NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 5 FEBBRAIO 2019

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NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

5 FEBBRAIO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza.

Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti,

se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.

KARL R. POPPER, La società aperta e i suoi nemici, nota 4 al cap. VII vol. I, Armando Ed., 1996, pag. 346

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

 

I cosiddetti migranti e l’Europa che non li vuole

L’ultima macabra trovata degli immigrofili: finti manifesti funebri dei migranti 1

ONG / TUTTI GLI SQUALI NEI MARI DELLA “SOLIDARIETA’” – DA GATES A SOROS. 1

UNA MONTAGNA DI SOLDI IN LUSSEMBURGO E ISRAELE: ECCO IL “TESORO” DI MATTEO RENZI, REGALATO IN QUESTI ANNI DAI SUOI “PADRONI” 1

La Francia scatena i caccia. Bombardati i ribelli in Ciad 1

Il paradosso della tolleranza di Karl Popper

Contro i tolleranti

Milano, choc in strada: nordafricano accoltellato in mezzo ai passanti terrorizzati 1

Aiuti di stato alle imprese. Ohibò, in Germania si può! 1

L’Europa difende lo Stato di diritto per affossare il welfare 1

Ora le banche rischiano un’altra grana da 800 milioni 1

La figlia di Borsellino: “Perché avete archiviato mafia-appalti?” 1

In Europa 32 milioni di persone lavorano ma non arrivano a fine mese 1

Quella trappola degli Emirati nella visita di papa Francesco 1

Iran, Nato, Deutsche Bank: la Germania sta scherzando col fuoco 1

Partigiani con i soldi pubblici: ecco gli incassi di Anpi & Co. 1

L’esodo giuliano-dalmata e quegli italiani in fuga che nacquero due volte 1

 

 

EDITORIALE

I cosiddetti migranti e l’Europa che non li vuole

Manlio Lo Presti – 5 febbraio 2019

Alcuni Paesi europei hanno fatto “il favore” di prendersi i migranti della nave olandese Seawatch. Di fronte allo schifo del loro comportamento troppo plateale e menefreghista, si sono mossi – tanto la cifra è pure piccola, FACENDO BELLA FIGURA A COSTI QUASI ZERO!

La convergenza pesantissima del bombardamento mondiale contro l’Italia continua da mesi con i corifei che martellano dalle 18 trasmissioni politiche sparse in tutte le reti dove non si parla di altro, dai maggiori giornali italiani e stranieri, con ampio fiancheggiamento del web.

In altri miei editoriali, ho evidenziato la numerosità dei problemi esistenti in Italia su altre questioni e soprattutto in tema di

  • occupazione,
  • 000.000 di poveri assoluti,
  • terremotati ancora in alloggi di fortuna da tre anni e sotto un clima rigidissimo,
  • sistema stradale fatiscente,
  • criminalità indotta,
  • controlli antiterrorismo, ecc. ecc.

Se si parla di provvedimenti keynesiani per il rilancio economico, ecco cosa succede:

  • Presidente BCE, irrevocabile e spietato PANTOCRATORE occhiuto rigorista repressivo usuraio,
  • Il Colle, che vaticina con voce bassa, monotòna e mormorante a reti mummificate, felinamente prontissimo a promuovere i valori dell’immigrazione incontrollata. Perfetto collaterale de EL PAPA. Abilissimamente defilato su questioni che da decenni affliggono la penisola DEL CUI DESTINO NON INTERESSA NESSUNO, RIPETO NESSUNO, DEI POLITICI ATTUALI,
  • magistratura che riparte ad orologeria (come accade da oltre 25 anni), che cerca – con grande solerzia – di carcerare Salvini, ma non arresta quelli del ponte, quelli dell’Ilva, quelli preposti alla manutenzione delle strutture di pubblica utilità, quelli che pompano miliardi dal settore sanitario pubblico per girare i flussi alle big pharma, alle strutture curative private, alle assicurazioni private, quelli dell’Alitalia, quelli della Telecom, quelli che hanno distrutto i risparmi dei depositanti e che ancora girano a piede libero, quelli che si sono incassati il 30 percento di finanziamenti andati ovviamente male dicendo che sono state le banche dare male i soldi e che oggi vengono definiti NPL (per dire “crediti inesigibili” che si capiva troppo bene. L’INGLESORUM favorisce il caos e la opacità sulla delinquenza seriale finanziari), quelli delle catene distributive di prodotti alimentari che decuplicano i prezzi, quelli delle compagnie telefoniche, del gas, dell’energia elettrica che continuano a macinare miliardi sulla pelle della popolazione di cui non frega una beata m..chia a nessuno!, quelli delle imprese che hanno incassato fondi pubblici che hanno dirottato all’estero assieme alle imprese finanziate e che ora tuonano con CONFINDUSTRIA sull’attuale governo che non fa investimenti (mi devono dire cosa faceva la ridetta Associazione al riguardo con quelli di prima), quelli ai vertici delle 8 mafie (il cui scopo VERO è il riciclaggio di decine di miliardi al giorno per finanziamenti alle milizie private votate alla esportazione della democrazia nel mondo, o per la commercializzazione di armamenti in parti di ricambio, spacciati per pezzi di frigoriferi o altro) E MOLTI ALTRI ANCORA. Le priorità di questo braccio armato pare siano diverse, ma non coincidono AFFATTO con la domanda crescente di giustizia esistente in questo martoriato Paese!
  • della bancaditalia, molto dormiente nei confronti degli sforamenti precedenti di maggiore entità e ora, onusta di tanto zelo, scopre POFFARBACCO, che il sistema bancario-finanziario sta saltando letteralmente per aria: colpa di Salvini e HA STATO PUTIN, ovviamente!
  • dei sindacati, del tutto inerti con i precedenti governi (lo schema del collateralismo OO.SS. permane romanticamente ancora!), ma severi guardiani del turboliberismo che adesso proclamano uno sciopero contro i cittadini (e non contro Confindustria, bancaditalia, FMI, Colle, Partiti ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.) colpevoli di essere i beneficiari del reddito di cittadinanza, ma non contro gli 80 euro precedenti o contro coloro che hanno raso al suolo questo martoriato Paese!!!
  • del vaticano che bombarda senza quartiere contro l’Italia –stile sterminio di San Lorenzo del 19 luglio del 1943– continuando ad esercitare pesantissime ingerenze sul processo democratico dell’Italia grazie ad una congrega di politici che non hanno la determinazione di convocare il nunzio apostolico e concedergli 10 ore per lasciare il territorio della Repubblica-italiana-ancora-per-poco!
  • delle istituzioni finanziarie europee e mondiali (BCE, BIRS, FMI, OCSE, DEUTSCHE BANK, ROTHSCHILD, MORGAN STANLEY, GOLDMAN SACHS, BLACKROCK (DI Soros), ecc. ecc. ecc.
  • dai Paesi europei che stanno puntando sul caos e sul crollo della penisola per non decidere su una gestione europea degli sbarchi,
  • delle orde di buonisti che sbandierano vessilli immigrazionisti senza tentare minimamente di capire chi ha cucito quei vessilli e appoggiando con la loro emotività il gioco spietato di interessi che guadagnano cifre titaniche e vogliono destabilizzare e sterminare l’Italia perché questo caos è il loro terreno di coltura!
  • dei politici italiani all’opposizione che stanno mostrando tutta la loro ferocia autorazzista contro la popolazione italiana che andrà sostituita da masse di nordafricani pagati tre soldi ma disposte a votarli. Sono pronte da tempo le liste di proscrizione – fornite dai Servizi – con i nomi di coloro che hanno avuto la sfacciataggine DI NON AVER VOTATO BENE! La loro “RIEDUCAZIONE IN STRUTTURE DOCENTI AD HOC” sarà il primo compito del prossimo V, VI. VII. VIII prossimo premier tecnico ultraliberista, probabilmente sorridente dall’eloquio calmo e affabile che ora gira in molte trasmissioni delle catene televisive mondialiste buoniste neomaccartiste.

Altri Paesi che mostrano apertamente di non volere i migranti non ricevono eguale pressione riservata “affettuosamente” all’Italia ed esercitata dai partiti di opposizione e dal Vaticano che si permette di esercitare illegittime e continue ingerenze sulla vita politica e sociale del nostro Paese! Insomma, Olanda, Malta, Francia, Inghilterra possono avere comportamenti peggiori dell’Italia in tema di immigrazione ma non ricevere la stessa violenta campagna ostile e l’insistenza delle gerarchie vaticane molto critiche con l’Italia e molto silenziose con altre nazionalità protette o facenti parte dell’asse infernale anglofrancotedescoUSA: chi tocca i fili muore!

Peraltro, la peculiarità della pseudo opposizione italiana è rigorosamente guidata dal più brutale autorazzismo DEMOFOBICO.

Se potessero, ci ucciderebbero casa per casa mediante nuovi progrom 2.0:

gli italiani che hanno avuto la sfacciataggine di votare a destra sono marchiati dai pasdaran della morale a senso unico come ignoranti, imbecilli, quadrupedi, cercopitechi da inviare in campi di rieducazione, stile Cina maoista.

Se non si adattano, devono essere sostituiti etnicamente da 20.000.000 di africani neoschiavi a 3 euro al giorno …

 

Non credo che esista al mondo una classe politica che odia così mortalmente i propri cittadini fino ad augurarsi la loro eliminazione di massa perché NON HANNO VOTATO “BENE”.

Vediamo come gli attuali capi della maggioranza devono essere incendiati, uccisi, vilipesi, oltraggiati senza che un magistrato intervenga procedendo ad una azione giudiziaria per incitazione all’odio.

Ma qui interviene la tagliola del bispensiero gesuitico/orwelliano: qualcuno è legittimato ad odiare, mentre gli altri che lo fanno dal versante opposto sono fascisti, omofobi, merde e subumani da sostituire, ecc. ecc. con cavallette finali servite al piatto …

Lo scopo è quello di far saltare il governo attuale perché razzista, fascista, disumano, ecc. ecc. ecc.

LO STESSO SI POTREBBE DIRE DI TUTTI GLI STATI EUROPEI CHE SI COMPORTANO PEGGIO DI NOI IN TEMA DI ACCOGLIENZA, ma non vengono criticati.

Il magazzino di minacce, insulti e cavallette è riservato solo ed affettuosamente all’Italia.

Facciamoci una domanda e diamoci 97 risposte!!!

 

 

 

IN EVIDENZA

L’ultima macabra trovata degli immigrofili: finti manifesti funebri dei migranti

5 febbraio, 2019

 

Foto de IL GIORNALE DI BRESCIA

 

I cognomi sono quelli più diffusi della Bassa bresciana, le età sono diverse: 6, 10, 24 anni, fino ai 45 anni. L’obiettivo è quello di colpire, e di far riflettere su una domanda: “E se quei morti in mare fossimo noi?”.

A San Paolo, piccolo comune in provincia di Brescia, decine di manifesti funebri sono comparsi all’improvviso nella piazza centrale, davanti alla scuola, nelle vie più frequentate: tutti annunciavano la morte di bambini, ragazzi e uomini “morti annegati”, tutti con due frasi comuni, sulla falsariga degli annunci funebri: “Addolorati Nessuno ne danno il triste annuncio” e “I funerali si svolgeranno nel mar Mediterraneo”.

In fondo, un passo del Vangelo di Matteo, ribaltato: “Ero straniero e non mi

 

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ONG / TUTTI GLI SQUALI NEI MARI DELLA “SOLIDARIETA’” – DA GATES A SOROS

Maurizio Blondet  5 Febbraio 2019

Volete sapere tutto sul mondo delle ONG, ossia le Organizzazioni Non Governative? Volete leggere quello che gli altri non scrivono sugli affari, le cifre, i protagonisti, le connection di quell’universo in gran parte sconosciuto e che macina milioni di euro e di dollari sulla pelle dei cittadini, soprattutto dei migranti? Di coloro i quali issano bandiere di solidarietà, pietà umana e fratellanza, ed invece sguazzano nei più luridi traffici, tra scrosci d’appalusi di tutti coloro che “non sanno” o fanno finta di non sapere?

Ebbene alcuni mesi fa – giugno 2018 – è uscito un libro edito da Zambon, “ONG, il cavallo di Troia del capitalismo globale” che tutti dovrebbero leggere, per farsi un’idea di quel mondo spesso sommerso, popolato da montagne di soldi, incredibili interessi, ragnatele societarie, personaggi  spesso border line e tutto quello che fa ONG. Un libro ovviamente oscurato dai media, sempre genuflessi di fronte ai colossi, da Big Pharma (tra l’altro nel volume si parla non poco dei business con i vaccini) ai giganti bancari fino alle ONG, nei cui mari dorati nuotano a loro piacimento squali della specie più famelica, un nome su tutti George Soros a bordo della sua corazzata, la Open Society Foundation.Un vero pugno nello stomaco, un j’accuse in piena regola, zeppo di documenti che stanno a sostegno di tutta l’impalcatura giornalistica. A scriverlo è Sonia Savioli, milanese  di nascita e toscana di adozione, un tempo dimafonista dell’Unità e poi fotografa per la Cgil. Al suo attivo romanzi (Campovento, Il viaggio di Bucurie, Il possente coro, Marea nera); e saggi (Alla città nemica, Slow life, Scemi di guerra). Collabora con il giornale on line Il Cambiamento e con Il Centro di Iniziative per la Verità e la Giustizia (Civg).

Seguiamo il filo dell’inchiesta partendo da alcune cifre base.

“Circa 50.000 organizzazioni non governative svolgono attività a livello internazionale. L’ammontare del denaro che utilizzano si misura in migliaia di miliardi di dollari. Nel 2012 si calcolava che superasse i 1.100 miliardi. Nel 2014 erano 4.186 le ONG consulenti dell’Onu“.”Le ONG sono uno degli attori e dei mezzi per sostituire il pubblico con il privato, persino nei rapporti istituzionali. Le ONG ‘affiancano gli Stati’, le ONG svolgono ruoli politici a livello ‘sistemico’. Le ONG, associazioni private che nessuno ha mai eletto. Che non sono soggette ad alcun controllo popolare. Delle quali i popoli non conoscono i dirigenti, i programmi, le politiche e spesso nemmeno i bilanci, sono diventate gli interlocutori delle istituzioni internazionali e gli agenti di politiche decise a livello globale. Altro che embrioni di democrazia internazionale!”.Più chiari di così…

DA AMNESTY SAVE THE CHILDREN

Comincia la rassegna delle ‘stars’. Scrive Savioli: “Amnesty International è finanziata dalla Commissione Europea, dal governo britannico, dalla Open Society Georgia Foundation del famigerato benefattore internazionale George Soros, solo per citarne alcuni. Irene Kahn, direttrice di Amnesty, suscitò lo sdegno degli stessi attivisti andandosene con una liquidazione di 500 mila sterline nel 2009. Suzanne Nossel, altra direttrice di Amnesty nel 2012-2013, aveva prima lavorato per multinazionali Usa della comunicazione, per il Wall Steet Journal, per il Dipartimento di Stato Usa dove si era distinta per le sue posizioni filoisraeliane e a favore dell’intervento militare in Afghanistan. L’attuale direttore di AmnestySalil Shetty, prende uno stipendio annuale di 210 mila sterline”.Passiamo a Save the Children. “Cacciata da Pakistan e Siria con l’accusa di lavorare per la Cia, prende soldi da Chevron, Exxon, Mobil, Merck Foundation, Bank of America e molti altri potentati economici citati sul suo sito ufficiale come sponsor, oltre che dall’immancabile Soros e dai due benefattori mondiali Bill Melinda Gates, dall’Unione europea e dal governo britannico. Uno dei suoi passati direttori, Justin Forsyth, nel 2013 prendeva un salario di 185 mila sterline per salvare i bambini. Era stato prima direttore di Oxfam, poi consigliere di Tony Blair, quindi direttore delle ‘campagne strategiche di informazione’ di Gordon Brown; adesso è direttore Unicef”.Eccoci a Medici Senza Frontiere. “Nel 2010 aveva un bilancio da 1 miliardo e 100 milioni di dollari. Nel 2014 il direttore Usa (Doctors Without Borders) prendeva uno stipendio di 164 mila dollari l’anno, però per risparmiare viaggiava in aereo in ‘economic class’. E di questo si vantava. Tra i finanziatori di MSF ci sono Goldman Sachs, Citigroup, BloombergRichard Rockfeller, padrone e dirigente di svariate multinazionali, per 21 anni presidente della filiale Usa di questa organizzazione caritatevole, che si è trovata spesso in situazioni ambigue sui teatri di guerra, accusata di essere di parte e non necessariamente la parte giusta. Accusata di lanciare falsi allarmi per false epidemie, che però richiedevano vere campagne di vaccinazione. Naturalmente anche qui non mancano Soros e Bill Gates”.Primo commento: “Il lato ‘umoristico’ di tutta la faccenda, e rilevatore in modo inequivocabile e incontestabile, è che se i 1.100 miliardi annui delle ONG e quelli spesi ogni anno dalle ‘fondazioni benefiche’ fossero semplicemente redistribuiti ai poveri, la povertà sarebbe solo un ricordo. Rivela quindi che queste montagne di denaro sono in realtà investimenti per fare altro denaro”.Ancora. “Il capitalismo globale ha intrecciato una rete sinergica tra le proprie grandi industrie, le istituzioni sovranazionali, le grandi fondazioni che ne sono del resto un’emanazione diretta, i centri di studio e di ricerca, le ONG. Che in alcuni casi sono anch’esse un’emanazione diretta e una delle facce del grande capitale”.

A BORDO DELLA CORAZZATA GRIFFATA SOROS

Come nel caso, emblematico su tutti, della Open Society dello squalo di tutti i mari, Soros, il Mangia-Paesi, come cercò di fare addirittura con l’Inghiterra un quarto di secolo fa, provocando il crollo della sterlina, ma anche gravissimi contraccolpi alla nostra lira, quando il governo Amato varò una politica lacrime & sangue.

Una Open, ironizza l’autrice citando alcune parole autocebratative della Fondazione, che “lavora per costruire democrazie vivaci e tolleranti i cui governi siano responsabili e aperti alla partecipazione di tutto il popolo”. Incredibile ma vero.Vediamo i principali dirigenti a livello internazionale. Partendo dalla nostra Emma Bonino, che fa parte del suo international board: “questa signora che ben conosciamo tra il 1994 e il 1999 era commissaria europea per gli aiuti umanitari, la pesca, i consumi, la salute dei consumatori, la sicurezza del cibo. E’ dirigente del partito Radicale Transnazionale”.Passiamo a Maria Cattaui: “Segretaria generale della Camera di Commercio Internazionale dal 1996 al 2005. Dal 1977 al 1996 ha diretto il Forum Economico Mondiale (World Economic Forum) a Ginevra. Dirigente dell’Internationl Crisis Group (ICG), dell’East West Institute, dell’Istituto Internazionale per l’Educazione, tra gli altri. Tanto per avere un’idea, l’ICG è una ONG internazionale diretta da politici di professione e globalisti neoliberisti imperialisti per vocazione, che dice di voler prevenire le guerre e, a questo scopo, cerca di far pressione sui governi di tutto il mondo che l’Occidente giudica scomodi, affinchè si sottomettano o levino le tende. Tra questi pacifisti troviamo Javier Solana e il famoso pacifista Wesley Clark, ex comandante supremo della Nato“.

Eccoci quindi ad altri pezzi da novanta nella task force delle truppe targate Soros.

Anatole Kaletsky, dirigente di Gavekal Dragonomics (Hong Kong e Pechino), azienda di investimenti globali; dirigente di JP Morgan per il ramo mercati emergenti. Annette Laborey invece si vantava di sostenere gli intellettuali ‘indipendenti’ in Jugoslavia, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Germania Est e Repubbliche Baltiche, fino a che non sono crollati i regimi socialisti. Marck Mallock Brown è particolarmente interessante: ex numero due dell’Onu, membro del Foreign Office e della Camera dei Lord, dirigente della Society of Ginecologic Oncology, una società diventata nel 2012 ONG i cui partners sono le più grandi multinazionali farmaceutiche; dirigente di Investec, multinazionale della finanza, e di Seplat, compagnia petrolifera nigeriana; dirigente di Kerogen, multinazionale del petrolio e del gas. Quindi vicesegretario Onu sotto Kofi Annan, docente alla Oxford University e alla Yale University“. Ottimo e abbondante.Tra le sigle nell’arcipelago tanto umanitario partorito da Soros, da rammentare un’altra ONG baciata dalla fortuna, Refugee International, dedita all’aiuto quotidiano dei rifugiati di tutto il mondo. Che però, secondo non pochi addetti ai lavori, recita una grande “sceneggiata” solo per drenare soldi e raccogliere applausi, come è stato nel caso dei Rohingya del Myanmar (l’ex Birmania) nel 2017.Ma chi è il numero uno di Refugee? Si chiama Eric P. Schwartz. “Un pezzo da novanta – dettaglia l’autrice – ha ricoperto l’incarico di assistente Segretario di Stato Usa per il settore Popolazione, Rifugiati, Immigrati; consulente per gli Affari Internazionali e assistente speciale del presidente per gli Affari Multilaterali e Umanitari. Ha giocato un ruolo fondamentale,

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BELPAESE DA SALVARE

UNA MONTAGNA DI SOLDI IN LUSSEMBURGO E ISRAELE: ECCO IL “TESORO” DI MATTEO RENZI, REGALATO IN QUESTI ANNI DAI SUOI “PADRONI”

2 febbraio 2019

 

La partita delle nomine è fondamentale, per sbloccare la casella a cui tiene di più, quella dell’intelligence informatica, di Marco Carrai. Ma chi c’è dietro Carrai? Quali sono i suoi soci? E soprattutto: perché Renzi non può rinunciare alla sua nomina? La risposta è proprio nella rete di rapporti, soldi e uomini, legati a doppio filo con Carrai. Una rete che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare. Grandi imprenditori delle infrastrutture pubbliche, consiglieri di Finmeccanica, capi di importanti gruppi bancari, ex agenti dei servizi segreti israeliani, uomini legati ai colossi del tabacco. Oltre al solito fedelissimo renziano Davide Serra, finanziere trapiantato a Londra e creatore del fondo Algebris. Persino un commercialista accusato di riciclaggio.
Una rete che si snoda intorno a Carrai proprio dal 2012: negli stessi giorni in cui Renzi avvia la scalata al Pd e poi al governo. Una rete che arriva sino a oggi, alla Cys4, la società di Carrai per la cybersicurezza. La stessa società a cui il governo si è aggrappato per giustificare le competenze di “Marchino”, come lo chiamano gli amici, per guidare il comparto dell’intelligence. Persino il ministro Maria Elena Boschi ne ha dovuto rispondere in aula. Eppure, è proprio la presenza sul mercato della Cys4 a rendere Carrai un uomo in pieno conflitto di interessi.

Quell’estate calda in Lussemburgo. Torniamo quindi al giugno 2012. Renzi annuncia la sua candidatura alle primarie contro Pier Luigi Bersani. Due mesi dopo Carrai vola in Lussemburgo. È il primo agosto. Il Richelieu del premier crea una società, la Wadi Ventures management capital sarl, con poche migliaia di euro e un pugno di soci. C’è la Jonathan Pacifici & Partners Ltd, società israeliana del lobbista Jonathan Pacifici, magnate delle start up che dalla “silicon valley” di Tel Aviv stanno conquistando il mondo.
A Carrai e Pacifici si uniscono la società Sdb Srl di e i manager. I cinque della Wadi Sarl sono gli stessi che oggi controllano il 33 per cento della Cys4, la società di intelligence di Carrai. Un dato che in questa storia non bisogna mai dimenticare. Ma perché Carrai crea in Lussemburgo la Wadi sarl? La risposta arriva dalle visure camerali lussemburghesi. Fine principale: sottoscrivere e acquisire, anonima e sempre lussemburghese, che in quel momento ancora non esiste: . Nasce nel novembre 2012. Renzi è in piena campagna elettorale. Il 27 novembre l’amico Serra, già finanziatore della Fondazione Big Bang di Renzi, versa i primi 50 mila euro nella Wadi sarl. E nelle stesse settimane Carrai, in Italia, pone le basi della futura Cys4.

A Carrai e Pacifici si uniscono la società Sdb Srl di Vittorio Giaroli e i manager Renato Attanasio Sica e Gianpaolo Moscati. I cinque della Wadi Sarl sono gli stessi che oggi controllano il 33 per cento della Cys4, la società di intelligence di Carrai. Un dato che in questa storia non bisogna mai dimenticare. Ma perché Carrai crea in Lussemburgo la Wadi sarl? La risposta arriva dalle visure camerali lussemburghesi. Fine principale: sottoscrivere e acquisire le partecipazioni di un’altra società, omonima e sempre lussemburghese, che in quel momento ancora non esiste: Wadi Ventures Sca. Nasce nel novembre 2012. Renzi è in piena campagna elettorale. Il 27 novembre l’amico Serra, già finanziatore della Fondazione Big Bang di Renzi, versa i primi 50 mila euro nella Wadi Sca. E nelle stesse settimane Carrai, in Italia, pone le basi della futura Cys4.

Il 26 ottobre “Marchino” crea l’embrione della sua futura creatura, quella dedita alla cybersecurity, e che vede Renzi, proprio oggi, impegnato ad affidargli il settore informatico della nostra intelligence.

La ramificazione israeliana. L’embrione della Cys4 si chiama Cambridge management consulting labs. È una società di consulenza aziendale, iscritta alla Camera di commercio il 6 novembre, un mese prima delle primarie. I soci della Cambridge? Gli stessi della Wadi Sarl lussemburghese. Che così controllano anche la cassaforte Wadi Sca. Nella quale, dopo Serra, entra la Fb group Srl, di Marco Bernabé, già socio della Cambridge.

Stessi uomini, società diverse, che dal Lussemburgo portano anche in Israele. Bernabè è socio di un’altra Wadi Ventures, con sede a Tel Aviv, al 10 di Hanechoshet street. È la stessa sede israeliana dell’italianissima Cambridge. Il 2 dicembre Renzi perde le primarie. Le società lussemburghesi legate a Carrai conquistano invece nuovi soci. Non dimentichiamo la squadra: gli uomini della Cambridge, sono gli stessi della Wadi sarl, che controlla la Wadi Sca. E in pochi mesi arriva un altro milione. Con quali soci?

A marzo 2013, nel capitale sociale, entra la Equity Liner con 100 mila euro, creata nel 2006 da tre società (Global Trust, Finstar Holding srl, Regent Sourcing Ltd) rappresentate da Annalisa Ciampoli. La Finstar Holding, è del commercialista e faccendiere romano Bruno Capone. La signora Ciampoli, pur non essendo indagata, è definita, in alcuni atti d’indagine – quelli su un’associazione per delinquere dedita al riciclaggio transnazionale – la collaboratrice di Capone. Capone, invece, è indagato dalla Procura di Roma per riciclaggio in relazione a ingenti trasferimenti di denaro in Lussemburgo che non riguardano la Wadi.

Nel marzo 2012, dunque, il nuovo socio del gruppo di Carrai è un presunto riciclatore, tuttora indagato. Sei mesi dopo, la Equity Liner riconducibile a Capone, viene venduta a un’altra società, la Facility Partners Sa. E Renzi torna a candidarsi per le primarie.
Signori del tabacco e delle banche. In quei mesi, la lobby del tabacco è impegnata nella battaglia sulle accise. Il collegato alla Legge di stabilità prevede un aumento di 40 centesimi sui pacchetti più economici. L’operazione però salta. Renzi in quel momento non è ancora al governo. Ma è in corsa per le primarie, stavolta può vincere. Il presidente della Manifattura italiana tabacco, in quel momento, si chiama Francesco Valli. È lo stesso Valli che, fino al 2012, è stato a capo della British American Tobacco Italy. Non è di certo un uomo legato al Pd. Anzi. Presiede per tre anni, dal 2009 al 2012, la Fondazione Magna Charta creata dal senatore allora Pdl Gaetano Quagliarello. È lui il prossimo uomo ad aprire il portafogli. È il nuovo socio della Wadi Sca e del gruppo Carrai. Che la lobby della nicotina avesse finanziato Renzi, attraverso la fondazione Open, diventa noto nel luglio 2014, quando la British American Tobacco versa 100mila euro. Il Fatto può rivelare che l’interesse della lobby risale a un anno prima: tra aprile e settembre, Valli versa 150 mila euro alla Wadi Sca, diventando anch’egli socio di Carrai e Serra. Valli, contattato dal Fatto, ha preferito non commentare.

In pochi giorni si aggiunge anche Luigi Maranzana, che acquista azioni per 100 mila euro. È lo stesso Maranzana che oggi riveste la carica di presidente della Intesa San Paolo Vita, ramo assicurativo del gruppo bancario guidato da Giovanni Bazoli. Interpellato, non se n’è accorto: “Socio di Carrai e di Serra? Non ne so niente, Carrai non lo conosco, sono sempre stato lontano dalla politica

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https://www.tg24-ore.com/2019/02/02/una-montagna-di-soldi-in-lussemburgo-e-israele-ecco-il-tesoro-di-matteo-renzi-regalato-in-questi-anni-dai-suoi-padroni-2/amp/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

La Francia scatena i caccia. Bombardati i ribelli in Ciad

LORENZO VITA – 4 FEBBRAIO 2019

La Francia torna a colpire in Sahel. Come affermato dalle forze armate francesi, su richiesta del Ciad, i Mirage 2000 dell’aviazione di Parigi son intervenuti per bombardare una colonna di 40 pick-up giunti nella parte settentrionale del Paese dalla Libia.

 

Il raid in Ciad

Lo Stato Maggiore francese, in una nota, ha dichiarato: “Questo intervento, in risposta alla richiesta delle autorità del Ciad, ha contribuito a impedire questa avanzata ostile e a disperdere la colonna”. E ha precisato che i Mirage partiti dalla base di N’Djamena, avevano prima effettuato un volo a bassa quota come avvertimento nei confronti dei miliziani. Come riporta France 24, il portavoce delle forze armate Patrik Steiger ha detto all’Afp che “la colonna era stata avvistata almeno 48 ore prima”.

Nonostante lo spettacolare avvertimento dei caccia, la colonna di miliziani non si è fermata, continuando la sua avanzata nel nord del Ciad. E a quel punto, alle 18:00 ora di Parigi, gli aerei hanno deciso di intervenire bombardando le truppe ribelli.

Non è ancora chiaro il bilancio del raid. Secondo la Bbc, a essere stati colpiti sono stati i mezzi del gruppo armato ciadiano dell’Unione delle forze della resistenza (Ufr), che erano riusciti a entrare per circa 400 chilometri nel Paese. Questi gruppi armati ribelli hanno come obiettivo quello di rovesciare il presidente Idriss Deby.

La sfida mondiale in Ciad

L’attacco francese rientra in una partita estremamente complessa che si sta svolgendo nello Stato del Sahel. In questi ultimi tempi, N’Djamena è al centro di una complessa sfida politica che vede il tradizionale interesse francese, il dinamismo italiano, le mire di Israele e l’ascesa del terrorismo islamico.

La Francia è chiaramente la potenza di riferimento per il Ciad, visti gli storici legami coloniale che legano N’Djamena e Parigi. E da molti anni è presente militarmente nel Paese attraverso l’Operazione Barkhane, il cui quartier generale è proprio nella capitale ciadiana. Il viaggio di Emmanuel Macron a dicembre (fra l’altro nella bufera perché preceduto da Alexandre Benalla), ha manifestato ancora una volta i profondi rapporti economici, politici e strategici che intercorrono tra Ciad e Francia. E l’impegno di Parigi nel G-5 Sahel è un esempio cristallino di questo desiderio francese di rimanere come potenza leader nell’area e nel Paese

Ma per il Ciad non c’è solo la Francia. O almeno questo è quello che sta cercando di fare Deby, che da tempo inizia a guardarsi intorno. Fondamentale, a questo proposito, il viaggio di Giuseppe Conte proprio nel Paese del Sahel. Una visita di fondamentale importanza che dimostra in maniera estremamente chiara non solo la strategia del governo italiano, ma anche l’apertura di N’Djamena anche nei confronti di competitor di Parigi.

E oltre all’Italia, c’è un altro Stato che negli ultimi tempi ha mostrato una forte

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CULTURA

Il paradosso della tolleranza di Karl Popper

28 LUGLIO 2018  – GIAN LUIGI CORINTO

Sir Karl Raimund Popper, nato in Austria nel 1902 e morto a Londra nel 1994, ha un cognome che in inglese significa attrezzo che fa un rumore come “pop”, proprio come un tappo che salta, ma è famoso come filosofo della scienza, per le sue idee liberali e alcuni paradossi; uno di questi ci riguarda da vicino ed è attualissimo: il paradosso della tolleranza. Ci arrivo con ordine e prudenza, perché la questione è spinosa.

Ci sono comportamenti umani che appaiono eterni, razzismo, sessismo, xenofobia, problemi che tormentano l’umanità da tempo immemorabile senza che se ne veda la fine. Eppure, la maggior parte delle persone sembra desiderare di vivere in una società tollerante, che accetta e perfino promuove punti di vista diversi e libertà di parola. Avere accanto persone che hanno pensieri diversi sembra stimolante. Qui inizia il paradosso.

La libertà può essere sempre illimitata? e non c’è un tremendo pericolo nel superare certe soglie di libertà? Il filosofo Popper definì il paradosso della tolleranza nel 1945, nel suo libro La Società Aperta e i suoi Nemici, edito a Londra da Routledge. Il pensiero è chiaro nelle sue parole: «La tolleranza illimitata porta inevitabilmente alla scomparsa della tolleranza. Se noi rivolgiamo tolleranza illimitata anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo pronti a difendere la società dalle offese devastanti dell’intollerante, il tollerante sarà distrutto, e con lui la tolleranza. Non intendo dire con questo che noi dovremmo sempre reprimere le opinioni dei filosofi intolleranti; fino a che siamo in grado di controbattere con argomenti razionali e

mantenerli sotto il controllo della pubblica opinione, impedire loro di parlare non sarebbe saggio. Ma dobbiamo pretendere il diritto di farlo, anche con l’uso della forza, quando sia necessario; potrebbe infatti succedere che loro, i filosofi intolleranti, non siano in grado di confrontarsi con noi con argomenti razionali, iniziando a deprecare qualsiasi argomento gli si proponga; potrebbero, anzi, vietare ai loro seguaci di ascoltare ragionamenti razionali, per loro fuorvianti, e insegnare che è meglio rispondere con i pugni e le pistole. In tal caso, dobbiamo rivendicare il diritto, nel nome della tolleranza, di non tollerare gli intolleranti». L’idea popperiana che ci sia pericolo a tollerare l’intolleranza ha origine lontane. Una traccia bella si trova nel detto latino est modus in rebus, tratto dalle Satire di Orazio, a cui seguono le parole sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum. Ossia: c’è una misura nelle cose; ci sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto. La moderazione del saggio è quindi l’intolleranza verso gli intolleranti: ci sono limiti che non si possono superare impunemente. E occorre sanzionare.

In effetti, Popper non dice che le idee intolleranti debbano essere silenziate, il suo paradosso non impone di limitare la libertà di parola. Sono le azioni intolleranti che debbono essere vietate e perseguite da una società liberale; la violenza o l’oppressione devono essere sradicate da una società aperta, anche mediante l’uso della forza. E la forza è quella della legge, che in una società aperta e

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Contro i “tolleranti”

Come inizia il nuovo libro di Claudio Cerasa: spiegando cos’hanno in comune una partita a bocce, una chat su WhatsApp e Karl Popper

29 APRILE 2018

 

Il 30 aprile uscirà per Rizzoli il nuovo libro del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, che si intitola Abbasso i tollerantiÈ una raccolta di saggi su temi attuali come il populismo, la corruzione, il giornalismo, ma anche su cose un po’ più concrete, come le chat dei genitori su WhatsApp o la “moviola in campo”. Il tratto che tiene insieme tutte queste cose, e che dà il titolo al libro, si ispira a un saggio molto citato del filosofo Karl Popper, secondo cui una società troppo tollerante finisce paradossalmente per darla vinta alle sue componenti più intolleranti: come quelle che danno più ascolto ai genitori su WhatsApp che agli insegnanti, secondo Cerasa. Di seguito trovate la premessa che introduce il resto dei saggi del libro.

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Che cosa tiene insieme una partita a bocce, una chat su WhatsApp, una paura percepita, una corruzione fasulla, un telefono sul comodino, un robot in mano a un figlio, un presepe che una scuola non vuol fare a Natale, un palleggio di Messi, una canzone su Spotify, una notizia su Facebook, una bufala a proposito di un braccialetto, una buona notizia che non diventa mai notizia, una cattiva che diventa sempre notizia, una moneta che diventa algoritmo, un taxi che diventa ostacolo, un moralismo spacciato per efficienza, un bambino che nasce per caso, una splendida bugia di un figlio, una caccia alle streghe, un corteggiamento scambiato per molestia, una squadra di calcio che ce la fa perché fallisce e un totalitarismo spacciato per democrazia? Cosa tiene insieme tutto questo?

Semplice: l’orrore della tolleranza per i tolleranti. L’orrore della tolleranza per gli sfascisti.

 

«La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi».

 

A metà del Novecento, nei passaggi che hanno condotto l’Europa verso la fine della Seconda guerra mondiale, il formidabile filosofo austriaco Karl Popper – autore delle parole appena citate – scelse di pubblicare un saggio destinato ad avere un’enorme influenza, La società aperta e i suoi nemici.

Il senso del saggio venne sintetizzato in un’espressione a cui si richiama il titolo di questo libro – smettiamola con la tolleranza – e il paradosso messo a fuoco da Popper ebbe il merito di descrivere un meccanismo cruciale, senza il quale ancora oggi non è possibile capire nulla del mondo in cui ci troviamo. Il paradosso di Popper è facile e immediato da spiegare e stabilisce che una collettività caratterizzata da una tolleranza indiscriminata è inevitabilmente destinata a essere stravolta, a essere dilaniata e a essere dominata dalle frange più intolleranti, e sfasciste, presenti al suo interno.

Per questo, di fronte a una società in cui gli invasati trionfano, gli estremisti spopolano, gli integralisti dilagano, i fanatici crescono, smetterla di essere tolleranti con gli intolleranti è una condizione necessaria per provare a portare avanti l’unica battaglia culturale oggi degna di questo nome: difendere con i denti la natura tollerante di una società aperta. Questo libro nasce dunque da questa idea. Ma non nasce per parlare di politica, di filosofia, di economia, di costume, di società, di cultura, di giustizia. Non solo, quantomeno. Nasce partendo dall’idea ambiziosa di spiegare perché, oggi, la vera lotta da portare avanti contro gli intolleranti non può essere combattuta fino in fondo se non si è in grado prima di riconoscere le nuove grandi divisioni del mondo in mezzo alle quali si nascondono i molti ingredienti della società dello sfascio.

Questo libro, dunque, non nasce per parlarvi di politica, di economia, di capitalismo, di Europa, di globalizzazione. Nasce per spiegare perché i segni dell’intolleranza oggi non si possono cogliere senza comprendere quello che in troppi continuano a ignorare. Senza capire cioè che la sfida della società libera oggi passa da una serie di nuove dicotomie. L’ottimismo contro il pessimismo. L’apertura contro la chiusura. Il reale contro il virale. La gerarchia contro l’anarchia. Le garanzie contro il sospetto. La competenza contro l’incompetenza. La leadership contro la followship. La mediazione contro la disintermediazione. La democrazia contro l’algoritmo. L’essere dirigente, inteso

 

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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Milano, choc in strada: nordafricano accoltellato in mezzo ai passanti terrorizzati

L’aggressione all’angolo tra viale Farini e viale Stelvio, in mezzo ai passanti terrorizzati. Indagini in corso della polizia

Franco Grilli – Lun, 04/02/2019 – 10:05

Un nordafricano è stato accoltellato davanti ai passati, all’angolo tra viale Farini e viale Stelvio, a Milano, attorno alle 18 di domenica 3 febbraio.

Non si conoscono (ancora) le generalità del ferito, che dopo l’aggressione subita è riuscito a raggiungere a piedi l’ospedale Niguarda dove è attualmente ricoverato in gravi condizioni, anche se non sarebbe in pericolo di vita, nonostante i numerosi tagli e le profonde ferite su tutto il corpo, volto compreso.

L’intera scena è stata ripresa da alcuni passanti e il video choc è stato condiviso sui social. Nel filmato si vede un uomo con una giacca marrone stendere a terra un’altra persona e affondare una lama verso di questa numerose volte.

Il tutto è avvenuto pochissimi metri dalla fermata dell’autobus e in mezzo ai passanti, che – impauriti – non intervengono per sedare la rissa, intimoriti anche dalla presenza di quella lama, oltre che dalla furia cieca dell’aggressore.

La polizia sta analizzando ora i filmati per cercare di identificare gli aggressori e ricostruire il movente dell’aggressore: da quanto emerso finora dalle indagini, pare che tutti i partecipanti siano nordafricani.

La condanna della Sardone

“Nella tanto decantata Milano capitale dell’accoglienza, gli immigrati non hanno nemmeno più bisogno di nascondersi per commettere reati, ma lo fanno alla luce del sole e in mezzo alla strada. Ha voglia il sindaco Sala a fare lo show man a Striscia se poi la realtà della città è questa: è scandaloso che Milano si ritrovi in questa situazione a causa di politiche lassiste sia sul tema dell’immigrazione che su quello della sicurezza”. Così Silvia Sardone, consigliere regionale e comunale del Gruppo Misto, commenta l’accaduto.

 

http://www.ilgiornale.it/news/milano/milano-choc-strada-nordafricano-accoltellato-mezzo-ai-1639030.html

 

 

 

ECONOMIA

Aiuti di stato alle imprese. Ohibò, in Germania si può!

Maurizio Blondet  5 Febbraio 2019

Lo  ha annunciato il ministro tedesco dell’economia, Peter Altmaier:  ha pronta una nuova strategia federale “ per proteggere e promuovere le imprese tedesche in un’economia globale sempre più competitiva “, scrive letteralmente Deutsche Welle. Usando le parole proibite, protezionismo e  promozione pubblica dell’innovazione.

La  classe dirigente  tedesca s’è accorta che  il sistema industriale patrio è invecchiato e dedito a settori troppo maturi. Quindi, ecco elaborata la  “Strategia industriale 2030” :  “necessaria perché le imprese tedesche sono sotto crescente pressione da parte di imprese innovative”, le quali  ricevono sostegno  pubblico negli Stati Uniti e in Cina”.

Altmaier ha risposto alle (immancabili) accuse:  ma questo è protezionismo! E’ massiccio intervento dello stato nell’economia,  dicendo: lo stato darà solo un impulso, una spinta – gli investimenti devono venire  dall’economia privata”:

Si tratta (udite udite) di “creare  “campioni nazionali” della Germania.  In  nove settori industriali-chiave, identificati dal  documento   in  chimica, ingegneria,  dispositivi medici, aerospaziale ai primi posti; idee  per dotare la Germania di una energia più economica; viene riconosciuta  la necessità di restare alla pari coi progressi tecnologici nella Intelligenza Artificiale e stampa  3D.    L’intervento pubblico riguarderà ovviamente anche le “infrastrutture immateriali”: a cominciare da una riforma delle leggi che vietano in monopoli –    un sacro idolo del liberismo, che però impedisce alle imprese tedesche di fondersi e diventare “campioni nazionali”, e un sistema fiscale competitivo.  Già attuata una restrizione degli investimenti esteri in Germania, altro idolo liberista: ci si è accorti che gli investitori esteri depauperamo il paese delle competenze. tecnnologie e brevetti accumulati nell’impresa venduta. Inaudito.

A novembre scorso, Altmaier ha   tenuto un vertice dell’economia a Berlino, dove durante tre giorni si  è  riconosciuto che all’Europa manca la “platform economy”  –  che ha reso miniere di diamant Apple, Amazon, Google, Microsoft, Facebook, Tencent o Alibaba .     Ossia di un mondo “ focalizzato a facilitare le interazioni e le transazioni tra più produttori e consumatori su una piattaforma tecnica condivisa”, un  motore estremamente potente di scambia commerciali e di innovazione nell’era digitale.    “Mentre stiamo parlando, fuori sta succedendo una rivoluzione!” ha dichiarato il ministro Peter Altmaier : ed è lodevole il senso di urgenza, qualcosa che manca del tutto al dibattito pubblico sull’economia italiana.

 

Come prevedibile, i media hanno dato voce  agli economisti liberisti  che hanno sparato a  zero sul progetto. Lars Feld, consigliere del governo come membro del Consiglio tedesco degli esperti economici, ha dichiarato a Die Welt che la concentrazione della strategia su “sovvenzioni e regolamentazione” non è   coerente con l’economia di mercato. Il governo

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L’Europa difende lo Stato di diritto per affossare il welfare

Alessandro Somma

29 Gennaio 2019 | Sezione: Europaprimo piano

Infrazione delle norme sullo Stato di diritto: la proposta della Commissione, emendata, invoca una gestione tecnocratica delle procedure destinate a individuare le violazioni dello Stato di diritto senza tutelare lo Stato sociale dalle ingerenze del mercato.

Alcuni mesi or sono la Commissione europea ha formulato una proposta di regolamento rivolto ai Paesi membri nei quali si adottano politiche che determinano una “carenza generalizzata riguardante lo Stato di diritto” [1]. Nel testo, appena approvato con emendamenti dal Parlamento europeo[2], si prevede che queste politiche siano sanzionate con la riduzione o la sospensione dei finanziamenti relativi a impegni esistenti, e con il divieto di assumere nuovi impegni.

La proposta definisce in apertura il concetto di Stato di diritto, che comprende in particolare il principio di legalità, il principio della certezza del diritto e il principio della separazione dei poteri, ovvero il divieto di arbitri del potere esecutivo ai danni dell’indipendenza delle corti e dell’uguaglianza davanti alla legge. Questo modo di intendere lo Stato di diritto compare in altri documenti della Commissione, dove si sottolinea il nesso con la promozione dei diritti fondamentali: “non può esistere rispetto dei diritti fondamentali senza rispetto dello Stato di diritto, e viceversa”[3].

È un’affermazione importate, da cui la Commissione non trae però tutte le conseguenze del caso, oltretutto con il sostanziale avallo del Parlamento: vediamo perché.

Il nesso tra Stato di diritto e garanzia dei diritti fondamentali è l’essenza del passaggio dallo Stato di diritto allo Stato costituzionale: il primo concepito per sostituire il governo degli uomini con il governo delle leggi, e il secondo pensato per tutelare i cittadini dalla potenziale arbitrarietà di queste ultime. Di qui l’enfasi sui diritti e a monte sull’uguaglianza, da non intendere tuttavia in senso meramente formale, come uguaglianza davanti alla legge, nel solco di quanto si ricava invece dai documenti della Commissione: nello Stato costituzionale l’uguaglianza è sostanziale, implica l’impegno dei pubblici poteri a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale alla sua realizzazione.

Insomma, lo Stato di diritto cui si è soliti fare riferimento è in verità lo Stato costituzionale in combinazione con lo Stato sociale, che promuove la solidarietà insieme alla libertà. Questo non si ritrova però nella proposta della Commissione, che anche per questo è stata emendata dal Parlamento europeo attraverso il richiamo, in sede di esemplificazioni di cosa si intende per Stato di diritto, ai “diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. È però una soluzione incapace di modificare le cose: la Carta non parla di Stato sociale, né tanto meno contiene riferimenti ai diritti sociali. Si limita del resto, come la proposta originaria della Commissione europea, ad affermare che “tutte le persone sono uguali davanti alla legge”, ovvero a richiamare la sola uguaglianza in senso formale.

Altro limite della proposta della Commissione: non sanziona qualsiasi minaccia allo Stato di diritto, bensì solo quelle che offendono l’ortodossia neoliberale, ovvero che ostacolano l’obiettivo di una “gestione finanziaria sana” e l’azione di contrasto delle “politiche economiche e fiscali instabili”. Più precisamente si considerano “carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto” quelle che intralciano il lavoro delle autorità nazionali incaricate di “eseguire il bilancio dell’Unione”, o della “repressione delle frodi, della corruzione o di altre violazioni del diritto dell’Unione che riguardano l’esecuzione del bilancio”.

Qui però il Parlamento europeo non tenta alcuna correzione di rotta. Anzi,

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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Ora le banche rischiano un’altra grana da 800 milioni

 I sindacati vogliono togliere lo «sconto» da 200 milioni l’anno sul calcolo del Tfr. Vertice in Abi il 13 febbraio

Massimo Restelli – Mar, 05/02/2019

I sindacati chiedono all’Abi di Antonio Patuelli di prorogare di altri 3 mesi, fino al 31 maggio, il contratto che regola stipendi e compiti dei 290mila bancari italiani che ancora danno un volto e una voce a filiali e servizi di back office malgrado l’avanzata del fintech.

Ma in vista del tavolo negoziale in calendario il 13 febbraio a Palazzo Altieri, la Fabi e le confederali First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca-Uil con Unisin alzano un muro sul ricalcolo del Tfr della categoria. Richiesta che per le banche significherebbe un accantonamento supplementare stimabile in 200 milioni circa all’anno. A conti fatti, la metà dell’esborso necessario per coprire l’aumento di capitale di Carige o di quanto già tirato fuori dal sistema, tramite lo Schema volontario del Fondo interbancario di tutela dei depositi, per coprire il bond del gruppo ligure.

Dall’altra parte del tavolo ci sarà il «Casl», il comitato del lavoro dell’Abi, guidato da Salvatore Poloni. «Si è condiviso con i sindacati un percorso per individuare le principali tematiche, definendo una serie di incontri», il primo dei quali appunto mercoledì 13. «In quella sede valuteremo nel loro insieme i temi del contratto», ha abbozzato il banchiere che è condirettore generale di

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GIUSTIZIA E NORME

La figlia di Borsellino: “Perché avete archiviato mafia-appalti?”

La denuncia della figlia del magistrato ucciso a via d’Amelio svela in tv il più grande depistaggio della giustizia italiana

Damiano Aliprandi – 5 Feb 2019

«Un tema che stava molto a cuore a mio padre era il rapporto tra la mafia e gli appalti. Infatti, mi chiedo come mai il suo dossier fu archiviato il giorno dopo l’uccisione». Le parole, durissime, sono di Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino ucciso dalla mafia a via D’Amelio nel 1992, che domenica sera è stata ospite di Fabio Fazio a Che Tempo che Fa. Una lunga intervista, quella di Fazio, preceduta dalle terribili immagini di quel tragico 19 luglio 1992. «Come mai – le ha chiesto il conduttore – ha deciso di parlare proprio ora?». Fiammetta ha risposto partendo da quanto avvenuto un paio di anni fa, ovvero la fine di un processo che non era riuscito ancora a fare piena luce su quanto avvenuto. «Nell’aprile del 2017 – ha raccontato Fiammetta Borsellino – il bilancio è stato amarissimo. C’è stata una sentenza che svelava il grande inganno di Via D’Amelio, in quello che poi verrà definito il depistaggio più grave della storia di questo Paese». Fiammetta ha poi spiegato che le indagini e i processi sono stati una storia di bugie. Borsellino non si è risparmiata e ha fatto nomi e cognomi delle persone coinvolte nel grande depistaggio. «La Procura di Caltanissetta – ha detto – non ha mai ascoltato un testimone fondamentale dopo la morte di mio padre: il procuratore Giammanco. Colui il quale conservava nel cassetto le informative dei Ros che annunciavano l’arrivo del tritolo. Fino a quando Giammanco, poco tempo fa, è morto».

Fiammetta Borsellino si riferisce a Pietro Giammanco – morto lo scorso dicembre -, ex Capo della Procura di Palermo dal 1990 al 1992, poi dimessosi e trasferitosi in Corte di Cassazione qualche mese dopo l’uccisione di Paolo Borsellino, quando otto Sostituti Procuratori avevano lanciato un appello minacciando le dimissioni dalla Procura se lui non se ne fosse andato, oltre a chiedere misure di sicurezza eccezionali per prevenire nuove stragi. Al suo posto – il 15 gennaio del 1993 – arrivò Giancarlo Caselli, che si insediò proprio nel giorno in cui venne catturato Riina grazie ai Ros capitanati dal generale Mario Mori.

Il biennio di Giammanco – ricordiamo – fu un periodo caldissimo. Stragi, inchieste delicate, gravi accuse nei suoi confronti poi definitivamente archiviate. L’unica certezza è che gli attriti all’interno della Procura non mancavano. A partire dal disagio di Giovanni Falcone, cristallizzato negli stralci del suo diario pubblicati dalSole24ore dopo l’attentato di Capaci. Tanti sono i passaggi che evocavano il suo malessere per spiegare la sua decisione di lasciare la Sicilia per il ministero: «Che ci rimanevo a fare laggiù? Per fare polemiche? Per subire umiliazioni? O soltanto per fornire un alibi?».

Gli stralci dei diari furono confermati da Paolo Borsellino durante la sua ultima uscita pubblica a Casa Professa. Ma anche quest’ultimo era sofferente. Una sofferenza che ritroviamo narrata in un articolo di Luca Rossi pubblicato sul Corriere della Sera il 21 luglio, due giorni dopo la strage di Via D’Amelio (l’intervista era del 2 luglio precedente – come confermò nella testimonianza a Palermo del 6.7.2012). Vale la pena riportarla, soprattutto quando l’eroico magistrato gli ammise testualmente: «Devo reggere il mio entusiasmo con le stampelle». Borsellino gli disse che stava seguendo delle indagini sull’omicidio di Falcone e che aveva un’ipotesi. Quale? «Pensava che potesse esistere una connessione tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Falcone, e che il trait d’union fosse una questione di appalti, in cui Lima era stato in qualche modo coinvolto e che Falcone stava studiando». Il riferimento era all’inchiesta sul dossier mafia- appalti. Ma ritorniamo all’intervista della figlia più piccola di Paolo Borsellino e della sua decisione di rompere il silenzio in occasione del 25esimo anniversario delle stragi del ’ 92, fino a quel momento «dettato da una rispettosa attesa». In quell’occasione ci fu una diretta Rai condotta proprio da Fazio. «Quella sera sono rimasta fino alla rimozione dell’ultima transenna – racconta Fiammetta Borsellino -. Provai un grande senso di vuoto. Non fui avvicinata da nessuno, se non da alcuni ragazzi che erano venuti apposta dalla Campania

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LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

In Europa 32 milioni di persone lavorano ma non arrivano a fine mese

31, gennaio, 2019

di Euronews – Sono 113 milioni le persone a rischio povertà ed esclusione sociale in Europa. Tra questi c’è Jose e Eeva-Marie che sono a Bruxelles per testimoniare la loro condizione davanti al Parlamento europeo.

 

“Vivevo in Costa Rica e sono dovuto tornare in Spagna urgentemente perché mio fratello era malato ed è morto quando sono arrivato- racconta José-. Ho dovuto aspettare un anno di permanenza in Spagna per poter iniziare a chiedere aiuti sociale. Ora ci sono più lavoratori poveri, ossia persone che lavorano e hanno uno stipendio ma non arrivano a fine mese”.

 

I lavoratori rappresentano già il 9,6% delle persone a rischio di povertà, circa 32 milioni di persone nell’UE.

 

Per Eeva-Marie, ricercatrice universitaria con un lavoro part-time, il problema è la

 

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PANORAMA INTERNAZIONALE

Quella trappola degli Emirati nella visita di papa Francesco

4 febbraio 2019 – MATTEO CARNIELETTO

Ieri sera papa Francesco è arrivato negli Emirati Arabi Uniti. Una visita senza dubbio storica in quanto è il primo Pontefice a calcare la terra emiratina e a portare un messaggio di speranza per il Medio Oriente. I momenti principali della visita saranno l’incontro interreligioso di questo pomeriggio e poi, domani, la Messa pubblica allo Zayed Sports City.

Ieri, poco prima di partire (e non casualmente) Francesco ha lanciato un appello per lo Yemen: “La popolazione è stremata dal lungo conflitto e moltissimi bambini soffrono la fame, ma non si riesce ad accedere ai depositi di alimenti. Il grido di questi bambini e dei loro genitori sale al cospetto di Dio. Faccio appello alle parti interessate e alla Comunità internazionale per favorire con urgenza l’osservanza degli accordi raggiunti, assicurare la distribuzione del cibo e lavorare per il bene della popolazione. Invito tutti a pregare per i fratelli dello Yemen“. Il riferimento è alla grave carestia che, dopo l’inizio del conflitto, ha colpito il Paese arabo e che, quotidianamente, miete vittime.

Dicevamo della non casualità del messaggio del Santo Padre. Con queste parole, Francesco in un certo senso ammoniva i suoi futuri ospiti. Già perché i rischi che questa visita del Pontefice venga sfruttata dagli Emirati per ripulirsi la faccia sono tanti. Soprattutto per quanto riguarda la guerra in Yemen.

La scorsa estate, Amnesty International pubblicava un report proprio sulle atrocità commesse dagli Emirati Arabi in Yemen. In esso si parlava di forze speciali create con lo scopo di torturare e far sparire i combattenti Houthi: “Le famiglie dei detenuti vivono un incubo senza fine. Alle loro richieste di sapere dove i loro parenti siano detenuti o se siano ancora vivi, la risposta è il silenzio o l’intimidazione”.

Le pratiche dei soldati emiratini sono terribili: “Detenuti ed ex detenuti hanno

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Iran, Nato, Deutsche Bank: la Germania sta scherzando col fuoco

L’Europa sembra muoversi in ordine sparso e la Germania sta prendendo decisioni che appaiono come provocazioni verso gli Stati Uniti

05.02.2019 – Mauro Bottarelli

Cosa sta succedendo in Europa? La scorsa settimana è passata completamente sotto silenzio una notizia decisamente importante. Nello stesso giorno in cui l’Europarlamento riconosceva, di fatto, Juan Guaidó Presidente del Venezuela e solo il “no” dell’Italia evitava l’ufficializzazione di questo scempio del principio democratico (se invece vi piace che a decidere chi guida un Paese sia d’imperio il Dipartimento di Stato Usa, accodatevi pure al bizzarro concetto di rappresentanza che alberga a Bruxelles e nei suoi principali Stati membri, come dimostrato dagli sviluppi di ieri), l’Ue faceva dell’altro. Annunciava la nascita di un sistema alternativo a quello di pagamento globale Swift, finalizzato alla prosecuzione da parte delle aziende europee del commercio con l’Iran, in barba alle sanzioni Usa.

Una rivoluzione? A metà. Rischiosa. E con imbarazzanti profili di pantomima. Il nuovo sistema tale non è, di fatto. Si chiama Instex (Instrument in Support of Trade Exchanges) ed è stato descritto come mezzo di facilitazione delle transazioni, ma unicamente rispetto a beni con finalità umanitarie, cibo, equipaggiamento medico e medicinali in testa. Di fatto, nulla che serva all’Iran oggi in maniera stringente. Ma non basta, perché a tenere a battesimo il nuovo veicolo finanziario sono i governi di Francia, Germania e Regno Unito. Di fatto, lo stesso Regno Unito che fra meno di due mesi dovrebbe dire addio all’Unione europea. Ma non basta, perché se Instex avrà sede a Parigi e sarà gestito da un esperto bancario tedesco (Per Fischer, ex alto dirigente di Commerzbank), il board di supervisione sarà presieduto proprio dalla Gran Bretagna. La quale, dopo il Brexit, quali ragioni avrebbe di utilizzare un mezzo “europeo” per commerciare con l’Iran, essendo libera di operare in via bilaterale ed eventualmente vedersela con Washington? Mistero.

Ovviamente, in Iran la notizia è stata accolta con entusiasmo: «Questo è un primo passo da parte europea… Ora speriamo che serva a coprire ogni tipologia di beni e merci», ha dichiarato il vice-ministro degli Esteri, Abbas Araqchi. E fonti europee, in effetti, hanno già definito il veicolo di pagamento come “espandibile”. Mossa azzardata, non c’è che dire. Non solo perché Washington aveva fatto capire chiaramente la sua contrarietà attraverso un’operazione di lobbying verso il sistema Swift, al quale si chiedeva di tagliare tutti gli accessi alle banche iraniane, ma perché appare una scelta politica strutturale verso una nuova autonomia europea da Washington, il tutto in un periodo di potenziale riarmo atomico di Usa e Russia.

Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles ha infatti parlato di «interessi strategici e di sicurezza a livello europeo da preservare… non vogliamo che l’Iran esca dal programma atomico e torni ad arricchire uranio». E a Washington, dopo aver nemmeno troppo segretamente inviato chiari messaggi minatori verso giganti europei come Siemens, Maersk, Total, Daimler, Peugeot, Renault e altri, diffidandoli dal mantenere rapporti commerciali con Teheran, sono passati alle minacce palesi, ancorché con garbo diplomatico. Il senatore repubblicano dell’Arkansas, Tom Cotton, ha così chiarito il suo pensiero al riguardo: «La scelta è tra fare business con gli Stati Uniti o con l’Iran. Spero che i nostri alleati europei scelgano saggiamente». E l’analista geopolitico Luc Rivet pare non avere dubbi: «Non riesco a immaginare quali aziende utilizzeranno quel meccanismo di pagamento per vendere merci all’Iran. Al di là della scelta europea, i singoli Paesi ritengono troppo pericoloso il rischio di essere scoperti a fare commerci con Teheran dagli Usa». E facendo riferimento all’attuale limitazione dell’uso di Instex per equipaggiamento medico e farmaceutico, prosegue: «Chi produce quegli equipaggiamenti? Pensate che la Siemens li venderà all’Iran? Mai, perché hanno gli Usa come cliente privilegiato per molte merci e prodotti. E Siemens ha paura di perdere il mercato americano. Se anche alcune ditte correranno il rischio, un enorme numero non lo farà. Più facile che lo facciano aziende russe e cinesi ma gli europei sono troppo spaventati da un’eventuale reazione statunitense. Non conosco alcun marchio che oserà utilizzare il sistema Instex».

Perché allora dar vita a quella mossa ufficiale, se si sa che è totalmente inutile e non perseguibile a livello pratico, ma, facilmente, potrebbe irritare senza una ragione reale Washington? Forse perché l’Europa, alla vigilia delle elezioni di fine maggio, è totalmente fuori controllo e si muove come una mosca impazzita e intrappolata sotto un bicchiere? Probabile. E una prima, indiretta conferma di questo, è giunta proprio domenica. In attesa di assistere al Super Bowl come qualche decina di milioni di americani, il presidente Donald Trump ha concesso un’intervista a tutto campo al programma Face the nation sulla Cbs. Incalzato sul tema siriano dalla giornalista Margaret Brennan, il titolare della Casa Bianca ha sganciato una mezza bomba, di fatto annunciando l’ennesimo voltafaccia: «Siamo lì e resteremo lì, dobbiamo proteggere Israele. Voglio tenere d’occhio l’Iran, il quale rappresenta un problema reale». Un messaggio fin troppo chiaro. Verso Mosca. ma anche verso l’Europa, non fosse altro per il timing del cambio di strategia siriana.

Perché, dunque, quel gioco di politica estera di Bruxelles, decisamente rischioso? Soprattutto dopo che giovedì scorso la Germania ha ufficialmente comunicato il suo addio al programma di acquisto di F35 dalla Lockheed-Martin per rimpiazzare i Tornado ormai obsoleti, virando la propria scelta verso uno fra Eurofighter Typhoon della Airbus e F-18 Super-Hornet della Boeing. Un contratto da miliardi di dollari stracciato con l’animo leggero di chi disdice l’abbonamento alla pay-tv. C’è un problema, però, il quale si lega in maniera chiara e allarmante alla decisione di Stati Uniti prima e Russia poi di ritirarsi dal trattato Inf che vieta i missili a medio raggio. E che, di fatto, potrebbe tramutare nuovamente l’Europa in una sorta di avamposto proxy della nuova Guerra Fredda, con un aumento esponenziale di testate Usa sotto egida Nato sul suo territorio.

E se Paesi come la Polonia addirittura paiono pronti ad aprire all’ipotesi di basi statunitensi in patria in chiave anti-Mosca e i Balcani – eccezion fatta per la Serbia – sono ormai un protettorato statunitense, grazie anche al tour dello scorso anno del vice-presidente Mike Pence, c’è un dato che carica di significati ulteriori e strutturali il comunicato del ministero della Difesa tedesco. Solo gli F35, di fatto, sono in grado di trasportare compatibilmente l’armamento deterrente tattico statunitense, un qualcosa che di fatto fa parte degli obblighi di Berlino verso la Nato. Inoltre, Washington deve certificare che quei velivoli possano trasportare le armi nucleari in dotazione. I Typhoon della Airbus, ad esempio, non hanno mai ricevuto tale certificazione statunitense: se Berlino li scegliesse per rimpiazzare i vecchi Tornado, nonostante la loro inadeguatezza e arretratezza tecnologica, significherebbe implicitamente che la Germania si chiamerebbe fuori dallo scudo atlantico?

Trattandosi del Paese che per quaranta anni ha ospitato il muro simbolo della Guerra Fredda e della contrapposizione Ovest-Est, la scelta anche solo simbolicamente sarebbe di impatto enorme. Storico, addirittura. Oppure Berlino vuole solo forzare la mano contro l’amministrazione Trump, puntando su temi con risvolto bellico – Iran, Nato – perché certa di poter sfruttare a proprio favore la spaccatura all’interno del Pentagono dopo l’addio del generale Mattis e l’interim di fatto sulla politica di difesa assunto dal potente consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, la mente dell’operazione venezuelana e dell’addio delle truppe Usa a Siria e Afghanistan (magari per inviare i famosi 5mila militari in Colombia, Paese già scelto come base per i rifornimenti umanitari in stile Achille Lauro da inviare a Caracas

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https://www.ilsussidiario.net/news/economia-e-finanza/2019/2/5/spy-finanza-iran-nato-deutesche-bank-la-germania-sta-scherzando-col-fuoco/1843881/

 

 

 

POLITICA

Partigiani con i soldi pubblici: ecco gli incassi di Anpi & Co.

Le iniziative dell’Anpi contro le foibe. Scoppia la polemica. Salvini vuole tagliargli i fondi: ecco tutti i contributi statali

Giuseppe De Lorenzo – Mar, 05/02/2019

Per l’Anpi le Foibe sono solo “fandonie fasciste”. La guerra civile italiana sembra non finire mai e la totale riconciliazione in una memoria unica e condivisa resta un miraggio, nonostante i (pochi) passi in avanti.

La prossima settimana si celebrerà la Giornata del ricordo degli infoibati dalmati e istriani, donne e uomini con l’unica colpa di essere italiani. E invece di cercare confronto e memoria, l’Anpi che fa? A Parma sponsorizza il convegno in cui si proietterà il video dal titolo “La foiba di Basovizza: un falso storico”; in Veneto critica la proiezione del film “Red Land”; e a Rovigo nega l’esistenza delle fosse carsiche. Non proprio il massimo. E così è esploso lo scandalo che rischia di compromettere il vero tesoro dei partigiani d’oggi: le sovvenzioni statali.

Certo, con un comunicato l’Associazione ha preso le distanze dalle sue sezioni locali, ma lo ha fatto lasciando spalancato il portone dei “dubbi”. Per i nipoti della brigata Garibaldi, le foibe sono state sì “una tragedia nazionale”, ma che va “affrontata senza alcuna ambiguità, contestualizzando i fatti”. Una supercazzola, insomma. “Contestualizzare” sembra infatti un modo per giustificare gli orrori titini trasformandoli in una semplice “reazione” alle occupazioni naziste e fasciste di quelle terre. Un’ambiguità che rende comprensibile le ire della Lega e dell’intero centrodestra: mentre l’assessore veneto Elena Donazzan chiede a Mattarella di “valutare lo scioglimento” dell’Anpi, il Carroccio punta a togliergli i (generosi) finanziamenti statali. “È necessario rivedere i contributi alle associazioni che negano le stragi fatte dai comunisti nel dopoguerra”, ha detto il ministro dell’Interno. Apriti cielo.

Quello dei fondi governativi è tabù mai affrontato prima da nessuno. Per capirne la portata basta andare sul sito del Senato e affidarsi alla relazione (del 2018) sul riparto dei versamenti alle associazioni combattentistiche. I trasferimenti provengono da due voci di bilancio: da una parte, ci sono 1,9 milioni di euro riservati dal ministero dell’Interno e altri 1,6 milioni elargiti dal ministero della Difesa.

La maggior parte dei soldi (che l’Anpi tiene a precisare

 

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STORIA

L’esodo giuliano-dalmata e quegli italiani in fuga che nacquero due volte

Un’inchiesta sulle vittime della violenza titina e su chi fu costretto ad abbandonare la Patria

Eugenio Di Rienzo – Mar, 05/02/2019

L’appartenenza a una comunità nazionale – sostenne il filosofo francese Ernest Renan in una conferenza pronunciata alla Sorbona nel 1882 – non deriva unicamente dalla legge del sangue, ma discende anche da una scelta consapevole che si rinnova con un «plebiscito di tutti i giorni».

E nessuno più dei nostri trecentomila compatrioti del confine orientale seppero onorare questo comandamento nel tragico periodo della storia del nostro Paese che va dal 1943 al 1954. Quegli uomini e quelle donne furono, infatti, Italiani che decisero di «nascere Italiani due volte», come scrive Dino Messina in un volume appassionante: Italiani due volte. Dalle foibe all’esodo: una ferita aperta della nostra storia (Solferino, pagg. 304, euro 16,50), e che riaffermarono la loro identità, in nome di una scelta etnica che fu soprattutto una scelta culturale. Da cittadini divenuti profughi, affrontarono l’odissea di un esilio senza ritorno che li portò a lasciare Istria, Fiume, Zara, Pola per una patria che si rivelò troppo spesso matrigna o per terre lontane: Australia, Canada, Argentina, Sudafrica, Rhodesia.

Il saggio di Messina, commosso e partecipe perché si basa sulle testimonianze dei pochi sopravvissuti e dei tanti che hanno mutuato il ricordo dell’esodo dalla memoria familiare, ha l’andamento di una tragedia greca che si dipana in tre atti. Il primo iniziò, dopo il settembre 1943, quando Hitler costituì la Zona d’operazioni del Litorale Adriatico, una suddivisione territoriale comprendente la Venezia Giulia e le province di Trieste, Pola, Fiume, sottoposta alla diretta amministrazione militare del Reich, dove le forze d’occupazione cercarono, con largo successo, di esasperare l’ostilità dell’elemento slavo contro quello italiano. Poi venne, dall’autunno 1944 alla primavera del 1945, il «democidio» sapientemente pianificato – e scatenato contro la nostra gente – dal IX Korpus Sloveno di Tito. Il terzo atto si compì dal 10 febbraio 1947 con la firma del trattato di Parigi (con cui furono cedute a Belgrado Fiume, Pola, le isole del Quarnaro, la quasi totalità dell’Istria e gli altopiani carsici limitrofi a Gorizia), all’ottobre 1954, con il Memorandum di Londra che restituì Trieste all’Italia, concedendo, però, alla Iugoslavia un’ulteriore porzione dell’Istria e tracciando una linea di confine che fu definitivamente riconosciuta col Trattato di Osimo del novembre 1975.

Di tanto disastro si volle allora rendere responsabile De Gasperi, accusato di essersi presentato al tavolo delle trattative «col capo cosparso di cenere e il rosario in mano». Era un’accusa totalmente ingiustificata. Nell’agosto del 1946, l’esponente democristiano, infatti, aveva pronunciato dinanzi ai rappresentanti delle Potenze alleate un discorso in cui respingeva il carattere punitivo del trattato di pace, affermando che i vincitori, non solo volevano compiere una spartizione del nostro territorio, in spregio alla «Carta atlantica»

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