NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 6 GIUGNO 2019

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NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

6 GIUGNO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Occorre molta pazienza, per impararla.

STANISLAW J. LEC, Pensieri spettinati, Bompiani, 2015, pag. 60

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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Cristina Campo

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SOMMARIO

 

Arrivano i “Locali per pensare”: niente musica, tv e video, solo scambi di idee. 1

L’aringa rossa, 1 ovvero la presunta superiorità morale della sinistra. 1

Non fu la resistenza a liberare l’Italia ma solo gli alleati 1

Se l’Italia è (veramente) unita in cucina. La vicenda di Pellegrino Artusi 1

Storia dell’Anpi/3: un fiume milionario di contributi pubblici

Tentò di rapire una bambina: somala presa ma già libera. 1

Il giudice che scarcera il nigeriano picchiatore se lo porti a casa sua. 1

Lo Stato Islamico prospera sugli errori dell’Occidente. 1

Poetesse italiane dimenticate, la storia e le poesie di Cristina Campo, l’imperdonabile che cercava la perfezione  1

L’ultima rivoluzione sarà psichedelica e avrà a che fare con le droghe. 1

Julian Assange sta morendo

Quando i giornali si facevano con la macchina per scrivere. 1

La solitudine dell’imprenditore

La Deutsche Bank confisca 20 tonnellate d’oro del Venezuela. 1

Ergastolo all’assassino di Pamela Mastropietro

Magistratura connection, anche il vicepresidente del CSM nella bufera

La resistenza delle toghe rosse. 1

Manifesto di 18 mq per insultare il vicino, la polizia: non c’è diffamazione. 1

Conto alla rovescia per la mannaia sulle pensioni: tagli fino a 1000 euro l’anno. Ecco chi e quanto perde  1

Docenti universitari, avvocati e magistrati: ecco i fan rossi dell’immigrazione. 1

Grecia comunica ufficialmente alla Germania la richiesta multimiliardaria per danni di guerra

Londra, antifa circondano un sostenitore di Trump

Giornalista greca: Tsipras un traditore . Grecia distrutta dalla UE

Il conservatismo guerrafondaio arraffa la Casa Bianca. 1

Il manto gelido di Plutone e quell’oceano nascosto che lascia sognare la vita. 1

3 medici le confermano il danno ma nessuno lo mette per iscritto: hanno paura. 1

La carestia del Bengala: Come gli inglesi pianificarono il peggior genocidio della Storia. 1

 

 

IN EVIDENZA

Arrivano i “Locali per pensare”: niente musica, tv e video, solo scambi di idee

18/01/2019 di Gianluca Nicoletti

È stata lanciata in rete la proposta di segnalare i “Locali per pensare ” che ancora esistono in Italia.

VIDEO QUI: https://video.lastampa.it/8c387869-aee7-487d-bce4-0510143bf88d

La campagna nasce dall’esigenza di ricostruire quei contenitori di senso come bar, caffè, ristoranti che hanno rappresentato per tutto il ‘900 i luoghi privilegiati in cui si incontravano e si confrontavano gli intellettuali (NB: il termine non è un insulto) che hanno contribuito alla nascita di nuove correnti di pensiero, espressione artistica, evoluzione sociale.

Una ricerca quindi di locali pubblici in cui si possa serenamente incontrarsi per parlare, riflettere e far circolare idee. Le caratteristiche minime richieste per ottenere il riconoscimento di luogo per pensare sono per esempio: niente musica ad alto

Continua qui:

https://www.lastampa.it/2019/01/18/societa/arrivano-i-locali-per-pensare-niente-musica-tv-e-video-solo-scambi-di-idee-K9iG8faM6qFTsWSWMcXsJJ/pagina.html?fbclid=IwAR2ulYHbn1YxWqdQ0LkprcDaK0SB4wO6KUThnhDnbCRs9Xfeu_0HVD-L9SY

 

 

 

 

 

 

L’aringa rossa,

ovvero la presunta superiorità morale della sinistra

Dall’abolizione dell’articolo 18 alle politiche vessatorie nei confronti dei lavoratori ignorate dai sindacati. Dal diritto di espressione ad intermittenza al disgusto per le “classi subalterne”, fino ad arrivare alle immancabili allucinazioni sul fascismo. Oggi vi parliamo della fallacia logica e comunicativa degli antifascisti da passerella. Vi parliamo dei Tupamaros che vigilano sulla rivoluzione permanente, membri di quella sinistra salottiera che ogni giorno parla di attentati alla Costituzione, salvo poi violarla non appena sorge l’ombra di un possibile confronto con chi la pensa diversamente. UNA CRICCA CHE TANTO DISPREZZA LA NOSTRA ITALIA DI ROZZI E IGNORANTI.

www.lintellettualedissidente.it

Claudio Zarcone – 6 giugno 2019

Domande. Non faccio altro che pormi domande. Certo, dirà il raffinato cultore di scienze umane, le domande sensate e intelligenti sono il fulcro di ogni risposta intelligente. E quante volte abbiamo letto: La filosofia è la capacità di porre domande, prima ancora di fornire risposte. Naturalmente contestare tale affermazione verrebbe difficile anche allo scettico, ma ultimamente ogni definizione di principio mi sta stretta come una camicia di forza. Le domande mi si presentano da sole, in carne ed ossa. Ed è come se mi dicessero: Fregatene delle risposte, la vera risposta siamo noi. Potrei procedere eristicamente (eristica = abilità di sostenere e confutare contemporaneamente tesi tra esse contraddittorie al fine di prevalere sull’interlocutore in una discussione) come era aduso fare il mio conterraneo Gorgia, ma potrei anche – di fronte a più tesi – non sostenerne nessuna, lasciando il campo aperto a ogni possibile (o impossibile) prospettiva, definizione, convincimento. Non credo tuttavia di riuscirvi.

L’Italia –  qualora non ve ne foste resi conto –  ormai da anni non se la passa molto bene, in ogni settore della vita: economica, sociale, di valori eccetera, ma il primo aspetto, quello economico, regge il timone di un futuro sempre più da maledire. Il premier Conte ha detto qualche settimana fa che siamo in recessione. E pensare che non me ne ero neanche accorto. Eppure, sfogliate un giornale, qualsiasi, visitate un social, qualsiasi, guardate una trasmissione, qualsiasi, il problema degli italiani e dei loro politici è quello dell’immigrazione; essere pro o contro Salvini; pro o contro le Ong; pro o contro il governo. Vecchio refrain quest’ultimo – piove governo ladro – che oggi non si fonda più sulle ipotetiche ruberie dei governanti e della classe politica, bensì sull’orientamento pro o contro l’immigrazione, vero motore immobile (quantunque mobile, dannatamente mobile) nel muovere giudizi: poi, a cascata, diritti delle donne, delle minoranze, difesa del clima per un futuro migliore (che è un diritto giovanile, noi attempati possiamo anche morire, libereremmo una pensione), diritto degli ultimi, lotta per la sopravvivenza degli oranghi (firma la petizione!), fronte civile per la felicità delle mucche da pascolo, varie ed eventuali da sventolare come diritto, piagnistei sociali verso questa o quell’altra condizione. Insomma, le posizioni sono già note, non sminuzzerò più le vostre tasche con ripetizioni dei diversi punti di vista, anche se devo ammettere di essere in prima linea per la difesa delle libertà civili nel Minkistan: “Siamo tutti Minkistani!”.

Ma procediamo con esempi, con argomenti, per tentare di capire cosa si muova dentro il nostro scenario politico e sociale.

Maurizio Landini, appena eletto segretario nazionale della Cgil avrebbe fatto meglio a tralasciare il tema Salvini, almeno in quel momento. Egli è un lavoratore fra i lavoratori, una spina nel fianco già per il governo Renzi, uno bravo davvero nell’esercizio del populismo di sinistra. Giusto quindi sentirlo parlare di Europa e revisione dei trattati, di economia e lavoro. Ma a partire dal linguaggio aspro, indirizzato verso quella stessa sinistra “nata nelle piazze e morta nei salotti” (citazione di Travaglio), passando per le lotte dei suoi iscritti, quegli operai che una volta facevano numero e che oggi fatichi a immaginarli a picchettare una fabbrica (dal momento in cui la fabbrica così come era immaginata negli anni Settanta è solo un ricordo storico), egli ha più di un punto in comune col ministro leghista. Non sarò certo io a sciorinarvi gli elementi di assonanza fra i due, fermatevi un attimo e pensate. Come già detto nelle prime righe eviterò – per quanto possibile – di esprimere sostegno a una tesi, lasciando il campo alle diverse opinioni.

La “Sacra Trimurti” sindacale (le solite tre sigle che ormai sono sempre più simili a sigle di dopolavoro aziendale) si è distinta in questi anni per il proprio silenzio. Non uso l’aggettivo “accondiscendente” per non prendere una posizione, così come ho già anticipato. Però si deve registrare che fu inequivocabilmente pavida quando venne abolito l’articolo 18, farfugliante quando l’”Ingegno fiorentino” ci impiattò quella sacca di ipocrisia occupazionale che nei fatti, con l’alternanza scuola-lavoro, avrebbe creato sfruttamento giovanile, precariato e tanta fuffa sulla quale costruire uno storytelling anodino, oltre che bugiardo. Ricordo che per illustrare questo storytelling di innovazione, cultura (già, cultura, affidata alla Fedeli e a Faraone) e “sol dell’avvenir” venne reclutato anche un mostro sacro dello storytelling, l’inventore nostrano dello stesso, quell’Alessandro Baricco co-fondatore della Scuola Holden, costosissima alcova di ambizioni e frustrazioni di scrittori destinati al fallimento.

Ma andiamo all’aringa rossa.

La red herring è più un inganno intenzionale ed è largamente usato in modo tattico, per deviare la discussione su altro.

Parliamo di una fallacia logica che è conosciuta primariamente come “ignoratio elenchi” (la vedremo) che però spesso viene associata alla “red herring”. Nei paesi anglosassoni, per verificare se un cane fosse idoneo alla caccia, pare cospargessero con odori di aringa rossa le tracce della preda da cacciare. Se il cane avesse trovato la traccia malgrado il “depistaggio” del puzzo d’aringa, sarebbe stato idoneo, diversamente no. L’ignoratio elenchi, o conclusione irrilevante, è una fallacia logica comunissima, che consiste nell’inserire elementi appunto irrilevanti nel contesto di ciò che si vorrebbe dimostrare. Quindi, procedendo da elementi irrilevanti o non pertinenti rispetto all’argomento da dimostrare, la conclusione non può che essere irrilevante. Molto usata nei tribunali, ma anche nelle nostre discussioni più animose. Esempio classico è quello del Pubblico ministero che in un processo sottolinea la nefandezza di quel tipo di reato ascritto all’imputato, senza peraltro aver dimostrato la colpevolezza dello stesso. Ha solo dimostrato che l’omicidio, o lo stupro, o la pedofilia sono reati ignominiosi, colpe orribili verso le quali la giustizia non può mostrare clemenza eccetera. Tuttavia, senza dimostrare che l’imputato X si sia macchiato di uno di quei reati. Una conclusione irrilevante ai fini processuali, però di quelle che lasciano il segno dal punto di vista emotivo. Rifletteteci, immaginate per un attimo lo svolgimento di questo processo immaginario e capirete la malìa dell’ignoratio elenchi, la sua suggestione, la sua plausibilità psicologica quantunque irrilevante nelle conclusioni.

Ora, come si direbbe dalle mie parti, “vengo e mi spiego”. Il problema più cornuto che ci troviamo ad affrontare sembrerebbe quello dell’antifascismo: “E a culo tutto il resto” cantava Guccini ai miei tempi. Vivendo fra la gente, come sono abituato a fare (non ho un attico né un Rolex, quindi mi accontento di bar, circoli ricreativi e muretti dove gli anziani giocano a briscola), mi accorgo delle tante emergenze che stanno devastando il tessuto sociale del nostro paese.

La disoccupazione ormai è un problema mitologico, la politica (tutta!) non ne parla più, salvo che per occupazione non si intenda il cavallo di Troia – per restare in tema mitologico – del reddito di cittadinanza, utopia sociale che farebbe impallidire qualsivoglia scenario utopico fin qui raccontato. Ma ve l’immaginate? Dovranno pure assumere a tempo determinato dei precari che poi torneranno a essere disoccupati – i cosiddetti navigator – per trovare un lavoro ad altri disoccupati. Genio italico, alternativa imbarazzante, capacità assoluta di essere incapaci. Forse sto usando l’ignoratio elenchi, sorvoliamo. Ma ignoratio elenchi o no, un mio amico mi chiama disperato:

Mio figlio minaccia soluzioni estreme [sto usando un eufemismo] perché non trova un lavoro.

Ed io, incapace di consigliare alcunché, impotente di fronte a un dramma generazionale autentico. Poco tempo fa un altro amico, dopo aver saputo che Comune di Palermo e Regione Siciliana avrebbero stabilizzato degli ex detenuti in lavori di pubblica (in)utilità, ebbe a dirmi in dialetto siciliano che qui traduco, anche se si perde molto della forza espressiva (nei fatti un’invettiva) della frase:

Zarcone, Zarcone [in dialetto, “Zarcù, Zarcù”], ma per fare lavorare mio figlio lo devo fare prima arrestare?

Perché la gente comune, quella che costituisce buona parte dell’ossatura di una società, non capisce perché mai si dovrebbero reinserire coloro che si sono macchiati di reati, più o meno gravi, prima di coloro che hanno rigato dritto, di quelli che magari si sono presi un pezzo di carta, sui banchi, invece di cercare soldi facili. Il reinserimento di Caino è un atto dovuto di uno Stato democratico, suppongo però, ragionevolmente e senza prendere una posizione, che non si possa e debba lasciare Abele in balia della frustrazione, del rancore sociale, dell’indigenza e “simm ‘e Napule paisà”.

 

Ma la lotta alla disoccupazione non è un problema, almeno per quella classe borghese salottiera che cita spesso Recalcati (nuovo guru di quel manto di cultura a poco prezzo che manda in brodo di giuggiole i lettori di Repubblica) e si appella a Saviano, alla Murgia, a quella conventicola che non ha mai patito la miseria, quella vera. Ed è proprio un comunista autentico, Marco Rizzo, da me in passato disprezzato per aver detto il 4 giugno 2004 nel corso della trasmissione su Rete 4, “La zona rossa”, che “i partigiani hanno fatto bene a uccidere Giovanni Gentile” (Vittorio Sgarbi se lo mangiò vivo), a sferrare i suoi colpi di maglio contro una sinistra ormai decaduta e i suoi santoni in vetrina come le puttane del quartiere a luci rosse di Amsterdam. Un esempio? Su Saviano:

 

Lasciamo perdere – mastica amaro Rizzo – sta in un attico a New York a dire cose senza senso, banali,

non mi piace assolutamente e non è di sinistra.

Oltre ad attaccare i radical chic da tastiera Rizzo spruzza il suo acido urticante contro quella sinistra che ha dimenticato il valore del lavoro, la difesa dello stesso, la teoria dei bisogni teorizzata da tale “Carletto” Marx, indulgendo in una discussione da boudoir contro un fascismo più immaginario che reale:

Qui ci sono tanti antifascisti da passerella. Il neofascismo si combatte stando nelle periferie e parlando di lavoro con la povera gente. Se si pensa di fare gli antifascisti cantando Bella Ciao al Salone del Libro e basta, si fa dell’antifascismo da passerella, alla Pd.

Che poi se ci fate caso gli antifascisti da passerella sono gli stessi, identici, che fanno antimafia da passerella. Aggiungi il neo segretario dem, Nicola Zingaretti, che appena eletto dice: “La nostra priorità sarà lo ius soli” e nel mese di maggio appena passato, invece: “Sì alla legge sull’eutanasia”. Ora, senza voler assumere una posizione – e mi viene difficile farlo – vallo a spiegare agli italiani che non arrivano neanche a metà mese che quelle saranno le future battaglie del Pd.

Sto forse usando l’ignoratio elenchi? Massì, “adbondantis  adbondandum” (Totò).

 

Ma per tornare al problema dei problemi della nostra Italia, è d’obbligo parlare di antifascismo, democrazia e diritto d’espressione. Al Salone del libro di Torino fanno fuori (questa è la definizione più corretta) un editore di destra perché ha un passato di destra, qualche scazzottata e manganellata con i rivali politici e un legame con Casa Pound. Dopo il sindaco di Torino (mi mangio le palle piuttosto che chiamarla sindaca) e il presidente della Regione Piemonte che presentano un esposto contro l’editore intervengono le eminenze grigie della sinistra culturale, con la Murgia e Raimo a fare le soubrettes dell’antifascismo barricadero. Eh già, Chiara Giannini, autrice di un libro su Matteo Salvini – il quale fascista non è, ministro della Repubblica invece sì – non può parlare, arrivano i guastatori sobillati da scrittori e scrittrici da mercatino dell’usato a cantare “Bella ciao” per impedire alla Giannini di mostrare il suo libro fra gli stand (visto che avevano ‘uccellato’ lo stand del suo editore), di dichiarare la sua non appartenenza politica:

Io non sono fascista, sono una giornalista libera e indipendente, non mi sono mai schierata politicamente.

Ricordo che in quei giorni pensai, a proposito di qualche Torquemada che pose i suoi ‘saggi’ veti sulla Giannini e il suo editore:

Se sei una cozza da non poter aspirare ad una partecipazione a Uomini e donne della De Filippi, se le cose che scrivi sono risibili, ti inventi l’antifascismo (o l’antimafia) pasdaran e ti guadagni le tue brave comparsate televisive e qualche recensione sui giornali.

D’altronde, anche se mi scoccia per inflazione delle sue citazioni in merito, non posso esimermi dal ricordare il Pasolini che ne cantava quattro (altro che ‘Bella ciao’), già dagli anni Settanta, ai “rabbiosi” antifascisti nostrani, ormai conformati come tutti gli altri (compresi i fascisti), chini sul fallo autoritario di Priapo, il Potere che si andava ridisegnando come omologazione culturale.

Ne ho sentite di tutti i colori. Motivazioni bolse, davvero retoriche e pretestuose, che alla fine riconducono a un solo assioma: i fascisti non hanno diritto di parola, di manifestare, scrivere, pubblicare, sostanzialmente vivere. Una riproposizione 2.0 (forse 3-4.0) del celebre adagio, “uccidere un fascista non è reato”. L’importante che si agisca nel nome della democrazia, anche se questa assume la veste del fascismo o del comunismo più beceri, autoritari e negatori della libertà di parola, di scrittura, di stampa finanche.

Il Bersaglio convergente della compagnia di giro è Matteo Salvini, ubicato in Casa Pound – scrive Marcello Veneziani –  il percorso è sempre lo stesso, ossessivo, monotono fino alla nausea e si avvale del medesimo repertorio retorico, ideologico, emozionale che passa per l’accoglienza, i rom e i migranti, l’antifascismo, l’antirazzismo, l’antisovranismo, l’antifamiglia, e l’intimidazione finale: altrimenti siamo fuori dall’Europa, ci fanno fallire.

Per tornare al Salone del Libro, al fascismo degli antifascisti e all’Index librorum prohibitorum riesumato dalla nuova Congregazione dell’Indice cui aderiscono – mi ripeto – scrittori un tot al chilo e intellettuali il più delle volte per autocertificazione, non posso che citare il commento onesto e sensato di Sebastiano Caputo:

Detesto isteria, indignazione, vittimismo, per questo mi annoia profondamente il dibattito tra fascismo e antifascismo, a meno che non si trovi nei libri di storia. Ma su quello che è accaduto al Salone del Libro di Torino vorrei esprimermi liberamente, per onestà intellettuale, senza prendere le parti di nessuno ma facendo una semplice constatazione. Un ragazzo condannato a un

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https://www.lintellettualedissidente.it/societa/aringa-rossa-antifascismo-sinistra-destra-italia/

 

 

 

 

Non fu la resistenza a liberare l’Italia ma solo gli alleati

Gli elementi dominanti della Resistenza, quelli comunisti, lottavano per l’Unione sovietica. Ecco perché Churchill voleva puntare non sulla Francia, ma sull’Italia

Nicholas Farrell – Ven, 06/06/2014

Quando guardo in streaming le facce nobili dei vecchi uomini inglesi e americani e del Commonwealth che hanno partecipato all’invasione della Francia nel 1944 e che ora sono tornati alle spiagge della Normandia per commemorare il 70° anniversario del «Longest Day», e poi, quando ascolto le loro parole piango – sorridendo.

Sono da onorare perché sono uomini in perfetta sintonia con la regola antica della vita, cioè: per meritare l’onore, un uomo deve dimostrare prima l’umiltà e poi la virtù. E loro, questi uomini che ormai hanno compiuto i 90 anni – e tutti i loro compagni caduti in nome della libertà – ce l’hanno fatta.

Poi, però, penso alla liberazione di Roma dagli stessi anglo-americani, accaduta due giorni prima del D-Day – il 4 giugno 1944 – e mi incazzo. Per parecchi motivi. In anzitutto, mi incazzo perché sono inglese ma in Italia si commemora la liberazione d’Italia ogni 25 aprile come se fosse un lavoro compiuto da partigiani e basta. E mi sento offeso che a Forlì in Romagna dove abito la strada che porta ad uno dei due cimiteri degli alleati nella città si chiama Via dei Partigiani. E mi sento offeso che quando si parla di alleati in discorsi o sui giornali, si fa riferimento solo agli «americani». In quei due cimiteri di Forlì giacciono i resti mortali di 1.234 soldati dell’Ottava Armata Britannica. Così tanti morti, solo a Forlì. Ma vi rendete conto? Non è ora – dopo 70 anni – di affrontare una semplice verità? Eccola: la Resistenza in Italia era completamente irrilevante dal punto di vista militare. In ogni caso, nell’estate del 1944 non esisteva una Resistenza in Italia. Dopo, invece – dall’autunno del 1944 in poi – che cosa di

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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Se l’Italia è (veramente) unita in cucina. La vicenda di Pellegrino Artusi

Renato Tamburrini – 16 MAG 2019

 

Pellegrino Artusi primeggia incontrastato nel Pantheon della cucina italiana, ma abbastanza ingiustamente non figura in quello dei padri della patria. Le strade e le piazze dedicate a lui si possono contare sulle dita di una mano, e sono praticamente tutte tra Forlì e Forlimpopoli, nella Romagna profonda dove nacque nel 1820.

Eppure, Piero Camporesi ha scritto che ‘La scienza in cucina’ ha fatto per l’unificazione italiana più di quanto non siano riusciti a fare i ‘Promessi Sposi’”, ossia l’importante tentativo manzoniano di elaborare il modello per LA lingua italiana comune.

Intanto, bisogna partire da un dato di fatto: la storia della cucina italiana ha un termine ante quem e post quem, e questo termine è indubbiamente Artusi.

Ne ha parlato ampiamente Massimo Montanari, in un libro molto leggibile e snello, ‘L’identità italiana in cucina’ (Laterza, 2011).

Per gli stranieri, e anche per molti di noi, nell’immaginario della cucina italiana campeggiano dei simboli netti e inequivocabili: pomodoro, tortellini, spaghetti, lasagne… Poi siamo tutti affezionati a quelle regionali, e (last but not least) a quelle di casa e di mammà, di solito molto più differenziate o, almeno, reinterpretate: in realtà, come si può immaginare facilmente e come capita per molti altri aspetti che riguardano l’Italia, una vera e propria cucina italiana intesa come modello unitario non è mai esistita – questa è la tesi di Montanari – anche se fin dal Medioevo possiamo riconoscere uno “stile” comune italiano, frutto della conoscenza reciproca di prodotti e ricette provenienti da città diverse.

Storicamente l’Italia è prevalentemente una rete di città, e quindi quella italiana è soprattutto una cucina di varietà cittadine: i confronti maturano a partire dalle classi alte e presto cominciano a circolare i primi ricettari, da Mastro Martino a Ortensio Lando, fino alla grande ‘Opera’ di Bartolomeo Scappi (1570) che illustra e paragona la cucina di Milano, Genova, Bologna e Napoli. Interessantissimo ad esempio l’excursus sulle torte e sulle loro differenze (“i napoletani la chiamano pizza”): con lo Scappi siamo già di fronte a una specie di antologia della cucina italiana.

Si tratta di precedenti importanti, e sarebbe imperdonabile ignorarli, come del resto tutta una serie di elementi culturali e civili che appartengono al patrimonio nazionale italiano ben prima dell’unità statuale del 1861. Ma perché diciamo che il carattere della cucina italiana come oggi lo conosciamo è dovuto soprattutto all’Artusi?

Il ‘monumentum’ della cucina italiana vede la luce nel 1891, a unità conclusa e consolidata. Artusi è di formazione mazziniana, è molto versato nel campo della cucina e il suo scopo è far sì che la nazione abbia un repertorio culinario comune

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https://www.loccidentale.it/articoli/147018/se-litalia-e-veramente-unita-in-cucina-la-vicenda-di-pellegrino-artusi

 

 

 

 

 

 

 

 

Storia dell’Anpi /3: un fiume milionario di contributi pubblici

Di La Redazione – 2 Giugno 2019

Roma, 2 giu – Nel frattempo l’Anpi, sempre meno associazione partigiana, anche per ragioni anagrafiche, e sempre più associazione di estrema sinistra, prende posizione su tutto. Dal referendum sulle riforme costituzionali di Renzi, alle politiche sull’immigrazione, su CasaPound, sulle case concesse ai rom, sul Salone del libro di Torino: insomma cose su cui un’associazione reducistica non si comprende perché debba parlare. Riesce difficile immaginarsi l’Associazione Alpini che sbraiti su chi possa o non possa fare un comizio o quella dei Granatieri di Sardegna che manifesti per boicottare un libro sgradito… Un’associazione politica, oramai formata in massima parte di gente che è nata dopo la guerra e che si basa sui valori dell’antifascismo, insomma.

Come scrive uno di loro,

Un fatto del tutto normale derivante dalla scelta che le partigiane e i partigiani fecero nel Congresso di Chianciano del 2006 quando, consci della loro inesorabile scomparsa, decisero di aprire le porte dell’Associazione anche ai non combattenti per non far disperdere l’immenso patrimonio di valori e principi fondativi della Resistenza[1].

Ma che continua, malgrado gli atteggiamenti negazionisti sulle foibe e l’esodo (le foibe sono un’invenzione dei fascisti, secondo l’Anpi di RovigoSarebbe bello spiegare ai ragazzi delle medie che le foibe le hanno inventate i fascisti, sia come sistema per far sparire i partigiani jugoslavi, che come invenzione storicaTipo la vergognosa fandonia della foiba di Basovizza) culminati nello scandaloso congresso di fantastoria a Parma, e sui crimini postbellici (indimenticabile l’affermazione dell’Anpi di Savona sulla tredicenne Giuseppina Ghersi, stuprata, seviziata ed ammazzata dai partigiani comunisti, che se lo sarebbe meritatoGiuseppina Ghersi – secondo Samuele Rago, presidente provinciale dell’Anpi –, al di là dell’età, era una fascista. Eravamo alla fine di una guerra, è ovvio che ci fossero condizioni che oggi possono sembrare incomprensibili. Era una ragazzina, ma rappresenta quella parte là), alle celebrazioni poi fortunatamente evitate per l’indignazione dell’opinione pubblica, del fondatore delle Brigate Rosse- gruppo terrorista cui, escludendo sequestri, ferimenti etc. si devono 86 morti ammazzati in nome, sempre, della rivoluzione comunista– Renato Curcio da parte dell’Anpi di Foggia- con la scusa della consegna di una pergamena (o forse era una targa) in memoria di un omonimo zio partigiano- continua, dicevamo, a presentarsi e a venir presentata come l’Associazione dei partigiani, e non, come s’è visto, una tra le quattro associazioni partigiane (dal 2018 si è aggiunta l’Associazione nazionale partigiani cristiani…) per di più l’unica a rifarsi al passato stalinista delle formazioni comuniste.

Ed è l’unica ad assumere atteggiamenti antagonisti anche rispetto alle istituzioni, come accaduto il 25 aprile a Viterbo, dove l’intervento del presidente locale Anpi Mezzetti è stato caratterizzato da attacchi pretestuosi quanto ingiustificati alle nostre Forze Armate ed alle missioni all’estero, al punto che i militari presenti, con il generale Paolo Riccò, Medaglia di Bronzo al Valor Militare per i combattimenti di Check Point Pasta a Mogadiscio, sono stati costretti ad abbandonare il luogo delle celebrazioni. Un atteggiamento inaccettabile anche alla luce dei finanziamenti di cui, attraverso proprio il Ministero della Difesa, l’Anpi gode annualmente. Il capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Difesa in Senato, Isabella Rauti,

L’importo dei contributi per l’esercizio finanziario 2019 continua a penalizzare quegli organismi di Arma e di categoria cui è stato attribuito un ridicolo aumento di soli 10mila euro, rispetto allo stanziamento del 2018. Quindi, mentre le associazioni combattentistiche e partigiane ricevono un importo di un milione di euro, quelle d’Arma, di categoria e di specialità soltanto 702mila 918 euro (a fronte 693mila 610 euro stanziati nel 2018).

Dopo il mio intervento in Commissione ho votato contro l’atto del governo che rappresenta una “presa in giro!” Non siamo contrari al finanziamento di questi organismi, peraltro soggetti per legge alla vigilanza del ministero della Difesa, ma stigmatizziamo e condanniamo che si continua a perpetuare un criterio ingiusto di distribuzione.

E questo in considerazione soprattutto di associazioni, come l’Anpi, che piuttosto che svolgere il loro ruolo di memoria storica si impegnano in attività politiche storica quando non addirittura contestano l’impegno delle nostre Forze Armate nelle missioni internazionali, come accaduto ad esempio, a Viterbo il 25 aprile scorso in occasione delle celebrazioni per la giornata della Liberazione.

Quello di intercedere a favore di assassini, purchè comunisti, è un vizio che l’Anpi non sembra aver perso neppure in seguito: ci riferiamo all’assassinio, in pretto stile gappista, del commissario Luigi Calabresi per il quale sono stati condannati in via definitiva Sofri, Pietrostefani e Bombressi, il quale ricevette la grazia da Giorgio Napolitano il 31 ottobre 2008. Condanna passata in giudicato, e per la quale il Bompressi è e rimane il killer che ha ammazzato Calabresi: non uno dei partecipanti, ma l’esecutore materiale. E qui entra in ballo l’Anpi di Massa, la città del killer.

Ne La Grande Bugia Giampaolo Pansa riassume quanto avvenuto:

Dunque, Bompressi era ormai un graziato. Ma era pur sempre l’assassino di Calabresi: così attestavano le sentenze di più corti di giustizia italiane. Ma queste sentenze non dovevano valere nulla per l’Anpi di Massa. Che pensò, nientemeno, di festeggiare il graziato (…) lo testimoniano i dispacci di due agenzie. E soprattutto le cronache pubblicate l’ 8 giugno 2006 dal ‘Tirreno’ di Livorno e dall’edizione di Massa della ‘Nazione’ . La prima scritta da Maurizio Centini e la seconda da Marzio Pelù. Sentiamo che cosa raccontano. La festa per Bompressi si svolse nel pomeriggio di martedì 6 giugno 2006. Nella sede dell’Anpi di Massa, in piazza Mercurio, durante una riunione della segreteria. Le cronache spiegano che Bompressi non è soltanto iscritto all’Anpi massese, ma fa parte di quella segreteria. Doppia festa, dunque: per un graziato e

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https://www.ilprimatonazionale.it/cultura/storia-anpi-fiume-contributi-pubblici-120030/

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Tentò di rapire una bambina: somala presa ma già libera

 

5 Aprile 2019 di Alessia Marani            ORA ANCHE I GIORNALI “BUONISTI DANNO NOTIZIE DEL GENERE

 

Aveva tentato di strappare una bimba di 21 mesi dal passeggino spinto dalla nonna per portarsela via.

L’incubo lunedì mattina in via Cernaia. Maria R., 86 anni, si era opposta con tutta la sua forza al rapimento e con l’aiuto di due passanti era riuscita ad allontanare la donna.

Poi, terrorizzata, in compagnia del genero era andata dai carabinieri di via del Macao a sporgere denuncia. Ieri mattina, quella donna, N. A. somala di cinquant’anni, irregolare nel territorio italiano, e senza fissa dimora, è stata riconosciuta e fermata dai militari

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https://www.ilmessaggero.it/pay/cronaca_roma_pay/rapisce_bambina_somala_libera_oggi_ultime_notizie-4408351.html?fbclid=IwAR1FYhiBRuaTsP-RtvIuWM4IV6s46JKWYA1DWx3MM-MWWw_DQRLLySYrry4

 

 

 

 

 

Il giudice che scarcera il nigeriano picchiatore se lo porti a casa sua

giovedì 6 giugno 6:00 – di Francesco Storace

Ora ci fate la cortesia, signori magistrati, di smetterla di farci impazzire. Un nigeriano arriva qua, spacca teste a chiunque incontra, si era già fatto un bel po’ di galera e voi lo rimettete in libertà. Vostro onore, se lo porti a casa sua o nel cortile del Csm, dove, tra una pratica sospetta e l’altra, magari qualcuno troverà il tempo per far capire l’educazione a questo signore.

Che cosa deve succedere nel nostro paese per avere il diritto alla sicurezza?

La storia è questa, ed è vergognosa anche se non ci sono (per fortuna) morti da sotterrare.

Commozione giudiziaria

E’ una storia di pietismo stupido, di commozione giudiziaria, di buonismo insensato. Non facciamo nomi – per ora – sennò con noi il permissivismo viene dimenticato e ci sbattono in cella al posto dell’africano. Ma basta sapere quel che è successo.

Un certo giorno arriva qui un bestione dalla Nigeria, un delinquente di quelli veri. Corporatura muscolosa, alto un metro e ottanta, pelato. Gli basta poco tempo per imparare come si campa in Italia ma si imbatte sfortunatamente in un processo per violenza – ovviamente – resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. E la solita violenza sessuale. Risultato: sconta un anno e mezzo nel carcere di Velletri.

Venerdì scorso finisce la pena e passano a prenderlo i carabinieri. Bisogna rimpatriarlo. Lo fanno salire in macchina per trasferirlo nella struttura di accoglienza di Casalpalocco, perché il giorno dopo deve essere trasferito nel centro rimpatri di Potenza e poi in volo direzione Nigeria. Ma a Casalpalocco non arriva, perché fa l’inferno nell’auto dell’Arma, che finisce rapidamente fuori strada sulla via del Mare, con i due carabinieri presi a botte. Viene acciuffato e ammanettato solo grazie all’arrivo dei rinforzi.

Ad un passo dall’omicidio

In camera di sicurezza si ferisce alla testa lasciandosi cadere a terra e lo trasportano al Policlinico Umberto I, in stato di arresto. Al pronto soccorso lo curano e un medico gli offre pure un paio di scarpe perché ne era sprovvisto. Poi, il caos quando gli si avvicina un operatore sanitario che distribuisce volantini ai pazienti in attesa. E’ un attimo e il nigeriano fa volare l’uomo a terra

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CONFLITTI GEOPOLITICI

Lo Stato Islamico prospera sugli errori dell’Occidente

Nicola Porro – Dom, 02/06/2019

«A chi subisce ingiustizie e a chi le commette, agli oppressi e agli oppressori, alle vittime e ai carnefici.

Perché, alla fine, non si sa se sarà più grande il dolore degli uni o la vergogna degli altri». Questa dedica sintetizza il pensiero del giovane Vincenzo Riganti, maturato attraverso le ricerche condotte sul radicalismo islamico, che è un tema avvolto da nebbie, non poco ostico e drammaticamente attuale. Allo stesso modo può descriversi quella particolare espressione territoriale del radicalismo islamico, nata nel giugno del 2014 ma di ben più profonde radici, che risponde al nome di Stato Islamico. È per questo che va apprezzato ogni tentativo di avvicinare a questi temi il maggior numero possibile di pubblico, anche e soprattutto quando si tratta di opere rivolte ai non addetti ai lavori, all’uomo della strada, e dunque a tutti coloro che devono la loro informazione (quanto davvero completa?) ai mass media e ai programmi televisivi.

Ebbene, Radicalismo islamico e diritto penale (Cacucci Editore, pagg. 164, euro 16), il libro di Vincenzo Riganti, si assume coraggiosamente il compito di parlare di questo tema in modo innovativo, ponendosi come fine espresso, ambizioso ma perfettamente riuscito, quello di associare «la prospettiva divulgativa con la profondità tecnica».

Il merito di questo breve ma incisivo volume è saper raccontare stravolgendo i dogmi e i luoghi comuni per mezzo di una appassionante e serrata analisi razionale del fenomeno radicale. Riganti propone una dettagliata e profonda storia dello Stato Islamico, rinvenendone le radici negli errori commessi dall’Occidente nel corso della seconda Guerra dell’Iraq: mai prima d’ora erano state analizzate e poste fra loro in correlazione così numerose fonti riguardo il capillare sistema economico e fiscale dell’IS, al suo apparato amministrativo e alla sua struttura bellica; mai prima d’ora era stato dimostrato in modo così accurato che lo Stato Islamico altro non è stato se non una terribile creazione a opera delle sconfitte forze militari irachene e dei servizi segreti fedeli a Saddam, giunti a utilizzare il fondamentalismo islamico come strumento di controllo territoriale di una regione da sempre oggetto di inefficienti e illegittimi interventi occidentali. Difficile da credere? Forse, prima di aver letto il

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http://www.ilgiornale.it/news/stato-islamico-prospera-sugli-errori-delloccidente-1704932.html

 

 

 

 

CULTURA

Poetesse italiane dimenticate, la storia e le poesie di Cristina Campo, l’imperdonabile che cercava la perfezione

“Due mondi – e io vengo dall’altro”

DI SARA MOSTACCIO

28/05/2019

Cristina è come ha scelto di essere chiamata ma era nel suo destino cambiar nome visto che i genitori gliene diedero molti. Cristina Campo nasce Vittoria Guerrini ma viene battezzata come Vittoria Maria Angelica Marcella Cristina. A casa resterà Vittoria, in pubblico diventerà Cristina (ma scriverà usando anche molti altri eteronimi, spesso maschili).

Cristina Campo

 

Nasce a Bologna nel 1923, è l’unica figlia di Guido, musicista e compositore di Faenza, e di Emilia Putti, sorella del famoso ortopedico del Rizzoli di Bologna dove la famiglia vive e nel cui parco Cristina cresce. Per via di una malformazione cardiaca congenita vive appartata con due genitori in apprensione perenne.

Non gioca con gli altri bambini e non frequenta la scuola. Studia a casa, legge moltissimo: Omero e Shakespeare, Leopardi e Dante, Le mille e una notte, la Bibbia. E le fiabe, specialmente le fiabe francesi. È attratta dai loro simboli da bambina, ne scriverà da adulta esplorandone le profondità. A casa vige una regola: i classici si leggono in lingua originale. Così impara francese, tedesco, inglese, spagnolo. Il russo no, ma legge anche i russi:

“Avevo nove o dieci anni… pregai mio padre di lasciarmi leggere qualche libro della sua biblioteca. Egli, con un gesto, l’escluse quasi tutta: ‘Di tutto questo, nulla’ mi disse; poi, indicandomi una scansia separata: ‘Questi sì, puoi leggerli tutti, sono i russi. Troverai molto da soffrire ma nulla che possa farti male’”.

La famiglia vive a Bologna fino al 1925, poi si trasferisce a Parma e a Firenze. Nell’ambiente culturale fiorentino Cristina Campo si forma grazie anche alle amicizie con il germanista Leone Traverso (con cui ebbe una relazione sentimentale), Mario Luzi (amore segreto perché già sposato), Gianfranco Draghi, Gabriella Bemporad e Margherita Pieracci Harwell, la Mita delle lettere che si scambiarono.

Con molti amici mantiene rapporti epistolari che tengono vivo il dialogo a distanza ma svelano anche il suo universo culturale e personale. Per Cristina Campo coincidono. Quando rivede un amico gli domanda: “Su che cosa è fondata la sua vita oggi, intendo dire: che cosa legge?”

Un’altra amicizia significativa è quella con Anna Cavalletti, durante l’adolescenza. Anna ha un precoce talento letterario, in lei Cristina vede il suo doppio, la riconosce sorella. L’amica però muore tragicamente nel 1943 sotto un bombardamento, a soli 18 anni.

Rimasta è la carezza che non trovo

più se non tra due sonni, l’infinita

mia sapienza in frantumi. E tu, parola

che tramutavi il sangue in lacrime.

Cristina ha un’indole solitaria, rifugge la mondanità, i riconoscimenti e il mercato letterario. Ha in orrore la massificazione, l’omogeneità e la perdita di senso che comportano. Diceva di sé “ha scritto poco, e le piacerebbe aver scritto meno”. Era in cerca della perfezione, un’ossessione sia nella scrittura che nella vita. Non solo sulla pagina è esatta, pulita, ma anche nei gesti quotidiani, nello stile di vita trattenuto.

Non le interessano orpelli e abbellimenti, la parola coincide con il suo significato più profondo e risplende da sé. “Scusi questa lettera sovraccarica di perfezioni. – scrive all’amica Mita – È una parola che mi ossessiona, con pochissime altre – le parole di quell’«era primaria» del linguaggio alla quale tento invano di arrivare. È certo, in ogni caso, che tutti gli altri strati geologici del vocabolario mi sono divenuti inabitabili; mi limito, qualche volta, a chieder loro diritto di asilo”.

Devota come ramo

curvato da molte nevi

allegra come falò

per colline d’oblio,

su acutissime làmine

in bianca maglia d’ortiche,

ti insegnerà, mia anima,

questo passo d’addio…

Vale anche per le traduzioni: John Donne, William Carlos Williams, Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Hölderlin, Djuna Barnes, Dickinson, Rossetti, Eliot. Ma soprattutto Hugo von Hofmannsthal e Simone Weil, punti fermi nell’universo letterario di Cristina. A Simone Weil l’aveva introdotta Luzi che nel 1950 le aveva portato un libro da Parigi. Cristina si riconosce nel pensiero della filosofa francese e ordina tutte le sue opere. In Italia si iniziava appena a tradurla. Da lei apprende soprattutto l’attenzione che consiste “nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile

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https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a27565249/cristina-campo-poesie/?fbclid=IwAR3DJUF-qjlw7W4ycuPHsUcCqyMz3kipiB7SSlPQpKU1Fbx9NT4jdobRmOM

 

 

 

 

 

L’ultima rivoluzione sarà psichedelica e avrà a che fare con le droghe.

La profezia di Aldous Huxley

Giulio Lanza – 25 APR 2019

 

L’età moderna è stata caratterizzata da molte rivoluzioni: religiose, politiche, sociali. Questo processo è stato ampiamente studiato e illustrato soprattutto nell’ambito del pensiero critico conservatore.

Alcune, anche se si sono esaurite, restano vitali negli episodi successivi, sovrapponendosi e mescolandosi. A lungo le rivoluzioni -o, utilizzando una terminologia delle scuole che ne sottolineano il carattere unitario, la Rivoluzione – hanno interessato nazioni e società, fino a toccare l’essenza dell’uomo stesso, con quella che per convenzione facciamo iniziare nel Sessantotto e che possiamo considerare ancora in corso (rivoluzione antropologica, detta anche quarta rivoluzione). Su questo versante dobbiamo guardare con la massima attenzione al fatto che ci troviamo di fronte a una fase che Aldous Huxley (nella foto), autore de Il Mondo Nuovo e Le porte della percezione, chiamò la “rivoluzione ultima”, nella quale diventa centrale il ruolo delle droghe.

In questi ultimi anni, infatti, abbiamo assistito all’emergere di una propaganda pervasiva a favore della diffusione delle droghe che, anche a seconda delle sostanze in questione, si è articolata più o meno in queste fasi:

-proposte di riduzione del danno, con o senza legalizzazione di tutte le droghe;

-proposte intese come strumento per migliorare la salute di chi già ne fa uso e per combattere il crimine organizzato che produce e spaccia;

– re-branding delle droghe come farmaci, con corredo di marketing semplicistico secondo cui se una sostanza può in alcune condizioni cliniche essere usata come farmaco sarebbe buona per definizione, qualsiasi uso se ne faccia (in base all’assunto farmaco = buono);

-promozione attiva delle droghe, soprattutto allucinogene, quali LSD o psilocibina, un vero e proprio marketing sui mezzi di comunicazione di massa, per adesso soprattutto digitali/in rete: questa è la fase più recente e include la promozione di sostanze che ancora non hanno un mercato, presentate, tramite articoli di divulgazione di natura eterogenea- ad esempio sullo sciamanesimo e altre tecniche estatiche “primitive”- come “micro-dosi” (più o meno micro) per i sani, finalizzate al presunto miglioramento del funzionamento dell’organismo, o all’aumento della creatività e persino alla prevenzione dei mali di stagione come il raffreddore: quindi davvero come panacee per tutti, grandi e piccini, malati o sani che siano. Vere e proprie forme di fanatismo si manifestano -soprattutto ma non solo sul web- nei riguardi di sostanze allucinogene presentate come fonte di benessere e addirittura di “illuminazione”.

In realtà il marketing sull’uso delle sostanze allucinogene è un fenomeno iper-moderno, mistificato talora come un ritorno a situazioni antichissime e a saperi primordiali. Un esempio è l’LSD, presentato come equivalente all’Ergot, dal quale è stato sintetizzato nel 1938. Questo tipo di affermazioni deve essere sottoposto a valutazione e a falsificazione considerando: qualità (es. LSD), quantità (es. proposto uso di massa), contesto di uso (società post industriale), modalità di assunzione (es. ago ipodermico per eroina, sostanza semi-sintetica; base libera per la cocaina fumata, ecc.). Tra uso “antico” e uso “moderno” in molti casi la differenza è evidente: ad esempio, tra masticare foglie di coca (contenenti basse dosi di cocaina assorbita per via orale) in una cultura che ha integrato questo uso per secoli, da una parte, e fumare la base libera, il crack, dall’altra; oppure tra uso di oppio fumato (contenente morfina) da una parte e iniezione endovena dell’eroina, sintetizzata dalla morfina, dall’altra. O ancora, per capire l’importanza dei contesti, si pensi all’introduzione devastante dell’alcool nella cultura dei nativi americani della cui tradizione non faceva parte.

L’LSD –insieme ad altre sostanze allucinogene- è persino parte di una cultura cosiddetta cyberdelic (cyber + psychedelic) che unisce l’uso degli allucinogeni con i personal computer, gli smartphone, i videogiochi, internet e la realtà virtuale.

In sostanza dalla proposta di una politica delle droghe che presentava se stessa come realistica, ovvero il contenimento di un male non estirpabile, si va sempre di più verso la promozione di una società distopica, verso il marketing di chi produce corsi di sciamanesimo on-line per imparare a usare le droghe allucinogene, una volta che queste diventeranno disponibili, vuoi per uso terapeutico

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https://www.loccidentale.it/articoli/146989/lultima-rivoluzione-sara-psichedelica-e-avra-a-che-fare-con-le-droghe-la-profezia-di

 

 

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Julian Assange sta morendo

 

Le condizioni di salute di Julian Assange, fondatore di WIKILEAKS, detenuto nel carcere di Belmarsh, si aggravano di giorno in giorno. E il silenzio che è stato fatto calare sulla vicenda è volto a sancirne la morte istituzionale, prima ancora di quella fisica.

www.lintellettualedissidente.it

di Andrea Angelini – 3 giugno 2019

 

Peggiorano le condizioni di salute del giornalista fondatore di Wikileaks, trasferito nell’ala ospedaliera del carcere di massima sicurezza di Belmarsh, dove è detenuto per “aver infranto la libertà condizionale”. Il rapimento, avvenuto all’interno dell’ambasciata londinese dell’Ecuador – narrato come arresto a seguito della revoca dell’asilo politico -, aveva un obiettivo assai più totalizzante del processo al singolo uomo, vale a dire testare la cortina di omertà del macrostato mediatico al servizio dei governi corrotti. Il degrado quotidiano del suo stato di salute fisico e psicologico lo ha condotto al braccio ospedaliero del carcere di Belmarsh, dal quale Assange non è più in grado di parlare nemmeno con i suoi legali. È stata la stessa Wikileaks a denunciare attraverso un comunicato la raccapricciante ed ignobile sorte del suo caporedattore, silenziato e disumanizzato da un sistema che gli ha prescritto una morte naturale ancor prima di un degno processo penale, altresì necessario per i reati sessuali di cui è accusato.

D’altra parte era chimerico immaginare un epilogo diverso per chi ha avuto il coraggio di squarciare la tela dell’informazione prezzolata e generalista, rendendosi inviso in ben cinque continenti per la viralità con la quale informazioni e documenti secretati dai più alti funzionari di Stato sono stati diffusi tra le vituperate masse. Intrecci cronistici che non hanno risparmiato nessuno, rendendo di dominio

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https://www.lintellettualedissidente.it/cartucce/julian-assange-sta-morendo/?fbclid=IwAR1h8Ganut16T4cJtuVwuCV25aNRTQOntH3y6BwJkuA_BiyJPcWvqoI8wA0

 

 

 

 

Quando i giornali si facevano con la macchina per scrivere

A Ivrea una mostra celebra l’età d’oro della stampa, quella della Lettera 22 Insegnandoci (ancora) come si fa cronaca, politica, costume, sport…

Luigi Mascheroni – 05/06/2019

Chi ha meno di cinquant’anni lo troverà incredibile: eppure ci fu un tempo in cui i giornali si facevano senza computer, senza mail, senza Google, senza cellulari…

Che tempi. Più belli? Più brutti? Senza le nuove tecnologie le giornate erano più pesanti, i tempi più lunghi, e i servizi più complicati.

Eppure quelli erano giornali creativi, ricchi di servizi, battaglieri, pensati e scritti benissimo, e venduti in centinaia di migliaia di copie. I tempi d’oro del nostro giornalismo, quelli che coincidono con la diffusione e l’uso delle macchine per scrivere portatili: dal 1950 (anno in cui l’Olivetti progetta la mitica Lettera 22) ai primi anni ’90 (quando i pc entrano nelle redazioni) e che ho provato a raccontare nella mostra Piccoli tasti, grandi firme che ho curato al Museo «Garda» di Ivrea (ha inaugurato venerdì, resterà aperta fino al 31 dicembre).

VIDEO QUI: http://www.ilgiornale.it/video/cultura/viaggio-nellepoca-doro-giornalismo-italiano-1706766.html

Un’epoca segnata dalla nascita di testate rivoluzionarie, sia per la grafica sia per il nuovo ordine delle pagine e delle notizie (Il Giorno ad esempio, che nasce nel 1956). Alcune delle quali giocano un ruolo fondamentale nella battaglia delle idee (il manifesto, il Giornale, la Repubblica, tutti apparsi negli anni Settanta). Altre sono anticonformiste e irriverenti (il Borghese di Leo Longanesi, del 1950, oppure, per tutt’altro verso, Cuore, il «Settimanale di resistenza umana» dell’Unità, del 1989). Senza contare i quotidiani del pomeriggio, da Paese sera a La Notte (erano il nostro online…). Testate, vecchie e nuove, che offrivano un’informazione pluralista accompagnata da un livello eccezionale di scrittura. Come dimostrano le grandi firme che battevano sui quei piccoli tasti. Grandi giornalisti-scrittori, o scrittori-giornalisti se volete, che hanno ancora molto da dirci. Su come si trova una notizia e su come la si racconta. Senza dimenticare i colleghi che non usavano la macchina per scrivere, ma gomma, forbici e matita: come Giuseppe Trevisani, che ideò l’impaginazione innovativa del manifesto e del Giorno, o Piergiorgio Maoloni, il grafico e designer che firmò la progettazione o il restyling di tutti i più importanti quotidiani e periodici italiani del tempo. La sua prima pagina del Messaggero, il giorno dell’allunaggio, è un capolavoro. E infatti è esposta al MoMA di New York.

Fu una stagione – a guardarla bene – lontanissima, in tutti i sensi. Che ebbe certo molti limiti: tante idee ma anche troppa ideologia, i medesimi conflitti di interessi di oggi, solo più camuffati (a lungo non si seppe che dietro Il Giorno c’era l’Eni, ad esempio), protagonismi eccessivi, corpi redazionali abnormi, costi di gestione altissimi e spese folli (che infatti oggi le aziende editoriali pagano con gli interessi), ma che, pure, fu straordinaria. E che ancora può offrirci suggerimenti particolarmente utili in un momento come l’attuale in cui la carta stampata vive una delle sue crisi più profonde.

Tra le sale della mostra, curiosando, troverete di tutto. Le pagine del Corriere con i pezzi più belli di Buzzati, l’edizione originale della strenna Olivetti con Il deserto dei tartari illustrato da Enrico Baj, il suo capolavoro nato nelle notti di turno al giornale. E poi i numeri originali dell’Espresso con la celebre rubrica «Il lato debole» di Camilla Cederna, un lungo servizio su di lei di Panorama degli anni ’80, la pagina che il Corriere le dedicò il giorno della sua morte, e là c’è anche la sua macchina per scrivere. Rossa. Silenzio, arriva il maestro. Indro Montanelli: articoli dattiloscritti, prime pagine di giornali, una serie di caricature dei maggiori vignettisti italiani, fotografie. Di Giovannino Guareschi ci sono le copertine e

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http://www.ilgiornale.it/news/quando-i-giornali-si-facevano-macchina-scrivere-1704930.html

 

 

 

ECONOMIA

LA SOLITUDINE DELL’IMPRENDITORE
Questa lettera ce l’ha inviata un giovane imprenditore, che ci ha chiesto di mantenere l’anonimato, una persona a noi molto vicina che da zero sta portando avanti con grandi sacrifici e con successo un progetto ambizioso in mezzo a mille ostacoli. Sono parole nelle quali ci siamo ritrovati e per questo le pubblichiamo integralmente ringraziando il nostro amico per averle inviate proprio a noi.

 

La solitudine dell’imprenditore

“Tanti possono pensare di capirla ma solo chi fa impresa sa cosa significa, perché sei solo, invidiato da molti, ed osannato da chi interessato, perché non esiste nulla al di là del mero interesse economico in quello che fai per gli altri… tranne pochi, e quei pochi comunque si domandano come tu sia riuscito. Tutti si aspettano molto da te ma ti remano contro, tutti nel loro profondo muoiono dalla voglia di vederti fallire, perché in fondo sono loro un po’ falliti, però si sta meglio a pensare che tu non riesca, perché loro non si sono nemmeno sprecati di provarci … troppo scienziati, troppo furbi … loro si muovono solo per grandi guadagni e facili… tu invece sei li , tutti i giorni, ti avveleni l’anima, ti ci ammali, cerchi di far quadrare sempre i conti con margini esigui, piegato dal costo del lavoro e dalle tasse e non puoi sbagliare nulla perché non c’è rimedio all’errore. Il risultato e la vanificazione di tutto è quella foto di spensieratezza postata sul social che fa sembrare tutto facile che fa sembrare che la tua vita sia una festa. Ti senti schiacciato per cercare di fare sempre tutto bene alla perfezione, in alto dai clienti, dai fornitori, dallo stato, dalle tasse, in basso dai dipendenti e dalle loro continue pretese … si, loro che vorrebbero essere te, ma non ci pensano proprio ad accollarsi i tuoi pensieri e le nottate in bianco, a

 

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https://www.facebook.com/sisto.ceci.94?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARB4FLa523qiGUPDDNjDgflclz5sRArxtf9GXBrU1_z9WlTqBUozZ8AyZJUVNuX0YapwrvIbEMi3hGXw&hc_ref=ARSE4yySxPNAo84HszpQNBE7TDqTk3J478dCz-en9WuusfBGWgcSMmJ5krt-iMGA_KQ&fref=nf

 

 

 

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

La Deutsche Bank confisca 20 tonnellate d’oro del Venezuela

Azione ostile e arbitraria contro il Venezuela. La maggiore banca tedesca, la Deutsche Bank, ha assunto il controllo di 20 tonnellate di oro appartenenti al Venezuela come garanzia dopo l’insolvenza di Caracas su un contratto di swap in oro del valore di 750 milioni di dollari USA.

 

05/06/2019 Fonte: RT

 

Il sequestro arriva come parte di un accordo concluso tra la Repubblica Bolivariana e il creditore già nel 2016, riporta Bloomberg. Secondo i termini dell’accordo, il Venezuela ha ricevuto un prestito in contanti dalla Deutsche Bank e ha depositato 20 tonnellate di oro come garanzia.

 

L’accordo iniziale era destinato a scadere nel 2021, ma era stato risolto in precedenza a causa di mancati pagamenti di interessi, secondo fonti anonime che chiudevano il problema, come citato dall’agenzia.

 

Le sanzioni unilaterali imposte da USA e UE hanno fatto sprofondare il paese latino-americano nella peggiore crisi economica della storia del paese. Il declino economico, accompagnato da una forte recessione, da un’iperinflazione e da un crescente deficit di beni di base in alcuni momenti ben precisi, è stato significativamente aggravato dai disordini politici di natura golpista, esacerbati dalla

 

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https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_deutsche_bank_confisca_20_tonnellate_doro_del_venezuela/5694_28748/?fbclid=IwAR2r2QO0pJChSIxMdMR1z7NkWKG94LLhdrYvPHrFixgXGbr5O6Q80mdhhGo

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Ergastolo all’assassinio di Pamela Mastropietro.

Il commento del professor Alessandro Meluzzi

05.06.2019 – Eliseo Bertolasi

 

La Corte di Assise di Macerata, dopo cinque ore di camera di consiglio, ha emesso la sentenza di condanna per il nigeriano imputato della morte della ragazzina romana, ritrovata “a pezzi” il 31 gennaio dello scorso anno dentro a due trolley abbandonati nella campagna di Macerata. Un orrore che va al di la di ogni immaginazione.

Innocent Oseghale è stato condannato all’ergastolo per l’assassinio di Pamela Mastropietro. Il professore Alessandro Meluzzi psichiatra, criminologo, già deputato e senatore nelle precedenti legislature, autore di oltre duecento pubblicazioni scientifiche e di più di venti monografie in materia psicologica, psicoterapeutica, psichiatrica e antropologico-filosofica raggiunto da Sputnik Italia ha commentato la sentenza.

 

– Professore qual è il suo commento alla sentenza di ergastolo per Oseghale?

 

– La giustizia ha fatto il suo corso e ha dimostrato una verità. Ma sinceramente non è chiaro il ruolo degli altri nigeriani presenti prima, durante e dopo la morte di Pamela. Certamente, c’è la soddisfazione per la condanna ma c’è anche perplessità per la ricostruzione giudiziaria della verità sostanziale. Come sempre, verità processuale e verità sostanziale corrono parallelamente.

– L’orrore suscitato da questo omicidio raccapricciante induce a delle riflessioni sulla natura profonda dell’essere umano. Com’è possibile arrivare a un tal livello di malvagità e disumanità? Lei, da esperto criminologo e psichiatra, riesce a darci una spiegazione?

 

Ogni crimine ha una spiegazione, per quanto possa essere disumano. In questo caso, le modalità di uccisione e di depezzamento del cadavere hanno a che vedere con la cultura africana di appartenenza dell’assassino. Il fatto che Pamela sia stata divorata ha a che vedere con il panteismo naturalistico mentre il depezzamento ha a che fare con il folklore. Uno psichiatra occidentale non può spiegare

 

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https://it.sputniknews.com/opinioni/201906057737044-ergastolo-allassassinio-di-pamela-mastropietro-il-commento-del-professor-alessandro-meluzzi/

 

 

 

 

Magistratura connection, anche il vicepresidente del Csm nella bufera

Aveva contatti con Lotti braccio destro di Renzi

Perugia – 04 Giu. 2019

Di Alberto Laganà – Ieri siamo stati facili profeti nel predire che nell’occhio del ciclone sarebbe finito anche il vice presidente del Csm Ermini, uomo del Pd vicino a Lotti, braccio destro di Renzi, e il cerchio si chiude.

I magistrati di Perugia hanno sulle spalle un peso mediatico enorme e tutta l’attenzione dell’opinione pubblica, perché è ormai chiaro che la magistratura vive momenti difficilissimi a causa delle commistioni con la politica ed anche il malaffare.

Ad aggiungere legna al fuoco delle contestazioni, anche fortissime dei magistrati onesti e non coinvolti, arriva una nota dura che sconfessa il presidente dell’associazione magistrati Pasquale Galasso che aveva cercato di sminuire la gravità degli

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http://www.quotidianodellumbria.it/quotidiano/perugia/magistratura/magistratura-connection-anche-il-vice-presidente-del-csm-nella-bufera?fbclid=IwAR2mNl0p8goqYItjbGXyS0GWoKdhyca6SixszGgvOLn6BpaHDVr1HPE7GZw

 

 

 

 

 

La resistenza delle toghe rosse

Andrea Indini – 5 giugno 2019

La divisione dei poteri, nel nostro sistema democratico, è stata proprio per evitare ingerenze e soprusi. Ma da tempo questo equilibrio è stato rotto dai magistrati che quotidianamente fanno politica indossando la toga. Non è una novità, ma ciclicamente diventa un vulnus che frena l’azione legislativa del governo o del parlamento. Negli ultimi tempi, per esempio, nelle aule dei tribunali è venuta a crearsi una strenua “resistenza” alle misure e ai provvedimenti votati per contrastare l’immigrazione clandestina o per garantire la sicurezza nel Paese.

Laddove la sinistra è diventata elettoralmente marginale e politicamente irrilevante, l’opposizione ai decreti e alle direttive di Matteo Salvini viene fatta dai magistrati nelle aule dei tribunali. Si tratta di un’operazione sistematica iniziata l’anno scorso dalla procura di Agrigento con le indagini contro il numero uno del Viminale per il caso della nave Diciotti e continuata, passo dopo passo, a suon di sentenze pensate per smontare il decreto Sicurezza. È il caso, per esempio, dell’incessante attività di Luciana Breggia, presidente della sezione speciale per l’immigrazione e la protezione internazionale al tribunale di Firenze. Lo scorso 15 maggio ha negato al ministero dell’Interno la possibilità di impugnare un verdetto lasciando ai sindaci la completa autonomia in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. Sulla stessa scia anche il tribunale civile di Bologna ha preso una decisione analoga smontando ulteriormente il decreto. “Se qualche giudice vuole fare politica e cambiare le leggi per aiutare gli immigrati – è stato il commento – lasci il tribunale e si candidi con la sinistra”. Sembra però che per certi giudici sia più facile

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http://blog.ilgiornale.it/indini/2019/06/05/la-resistenza-delle-toghe-rosse/

 

 

 

 

Manifesto di 18 mq per insultare il vicino, la polizia: non c’è diffamazione

Denise Baldi Pubblicato il07/05/2019

Sembra incredibile ma mandare a quel paese un vicino con un manifesto di 18 mq con la scritta “Infame” è possibile e senza andare incontro a sanzioni o guai con la legge.

È successo a Gorizia, precisamente nel rione di Sant’Andrea, dove è apparso un curioso cartellone all’incrocio tra le vie Gregoric e Natisone.

Ha suscitato non poca curiosità tra i goriziani anche perché il manifesto 6 metri per 3 è impossibile da non notare, soprattutto per la scritta riportata.

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Chi è il responsabile del manifesto di 18 mq?

Infame” è il contenuto del cartellone con tanto di definizione lunga e dettagliata della Treccani per togliere ogni eventuale dubbio.

Inizialmente è stato ipotizzato che potesse essere una strana trovata pubblicitaria di un

 

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https://informarexresistere.fr/category/stranezze/

 

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Conto alla rovescia per la mannaia sulle pensioni: tagli fino a 1000 euro l’anno. Ecco chi e quanto perde

sabato 25 maggio 10:07 – di Monica Pucci

Conto alla rovescia per il conguaglio gennaio-marzo del taglio della rivalutazione annuale degli assegni superiori a 1.522 euro al mese (oltre tre volte il minimo) che sarà operativo dal 1 giugno prossimo, giornata in cui scenderanno in piazza anche i pensionati di Cgil Cisl e Uil. “Dateci retta” sarà il leit motiv che animerà la mobilitazione di Piazza San Giovanni a Roma contro la totale mancanza di attenzione alle ragioni dei pensionati da parte del governo a cui parteciperanno anche i leader delle confederazioni, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.

Il blocco della rivalutazione delle pensioni d’altra parte avrà, secondo uno studio della Uil “effetti ingenti” sugli assegni pensionistici. Il sindacato infatti stima come, sommando alle norme del governo Conte tutti gli stop che si sono succeduti dal 2011 ad oggi, una pensione di 1.568 euro nel 2019, di poco dunque superiore a 3 volte il minimo, possa perdere in maniera permanente circa 960

 

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https://www.secoloditalia.it/2019/05/belpietro-nominato-direttore-dellunita-fa-impazzire-la-sinistra-un-gesto-gravissimo-delleditore/

 

 

 

 

 

Docenti universitari, avvocati e magistrati: ecco i fan rossi dell’immigrazione

Dai tribunali di Firenze e Bologna al Tar della Toscana, ecco chi sono gli ultrà dell’accoglienza che combattono Salvini a suon di sentenze

Andrea Indini – Mer, 05/06/2019

“Quei magistrati avrebbero dovuto astenersi”. Al ministero dell’Interno non nascondo l’insofferenza nei confronti delle recenti incursioni da parte di certe toghe rosse contro le direttive firmate Matteo Salvini.

Ma fanno anche sapere che non sono disposti a rimanere inermi dinnanzi a una simile ingerenza. Nei prossimi giorni, infatti, il Viminale impugnerà la sentenza del Tar di Firenze contro le cosiddette “zone rosse” e riformulerà l’ordinanza per allontanare balordi e sbandati da alcune aree cittadine. Non solo. Verrà anche presentato il ricorso contro le sentenze dei tribunali di Bologna e Firenze che, facendo carta straccia del decreto Sicurezza, hanno permesso l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo.

“Intendiamo rivolgerci all’Avvocatura dello Stato per valutare se i magistrati che hanno emesso le sentenze avrebbero dovuto astenersi, lasciando il fascicolo ad altri”, fanno sapere dal Viminale ricordando che questi stessi giudici avevano assunto in passato posizioni in contrasto con le politiche del governo in materia di sicurezza, accoglienza e difesa dei confini. Idee che sono state espresse pubblicamente o attraverso rapporti di collaborazione o vicinanza con riviste sensibili al tema degli stranieri come Diritto, immigrazione e cittadinanza o con avvocati dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi) che hanno difeso i migranti contro il Viminale. Tra le toghe rosse contro cui Salvini punta il dito c’è Luciana Breggia, la presidente della sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale del Tribunale di Firenze. Come avevamo già scritto nei giorni scorsi, è lei la relatrice della sentenza che ha escluso il ministero dal giudizio sull’iscrizione anagrafica di un immigrato.

Da certi magistrati la propria militanza politica viene manifestata alla luce del sole. La Breggia, per esempio, durante un dibattito pubblico organizzato a Firenze l’8 aprile, ha censurato l’uso della parola “clandestini”. In un’altra occasione, invece, ha partecipato alla presentazione del libro L’attualità del male, la Libia del male è verità processuale, scrotto dell’avvocato dell’Asgi Maurizio Veglio, lo stesso legale che ha assistito l’immigrato che ha fatto ricorso contro il Viminale sull’iscrizione anagrafica e a cui la Breggia ha dato ragione. Durante

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http://www.ilgiornale.it/news/milano/docenti-universitari-avvocati-e-magistrati-ecco-rete-rossa-1706707.html

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Grecia comunica ufficialmente alla Germania richiesta multimiliardaria per danni di guerra

04.06.2019

 

Oggi l’ambasciatore della Grecia a Berlino ha consegnato una nota al ministero degli Esteri tedesco, in cui il governo greco invita le autorità della Germania ad avviare negoziati per risolvere la questione in sospeso del pagamento delle riparazioni e dei danni di guerra per la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.

Lo ha comunicato il ministero degli Esteri greco.

La nota è stata presentata conformemente alle istruzioni del viceministro degli Esteri greco Sia Anagnostopulou.

“Questa azione diplomatica è stata presa dopo una discussione a livello di leader politici nella sessione plenaria del Parlamento greco il 17 aprile e in seguito al voto preso dalla stragrande maggioranza dei deputati, tenendo conto del rapporto della commissione interpartitica per l’ottenimento dei debiti tedeschi nei confronti del nostro Paese”.

Le pretese di Atene riguardano i risarcimenti ed i danni subiti dal Paese e dai suoi cittadini nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale, riparazioni militari per le vittime e i discendenti delle vittime dell’occupazione tedesca, la restituzione dei

 

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https://it.sputniknews.com/politica/201906047733818-grecia-comunica-ufficialmente-alla-germania-richiesta-multimiliardaria-per-danni-di-guerra/?fbclid=IwAR1fkx1rJQ0hSsPmr23IVxfFd8AhHDZV_G4_zC6TaxrSXpGgDCnDLDzuW3E

 

 

 

 

 

Londra, antifa circondano un sostenitore di Trump e gli tirano un milkshake in faccia (Video)

Di Davide Romano – 5 Giugno 2019

Londra, 5 giu – Prima è stato circondato da un gruppo di manifestanti anti-Trump che gli hanno urlato in faccia “fascist scum!” (feccia fascista), poi si è beccato un milkshake(detto anche frappè) sulla fronte. A subire l’aggressione è stato un sostenitore di Trump, ritrovatosi in mezzo ad una delle manifestazioni di protesta organizzate a Londra contro la visita del presidente Usa. Come si vede nel video pubblicato dalla pagina “Leave.eu”, dopo il lancio del milkshake l’uomo ha provato a reagire e ne è nata una breve colluttazione.

Protesta del milkshake, la trovata dell’estrema sinistra

Quella del milkshake è una recente “forma di protesta”, che l’estrema sinistra sta mettendo in atto nel Regno Unito. Prima di questo anonimo sostenitore di Trump a finire sotto i colpi dei lanciatori di frappè sono

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https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/londra-antifa-circondano-un-sostenitore-di-trump-e-gli-tirano-un-milkshake-in-faccia-video-120438/

 

 

Giornalista greca: “Tsipras traditore, Grecia distrutta da UE.

Soros acquista 25.000 case e Germania guadagna sui biglietti del Partenone. Sono dei criminali”

 

Postato il 5 giugno 2019 di fenicenews

 “Lo sai che adesso, se entriamo là (indica il Partenone alle spalle, NdR), paghiamo un biglietto e questi soldi vanno direttamente in Germania, in un apposito fondo destinato al risanamento del debito pubblico?” – lo dichiara a Byoblu.com la giornalista Giorgia Bitakou, politica e fondatrice del movimento Exit Greek che quest’anno, per la prima volta, è stato candidato alle elezioni europee.

“La Germania ha perso le due guerre mondiali, ma sta vincendo questa guerra che io chiamo una “guerra silenziosa”. Ed è molto più subdola perché non si vede il nemico, è difficile vedere chi c’è dall’altra parte, però è una guerra a tutti gli effetti dove i vincitori – in qualche modo – colonizzano il Paese. Voi state assistendo a una colonizzazione, ma tu mi parli di una vera e propria conquista. Non esiste più libertà nel vostro Paese?” -ha dichiarato la giornalista greca. E alla richiesta di conferma della presunta notizia riguardante l’acquisto di circa 25 mila case ad Atene da parte del noto speculatore finanziario Soros, la donna ha risposto affermativamente:

“Sì, è vero, ha comprato queste case. Molte ONG hanno costituito un’impresa immensa per l’accoglienza dei migranti che, però, una volta arrivati, non sanno dove andare, perché non ci sono spazi e strutture sufficienti per ospitarli. Esiste poi il problema dei trafficanti di esseri umani e degli sciacalli che sfruttano, attraverso lo scambio di denaro e i massicci investimenti

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https://fenicenews.wordpress.com/2019/06/05/giornalista-greca-tsipras-traditore-grecia-distrutta-da-ue-soros-acquista-25-000-case-e-germania-guadagna-sui-biglietti-del-partenone-sono-dei-criminali-video/?fbclid=IwAR35tZqmloh8_YZHyeAmY-CtSIRTM-N9qPCbRnOvVeazfWsgAugisLR-cxE

 

 

 

Il conservatismo guerrafondaio arraffa la Casa Bianca

da aurorasito

Caleb Maupin New Eastern Outlook 4.06.2019

La presidenza Trump rappresentava una solida rottura con le vecchie norme della politica di destra degli Stati Uniti. Le campagne di Trump come populista imbalsamato che criticava gli interventi militari e sembrava il campione “dei ragazzi” feriti dalle trattative commerciali e dalla cattiva gestione di Washington. Tuttavia, nella Casa Bianca, Mike Pence e John Bolton sembrano rappresentare le due tendenze che dominano la politica conservatrice nordamericana dagli anni ’70. Un consigliere della sicurezza nazionale neoconservatore e un vicepresidente evangelico sembrano impegnarsi a fondo per preservare la formula della guerra fredda della leadership repubblicana.

John Bolton: erede di Strauss e Kristol

Molto è stato scritto sul ‘Neoconservatorismo’. Ma cosa significa in realtà il termine? Analisti libertari e paleo-conservatori tendono a usare il termine come peggiorativo per i repubblicani maggioritari che operano contro i loro principi. Il New York Times sembra ritrarre i “neocon” come misteriosa fazione di interventisti infiltratasi nel governo, spingendo verso la sovraestensione all’estero. In realtà, il neoconservatorismo fu il Partito Repubblicano tirato a lucido e venduto a una generazione di nordamericani cresciuti a televisione e musica rock. Coinvolgeva anche apertamente l’elitarismo, qualcosa che le precedenti tendenze conservatrici avevano evitato. Secondo il New York Times, Irving Kristol era “comunemente noto come il padrino del neoconservatorismo”. Irving Kristol era un trotskista negli anni ’30 che gradualmente abbandonò il marxismo. Secondo il suo necrologio sul New York Times, fu il contatto con la classe operaia nell’esercito degli Stati Uniti che lo convinse a rinunciare del socialismo del tutto: “Arruolato nell’esercito con numerosi midwesterners duri e spesso antisemiti, si ritrovò a perdere il giovanile ottimismo radicale. “Non posso costruire il socialismo con queste persone”, concluse. “Probabilmente ne prenderanno il controllo e ne faranno un racket”. Secondo lui, i suoi compagni GI erano inclini a saccheggiare, stuprare e uccidere, e solo la disciplina dell’esercito li teneva sotto controllo. Era una percezione della natura umana che gli sarebbe rimasta per il resto della sua vita, creando una tensione con la visione alternativa secondo cui ci si doveva fidare più della gente comune che degli intellettuali nel fare la cosa giusta”. Dopo aver lavorato col programma della CIA del Congressoper la libertà culturale, Kristol alla fine passò dai circoli dell’intelligence liberale ai gruppi di riflessione del Partito Repubblicano. L’altro individuo accreditato di aver partorito il pensiero neoconservatore è Leo Strauss, studioso di Platone che insegnò filosofia alla New School for Social Research e all’Università di Chicago. Secondo la Brooklyn Rail: “Gli accoliti di Strauss penetrarono nel governo e nell’istruzione superiore nordamericano, ed orgogliosamente influenzarono le politiche sociali e pubbliche della nazione. NellaAmministrazione Bush ci sono numerose persone istruite da Strauss o discepole delle sue idee. in particolare Paul Wolfowitz, Stephen Cambone, sottosegretario alla Difesa per l’Intelligenza, e Abram Shulsky, Direttore dell’ufficio del Pentagono per i piani speciali; e ci sono quelli fuori dal governo dalla grande influenza”.

Leo Strauss, come Kristol, sembrava credere che le persone comuni dovessero essere ingannate e manipolate da un gruppo di intellettuali d’élite. Descrivendo la visione del mondo di Strauss, The Nation scrisse: “Gli intellettuali, secondo lui, avrebbero dovuto diffondere un’ideologia del bene e del male, che ci credessero o meno, in modo che il popolo nordamericano potesse essere mobilitato contro i nemici della libertà. Perciò Strauss, abbiamo appreso in uno dei tanti racconti, era un grande fan della serie TV Gunsmoke e della sua descrizione manichea del bene e del male”. La nascita del neoconservatorismo è riconducibile alla campagna presidenziale del 1968 di Richard Nixon, dove Nixon sembrava aver appreso da George Wallace che dire che la “gente comune” era stanca del movimento per i diritti civili e dalle proteste contro la guerra del Vietnam fosse una buona strategia. La retorica di Nixon sulla “maggioranza silenziosa” e sulla “legge e ordine” gli valse la presidenza. La presidenza Reagan sembrava essere il sogno di Strauss diventato realtà. Reagan era un ex-attore cowboy, e quando descriveva la politica estera degli Stati Uniti in un discorso di ufficio ovale, sembrava lo sceriffo di Gunsmoke. Le guerre in Nicaragua, El Salvador, Libia, Grenada e Libano erano semplicemente la battaglia tra “buoni” e “cattivi”, con la realtà complessa nascoste al pubblico. John Bolton è ampiamente descritto come un neoconservatore, e ora detiene il ruolo in cui Trump aveva originariamente nominato Michael Flynn. Bolton sembra immaginarsi esperto di chi siano gli ultimi “cattivi” della narrativa della CNN, e perché gli USA non dovrebbero esitare a “diffondere la libertà” rovesciandoli. Il suo tono greve, come le minacce d’inviare Nicolas Maduro a Guantanamo Bay, si adatta al registro neoconservatore. Ma in questi giorni, i sentimenti non interventisti, una volta sposati dalla minoranza di gente come Ron Paul, sembrano essere popolari nella base dello Stato Rosso. E proprio come il neoconservatorismo è in declino, perde forza anche la tendenza da cui i neocon dipendono per esercitare potere politico.

Un nuovo fanatismo religioso

Nel 1957, lo psicologo inglese William Sargant scrisse: “Varie convinzioni possono essere impiantati in molti, dopo che la funzione cerebrale viene abbastanza disturbata da paura, rabbia ed eccitazione indotte accidentalmente o deliberatamente. Tra i risultati causati da tali disturbi, il più comune è il giudizio temporaneamente alterato e l’accresciuta suggestionabilità. Le varie manifestazioni di gruppo sono talvolta classificate come “istinto del branco” e appaiono in modo spettacolare in tempo di guerra, durante gravi epidemie e in simili periodi di pericolo comune, aumentando ansia e suggestionabilità individuale e di massa”. Il libro di Sargant The Mind Possessed esplora la natura della propaganda e del controllo mentale, in particolare le cerimonie religiose.

La ricerca di Sargant fu condotta in coordinamento col Tavistock Institute, mentre l’intelligence inglese lavorava per comprendere la natura della persuasione all’indomani della Seconda guerra mondiale. Il movimento religioso comunemente chiamato Cristianesimo Evangelico è in gran parte il risultato degli sforzi per coltivare e perfezionare i fenomeni descritti da Sargant ed utilizzare gli aspetti emotivi della religione per controllare e manipolare le persone. Movimenti e comunità religiosi sono sempre esistiti negli Stati Uniti, poiché nati come colonia in cui fuggirono le sette europee; gli Stati Uniti ebbero tolleranza molto più alta del fanatismo religioso. In due Stati nordamericani è legale, ad esempio, che le chiese s’impegnino nell’allevamento di serpenti, un rituale cristiano spesso mortale a cui gli aderenti si alternano tenendo serpenti velenosi in un gruppo, credendo che Dio li protegga dai morsi. Il cristianesimo fondamentalista e carismatico emerse come movimento protestante nordamericano nel 1800, come mormonismo, avventismo del settimo giorno, pentecostalismo e altre sette dalle credenze singolari. Tuttavia, la corrente religiosa del cristianesimo evangelico che acquisì grande potere politico durante gli anni ’80 e ’90, è una tendenza distinta dagli altri episodi di fanatismo nella storia nordamericana. Mentre attingeva da tali precedenti, singolari movimenti e sistemi di credenze nordamericani, sorse dalle circostanze storiche uniche negli anni ’70, parallelamente e al fianco del neoconservatorismo nel Partito Repubblicano. Le prime incarnazioni di ciò che divenne Cristianesimo Evangelico apparvero alla fine degli anni ’60 nella contro-cultura hippie. Tra uso di droghe e musica rock, gioventù che protestava contro la guerra, una tendenza emerse come Jesus Freaks o Jesus People. Questa era una combinazione di estetica hippie con insegnamenti cristiani. Due musical do Broadway, Jesus Christ Superstar e Godspell, poi diventati film di Hollywood, sembravano seguire tale tendenza di fondendo hippyismo culturale con la narrativa del Nuovo Testamento della Bibbia. Il primo Jesus Freaks seguì il cammino della sinistra cristiana del Dorothy Day e aderì alla Chiesa cattolica, nonostante avesse messo in discussione molti insegnamenti. L’inno Sapranno che siamo cristiani per amore nostro fu cantato per la prima volta da elementi di contro-cultura entrati nelle congregazioni cattoliche. Tony Alamo, dirigente della compagnia ampiamente coinvolta nel marketing dei Beatles, lasciò il business della musica e lanciò la sua chiesa a Los Angeles utilizzando la pionieristica combinazione religioso-estetica dei Jesus Freaks. Questi cristiani controculturali differivano da altri risvolti religiosi della storia nordamericana per la costante assenza d’interesse per la teologia. Mentre ciò fu, in una certa misura, gesto di ribellione all’autoritarismo “ristretto” delle esistenti denominazioni cristiane, fu anche espressione di anti-intellettualismo. I fatti storici, gli argomenti teologici e la conoscenza delle Scritture non avevano importanza. Per i Jesus Freak la religione riguardava le emozioni che sentivano mentre pregavano, cantavano e applaudivano all’unisono cogli altri credenti. Riguardava il bagliore che provavano impegnandosi in atti di gentilezza e sollievo emotivo forniti dalla preghiera per il perdono. Nella storia degli Stati Uniti, battisti fondamentali, pentecostali, luterani, mormoni e carismatici presero molto sul serio la loro storia ed interpretazione singolare della Bibbia. Gli aderenti a tali movimenti possono citare capitolo e verso ed argomentare duramente contro le interpretazioni rivali. Tuttavia, i Jesus Freak erano noti per affermazioni come “Nulla di ciò, giovane, è solo amore” e “Io credo solo nella Bibbia”. Piuttosto che insistere su una specifica dottrina, il popolo di Gesù si concentrò sulla “relazione personale con Gesù Cristo”.

Dai Jesus Freaks alle megachiese

Il consigliere spirituale di Richard Nixon, Reverendo Billy Graham, che sostenne la guerra del Vietnam e si oppose al Movimento per i Diritti Civili, non era per nulla un hippie. Ma dal 1969 abbracciò i Jesus Freaks e presentò speciali televisivi con chitarra e giovani cristiani dai capelli lunghi. Nel 1972, il reverendo Sun Myung Moon, che aveva fondato la Chiesa dell’Unificazione in Corea del Sud, si trasferì negli Stati Uniti. Moon era un abile oratore e un anticomunista fanatico, ed ebbe una relazione molto stretta con le agenzie d’intelligence giapponesi e sudcoreane, come fu successivamente rivelato in una testimonianza al Congresso degli Stati Uniti. Nixon lo portò negli Stati Uniti dove fece anche un salto tra i Jesus Freaks, reclutando fuggitivi adolescenti e altri a ciò che fu spesso presentato come il suo “Movimento per la Pace”. Come Graham, anche Moon era un sostenitore di Nixon. I seguaci di Moon organizzarono uno sciopero della fame durante le indagini sul Watergate, sostenendo che erano un complotto comunista per dividere gli Stati Uniti. I reverendi Moon, Alamo e Graham sperimentarono tutti ciò che divenne una formula politico-religiosa molto efficace alla fine degli anni ’70. Fu il reverendo Jerry Falwell, la cui organizzazione si chiamò Maggioranza Morale, l’avanguardia di ciò che alla fine fu noto come Cristianesimo Evangelico o Destra Religiosa. Invece di interpretazioni specifiche del cristianesimo, le chiese non denominative si svilupparono in tutto il Paese. Queste mega-chiese, come venivano chiamate, coinvolsero pastori che predicavano davanti grandi schermi cinematografici che mostravano immagini di ciò di cui parlavano. Coinvolsero band che suonavano rock and roll con testi cristiani.

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http://aurorasito.altervista.org/?p=7356

 

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Il manto gelido di Plutone e quell’oceano nascosto che lascia sognare la vita

Prima la riscoperta di Plutone grazie alle immagini della sonda New Horizons, ora le ipotesi sull’esistenza di un enorme bacino d’acqua

Plutone è un pianeta nano, scoperto solo nel 1930; più piccolo della Luna ( ha un diametro di 2400 km) orbita a una distanza media dal Sole di più di 5 miliardi di km. Visto da quella distanza, il Sole è un puntino molto luminoso in un cielo bluastro dominato dalla sagoma di uno dei 5 satelliti di Plutone, Caronte, con un diametro angolare quasi 8 volte quello della nostra Luna piena. La superficie è incredibilmente fredda, ha infatti una temperatura intorno ai 230 gradi sotto lo zero. A quella temperatura l’azoto, che sulla Terra è un gas, si trova sotto forma di un ghiaccio che costituisce la quasi totalità della superficie, insieme a un po’ di metano e di monossido di carbonio anch’essi ghiacciati.

Abbiamo molte più informazioni rispetto a pochi anni fa su questo mondo così remoto perché nel 2015 è stato visitato dalla sonda americana New Horizons, che lo ha sfiorato prima di proseguire per l’ancor più lontano Ultima Thule, un corpo appartenente, come Plutone, alla Cintura di Kuiper, la fascia di corpi celesti orbitanti oltre Nettuno. Data l’enorme distanza, l’arrivo a Terra di tutti i dati ottenuti dagli strumenti a bordo di New Horizons ha richiesto molti mesi. I media hanno quindi diffuso immagini che mostravano panorami davvero alieni sotto un cielo quasi nero, con strani terreni in tutte le sfumature del crema e del marrone, montagne di ghiaccio d’acqua, ghiacciai di azoto solido e neve di metano. Gli specialisti stanno analizzando e interpretando i nuovi dati e le pubblicazioni scientifiche con ipotesi, relative alla composizione e struttura dell’interno di Plutone, si susseguono. Di recente uno di questi articoli ha attirato l’attenzione del pubblico e dei media perché sostiene e spiega l’esistenza, già ipotizzata in base a vari indizi, di un oceano di acqua ( acqua liquida, non ghiaccio!) sepolto sotto la superficie di una pianura d’azoto solidificato chiamata Sputnik Planitia.

Com’è possibile, a quelle temperature? Tanto per cominciare, l’idea di un oceano sepolto sotto una superficie ghiacciata non è un’idea così strana. Nel Sistema Solare ci sono almeno altri due corpi in cui la presenza di oceani simili, con acqua allo stato liquido nonostante le ben più fredde temperature dominanti in superficie, è considerata certa: Europa, una luna di Giove, e Encelado, una luna di Saturno. E la presenza di oceani è considerata molto probabile su diversi altri satelliti e su Cerere, un altro pianeta nano in orbita tra Marte e Giove. La formazione di questi oceani è avvenuta miliardi di anni fa, quando le temperature interne di questi corpi erano assai più alte. Il mantenimento di acqua allo stato liquido

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https://informarexresistere.fr/plutone-acqua-pianeta-vita-spazio/

 

 

 

3 medici le confermano il danno ma nessuno lo mette per iscritto: hanno paura

Pietro Di Martino05/06/2019

Valentina: “Prima di vaccinare si ha il dovere di informarsi in quanto genitori: lo dobbiamo ai nostri bambini”.

Di questa madre ce ne eravamo occupati nel 2018, era il mese di novembre quando pubblicammo il suo “grido” d’aiuto rivolto al Ministro della Salute Giulia Grillo: ovviamente inascoltato.

A distanza di quasi un anno la ritroviamo in un video che ha caricato nella sua pagina Facebook. Prova a raccontare la sua storia in pochi minuti e, ascoltando, non si può restare indifferenti.

Valentina, questo il suo nome, ha 35 anni ed è di Palermo:  “Un vaccino ha rovinato la vita di uno dei miei figli, la mia e quella di tutta la mia famiglia”.

Poi racconta cosa è successo: “Già 12 ore dopo il vaccino MPR somministrato a 14 mesi, mio figlio ha cominciato a manifestare le prime reazioni avverse”.

Dice di essersi resa conto di quanto fosse grave quando, provando a chiamare il figlio, non si girava: “Non si muoveva, non parlava più”.

Ben 3 medici le avrebbero confermato il danno da reazione  ma nessuno era disposto a metterlo per iscritto: temevano una possibile radiazione dall’albo.

Dopo la diagnosi Valentina entra in depressione. Il marito si vede costretto a licenziarsi per

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https://informarexresistere.fr/valentina-vaccini-figlio-mpr-video/

 

 

 

 

STORIA

La carestia del Bengala: Come gli inglesi pianificarono il peggior genocidio della Storia

da aurorasito

FB Reporter, 20 agosto 2014

Io odio gli indiani. Sono un popolo bestiale con una religione bestiale. La carestia era colpa loro moltiplicandosi come conigli”. Winston Churchill

Gli inglesi attuarono uno spietato programma economico operando in India e ciò escludeva l’empatia per i nativi. Sotto il Raj inglese, l’India soffrì innumerevoli carestie. Ma la peggiore fu nel Bengala. La prima avvenne nel 1770, seguita nel 1783, 1866, 1873, 1892, 1897 e infine nel 1943-44. In precedenza, quando le carestie colpivano il Paese, i governanti indigeni si affrettarono a fornire risposte utili per evitare gravi catastrofi. Dopo l’avvento degli inglesi, la maggior parte delle carestie fu una conseguenza dei monsoni e dello sfruttamento delle risorse naturali del Paese da parte degli inglesi per proprio vantaggio finanziario. Eppure fecero ben poco per riconoscere lo scempio di tali azioni. Se mai, erano irritati per gli inconvenienti alle tasse che le carestie provocavano.

La prima di queste carestie fu nel 1770 e fu orribilmente brutale. I primi segni che indicano tale enorme carestia si manifestarono nel 1769 ed essa continuò fino al 1773. Uccise circa 10 milioni di persone, milioni in più degli ebrei incarcerati durante la Seconda guerra mondiale. Spazzò via un terzo della popolazione del Bengala. John Fiske, nel suo libro “The Unseen World”, scrisse che la carestia del 1770 in Bengala fu molto più letale della Peste nera che terrorizzò l’Europa nel XIV secolo. Secondo il dominio Mughal, i contadini dovevano pagare un tributo del 10-15 per cento del raccolto in contanti. Ciò assicurò un comodo tesoro ai governanti e una vasta rete di sicurezza per i contadini nel caso in cui il tempo non permettesse futuri raccolti. Nel 1765 fu firmato il trattato di Allahabad e la Compagnia delle Indie Orientali assunse il compito di raccogliere i tributi dall’allora imperatore Mughal Shah Alam II. All’improvviso, gli inglesi insistettero nel chiamarli tributi e non tasse per impedire una ribellione, aumentandola al 50 percento. I contadini non seppero nemmeno che le monete erano cambiate. Pagarono, credendo ancora che andassero all’imperatore. Un parziale raccolto era abbastanza comune nella vita del contadino indiano. Ecco perché lo stock di eccedenze, rimasto dopo aver pagato i tributi, era importante per il loro sostentamento. Ma coll’aumento della tassazione, questo surplus si ridusse rapidamente. Quando un parziale mancato raccolto si ebbe nel 1768, questa rete di sicurezza non c’era più. Le piogge del 1769 furono gravi e in quel periodo

 

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