NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 3 MAGGIO 2019

http://www.ilviaggiodellacostituzione.it/blog/le-21-donne-della-costituente

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

3 MAGGIO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

I soldi sono rotondi e rotolano.

Proverbi italiani, SugarCo, 1990, pag, 57

 

http://www.dettiescritti.com/

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

 

Il piano di Mattarella se cade Conte: un Governo tutti contro Salvini 1

Sotto processo la linea morbida di Bergoglio. 1

Lo strano caso dell’Anpi, la “partigianeria” senza più i partigiani 1  

Il de profundis del cristianesimo

Il vescovo ora parla chiaro: “Islam e Corano violenti”. 1

NON SOLO AIPAC: CENTINAIA DI GRUPPI PRO-ISRAELIANI STANNO DETERMINANDO LA POLITICA DEGLI STATI UNITI 1

La grande alienazione. 1  

La rete non è libera

Assange e le manette alla libertà di stampa. 1

Mare Jonio, schiaffo alla Ong: diffidata dalla Guardia costiera. 1

Ray Dalio dice che la MMT sta arrivando. Che ci piaccia o no. 1

I marinai italiani sul fronte di Tripoli 1 

È sbagliato storicamente che l’Anpi monopolizzi la festa della liberazione   

Ripropongo perché la tv lo ha censurato

Le 21 donne della Costituente. 1

 

 

IN EVIDENZA

Il piano di Mattarella se cade Conte: un Governo tutti contro Salvini

30 aprile 2019

Dicono tutti che dopo le Europee il Governo non cadrà. Ma le tensioni nella maggioranza ci sono. E ci sono quelli che lavorano per un Governo post-gialloverde. In primis il presidente della Repubblica

 

I palazzi della politica italiana sono già proiettati alla mattina del 27 maggio. Quel giorno si conosceranno i nuovi rapporti di forza fra Lega e Movimento Cinque Stelle. E sempre quel giorno tutti i riflettori saranno puntati sul Colle più alto, dove riesiede il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Dalla sua scrivania, armato di penna e calamaio, l’inquilino del Quirinale farà di conto sulle maggioranze possibili e alternative all’attuale esecutivo gialloverde.

Risulta chiaro, ai massimi livelli, che qualcosa succederà, anche se ancora ieri Matteo Salvini e Luigi Di Maio continuavano a declamare all’unisono che «non succederà nulla dopo le Europee». Che tutto resterà invariato: i ministri, il governo, la legislatura. Né tantomeno osano pronunciare la parola «rimpasto». Non sia mai. «L’esecutivo durerà altri quattro anni, fatevene una ragione», mormorano i peones della Lega e dei Cinque Stelle. Pure nei giorni dell’affaire Siri, dello scontro sull’autonomia e, soprattutto, dell’apertura del piddino Delrio ai pentastellati – poi smentita – su una sorta di mini-agenda che ruoterebbe attorno ai tagli della politica, alla sanità pubblica, al conflitto di interesse.

“Risulta chiaro, ai massimi livelli, che qualcosa succederà, anche se ancora ieri Matteo Salvini e Luigi Di Maio continuavano a declamare all’unisono che «non succederà nulla dopo le Europee»

Ecco, nei giorni dell’apertura dei dem ai grillini c’è chi sostiene che dietro ci sarebbero i piani della politica. Leggi alla voce: Quirinale. Mattarella è stato eletto per essere un notaio della Repubblica dopo il settennato più uno di Giorgio Napolitano. Tifoso della stabilità, nel corso delle famose consultazioni dopo il 4 marzo 2018 il presidente della Repubblica provò ad eterodirigere lo stato maggiore di Pd e del M5S. L’obiettivo era un esecutivo giallorosso per istituzionalizzare i grillini. Anche perché all’interno del Nazareno c’è chi ancora oggi sostiene che «I grillini sono dei compagni che sbagliano».

Il potenziale esecutivo, allora, venne annientato dal no di Matteo Renzi e dei suoi fedelissimi, ma in politica quattordici mesi rappresentano un’eternità. E di conseguenza il 27 maggio 2019 qualsiasi scenario appare non peregrino. Non a caso, si dice con una certa contezza, che «all’indomani del voto che segnerà con molta probabilità l’exploit del Carroccio il quadro politico cambierà». Come? Non è dato sapere. Di certo, in quel momento Salvini potrà decidere se stare dentro e continuare l’esperienza di governo. Oppure se incassare e tornare al voto.

A Montecitorio sottotraccia in pochi si dicono convinti che il tappo salterà e si andrà alle urne. In primo luogo perché la finestra elettorale è ridotta. Difficile che si possa votare nel mese luglio. Né tantomeno ai primi ottobre a pochi giorni dall’invio della legge di bilancio ai commissari di Bruxelles. E allora se i due contraenti, di Maio e Salvini, dovessero decidere di rompere «il patto generazionale» la parola passerebbe al Quirinale. Pare difficile che Mattarella sciolga le Camere. E allora gli

 

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Sotto processo la linea morbida di Bergoglio

Sul web attacchi mirati contro la cerchia di Francesco: “L’islam non è religione di pace”

Riccardo Cascioli –  24/04/2019

Basterebbe leggere le risposte dure e arrabbiate di decine e decine di persone ai tweet e ai post su Facebook di padre Antonio Spadaro sulla strage in Sri Lanka, per rendersi conto dei mal di pancia che attraversano il mondo cattolico riguardo alla «linea» sul rapporto con l’islam.

Padre Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, è la vera eminenza grigia di questo pontificato e dunque la sua interpretazione di quanto avvenuto in Sri Lanka inevitabilmente viene letta come quella ufficiale della Santa Sede. Dunque, la parola d’ordine è: parlare genericamente di terrorismo senza mai indicare l’islam; non sottolineare troppo che le vittime sono cristiane, e cattoliche in particolare; indicare che l’obiettivo del terrorismo sono tutte le religioni e la loro convivenza.

«Analisi fasulla, superficiale e totalmente ipocrita», è uno dei commenti più gentili; «Dare notizie fasulle è grave, da lei è inaccettabile. I morti in Sri Lanka erano cristiani e gli assassini musulmani. Si informi»; e così via, e ogni tentativo di replica del direttore della Civiltà Cattolica moltiplica lo sdegno dei suoi interlocutori. Del resto, l’approccio di padre Spadaro viene replicato dagli altri uomini più vicini a Papa Francesco: Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, non nomina l’islam e si riferisce a non

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Lo strano caso dell’Anpi, la “partigianeria” senza più i partigiani

Mercoledì 24 Aprile 2019 di Mario Ajello

Il numero dei partigiani, sul finire del fascismo, man mano che avanzavano gli alleati e la lotta si faceva meno pericolosa, ebbe un crescendo come quello del Bolero di Ravel. 10mila furono i combattenti dopo l’8 settembre del ‘43, poi 20-30 mila nel febbraio-marzo del ‘44 e successivamente – i numeri certificati sono usciti sul Portale dell’Archivio centrale dello Stato – diventarono 130mila nei giorni precedenti il 25 aprile del ‘45, quando ci fu la Liberazione. Nei giorni successivi, a bocce ferme o quasi, a pericolo scampato, i dati ufficiali dicono che i partigiani arrivarono a 250mila.

LA COINCIDENZA
Ma la cifra che interessa è quella del 25 aprile e in quella data erano, appunto, 130mila. Proprio quanti sono, oggi, gli iscritti all’Anpi. Curiosa coincidenza matematica. Quindi sono tutti vivi e vegeti i partigiani del 25 aprile del ‘45? Ma figuriamoci. Anzi ne sono rimasti in vita ben pochi. Perché un combattente partigiano quarantenne nel ‘45 (età media dei comandanti di quelle brigate) adesso avrebbe 124 anni. Un trentenne di allora avrebbe oggi 114 anni. Un ventenne in armi contro i nazifascisti in quell’Italia da guerra civile ormai sarebbe un 94enne. E qualcuno in vita ancora c’è.

CIFRE
Ma di partigiani veri (o accreditati come tali) nell’Anpi dei 130mila iscritti se ne contano pochi. E la cifra delle vecchie glorie, fatalmente, col passare del tempo s’assottiglia sempre di più. In un andamento opposto a quello che accadde dopo la Liberazione, quando si trattò di riscuotere la pensione da partigiano. I 250mila del post 25 aprile del ‘45 sarebbero lievitati a 650mila, sempre stime dell’Archivio centrale di Stato, nel momento di avanzare la richiesta di riconoscimento (in gran parte non documentate) come combattente della Resistenza antifascista nelle brigate Garibaldi, nel Corpo dei volontari della libertà e affini.

Se si veniva annoverati nelle liste dei miliziani, si conquistava una paghetta non indifferente: tra le mille e le cinquemila lire.

EPOPEA MINORITARIA
E comunque, l’epopea partigiana fu tutt’altro che maggioritaria. Anzi, non fu affatto un fenomeno di massa, come ormai è chiaro a tutti gli studiosi, la Resistenza italiana. Mentre nel suo piccolo – i paradossi della storia! – sembra quasi un’organizzazione di massa l’attuale Anpi con i suoi 130mila tesserati. E così questa – che come in tutti i 25 aprile sta giocando da protagonista in queste ore e tiene alta la guardia contro il «ritorno del fascismo» nelle celebrazioni e nei picchetti – è un’associazione di partigiani senza partigiani ma partigiana. Ossia che fa politica. Non rappresenta più, per mancanza di materia prima, l’esercito (esiguo) dei combattenti di 75 anni fa e potrebbe o dovrebbe chiamarsi altrimenti: come uno dei tanti partitini a sinistra del Pd.
Gli aderenti sono per lo più nella fascia tra i 35 e i 65 anni, e gli altri sono ragazzi di vent’anni.

Che s’iscrivono all’Anpi, perché «ora e sempre Resistenza!» e perché – secondo la teoria di Umberto Eco, giudicata assurda anche da molti suoi amici – esiste il «fascismo eterno», l’ur-fascismo, e dunque questa costante antropologico-politica deve avere eternamente qualcuno che la contrasta.

CHI FINANZIA L’ANPI?

Le entrate delle donazioni del 5 per mille, e secondo i dati relativi al 2013 tramite questo canale sono arrivati nelle casse dell’associazione oltre 218mila euro (non tantissimi ma neanche pochi) e la cifra continua più o meno una ad aggirarsi su questo standard. A questi soldi vanno aggiunti quelli che tutte le associazioni combattentistiche e partigiane ricevono dal ministero della Difesa. La somma per l’Anpi è la più alta ed è cresciuta nel corso del tempo: fino a quota 108mila all’anno. E poi c’è il tesseramento: 15 euro a testa. E si distribuiscono tessere ad honorem: hai un lontano cugino di cui in famiglia si narra che abbia sacramentato contro un nazifascista? Meriti una tessera onoraria. Hai un amico che si è distinto in qualche impresa lassù in montagna? Lui non c’è più, perché magari caduto combattendo, e la tessera spetta a te.

UN PARTITO
Come partito politico, l’Anpi s’è schierata contro il referendum costituzionale voluto, e perduto, da Renzi. Fa da sentinella a ogni sbandamento del Pd dalla retta via dell’antifascismo militante sempre e comunque. Gioca di sponda con la Cgil e con i movimenti ieri in lotta contro Berlusconi e ora in guerra contro Salvini (molti tesserati nuovi all’indomani delle elezioni del 4 marzo e a Milano quasi 500 iscritti in più da allora). Si autodefinisce «una casa comune che difende diritti e Costituzione» e soltanto a Roma e

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BELPAESE DA SALVARE

IL DE PROFUNDIS del CRISTIANESIMO

Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno – 1 05 2019

 

Questo è il prossimo nostro futuro delle nostre donne, madri e figlie. Questa è l’aberrazione a cui le STOLTE e MESCHINE ignominiose reiette figure come:

 

  • la ex “presidenta” della Camera,
  • la stagionata radical-chic con la bandana,
  • l’attuale alta rappresentante dell’UE per gli affari esteri e
  • il GESUITA POLITICANTE,

 

con tutta quella feccia pseudo intellettuale che blatera su ipotetici e inesistenti pericoli fascisti, ci condannano in nome di una scriteriata e folle accoglienza di un mondo violento, maschilista, subumano e pieno di rabbioso odio per la LIBERTÀ, ci condannano all’ESILIO e/o all’estinzione.

 

Oggi, 30 aprile 2019, io affermo nella piena libertà del mio pensiero e di espressione che tutto ciò è stato voluto e ben ordito da coloro che vedono nell’Islam uno strumento di controllo delle masse e dei loro consumi e

 

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Il vescovo ora parla chiaro: “Islam e Corano violenti”

Monsignor Pieronek, vescovo polacco: “Non credo sia corretto distinguere tra Islam buono e Islam cattivo. L’Islam si basa sul Corano un testo nel quale la violenza esiste ed è contemplata”

Claudio Cartaldo – Mar, 29/03/2016

 

Non usa mezzi termini, monsignor Tadeusz Pieronek, vescovo già segretario della Conferenza episcopale polacca.

Non escludo che possa esserci un piano per cancellare la identità dell’Europa, collegato al flusso di migranti“, ha detto in una intervista al quotidiano online cattolico lafedequotidiana.it. Parole dure, dirette, contro l’islam che continua ad insanguinare l’Occidente. Altro che dialogo, altro che integrazione. “L’Occidente – sentenzia mons. Pieronek – da molta parte degli islamici è visto come nemico e questo abbiamo il dovere di considerarlo. Certamente esistono islamici bravi e non violenti, e con loro dobbiamo dialogare e convivere, ma per tanti di loro eravamo e siamo infedeli da sottomettere“. Infatti “non credo che sia corretto fare la distinzione tra Islam buono e Islam cattivo. L’Islam si basa sul Corano un testo nel quale la violenza esiste ed è contemplata. Semmai esistono singoli islamici buoni e cattivi come dappertutto. Questo non elimina il mio giudizio sul Corano che è la base dell’Islam, siamo al cospetto di un libro nel quale si predica la

 

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CONFLITTI GEOPOLITICI

NON SOLO AIPAC: CENTINAIA DI GRUPPI PRO-ISRAELIANI STANNO DETERMINANDO LA POLITICA DEGLI STATI UNITI

 1 Maggio 2019 di Philip Giraldi (*)

 

La preoccupazione che Israele stia perdendo la presa sui politici statunitensi sta facendo moltiplicare ancora più gruppi di pressione filosionisti.

Nuove organizzazioni dedicate a “difendere” Israele stanno proliferando a causa delle preoccupazioni che il popolo americano stia finalmente prendendo coscienza sul fatto di essere stato derubato da una vasta cospirazione sionista negli ultimi 70 anni.

Ironia della sorte, mentre è diventato possibile criticare Israele anche nei media mainstream, lo stesso governo degli Stati Uniti è diventato più saldamente accessibile dalla lobby israeliana, fatto recentemente manifestatosi sotto forma di delibere approvate dal Congresso che promettono amore e affetto per il criminale di guerra Benjamin Netanyahu e tutte le sue opere. Questo è dovuto in gran parte all’efficace lobbismo da parte dell’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), che si è riunita a Washington a marzo e ha attirato 18.000 dei suoi sostenitori per manifestare e fare pressione sui loro membri del Congresso.

La storia d’amore del Congresso con Israele è stata accompagnata da miliardi di dollari in tributi a favore di quello stato, un contribuente garantito annualmente, oltre a un impegno de facto per inviare soldati americani a combattere e morire per Israele, anche se Netanyahu inizia una guerra senza motivo.

Con una stima approssimata ci sono 600 gruppi filo Israele operanti negli Stati Uniti con l’obiettivo di promuovere gli interessi di Israele. Essi gestiscono le istanze, politicamente parlando, e includono organizzazioni orientate a sinistra, come J Street, che sostengono in modo aggressivo una soluzione a due stati per Israele-Palestina, ignorando allo stesso tempo il fatto che Israele ha espanso i suoi insediamenti in modo tale da rendere irrealizzabile uno stato palestinese. All’estrema destra c’è un gruppo fondato nel 2010, che si autodefinisce il Comitato di emergenza per Israele (ECI), guidato nientemeno che da Bill Kristol, ex redattore dell’ormai fortunatamente defunta rivista Weekly Standard . La commissione ECI ha incluso Rachel Abrams, moglie del criminale perdonato Elliott Abrams, che sta attualmente cercando di distruggere il Venezuela.

L’ECI è in gran parte inattivo al momento attuale, ma quando è stato lanciato ha affermato di essere il più filoisraeliano di tutti i gruppi filo-israeliani, il che sarebbe un bel risultato. Fu molto attivo nel 2010-14 quando pubblicò annunci a tutta pagina contro gruppi di difesa liberale, attaccò il movimento di Occupy Wall Street per essere antisemita e criticò i singoli deputati per non essere sufficientemente filoisraeliani. Nel 2013 il gruppo si è opposto alla proposta di nomina di Chuck Hagel come segretario alla difesa perché un tempo aveva criticato lievemente Israele. La recente polemica sui commenti critici nei confronti di Israele e della sua lobby fatta dalla neoeletta rappresentante Ilhan Omar (D-Minn.) ha scatenato un’ondata di attivismo filoisraeliano all’interno e nei dintorni del Congresso. Alla fine di gennaio un nuovo gruppo politico è stato formato da diversi eminenti democratici veterani, “allarmati dalla deriva del partito dopo il suo lungo allineamento con Israele”. Il nuovo gruppo, che si autodefinisce la maggioranza democratica per Israele (DMI), sosterrà Candidati del Partito Democratico che “si dimostrano fermamente” sostenitori dello stato ebraico.

 

Israel Lobby , AIPAC

 

Il gruppo, guidato da Mark Mellman, un importante sondaggista del Partito Democratico, ha già finanziamenti “sostanziali” dai soliti donatori del Partito Democratico Ebraico ed è interessato ad assistere potenziali candidati che sostengono in modo inequivocabile Israele a causa di “valori condivisi” e il suo contributo come “uno dei più forti alleati dell’America”. Il sito Web promette: “Lavoreremo per mantenere e rafforzare il sostegno a Israele tra i leader democratici, compresi i candidati presidenziali e congressuali, così come con la base dei movimenti progressisti. Ci impegniamo a farlo perché riconosciamo che il rapporto dell’America con Israele, l’unica democrazia in Medio Oriente, è reciprocamente vantaggioso e basato su valori condivisi e interessi condivisi “.

A causa del fatto che i valori e gli interessi comuni sono difficili da identificare – poiché difficilmente esistono e Israele non è né un alleato né una democrazia – potrebbe essere una dura slittata per convincere gli scettici del valore reale della relazione per gli americani. Al contrario, si sospetta che il gruppo farà affidamento sui soliti richiami al sentimento tribale o religioso e alle citazioni dell’olocausto accoppiato a minacce di antisemitismo contro coloro che mettono in discussione la formula. In realtà, la DMI, che sarà attiva nelle primarie statali, creerà probabilmente

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https://www.controinformazione.info/non-solo-aipac-centinaia-di-gruppi-pro-israeliani-stanno-determinando-la-politica-degli-stati-uniti/

 

 

 

 

 

CULTURA

La grande alienazione

di LELIO DEMICHELIS

Lelio Demichelis ha scritto un nuovo saggio su un tema oggi dimenticato o rimosso, quello della alienazione: “La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo” (Jaca Book). Il libro apre la nuova Collana Dissidenze, curata da Demichelis e finalizzata a pubblicare testi di pensiero critico – dissidente, appunto – sul capitalismo e la tecnica e le trasformazioni/involuzioni anche antropologiche che stanno producendo. Di seguito, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo alcune pagine tratte dalla Introduzione.

Non il pensiero teoretico

bensì la sua decadenza favorisce l’obbedienza

ai poteri costituiti, siano questi

rappresentati dai gruppi che controllano il capitale

o da quelli che controllano il lavoro.

Max Horkheimer, Eclisse della ragione

Poesia

è rifare il mondo,

dopo il discorso devastatore

del mercadante.

David Maria Turoldo, Nel segno del Tau

Il nuovo avanza a grandi passi, inarrestabile, magnifico, democratico, libertario, individualista, postcapitalista, moltitudinario, soprattutto tecnologico. Questo dicono le retoriche – lo storytelling, la propaganda, il determinismo tecnico e neoliberale – di questi ultimi trent’anni. In verità i processi tecnologici e capitalistici in corso producono effetti totalmente opposti rispetto alle promesse, allo storytelling e alla propaganda mainstream. Ma è sbagliato credere – per le macerie sociali, culturali, antropologiche e politiche (compreso il populismo) che tecnica e neoliberalismo lasciano dietro di sé – che ciò che abbiamo definito come tecno-capitalismo sia in crisi o al tramonto. Continua infatti a produrre egemonia e dominio per sé, contro la società, l’individuo e l’ambiente. Ma il tutto è ben mascherato dal sistema stesso, posto che nessuno si ribella, nessuno cerca alternative – e anche il populismo è una merce politica funzionale al tecno-capitalismo – e tutti si adattano alle dinamiche del sistema e alle molte e apparentemente diverse forme di alienazione che il tecno-capitalismo produce. Ma che appunto abilmente maschera per sostenere e promuovere la propria infinita riproducibilità.

(…) Nessuna tecnofobia in questo; ma un doveroso e necessario pensiero critico applicato al capitalismo e soprattutto alla tecnica. Perché in verità avremmo (abbiamo) un disperato bisogno di fare innovazione etica, sociale, ambientale e politica; di recuperare le capacità e le possibilità umane di immaginare altro dal tecno-capitalismo. E invece siamo chiusi in una gabbia d’acciaio di weberiana memoria, oggi divenuta virtuale ma concretissima nei suoi effetti antropologici. O, altrimenti, siamo felicemente rinchiusi in una caverna platonica dove le ombre sulla parete sono la realtà virtuale (tecnologica e capitalistica) che il sistema crea per gli uomini. Che ha fatto perdere agli stessi uomini il rapporto con la realtà naturale, con il concetto di limite, con se stessi, con una idea di insorgenza o almeno di resistenza rispetto al potere [ormai totalitario – ma lo diceva già Marcuse] tecno-capitalista.

Una gabbia/caverna che impedisce ogni progettualità di-versa da quella che ci impone di assecondare invece un determinismo tecnologico e un sincretismo/animismo uomo-tecnica per il quale solo l’innovazione tecnica ha valore e produce risultati – e tutti devono quindi essere innovativi in termini di tecnica e tecnologia e nessuno deve esserlo in termini politici e sociali, etici e di responsabilità ambientale e sociale. (…) Siamo cioè inchinati – come il popolo di Siviglia verso l’Inquisitore, nel racconto di Dostoevskij – davanti alla Silicon Valley e ai suoi guru-inquisitori, simbolo-metafora del nuovo potere globale. Che è un potere di imprese private e di una tecnologia fatta di rete e di algoritmi che permette e che impone anche un controllo sociale totale – ma offerto e nascosto in nome di una libertà assoluta dell’individuo – attraverso quei dati (cioè la nostra vita) che sono oggi la sua materia prima indispensabile e potenzialmente illimitata [grazie al nostro pluslavoro di produzione di dati, per di più senza salario, ma che garantisce nuovo plusvalore per il sistema – ovvero e ancora: alienazione dalla nostra vita/dati]. Siamo confinati e limitati – individualmente e collettivamente – in un nuovo (e in un nuovismo tecno-entusiasta, a prescindere) che produce un discorso/immaginario collettivo ormai ricorsivo e tautologico: efficace perché retorico e autoreferenziale, accattivante e motivante perché individualizzante e attivante nel profondo la psiche umana. È la nuova grande narrazione del tecno-capitalismo, più potente di tutte quelle del passato – o il dispositivo tecno-capitalista per portare l’uomo felicemente verso l’asservimento totalitario alla tecnica e verso il post-umano. Il massimo di (apparente) libertà e creatività individuale, per il massimo di (concretissima) alienazione/reificazione e mercificazione dell’individuo: è l’esproprio tecno-capitalistico della vita intera dell’uomo, delle sue emozioni, relazioni, socialità, responsabilità, progettualità. Generando un falso individuo ormai parte integrata/ibridata della e sussunta nella grande macchina tecno-capitalista – ma già Erich Fromm scriveva di un uomo che aveva ormai cessato da tempo di usare la produzione come mezzo per una vita migliore, facendone invece un fine in se stesso. Un fine cui subordina la propria vita intera, perché nel processo di una sempre maggiore divisione e meccanizzazione del lavoro e nelle sempre maggiori dimensioni degli agglomerati sociali l’uomo stesso diventa una parte della macchina piuttosto che il padrone [come oggi, appunto, con i processi di ibridazione uomo-tecnica].

(…) Parole come new, smart, sharing, like, social, start-up sono ormai costitutive di una neo-lingua che avevamo definito (2015) [parafrasando Victor Klemperer] come Lingua Internet Imperii necessaria a legittimare – ne produce la pedagogia sociale e i meccanismi di veridizione, per dirla con Foucault – l’imper(i)o della tecnica e del capitalismo neoliberale; e a creare e a far accettare una totale dipendenza di ciascuno dalla tecnica, generando la sua delega totale alla tecnica e al discorso/immaginario collettivo che essa produce (così come gli abitanti di Siviglia avevano delegato se stessi all’Inquisitore).

Delega alla tecnica che nasce da una tecnofilia antica e necessaria all’uomo per sopravvivere (ieri), ma oggi divenuta tecnopatia. Nel trionfo non dell’Antropocene (la nuova era in cui sarebbe l’uomo la forza che determina l’ambiente), ma del Tecnocene, dove è cioè la tecnica a produrre l’ambiente in cui l’uomo viene portato sempre più a vivere integrato e connesso/ibridato [con il sistema], illudendolo di essere un libero soggetto e non un oggetto ingegnerizzato da tecnica e neoliberalismo. E a delegare appunto alla tecnica (anche secondo Ippolita) ogni suo pensiero, comportamento, decisione e azione (è l’internet-centrismo secondo Evgeny Morozov; è il totalitarismo cibernetico secondo Paolo Zellini). (…). E quindi torniamo a Weber che scriveva, già un secolo fa di come «l’odierno ordinamento capitalistico imponga a ciascuno, in quanto è costretto dalla connessione del mercato, le ‘norme’ della sua azione economica». Oggi tuttavia non solo economica, ma tecnica ed economica [e quindi alienando ulteriormente l’uomo].

Molte alienazioni

(…) Molte alienazioni, in verità: da sé dell’uomo, dal suo ambiente sociale e naturale, dalla capacità di comprendere il meccanismo organizzativo tecno-capitalista in cui è stato inserito ieri a forza (prima e seconda rivoluzione industriale,

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CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

LA RETE NON È LIBERA

WikiLeaks ci ha fatto illudere che internet potesse essere uno spazio di libertà e uguaglianza

Durante l’arresto di Julian Assange molti commentatori hanno scritto che oggi la Rete è diventata più libera rispetto al 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti riservati. Possiamo illuderci che sia così, ma non è vero.

2 maggio 2019

Durante l’arresto di Julian Assange, una vergogna giudiziaria e politica al di là dell’opinione che si può avere sulla sua persona, molti commentatori hanno scritto che oggi la Rete è diventata più libera rispetto al 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti riservati.

Una delle tesi più diffuse è che i social network sono a loro modo costruiti dal basso, dalle interazioni tra gli utenti. Le bacheche permettono quindi una libertà di espressione e una capacità di diffusione del pensiero, o anche di documenti, sempre maggiore. Una libertà sconosciuta agli albori di internet.

Ok, prendiamo un attimo per buona questa deriva tecno-entusiasta.

Fingiamo di ignorare che i social network sono incessantemente al lavoro per estrarre valore dalle nostre vite, ovvero per raccogliere i nostri dati, immagazzinarli, confrontarli e poi rivenderli alle agenzie di marketing che ci restituiscono pubblicità sempre più targettizzate.

Oppure per rivenderli a eserciti e polizie, pubblici e privati, di stati democratici o di dittature, tutti impegnati nella costruzione del più imponente sistema di sorveglianza della storia: il panottico digitale dove ciascuno è sorvegliante di se stesso.

Cambridge Analytica è stata solo la punta dell’iceberg di una trama ben più complessa e pervasiva. Non è solo Google o Facebook. È Amazon. È Uber. È Angry Birds. È il surveillance capitalism, fondato sull’estrazione dei dati personali.

Fingiamo di ignorare anche che questi dati personali sono rivenduti alle multinazionali che si dedicano allo sviluppo dell’intelligenza artificiale: il fulcro e nuovo alfabeto del capitalismo estrattivo. Sarebbe assurdo, come discutere di colonialismo premettendo che non ci occuperemo dell’estrazione di materie prime nei territori soggiogati. Ok, ma andiamo avanti lo stesso.

Fingiamo di ignorare anche che il sistema di gratifica e punizione messo in atto dalle notifiche è devastante da un punto di vista psichico, e arriva addirittura a modificare le capacità affettive ed emotive degli utenti in Rete.

Bene, abbiamo finto che tutto questo non accade, e dunque le bacheche dei social network sono veramente un luogo di libertà? Se utilizzate nella maniera giusta, possono portare a cambiamenti positivi per le sorti dell’umanità? La risposta è no: i social network lavorano al mantenimento dello status quo.

Lo dimostra, da ultimo, una ricerca empirica della Northeastern e della Cornell University. Il team di studenti supervisionati dai professori Muhammad Ali e Piotr Sapiezynski ha messo su Facebook una serie di pubblicità a pagamento dove offrivano dei lavori o delle proprietà immobiliari. Queste inserzioni erano pressoché uguali alle solite che si vedono, se non che differivano per piccoli particolari, a partire dal compenso lavorativo o dal budget necessario per l’acquisto della casa, fino al tipo di fotografia o di parole usate per lo stesso annuncio.

La risposta è stata che la machine learning di Facebook, il famoso algoritmo, ha deciso che gli annunci riguardanti insegnanti o segretarie dovevano essere rivolti a donne mentre quelli per tassisti o bidelli agli uomini. Allo stesso modo le case in vendita erano riservate ad utenti di pelle bianca, quelle in affitto a utenti di pelle nera.

L’algoritmo di Facebook ha quindi lavorato per confermare tutti gli stereotipi di razza, censo e sesso che rendono la nostra società ingiusta e diseguale.

Anche perché, come spiegano a Intercept, gli autori della ricerca si sono focalizzati sulla categoria ad delivery e non su quella di ad targeting, ovvero non hanno richiesto loro che le pubblicità fossero rivolte a uno specifico target – maschi bianchi benestanti, giovani appassionati di musica, donne laureate in ingegneria informatica, e così via – ma invece hanno posto solo come premessa che gli annunci si rivolgessero a residenti degli Stati Uniti.

È stato quindi Facebook a decidere, autonomamente, che alcune pubblicità – con il loro carico di produzione esterna del desiderio e delle aspettative individuali e sociali – andassero bene per un sesso, una razza, un ceto sociale e

Continua qui: http://www.idiavoli.com/focus/la-rete-non-e-libera/

 

 

 

 

Assange e le manette alla libertà di stampa

di Alessandro Gilioli – 15 aprile 2019

 

È stato interessante nei giorni scorsi osservare la composita compagnia che ha esultato per l’arresto a Londra di Julian Assange: alcuni dei suoi corifei erano prevedibili ma altri onestamente meno.

Tra i primi, diversi capi di Stato e di governo, qualche potente delle varie Forze armate e dei servizi di intelligence, taluni rauchi esponenti di destra che non hanno mai nutrito una smisurata idea di libertà. Tra i secondi – quelli che hanno fatto la ola più a sorpresa – si sono distinti diversi esponenti della sinistra “progressista”, che fino a pochi anni fa simpatizzavano per WikiLeaks, ma adesso l’hanno in uggia, vedremo poi il perché.

Accanto a questi, fra gli esultatori imprevisti, si sono esibiti anche non pochi giornalisti di discreta fama, per i quali invece la ragione dell’astio è più psicoanalitica: invidia del collega che ha realizzato scoop storici e mondiali, gioia per la restaurazione di antiche gerarchie professionali che il boom di WikilLeaks aveva ribaltato (Assange a marcire in galera è un bel Congresso di Vienna), soddisfazione intestinale nel vedere al gabbio chi ha fatto del giornalismo uno strumento di rivelazione di segreti dei potenti – mettendo in gioco la propria vita – anziché di accomodamento delle proprie chiappe accanto ai potenti medesimi.

Di questi ultimi – le grandi firme che oggi si fregano le mani – si dovrebbero occupare appunto i rispettivi strizzacervelli: se arrivati oltre i sessant’anni non riescono a far pace con il loro ego e i loro compromessi di vita, è solo un problema loro.

Più interessante invece la svolta della sinistra “progressista” (o presunta tale). Che aveva coccolato Assange per anni (in particolare quando WikiLeaks aveva rivelato le stragi di civili in Afghanistan compiute al tempo di

 

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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Mare Jonio, schiaffo alla Ong: diffidata dalla Guardia costiera

Dopo l’ispezione sulla nave di Mediterranea, la Guardia costiera dispone lo stop ai salvataggi. Salvini: “Ottima notizia”

Giovanna Stella – Mer, 24/04/2019

Dopo un’avaria ad un generatore, lo scorso venerdì la ong Mare Jonio è stata ispezionata nel porto di Marsala dai militari della Guardia costiera specializzati in sicurezza della navigazione.

I militari, quindi, hanno eseguito una verifica tecnica sulle condizioni della nave in termini di sicurezza della navigazione e per la riconvalida della certificazione statutaria. Ma il via libera non è arrivato: il comandante è stato diffidato “dall’eseguire operazioni di salvataggio in modo stabile e organizzato fino a quando l’unità, sanzionata per alcune irregolarità di bordo, non verrà adeguata alla normativa di settore e certificata per il servizio di salvataggio”. Così arrivato il fermo, in quanto l’imbarcazione non è al momento a norma per le attività di salvataggio.

A comunicarlo è stata la stessa Guardia costiera tramite una nota che aggiunge che la Ong è stata pure sanzionata per una serie di irregolarità a bordo dell’imbarcazione. L’ispezione della Guardia costiera è “frutto” della direttiva emanata nei giorni scorsi dal ministro Salvini volta a “vigilare affinché il comandante e la proprietà della Nave “Mare Jonio” non insistano con la loro “attività illecita”.

In un documento inviato a Marina, polizia e Guardia di Finanza il ministero dell’Interno intimava alla Ong italiana di attenersi “alle vigenti normative nazionali ed internazionali in materia di coordinamento delle attività di soccorso in mare e di idoneità tecnica dei mezzi impiegati per la citata attività”. Non solo. La Mare Jonio è stata costretta a “rispettare” le “prerogative di coordinamento delle Autorità straniere legittimamente titolate” al “coordinamento delle operazioni di soccorso in mare nelle proprie acque di responsabilità” e a non dovrà reiterare “condotte in contrasto con la vigente normativa nazionale ed internazionale in materia di soccorso in mare,

 

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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Ray Dalio dice che la MMT sta arrivando. Che ci piaccia o no

02/05/2019 Massimo Bordin

Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, Principles. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così.

Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la mmt di Mosler, la teria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.

Nessuno, tranne il vostro blogger preferito (cioè io) e Bloomberg, un giornaletto che pare essere apprezzato oltreoceano da qualche attento lettore di cose economiche. Ecco cosa scrivono:

⌈Il sistema bancario centrale, come sappiamo, è in via di estinzione, ed è “inevitabile” che qualcosa come la teoria monetaria moderna lo sostituirà, ha detto l’investitore miliardario Ray Dalio.

La dottrina, nota come MMT, afferma che i governi dovrebbero gestire le loro economie attraverso la spesa e le tasse – invece di affidarsi a banche centrali indipendenti per farlo attraverso i tassi di interesse. La mmt cerca

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PANORAMA INTERNAZIONALE

I marinai italiani sul fronte di Tripoli

APR 30, 2019 – FAUSTO BILOSLAVO

 

 (Tripoli) “Dalla nave abbiamo la percezione dei combattimenti che si svolgono a sud di Tripoli. Di notte vediamo i bagliori dei bombardamenti e sentiamo il rumore delle esplosioni, ma per noi, al momento, non ci sono problemi di sicurezza” spiega senza battere ciglio il capitano di fregata Mario Giancarlo Lauria. Siciliano con la barba da lupo di mare ci accoglie su nave Capri ormeggiata nella base navale di Abu Sitta a Tripoli.

A pochi chilometri di distanza un caccia del generale Khalifa Haftar piomba in volo radente sul campo di battaglia di Yarmuk e sgancia un paio di bombe inseguito dalla contraerea. I feriti trasportati al punto di soccorso avanzato sono dilaniati dalle schegge. Uno arriva già morto. Ieri le truppe del generale sono avanzate, ma i governativi stanno combattendo per evitare che il nemico dilaghi verso il centro di Tripoli.

Per la prima volta un giornalista sale a bordo di nave Capri dall’inizio della battaglia nella capitale libica il 4 aprile. Lauria è il comandante della missione navale, che dura da tre anni, in appoggio alla Marina libica, per il contrasto dell’immigrazione clandestina e dei traffici illeciti. “Non siamo coinvolti in nessun modo negli scontri in atto – sottolinea l’ufficiale – Continuiamo ad operare in supporto tecnico alle unità navali libiche”.

Su 17 navi del governo di Tripoli, 13 sono in grado di prendere il mare, anche grazie all’aiuto italiano. Capri è una nave officina che può riparare di tutto e far navigare la flotta libica. A cominciare dalle sei motovedette donate dall’Italia per intercettare i barconi dei migranti. Tre sono ormeggiate poco più in là nella stessa base. “Il personale militare italiano presente a Tripoli mette a disposizione sistemi di comunicazione a supporto del governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite per il contrasto alle attività illegali e all’immigrazione clandestina” spiega Lauria. In pratica diamo una mano ai libici nell’operatività di una specie di Centro di ricerca e soccorso per

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POLITICA

È sbagliato storicamente che l’Anpi monopolizzi la Festa della Liberazione.

Magdi Cristiano Allam 25 04 2019

 

 

Spiace che non ci siano le bandiere americana e britannica, che venga offesa la Brigata Ebraica. L’Anpi è diventato un partito di estrema sinistra, si presenti alle elezioni e si confronti con il responso popolare

 

Buongiorno amici. La Festa della Liberazione dell’Italia dal nazismo e dal fascismo deve giustamente essere la festa di tutti gli italiani, “Nessuno escluso” come recita il messaggio diffuso dall’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) per le celebrazioni del 25 aprile di quest’anno. Ecco perché bisogna fare chiarezza affinché non si escluda nessuno di coloro che hanno effettivamente e concretamente liberato l’Italia tra il 1943 e il 1945.

Innanzitutto la liberazione dell’Italia si rese possibile principalmente per la guerra sferrata dalle forze americane, britanniche ed alleate, compresa la Brigata Ebraica. Nel contesto delle forze italiane, il maggior peso militare fu quello dell’Esercito Regio agli ordini del Maresciallo Pietro Badoglio, Capo del Governo dopo la destituzione di Benito Mussolini il 25 luglio 1943 da parte di Vittorio Emanuele III. I partigiani delle diverse formazioni politiche svolsero un ruolo di supporto.

Ebbene sostenere oggi che la liberazione dell’Italia fu opera dei partigiani è una mistificazione della realtà. È sbagliato sul piano storico che le manifestazioni del 25 aprile siano monopolizzate dall’Anpi. Spiace che non si vedano le bandiere americana e britannica. Spiace che i rappresentanti della Brigata Ebraica con la bandiera israeliana vengano fischiati e oltraggiati, mentre si applaudono i palestinesi o i loro simpatizzanti che espongono la bandiera palestinese, quando i palestinesi rappresentati dal Gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini furono alleati di Hitler e di Mussolini, condivisero l’Olocausto degli ebrei, organizzarono una legione araba e una divisione islamica che combatté al fianco delle forze nazi-fasciste.

In secondo luogo i partigiani che effettivamente parteciparono alla guerra di liberazione conclusasi nel 1945, a 74 anni di distanza dovrebbe essere dei novantenni. Tutti gli altri che oggi parlano in nome dei partigiani possono

 

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STORIA

RIPROPONGO PERCHÉ TV LO HA CENSURATO:

 

 

Floriana Iana Razzano 1 05 2019 (cit. Marco Vannucci)

 

 

“Malgrado sia passato 3/4 di secolo, ancor oggi, Mussolini fa discutere dividendo tra i pro, pochi a dir la verità, ed i contro che sono la maggioranza assoluta. Ma gli italiani, per il salto del carro, sono dei recordman mondiali. Su Mussolini sono stati scritti fiumi d’inchiostro ed altri ancora saranno versati in questa disputa che -pare- non abbia fine. Una cosa è certa: su Mussolini sono state scritte delle gran cavolate, iniziando dalla sua fine, perché soltanto gli stolti potrebbero credere nei 4 partigiani in croce capaci di fermare un convoglio di 250 tedeschi armati fino ai denti. E’ la favola del teatrino finale voluto dai compagni che hanno dipinto Mussolini come un codardo in fuga, mascherato da tedesco, per togliere l’immagine dell’uomo d’onore. Cazzata. Dei 250 tedeschi non s’è saputo più niente, volatizzati nel nulla, malgrado un’intervista ad almeno uno di loro non avrebbe avuto prezzo. La verità se l’è portata via Churchill, così pure Chamberlain (ministro degli esteri inglese, volatizzato pure lui). Troppi lati oscuri nell’affaire Mussolini, troppi testacoda storici come la Costituente ebraica del ’30, per la quale

 

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Le 21 donne della Costituente

http://www.iskrae.eu/wp-content/uploads/2016/03/21-donne-alla-Costituente-.jpg

Con le elezioni del 2 giugno 1946 finalmente anche le donne possono eleggere i loro rappresentanti, ma anche essere elette. L’affluenza femminile alle urne è molto alta: le donne sentono l’importanza di quel gesto, immortalato dalle parole della giornalista Anna Garofalo.
“Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere, hanno un’autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari”.
Anche le donne che sono poi elette vivranno con responsabilità ma anche emozione il compito che gli è stato affidato, come trapela dalle parole di Bianca Bianchi, eletta all’Assemblea Costituente con il Partito Socialista:

“La confidenza con Montecitorio è una conquista più difficile ancora. Me ne vado su e giù per il transatlantico, rispondo alle domande dei giornalisti curiosi, mi siedo sulle poltrone disposte ai lati, leggo i giornali in sala di lettura e non mi azzardo ad allontanarmi. Mi dà l’impressione di trovarmi in un labirinto e mi sento di nuovo una ragazza di campagna. Sono molto tesa quando entro per la prima volta nell’aula della Camera. Sento gli sguardi degli uomini su di me. Cerco di osservare gli altri per liberarmi dal senso di disagio. Lentamente entrano i deputati eletti nelle liste di quindici partiti: li guardo attraverso l’emiciclo, prendere posto secondo una geografia politica molto rigida. (…) Ci sono due porte d’ingresso in aula: una a sinistra, una a destra. I compagni mi hanno avvertito di non sbagliare per non trovarmi mescolata a “reazionari politici” e tradire l’ideale. Io avevo già sbagliato: ho attraversato l’emiciclo e mi sono seduta nel terzo settore a sinistra, terzo banco”.

Ma chi sono le 21 donne elette all’Assemblea Costituente? Con quale partito sono state elette? Che lavoro facevano prima di scrivere la Costituzione? Ecco di seguito le “carte d’identità” delle nostre Madri Costituenti.

ADELE BEI
Luogo di nascita: Cantiano (PU)
Mestiere: casalinga
Partito: Partito Comunista
In Assemblea: sostiene la parità tra uomo e donna.

BIANCA BIANCHI
Luogo di nascita: Vicchio (FI)
Mestiere: insegnante
Partito: Partito Socialista
In Assemblea: sostiene diversi interventi in merito alla scuola, alle pensioni e all’occupazione. In particolare si ricorda il suo intervento per il riconoscimento giuridico dei figli naturali.

LAURA BIANCHINI
Luogo di nascita: Castenedolo (BS)
Mestiere: insegnante, giornalista pubblicista
Partito: Democrazia Cristiana
In Assemblea: sostiene interventi in merito all’educazione e in favore della

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