogetto petrolifero Ombrina Confindustria locale lo usò a piene mani per sostenere la compatibilità dell’intervento che avrebbe reso l’Abruzzo nero petrolio. Ora grazie a quella lotta abbiamo la ciclabile costiera e un mare, almeno in quel tratto, sgombro (giacché parliamo di pesci) da piattaforme.
Lo stesso Santori è autore di diversi altri illuminanti pezzi sul petrolio (due tra gli

 

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/qualche-info-su-mattia-santori-leader-delle-sardine/

 

 

 

 

 

STORIA

Piazza Fontana mezzo secolo dopo

La stagione dei libri per chiudere quella dei processi infiniti

26 NOVEMBRE 201926 NOVEMBRE 2019

 

DI PIERLUIGI ARCIDIACONO

 

Tra pochi giorni saranno i 50 anni dalla strage di piazza Fontana. Quel 12 dicembre 1969 segnò l’inizio non solo di una lunga stagione di sangue, stragi e omicidi politici, ma marcò anche l’inizio di quella frattura tra politica, magistratura e società che, oggi, si percepisce quasi come un dato di fatto.

Da un lato potenti omertà e depistaggi, dall’altro processi iniziati e rinviati, ripresi e sospesi, fatti e rifatti. Con i cittadini a guardare stupiti un Paese che non è in grado di fare Giustizia per un reato (e quanti altri sono poi seguiti) così grave.

In questi giorni stanno uscendo ancora nuovi libri sulle inchieste e i diversi retroscena. Giorni fa ci siamo occupati di quello del giudice Guido Salvini: “La maledizione di piazza Fontana” (Chiarelettere). Quasi nello stesso momento, sempre a Milano veniva presentato: “Piazza Fontana per chi non c’era” (Nutrimenti) di Mario Consani.

 

Cronista giudiziario, Consani ha raccontando i processi milanesi più importanti degli ultimi vent’anni e, sulla strage di 50 anni fa, ha già pubblicato, nel 2005 il libro “Foto di gruppo da Piazza Fontana”. Abbiamo quindi voluto

Continua qui: https://orwell.live/2019/11/26/piazza-fontana-mezzo-secolo-dopo/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervista a Francesco Agnoli: “Vi spiego perché Nilde Iotti non è un’eroina”

Intervista di Berardino Ferrero 6 DICEMBRE 2019

 

Il professor Francesco Agnoli ha dedicato una paginata su la Verità del 3 dicembre su Nilde Iotti, intitolata Gli omissis nella santificazione della Iotti, e ha dedicato alla Iotti e alle donne comuniste alcune pagine del suo Donne che hanno fatto la storia, in uscita a marzo per Gondolin. Lo abbiamo intervistato per capirne qualcosa di più.

Agnoli, perchè questo articolo?

Proprio perchè certe santificazioni sono strumentali, oltre che fasulle. Rai 1 celebrerà in questi giorni la Iotti, a 30 anni dalla sua morte, presentandola come un’ “eroina”, espressione di “una classe politica degna di stima e rispetto la cui competenza, a differenza di oggi, non era messa in dubbio. Una classe politica dotata di profondo senso etico dello Stato e abituata a considerare la propria missione altissima, irreversibile. Abbiamo bisogno di modelli così». In questa definizione retorica e pomposa non c’è nulla di vero.

Perché?

Anzitutto perché qualcuno dimentica che la Iotti è stata la compagna di Palmiro Togliatti, un uomo che propugnò sempre il comunismo sovietico, arrivando a giustificare qualsiasi crimine, persino il patto tra Stalin e Hitler che nel 1939 scatenò la II guerra mondiale. Togliatti scrisse ai compagni comunisti sconvolti per la notizia, che occorreva obbedire a Mosca, perché Mosca non sbaglia mai! Anche la Iotti conobbe Stalin, e non prese mai le distanze da quel feroce dittatore che il giornale del suo partito, l’Unità, salutava, nel 1953, con un sottotitolo in prima che recitava così: “Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione per il progresso dell’umanità”. Ricordo anche che la Iotti ebbe a dichiarare il suo orgoglio per aver brindato con un Lambrusco d’annata, insieme a Togliatti, nel 1956, quando i carri armati sovietici entrarono a Budapest. È questa la classe politica di cui dovremmo sentire nostalgia?

Però lei parla anche di molto altro…

Certamente quello che mi urta di più è il tentativo di far credere che il partito comunista valorizzasse le donne. Si tratta di propaganda pura. Pochi sanno che per lo più i partiti di sinistra furono quelli che fino ad una certa data

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D’Annunzio, il rivoluzionario che il Duce non fu

Nicola Porro – Dom, 08/12/2019

Gabriele D’Annunzio ci ha lasciato anche un «certo stile politico». «Il poeta-soldato è stato definito il precursore o il Giovanni Battista del fascismo.

C’è qualche cosa, indubbiamente, di vero in questa affermazione, ma c’è anche molto di non vero e, comunque, di esagerato». Così si apre l’introduzione all’ultimo numero del quadrimestrale Nuova storia contemporanea, una chicca culturale curata magnificamente da Francesco Perfetti. A noi, ignoranti della materia, questo rapporto più complesso di quanto alcuni amministratori locali italiani ritengano, del Vate con il Duce, era chiaro dalla lettura di M. Il figlio del secolo, scritto da Antonio Scurati. Ma certo approfondire con Perfetti, senza fare torto a nessuno è altra cosa. La Carta del Carnaro, l’utopistica e socialisteggiante produzione costituzionale di Fiume, e l’epilogo dell’impresa creano un solco con Mussolini. Scrive Perfetti: «Durante tutto l’intero arco del regime il poeta-soldato visse in una specie di esilio, in una sorta di limbo politico nella splendida residenza del Vittoriale, stando attento a non sostenere politicamente il regime. Il carteggio fra Mussolini e D’Annunzio, letto in filigrana, mostra la presenza di

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