NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 4 GIUGNO 2018

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 4 GIUGNO 2018

A cura di Manlio Lo Presti

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Esergo

Chi non si lascia intimidire, è vero, resta a piede libero,

ma resta anche a terra, è un nessuno punito dal silenzio,

dall’ostracismo e dall’emarginazione.

La fama, il successo, i premi vanno quasi sempre

a chi fiuta il vento del politicamente corretto.

GIOVANNI SARTORI, La democrazia in 30 lezioni, Mondadori, 2009, pag. 73

 

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EDITORIALE

Sono ripartite le “campagne commerciali” delle ONG

Manlio Lo Presti – 4 giugno 2018

Dopo una parentesi di “silenzio”, che doveva esserci per fiancheggiare situazioni politiche a tutti ben note, sono ripartite le campagne commerciali delle ONG. Campagne molto costose perché coprono tutti i media possibili.

Il sospetto riportato nel riquadro sopra sembra essere di molti.

Quando la tematica buonista – antifa della “immigrazione – integrazione – risorse che ci pagano – le – pensioni” si allenta, subito riparte la coreografia dell’attivazione dei sensi di colpa della popolazione facendo vedere bambini che galleggiano in mare. Salvo avanzare molti dubbi sulla autenticità di quelle immagini e/o riprese diffuse con attentissimo tempismo. Segno che questi “informatori” hanno a disposizione un ampio “magazzino” di immagini e video da fare concorrenza agli archivi televisivi più forniti.

Va ancora una volta ribadito che questa baraonda immigrazionista, usata come arma di demolizione di massa, è giustificata da motivi “buoni”, ma la vera intenzione è sempre stata un’altra (quella vera) di titanici guadagni per le ONG cresciute di numero, delle Coop e di molti organismi dove dietro ci sono strutture del Vaticano, ovviamente immigrazionista-integrazionista-obamiano-sorosiano-clintoniano e poco amico della nuova “gestione Trump”.

Infine, gli immensi profitti superiori a quelli del traffico di stupefacenti, come più volte ripetuto nelle intercettazioni degli esponenti di mafia capitale, sono stati spartiti fra i pochi componenti della banda bassotti.

I danni sociali, sanitari, economici, di ordine pubblico e i costi di 5.500.000.000 di euro sono stati a carico della popolazione italiana che ha solo subito l’ondata che sta mettendo in serio pericolo la tenuta sociale del Paese. Un Paese che alla fine si espresso molto chiaramente in termini di protesta nel voto elettorale.

Per l’Europa “unita”, l’Italia è un covo di merdosi populisti che devono essere sterminati, un serto mefitico di accattoni che non dicono nemmeno grazie, come se i prestiti richiesti dall’Italia fossero ad interessi di favore !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Fustigati, sterminati, rasi al suolo dallo spread inventato da loro, e squassati dalla bomba immigrazionista con benefici alla élite e il caos alla popolazione.

Infine, le ONG:
1) hanno occupato l’area definita STATO SOCIALE, ormai abbandonata dalle nazioni asservite, spesso con violenza e sterminio, al nuovo ordine mondiale liberista.
2) Un elemento di sospetto è la furibonda moltiplicazione delle ONG.
3) un silenzio eccessivo copre le loro azioni, che sono attentamente controllate dai servizi segreti di tutto il mondo!!! Forse perché vengono facilitati spostamenti di persone gradite ai servizi segreti di certi Paesi? Forse perché sono vettori di commercializzazione di altro che impensierire la sicurezza nazionale, ma non se ne deve parlare?
4) Le ONG sono un fenomeno nato troppo in fretta e, per questo, non può che destare sospetti di altissima gravità.
5) infine, nessuno, ripeto NESSUNO può garantire che i dati consegnati alle ONG o a qualsiasi organizzazione commerciale e non, siano realmente custoditi. Niente resiste ad un ORDINE ESECUTIVO DELLA CIA-NSA-MOSSAD-BND-SDECE ecc.ecc.ecc. di richiesta dati per schedature di massa ormai eseguite da anni per scopi che non sono poi così democratici.

Ne riparleremo …

 

 

 

IN EVIDENZA

LE GRANDI LEZIONI DI ONETO: STATO E MAFIA SONO UN CORPO SOLO

1 giugno 2018 di GILBERTO ONETO

 

Nell’estate del 1993 i boss mafiosi Leoluca Bagarella e Tullio Cannella avrebbero fondato il movimento secessionista “Sicilia Libera” per separare l’isola dall’Italia e formare un bello Stato mafioso in mezzo al Mediterraneo.

 

Oggi lo stesso Bagarella con una memoria inviata alla Corte d’assise di Palermo smentisce i suoi afflati autonomistici di vent’anni fa sostenendo di non avere “mai coltivato idee separatiste o secessioniste” e di “essere sempre stato un fautore dell’unità nazionale”.

La cosa stupisce solo chi non conosce la storia e fa sorridere chi invece se la ricorda bene.

Le organizzazioni criminali non possono che essere graniticamente patriottiche proprio perché hanno contribuito in maniera determinante all’unità della (loro) patria e perché sono state fra i più importanti beneficiari della stessa.

Garibaldi è sbarcato in Sicilia grazie alla santa alleanza fra inglesi, massoni e mafiosi, è entrato a …

 

Continua qui: https://www.rischiocalcolato.it/blogosfera/le-grandi-lezioni-di-oneto-stato-e-mafia-sono-un-corpo-solo-371803.html

 

 

 

“Repubblica” e Soros uniti nella lotta

Maurizio Blondet – 4 giugno 2018

 

SOROS: “PREOCCUPATO DELLA VICINANZA DEL NUOVO GOVERNO CON LA RUSSIA

Il finanziere al Festival dell’Economia di Trento: “Rapporto Salvini-Putin troppo stretto, se Mosca ha finanziato Salvini gli italiani dovrebbero saperlo”. Il leader leghista: “Vergogna invitare uno speculatore senza scrupoli”

TRENTO – Finanziere tra i più noti e un tempo tra gli uomini più ricchi del mondo, ma anche sostenitore di iniziative politiche di stampo liberali in Europa dell’est, George Soros si è detto “molto preoccupato per l’influenza della Russia sull’Europa in generale e sul nuovo governo italiano”. Preoccupazione che si aggiunge a quella per le politiche di Donald Trump, viste come una minaccia per tutto il mondo, ma per l’Europa in particolare.
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L’uomo di affari di origine ungheresi – arrivato a sorpresa a Trento per l’ultima giornata del festival dell’Economia per partecipare a un dibattito sul futuro dell’Unione europea – non ci ha girato attorno. Attaccando direttamente sia il leader della Lega appena …

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/repubblica-e-soros-uniti-nella-lotta/

 

 

 

 

 

Morte di David Rossi, Fracassi: colpa di Draghi il crollo Mps

Scritto il 17/5/18

 

 

Siena, 6 marzo 2013. Un uomo precipita dalla finestra, ma non muore sul colpo. Si muove ancora, quando due uomini comparsi dal nulla, nel vicolo sotto la sede centrale del Montepaschi, gli si avvicinano per verificarne le condizioni, prima di sparire. Chi sono? Mistero.

 

«Sappiamo invece chi ha fatto pervenire quel filmato al “New York Post”: è stata la Cia», afferma il reporter Franco Fracassi, ai microfoni di “Border Nights”, a proposito del video (sconvolgente) sulla morte di David Rossi, poi ripreso anche dalle “Iene” e ora disponibile sul web.

 

Insieme a Elio Lannutti, Fracassi è autore del saggio “Morte dei Paschi”, ovvero: dalla drammatica fine di Rossi ai risparmiatori truffati, “ecco chi ha ucciso la banca di Siena”. Suicidio all’italiana? Sappiamo solo che la magistratura ha rinunciato a indagare nella direzione dell’omicidio, dice Fracassi, avendo rapidamente archiviato il caso come, appunto, suicidio. «Certo, resta il fatto che …

Continua qui: http://www.libreidee.org/2018/05/morte-di-david-rossi-fracassi-colpa-di-draghi-il-crollo-mps/

 

 

 

 

L’episodio di Bardonecchia, la tracotanza francese, il servilismo italiano

e un piccolo promemoria dal “Puzzle Moro” per i governanti uscenti (speriamo in modo più decoroso) e quelli entranti (speriamo in modo più dignitoso)

1aprile 2018 (RILETTURA PER NON DIMENTICARE)

Avrebbero dovuto arrestarli i doganieri francesi che l’altro giorno hanno oltrepassato i confini del nostro paese e, a Bardonecchia (località in provincia di Torino), si sono comportati come padroni di casa. E invece, le autorità di governo italiane hanno …

Continua qui:

http://www.fasaleaks.it/lepisodio-bardonecchia-la-tracotanza-francese-servilismo-italiano-un-piccolo-pro-memoria-governanti-uscenti-speriamo-modo-piu-decoroso-entranti-speriamo-un-piu-dign/

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Alla fine della vita

23.02.18 – Marzio Barbagli

Qual è la situazione nell’assistenza ai malati terminali in Italia? Solo dal 2010 le cure palliative hanno avuto un forte impulso, ma restano ancora molte differenze tra le regioni. Per i nostri lettori un estratto dell’ultimo libro di Marzio Barbagli.

 

Cure palliative in Italia

 

Nel 1994, la Regione Emilia e Romagna emanò delle norme per l’assistenza domiciliare dei malati terminali. A livello nazionale, si occupò di queste cure il Piano sanitario del 1999-2000. All’interno di questo piano, una legge e un decreto del presidente del Consiglio dei ministri stanziarono 300 milioni per l’assistenza di pazienti “affetti da malattie progressive ed in fase avanzata, a rapida evoluzione e a prognosi infausta, per i quali ogni terapia finalizzata alla guarigione o alla stabilizzazione della patologia non è possibile o appropriata”, “prioritariamente” per …

 

Continua qui: http://www.lavoce.info/archives/51385/alla-fine-della-vita/

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Aggressione camuffata da guerre civili

di Thierry Meyssan

Se ci si darà la pena di guardare con distacco i fatti, si constaterà che i vari conflitti che da sedici anni insanguinano l’intero Medio Oriente Allargato, dall’Afghanistan alla Libia, non sono una successione di guerre civili, bensì l’attuazione di strategie regionali. Ripercorrendo gli obiettivi e le tattiche di queste guerre, a cominciare dalla “Primavera araba”, Thierry Meyssan ne osserva la preparazione del prosieguo.

Rete Voltaire | Damasco (Siria) | 27 febbraio 2018

 

A fine 2010 cominciò una serie di guerre, presentate inizialmente come sollevamenti popolari. Tunisia, Egitto, Libia, Siria e Yemen furono poi travolti dalla “Primavera araba”, riedizione della “Grande rivolta araba del 1915” iniziata da Lawrence d’Arabia, con un’unica differenza: questa volta non si trattava di appoggiarsi ai Wahhabiti, ma bensì ai Fratelli Mussulmani.

Questi accadimenti erano stati minuziosamente pianificati sin dal 2004 dal Regno Unito, come dimostrano i documenti interni del Foreign Office, rivelati dallo whistleblower [lanciatore d’allarmi] britannico Derek Pasquill …

 

Continua qui: http://www.voltairenet.org/article199869.html

 

 

 

Soros Georgie

Da un post di Francesco Neri – Fuori di Matrix – Fb

1) È condannato all’ergastolo in Indonesia e alla pena di morte in Malesia per speculazione sulle monete locali.
2) È stato condannato dallo Stato francese per insider trading a pagare una multa di 2,1 miliardi di dollari. Appellatosi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, la condanna è stata confermata.
3) Dopo varie condanne in mezzo globo, da alcuni anni “lavora” principalmente da Londra.
4) E’ il principale promotore della liberalizzazione della droga nel mondo, e attraverso l’Università di Harvard ha fatto raccomandare uno studio che propaganda la produzione ed il traffico di droga come rimedio agli eccessivi deficit di bilancio.
5) Secondo il Wall Street Journal, Soros è “la mano” dietro la quale negli ultimi anni si sono fatte massicce campagne di vendite allo scoperto da parte degli hedge fund (“fondi speculativi”) con l’obiettivo di portare l’euro alla parità 1:1 con il dollaro, mentre allo stesso tempo chiede di rafforzare il sistema di governo sovranazionale dell’euro attraverso gli Eurobond, ed è un fortissimo sostenitore del TTIP.
6) Dopo la speculazione su Lira e Sterlina nel 1992, Soros guadagnò più di 2 miliardi di dollari.
7) In Italia, come “ringraziamento”, invece di un mandato di cattura ha ricevuto 4 anni più tardi la laurea honoris causa all’Università di Bologna, consegnatagli direttamente da Romano Prodi.
8) Sempre in Italia e sempre nello stesso anno (1996), ci fu anche un’inchiesta della Guardia di Finanza sui fatti del ’92 per constatare se anche “influenti italiani abbiano operato illegalmente dietro banche e speculatori ricavando un guadagno accodandosi a Soros nella speculazione contro la lira”.
Secondo “Il Mondo”, tra i nomi c’erano quelli di Romano Prodi, Enrico Cuccia (ex Bankitalia e Mediobanca), Guido Rossi (quello poi divenuto famoso per “Calciopoli”) e Luciano Benetton.
Ovviamente le Procure insabbiarono tutto in un amen.
9) Ritiratosi nel 2000 dalla carriera di “speculatore” per concentrarsi sulle sue “fondazioni”, ebbe a dire: ” Sono certo che le mie attività speculative hanno avuto delle conseguenze negative. Ma questo fatto non entra nel mio pensiero. Non può. Se io mi astenessi da determinate azioni a causa di dubbi morali, allora cesserei di essere un efficace speculatore. Non ho neanche l’ombra di un rimorso perché ho fatto un profitto dalle speculazioni. L’ho fatto semplicemente per far soldi”.
10) Soros disse che i 10 mesi dell’occupazione nazista in Ungheria furono “i più belli della mia vita, così avventurosi…”.
11) Soros finanzia Barack Obama dal 2004. E’ il terzo azionista della IDG, “coop rossa” controllata dalla Lega delle Cooperative, cioè dal PD.
12) Soros ha ammesso in diretta televisiva alla CNN di aver finanziato la “rivoluzione colorata” dell’Ucraina di piazza Maidan per “favorire l’inserimento di una giunta amica degli Stati Uniti”.
13) Ha ammesso chiaramente di aver finanziato in passato, tra le altre, la prima Rivoluzione Arancione in Ucraina, la Rivoluzione delle Rose in Georgia, la Rivoluzione dei Tulipani in Kirghizistan, la Rivoluzione Zafferano in Myanmar e la rivoluzione verde in Iran.
Non ha ammesso di aver finanziato i Black Bloc ed il Popolo Viola in Italia.
14) I suoi più grandi “seguaci” tra i politici sono stati e sono Tony Blair, Bill Clinton, François Mitterrand, Jacques Attali, Gerhard Schröder, Christine Lagarde, François Hollande, Romano Prodi, Marco Pannella, Julya Tymoschenko, Victoria Nuland.
15) Finanzia vari gruppi editoriali, come l’Huffington Post, vari movimenti “ambientalisti”, vari movimenti “femministi” (come le Femen e le Pussy Riots).
16) Soros vorrebbe meno sovranità anche per gli USA, a favore di organismi sovranazionali come Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale.
17) Soros si auto-definisce “un estremista ambientale”, vede se stesso come “una figura messianica” e vorrebbe essere ricordato come “un efficace speculatore”.
18) Finanzia ONG, arcigay, puttanate per i diritti umani ecc ecc.
19) Sky ha trovato manualetti per i migranti di sua eminenza George sulla rotta Balcanica.

www.facebook.com

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE

‘Nudge’, ‘sludge’, ‘grudge’ e Russiagate. Così ogni giorno manipolano l’informazione

Ecco alcuni artisti dei trucchi comunicativo-informativi, atti a distorcere la verità, a mescolarla con il falso in modo da rendere difficile o impossibile distinguere l’una dall’altro

6 febbraio 2018ilfattoquotidiano.it

di Giulietto Chiesa.

 

La Spintarella è il titolo di un libro con due autori illustri (anche se sconosciuti al grande pubblico italiano): Cass Sunstein e Richard Thaler.

 

Il primo dei due è stato uno dei “consiglieri” principali di Barack Obama, scelto opportunamente, come vedremo fra poco, per manipolare al meglio l’opinione pubblica americana e mondiale. Un vero artista dei trucchi comunicativo-informativi, atti — si dovrebbe dire in termini criminal-giudiziari — a distorcere la verità, a mescolarla con il falso in modo da rendere difficile o impossibile distinguere l’una dall’altro; a creare storie atte a distrarre il pubblico ignaro in modo tale da riempire il suo “immaginario” di questioni prive di …

 

Continua qui:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/06/nudge-sludge-grudge-e-il-russiagate-cosi-ogni-giorno-manipolano-linformazione/4133518/

 

 

 

 

Change.org. I grandi problemi del Primo Mondo

Abolire l’obbligo di vaccini.

Rimuovere la statua di Gandhi perché non amava i neri.

Cambiare il nome al Columbus Day per rispetto verso gli indigeni. 500 petizioni al giorno.

Per consentire alla minoranze di alzare la voce.

E farci i soldi

PAOLO BOTTAZZINI – 26 settembre 2016 – Dal numero di pagina99 in edicola il 24 settembre 2016

Dal 2005 i social media con maggiore propensione all’ironia, come Twitter, hanno divulgato l’espressione “Problema del Primo Mondo”, fino a cingerla di un hashtag e a renderla popolare nello slang dei giovani (possibilmente pronunciato con due g). L’Oxford Dictionary ha accolto la formula nel dicembre 2012, chiarendo in modo ufficiale il significato della critica alle petizioni aperte su Change.org. Esigere che il lottatore di wrestling Roman Reigns cambi la sua armatura perché offende le regole e la dignità dello sport (!) da lui praticato; cambiare il nome della festa del Columbus Day nelle università Usa, perché discrimina gli indigeni; chiudere il …

Continua qui: http://www.pagina99.it/2016/09/26/change-org-e-il-business-della-lagna/

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Migranti, Merkel: “Italia lasciata sola ad accoglierli dopo il crollo della Libia”

www.ilfattoquotidiano.it – 3 giugno 2018

 

“La sicurezza delle frontiere, la politica di asilo comune e la lotta alle ragioni dell’esodo dei migranti sono la vera questione esistenziale per l’Europa – ha detto la cancelliera in un’intervista alla “Frankfurter Allgemeine am Sonntag” – abbiamo bisogno di misure comparabili nella decisione su chi rimane e chi no”. Il tema dei flussi migratori sarà sul tavolo martedì a Lussemburgo nella riunione dei ministri dell’Interno Ue

“Parte dell’insicurezza in Italia ha la sua origine proprio dal fatto che gli italiani, dopo il crollo della Libia, si sono sentiti lasciati soli, nel compito di accogliere così tanti migranti”. Mentre il neoministro dell’Interno Matteo Salvini continua a fare campagna elettorale promettendo “meno sbarchi” e puntando il dito contro le ong che definisce “vice scafisti”, Angela Merkel affronta il …

 

Continua qui:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/03/migranti-merkel-italia-lasciata-sola-ad-accoglierli-dopo-il-crollo-della-libia/4401156/

 

 

 

 

ECONOMIA

L’AIUTINO AMERICANO AL GOVERNO POPULISTA

Maurizio Blondet 1 giugno 2018

I famosi “mercati” hanno votato pro

da Claudio Antonelli su “La verità”:

Martedì sera, mercoledì e pure ieri. I grandi fondi americani hanno dato il via ad acquisti massicci di titoli di Stato italiani. A far scattare il «buy» sono stati inizialmente gli algoritmi che hanno letto lo sfondamento della soglia al ribasso e hanno azionato le operazioni automatiche.

Bridgewater, Aqr, Glg e Ahl sono in prima fila, ma a ingrossare il gruppo, dopo gli avamposti, di Citi Jp Morgan, si sono messi nella giornata di ieri Blackrock, Pimco, Prudential e Dodge & Cox.

Tutti fondi pronti a entrare nella fase due degli acquisti: attendere che la volatilità si stabilizzi al ribasso per fare man bassa di titoli a prezzi scontati

Per chi operino, soprattutto le banche d’ affari come Citi e Jp Morgan, non è dato sapere.

Sono infatti dealer primari che si muovono per conto di terzi. 

Certamente interessati al nostro debito deprezzato ci sono i fondi pensione americani, ma anche quelli inglesi. Il primo effetto dell’ ingresso massiccio americano è stato quello di bilanciare i rendimenti e di mitigare al ribasso l’ andamento dello spread sul bund tedesco.

Ben 4 miliardi di Bot su un paniere di poco superiore ai 5 scriveva ieri Il Messaggero sarebbe …

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/laiutino-americano-al-governo-populista/    

 

 

 

Dopo il contratto di governo, quello con i consumatori

1 giugno 2018, di Redazione Wall Street Italia

Dopo il contratto di governo, un contratto con i cittadini. Altroconsumo propone al nuovo Governo di prendersi un impegno con i consumatori, firmando un contratto di 10 punti per garantire la tutela dei diritti degli italiani nei primi cento giorni della legislatura.

Dopo 89 giorni dalle elezioni – un record per l’Italia ma non per l’Europa – ha visto la luce un governo politico a traino “populista” e anti sistema guidato dall’avvocato semi sconosciuto Giuseppe Conte, che si è detto pronto a “lavorare per realizzare gli obiettivi politici contenuti nel contratto di governo”.

Altroconsumo, la principale Organizzazione indipendente di consumatori in Italia, chiede in un comunicato al nuovo Presidente del Consiglio e alla sua squadra di ministri – sei della Lega, nove del M5S e gli altri “tecnici” – di “sottoscrivere il contratto più importante, quello con i consumatori”.

La lista di punti programmatici, che metta al centro della scena politica i cittadini italiani, prevede: una riforma della class action, quale strumento di effettiva tutela dei diritti dei …

 

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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Banche centrali hanno creato “mostro” di cui non riescono a liberarsi

1 giugno Daniele Chicca

Con i loro bazooka monetari per uscire dalla crisi, le banche centrali hanno creato un mostro di Frankenstein, una bolla di asset da cui non riescono a uscire e questo i mercati obbligazionari sembrano averlo incominciato a capire. Quanto all’effetto che le droghe monetarie avranno sull’azionario, è facile aspettarsi dalle Borse un’accelerazione verso nuovi record assoluti.

Prima è stato Mario Draghi a riconoscere il parziale fallimento delle proprie politiche ed escludere de facto la possibilità di staccare la spina al suo arsenale monetario già a settembre. Il governatore della Bce ha osservato che il tasso di crescita dell’economia europea potrebbe …

 

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MACHIAVELLI: ITALIA PUNTO DI NON RITORNO!

Scritto il 2 giugno 2018 da icebergfinanza

 

Punto di non ritorno, in senso figurato è un momento, un punto oltre il quale non è più possibile tornare indietro, interrompere un’azione o un processo in corso, una condizione raggiunta la quale, il cambiamento diventa irreversibile.

Lo scetticismo di molti è stato spazzato via dagli eventi recenti della storia contemporanea, nulla è impossibile, soprattutto se si continua a sottovalutare gli effetti di una impressionante mancanza di equità, di una iniqua distribuzione della ricchezza che …

 

Continua qui: http://icebergfinanza.finanza.com/2018/06/02/machiavelli-italia-punto-di-non-ritorno/

 

 

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

LA GIUSTIZIA, IL MITO, LA DEVIANZA

7 maggio 2018

 

“Fortunati i popoli che non hanno bisogno di eroi”.

È detto antico in cui si sintetizza una salutare diffidenza per la retorica. Che è poi la retorica degli eroi quella che si sviluppa e pretende di cancellare le disgrazie, le meschinità, gli errori con le chiacchiere.

Gli eroi, il mito. Più propriamente è del mito che bisogna diffidare. Il mito che si crea su eroismi veri ed immaginari e che, al contempo, inventa gli eroi immaginari e spudoratamente li pone accanto a quelli veri.

C’è, evidente come non mai, una tendenza della giustizia non solo a far nascere dei miti, ma a farsi sostituire da un mito.

Creando persino termini falsificati e falsificanti perché affermino ed impongano il mito.

“Legalità” è espressione alla quale si è strappato il significato originario, che è quello della riconducibilità allo specifico dettato della legge della facoltà e del dovere di punire: “nullum crimen nulla poena sine praevia lege penali”. E in senso più lato il principio della riconducibilità alla legge di ogni espressione del potere e dell’autorità pubblici.

Ma il mito che si tende a sostituire al diritto, la lotta che “supera” la giustizia, hanno fatto di “legalità” addirittura una sorta di credo, o di “credo di parte”. Anzi di controparte in lotta “eroica” con la criminalità. Questa è la “Legalità”, materia di insegnamento nelle scuole, affidato per lo più alle mogli di magistrati e di poliziotti.

Con la pretesa di fare della giustizia qualcosa di “eroico”, di pugnace, non impantanato da regole, da limiti, non circoscritto alla applicazione delle leggi (cioè, proprio il contrario del “principio di legalità”).

Diceva Pietro Calamandrei di essersi dovuto scandalizzare, giovanissimo avvocato, di fronte alla rassegnazione insita in antiche proposizioni latine quali “habent sua sidera lites”, “le liti hanno le loro stelle, il loro destino” e d’essersi, però, poi convinto della dura realtà di quelle parole.

Ma oggi alla rassegnazione alle “stelle” (non alle 5 Stelle) si sostituisce la fede in una sorta di “sole dell’avvenire” che, però, non coincide con la “semplice” (???!!!) applicazione della legge. Quello che una volta era una diffidente e, magari rassegnata accettazione di una giustizia che nella sua ricerca di “adesione al caso concreto” poteva sconfinare nella discrezionalità e persino nell’arbitrio (si sentiva dire dagli scettici: la legge è ineguale per tutti, la giustizia lo è molto meno) è divenuta la diffidenza e lo sprezzo nella semplice applicazione della legge, con la creazione di un dogma, originato dal perpetuarsi delle “emergenze” di una “giustizia mirata”. Mirata all’”uso alterativo”, a finalità superiori, alla lotta ed alla conclusione vittoriosa contro piaghe vere, presunte, o, magari immaginarie, cui l’esercizio della giustizia dovrebbe essere condizionato.

Le caste sacerdotali tendono a creare, generalizzare, rendere totalizzanti i miti cui sono addette, farne delle religioni, con i nuovi precetti, elevare al cielo o demonizzare comportamenti ed uomini. E stabilire la superiorità delle “regole”, delle “verità” da loro inventate su ogni altra legge, norma, regola e sulla stessa ragione.

E’ in corso una tipica elaborazione di un mito di una giustizia di tal fatta.

A fondamento di essa, là dove la ragione implica non solo limiti di competenza e di attribuzioni ad altri organi dello Stato, ma anche gravi ed allarmanti questioni di ragionevolezza, ecco che viene fuori la “fede”. Quella degli eroi, dei martiri che ne fanno qualcosa di indiscutibile ed indicibile.

In questi ultimi anni la giustizia come miraggio, mito, fede si è andata ad imporre in contrapposizione al concetto di giustizia come essenza della ragione, prodotto della razionalità.

Dalla “giustizia di lotta” (prima al terrorismo, poi alla mafia) dall’emergenza al mito e ai miti e, quindi, ad una giustizia mitica, il passo è stato breve, rapido.

Con il mito, gli eroi. Ed anche il contrario: con gli eroi il mito dell’eroismo della giustizia. E con gli eroi ed i santi, se non proprio tali, almeno “onesti”, gli eroi fasulli, i cialtroni e ciurmati.

Dopo Falcone, Borsellino, Di Matteo. Come dopo San Francesco, Santa Filomena.

Scrivo tutto ciò perché ho l’impressione che, mentre il Partito dei Magistrati subisce un momento di crisi e vede svanire qualche miraggio di troppo facile successo, e, a fronte di sciagurate manifestazioni di Komeinismo di una frangia estremista del partito stesso, quale il processo c.d. della “Trattativa”, qualche pur modesta reazione di repulsione, cui non eravamo più abituati, si è cominciata a manifestare, mentre, poi, un meno episodico ricorso al mito, una più generale accettazione, da parte della magistratura, di una sua funzione travalicante la ragionevolezza dell’applicazione della legge si diffonde e si dà per accettata.

Giuocare all’antimafia comincia a piacere ai magistrati in regioni sempre più lontane da quelle dove mafia ed antimafia hanno un peso ed una storia. Penso alla mostra della “Legalità” a Palazzo di Giustizia a Roma. Ed a molti altri significativi episodi di “devozionalità”.

Vedremo. Vedrete. Dovremo cominciare, però, a renderci conto che ciò che vedrete dipenderà essenzialmente da noi.

http://www.lavalledeitempli.net/2018/05/07/la-giustizia-mito-la-devianza/

 

 

 

Confrontate la riforma della magistratura pensata da Licio Gelli, il maestro venerabile della P2, con la riforma “epocale” della giustizia di Berlusconi, iscritto alla loggia massonica P2 con tessera n.1816.

Amalia Kyriakakou – Facebook – 17 aprile 2018

 

 

Licio Gelli e Berlusconi erano entrambi piduisti. Licio Gelli e Berlusconi vogliono la stessa identica riforma giudiziaria. Sarà una coincidenza:
1) Separazione delle carriere, già presente nel Piano di Rinascita Democratica della P2.
2) Responsabilità civile dei magistrati, già presente nel Piano di Rinascita Democratica della P2.
3) Divieto di nomina dei magistrati nella stampa (vedi legge sulle intercettazioni), già presente nel Piano di Rinascita Democratica della P2.

Poi uno si informa e scopre che le carriere della magistratura giudicante e della magistratura requirente sono, già oggi, di fatto separate per via di vincoli severi (per un passaggio da PM a giudice bisogna cambiare regione).
Informandosi si scopre che, in fondo, tutta questa importanza nella separazione delle carriere non c’è: dicono che la separazione porterebbe alla parità tra accusa e difesa, con il giudice più imparziale. Al che uno si domanda: ma perché? in Italia forse il numero di assoluzioni è minore rispetto ai Paesi in cui vi è separazione delle carriere? … ehm…NO. E allora dove la vedono questa disparità tra accusa (che a volte chiede addirittura l’assoluzione dell’imputato) e difesa??? Boh…

Per quanto riguarda la responsabilità civile dei magistrati (anche qui) uno si informa e scopre che, già oggi, esiste in Italia una responsabilità indiretta: in caso di dolo o colpa grave del magistrato, il cittadino può fare causa allo Stato (forse perché la magistratura è un ordine dello Stato?), il quale poi dovrebbe rivalersi sul singolo magistrato.

A questo punto, viene da chiedersi: come mai tanto interesse per questa riforma “epocale”, quando i problemi dell’Italia (compresa la giustizia italiana) sono altri?
Come mai Licio Gelli e la loggia massonica eversiva erano così interessati a queste cose?…per il bene degli italiani? O piuttosto le motivazioni erano altre???

Vediamo:
– La riforma epocale prevede un “ufficio” dei PM, non più presenti nella Costituzione. Questi saranno privati dell’iniziativa penale, cioè non potranno prendere notizia dei reati di propria iniziativa…ma dovranno casomai aspettare la denuncia della Polizia giudiziaria.
– Oltre la separazione delle carriere, la riforma prevede l’autonomia della Polizia giudiziaria dalla magistratura: così avremo la Polizia (dipendente dall’esecutivo) non più tenuta ad eseguire gli ordini dei magistrati. Così diremo addio ad eventuali indagini sui superiori di un Carabiniere, un Poliziotto, un Finanziere, un ministro, un parlamentare (almeno se il parlamentare è della maggioranza). La Polizia giudiziaria, se non ha le spalle coperta dalla magistratura (che, a differenza della polizia, è indipendente e autonoma), non si permetterà più di mettere il naso in queste cose…
Infine, ciò che più importa a chi propone la riforma “epocale”, si avrà un potere giudiziario più spostato verso le mani di chi già detiene il potere esecutivo. Ecco cosa voleva Licio Gelli, voleva ridurre l’indipendenza della magistratura.
– La responsabilità diretta del magistrato porterà a tante cause contro i magistrati quanti sono i processi, o almeno farà sempre causa (a prescindere dalla colpevolezza del magistrato) l’imputato che se lo può permettere economicamente…o la parte lesa non soddisfatta dalla sentenza.

Il risultato sarà un ulteriore intasamento del sistema giudiziario e magistrati intimiditi o minacciati.

In poche parole, una riforma tesa ad azzoppare il sistema giudiziario e spostare il potere giudiziario verso l’esecutivo. Una porcata!

https://it.wikipedia.org/wiki/P2

https://it.wikipedia.org/wiki/Piano_di_rinascita_democratica

 

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PANORAMA INTERNAZIONALE

Chi era davvero Dom Helder Câmara?

Pubblicato 7 aprile 2015

 

Si è parlato molto in questi giorni di Dom Helder Câmara, il cui processo di beatificazione è stato recentemente approvato dal Vaticano. Per l’italiano medio la figura di mons. Helder Pessoa Câmara (1909-1999), vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, e poi arcivescovo metropolita di Olinda-Recife, è pressoché sconosciuta.

Chi era Dom Helder?

Una propaganda ai limiti del ridicolo

Le uniche notizie su mons. Câmara che filtrano dalla stampa nostrana provengono da fucine propagandistiche tanto sbilanciate che non ho paura a definirle ai limiti del ridicolo. Ricordo benissimo, per esempio, la reazione della stampa all’epoca della scomparsa di Dom Helder, nell’agosto 1999. I mass media italiani gareggiarono in panegirici, conferendogli titoli altisonanti come “Profeta dei poveri”, “Santo delle favelas”, “voce del Terzo Mondo”, “San Helder d’America” e via discorrendo. Fu una sorta di canonizzazione massmediatica (1). Questa stessa macchina propagandistica sembra essersi riattivata a proposito dell’apertura del processo di beatificazione, firmato in Vaticano lo scorso 25 febbraio.

Qualche informazione in merito non nuocerebbe affatto.

Dom Helder Câmara – Militante filo-nazista

Forse pochi lo sanno, ma Helder Câmara iniziò la sua vita pubblica come militante nella destra filonazista. Egli fu, infatti, gerarca della Ação Integralista Brasileira (AIB), il movimento filonazista fondato da Plinio Salgado. Nel 1934, l’allora padre Câmara entrò a far parte del Consiglio Supremo dell’AIB. Due anni dopo divenne segretario personale di Salgado, e quindi Segretario nazionale dell’AIB, prendendo parte da protagonista ai raduni e alle marce paramilitari che scimmiottavano quelle dei nazisti in Germania.

Le sue convinzioni filonaziste erano così profonde, che si era fatto ordinare sacerdote portando sotto la talare la divisa delle milizie integraliste, la famigerata “camicia verde”. Nel 1946 l’arcivescovo di Rio di Janeiro volle farlo suo vescovo ausiliare ma la Santa Sede si rifiutò a causa della sua precedente militanza filonazista. La nomina arrivò solo sei anni dopo.

Nel frattempo, Helder Câmara aveva maturato il suo passaggio dall’integralismo filonazista al progressismo filomarxista. Quando nel 1968 lo scrittore brasiliano Otto Engel scrisse una biografia di mons. Câmara, egli ricevette “ordini sommari” dalla Curia di Olinda-Recife che lo diffidava dal pubblicarla. L’arcivescovo non voleva far conoscere il suo passato filonazista…

Dalla JUC al PC. L’Azione Cattolica brasiliana

Nel 1947 padre Câmara fu nominato Assistente generale dell’Azione Cattolica brasiliana che, sotto il suo influsso, iniziò a scivolare verso sinistra fino ad abbracciare, in alcuni casi, il marxismo-leninismo. La migrazione fu particolarmente evidente nella JUC (Juventude Universitária Católica), alla quale Câmara era particolarmente vicino. Scrive Luiz Alberto Gomes de Souza, già segretario della JUC: “L’azione dei militanti della JUC (…) sfociava in un impegno che, a poco a poco, si è rivelato socialista” (2). La rivoluzione comunista a Cuba (correva l’anno 1959) fu accolta dalla JUC con entusiasmo. Secondo Haroldo Lima e Aldo Arantes, dirigenti della JUC, “la recrudescenza delle lotte popolari e il trionfo della rivoluzione cubana nel 1959 aprirono la JUC all’idea di una rivoluzione brasiliana”. La deriva a sinistra fu molto agevolata dal coinvolgimento della JUC con l’UNE (União Nacional de Estudantes), vicina al Partito comunista. “Come risultato della sua militanza nel movimento studentesco – proseguono Lima e Arantes – la JUC fu obbligata a definire un’agenda politica più ampia per i cristiani di oggi. Fu così che, nel congresso del 1960, approvò un documento (…) in cui annunciava l’adesione al socialismo democratico e all’idea di una rivoluzione brasiliana” (3). Durante il governo di sinistra del presidente João Goulart (1961-1964), prese forma all’interno della JUC una fazione radicale inizialmente chiamata O Grupão, il Grande Gruppo, poi trasformatasi in Ação Popular (AP) che, nel 1962, si definì socialista. Nel congresso del 1963, l’AP approvò i propri Statuti nei quali “si abbracciava il socialismo e si proponeva la socializzazione dei mezzi di produzione”. Statuti che contenevano, tra l’altro, un elogio alla rivoluzione sovietica e un riconoscimento dell’“importanza decisiva del marxismo nella teoria e nella prassi rivoluzionaria” (4). La deriva, tuttavia, non si fermò lì. Nel congresso nazionale del 1968 Ação Popular si proclamò marxista-leninista, cambiando il nome in Ação Popular Marxista-Leninista (APML). Visto che niente più la separava dal Partito comunista, nel 1972 decise di sciogliersi e di incorporarsi al Partido Comunista do Brasil. Attraverso questa migrazione, molti militanti dell’Azione Cattolica finirono per partecipare alla lotta armata durante gli anni di piombo brasiliani. Contro il parere di non pochi vescovi, mons. Helder Câmara fu uno dei più entusiasti e convinti difensori della migrazione a sinistra nella JUC (5).

Contro Paolo VI e altre stramberie

Nel 1968, mentre Papa Paolo VI si accingeva a pubblicare l’enciclica Humanae Vitae, mons. Helder Câmara si schierò apertamente contro il Pontefice, qualificando la sua dottrina sugli anticoncezionali “un errore destinato a torturare le spose e a turbare la pace di tanti focolari” (6). In una poesia che fa davvero scalpore, l’arcivescovo di Olinda-Recife ironizzava pure sulle donne “vittime” della dottrina della Chiesa, costrette, secondo lui, a generare dei “mostriciattoli”: “Figli, figli, figli! Se è il coito che vuoi, devi procreare! Anche se tuo figlio ti nasce senza viscere, le gambette a stecchino, la testona a pallone, brutto da morire!”. Helder Câmara difendeva anche il divorzio, approvando la posizione delle chiese ortodosse che “non precludono la possibilità di un nuovo matrimonio religioso a chi è stato abbandonato [dal coniuge]”. Interrogato se questo non avrebbe dato ragione ai laicisti, egli rispose: “Cosa importa che qualcuno canti vittoria, se ha ragione?”. L’irrequieto arcivescovo chiedeva a gran voce anche l’ordinazione sacerdotale delle donne. Rivolgendosi a un gruppo di vescovi durante il Concilio Vaticano II, domandava con insistenza: “Ditemi, per favore, se trovate che ci sia qualche argomento effettivamente decisivo che impedisca alle donne l’acceso al sacerdozio, oppure si tratta di un pregiudizio maschile?”. E che importa se il Concilio Vaticano II ha poi precluso questa possibilità. Secondo Câmara, “dobbiamo andare oltre i testi conciliari [la cui] interpretazione compete a noi”. Ma i vagheggiamenti non finivano lì. In una conferenza tenuta di fronte ai Padri Conciliari nel 1965, egli affermava: “Credo che l’uomo creerà artificialmente la vita, arriverà alla risurrezione dei morti e (…) otterrà miracolosi risultati di rinvigorimento di pazienti maschi tramite l’innesto di ghiandole genitali di scimmia”.

Schierato con l’URSS, Cina e Cuba

Le prese di posizione concrete di Dom Helder in favore del comunismo (anche se a volte ne criticava l’ateismo) furono numerose e coerenti. Per esempio, è rimasto tristemente notorio il suo intervento del 27 gennaio 1969 a New York, nel corso della VI Conferenza annuale del Programma Cattolico di Cooperazione interamericana. Intervento in tal modo schierato col comunismo internazionale, che gli valse l’epiteto di “Arcivescovo rosso”, appellativo indissolubilmente poi legato al suo nome. Dopo aver duramente rimproverato agli USA la loro politica anti-sovietica, Dom Helder propose un drastico taglio delle forze armate statunitensi, mentre invece chiedeva all’URSS di mantenere le proprie capacità belliche per poter far fronte all’“imperialismo”. Conscio delle conseguenze di tale strategia, egli si difese a priori: “Non ditemi che tale approccio metterebbe il mondo nelle mani del comunismo!”. Dall’attacco agli Stati Uniti, Helder Câmara passò a tessere il panegirico della Cina di Mao Tse-Tung, allora in piena “rivoluzione culturale”, che provocò milioni di morti. L’Arcivescovo Rosso chiese formalmente l’ammissione della Cina comunista all’ONU, con la conseguente espulsione di Taiwan. E finì il suo intervento con un appello in favore del dittatore cubano Fidel Castro, all’epoca impegnato a favorire sanguinose guerriglie in America Latina. Chiese anche che Cuba fosse riammessa nell’OEA (Organizzazione degli Stati Americani), dalla quale era stata espulsa nel 1962. Questo intervento, così sfacciatamente pro-comunista e anti-occidentale, fu denunciato dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel manifesto «L’Arcivescovo rosso apre le porte dell’America e del mondo al comunismo»: “Le dichiarazioni contenute nel discorso di Dom Helder tratteggiano una politica di resa incondizionata del mondo al comunismo. Siamo di fronte a una realtà sconvolgente: un vescovo di Santa Romana Chiesa impegna il prestigio derivante dalla sua dignità di successore degli Apostoli per demolire i bastioni della difesa militare e strategica del mondo libero di fronte al comunismo. Il comunismo, cioè il più radicale, implacabile, crudele e insidioso nemico che mai si sia scagliato contro la Chiesa e la civiltà cristiana” (7).

Un progetto di rivoluzione comunista per l’America Latina

Ma forse l’episodio che destò più stupore è stato il cosiddetto “affaire Comblin”. Nel giugno 1968 trapelò alla stampa brasiliana un documento-bomba preparato sotto l’egida di mons. Helder Câmara dal sacerdote belga Joseph Comblin, professore presso l’Istituto Teologico (Seminario) di Recife. Il documento proponeva, senza veli, un piano eversivo per smantellare lo Stato e stabilire una “dittatura popolare” di matrice comunista. Eccone alcuni punti:

  • Contro la proprietà. Nel documento, Comblin difende una triplice riforma – agraria, urbana e aziendale – partendo dal presupposto che la proprietà privata e, quindi, il capitale siano intrinsecamente ingiusti. Qualsiasi uso privato del capitale dovrebbe essere vietato dalla legge.
  • Uguaglianza totale. L’obiettivo, afferma Comblin, è stabilire l’uguaglianza totale. Ogni gerarchia, sia nel campo politico-sociale sia in quello ecclesiastico, va quindi abolita.
  • Rivoluzione politico-sociale. In campo politico-sociale, questa rivoluzione ugualitaria propugna la distruzione dello Stato per mano di “gruppi di pressione” radicali i quali, una volta preso il potere, dovranno stabilire una ferrea “dittatura popolare” per imbavagliare la maggioranza, ritenuta “indolente”.
  • Rivoluzione nella Chiesa. Per consentire a questa minoranza radicale di governare senza intralci, il documento propone il virtuale annullamento dell’autorità dei vescovi, che sarebbero soggetti al potere di un organo composto solo da estremisti, una sorta di “Politburo” ecclesiastico. Abolizione delle Forze Armate. Le Forze Armate vanno sciolte e le loro armi distribuite al popolo. Censura di stampa, radio e TV. Finché il popolo non avrà raggiunto un accettabile livello di “coscienza rivoluzionaria”, la stampa, radio e TV vanno strettamente controllati. Le élite che non siano d’accordo devono abbandonare il Paese. Tribunali popolari. Accusando il Potere Giudiziario di essere “corrotto dalla borghesia”, Comblin propone l’istituzione di “tribunali popolari straordinari” per applicare il rito sommario contro chiunque si opponga a questo vento rivoluzionario.
  • Violenza. Nel caso in cui non fosse stato possibile attuare questo piano eversivo con mezzi normali, il professore del seminario di Recife considerava legittimo il ricorso alle armi per stabilire, manu militari, il regime da lui teorizzato (8).

L’appoggio di Helder Câmara

Il “Documento Comblin” ebbe in Brasile l’effetto d’una bomba atomica. In mezzo all’accesa polemica che ne seguì, il padre Comblin non negò l’autenticità del documento, ma disse trattarsi “soltanto di una bozza” (sic!). Da parte sua, la Curia di Olinda-Recife ammise che esso proveniva sì dal seminario diocesano, precisando però che “non è un documento ufficiale” (ancora sic!). Interpretando la legittima indignazione del popolo brasiliano, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira scrisse allora una lettera aperta a mons. Helder Câmara, pubblicata in 25 giornali. Leggiamo nella lettera: “Sono sicuro di interpretare il sentimento di milioni di brasiliani chiedendo a Sua Eccellenza che espella dall’Istituto Teologico di Recife e dall’Archidiocesi l’agitatore che approfitta del sacerdozio per pugnalare la Chiesa, e abusa dell’ospitalità brasiliana per predicare il comunismo, la dittatura e la violenza in Brasile”. Helder Câmara rispose evasivamente: “Tutti hanno il diritto di dissentire. Io semplicemente sento tutte le opinioni”. Ma, allo stesso tempo, confermò padre Comblin nella carica di professore del Seminario, spalleggiandolo con la sua autorità episcopale. Alla fine, il governo brasiliano revocò il permesso di soggiorno del prete belga, che dovette quindi lasciare il Paese.

Teologia della liberazione

Mons. Helder Câmara è anche ricordato come uno dei paladini della cosiddetta “Teologia della liberazione”, condannata dal Vaticano nel 1984. Due dichiarazioni sintetizzano questa teologia. La prima, del connazionale di Dom Helder, Leonardo Boff: “Ciò che proponiamo è marxismo, materialismo storico, nella teologia” (9). La seconda, del peruviano Gustavo Gutiérrez, padre fondatore della corrente: “Ciò che intendiamo qui per teologia della liberazione è il coinvolgimento nel processo politico rivoluzionario” (10). Gutiérrez ci spiega anche il senso di tale coinvolgimento: “Solo andando oltre una società divisa in classi. (…) Solo eliminando la proprietà privata della ricchezza creata dal lavoro umano, saremo in grado di porre le basi per una società più giusta. È per questo che gli sforzi per proiettare una nuova società in America Latina si stanno orientando sempre di più verso il socialismo” (11). Proprio a questo tema è stato dedicato un libro recentemente pubblicato in Italia dalla Cantagalli «Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri» (12).

Amico dei poveri e della libertà?

Ma forse la più grande frottola su Helder Câmara è quella di presentarlo come amico dei poveri e difensore della libertà. Il titolo di difensore della libertà si addice molto male a uno che ha inneggiato ad alcune delle dittature più sanguinarie che hanno costellato il secolo XX, prima il nazismo, e poi il comunismo in tutte le sue varianti: sovietica, cubana, cinese… Soprattutto, però, il titolo di amico dei poveri non si addice proprio a uno che sosteneva regimi che hanno causato una povertà così spaventosa da essere stati qualificati dall’allora cardinale Joseph Ratzinger “vergogna del nostro tempo” (13). Un’analisi attenta dell’America Latina — paese per paese — mostra chiaramente che, laddove sono state applicate le politiche proposte da Dom Helder il risultato è stato un notevole aumento della povertà e del malcontento popolare. Laddove, invece, sono state applicate le politiche opposte, il risultato è stato un generale incremento del benessere. Un esempio per tutti: la riforma agraria, della quale Dom Helder fu il principale promotore e che, invece, si è dimostrata “il peggiore fallimento della politica pubblica nel nostro Paese”, nelle parole non sospette di Francisco Graziano Neto, presidente dell’INCRA (Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária), cioè il dicastero preposto per implementare la riforma agraria (14). Il lettore interessato ad approfondire il tema, con tanto di dati statistici rilevanti, può fare riferimento al libro sopra menzionato (15).

Aveva ragione Indro Montanelli quando diceva: “La sinistra ama tanto i poveri che ogni volta va al potere ne aumenta il numero”.

Note
1. Cfr. Julio LOREDO, L’altro volto di Dom Helder, “Tradizione Famiglia Proprietà”, novembre 1999, pp. 4-5.
2. Luiz Alberto GOMES DE SOUZA, A JUC. Os estudantes católicos e a política, Editora Vozes, Petrópolis 1984, p. 156.
3. Haroldo LIMA e Aldo ARANTES, História da Ação Popular. Da JUC ao PC do B, Editora Alfa-Omega, São Paulo 1984, p. 27-28.
4. Ibid., p. 37.
5. Si veda, per esempio, Scott MAINWARING, The Catholic Church and Politics in Brazil, 1916-1985, Stanford University Press, 1986, p. 71.
6. Cfr. Helder PESSOA CÂMARA, Obras Completas, Editora Universitária, Instituto Dom Helder Câmara, Recife, 2004. Cfr. Massimo INTROVIGNE, Una battaglia nella notte, Sugarco Edizioni, Milano 2008.
7. Plinio CORRÊA DE OLIVEIRA, O Arcebispo vermelho abre as portas da América e do mundo para o comunismo, “Catolicismo” Nº 218, febbraio 1969. È interessante confrontare – per rilevarne le numerose somiglianze – il discorso di Dom Helder con quello tenuto da Ernesto “Che” Guevara all’ONU il 12 dicembre 1964.
8. Si veda Plinio CORRÊA DE OLIVEIRA, TFP pede medidas contra padre subversivo, “Catolicismo”, Nº 211, luglio 1968.
9. Leonardo BOFF, Marxismo na Teologia, in “Jornal do Brasil”, 6 aprile 1980.
10. Gustavo GUTIÉRREZ, Praxis de libertação e fé cristã, Appendice a Id., Teologia da libertação, Editora Vozes, Petrópolis 1975, p. 267, p. 268.
11. Gustavo GUTIÉRREZ, Liberation Praxis and Christian Faith, in Lay Ministry Handbook, Diocese of Brownsville, Texas 1984, p. 22.
12. Julio LOREDO, Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri, Cantagalli, Siena 2014.
13. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis Nuntius, XI, 10.
14. Francisco GRAZIANO NETO, Reforma Agraria de qualidade, in “O Estado de S. Paulo”, 17 aprile 2012.
15. Julio LOREDO, Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri, pp. 315-338. Il libro può essere richiesto online a info@atfp.it

https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/chi-era-davvero-dom-helder-camara/

 

 

 

 

C’è un vantaggio nel chiamarsi Israele

di Massimo Fini – sabato 05/05/2018

Che le dichiarazioni di Abu Mazen (gli ebrei sarebbero in qualche modo responsabili della Shoah) siano inaccettabili, come ha immediatamente dichiarato, fra gli altri, anche l’Unione europea, non è nemmeno il caso di dirlo. Ci si chiede però, come ha fatto un lettore del Fatto (27.4), Mauro Chiostri, parlando dell’oggi e non del codificato ieri, se lo Stato di Israele non goda di uno speciale salvacondotto basato proprio sullo sterminio ebraico di tre quarti di secolo fa.

È una domanda, per la verità, che si fanno in molti ma che non osano formulare pubblicamente nel timore di essere immediatamente bollati come antisemiti, negazionisti, razzisti, nazisti. Ma Israele è uno Stato e non va confuso con la comunità ebraica internazionale. In anni meno manichei di quelli che stiamo vivendo attualmente era la stessa comunità ebraica a non volere che si facesse una simile confusione. Ed era logico che così fosse. Perché Israele è uno Stato e, come tale, può compiere azioni criticabili, e anche nefande, ma non per questo ne deve rispondere, poniamo, un ebreo del ghetto di Roma. Oggi invece questa confusione esiste e Israele può compiere impunemente atti che ad altri Stati costerebbero l’indignata condanna, se non peggio, della cosiddetta comunità internazionale. 1. Durante le manifestazioni popolari di quest’ultimo mese e mezzo a Gaza, i militari israeliani hanno ucciso 44 persone e ne hanno ferite 1.400. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres aveva fatto richiesta di un’indagine indipendente sui morti a Gaza. Ma Israele l’ha respinta. Eppure richieste di questo genere sono state accettate persino da Assad e, a suo tempo, da Saddam Hussein. L’esercito israeliano sarà anche “il più virtuoso al mondo” come afferma Netanyahu ma certamente ha il grilletto molto facile.

2. L’altro giorno, Benjamin Netanyahu, in diretta tv, con la massima esposizione mediatica possibile, ha accusato l’Iran di aver mentito sul proprio programma nucleare e di stare preparando almeno quattro o cinque bombe atomiche della stessa potenza di quelle che gli americani sganciarono su Hiroshima e, tre giorni dopo, su Nagasaki. Ha anche affermato di essere in possesso di oltre 55 mila pagine di documenti che lo provano. E ha subito trovato una sponda nell’amico di sempre, gli Stati Uniti. In realtà è proprio Netanyahu a raccontar frottole che sono state subito smentite dall’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) i cui ispettori fanno la spola fra Vienna e Teheran e hanno sempre constatato che nelle centrali iraniane l’arricchimento dell’uranio non supera il 20% che è quanto serve per gli usi energetici, civili e medici del nucleare (per arrivare all’Atomica l’arricchimento deve essere del 90%). Questo il comunicato dell’Aiea che, in materia, è la fonte più autorevole dato che i suoi ispettori fanno le verifiche sul campo: “Non abbiamo alcuna indicazione credibile di attività in Iran attinenti allo sviluppo di un ordigno nucleare dopo il 2009”.

È grottesco, se non fosse inquietante, che uno Stato come Israele, che non ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, che ha la Bomba, anche se non lo dice ma, per buona misura, fa sapere, ne accusi un altro, l’Iran, che questo Trattato ha sottoscritto e accetta da sempre le ispezioni dell’Aiea.

Ma anche se l’Iran, in linea puramente ipotetica, volesse farsi l’Atomica non sarebbe uno scandalo circondato com’è da potenze nucleari come lo stesso Israele, il Pakistan e la non lontana India. L’Atomica, è ovvio, serve solo da deterrente, come dice la logica e anche l’esempio del dittatore coreano che si è salvato semplicemente dimostrando di averla e, a contrario, i casi di Saddam Hussein e Muammar Gheddafi che sono stati eliminati provocando il caos mediorientale e libico che tutti abbiamo sotto gli occhi.

  1. Gli israeliani hanno effettuato una decina di raid missilistici su postazioni iraniane in Siria. Gli ultimi due, nella notte di domenica scorsa, hanno provocato almeno 40 vittime. Certo le milizie iraniane sono fuori dal proprio territorio col pretesto di combattere l’Isis che è diventato il passepartout per ogni sorta di nefandezze, turche, russe, americane e, appunto, iraniane. Ma Israele ha il diritto di intervenire? Facciamo l’ipotesi opposta. Cosa succederebbe se missili iraniani colpissero ipotetiche postazioni israeliane fuori dal loro territorio? Il finimondo. La condanna e l’indignazione sarebbero unanimi e le ritorsioni, economiche e militari, immediate. Invece con Israele si sta zitti, si fa finta di non vedere, di non sapere.

    4. Dal 1946 sono centinaia le risoluzioni Onu che Israele non ha rispettato. Evidentemente è legibus solutus. Fino a quando deve durare questo salvacondotto che, come scrive il lettore Mauro Chiostri, “specula sul dramma della Shoah mancando oltretutto di rispetto alle vittime innocenti che l’hanno subita”?

Fernando Caporilli Fb 040518

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POLITICA

Governo, Soros: “Sono preoccupato da vicinanza Lega-M5s alla Russia. Bisogna sapere se Salvini è a busta paga di Putin”

www.ilfattoquotidiano.it – 3 giugno 2018

 

Il finanziere ungherese ospite al Festival dell’Economia di Trento: “Sulla Russia il nuovo esecutivo si trova d’accordo, l’opinione pubblica ha il diritto di sapere”. La replica del ministro dell’Interno: “Mai avuto soldi da Mosca, mi vergogno del fatto che venga invitato a parlare uno speculatore come lui”

George Soros è “molto preoccupato” della vicinanza dell’esecutivo Cinquestelle-Lega alla Russia. Un argomento, secondo il finanziere ungherese, “su cui si trova d’accordo il nuovo governo: hanno detto che sono a favore della cancellazione delle sanzioni contro la Russia”. E Soros, ospite del Festival dell’Economia di Trento, chiama direttamente in causa il leader di uno dei due partiti di governo: “C’è una stretta relazione tra Matteo Salvini e Putin. Non so se Putin effettivamente finanzia il suo partito, ma l’opinione pubblica italiana ha diritto di sapere se Salvini è a busta paga di Putin”, ha detto Soros a chi gli chiedeva se fosse preoccupato dell’influenza della Russia sul nuovo governo italiano.

Soros: «Preoccupato, il nuovo governo è vicino alla Russia”

In serata è arrivata la replica del neo ministro dell’Interno: “Non ho mai ricevuto una lira, un euro o un rublo dalla Russia, ritengo Putin uno degli uomini di stato migliori e mi vergogno del fatto che in Italia venga invitato a parlare uno speculatore senza scrupoli come Soros”, ha detto Salvini. Prima di lui era stato il deputato della Lega Claudio Borghi a rispondere alle dichiarazioni del finanziere: “Soros preoccupato dal governo italiano? Allora significa che stiamo andando nella giusta direzione”, ha detto Borghi. “Noi eravamo preoccupati quando in gran segreto incontrava Gentiloni. Capiamo che chi ha speculato per anni sulla pelle degli immigrati, finanziando Ong e scafisti per far invadere l’Italia, ora sia consapevole che la pacchia è finita e qualsiasi pretesto è buono per attaccare”.

Soros aveva già detto la sua sulla situazione politica italiana in un intervento, pubblicato questa mattina sul Corriere della Sera, in cui si dice scettico sulle possibilità di lunga durata del nuovo esecutivo: “Quello che proporranno i due partner di governo verosimilmente supererà i limiti imposti dagli accordi in vigore: ciò potrebbe portare a una nuova crisi politica e il governo potrebbe cadere”, ha scritto Soros, secondo cui “il risultato delle prossime elezioni dipenderà molto da come l’Ue reagisce all’instabilità in Italia”.

E nel suo intervento il finanziere ha anche criticato l’atteggiamento dell’Unione Europea: “Invece di cercare di impartire lezioni, la Ue dovrebbe chiedersi che cosa ha da imparare da questo rimescolamento in Italia”, scrive ancora.  “Storicamente, il vostro Paese è sempre stato il più grande sostenitore della Ue perché i cittadini non si fidavano del loro governo. E per buone ragioni: i governi italiani tendevano a essere corrotti. Ma l’Europa non deve punire gli italiani per le colpe dei loro governi”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/03/governo-soros-sono-preoccupato-da-vicinanza-lega-m5s-alla-russia-bisogna-sapere-se-salvini-e-a-busta-paga-di-putin/4401321/

 

 

 

STORIA

Così l’URSS sconfisse il nazismo: la Storia della Seconda guerra mondiale che l’Occidente racconta raramente

L’Unione Sovietica s’è accollata l’80% dello sforzo bellico e ha pagato la vittoria con 27 milioni di morti. Eppure l’opinione pubblica occidentale attribuisce agli anglo-americani il merito di aver liberato il mondo da Hitler: una falsità sedimentata da una propaganda bellica perpetuata da falsi storiografi e celebrata da Hollywood.

di Michael Jabara Carley *

Traduzione di Rachele Marmetti

Ogni anno, il 9 maggio, la Federazione di Russia commemora un avvenimento storico d’importanza capitale: la Giornata della Vittoria. Il 9 maggio 1945 il maresciallo Georgij Kostantinovič Žukov, comandante il primo fronte bielorusso, che aveva devastato Berlino, ricevette la resa incondizionata dei tedeschi.

La Grande Guerra Patriottica è durata 1.418 giorni d’inimmaginabili violenza, distruzione e brutalità. Da Stalingrado e dal Caucaso settentrionale, passando per il nord-ovest della periferia di Mosca, sino ai confini occidentali dell’Unione Sovietica, sino a Sebastopol, nel sud, sino a Leningrado e alla frontiera con la Finlandia a nord: l’intero Paese è stato devastato. Si stima che le perdite civili – uomini, donne, bambini – ammontino a 17 milioni, benché sia impossibile stabilirne il numero esatto. Tante città e villaggi furono distrutti, intere famiglie spazzate via, senza che nessuno sia sopravvissuto per serbarne il ricordo e per rimpiangerle.

Alle vittime civili bisogna sommare i soldati russi: nelle battaglie per respingere il tremendo invasore nazista e nell’offensiva finale, che portò all’invasione di Berlino a fine aprile 1945, ne morirono oltre dieci milioni. Totale vittime russe: 27 milioni.

Nella marcia verso l’Occidente, i morti dell’Armata Rossa furono abbandonati insepolti o tumulati in fosse comuni. Non c’era tempo. La maggior parte dei cittadini russi ha perso famigliari durante la guerra. Nessuno è stato risparmiato.

La Grande Guerra Patriottica iniziò il 22 giugno 1940, alle 3.30 del mattino, quando la Wehrmacht invase l’Unione Sovietica lungo un fronte che si estendeva dal Mar Baltico al Mar Nero, con 3,2 milioni di soldati, suddivisi in 150 divisioni, 3.350 carri armati, 7.184 pezzi d’artiglieria, 600.000 camion e 2.000 aerei da combattimento. Gli eserciti di Finlandia, Italia, Romania, Ungheria, Spagna e Slovacchia, fra gli altri, si unirono all’esercito tedesco [1]. L’Alto Comando tedesco aveva stimato che l’Operazione Barbarossa avrebbe portato in 4-6 settimane alla capitolazione dell’Unione Sovietica. In Occidente, gli stati-maggiori statunitensi e britannici concordavano. Per di più non c’era esercito che potesse vantarsi di aver vinto la Wehrmacht. La Germania nazista era un colosso invincibile.  La Polonia era stata spazzata via in pochi giorni. Il tentativo franco-britannico di difendere la Norvegia era stato un fiasco. Quando la Wehrmacht attaccò a ovest, l’esercito belga abbandonò in fretta il campo. La Francia si arrese in poche settimane. A Dunkerque l’esercito britannico fu ricacciato, spogliato, senza armi né mezzi di trasporto [2]. Nella primavera del 1941 Jugoslavia e Grecia furono spazzate via, al minimo costo per i tedeschi.

Prima di giungere alla frontiera dell’Unione Sovietica, in Europa l’esercito tedesco aveva spazzato via ogni resistenza. L’Armata Rossa fu colta di sorpresa, mobilitata solo in parte perché il dittatore sovietico, Joseph Stalin, non aveva preso seriamente gli avvertimenti dei servizi segreti, o forse non voleva provocare Hitler. Fu la catastrofe. Però, a differenza di Polonia e Francia, l’Unione Sovietica non si arrese in 4-6 settimane. Le perdite dell’Armata Rossa furono colossali: due milioni di soldati morti nei primi tre mesi e mezzo di guerra, gli Stati baltici persi, Smolensk caduta; poi cadde di Kiev, nella più cocente disfatta dell’intera guerra. Leningrado assediata. Un vecchio chiese ai soldati: «Ma dove eravate trincerati?».
Caos ovunque. Ma, in luoghi come la fortezza di Brest-Litovsk, in centinaia di boschi, campi, snodi stradali, città e villaggi anonimi, l’Armata Rossa si batté fino all’ultimo respiro. Riuscì a evitare l’accerchiamento e poté raggiungere le proprie linee o sparire nelle foreste e nelle paludi della Bielorussia e del nord dell’Ucraina, indi organizzarsi in unità di resistenza e sferrare incursioni contro le retrovie tedesche. Alla fine del 1941 i soldati sovietici morti erano 3 milioni (in maggior parte prigionieri di guerra, uccisi per mano tedesca); 177 divisioni annientate. Tuttavia, l’Armata Rossa continuò a battersi, riuscendo a fine agosto a respingere i tedeschi a Ielnia, a sud-est di Smolensk. La Wehrmacht cominciò a sentire il morso di un’Armata Rossa scossa ma non prostrata. I tedeschi contavano perdite di 7.000 uomini al giorno: un’esperienza nuova per loro.

Nella scia della Wehrmacht, gli Einsatzgruppen, gli squadroni della morte delle SS, eliminavano ebrei, zingari, comunisti, prigionieri di guerra sovietici e chiunque si trovasse sul loro cammino. Per compiere questi crimini di massa poterono contare sull’aiuto dei collaborazionisti dei nazisti: baltici e ucraini. Le donne e i bambini sovietici venivano denudati e allineati davanti al plotone d’esecuzione. In pieno inverno i soldati tedeschi uccidevano gli abitanti dei villaggi o li costringevano a uscire dalle case, vestiti di soli stracci, e gli confiscavano le abitazioni, vestiti invernali e cibo.

In Occidente, quelli che avevano profetizzato una rapida disfatta russa, i sempiterni sovietofobi, non avevano di che rallegrarsi e si rassegnarono a rivedere le previsioni. L’opinione pubblica comprese che Hitler aveva messo i piedi in un pantano; nessun denominatore comune con la campagna di Francia. Benché la resistenza sovietica godesse del sostegno dell’uomo comune inglese, il governo britannico non mosse praticamente un dito. Alcuni membri del governo erano restii persino a considerare l’Unione Sovietica un alleato. Churchill vietò alla BBC di trasmettere, la domenica sera, l’inno nazionale sovietico, l’Internazionale, insieme agli inni degli altri alleati.

L’Armata Rossa, seppure ritirandosi, continuò a combattere disperatamente. Non era una guerra ordinaria, bensì una lotta di violenza inaudita, contro un invasore crudele, per difendere la propria casa, la propria famiglia, il proprio Paese, la stessa propria vita. In novembre l’Armata Rossa lanciò sopra le linee tedesche un volantino che citava Carl von Clausewitz, lo stratega militare prussiano: «È impossibile occupare o conquistare la Russia». Date le circostanze, si trattava ovviamente di una provocazione, non per questo priva di verità. Alla fine, a dicembre 1941, circa trecento chilometri a sud di Mosca, l’Armata Rossa, al comando di Georgij Žukov, respinse le truppe sfinite della Wehrmacht. Il mito dell’invincibilità dei nazisti era andato in frantumi. L’Operazione Barbarossa si rivelò troppo ambiziosa, l’offensiva lampo (Blitzkrieg) aveva fallito, e la Wehrmacht subì il primo scacco sul piano strategico. A Londra, Churchill permise a malincuore alla BBC di trasmettere l’inno sovietico.

Nel 1942 l’Armata Rossa, lasciata sola dagli alleati, continuò a subire sconfitte e pesanti perdite. Tuttavia, a novembre dello stesso anno, a Stalingrado, sul Volga, l’Armata Rossa lanciò una controffensiva che si concluse con una vittoria storica e con il ritiro della Wehrmacht alle posizioni di partenza; a eccezione del 6° corpo d’armata tedesco, intrappolato nel calderone di Stalingrado. Qui, 22 divisioni tedesche, fra le migliori, furono distrutte. Stalingrado fu la Verdun della Seconda guerra mondiale. «È un vero inferno!»; «No… È dieci volte peggio!»
Alla fine della campagna d’inverno del 1943 le perdite dell’Asse si moltiplicarono: un centinaio di divisioni tedesche, italiane, rumene e ungheresi furono annientate o devastate. Il presidente degli Stati Uniti, Franklin Roosevelt, riconobbe che le sorti del conflitto erano ribaltate: l’ultima ora della grande Germania era suonata.

Febbraio 1943, sedici mesi prima dello sbarco in Normandia. Non una sola divisione britannica, statunitense o canadese si stava battendo in Europa contro la Wehrmacht. Britannici e statunitensi stavano combattendo in Nord Africa contro due o tre divisioni tedesche: una passeggiata a confronto del fronte russo. L’opinione pubblica occidentale sapeva chi stava portando l’intero fardello della guerra contro la Wehrmacht. Nel 1942 l’80% delle divisioni dell’Asse erano impegnate a combattere contro l’Armata Rossa. All’inizio del 1943 c’erano 207 divisioni tedesche sul fronte orientale. A luglio 1943 i tedeschi tentarono il tutto per tutto e lanciarono un’ultima offensiva contro la “cittadella” di Kursk. L’operazione fu un fallimento. L’Armata Rossa lanciò una controffensiva attraverso l’Ucraina, che portò in novembre alla liberazione di Kiev. Un mese prima, più a nord, Smolensk era stata liberata.

Lo stato d’animo dei sovietici e dell’Armata Rossa era ammirevole. Il corrispondente di guerra Vasilij Semënovič Grossman ne ha colto l’essenza nel suo diario, Uno scrittore in guerra (1941-1945), Adelphi Edizioni.

Nel 1942 Grossman scriveva: «I veicoli, l’artiglieria avanzano in silenzio. All’improvviso si sente una voce rauca. “Ehi! Qual è la strada per Berlino?”. Scoppio di risate».

Non sempre i soldati erano valorosi. Talvolta disertavano.

«Un capo di battaglione, armato di due revolver, si mise a urlare, “Dove correte, sporchi figli di… Avanti, in marcia! Per la Madre Patria, per Gesù Cristo, banda di rotti in c…! Per Stalin, pezzi di merda! …”».

Ritornarono al loro posto. Questi tipi furono fortunati, l’ufficiale avrebbe potuto abbatterli. Il che succedeva, a volte. Un soldato si è offerto volontario per giustiziare un disertore.

«Hai sentito pietà per lui?» gli chiede Grossman.

«Come si fa a parlare di pietà?!» gli risponde il soldato.

A Stalingrado, sette uzbeki furono accusati di autolesionismo. Furono tutti giustiziati. Grossman lesse una lettera ritrovata nella tasca di un soldato sovietico morto. «Mi manchi tanto. Vieni a trovarmi, per piacere… Mentre scrivo queste parole le lacrime bagnano il foglio. Papà, per favore, vieni a trovarmi…».

Le donne hanno combattuto nella resistenza, a fianco degli uomini, come cecchine, artigliere, carriste, piloti, infermiere. Hanno aiutato anche le forze armate. «I villaggi sono diventati il regno delle donne», scrive Grossman. «Le donne guidano i trattori, fanno la guardia ai depositi, alle scuderie… Le donne si assumono un enorme carico di lavoro. Si prendono ogni responsabilità, spediscono al fronte pane, aerei, armi e munizioni».
Quando i combattimenti infuriavano sul Volga, le donne non hanno rimproverato ai loro uomini di aver ceduto tanto terreno. «Solo uno sguardo, non una parola», scrive Grossman «… nemmeno una punta di amarezza». Benché, talvolta, nei villaggi vicino al fronte le cose siano andate diversamente.
Nel frattempo, gli alleati attaccarono l’Italia. Stalin aveva preteso a lungo l’apertura di un secondo fronte in Francia, ma Churchill si era sempre opposto. Voleva attaccare l’Asse nel suo punto debole, non per aiutare l’Armata Rossa, bensì per controbilanciarne l’avanzata nei Balcani. L’intento era attraversare rapidamente il nord della penisola italiana, arrivare nei Balcani, e così bloccare l’avanzata dell’Armata Rossa. Berlino però era a nord-nord est. Il piano di Churchill era destinato al fallimento; gli Alleati occidentali entrarono a Roma solo nel giugno del 1944. In Italia c’erano circa 20 divisioni tedesche che combattevano contro forze alleate numericamente superiori. A est c’erano ancora oltre duecento divisioni dell’Asse, ossia dieci volte quelle in Italia. Il 6 giugno 1944, quando in Normandia ebbe inizio l’Operazione Overlord, l’Armata Rossa rimase sulle frontiere polacche e rumene. Una quindicina di giorni dopo lo sbarco in Normandia, l’Armata Rossa lanciò l’Operazione Bagration, una massiccia offensiva che portò a uno sfondamento al centro del fronte orientale tedesco e a un’avanzata di oltre 500 chilometri a occidente, mentre gli alleati occidentali erano bloccati nella penisola del Cotentin, in Normandia [3].

Non si poteva resistere all’Armata Rossa. La caduta della Germania nazista era solo questione di tempo. Quando la guerra finì, nel 1945, risultò che l’Armata Rossa era responsabile dell’80% delle perdite della Wehrmacht. Questa percentuale si alza se si considera il periodo che precede lo sbarco in Normandia. «Chi non ha vissuto la durezza dell’estate 1941» scrive Grossman «non potrà apprezzare pienamente la gioia della vittoria». Le truppe, e il popolo, cantavano tanti inni per tenere alto il morale.

Sviashchennaiavoina, La Sacra Guerra, era uno dei più popolari. I russi si alzano ancora in piedi quando lo sentono.

Gli storici stanno ancora discutendo su quando datare l’inizio della guerra in Europa. Alcuni propongono il 22 giugno 1941, quando la Wehrmacht ha varcato la frontiera dell’Unione Sovietica. Altri vorrebbero fossero le battaglie di Mosca, Stalingrado o Kursk. Durante la guerra, l’opinione pubblica occidentale sembrava dalla parte dell’Armata Rossa più di quanto lo fossero alcuni leader occidentali, come Winston Churchill, per esempio. Quanto a Roosevelt, era un politico molto più pragmatico e riconobbe di buon grado il ruolo preponderante dei sovietici nella guerra contro la Germania nazista. L’Armata Rossa, disse nel 1942 Roosevelt a un dubbioso generale, ha ucciso più soldati e distrutto più carri armati tedeschi di tutta la coalizione alleata messa insieme. Roosevelt sapeva che l’Unione Sovietica era il fulcro della grande coalizione contro la Germania nazista. Io chiamo FDR (Franklin Delano Roosevelt) il padrino della Grande Alleanza. Ciononostante, i detrattori dell’Unione Sovietica erano acquattati nell’ombra, in attesa del momento giusto per riemergere. Tanto più la vittoria sulla Germania nazista sembrava assicurata, tanto più rumorosi si fecero gli oppositori della Grande Alleanza.

Gli Stati Uniti possono essere un po’ suscettibili quando si parla del ruolo fondamentale dell’Armata Rossa nella distruzione della Wehrmacht. Replicano: «Che ne dite della Legge Affitti e Prestiti? [Lend-Lease Act dell’11 marzo 1941, che permise agli Stati Uniti di fornire agli Alleati grandi quantità di materiale, ndt] Senza il nostro sostegno logistico, l’Unione Sovietica non avrebbe sconfitto i tedeschi».

In realtà, la maggior parte del materiale fornito con la Legge Affitti e Prestiti arrivò in Unione Sovietica solo dopo Stalingrado. I soldati dell’Armata Rossa chiamavano scherzosamente le scatole di conserva arrivate dagli Stati Uniti «il secondo fronte», dal momento che quello vero tardava ad arrivare. Nel 1942 l’industria sovietica produceva già molte più armi della Germania nazista. Il T-34 era un carro americano o  sovietico? Stalin si è sempre detto riconoscente al governo USA per le jeep e i camion Studebaker. Hanno accresciuto la mobilità dell’Armata Rossa. Voi americani avete fornito l’alluminio, sono soliti rispondere i russi, noi… il sangue. Fiumi di sangue…

Al termine della guerra, Gran Bretagna e Stati Uniti iniziarono subito a pensare a un’altra guerra, questa volta contro l’Unione Sovietica. A maggio 1945 l’alto comando britannico ideò il piano Unthinkable (Impensabile), un’offensiva top-secret, rafforzata dai prigionieri di guerra tedeschi, contro l’Armata Rossa.

Che bastardi! Che ingrati! A settembre 1945 gli Stati Uniti previdero l’uso di 204 bombe atomiche per cancellare l’Unione Sovietica dalla carta geografica. Il presidente Roosevelt era morto in aprile e in poche settimane gli americani sovietofobi ne ribaltarono la politica. La Grande Alleanza fu solo una tregua nella Guerra Fredda iniziata a novembre 1917, dopo la presa di potere dei Bolscevichi, e ripresa nel 1945, alla fine del conflitto.

In quell’anno i governi degli Stati Uniti e del Regno Unito avevano ancora contro l’opinione pubblica. In Europa e negli Stati Uniti chiunque sapeva benissimo a chi sarebbe stata attribuita la sconfitta della Wehrmacht. Non si poteva adottare nuovamente, come nulla fosse, la strategia trita e ritrita dell’odio contro l’Unione Sovietica, senza prima far dimenticare il ruolo preponderante dell’Armata Rossa nella comune vittoria contro la Germania di Hitler. Gli Occidentali hanno perciò rispolverato il dossier del Patto di non-aggressione tra Hitler e Stalin dell’agosto 1939, omettendo intenzionalmente alcuni fatti antecedenti, come l’opposizione franco-inglese alla proposta sovietica di un trattato di sicurezza collettiva contro la Germania nazista e, soprattutto, il tradimento nei confronti della Cecoslovacchia, consegnata ai tedeschi con l’Accordo di Monaco del 1938. Come ladri nella notte, Londra e Washington svaligiarono la storia e si attribuirono il merito della vittoria contro la Germania nazista.
Già a dicembre 1939 i britannici pianificarono di pubblicare un libro bianco che attribuiva a Mosca la responsabilità del fallimento dei negoziati (primavera-estate 1939) per un’alleanza tra inglesi, francesi e sovietici. I francesi si opposero perché il libro bianco rischiava di rendere consapevole l’opinione pubblica del ruolo effettivo svolto dalla resistenza sovietica contro il nazismo, ben diverso da quello svolto da inglesi e francesi. Il libro bianco finì perciò nel dimenticatoio. Nel 1948 il Dipartimento di Stato diffuse una serie di documenti che attribuivano la responsabilità della Seconda guerra mondiale a Hitler e a Stalin. Mosca rispose pubblicando a sua volta documenti che mettevano in luce le affinità tra mondo occidentale e nazismo. La propaganda occidentale spese molta energia per far assimilare all’opinione pubblica l’immagine dell’Unione Sovietica come firmataria del Patto di non-aggressione, invece che come la principale protagonista dell’annientamento della Wehrmacht.
C’è qualcuno che possa dire di non aver visto uno di quei film di Hollywood in cui lo sbarco in Normandia è presentato come la svolta decisiva della guerra? «Cosa sarebbe accaduto se lo sbarco fosse fallito?» si sente dire spesso.

«Oh… non sarebbe cambiato molto» è la risposta appropriata. La guerra sarebbe durata più a lungo e l’Armata Rossa, arrivando da est, avrebbe piantato le sue bandiere sulle spiagge della Normandia. Ci sono anche i film che presentano la campagna di bombardamenti alleati contro la Germania come fattore decisivo per la vittoria. Nei film di Hollywood l’Armata Rossa è invisibile. È come se gli americani (e gli inglesi) si ornassero di allori che non hanno meritato.

Affrontando la seconda guerra mondiale, mi piace fare ai miei studenti questa domanda: chi ha sentito parlare dell’Operazione Overlord? Tutti alzano la mano. Poi chiedo: chi ha sentito parlare dell’Operazione Bagration? Quasi nessuno. Allora chiedo: chi ha vinto la guerra contro la Germania nazista? Gli americani, mi rispondono. Pochi studenti, generalmente quelli che hanno già seguito altri miei corsi, rispondono: l’Unione Sovietica.
Difficile per la verità farsi strada in un mondo occidentale dove le fakes news sono la norma. L’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la cooperazione in Europa) e il parlamento europeo attribuiscono la responsabilità della guerra all’Unione Sovietica, sottintendendo [la continuità con l’odierna] Russia e il suo presidente, Vladimir Putin. In questa baraonda di accuse senza fondamento, Hitler viene quasi dimenticato. Questa disonesta versione della storia è sostenuta dagli Stati Baltici, dalla Polonia e dall’Ucraina, che urlano il loro odio per la Russia. Oggi i Paesi Baltici e l’Ucraina celebrano come gloria nazionale i collaborazionisti e le loro gesta. In Polonia, per alcuni la pillola è dura da ingerire; si ricordano troppo bene dei collaborazionisti [dei nazisti] ucraini che hanno assassinato decine di migliaia di polacchi in Volinia. Sfortunatamente, questi ricordi non hanno impedito ai teppisti polacchi di vandalizzare i monumenti ai morti dell’Armata Rossa e di profanare cimiteri di guerra sovietici. Oggi i nazionalisti polacchi non vogliono ricordarsi che l’Armata Rossa ha liberato la Polonia dall’invasore nazista.

In Russia, tuttavia, la propaganda mendace degli occidentali non produce alcun effetto. L’Unione Sovietica e anche la Federazione Russa hanno prodotto propri film sulla Seconda guerra mondiale. I più recenti sono sulla difesa della fortezza di Brest-Litovsk e di Sebastopoli, e sulla battaglia di Stalingrado. Il 9 maggio, ogni russo rivolge un pensiero ai milioni di soldati che hanno combattuto e hanno perso la vita e ai milioni di civili che hanno sofferto e sono morti nelle grinfie dell’invasore nazista. I veterani, ogni anno sempre meno numerosi, indossano uniformi che non sono più della loro taglia o giacche logore coperte di medaglie e riconoscimenti vari. «Trattateli con tatto e rispetto», scrive Žukov nelle sue memorie: «È il meno che possiate fare, dopo tutto quello che hanno fatto per voi tra il 1941 e il 1945». Qualche anno fa, nel Giorno della Vittoria, osservandoli mi sono chiesto come abbiano potuto farcela dovendo convivere con la minaccia permanente di morte, con la desolazione e con così tante difficoltà.

Ogni anno, il 9 maggio sfila il reggimento degli “immortali”. I russi sparsi nelle città del Paese e all’estero marciano insieme a loro, portando grandi fotografie dei loro cari, uomini e donne, che hanno combattuto in guerra. «Non vi dimentichiamo e non vi dimenticheremo mai», sembrano voler dire.

[1]
Adolf Hitler, che aveva sperimentato l’inettitudine bellica degli italiani in Albania, in Grecia e in Africa (tutti teatri dove fu costretto a intervenire per soccorrerli), non li voleva tra i piedi anche nella campagna contro l’Unione Sovietica. Ma Benito Mussolini insistette, così il Führer si rassegnò ad accettarne l’offerta di truppe. Il Duce cominciò a spedirne in URSS il 10 luglio 1941: 62 mila uomini, che in seguito divennero 229 mila. Il loro rimpatrio, al netto di legioni di morti e dispersi, terminò a febbraio 1942. Come Hitler aveva previsto, l’armata italiana in URSS si rivelò, per i tedeschi, più un peso che un ausilio. Le truppe del Duce erano poco addestrate, ancor meno inclini all’eroismo guerriero e soprattutto male equipaggiate: abbigliamento inadeguato alle rigidità climatiche, fucili obsoleti, rari e leggeri carri armati impotenti dinanzi ai T-34 sovietici. Ndt.

[2]
Recenti ricerche storiche, alimentate anche da inediti documenti provenienti dal bunker del Führer a Berlino e recuperati dai sovietici che lo conquistarono, hanno acclarato come Hitler avesse ordinato di non infierire sulle truppe inglesi accerchiate a Dunkerque, in modo da consentire loro di rifugiarsi in Gran Bretagna. Tale atto di clemenza va iscritto nelle speranze, che all’epoca Hitler evidentemente non aveva smesso di coltivare, di un’intesa, se non proprio di un’alleanza, con Londra, in nome del comune anticomunismo. Ndt.

[3]
L’Operazione Bagration prese nome da Piotr Ivanovic Bagration, maresciallo russo incaricato della difesa della Russia da Napoleone. Ndt.

*) Docente di storia all’università di Montreal (Canada)

 

ORIGINALE, CORREDATO DA FOTO DI REPERTORIO :

The Russian V-Day Story (Or the History of World War II Not Often Heard in the West)

http://www.ilcronista.eu/180509SeVDay.html

 

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