NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 6 MARZO 2019

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NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

6 MARZO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Il mondo è un grande manicomio,

dove i governanti sono gli psicologi e il popolo i pazienti.

Ogni giorno che passa è sempre maggiore il ruolo giocato

da criminologi, psichiatri

e da tutti coloro che studiano il comportamento mentale dell’uomo.

MICHEL FOUCAULT, Follia psichiatrica. Detti e scritti 1957-1984,

Cortina Ed. 2006, pag. 68

 

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

La realtà inventata

Traffico d’organi a Kabul 1

La Nato ha chiesto all’Italia di spendere di più per l’Alleanza. 1

Jerry Calà contro Laura Boldrini: “Gli emigranti italiani morivano in miniera”. 1

Togliete i bambini dagli orfanotrofi invece di affittare un utero

Corte dei Conti accusa Renzi: “Quattro anni di bilanci falsi”. Ombre sul Comune di Firenze. 1

Dalle armi di distruzione di massa irachene alle armi chimiche siriane. 1

Kagame: volete in Africa la democrazia che non avete in Ue. 1

La scomparsa dei fatti 1

A Camp Darby le forze speciali italiane. 1

Zirkon e Avangard: l’ultimo messaggio di Putin all’intelligence statunitense. 1

La crisi della più grossa banca tedesca

Un intervento militare non può rovesciare il governo del Venezuela. 1

Argentine prostitute who accused Pope’s friend of complicity in child sex trafficking found dead. 1

La crisi della rappresentanza e la moda delle elezioni primarie. 1

I RIVOLUZIONARI DI PROFESSIONE. Che paghiamo noi. 1

Zingaretti: cronaca di un grande bluff 1

Idioti digitali 1

 

 

EDITORIALE

La realtà inventata

Manlio Lo Presti – 6 marzo 2019

Un giornalista che ho conosciuto da poco colloquiando sulle vicende del nostro martoriato Paese, mi ha fatto sapere che le redazioni dei giornali in rete non hanno un grande interesse per il contenuto delle notizie, ma se queste inducono i lettori a fare click. La sua riflessione non mi ha sorpreso più di tanto. Dove tutto corre veloce, come gli scarafoni quando si accende la luce, la cura e la scelta delle notizie non sono una priorità. E’ importante uscire per primi, costi quel che costi.

Le cause o le rettifiche della notizia sparata in prima pagina avranno sempre una influenza maggiore della rettifica che viene sempre dopo -quando il pezzo da correggere è stato dimenticato dall’incalzare ossessivo si altri articoli – e relegato in quarta pagina.

Ma allora perché questa folle corsa a dire e addirittura a falsificare i fatti e le notizie invece che farne una analisi critica, delle valutazioni sui loro effetti sociali, economici, politici, di sicurezza nazionale, di ordine pubblico, ecc. ecc. ecc.?

Il motivo è la invasione totalitaria dei metodi di diffusione delle notizie imposta dallo strapotere di Google che obbliga tutta la rete di giornali online ad accettare passivamente il sistema SEO (Search Engine Optimization) (*). Si tratta di un percorso piuttosto complicato che si può utilizzare al meglio solo dopo aver frequentato corsi ad hoc.

L’invio e la diffusione di notizie o documenti di qualsiasi natura che non osservano questi complicatissimi criteri sono destinati ad una diffusione molto limitata o quasi all’oblio.

Per evitare la marginalizzazione, i periodici online spingono quindi alla acquisizione martellante ed ossessiva dei click che i lettori fanno sul sito che consultano. La qualità della notizia? Parafrasando uno dei principi della logica, è “una condizione necessaria, ma non sufficiente”.

La convulsiva ricerca dei like sui social (Facebook fra i più diffusi), dei cuoricini (Instagram), del click sui siti web ha decretato la scomparsa della ricerca critica e spesso faticosa della veridicità di quanto viene diffuso. La massa-tsunami delle informazioni  porta via tutti i detriti del falso totalitario costringendo tutti a vivere in una realtà inventata (**) in una sorta di Matrix che deforma la capacità cognitiva di intere masse, di nazioni, di emisferi.

P.Q.M.

Questa immensa e titanica censura che farebbe impallidire McLuhan ed Orwell, è possibile grazie ad un artificio tecnetronico di Google SCONOSCIUTO AL 99% DELLE MASSE – il S.E.O. appunto – che è riuscito a condizionare l’informazione con una magnitudine superiore a due Guerre mondiali.

Abbiamo una dimostrazione di come il SOFT POWER del Sacro Impero Tecnetronico Americano stia sterminando qualsiasi forma di percezione del reale finora conosciuta.

TUTTI VERSO UN DEFICIT COGNITIVO COLLETTIVO E PLANETARIO.

FELICEMENTE ANDROIDI!

Ne riparleremo

 

NOTA

(*) cfr. il link: https://www.mysocialweb.it/2018/08/13/seo/

(**) Waztlawick, La realtà inventata, Feltrinelli

 

 

 

IN EVIDENZA

Traffico d’organi a Kabul

I bambini le vittime preferite

25 novembre 2001

KABUL – Un cuore fruttava dai 25 ai 30 milioni, la metà un rene o una cornea. Centinaia di bambini afgani, di età compresa fra i 4 e i 10 anni, sono stati usati come “pezzi di ricambio” e poi gettati morti per strada o nei fossati. Un maxitraffico di organi umani via Pakistan che ha prosperato per anni all’ombra dei Taliban così fiscali in fatto di barbe, donne e preghiere, ma che non hanno mai mosso un dito per reprimere questo orrore e che hanno addirittura mandato libero un reo confesso che solo lui di ragazzini ne aveva uccisi 60.

Non ci sono cifre ufficiali in materia, non c’è alcuna autorità a cui chiedere conto di questa barbarie, ma c’è la memoria della gente di Kabul, della gente di strada che ha contato i cadaveri, ha visto in faccia gli aguzzini arabi e pachistani per lo più, tutti ricchi e protetti dal regime e ha potuto solo sperare che la stessa sorte non toccasse ai propri figli. Nel più grande ospedale cittadino, Sha Faknà, c’era un reparto offlimits per i locali con personale medico straniero. Così attrezzato e pulito rispetto alla sporcizia e alla precarietà di tutto il resto da sembrare quasi una clinica svizzera. Gli espianti se non addirittura i trapianti, è opinione diffusa, si effettuavano proprio lì.

La materia prima era reperibile per le vie di Kabul, pullulanti di bambini nonostante i divieti degli studenti col mitra. Nel libro delle nefandezze commesse dai seguaci del mullah Omar, quello del traffico di organi umani occupa purtroppo un capitolo di molte pagine. Tante quante sono le storie di chi ha perso un figlio o una figlia. Quella che segue è solo una di queste, non l’ultima purtroppo.

Rhuma aveva 4 anni. Ne avrebbe compiuti 5 in ottobre. Era una bella, vivace bambina, l’unica figlia femmina di Ali Akmad, 40 anni, commesso in una botteguccia di ferramenta al bazar. Martedì 21 agosto 2001, ecco la data che quest’uomo, piccolo, macilento che da allora ha perso il sonno e l’appetito, non dimenticherà mai più. È la data della scomparsa della sua Rhuma. Poco dopo l’ora di pranzo, Rhuma, dopo aver mangiato un po’ di riso, esce in strada Akmad e i suoi vivono nel popoloso quartiere Shasdarak per giocare con gli altri bambini. Lo fa sempre. La madre non si preoccupa più di tanto. Qualche minuto dopo Najib, 18 anni, il fratello più grande, sente una brusca frenata, un pianto disperato e si precipita subito in strada, Rhuma non c’è più e i suoi compagni di gioco muti indicano il gippone che se la sta portando via. Urla a sua volta, Najib: “Papà, l’hanno rapita, rapita”. La strada si affolla di gente, di madri preoccupate. Riscatto, vendetta? Due ipotesi che Ali nemmeno prende in considerazione. Non ha soldi, guadagna solo poche decine di dollari al mese, e non ha mai torto un capello a nessuno. E allora perché?, si chiede senza trovare risposta. Anzi una risposta ce l’ha ma non vuole prenderla in considerazione. Vive ore da incubo facendo mille congetture, passando al setaccio tutta la sua povera vita. Ma niente, non sa spiegarsi perché sia toccato proprio a lui. Due giorni dopo, giovedì, ore 23. Il rombo di un’auto in corsa e qualcosa che va a sbattere quasi contro il loro uscio fa sobbalzare Ali e sua moglie che si precipitano fuori. Per terra c’è un sacco di terra grezza. Dentro c’è quel che resta di Rhuma. Gli assassini l’hanno come sventrata, le hanno portato via il cuore, i reni, un occhio e l’altro le

Continua qui: http://www.etanali.it/traffico_di_organi_umani.htm

 

 

 

 

La Nato ha chiesto all’Italia di spendere di più per l’Alleanza

Il ministro della Difesa Trenta vorrebbe cambiare i sistemi di calcolo per la spesa considerando anche il contributo alle missioni. Il segretario Stoltenberg: «Roma spenda di più».

5 MARZO 2019

«Elogio l’Italia per i contributi alle missioni, ma deve spendere di più», ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg in vista della pubblicazione della relazione annuale della spesa dei Paesi dell’Alleanza il 14 marzo, ad un gruppo di giornalisti. Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha più volte sollecitato la Nato «ad una valutazione complessiva» della «condivisione del peso (burden sharing)» tra gli Alleati, tenendo conto dell’alto contributo dell’Italia alle missioni. Nel 2018 Roma ha contribuito con 21,1 miliardi di euro (l’1,15% del suo Pil) al bilancio della Nato. Le regole dell’Alleanza Atlantica prevedono che ogni Paese membro contribuisca con il 2% del Pil.

«Mi aspetto che l’Italia faccia di più. Ha iniziato a muoversi nella giusta direzione, ma

Continua qui: https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2019/03/05/spesa-italia-nato-trenta/229786/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Jerry Calà contro Laura Boldrini: “Gli emigranti italiani morivano in miniera”

Il popolare comico sbrocca su Twitter contro la presidente della Camera: “I nostri emigranti lavoravano tutto il giorno e vivevano nelle baracche”

Gianni Carotenuto – Mar, 08/08/2017                 RILETTURA

La presidente della Camera Laura Boldrini paragona i minatori italiani di Marcinelle agli immigrati di oggi, ma Jerry Calà non ci sta.

 

In occasione dell’anniversario della strage belga, dove morirono 262 minatori di cui 136 italiani, la Boldrini ha scritto su Twitter un post nel quale ha ricordato così quella tragedia: “Anniversario tragedia #Marcinelle ci ricorda quando i #migranti eravamo noi”. Parole a cui Jerry Calà ha risposto con alcuni tweet al veleno: “Va bene tutto ma non permettetevi di paragonare i nostri emigrati. A loro non li ha aiutati nessuno a casa loro“.

 

Jerry Calà non ci sta. Il popolare comico veronese ma di origini calabresi, dopo l’ennesima uscita della presidente della Camera in difesa dell’immigrazione fronteggiata dall’Italia nella sostanziale indifferenza dell’Unione europea, non ha resistito alla tentazione di partecipare alla polemica più accesa di questi ultimi tempi.

 

“A loro non li ha aiutati nessuno a casa loro. Lavoravano, mandavano a casa i soldi e poi, ma poi…, si facevano raggiungere e si integravano”. Così recita uno dei primi cinquettii digitati sul suo profilo Twitter da Calà, che ha cominciato a discutere con i suoi fans sull’insostenibilità del confronto tra gli immigrati italiani di ieri e gli africani di oggi.

 

“Non paragoniamo nostri emigrati per piacere! Loro chiusi in baracche da cui uscivano solo per lavorare e rientravano per farsi da mangiare”, scrive rabbioso Calà, che aggiunge: “Mio zio è morto in Belgio nelle miniere per mantenere la famiglia

 

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/jerry-cal-attacca-boldrini-no-paragoni-italiani-e-immigrati-1429285.html?mobile_detect=false

 

 

 

 

 

 

Togliete i bambini dagli orfanotrofi invece di affittare un utero

9 marzo 2016

Negli ultimi giorni si è discusso molto della questione “utero in affitto“. Non sarebbe meglio togliere i bambini dagli orfanotrofi invece di affittare uteri?

Di S.M. per La verità di Ninco Nanco

 

Negli ultimi giorni si è discusso molto della questione “utero in affitto“, notizia alimentata anche grazie all’ex politico pugliese Nichi Vendola e dal suo compagno, volati in California per “ritirare il bambino”  nato appunto grazie ad una donna che si è prestata, in cambio di una generosa ricompensa, a realizzare il sogno della coppia.

Qualcuno è favorevole a ciò, ma attenzione, non bisogna prendere le distanze dal fattore “umano”, non si tratta di limitare la libertà altrui, ma una questione di rispetto verso la donna e il normale ciclo della natura. “L’utero in affitto” permette ai “ricchi” (perché i costi si aggirano dai 140.000€ ai 170.000€) di comprare la “vita” grazie ad una donna che si presta, “come accade per le uova negli allevamenti”, da incubatrice.

I soldi non possono comprare tutto, tanto meno la vita, riflettiamo, se non era per la

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https://www.jedanews.it/blog/orfanotrofi-utero-in-affitto/?fbclid=IwAR3_91o0VjbXMF9_I95bL14omGy0n1dSC9btR-aZ9-LwxBTzEoJ2dTQGqg4

 

 

 

 

 

 

 

 

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Corte dei Conti accusa Renzi: “Quattro anni di bilanci falsi”. Ombre sul Comune di Firenze

La magistratura contabile ha riscontrato “gravi anomalie”. Il diktat al successore Nardella: “Ripristinare gli equilibri”

Sergio Rame – 05/09/2015                       RILETTURA, PER RICORDARE

“Gravi irregolarità” nei bilanci del Comune di Firenze rilevate dalla Corte dei Conti per quattro anno di fila.

Nel mirino della magistratura contabile finisce, insomma, l’intera gestione di Matteo Renzi.

Per la Corte dei Conti, secondo quanto riporta il Fatto Quotidiano, a Palazzo Vecchio rimarrebbero “gravi irregolarità” che generano “oltre all’inosservanza dei principi contabili di attendibilità, veridicità e integrità del bilancio, anche violazioni in merito alla gestione dei flussi di cassa e alla loro verificabilità”. I giudici contabili, si legge

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http://www.ilgiornale.it/news/politica/corte-dei-conti-accusa-renzi-quattro-anni-bilanci-falsi-ombr-1167222.html?mobile_detect=false

 

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Dalle armi di distruzione di massa irachene alle armi chimiche siriane

di Thierry Meyssan

In un rapporto del 1° marzo 2019, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche certifica che nell’attacco di Duma (Siria) del 7 aprile 2018 non c’è stato uso di sostanze chimiche vietate; il bombardamento tripartito, intrapreso per rappresaglia da Stati Uniti, Francia e Regno Unito, era perciò ingiustificato: uno scandalo che ricalca esattamente quello delle pseudo-armi di distruzione di massa irachene. Le manipolazioni non finiranno, almeno fino a quando gli Occidentali si fideranno a occhi chiusi dei loro media.

Rete Voltaire | Damasco (Siria) | 5 marzo 2019

Il comportamento dei giornalisti occidentali è davvero sconcertante: prendono per buone e diffondono le affermazioni dei politici ritenendole fondate a priori, senza tener conto delle smentite degli organismi internazionali. Sono incapaci di riconoscere di essere stati manipolati.

La giustificazione della devastazione dell’Iraq

Nel 2003 i media occidentali unanimemente presero per buone le affermazioni di George W. Bush, secondo cui l’Iraq disponeva di armi di distruzione di massa. In seguito, credettero a Tony Blair, secondo cui l’Iraq aveva vettori in grado di colpire l’Occidente in 45 minuti e di far morire le popolazioni disperdendo gas tossici. Infine, credettero persino al segretario di Stato, Colin Powell, secondo cui l’Iraq offriva rifugio a Osama Bin Laden.

Eppure, nello stesso periodo la Commissione di Controllo, Verifica e Ispezione delle Nazioni Unite (COCOVINU, UNMOVIC in inglese) dichiarava che le affermazioni di Bush e Blair erano senza alcun dubbio false. La Commissione fu l’unico organismo ad aver accesso al territorio iracheno, nonché a effettuare tutte le necessarie verifiche. Né CIA né MI6 ne ebbero l’opportunità; eppure entrambi smentirono le conclusioni della Commissione.

Ricordiamo, incidentalmente, che la Francia di Jacques Chirac si oppose alla guerra contro l’Iraq, a motivo che «la guerra è sempre la peggiore delle soluzioni». Nemmeno la Francia quindi affermò che le accuse anglo-statunitensi erano, con ogni evidenza, false, come si deduceva dalle conclusioni dell’organismo di controllo internazionale, la COCOVINU appunto.

Oggi si ricostruire la storia a forza di film e serie televisive. Siamo tutti concordi nel riconoscere di essere stati manipolati. Però sosteniamo che le intelligence statunitense e britannica sono state a loro volta manipolate dai politici e che nessuno aveva strumenti per conoscere la verità. È falso. Basta immergersi nella stampa dell’epoca per verificare come tutti congiurassero per screditare il direttore della COCOVINU, lo svedese Hans Blix, che osava tenere testa alla più grande potenza mondiale del tempo. Questo è quanto ha stabilito, tredici anni più tardi, la Commissione Chilcot [1].

E si tace anche delle accuse scagliate da Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’ONU [2]: nel 2002 Osama Bin Laden viveva a Bagdad, i suoi luogotenenti erano tuttora lì e fabbricavano derivati tossici del ricino. Lì, sosteneva Powell, si preparavano attentati in Francia, Regno Unito, Spagna, Italia, Germania e Russia. Era perciò urgente intervenire.

Ebbene, credere a simili sciocchezze significa non conoscere affatto il partito al potere in Iraq

 

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Kagame: volete in Africa la democrazia che non avete in Ue

Scritto il 05/3/19

L’Europa ha riscoperto il suo interesse per l’Africa a causa della crisi migratoria? L’Europa ha trascurato l’Africa. L’Africa avrebbe dovuto essere un partner, da scegliere anche solo in base alla nostra storia comune. Ma gli europei hanno semplicemente avuto un atteggiamento sbagliato. Sono stati presuntuosi. L’Europa ha creduto di rappresentare tutto ciò che il mondo ha da offrire; che tutti gli altri potessero solo imparare dall’Europa e chiedere aiuto. Questo è il modo in cui gli europei hanno gestito l’Africa per secoli. E questo sta iniziando a cambiare, a causa di alcuni fatti. L’Europa ha capito che le cose non sono così rosee nel suo stesso continente. La migrazione è solo una parte del problema, solo una parte di ciò per cui i cittadini europei sono scontenti. Basta guardare a tutte le proteste e al cambiamento del panorama politico. La rabbia è diretta contro gli errori commessi dalla leadership politica. La popolazione africana raddoppierà entro il 2050. Solo per questa ragione, molte persone potrebbero prendere il cammino dell’Europa nei prossimi anni. Non è solo una questione di dimensioni della popolazione. Quello che conta è il contesto in cui cresce la popolazione. La Cina ha 1,3 miliardi di abitanti. Tuttavia, non si sono viste legioni di cinesi migrare illegalmente in altri paesi.

Anche se la popolazione dell’Africa non crescesse, in molti posti la povertà sarebbe ancora così grande che le persone cercherebbero alternative. L’Europa ha investito miliardi su miliardi di dollari in Africa. Qualcosa deve essere andato storto. In parte, è che questi miliardi avevano un biglietto di ritorno. Sono fluiti in Africa e poi tornati di nuovo in Europa. Questo denaro non ha lasciato nulla sul terreno, in Africa. Alcuni di questi soldi potrebbero essere scomparsi nelle tasche dei leader africani? Supponiamo per un momento che sia così. L’Europa sarebbe davvero così pazza da riempire di denaro le tasche di ladri? Potrebbe anche esserci un’altra ragione per cui il denaro non ha prodotto risultati: perché è stato investito nel posto sbagliato. Dove dovrebbero andare i fondi per lo sviluppo? Nell’industria, nelle infrastrutture e nelle istituzioni educative per la gioventù africana, il cui numero sta crescendo rapidamente. Questo è l’unico modo per avere un dividendo demografico. La Cina è attiva in Ruanda, ma non in modo inappropriato. Le nuove strade in Ruanda sono in gran parte costruite con denaro europeo. A volte ci sono subappaltatori cinesi. L’impegno della Cina in Africa è buono, ma può ancora essere migliorato. Gli africani devono soprattutto lavorare su se stessi.

In Ruanda, conosciamo la nostra capacità e quali proposte cinesi dobbiamo accettare, in modo da non sovraccaricarci di debiti. Ma ci sono anche paesi che non hanno fatto buoni accordi e ora si stanno strangolando. Questi paesi sono incappati nella

 

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CULTURA

La scomparsa dei fatti

20 febbraio 2010 – Adelia Pantano

“Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane di compagnia. O da riporto”. Le parole sono di un libro che risale a qualche anno fa, ma che io ho scoperto solo questa estate. Si tratta di “La scomparsa dei fatti” scritto da Marco Travaglio (edito da Il Saggiatore). Un libro che ha creato non poche polemiche in quanto punta l’attenzione sul modo di fare giornalismo e sul modo di divulgare l’informazione in Italia, che sicuramente non è dei migliori. Ciò su cui focalizza l’attenzione Travaglio sono appunto i fatti, tutto ciò che potrebbe fare la differenza nel sistema di informazione italiano. “Senza fatti, si può sostenere tutto il contrario di tutto. Con i fatti no.”

Sono anni che in Italia i fatti non vengono più raccontati come sono realmente. Si nascondono per far posto a notizie di secondo piano. Nel libro si parla addirittura di “allergia ai fatti manifestata dal giornalismo italiano.” Vengono citati numerosi esempi di giornalismo malato che nel corso degli anni ha fatto entrare in casa nostra personaggi come Annamaria Franzoni “di cui gli italiani sanno tutto. Dei processi che riguardano i politici di ieri e di oggi nessuno sa nulla, a meno che, oltre a guardare la televisione, non si abbia il brutto vizio di leggere qualche giornale o qualche libro.” Oltre a questi fatti di cronaca non mancano notizie nascoste come i fatti di Tangentopoli, di cui molti giornalisti dell’epoca, ad un certo punto, hanno deciso di fare retromarcia, riabilitando tutti i protagonisti (condannati fra l’altro) della vicenda. Come non citare i misteri che avvolgevano la missione italiana in Iraq.

 

Ed ancora, il caso dell’influenza aviaria che, sarcasticamente, definisce “giornalismo dei polli.” Travaglio ci ricorda anche come molti si dimentichino di una delle prime regole del buon giornalista, ovvero quella di verificare che i numeri siamo esatti. Spesso si sentono cifre assurde ma, poiché non siamo tutti economisti o matematici, ci crediamo. Continuando così, si va avanti facendo elenchi di tutti quei giornalisti che implicati in situazioni poco consone alla loro professione (inchieste, processi e quant’altro) hanno continuato in modo del

 

Continua qui: http://www.fattialcubo.it/la-scomparsa-dei-fatti/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

A Camp Darby le forze speciali italiane

di Manlio Dinucci

La riorganizzazione della base USA di Camp Darby (Italia) maschera il passaggio di forze speciali italiane sotto il comando USA. Questo sistema fu già sperimentato in passato: permise la creazione di Gladio, il servizio per le operazioni segrete della NATO in Italia. Da dicembre 2015 (articolo 7bis della legge 198), il presidente del Consiglio italiano ha la possibilità di perseguire operazioni militari con operazioni d’intelligence. Questa notizia è un’ulteriore conferma dell’ipotesi che abbiamo annunciato due mesi fa: la NATO sta preparando un’ondata di attentati in Europa.

Rete Voltaire | Roma (Italia) | 5 marzo 2019

La notizia non è ufficiale ma già se ne parla: da ottobre su Camp Darby sventolerà il tricolore. Gli Stati uniti stanno per chiudere il loro più grande arsenale nel mondo fuori dalla madrepatria, restituendo all’Italia i circa 1000 ettari di territorio che occupano tra Pisa e Livorno?

Niente affatto. Non stanno chiudendo, ma ristrutturando la base perché vi possano essere stoccate ancora più armi e per potenziare i collegamenti col porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa. Nella ristrutturazione restava inutilizzata una porzioncina dell’area ricreativa: 34 ettari, poco più del 3% dell’intera area. È questa che lo US Army Europe ha deciso di restituire all’Italia, più precisamente al Ministero italiano della Difesa, per farne il miglior uso possibile.

È stato così stipulato un accordo che prevede il trasferimento in quest’area del Comando delle forze speciali dell’esercito italiano (Comfose) attualmente ospitato nella caserma Gamerra di Pisa, sede del Centro addestramento paracadutismo. Sono le forze sempre più impiegate nelle operazioni coperte: si infiltrano nottetempo in territorio straniero, individuano gli obiettivi da colpire, li eliminano con un‘azione fulminea paracadutandosi dagli aerei o calandosi dagli elicotteri, quindi si ritirano senza lasciare traccia salvo i morti e le distruzioni.

L’Italia, che le aveva usate soprattutto in Afghanistan, ha fatto un decisivo passo avanti nel loro potenziamento quando, nel 2014, è divenuto operativo il Comfose che riunisce sotto comando unificato quattro reggimenti: il 9° Reggimento d’assalto Col Moschin e il 185° Reggimento acquisizione obiettivi Folgore, il 28° Reggimento comunicazioni Pavia e il 4° Reggimento alpini paracadutisti Rangers. Nella cerimonia inaugurale nel 2014 fu annunciato che il Comfose avrebbe mantenuto un «collegamento costante con lo U.S. Army Special Operation Command», il più importante comando statunitense per le operazioni speciali formato da circa 30 mila specialisti impiegati soprattutto in Medio Oriente.

A Camp Darby – ha specificato l’anno scorso il colonnello Erik Berdy, comandante dello US Army Italy – già si svolgono addestramenti congiunti di militari statunitensi e italiani. Il trasferimento del Comfose in un’area di Camp Darby,

 

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Zirkon e Avangard: l’ultimo messaggio di Putin all’intelligence statunitense

di Valentin Vasilescu

Nell’ultimo discorso all’Assemblea federale, il presidente Vladimir Putin sembra abbia fatto riferimento alla possibilità di modificare il missile ipersonico Zirkon prima che i sistemi Avangard entrino in servizio. La Russia si troverebbe così in posizione di vantaggio rispetto agli Stati Uniti, pur con grande dispendio di denaro.

Rete Voltaire | Bucarest (Romania) | 26 febbraio 2019

Nel discorso del 20 febbraio il presidente Vladimir Putin ha menzionato il missile ipersonico Zirkon e il sistema Avangard [1]. Il presidente russo ha anche avvisato che se gli Stati Uniti dovessero posizionare missili a media gittata in Europa, la Russia metterebbe sotto tiro non soltanto le relative istallazioni di lancio, ma anche i relativi centri di comando, alcuni dei quali si trovano nel continente americano.

Già abbiamo avuto modo di constatare come nei discorsi di Putin l’associazione di certi termini non sia casuale: essi sottendono una conoscenza dei servizi d’intelligence USA.

L’unica arma che possa colpire gli Stati Uniti partendo dalla Russia, e contro cui il Pentagono non ha difesa, è Avangard. La Russia però disporrà unicamente di due sistemi Avangard, peraltro operativi non prima della fine del 2019.

Prescindendo da Avangard, Zirkon ha però un enorme potenziale di rinnovamento e d’adattamento, cosa maggiormente temuta dagli Stati Uniti. Io suppongo che uno Zirkon con portata aumentata possa equivalere a un ipotetico Avangard più piccolo e sia in grado di colpire il territorio statunitense.

Penso che il presidente Putin voglia far sapere agli Stati Uniti che, dopo essere usciti unilateralmente dal Trattato sulle forze nucleari a medio raggio (INF), Zirkon, con la sua enorme velocità, potrebbe diventare il loro incubo.

Il motore Scramjet (ramjet) di Zirkon può aumentare di cinque volte la quantità di combustibile iniziale

 

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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

La crisi della più grossa banca tedesca: ultima chance per salvare Deutsche Bank

5 MARZO 2019

Ai primi di febbraio il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, e il suo vice Joerg Kukies si sono recati a Londra. Lo rivela il Financial Times, secondo il quale l’obiettivo dei due esponenti del governo di Berlino è ascoltare il parere dei big della finanza internazionale, a partire da Goldman Sachs e Bank of America, non sulla Brexit o sul rallentamento dell’economia della Germania, ma su come rianimare le due principali banche tedesche Deutsche Bank e Commerzbank, magari fondendole, con l’obiettivo di salvarle entrambe.

Un gigante dai piedi d’argilla

Uno dei più grossi problemi di Deutsche Bank è quello di essersi lasciata sedurre dal modello della ‘banca casinò’, arrivando perfino a controllare attività per 4,3 miliardi di dollari, che facevano capo ai casinò di Las Vegas. Non solo. Tra il 2011 e il 2018 ha accumulato una perdita netta 6 miliardi di dollari ed e’ stata multata per 14,5 miliardi per attività che vanno dalla vendita dei titoli ipotecari al suo ruolo nello scandalo Libor. Anche le sue strategie per ammortizzare le perdite speculative non hanno funzionato, come dimostra il fatto che le sue azioni sono crollate ai minimi storici (-90% negli ultimi 11 anni) e che gli analisti hanno apertamente messo in discussione il suo modello di business, basato sull’investment banking.

A​​nche Commerzbank, la seconda banca tedesca, non se la passa per niente bene e proprio per cercare di salvare questi due istituti, che potrebbero rivelarsi decisivi per puntellare un sistema industriale essenzialmente basato sull’export come quello tedesco, specie in caso di recessione, Scholz e Kukies si sono recati nel cuore della finanza globale per chiedere lumi sulla fusione ai massimi esperti del settore.

Un accordo che nasce dalla “disperazione”

A suggerire al governo questa soluzione, secondo quanto rivela il Financial Times, è Paul Achleitner, il presidente di Deutsche. “È importante che noi in Europa restiamo forti e indipendenti”, afferma al Ft Simone Menne, ex direttore finanziario della compagnia aerea tedesca Lufthansa, secondo il quale “può essere sensato unire le forze e, quando si tratta di politica finanziaria, perseguire un approccio più europeo”, cioè un approccio piu’ svincolato dal modello, tipicamente Usa, della finanza casinò. Tuttavia non tutti gli esperti finanziari sono d’accordo con la soluzione della fusione. “Riteniamo che un accordo debba avvenire solo nel breve termine”, afferma al Ft Stuart Graham, fondatore di Autonomous Research, “un accordo del genere nasce dalla disperazione e il governo lo vuole attuare per prevenire un contagio”.

Nel 2018 la crisi di Deutsche si è acuita, Achleitner ha licenziato l’amministratore delegato britannico John Cryan, a favore del “lupo” tedesco Christian Sewing e alla fine dell’anno la polizia ha perquisito il quartier generale della banca nell’ambito un’indagine sul riciclaggio di denaro sporco. Sarebbero stati proprio questi raid a rendere più urgenti le pressioni per una fusione delle due grandi banche tedesche, alla luce dello scandalo della banca danese Danske, allargatosi fino a colpire Deutsche, e dell’inchiesta del Congresso Usa sulle relazioni tra la stessa Deutsche Bank e il presidente Donald Trump.

A guidare il progetto di fusione, secondo il Ft, c’è il prudente socialdemocratico Scholz, che Angela Merkel ha nominato vice-cancelliere l’anno scorso. E Kukies, il suo emissario nel mondo finanziario, ex trader di prodotti derivati di Goldman Sachs, educato ad Harvard, che è l’opposto del suo capo: fiducioso, sfacciato, esuberante. La fusione è un progetto che ha implicazioni non solo tedesche ma anche europee, visto che porterebbe alla nascita del secondo polo finanziario dell’Eurozona (dietro Bnp Paribas): un gigante con con circa 2.000 miliardi di euro di asset, 845 miliardi di euro di depositi, oltre 2.500 filiali e 141.000 addetti, contro i 92.000 di Deutsche, di cui almeno 20.000, secondo gli analisti, potrebbero andare persi.

Una questione di sovranità

Scholz è uno sponsor convinto della fusione e ha adottato una posizione molto più attiva rispetto al suo predecessore, sostenendo che avere banche forti e stabili è una questione di “sovranità nazionale”, perché le banche tedesche “non hanno le dimensioni e l’impronta globale necessarie per traghettare settore industriale” a livello mondiale, in quello che ormai appare come uno scontro con la concorrenza industriale cinese e il sistema finanziario statunitense.

Un’altra preoccupazione del ministro è che Deutsche da sola potrebbe non essere in grado di sfuggire a ciò che James von Moltke, il responsabile finanziario della banca, ha definito un “circolo vizioso di entrate in calo, spese in aumento, rating in diminuzione e costi di finanziamento crescenti”. L’anno scorso la banca ha generato un utile netto di 341 milioni di euro, il primo dal 2014, ma inferiore del 20%

Continua qui:

https://www.msn.com/it-it/money/finanza-personale/la-crisi-della-più-grossa-banca-tedesca-ultima-chance-per-salvare-deutsche-bank/ar-BBUnIWg?ocid=spartandhp

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Un intervento militare non può rovesciare il governo del Venezuela

di Valentin Vasilescu

Diversi Stati latinoamericani e le forze speciali USA sembrerebbero prepararsi ad attaccare il Venezuela. Studiando i rapporti di forza e la topografia del Venezuela, Valentin Valisescu ritiene però che nessuna invasione possa avere ragione di questo Paese vasto e protetto da una giungla molto più estesa di quella del Vietnam. Qualunque intervento militare non può avere altro scopo che la destabilizzazione del Paese, non già il rovesciamento del governo.

Rete Voltaire | Bucarest (Romania) | 4 marzo 2019

Scenario di una guerra sudamericana

Un’invasione del Venezuela sarebbe possibile solo partendo da Brasile, Colombia e Guyana, i tre Stati limitrofi del Venezuela. Ci sono, in teoria, almeno tre direttrici d’invasione.

Un’invasione da parte degli Stati sudamericani deve innanzitutto conquistare la supremazia aerea sul Venezuela.

La maggior parte degli obiettivi politico-militari del Venezuela non sono però alla portata dell’aviazione brasiliana, che possiede F-5, A-4, AMX-1A e A-29 Tucano.

Per contro, la Colombia dispone di aerei Kfir, A-37 e A-29 Tucano, che non hanno alcuna possibilità di sottrarsi ai sistemi antiaerei Buk-M2, S-125, S-300 e agli apparecchi venezuelani F-16 e Su-30. Lo stesso discorso vale per gli aerei brasiliani rispetto alla difesa antiaerea a media e lunga gittata e all’aviazione venezuelana.

Per il loro basso plafond, gli aerei turbopropulsori A-29 Tucano si troverebbero costantemente alla portata dei 5 mila missili antiaerei portatili venezuelani SA-24 (Igla-S). Gli F-5, A-4, AMX-1A, Kfir e A-37 non dispongono di armi con guida di precisione e attaccano a un’altezza di 2-3 mila metri: sarebbero perciò anch’essi vulnerabili ai missili SA-24 portatili (Igla-S).

Un’invasione terrestre dalla Guyana è improbabile. È un Paese piccolo che non possiede né i mezzi né la capacità fisica per farlo: non può farsi strada dall’Orinoco e dal suo delta, né ha possibilità di far attraversare la giungla ai carrarmati.

Il Brasile ha ancor meno possibilità di riuscirci: prima di entrare in contatto con il grosso delle forze venezuelane, l’esercito brasiliano dovrebbe percorrere 500 chilometri di giungla.

Inoltre, il fiume Orinoco rappresenta un ostacolo per i brasiliani, che non hanno ponti mobili né altri equipaggiamenti di ingegneria militare. Ancora, per la difesa antiaerea delle truppe terrestri, Brasile e Colombia dispongono solo di missili portatili, con un plafond di 5 mila metri; i Su-30 venezuelani lanciano invece bombe a guida laser KAB-500 e KAB-1500 o missili Kh-29 a un’altezza di 10 mila metri.

L’asse più probabile di attacco è la Colombia. Tuttavia, l’offensiva colombiana non è favorita dall’orografia: la direttrice dell’offensiva si arresterebbe al lago Maracaibo, che dovrebbe essere aggirato a est lungo un corridoio di 15-20 chilometri; un varco che l’esercito venezuelano riuscirebbe facilmente a difendere.

L’alternativa migliore sarebbe aprire una via di aggiramento per la base aerea colombiana, che equivale a una brigata, e di paracadutarla a sud-est dalla Cordigliera delle Ande. Quest’opzione è però anch’essa impraticabile perché la Colombia

 

Continua qui: https://www.voltairenet.org/article205455.html

 

 

 

 

 

 

Argentine prostitute who accused Pope’s friend of complicity in child sex trafficking found dead

www.lifesitenews.com

BUENOS AIRES, February 23, 2019 (LifeSiteNews) –

Natacha Jaitt, an Argentine media celebrity who had accused Gustavo Vera, a friend of Pope Francis, of sex crimes, was found dead during the pre-dawn hours on Saturday at a resort near Buenos Aires.

Jaitt tweeted in October that Vera was Pope Francis’ “accomplice.” She wrote: “Justo Gustavo Vera, is a pimp, sex-trafficker, and accomplice of the Pope and, as I predicted, was tried for misappropriation of funds at Alameda and other illegal acts. God will do what is just, someday. Amen.”

Justo Gustavo Vera , el proxeneta, tratante, cómplice del papa y como anticipé y pasó, procesado por apropiación de la Alameda y otras aotrocidades ilegales. Di/os en algún momento hará justicia, amén. ���� https://t.co/gip0DJuyU3

— Natacha Jaitt (@NatachaJaitt) October 1, 2018

Police arrived at the Xanadu event complex near the capital of Argentina, where Jaitt was found unresponsive in bed. After her death was confirmed, police began investigating. A coroner determined on Saturday that Jaitt died of multi-organ failure; her body showed no signs of violence. She was a widow and mother of two children.

Argentine media is following the case closely, given Jaitt’s record of controversy, which included work in prostitution, pornography, and television. Her credibility has often been questioned. Controversy has swirled around Jaitt, ever since she made startling claims about Pope Francis and his friend, Gustavo Vera — a former Peronist politician who operates the nonprofit Alamada human rights organization.

Vera has attended various conferences at the Vatican, including one that dealt with child sex trafficking.

Despite making claims against Vera and Pope Francis, Jaitt could not offer any proof during an appearance on the popular “Lunch with Mirtha Legrand” talk-show in April 2018. She accused Vera, who was frequently photographed with Pope Francis while he was still Archbishop Jorge Bergoglio, of involvement in a child sex-trafficking ring operating in junior division soccer clubs in the South American republic. Jaitt told a guest “[Vera] is also a pedophile. It is a case that they had me investigate; he managed brothels, and hung out with prostitutes.”

Jaitt clashed with the other guests on the talk show, two of whom were journalists, who disputed her claims. Mercedes Ninci, a journalist who said she is Vera’s friend, denied Jait’s accusation and said that Vera’s conduct is “impeccable” and that he has worked for years with his nonprofit Alameda to stop sex trafficking.  Jaitt claimed that she investigated child sex trafficking and found evidence of impoverished boys being forced to commit sex acts by soccer club officials in exchange for cleats and uniforms.

Last year, after her appearance on Mirtha Legrand’s talk show and the resulting controversy

 

Continua qui: https://www.lifesitenews.com/news/argentine-prostitute-who-accused-pope-of-complicity-in-child-sex-traffickin

 

 

 

POLITICA

La crisi della rappresentanza e la moda delle elezioni primarie

01 Gennaio 2005                                     RILETTURA OPPORTUNA

 

ATTENZIONE A NON FARE GLI APPRENDISTI STREGONI. COME INSEGNA L’ESPERIENZA AMERICANA, LE PRIMARIE, QUESTO PRESUNTO STRUMENTO DI DEMOCRAZIA DIRETTA, RAPPRESENTANO INVECE UNA RISPOSTA POPULISTA ALLA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA E DELLA PARTECIPAZIONE

Dopo il successo di Nichi Vendola alle primarie in Puglia sarà ancora più difficile contrastare la fatale irruzione di questo presunto strumento di democrazia diretta nella politica italiana. Non c’è dubbio, infatti, che l’esito della vicenda pugliese sembra dar ragione a chi ritiene che le primarie possano essere, in determinate condizioni, un metodo adatto a valorizzare la partecipazione politica e a scombinare i giochi di potere delle oligarchie partitiche. Del resto, non si tratta di una novità. Quando furono introdotte per la prima volta negli Stati Uniti, le primarie erano pensate esattamente in questa maniera: dovevano restituire ai cittadini quella sovranità di cui erano stati “espropriati” dalla machine politics. E anche qui da noi, così come in altre democrazie mature, l’arma delle primarie incombe come uno spettro da almeno un decennio a questa parte su quel che resta della partitocrazia. Non è un caso che esse, a meno che non fossero ben controllabili e pilotabili, siano state viste sempre come il fumo negli occhi dagli apparati di partito, i quali non vorrebbero rinunciare alla loro prerogativa d’ultima istanza, che è quella di selezione dei candidati. Mentre, al contrario, sono evocate a ogni piè sospinto da tutti quelli che mostrano qualche insoddisfazione verso i meccanismi della rappresentanza. Ma allora che cosa sta succedendo? Che gli ha preso ai partiti? Da dove nasce quest’invaghimento della sinistra per le primarie? Come mai perfino un partito come Rifondazione le accetta volentieri come terreno di lotta politica, fino a considerarle uno strumento democratico non solo efficace ma anche avanzato? Vediamo di capirci qualcosa. Ma con il mio ragionamento vorrei evitare di entrare nel merito della contingenza politica, delle valutazioni e delle schermaglie che caratterizzano in questi giorni il dibattito nei partiti del centro-sinistra. Mi limiterò a fare, in base alle esperienze conosciute e alle conoscenze acquisite dalla scienza politica in materia, qualche considerazione più generale sul significato che va attribuito alle primarie nell’ambito del processo politico democratico.

DIRETTISMO VS. DEMOCRAZIA DIRETTA

Prima di tutto sarebbe bene liberarsi di un equivoco tutt’altro che innocente: le elezioni primarie non sono affatto una procedura di democrazia diretta. A rigore, dirette sono solo quelle procedure democratiche che consentono effettivamente al popolo di autogovernarsi, cioè di prendere da sé le decisioni politiche, senza bisogno di governanti e classi politiche. Anzi, se prendessimo a modello la democrazia classica (letterale) dei greci, da cui ha tratto ispirazione il movimento comunista moderno, scopriremmo che essa è incompatibile con la stessa procedura elettorale, di qualsiasi genere essa sia (Manin 1992). Se esiste oggi una procedura che si avvicina alla vera e propria democrazia diretta

 

Continua qui: http://www.marx21.it/index.php/rivista/19245-la-crisi-della-rappresentanza-e-la-moda-delle-elezioni-primarie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I RIVOLUZIONARI DI PROFESSIONE. Che paghiamo noi.

www.maurizioblondet.it

Notoriamente, il solo problema di Palemmo è il  craffico. Così, problema della UE è il clima. Lo ha decretato Macron nel suo discorso napoleonico agli europei, pubblicato da tutti i media europei in tutte le lingue: vuole anzi “un mandato europeo sul clima” che obblighi “dalla banca centrale alla Commissione”. Lo ha annunciato Zingaretti che ha dedicato la sua vittoria “a Greta, la ragazza svedese che lotta per la salvezza del pianeta”. Lo strilleranno gli “studenti” che il 15 marzo sfileranno durante lo “sciopero per il clima”, a cui hanno dato adesione Legambiente, Onda D’Urto, LGBT e black Bloc e sorosiani di Più Europa a braccetto insieme alle “mille onlus” che già hanno partecipato alla “marcia contro il razzismo” di Salvini a Milano.

La nuova parola d’ordine delle sinistre globaliste e capitalistico – finanziarie è lanciata.   Il clima, tipico argomento “progressista” che  consente di parlar d’altro, tacere la disoccupazione, i poveri, l’euro disastroso socialmente,  soprattutto il sistema economico finanziario  del capitalismo  terminale  radicalmente anti-umano, e sembrare “di sinistra”.  Col vantaggio che da decenni, il capitalismo globale alla Soros conta di far adottare “il mandato climatico” su scala globale, ossia detenere un altro mezzo di controllo   dittatoriale  e di regressione su popoli ormai superflui.

Le “sinistre per Macron”  hanno superato il trauma delle vittorie “populiste”, sentono che questi hanno perso il momentum propulsivo, che il governo giallo-verde si è effettivamente incartato e i 5Stelle hanno lasciato passare il kairos,   l’opportunità da afferrare al volo perché non si ripresenterà…ed è tornato il loro.  Seppellire  le critiche sull’euro e la UE, e con esso “i sovranismi”, sotto “il clima”. E “L’antirazzismo”.

Le primarie PD sono state il loro insperato “successo”. Ho sentito Oscar Giannino, il laureato di Chicago,  dalla radio di Confindustria, invitare ad andare  a votare i piddini, e questo dice tutto.   In serata, Antonio M. Rinaldi   ha  ironizzato

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Zingaretti: cronaca di un grande bluff

marzo 3, 2019 di Lorenzo Vagni

 

L’esito delle primarie del Partito Democratico segnerà la certa vittoria di Nicola Zingaretti. Il Presidente della Regione Lazio batterà largamente i propri avversari Martina e Giachetti divenendo nuovo segretario del PD.

La campagna elettorale condotta nei mesi scorsi da Zingaretti aveva come obiettivo quello di accreditarlo come volto nuovo alla guida del partito e come possibile artefice di una svolta a sinistra del PD. Una simile retorica è stata possibile grazie alla strategia attuata da Zingaretti, pressoché durante tutta la propria carriera politica, mantenendo un atteggiamento di apparente distacco dalle politiche di governo del PD, limitandosi a ricoprire esclusivamente la veste di amministratore locale. Se da una parte tale strategia aveva contribuito a relegarlo finora ai margini della politica nazionale, dall’altra ha permesso a Zingaretti di presentarsi all’opinione pubblica come figura non compromessa con le politiche filo-padronali e antipopolari promosse dal proprio partito al governo del Paese, e ha gettato quindi le basi per la sua vittoria contro avversari (Martina e Giachetti) che, al contrario, risultavano pienamente corresponsabili di queste politiche.

Sembrerebbe quindi legittimo chiedersi se la segreteria di Zingaretti potrebbe rappresentare un cambiamento sostanziale nel Partito Democratico o se, al contrario, non dimostri una mera continuità con il passato, al netto di alcune differenze del tutto marginali.

Chi è Zingaretti?

Iscrittosi in gioventù al PCI, al suo scioglimento nel 1991 diventa il primo segretario della Sinistra Giovanile, l’organizzazione dei giovani del PDS, fino al 1995, anno in cui viene nominato presidente dell’Unione Internazionale della Gioventù Socialista e vicepresidente dell’Internazionale Socialista, entrambe cariche che mantiene fino al 1997. Nel frattempo, inizia il suo percorso nella politica romana, venendo eletto nel 1992 al Consiglio Comunale di Roma. Dal 1998 al 2000 è responsabile delle relazioni internazionali dei DS, per poi essere eletto segretario del partito a Roma. Dal 2004 al 2009 è eurodeputato, per poi tornare a svolgere il ruolo di amministratore locale, ricoprendo dal 2008 al 2012 l’incarico di presidente della Provincia di Roma e dal 2013 quello di presidente del Lazio.

La politica locale: la sanità

Durante gli anni in cui ricopre incarichi locali, si è reso fautore di una progressiva politica di tagli alla sanità. In nome della razionalizzazione delle spese, la giunta Zingaretti ha effettuato riduzioni di strutture, personale, posti letto

Continua qui: http://www.lariscossa.com/2019/03/03/zingaretti-cronaca-un-grande-bluff/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Idioti digitali

5 Marzo 2019 DI TONGUESSY

comedonchisciotte.org

 

L’effetto Flynn consiste nell’aumento nel valore del quoziente intellettivo medio della popolazione nel corso degli anni, un fenomeno osservato da James R. Flynn. L’effetto è stato da lui rilevato in svariati paesi: per questo motivo l’ha ritenuto indipendente dalla cultura di appartenenza.

Flynn osservò come durante il secolo scorso il valore del quoziente intellettivo fosse aumentato in modo progressivo, con una crescita media di circa 3 punti per ogni decennio.

Purtroppo la tendenza di questa funzione ha subito negli ultimi decenni una brusca inversione di tendenza. Chi se ne è accorto per prima è stato il servizio di leva Norvegese. Il team di scienziati del Ragnar Frisch Centre for Economic Research ha sottoposto test del QI a 730 mila ragazzi norvegesi di 18-19 anni valutati per il servizio militare obbligatorio. Tra i nati dopo il 1975, si è registrato un calo di punteggi medi pari a 7 punti per ogni generazione. Il risultato è confermato da alcuni altri studi, in parte condotti dallo stesso Flynn; secondo alcuni si è registrato un calo del QI britannico di ben 14 punti nel solo decennio 1999-2009.

Le cause? Sembrano legate ai cambiamenti nello stile di vita e nelle abitudini dei ragazzi – cosa e quanto leggono, come trascorrono il tempo libero, che tipo di istruzione ricevono – o anche, secondo Focus, a un mancato adattamento del test del QI all’intelligenza moderna. Cioè l’intelligenza postmoderna è diversa dall’intelligenza moderna, e non si possono fare confronti. Una volta gli adolescenti giocavano a pallone, oggi passano il loro tempo nei social.

 

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/idioti-digitali/

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