NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 2 GENNAIO 2019

http://www.limesonline.com/stati-uniti-contro-tutti-corea-nord-russia-trump-putin-venezuela-maduro-cina-mondo-notizie-31-luglio/100768

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

2 GENNAIO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Non credere o cercare.

Tutto è occulto.

FERNANDO PESSOA, Una sola moltitudine, Vol. I Adelphi, 1979, pag. 179

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

 

Mattarella duro con il governo

TERZA GUERRA MONDIALE  1 : patto Trump – Putin (in Iraq e Siria) contro Xi Jnmping

Il documento CIA del 26 novembre 1985: Craxi, Andreotti e la crisi di Sigonella                         

Non si prevedono i terremoti                

Il Mezzogiorno condannato alla sconfitta

Patto Trump-Putin (in Iraq e Siria) contro Xi Jinping. 1              

P1, la sovragestione ha piegato il governo Conte

La più bella “teoria del complotto confermata” del 2018                       

“Iniziativa per l’integrità”, operazione d’intelligence per creare la “minaccia russa” 1

Buon anno signor presidente

Vite, e destini, dei filosofi 1

La CIA e il traffico internazionale di droga 1

L’ipocrisia di Chomsky e della sinistra imperialista 1        

Un aereo spia americano vola preso base russa in Siria

Immigrazioni incontrollate e simboli che cadono, la resa dell’Occidente 1

Una recessione in stile 2008 o in stile anni Trenta?. 1                      

Il sacro occidentale impero dell’unione europea

Commissariati a nostra insaputa 1

Se le banche ignorano il rapporto umano col cliente 1

Quale è il futuro di Deutsche Bank 1

Cronaca di una crisi annunciata (e programmata)

La verità (e l’inganno) dietro il rimbalzo delle Borse 1

DEDICATO L’ALTARE PER IL TERZO TEMPIO. 1                                       

Che amara delusione, quest’anno: l’Italia è rimasta schiava

Mattarella globalista sulla pelle degli italiani

Analogia e/o comparazione: il caso dei gilets gialli 1

Se ne infischiavano dei morti: la guerra nelle Filippine

 

 

 

EDITORIALE

Sospetto eterno

Manlio Lo Presti – 2 gennaio 2019

 

La condizione umana contemporanea vede il singolo individuo e le comunità socioeconomiche senza la minima possibilità di verificare la veridicità di gran parte delle informazioni che vengono diffuse. La questione è diventata importante e pervasiva perché riguarda tutti i livelli di comunicazione attualmente in uso in tutto il pianeta.

 

L’accentramento inarrestabile delle strutture di comunicazione in poche società (prevalentemente nordamericane) incrementa il sospetto – se non la certezza – che il 98 percento delle informazioni sono create ad usum Delphini e quindi sono controllate, stravolte e quindi false in partenza perché la ridondanza dei loro effetti sociali possono muovere miliardi di euro: troppi interessi in gioco non fanno filtrare nulla di decisivo.

 

L’intensità del dubbio che sorge è quindi direttamente proporzionale:

 

  • allo schieramento politico ED ECONOMICO dei canali che diffondono le informazioni,
  • alla tempistica distributiva: perché quella notizia è diffusa proprio adesso e non, ad esempio, un mese o un anno fa? 
  • alla diffusione dei nomi dei sedicenti attentatori: da evitare per non allarmare e far fuggire eventuali complici. 
  • all’accadimento a catena di eventi della stessa specie in un ristretto intervallo di tempo: es: un autobus incendiato, altri bus incendiati nei giorni successivi. Crolla un ponte, ci sono frane e disastri ambientali a catena nei giorni immediatamente successivi, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.,
  • all’uccisione del sospettato appena catturato invece di interrogarlo con cura sulle ramificazioni, specialmente quando la complessa articolazione delle COVERT OPERATION esclude l’azione di una sola persona.

 

Per oltre 40 anni, questa sospettosità mi ha consentito di evitare imboscate e truffe da parte:

 

DEI CLIENTI,

DEI MIEI CONCORRENTI,

DEI SUPERIORI,

DEGLI AVVERSARI,

DEI NEMICI, 

DEGLI OCCASIONALI,

DEI VENDUTI

DEI FEDELISSIMI.

 

Ad ogni comunicazione ricevuta, ho sempre praticato una tara del 75 percento perché ho imparato in fretta che ci sono in giro molte persone con una capacità recitativa di gran lunga superiore a quella degli attori professionisti più famosi!

 

P.Q.M.

 

sono andreottianamente e pirronisticamente dubbioso 56 ORE AL GIORNO, e finora mi è andata bene.

 

 

IN EVIDENZA

Mattarella duro con il governo

Un discorso di fine anno dai toni felpati, ma dalla sostanza pesante: occorre un attento esame dei contenuti della manovra; no alla tassa sulla bontà (ovvero sul no profit). Sullo sfondo un continuo richiamo ai valori cattolici. Il caloroso augurio finale a papa Francesco

di Guido Salerno Aletta

È stato un discorso molto politico, quello che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha svolto in occasione degli auguri per il nuovo anno. Abilmente, come in una composizione musicale, ha costruito una tambureggiante armonia tutte le volte che si è riferito direttamente o indirettamente al governo, riservando alla melodia i continui e ariosi richiami alla “esigenza di sentirsi e di riconoscersi come comunità di vita”, con un continuo riferimento al futuro da costruire.

Emerge in questa tessitura un totalizzante richiamo al solidarismo, tutto di matrice cattolica, quasi che esso sia ormai l’unico collante sociale. Non per un caso, non vengono mai usate le parole “operai”, oppure “fabbriche”: fanno parte di un lessico novecentesco che va abbandonato, dacché richiama storiche contrapposizioni. Tutto il contesto sociale va invece amalgamato, stemperando conflitti e superando contrapposizioni, nella costruzione della comunità: una visione alternativa, se non avversativa rispetto alle istituzioni statuali, centrali o decentrate che siano. Le istituzioni sono quelle della sussidiarietà, il terzo settore, con il contributo degli onnipresenti volontari che arrivano dove le istituzioni non sanno o non possono, scandisce ogni passaggio: più che punteggiare il discorso, ne rappresentano l’architrave.

Anche la citazione dei Carabinieri che nella notte di Natale sono andati a trovare una novantenne sola in casa, che aveva telefonato dicendo di aver bisogno solo di compagnia, è da Presepe cristiano.

Il tema della immigrazione incontrollata, così divisivo e su cui la Lega ha costruito gran parte della campagna elettorale, fa da contrappunto alla narrazione sulla creazione della comunità, senza mai essere citato direttamente. Il Presidente usa un artificio retorico: condivide che, “certo, la sicurezza è condizione di un’esistenza serena”, salvo poi aggiungere che “la sicurezza parte da qui: da un ambiente in cui tutti si sentano rispettati e rispettino le regole del vivere comune”.

Riduce dunque il problema della sicurezza e dell’immigrazione al rispetto degli altri e delle regole, derubricando quella che è in molte aree una vera e propria crisi della convivenza civile.

Per questo, l’augurio di buon anno, rivolto in fine “ai cinque milioni di immigrati che vivono, lavorano, vanno a scuola, praticano sport nel nostro Paese” è apparso un po’ troppo enfatico.

A dirla tutta, volendo usare il lessico cossighiano, con i sassolini che il Presidente Mattarella si è tolto dalle scarpe ci si sarebbero potute riempire le tante buche che costellano le strade di Roma. Riferendosi alle Forze armate, e dopo aver rimarcato l’impegno a garantire la nostra sicurezza e la pace in patria ed all’estero, è partita la stoccata: “La loro funzione non può essere snaturata, destinandoli a compiti non compatibili con la loro elevata specializzazione”. Il richiamo è all’emendamento alla legge di bilancio con cui si sarebbe voluto affidare al Genio militare il compito di riparare le buche di Roma, una proposta che aveva già suscitato la forte irritazione degli interessati. Ma il martellamento verso l’esecutivo era già nell’incipit della allocuzione: “Siamo nel mondo dei social, in cui molti vivono connessi in rete e comunicano di continuo ciò che pensano e anche quel che fanno nella vita quotidiana”. Una constatazione che può essere letta come un riferimento alla continua presenza sui social del Vicepremier e Ministro degli Interni Matteo Salvini, che di recente si è messo a descrivere puntigliosamente ciò che ha mangiato, sia pur frettolosamente, all’ora di pranzo, lasciandosi riprendere con pane e Nutella in mano a Catania, a poche ore dalla ripresa delle eruzioni dell’Etna. Immagine che, vista la coincidenza, è stata subito giudicata inopportuna. Come se non bastasse, il Presidente si è detto contrario alla “tassa sulla bontà”, che è stata introdotta con la legge di bilancio: un’altra bastonata.

La questione relativa alla manovra di bilancio è stata affrontata con altrettanta decisione: aver scongiurato la apertura di una procedura di infrazione “per il mancato rispetto di norme liberamente sottoscritte è

Continua qui: https://www.milanofinanza.it/news/mattarella-duro-con-il-governo-201901011326176376

 

La NATO prepara un’ondata di attentati in Europa

RETE VOLTAIRE | 1 GENNAIO 2019

Numerose fonti provenienti da diversi Paesi ci segnalano che la NATO sta preparando attentati in Paesi dell’Unione Europea.

Durante gli «anni di piombo», ossia dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta, i servizi segreti della NATO hanno messo in atto la «strategia della tensione»: attentati sanguinari, attribuiti agli estremismi di destra e di sinistra, vòlti a creare un clima di paura e impedire così la formazione di governi di alleanza nazionale includenti i comunisti. Contemporaneamente, la NATO, che si proclamava paladina della democrazia, organizzò colpi di Stato o tentativi di colpi di Stato in Grecia, Italia e Portogallo.

I servizi segreti della NATO, formati da Stati Uniti e Regno Unito a partire dall’Ufficio per il Coordinamento Politico della CIA, rendevano conto soltanto a Washington e a Berlino, non a tutti i membri dell’Alleanza Atlantica. Questi servizi erano denominati stay-behind in quanto capaci di entrare in azione in caso d’invasione da parte dell’URSS; ne facevano parte i migliori specialisti della lotta anticomunista del Reich nazista.

Gli anglosassoni avevano creato servizi analoghi ovunque nel mondo, sia come consiglieri di governi filoamericani, sia in forma clandestina in Unione Sovietica e negli Stati a essa associati. Erano coordinati dalla Lega Anticomunista Mondiale. Nel 1975 tre commissioni USA sollevarono il velo su tali prassi: la Commissione Church al Senato, la Commissione Pike alla Camera e la Commissione Rockfeller alla Casa Bianca. Nel 1977 il presidente Jimmy Carter nominò a capo della CIA l’ammiraglio Stansfield Turner con il compito di ripulire i servizi segreti. Nel 1990 il presidente del Consiglio italiano, Giulio Andreotti, rivelò l’esistenza della branca italiana dei servizi segreti della NATO, Gladio. Ne seguì un gigantesco polverone e l’istituzione di commissioni d’inchiesta in Germania, Belgio e Italia. L’intero sistema sarebbe stato allora sciolto.

Tuttavia, anni dopo abbiamo rivelato indizi probanti sulla responsabilità della NATO negli attentati di Madrid

 

Continua qui: http://www.voltairenet.org/article204569.html

 

TERZA GUERRA MONDIALE

Patto Trump-Putin (in Iraq e Siria) contro Xi Jinping

Mentre Putin collauda la sua arma più potente, Trump se ne va dalla Siria ma non dall’Iraq. E la Cina? I conti tornano

28.12.2018 – Gen. Giuseppe Morabito

 

Il sistema missilistico Avangard testato dai russi non ha solo una potenza di fuoco senza precedenti, ma è anche impossibile da intercettare, rendendo così ogni scudo antimissile superfluo. Tutto questo dopo che Putin, prima di Natale, aveva lanciato l’allarme sul pericolo nucleare nel mondo di oggi. “Putin deve mostrare i muscoli in un momento in cui Trump è in evidenti difficoltà interne, usando la propaganda in ogni modo possibile per farsi vedere da tutti come la potenza più forte del mondo” ci ha detto il generale Giuseppe Morabito in questa intervista. Allo stesso tempo i due giocano a spartirsi quello che resta del Medio Oriente: una finta guerra fredda?

Prima di Natale il presidente russo Putin fa un accorato discorso in cui sottolinea il pericolo nucleare in cui si troverebbe il mondo, poi testa il missile nucleare più potente della storia: a che gioco sta giocando? Che coerenza c’è nel suo atteggiamento?

Putin è coerente con la propaganda russa. Deve mostrare i muscoli in un momento in cui Trump è sotto attacco interno, e sfrutta la debolezza del suo antagonista per fare il massimo di propaganda, cioè deterrenza.

Sappiamo che Stati Uniti e Russia hanno sempre usato le armi nucleari come deterrenza gli uni verso gli altri, il quadro non è decisamente sbilanciato a favore russo in questo momento?

Putin si muove alla stessa velocità in cui si muove il mondo. Vuole occupare le aree di potere che altri stanno lasciando. Se gli Usa lasciano la Siria, deve fare in modo di mostrarsi potenza egemone in questa area.

In effetti ha già lanciato un messaggio preciso alla Turchia che sta ammassando truppe al confine siriano: non osate entrare in Siria. E’ questo che intende?

Esattamente. Con questo test Putin ha detto a Erdogan che il suo paese è la prima potenza al mondo, e può distruggerli in qualunque momento. Dove si aprono zone di potere in cui infilarsi, Putin manda messaggi. Il presidente russo, se gli Usa abbandonano i curdi, dice a Erdogan di non provare a mettersi contro i curdi.

Tornando alla nuova arma, si è detto che non è intercettatile. Questo manda per aria tutto il sistema di difesa della Nato? E’ un messaggio anche per noi?

Questo nuovo sistema missilistico non è intercettatile a causa della velocità e dell’altezza a cui vola. Non è intercettatile per gli italiani, per i tedeschi, per i sauditi, ma lo è per gli americani, l’unica nazione che dispone della tecnologia

 

Continua qui:

https://www.ilsussidiario.net/news/esteri/2018/12/28/terza-guerra-mondiale-patto-trump-putin-in-iraq-e-siria-contro-xi-jinping/1828036/

 

 

 

 

P1, la sovragestione ha piegato il governo Conte

Scritto il 31/12/18

Si chiama P1, è una loggia massonica di cui il Grande Oriente d’Italia non ha mai ammesso l’esistenza. Ne parla Gianfranco Carperoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016.

 

Tesi: la P2 di Gelli, affollata di “numeri due” del potere, serviva anche da copertura (eventualmente “sacrificabile”) per la P1, vera cabina di regia della “sovragestione” italiana, all’epoca della strategia della tensione. A fondare la P1 – di concerto con ambienti Nato, come quelli della loggia toscana Benjanin Franklyn – fu Eugenio Cefis, l’uomo che prese il posto di Enrico Mattei alla guida dell’Eni, dopo l’attentato del 1962 che costò la vita al grande protagonista della rinascita dell’Italia come potenza industriale mediterranea, nel dopoguerra, grazie all’allenza paritaria con i paesi arabi per lo sfruttamento del petrolio.

Ma che c’azzecca, la P1, nell’attualità politica italiana del 2018? C’entra eccome: è stata lei a piegare il governo Conte, fiaccandone la resistenza e costringendolo a capitolare di fronte al diktat di Bruxelles sul deficit. Obiettivo: far venir meno la fiducia degli italiani verso Lega e 5 Stelle. E come avrebbe agito, la P1? Nel solito modo: a livello mediatico. «La specialità della P1 è la cosiddetta “macchina del fango”».

Secondo Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, non è da trascurare il profilo istituzionale della “sovragestione”: «Nelle ultime settimane è stato particolarmente rovente il telefono di Mario Draghi», che avrebbe agito anche di concerto con il Quirinale per premere su Conte.

Sempre secondo Carpeoro, sono più che sospetti gli attacchi a orologeria sferrati contro i leader gialloverdi: prima Salvini, cui la magistratura chiede di versare una cifra folle (49 milioni di euro, tale da paralizzare l’attività politica della Lega) e poi Di Maio, infangato dalla vicenda del padre, accusato di ricorrere al lavoro nero nella sua azienda. «Erano avvertimenti preliminari. Bisognava tener duro e non lasciarsi intimorire. Invece, come s’è visto, il governo ha ceduto».

Secondo Carpeoro, con la P1 non si scherza: «E’ da quell’ambiente che è nato il progetto Gladio, che resta la cosa peggiore che gli Usa abbiano inflitto all’Italia, per paura che il nostro paese potesse dialogare con l’Unione Sovietica, all’epoca della guerra fredda. Per questo – aggiunge Carpeoro – è stato ucciso lo stesso Mattei. E i responsabili di quell’omicidio furono gli uomini di Gladio».

Mattei voleva un’Italia forte e autorevole nel Mediterraneo. Il suo aereo esplose in volo sul cielo di Bascapè, nell’Oltrepo Pavese.

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2018/12/carpeoro-p1-la-sovragestione-ha-piegato-il-governo-conte/

 

 

 

LA PIU’ BELLA “TEORIA DEL COMPLOTTO CONFERMATA” DEL 2018

Maurizio Blondet  1 Gennaio 2019

I nastri di atterraggio sulla luna sono stati cancellati, ammette la NASA

 

WASHINGTON (Reuters) – Le registrazioni originali dei primi umani che sbarcarono sulla luna 40 anni fa furono cancellate e riutilizzate, ma le copie appena restaurate della trasmissione originale sembrano ancora migliori, hanno detto i funzionari della NASA giovedì.

La NASA ha rilasciato i primi scorci di un completo rifacimento digitale del filmato di atterraggio originale che chiarisce le immagini sfocate e sgranate di Neil Armstrong e Buzz Aldrin che camminano sulla superficie della luna.

Il set completo di registrazioni, ripulite da Burbank, con sede in California, Lowry Digital, sarà distribuito a settembre. L’anteprima è disponibile su www.nasa.gov .

La NASA ha ammesso nel 2006 che nessuno poteva trovare le registrazioni video

 

Continua qui: https://www.zerohedge.com/news/2018-12-31/martin-armstrong-exposes-dick-cheney-donald-rumsfeld-conspiracy

 

 

 

 

Il documento CIA del 26 novembre 1985: Craxi, Andreotti e la crisi di Sigonella.

 

 

 

Un documento Cia (Central Intelligence Agency) risalente al 26 novembre 1985 e desecretato il 12 settembre 2009, qui riprodotto integralmente, e tradotto in italiano, apre degli squarci interessanti sulla vicenda del sequestro dell’Achille Lauro e sulla famosa crisi di Sigonella. L’11 ottobre 1985 i caccia americani intercettano l’aereo egiziano che sta portando in Tunisia i dirottatori della nave italiana e lo costringono ad atterrare nella base militare di Sigonella, in Sicilia. Venti carabinieri e trenta avieri dell’Aeronautica militare circondano l’aereo. Sono a loro volta circondati da una cinquantina di militari americani della Delta Force. Poi affluiscono alla base i rinforzi dei carabinieri, che circondano gli americani. Dopo ore di tensione, alla fine gli americani desisteranno.

 

Nel documento, la Cia definisce l’affaire dell’Achille Lauro e poi di Sigonella come la più grossa crisi diplomatica tra Italia e Stati Uniti del dopo guerra. Una crisi che ha reso evidente come spesso gli interessi italiani e americani non coincidano, soprattutto per quanto riguarda la politica medio orientale. Individuano nei fatti dell’Achille Lauro e di Sigonella la causa della caduta del governo Craxi, un governo comunque allineato con la Nato e gli Usa. Ma Craxi e Andreotti rappresentano un problema, perché questi due uomini sono pronti a non seguire i dettami americani nella politica che riguarda il Medio Oriente. E dopo Sigonella, ne sono sicuri, Craxi alzerà il prezzo (c’era già un prezzo?) su alcune cose che gli americani potrebbero chiedere. Inoltre, c’è un diffuso malessere all’interno delle forze armate italiane, che data già alla vicenda del rapimento del generale Dozier del 17 dicembre 1981 (il documento Cia sbaglia l’anno con il 1983).

Alla luce di questo documento si può ben guardare con altri occhi a quello che accadde cinque mesi dopo Sigonella, e che è stato interpretato come un comportamento ‘falso’ di Bettino Craxi, che fintamente in pubblico avrebbe difeso la sovranità italiana, per poi nella realtà cedere agli americani su tutta la linea. Solo cinque mesi dopo la tanto osannata dimostrazione di orgoglio nazionale di Sigonella, infatti, nel marzo 1986 gli F111 Usa, provenienti dalla Gran Bretagna e ufficialmente diretti alle basi inglesi di Cipro, decollano dalla base siciliana di Sigonella per attaccare e bombardare il golfo della Sirte. Craxi avrebbe trattato subito con gli americani e fatto quasi un atto di riparazione, concedendo segretamente a Reagan la base di Sigonella per attaccare la Libia di Gheddafi.  La giornalista italiana, Sofia Basso, analizzando materiale Usa recentemente declassificato, si è imbattuta in una nota confidenziale scritta a Reagan nella primavera 1986 dall’allora segretario di Stato americano, George Shultz, uscita dagli archivi segreti del Dipartimento di Stato. L’appunto di Shultz spiega che «i rapporti con Craxi erano eccellenti», l’episodio dell’Achille Lauro era ormai «cosa del passato» e che «su base confidenziale, l’Italia aveva permesso l’uso di Sigonella per operazioni di supporto in relazione all’esercitazione nel golfo della Sirte». A una sola condizione: la riservatezza. La Libia era accusata di essere il mandante degli attentati compiuti in varie parti del mondo da terroristi arabi. Reagan, senza consultare né il Congresso, né i partner europei, il 22 marzo 1986 inviò navi e aerei nel golfo della Sirte, che Gheddafi considerava acque territoriali libiche. Gli Usa colpirono due navi libiche e una base missilistica. Le cancellerie occidentali si divisero: Gran Bretagna e Germania applaudirono la dimostrazione di forza, il resto dell’Europa espresse forti dubbi. Il più duro nelle critiche agli Usa fu proprio Craxi il quale, in una seduta straordinaria del Parlamento, proclamò che non era con ripetute “esercitazioni militari” in un’area già scossa da forti tensioni che si poteva difendere il diritto internazionale. Il memorandum di Shultz rivelerebbe che Craxi voleva farsi perdonare l’episodio dell’Achille Lauro, ed essere considerato partner privilegiato degli Usa nelle relazioni tra Est e Ovest e essere ammesso nel gruppo dei cinque Paesi industrializzati. Per questo, in pubblico strillava contro gli americani ma, sottobanco, dava loro il via libera.

Ma quanto accaduto, invece, alla luce del documento Cia del novembre 1985 potrebbe nascondere altro, cioè una ‘concessione’ venduta cara: Craxi «Probabilmente è determinato a ricavare un prezzo maggiore, in futuro, per le sue ‘concessioni’ su tutta una serie di problemi». Così è scritto nel documento della Cia.  Si può ipotizzare dunque che la concessione ‘silenziosa’ di Sigonella cinque mesi dopo il grave scontro diplomatico dell’11 ottobre 1985 nascondesse un do ut des mai rivelato fino ad ora. Premiato nell’ottobre 1988 come “uomo dell’anno” dalla comunità italoamericana, Craxi fu ricevuto da Ronald Reagan alla Casa Bianca, alla vigilia delle elezioni presidenziali che avrebbero visto la vittoria di George Bush senior. Era considerato il politico italiano con il più brillante futuro, anche in considerazione del lento deteriorarsi del potere democristiano. Colin Powell scriverà: «Craxi è il più potente leader politico italiano. Come Primo Ministro fra il 1983 e il 1987, ha forgiato una politica estera italiana più assertiva, sostenendo il dispiegamento in Italia dei missili nucleari a medio raggio, e unendosi a noi e agli altri alleati occidentali nell’inviare forze di pace in Libano, e dragamine nel canale di Suez. Da quando ha lasciato l’incarico nel 1987, ha energicamente appoggiato la decisione dell’Italia di accettare il ridispiegamento della nostra 401ma squadriglia di caccia dalla Spagna in Italia. Ha difeso la decisione del governo di dispiegare le navi italiane nel Golfo Persico, e di contribuire alla forza di osservatori delle Nazioni Unite che controlla il cessate il fuoco tra Iran e Iraq. Il partito socialista di Craxi è secondo in grandezza nella coalizione pentapartito al governo attualmente diretta da Ciriaco De Mita, che vi ha reso visita in giugno. Tutti gli osservatori politici in Italia predicono che Craxi diverrà ancora una volta primo ministro italiano. Abbiamo avuto la nostra razione di divergenze con Craxi in passato, in particolare sulla politica mediorientale e in relazione alla Libia. Ma, tutto sommato, egli è stato uno dei più saldi sostenitori dell’Occidente».

Ma di lì a poco cadrà il muro di Berlino, si aprirà il fronte balcanico, cambieranno il peso e il ruolo dell’Italia nel panorama internazionale. Cambieranno gli equilibri politici mondiali. In Italia nascerà la Lega nel 1989, il Partito Democratico della Sinistra nel 1991. Nel 1994 Berlusconi scenderà in politica. Nel frattempo spariscono la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista di Craxi, che forse era destinato a

 

Continua qui: http://larapavanetto.blogspot.com/2018/11/il-documento-cia-del-26-novembre.html

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Non si prevedono i terremoti

Gianfranco la Grassa

27 dicembre 2018

Stiamo annegando in un mare di ignoranza e autentica idiozia. Capisco chi ha subito la scossa etnea e ha preso tanta paura. Ma che i giornali continuino a brontolare perché la gente non è stata allertata è cosa che fa venir voglia di impugnare una mazza da baseball e picchiare sulla testa a volontà. Non si prevedono i terremoti, l’ho imparato quando ero bambino. E per ancora molto e molto tempo (scommetterei sui secoli) non si potranno anticipare né quindi “allertare” chicchessia nel momento preciso dell’evento. Al massimo, se la gente vuol stare sicura, scappi quando c’è la “fortuna” che prima arrivano le scosse minori o si aprono i crateri e comincia a colare la lava. Tuttavia, in moltissime occasioni, non c’è proprio alcun movimento preliminare. Gli urti tra strati sotterranei o il ribollire del magma si hanno per lunghissimi periodi di tempo e poi l’energia così accumulata si sprigiona in tutta la sua possenza in un attimo.

Copio: <<<The Big One (“quello grosso”, come viene chiamato negli USA) è il nome giornalisticamente dato ad un possibile futuro terremoto che potrebbe essere uno dei più potenti mai verificatisi negli Stati Uniti, superiore al decimo grado della Scala Richter. Questo terremoto potrebbe scatenarsi come conseguenza dell’elevato accumulo di energia nella Faglia di Sant’Andrea

 

Continua qui: https://www.facebook.com/gianfranco.lagrassa

 

BELPAESE DA SALVARE

Il Mezzogiorno condannato alla disfatta

(di Geppe Inserra)

“Nell’insieme, in Italia si vive un po’ meglio”, scrive su ItaliaOggi Silvana Saturno, commentando il Rapporto 2018 sulla qualità della vita, realizzato dall’università La Sapienza per conto del quotidiano economico finanziario. Ma non è vero, a meno che non si voglia considerare quale “insieme” del Paese soltanto il Nord.
La verità è che in Italia non c’è più alcun “insieme”: si vive sempre meglio al Nord e sempre peggio al Sud. L’ottimismo del giornale è fondato sul fatto che, rispetto alla classifica 2017 tre nuove province si sono aggregate a quelle in cui la qualità della vita è risultata buona o accettabile.
Ma si omette di dire che, per quanto riguarda il Mezzogiorno, la situazione è ancora peggiorata. Se nel 2017 erano due le province che manifestavano una qualità della vita accettabile (Potenza e Matera), nel 2018 è soltanto una (Matera). Nel biennio, nessuna provincia meridionale denota una qualità della vita buona, e tutte si collocano nella fasce in cui è classificata come scarsa o insufficiente.
Basterebbe ed avanzerebbe per concludere che il divario tra Nord e Sud ha raggiunto livelli insostenibili, ma si preferisce glissare secondo il classico e sempre più collaudato meccanismo della rimozione: la questione meridionale non esiste, e punto.
Osservando la mappa del benessere disegnata dalla indagine, si ha invece la conferma più evidente della intuizione di Pino Aprile, che ha intitolato il suo ultimo libro, “L’Italia è finita”. Ormai è un luogo comune perfino l’idea dell’Italia come un paese a due velocità. Di velocità ce ne sono almeno tre: quella del ricco Nord Est, poi l’Italia che arranca, a macchia di leopardo, tra Centro e Nord, e infine il Sud, condannato alla disfatta.

L’atto finale del processo è lo scellerato regionalismo differenziato propugnato dalla Lega (e supinamente accettato dall’ala gialla del Governo). Veneto e Lombardia, e a ruota Emilia e Romagna, rivendicano competenze fondamentali (tra cui sanità, istruzione, trasporti, ambiente) che propongono di finanziare non soltanto con la spesa storica (che è già di suo squilibrata e a vantaggio del Nord) ma anche con il gettito fiscale regionale. Usare le tasse dei veneti per finanziare gli ospedali veneti significherà meno risorse per gli ospedali del resto d’Italia. E lo stesso discorso vale per le altre regioni e per le altre funzioni che saranno delegate dallo Stato, in forza dell’autonomia differenziata.

“L’Italia è finita – ha scritto recentemente Pino Aprile sul Corriere della Sera -. Un Paese esiste se, nell’equilibrio mondiale, ha un ruolo e relazioni forti; se chi lo abita lo vuole tale, figlio della sua storia, custode del territorio; se i suoi abitanti si sono reciprocamente scelti o accettati.”
Nonostante l’ottimismo ostentato da Silvana Saturno, sono proprio i dati che affiorano dal rapporto a certificare il fallimento definitivo del Mezzogiorno e, con esso, dell’Italia. Con la sola eccezione di Imperia, sono

Continua qui: https://letteremeridiane.blogspot.com/2018/11/il-mezzogiorno-condannato-alla-disfatta.html#more

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

“Iniziativa per l’integrità”, operazione d’intelligence per creare la “minaccia russa”

16 dicembre 2018da aurorasito

Moon of Alabama 15 dicembre 2018

Integrity Initiative, finanziato dal governo inglese, ha il compito di diffondere propaganda antirussa e di influenzare pubblico, militari e governi di un certo numero di Paesi. Ciò che segue è un’analisi incompleta sui documenti dell’iniziativa appena scaricati.

Christopher Nigel Donnelly (CND) è il co-direttore di The Institute for Statecraft e fondatore della sua propaggine Integrity Initiative. L’iniziativa sostiene “Difendi la democrazia contro la disinformazione”. L’iniziativa per l’integrità spaccia disinformazione sulla presunta influenza russa sui gruppi giornalistici di Europa e Stati Uniti. Sia l’Istituto che l’iniziativa affermano di essere organizzazioni non governative indipendenti. Ma entrambi sono finanziati da governo inglese, NATO ed altri enti statali. Tra i documenti diffusi da anonimi dai server dell’Istituto vi sono diversi articoli su Donnelly e alcuni suoi appunti scritti. Mostrano una mentalità russofoba dal pensiero irrealistico. C’è anche un file con una copia del suo passaporto. Dal suo curriculum vitae apprendiamo che Donnelly era un soldato del British Army Intelligence Corps dove fondò e guidò il Centro di studi di ricerca sovietici presso l’accademia militare Sandhurst. In seguito, creò il Foreign Military Studies Office (FMSO) dell’esercito statunitense di Ft. Leavenworth e lavorò presso il ministero della Difesa inglese e come consulente di diversi segretari generali della NATO. È direttore dell’Institute for Statecraft dal 2010. Donnelly consiglia anche il ministro degli Esteri della Lituania. È un “mentore su sicurezza e giustizia” dell’Unità di stabilizzazione del Regno Unito che ha il compito di destabilizzare vari Paesi. Fa parte come colonnello onorario del Gruppo speciale d’intelligence militare (SGMI). Quanto era analista dell’intelligence militare negli anni ’80, Donnelly scrisse diversi libri e articoli sull’Unione Sovietica e i suoi militari. Donnelly sembra ossessionato dalla “minaccia russa” ed è deciso a combatterla con tutti i mezzi. La sua paranoia è evidente in un rapporto “privato-riservato” dall’Institute for Statecraft sulla sfida della Brexit nel Regno Unito: Studio – Gli uffici stranieri e del Commonwealth: “Il nostro problema è che, negli ultimi 70 anni circa, nel Regno Unito e in Europa abbiamo vissuto in un sistema sicuro e basato su regole che ci ha permesso di godere una vacanza dalla storia… Sfortunatamente, questo stato di cose viene ora messo in discussione. Un nuovo paradigma conflittuale sostituisce il paradigma del XIX e XX secolo… In questo nuovo paradigma, la chiara distinzione che la maggior parte delle persone ha potuto attingere tra guerra e pace, le aspettativa di stabilità e grado di prevedibilità nella vita, viene sostituita da una volatilità imprevedibile, uno stato permanente di instabilità in cui guerra e pace sono sempre più difficili da districare. La comprensione “classica” del conflitto tra due attori distinti o gruppi di attori cede il passo a un mondo di competizione darwiniana in cui tutti, Stati nazione, attori sub-statali, grandi corporazioni, gruppi etnici o religiosi, e così via, sono costantemente impegnati l’uno con l’altro in una “guerra di tutti contro tutti”. Il sistema basato sulle regole occidentali, che la maggior parte degli occidentali dà per scontato e crede “normale”, è sotto attacco da parte di Paesi e organizzazioni che desiderano sostituire il nostro sistema con il loro. Questa non è una crisi che dobbiamo affrontare; è una sfida strategica, e da più direzioni contemporaneamente”. In realtà il “sistema basato sulle regole occidentali”, pienamente attuato dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, è un concetto in base al quale “l’occidente” stabilisce arbitrariamente le regole e minaccia di uccidere chiunque non le segua. Ne sono testimoni le guerre contro Serbia e Iraq, la distruzione della Libia, il colpo di Stato occidentale in Ucraina e la guerra dei fantocci jihadisti contro i popoli di Siria e Iraq. Alcuna di tali azioni era legale secondo il diritto internazionale. Chiedere il ritorno alla stretta osservanza del diritto internazionale, come fanno Russia, la Cina e altri, non è un tentativo di sostituire “il nostro sistema col loro”. È un ritorno al normale stato della diplomazia globale. Non è certamente una “competizione darwiniana”.

Nell’ottobre 2016 Donnelly ebbe un colloquio privato col gen. Sir Richard Barrons, contrassegnato come personale e confidenziale. Barrons è un ex-comandante delle forze armate inglesi. La linea di massima insensata è: “Il modello di difesa del Regno Unito sta fallendo, il Regno Unito è a rischio reale”. Alcune pepite interessanti rivelano ancora una mentalità paranoica. Il discorso include anche la tesi realistica sulla posizione militare inglese che Barrons e altri hanno creato: “C’è stata la smobilitazione progressiva e sistematica della capacità militare della NATO e la riduzione delle difese dei membri… assistiamo a modi di guerra nuovi/reinventati – ibridi, oltre alla riaffermazione del potere diretto in guerra… Le portaerei possono essere utili per molte cose, ma non per la guerra contro Cina o Russia, quindi dovremmo equipaggiarle di conseguenza… l’occidente non ha più un vantaggio militare sulla Russia… Il nostro programma nucleare prosciuga le risorse dalle forze convenzionali e li svuota… La brigata inglese in Germania non è un buon deterrente contro la Russia… il nostro battaglione in Estonia è un ostaggio, non un deterrente…” Il generale lamentava la mancanza di influenza dell’esercito sul governo e il popolo inglesi. Sosteneva una maggiore ricerca finanziata dal governo dei think tank da reinserire nel governo: “Quindi, se non accade alcuna catastrofe per svegliare le persone e chiedere una risposta, allora dobbiamo trovare un modo per ottenere che il nucleo del governo comprenda il problema e lo porti sullo spazio politico. Dovremo imporre cambiamenti ai capi degli interessi acquisiti. NB Lo facemmo negli anni ’30. La mia conclusione è che siamo noi che dobbiamo o generare il dibattito o aspettare che qualcosa di terribile accada scioccando all’azione. Dobbiamo generare un dibattito indipendente al di fuori del governo… Dobbiamo chiedere quando e come iniziamo a mettere tutto a posto? Abbiamo le capacità nazionali per risolverlo? In tal caso, come possiamo migliorare l’utilizzo delle risorse? Abbiamo bisogno di questo dibattito ORA. Non c’è un momento da perdere”. Si trattava di un ordine dal cuore del pensiero inglesi di Donnelly ad approfondire l’influenza amministrativa interna inglese. Esaltare la Russia come minaccia, quindi avere più soldi dagli “interessi acquisiti” della gente e gettarli nella macchina militare.

Tale consiglio particolare del generale Barrons fu accettato. Nel 2017 l’Iniziativa per l’integrità presentò un accordo per il finanziamento dal ministero della Difesa per vari progetti destinati a influenzare pubblico, parlamento e governo, nonché forze straniere. L’offerta elenca “indicatori di performance” che dovrebbero misurare il successo delle sue attività. L’indicatore principale del lavoro proposto dall’Iniziativa è una “posizione più dura nella politica governativa nei confronti della Russia”. Chiedere che le finanze del governo influenzino il governo a prendere una “posizione più dura nei confronti della Russia” sembra referenziale. Ma questo è coerente con l’operazione di altri think tank anglo-statunitensi ed iniziative politiche in cui una parte del governo, di solito estremista, utilizza segretamente ONG e think tank per fare pressione su altre parti del governo per supportare uno specifico piano e budget. Ecco come avviene. Gli “esperti” dell’Institute for Statecraft ed Integrity Initiative testimoniano nel parlamento inglese. Mentre venivano pagati dal governo, facevano pressione sul parlamento sotto le mentite spoglie della loro ONG. Tale circolarità consente anche di utilizzare prodotti intermedi internazionali. I membri del cluster spagnolo dell’Iniziativa testimoniarono al Parlamento inglese su referendum catalano e accuse relative all’editore di Wikileaks Julian Assange. (È probabile che tale testimonianza abbia portato al cambiamento della posizione del governo ecuadoriano nei confronti di Assange). Sfortunatamente, o fortunatamente, tali operazioni di lobbismo sono per lo più gestite da persone incompetenti nel campo su cui fanno pressioni. Chris Donnelly, nonostante una lunga esperienza nell’intelligence militare, ha ovviamente zero competenze come stratega o pianificatore militare. Nel marzo 2014, poco dopo la separazione della Crimea dall’Ucraina, Donnelly suggerì misure militari che l’Ucraina doveva adottare verso la Crimea: “Se fossi al comando, adotterei il seguente dispiegamento

  • Costruire un cordone sanitario attraverso l’istmo di Crimea e sulla costa nord della Crimea con truppe e mine
  • Minare il porto/baia di Sebastopoli, che può essere fatto facilmente utilizzando un traghetto se non c’è un posamine. Non c’è bisogno di molte mine per essere efficace. Potrebbero facilmente comprarle.
  • Far decollare la loro forza aerea e attivare tutte le loro difese aeree. Se non riescono a far volare i Mig dall’aerodromo in Crimea, dovrebbero essere distrutti come gesto di serietà. Attivarsi “dal vivo” elettronicamente preoccuperà i russi dato che gli ucraini hanno gli stessi kit elettronici. Se i russi li bloccano, sono bloccati anche i loro kit.

L’Ucraina aveva armi seriamente importanti, come una grande arma antisatellite a microonde. Se l’hanno ancora questo, dovrebbero usarla.

Il governo ha bisogno di una campagna di comunicazione strategica, finora tutto arriva da Mosca. Devono articolare una visione a lungo termine che ispiri le persone, per quanto sia difficile. Senza di essa, chi hanno per combattere?

Dovrebbero chiedere ora all’occidente di iniziare a fornire petrolio e gas. C’è abbondanza disponibile a causa dell’inverno mite.
Sto cercando di trasmettere questo messaggio”.

Pensate per un momento a come la Russia avrebbe risposto alle mine nel porto di Sebastopoli, alla disarticolazione dei satelliti o alla distruzione dei caccia in Crimea. Tali “gesti” sarebbero stati atti di guerra illegali contro le forze di una potenza nucleare legalmente stazionate in Crimea. E come l’occidente avrebbe rifornito immediatamente gas all’Ucraina e su la rete di gasdotti progettata per riceverlo solo dalla Russia? Tale pensiero assurdo è tipico dell’Istituto e la sua propaganda. Uno dei suoi impiegati è Hugh Benedict Nimmo che l’Iniziativa pagava per produrre propaganda antirussa diffusa da varie pubblicazioni occidentali. Secondo i file dell’Iniziativa (ancora incompleti) Ben Nimmo ebbe la commissione di consulenza mensile da 2500 sterline tra dicembre 2015 e marzo 2016. Nell’agosto 2016 inviò una fattura di 5000 sterline per il suo “lavoro di agosto su Integrity Initiative”.

Un calendario di produzione da marzo a giugno 2016 elenca le seguenti attività di Nimmo:

17 marzo Consiglio atlantico: Sì, Putin crede davvero alla sua propaganda, Ben Nimmo
21 marzo Newsweek: la paranoia di Putin ne guida le avventure straniere, Ben Nimmo
22 marzo, Camera dei comuni inglese: guerra dell’informazione russa: realtà aerografata, Jonathan Eyal e Ben Nimmo
Metà maggio: Consiglio Atlantico: distrarre, ingannare, distruggere: Putin in guerra in Siria. Ben Nimmo et al (studio principale)
Calendario di inizio maggio: penetrazione russa in Germania, Harold Elletson, Ben Nimmo e altri. 10.000 parole
Calendario di giugno: Atlantic Council, importante rapporto sulla teoria della cospirazione russa e la politica estera , Ben Nimmo (potenziali presentazioni a Londra e/o Washington)

Fine giugno: mappatura dell’intera macchina dell’influenza della Russia, Ben Nimmo: 10000 parole”

Ci si chiede quanto spesso Ben Nimmo abbia fatturato per due volte ai suoi vari sponsor su questi opuscoli fantasy copia-incolla. Verso la fine del 2017, Ben Nimmo e la “giornalista” del Guardian Carole Cadwalladr hanno diffusero accuse secondo cui la Russia usava le pubblicità di Facebook per influenzare la decisione sulla Brexit. Cadwalladr persino ricevette un premio per il suo lavoro. Sfortunatamente non fu revocato quando Facebook rivelò che gli account “collegati alla Russia” avevano speso in totale di 97 centesimi per gli annunci sulla Brexit. È inspiegabile come ciò sia bastato a raggiungere il presunto scopo. Cadwalladr è indicata come relatrice in una conferenza sulla “condivisione delle competenze” organizzata dall’Istituto l’1-2 novembre dal titolo: “Affrontare gli strumenti dell’influenza maligna, sostenere il giornalismo del 21° secolo”. Quest’anno Ben Nimmo è diventato famoso per aver affermato che diverse persone dalle proprie opinioni erano “troll russi”. Come notammo: “Nimmo e molti altri idioti citati nel pezzo sono giunti alla conclusione che Ian56 è un troll pagato dal Cremlino, non una persona reale. Accanto a Ian56 Nimmo “identifica” altri “troll russi”:
Ben Nimmo @benimmo – 10:50 UTC – 24 Mar 2018Un retweeter particolarmente influente (a giudicare dal numero di account che poi l’hanno ritwittato) era @ValLisitsa, che pubblica in inglese e in russo. L’anno scorso, questo account entrava nella campagna #StopMorganLie della troll factory”.

Se Nimmo, ex-portavoce della NATO, avesse avuto una buona istruzione, avrebbe saputo che @ValLisitsa, alias Valentina Lisitsa, è la famosa pianista americano-ucraina. Sì, a volte tweetta in russo per i numerosi fan in Russia e Ucraina. È ora un crimine? I video delle sue performance in tutto il mondo su Youtube hanno più di 170 milioni di visualizzazioni. È assurdo affermare che sia un “troll russo” e insinuare che prenda soldi dal Cremlino per avanzare opinioni da “troll russo”.

L’Institute for Statecraft Expert Team elenca diverse persone con background nell’intelligence militare e molti “giornalisti”. Uno di loro è: “Mark Galeotti. Specialista nel pensiero strategico russo; applicazione della disinformazione russa e della guerra ibrida; uso della criminalità organizzata come arma di guerra ibrida. Abilità educative e mentoring, anche in un ambiente statunitense ed europeo, e nel mondo aziendale. Linguista russo”. Galeotti è l’infame inventore della “dottrina Gerasimov” e della propaganda sulla presunta guerra “ibrida” della Russia. Nel febbraio 2013 il Generale Valerij Gerasimov, allora Capo di Stato maggiore della Russia, pubblicò un documento che analizzava il modo in cui l’occidente conduce un nuovo tipo di guerra mescolando propaganda, eserciti di fantocci forze militari in un’unica operazione unificata. Galeotti sosteneva che l’analisi di Gerasimov sulle operazioni “occidentali” fosse una nuova dottrina russa di “guerra ibrida”, inventando il termine ‘dottrina Gerasimov’ poi lanciato nel regno della propaganda. Nel febbraio 2016 la rivista militare dell’esercito degli Stati Uniti pubblicò un’analisi del documento di Gerasimov che smentiva tali assurdità, concludendo: “L’articolo di Gerasimov non propone un nuovo tipo di guerra o guerra ibrida, come affermato in occidente”. Ma i propagandisti anti-russi ripetevano le sciocchezze di Galeotti. Solo nel marzo 2018, cinque anni dopo che Galeotti inventò la “dottrina di Germasimov” e due anni dopo essere stato completamente sfatato, ritrattò: “Ovunque troverai studiosi, esperti e politici che parlano della minaccia che la “dottrina di Gerasimov”, dal nome del Capo di Stato Maggiore della Russia, pone all’occidente. È un nuovo modo di guerra, “una teoria ampliata della guerra moderna” o anche “visione di guerra totale”. C’è un piccolo problema. Non esiste, e più a lungo fingiamo di farlo, più a lungo fraintendiamo la reale, ma diversa sfida della Russia. Sento di poterlo dire perché, con mio immenso dispiacere ho creato tale termine, che da allora ha acquisito una propria vita distruttiva, diffondendo goffamente nel mondo paura e disgusto”. Lo “Specialista nel pensiero strategico russo” dell’Istituto Statecraft, esperto di disinformazione e guerra ibrida, creava una dottrina russa inesistente dal nulla e l’usava per sollecitare misure antirusse. Come Ben Nimmo, è un ottimo esempio della qualità degli esperti e del lavoro dell’Istituto.

Uno dei documenti appena rilasciati, intitolato CND Gen list 2 (CND = Chris Nigel Donnelly) include nomi ed indirizzi e-mail di numerosi militari, membri di governo e di think tank. L’anonimo che l’ha reso pubblico afferma che l’elenco è “di impiegati che hanno partecipato a una riunione a porte chiuse coi caschi bianchi”. (Non veniva ancora pubblicato alcun documento che lo confermi). Un nome nell’elenco è di particolare interesse: “Pablo Miller era il capo di Sergej Skripal, il doppio agente inglese “noviccioccato” a Salisbury. Quando il nome di Miller fu menzionato dalla stampa, il governo inglese emise una D-Notice per sopprimerne la pubblicazione. Come scrivemmo ad aprile: “Pablo Miller, agente dell’MI6, aveva reclutato Sergej Skripal. Anche l’ex-agente dell’MI6 a Mosca, Christopher Steele, fu coinvolto nel caso. Skripal fu arrestato dai servizi di sicurezza russi e finì in prigione. Pablo Miller, il reclutatore dell’MI6, gestiva Sergej Skripal anche dopo essere stato rilasciato dalla Russia con uno scambio di spie. Secondo quanto riferito, vive anche a Salisbury. Sia Christopher Steele che Pablo Miller lavorano per Orbis Business Intelligence che ha creato il “Dossier sporco” su Donald Trump. Nel 1979, prima di diventare una spia, Pablo Miller prestò servizio nel 4.th Royal Regiment Tank . (Il giornalista della BBC Newsnight Mark Urban, che in seguito pubblicò un libro basato sulle interviste a Skripal

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BUON ANNO NUOVO, PRESIDENTE

Maurizio Blondet  31 Dicembre 2018

La notte di Natale, quando due caccia israeliani hanno attaccato la Siria (dallo spazio aereo libanese e “coprendosi” dietro due aerei civili), miravano ad eliminare, insieme a dirigenti Hezbollah, il generale iraniano Qassem Suleimani  il genio militare, bersaglio abbastanza prezioso da rischiare la contraerea siriana ora fornita di S-300.

L’ultima aggressione israeliana è stata peggio che un flop

Non solo hanno fallito il bersaglio; non solo le informazioni d’intelligence sulla base delle quali hanno rischiato il colpo, erano false; ma la loro censura non ha potuto tener segreto il fatto che un missile siriano era penetrato in profondità nel sacro territorio di Sion –  per il fatto che i “coloni” sionisti occupanti una vasta area fra Adera, Cesarea, Akiva e Binyamina, al suono delle sirene d’allarme, sono stati costretti a sotterrarsi nei bunker dove sono rimasti per ore senza elettricità, mentre si spandeva l’odore dell’esplosivo. Doveva essere un missile piuttosto potente, dato che per molti nella zona ha fatto l’effetto di “un terremoto”.  Sicché resta il dubbio (ai comandi sionisti) se si trattasse di un missile della difesa aerea siriana che mirava ai caccia israeliani ed ha proseguito la corsa, oppure di un missile terra-terra  che portava un “messaggio forte” ad Israele,  ossia  l’attuazione delle nuove regole d’ingaggio che Putin e i comandi di Mosca avevano annunciato giorni prima, ricevendo  gelidamente la delegazione dell’aviazione sionista. Come avevamo riferito, i russi avevano annunciato ad Amikam Nurkin,comandante generale dell’aviazione israeliana, trattandolo da mentitore:

La Siria non esiterà a colpire un aeroporto israeliano nel caso in cui l’aeroporto di Damasco venisse colpito da Israele e ciò avverrà con il consenso delle forze armate russe che si trovano nel Levante”.  “La Russia, inoltre, ha dato alla Siria il via libera a colpire Israele ogni volta che gli aerei di Tel Aviv lancino attacchi contro obbiettivi militari siriani o anche nel caso in cui lancino missili a lungo raggio senza volare sulla Siria”.

Secondo il  giornalista Nasser Kandil,  24 ore dopo  l’esplosione i russi hanno comunicato ai dirigenti israeliani che il missile esploso era un SA-5, ossia una variante dello S-200, che può essere usato anche come missile balistico terra, ha portata 300  chilometri ed  “un forte potenziale di  distruzione”.

Con ciò, il regime sionista ha avuto la certezza che le regole d’ingaggio sono cambiate. E inoltre, che le  forze armate siriane non si preoccupano più delle reazioni israeliane. Secondo Kandil,  “Israele  ha perduto il fattore-sorpresa degli F-35 (uno dei due che hanno sparato dallo spazio libanese) e dei missili intelligenti GBU-39, mentre la Siria ha ancora il fattore sorpresa dei  missili S-300”  che non ha ancora usato.

Non so quanto ci sia di esagerato in questa asserzione. Ma certo  colpisce la sicurezza  e rapidità  con cui le forze di Damasco  sono entrate in Manbij, in risposta alla richiesta di soccorso dei curdi  abbandonati (traditi) dagli americani,  mentre i turchi e gli americani, per  studiare come darsi il cambio a  Manbij,  si sono concertati per mesi, e il capo di Stato Maggiore Usa è andato due volte ad Ankara  allo scopo.

A  Damasco riaprono le ambasciate  nemiche

Non meno significativo sono i rapporti diplomatici che   vari paesi arabi  – dopo otto anni di conflitto e di isolamento –  si affrettano a riallacciare con Assad, che prima trattavano da appestato, sicuri com’erano della sua prossima eliminazione e della costituzione in Siria di un regime islamista. Il 17 dicembre gli ha fatto visita a Damasco il presidente del Sudan, Omar el-Beshir. Adesso annuncia la sua visita a Damasco il presidente della Mauritania, Mohamed Uld Abdel Aziz. Gli Emirati – che avevano rotto i rapporti diplomatici, essendo satelliti dell’Arabia Saudita –  riaprono l’ambasciata a Damasco, e chiamano la repubblica siriana “paese fratello”.  Riyad fa sapere che “non vede ostacoli  al ritorno della Siria nella Lega Araba” – da cui l’aveva fatta espellere, mentre è Damasco a far sapere che non sarà lei a chiedere la riammissione al  suddetto  consesso.

Isis e Al Qaeda  non solo appaiono debellati, ma sono apparsi quel che sono: un’appendice dell’imperialismo Usa e di Sion,  stipendiato dai sauditi. Il voltafaccia di Trump (adesso pare ci stia ripensando, dopo un colloquio con Lindsey Graham, il gemello scemo di Mc Cain …)  che ha abbandonato i curdi non aumenta certo il prestigio dell’Occidente, né quello di Parigi che  ha lì qualche centinaio di commandos e non sa bene come   filarsela inosservato. Ugualmente vergognosa la UE che continua a trattare Assad come nemico  (“che gasa il suo popolo”) e a mantenerlo sotto sanzioni, mentre i vicini arabi più realistici riconoscono: 1  La legittimità di Assad, che il suo popolo ha sostenuto, sopportando rovine e distruzioni inenarrabili,  in otto anni di ferocissima guerra condotta con mezzi immani e centinaia di migliaia di guerriglieri arruolati in mezzo mondo (anche in Europa…);  2) che il conflitto  in Siria  non è mai stato una guerra civile, dove un’opposizione lottava per “il pluralismo”, ma una guerra esterna condotta con mezzi sleali.

In questo nuovo clima il Qatar, il micro-stato (ma primo produttore mondiale di GPL)  che il reuccio saudita Bin Salman l’Impulsivo contava di affamare  con l’embargo che impose nel giugno 2017, emerge invece come centro finanziario del Golfo (la borsa di Doha è giudicata un successo  dagli investitori,  gestisce il triplo dei valori della borsa di Ryiad; e la “Davos del Deserto”  lanciata dall’Impulsivo  che aveva appena assassinato Kashoggi, è stata un fiasco  disperato) riceve alimentari e amicizia dall’Iran oltre che protezione militare da Ankara.

Insomma – dopo aver fatto i dovuti scongiuri e  in attesa dei colpi di coda del noto scorpione – di poter sottoscrivere provvisoriamente  la valutazione di Kandil: “La Siria ha cambiato gli arabi”.

La  Vergine ha assegnato  un compito ai siriani

Il pensiero non può non andare a ciò che sacerdoti  siriani,  cattolici o maroniti,  hanno raccontato: che nel 2011, appena scoppiata la guerra, Bashar Assad stava pregando in un santuario  mariano quando sentì una voce femminile che gli diceva: non temere, non ti abbandonerò e la  Siria vincerà.

Anche Myrna Nazzur del resto ha sempre detto che la Siria avrebbe vinto, ‘perché la Madonna lo ha promesso’.  Myrna, oggi cinquantenne e madre di due figli maggiorenni, aveva 18 anni ed era appena sposata quando, nella sua modesta casa di Damasco, ha  cominciato a  ricevere i messaggi della Vergine e di Gesù, e insieme un’essudazione di olio profumato da un’immaginetta

 

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CULTURA

Vite, e destini, dei filosofi

Luigi Azzariti-Fumaroli

Di recente, nel passare in rassegna le tendenze, gli sviluppi ed i tratti distintivi della filosofia italiana dell’ultimo torno d’anni, Paolo Godani ha giustamente lamentato l’esiguità dello spazio editoriale riservato ai testi situati tra la saggistica accademica e quella “giornalistica”. Si tratta in effetti di un ambito guardato con diffidenza dagli specialisti non meno che dai comuni lettori (i primi per supponenza, i secondi per inesperienza), e per questo poco coltivato dalle case editrici, oggi più che mai scettiche verso quelle opere di cui è facile predire uno scarso successo commerciale. In altri Paesi, al contrario, si segnalano ottimi esempi di lavori divulgativi particolarmente sorvegliati e accurati, destinati soprattutto a una platea di lettori giovani, coltivati e intellettualmente curiosi, sovente resi tali da istituzioni educative sensibili anche alle voci della cosiddetta critica militante. È stata non a caso la decisa affermazione che il volume di Wolfram Eilenberger ha avuto in Germania a consigliarne la traduzione italiana, affidata alle cure esperte di Flavio Cuniberto, nell’auspicio forse di poter replicare il successo ottenuto più di venti anni fa da Heidegger e il suo tempo di Rüdiger Safranski. Se questa era tuttavia essenzialmente una biografia ragionata, il lavoro di Eilenberger, direttore dell’autorevole foglio d’informazione filosofica “Philosophie Magazin”, ha un altro proposito, solo in parte coincidente con quello di illustrare le esperienze di vita e di pensiero di Heidegger, Cassirer, Wittgenstein e Benjamin nel decennio compreso fra il 1919 ed il 1929.

Eilenberger mostra il rinnovamento perseguito da Benjamin di una critica totale e dinamizzante o i tormenti del giovane Heidegger per una libertà incondizionata “nel pensiero, nell’agire, nell’amore” o ancora i tentativi di Wittgenstein di portare nella vita quotidiana una sorta di mistica pacificazione, la stessa nella quale sembra confermarsi, a dispetto d’ogni assalto della storia, Cassirer, nella sua olimpica serenità. Ma, nel distillare gli accadimenti con la meticolosità del biografo, non procura elementi nuovi rispetto alle ricerche che l’hanno preceduto. Il suo scopo appare più ambizioso; così come il suo stile, tanto più che “l’indifferenza stilistica è quasi sempre un sintomo di raggelamento del contenuto”. La forma che Eilenberger adotta, e che coniuga in modo estremamente equilibrato rigore scientifico e vivacità di scrittura, avanza per progressioni figurative le quali, raggiunto un certo grado di tensione intellettuale o emotiva, volgono d’un tratto in una situazione non di rado aneddotica. A suggerire questa scelta, che invero a volte può apparire un poco forzata, sembrerebbe essere la volontà di omaggiare lo spirito saggistico, rivitalizzandolo. Come Eilenberger ha dichiarato nel corso d’una recente intervista (“La Lettura”, 30 settembre 2018), l’iperspecializzazione, nella quale negli ultimi anni si è voluta confinare la filosofia, ne ha isterilito la vocazione pubblica e antidogmatica. Il voler recuperare la forma vaga e ambigua del saggio significa opporsi all’iterazione dell’identico, a quella tautologia che è apologia dello stato presente. La scrittura saggistica non tollera che le venga prescritta la sua sfera di competenza. Secondo quanto era stato sostenuto già da Adorno, il saggio, invece di produrre alcunché come la scienza, o di creare alcunché come l’arte, deve soltanto rispecchiare l’otium “di chi, come il fanciullo, non si vergogni di provare entusiasmo per ciò che altri hanno già fatto”.

Gioia e gioco, per Adorno indispensabili elementi del saggio, sono, però, da

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CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE

La CIA e il traffico internazionale di droga

Luca D’Agostini, Madre Russia 6 dicembre 2018

Il coinvolgimento dei servizi segreti statunitensi (CIA – Central Intelligence Agency) nel traffico internazionale di droga al fine di contrastare l’Unione Sovietica, è un argomento che i media occidentali si sono ben guardati dall’approfondire.

Iniziamo con gli anni ’70. In quel periodo la CIA aveva organizzato un vero e proprio laboratorio di lavorazione dell’oppio nel nord del Laos, e grazie all’appoggio del generale laotiano Vang Pao, il sudest asiatico divenne a quel tempo il maggiore produttore ed esportatore di eroina. La compagnia aerea statunitense “Air America” fu usata segretamente dalla CIA fino al 1976, con compiti di rifornimento e appoggio in operazioni ritenute top secret soprattutto durante la guerra del Vietnam. In realtà trasportava droga. La droga, così come le armi, è sempre stata usata dalla CIA come merce di scambio o per finanziare gruppi antisovietici. Anche dittatori favorevoli alle politiche degli Stati Uniti beneficiarono degli introiti derivanti dal narcotraffico. Molto interessanti furono anche le dichiarazioni del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia, il quale dichiarò ai giudici statunitensi che Cosa Nostra utilizzava la base NATO di Sigonella per spedire ingenti quantitativi di eroina dalla Sicilia verso gli Stati Uniti.

Secondo il pentito, “tra il 1979 ed il 1980 furono spedite diverse partite di eroina, raffinata dallo stesso Marino Mannoia per conto della famiglia di Santa Maria di Gesù, che faceva capo ai fratelli Stefano e Giovanni Bontade, e di altri boss, come Antonino Grado e Francesco Mafara. (1)

Proseguiamo con gli anni ’80. Pochissimi anni prima in Nicaragua si era instaurato il governo filosovietico di Daniel Ortega e, in contemporanea alla sua ascesa, Reagan autorizzò la costituzione di un esercito per destabilizzare il legittimo governo nicaraguense. Questo esercito divenne poi noto come fronte democratico nicaraguense (FDN) o Contras, da “contrarevolucionarios” ed era agli ordini del colonnello Bermudez, vecchio ufficiale della guardia nazionale. L’obiettivo dei Contras era di fiaccare il morale della popolazione, e indebolire il sostegno ai Sandinisti, vittoriosi nelle elezioni democratiche. Negli anni a venire, il gruppo si fece conoscere soprattutto a causa di episodi molto spiacevoli, tra i quali attacchi ad ospedali e chiese. Si calcola che almeno 22.000 civili, per lo più contadini, donne e bambini, morirono durante le azioni dei Contras. I finanziamenti ai Contras però non erano sufficienti. Fu così che nel marzo del 1982, due esiliati nicaraguensi, Danilo Blandon e Juan Meneses, volarono in Honduras per riunirsi con il colonnello Bermudez, dovevano trattare il finanziamento dei Contras. Meneses era un narcotrafficante noto come “il re della droga”. Presero accordi; Meneses andò a San Francisco a curare l’importazione di tonnellate di cocaina, mentre Blandon la distribuiva ai trafficanti. La CIA e il Pentagono, con il colonnello Oliver North, erano già implicati. (2) Il caso finì sotto i riflettori (ma non troppo) quando nel 1996 tale Gary Webb, giornalista del San Jose Mercury News, un piccolo giornale californiano con sede a Sacramento, pubblicò un’investigazione completa di testimonianze, dettagli, date e documenti che dimostrava come agissero questi controrivoluzionari. Dalle indagini di Gary Webb emerse che il sostenitore principale, nonché finanziatore, dei Contras era niente di meno che la CIA, i servizi segreti degli Stati Uniti. Quello che Gary Webb scoprì durante suoi numerosi viaggi in America centrale, spulciando trai documenti che riuscì ad ottenere ed intervistando poliziotti, trafficanti, avvocati e membri della malavita fu davvero sorprendente. Gli Stati Uniti finanziarono i Contras con i profitti della vendita delle armi in Iran e quando il Congresso decise di bloccare l’operazione, intervenne la CIA. Il piano architettato e successivamente portato a termine dalla CIA aveva dell’incredibile: i Contras furono finanziati con i profitti derivati dalla vendita di cocaina in tutto il Nord America, soprattutto in California che, per motivi geografici, era una regione particolarmente comoda. In pochissimo tempo fu organizzato un commercio su scala internazionale di tonnellate e tonnellate di cocaina che ogni giorno venivano caricate su aerei che partivano dal Nicaragua e atterravano in varie piste di tutti gli Stati Uniti. Tutto ciò avveniva sotto il controllo e la protezione della CIA che così poteva combattere l’influenza sovietica in Nicaragua senza sporcarsi le mani direttamente e soprattutto salvaguardando le casse dello Stato. Tutto ebbe un impatto devastante sulla popolazione, soprattutto sulla frangia afroamericana. La quantità di droga che ogni giorno giungeva nei quartieri più poveri delle città californiane era enorme, così come confermò Ricky “Freeway” Ross, uno dei malavitosi più potenti e ricchi di Los Angeles che confessò poco tempo dopo di aver fatto parte di un sistema enorme e ben organizzato che gli permetteva di vendere crack e cocaina per oltre 500 mila dollari al giorno. Torniamo al protagonista di questa storia, il coraggioso giornalista Gary Webb. Dopo aver scoperto, documentato e rivelato tutto ciò, la sua vitafu caratterizzata da una serie di eventi decisamente spiacevoli. I maggiori giornali statunitensi, Washington Post e Los Angeles Times su tutti, screditarono fortemente il suo operato attaccandolo su vari fronti: dalla raccolta delle prove, alle tesi sostenute passando addirittura a spulciare nella sua vita privata. Sotto la pressione di questi colossi del giornalismo, anche il San Josè Mercury News provò a convincere Webb a ritirare tutto, ma Gary era troppo onesto nei confronti del suo lavoro e del suo popolo per tirarsi indietro e continuò la sua lotta, anche lontano dalla sua famiglia. Era chiaro che ormai aveva molti più nemici che amici preferì dunque salvaguardare la sicurezza dei suoi cari. Webb dichiarò: “Ho lavorato sempre e soltanto per la verità e il risultato è stato che nessuno ha mai indagato sui narcotrafficanti ma sono state aperte centinaia di indagini su di me, mentre le indagini sulla CIA sono state affidate ai suoi stessi agenti. I giornali hanno potuto continuare a scrivere menzogne perché, in questo Paese la verità è considerata sempre una “cospirazione terroristica” e l’unica cosa che conta è far tacere chi la dice o farlo apparire come un mezzo pazzo per screditarlo: ha sempre funzionato e funzionerà sempre”. Per opera della CIA, di personaggi molto potenti rimasti all’oscuro e dei direttori dei principali giornali statunitensi, il caso finì nel dimenticatoio molto presto e Gary Webb nell’immaginario collettivo diventò un pazzo. Coraggiosamente la sua battaglia continuò con al fianco Jordy Cummings, ex-agente della CIA che, come Webb, aveva notato qualcosa di strano durante la sua attività. Nel 1998 Webb riformulò tutta la sua indagine mettendo insieme tutto il materiale a sua disposizione e pubblicò il libro “Dark Alliance: The CIA, the Contras, and the Crack Cocaine Explosion“. Anche se consapevole di aver perso la sua battaglia contro una delle agenzie investigative più importanti del globo, o forse contro un intero sistema, continuò a lottare fino a quando il 10 dicembre 2004 fu trovato morto a casa della moglie con due proiettili nel cranio. Il caso fu archiviato come suicidio, ma c’è ancora chi, con un minimo di intelligenza, cerca di capire come ci si possa sparare in testa una seconda volta. (3)

Passiamo ad analizzare la situazione in Afghanistan. Al fine di contrastare la legittima presenza dell’Unione Sovietica in Afghanistan, la CIA strinse contatti con diversi esponenti di spicco del mondo della droga mediorientale, tra cui Gulbuddin Hekmatyar, signore della droga afghano, nel tentativo di favorire la lotta dei terroristi contro i sovietici. 4 5 6 Secondo lo storico Alfred W. McCoy, la CIA si adoperò al fine di creare amicizie e legami di collaborazione con i narcotrafficanti più influenti attraverso finanziamenti, armi, protezione politica e altri mezzi, spingendoli in compenso a lottare contro l’Unione Sovietica e contemporaneamente a rendersi protagonista indiretta del traffico dell’eroina e di altre droghe. Prima che Usama bin Ladin ed i taliban diventassero “famosi” all’opinione pubblica occidentale, il leader dei cosiddetti mujaheddin era Yunus Khalis. Khalis combatteva anche contro gli altri gruppi afgani: l’obbiettivo era il controllo dei campi di papavero, delle strade e dei sentieri che portavano ai suoi laboratori di eroina vicino al suo quartier generale, nella città di Ribat al-Ali. A Darra, la CIA vi aveva installato una fabbrica di armi per produrre copie delle armi sovietiche (in modo da eludere l’embargo sulle armi). La fabbrica era gestita dall’ISI (Inter-Service Intelligence pakistano). I guerriglieri afgani trasportavano l’oppio dall’Afghanistan al Pakistan, vendendolo al governatore pakistano del territorio nord-occidentale, il generale di corpo d’armata Fazle Haq. Trasformato l’oppio in eroina, i camion dell’esercito pakistano la portavano a Karachi, quindi veniva spedita in Europa e USA. Gli agenti della DEA, l’Agenzia Federale Antidroga statunitense, sapevano molto bene che una ditta usata dalla CIA per finanziare i mujaheddin, la Shakarchi Trading Company, era coinvolta nel traffico internazionale di droga. La DEA scoprì che uno dei principali clienti di questa ditta era Yasir Musullulu, arrestato in flagrante mentre tentava di vendere un carico di oppio grezzo afgano da 8,5 tonnellate a esponenti della famiglia Gambino di New York. Nel 1984, il vicepresidente George Bush si recò in Pakistan a visitare il generale del regime pakistano, Zia Ul-Haq. In quel periodo Bush era a capo del National Narcotics Border Interdiction System (Sistema nazionale di interdizione dei narcotici al confine). Investito di questa funzione, Bush incaricò la CIA delle operazioni antidroga, dell’uso e del controllo degli informatori. Nominò capo operativo l’ammiraglio in pensione Daniel J. Murphy. Questi chiese con insistenza l’accesso alle informazioni riservate sui cartelli dei narcotrafficanti. Ovviamente la CIA non gli diede nulla. Il vicepresidente tuonò sui quotidiani statunitensi che “non sarebbe mai sceso a patti con i narcotrafficanti sul suolo statunitense, né su quello straniero“. Lodò il regime di Ul-Haq “per il suo inflessibile sostegno alla guerra alla droga” e trovò anche il tempo per far sottoscrivere ai pakistani un contratto per l’acquisto di 40 milioni di dollari di turbine a gas prodotte dalla General Electric. (7)

Durante gli anni ’80, l’amministrazione Reagan, in modo del tutto ipocrita, addossò addirittura la colpa del boom della produzione di eroina in Pakistan ai generali sovietici di stanza a Kabul. In realtà invece, nel 1982, l’Interpol aveva identificato il presidente pakistano ul-Haq come pedina chiave nel traffico di oppio fra Afghanistan e Pakistan. Qualche tempo dopo, Zia Ul-Haq fu fatto saltare in aria con una bomba piazzata sul suo aereo presidenziale (vd. articolo su Madre Russia: “La rivolta del Campo Badaber”). Di conseguenza, Fazle Haq perse la preziosa protezione di ul-Haq e fu arrestato per un omicidio di un religioso sciita (commesso qualche tempo prima). Dopo aver destituito il primo ministro Benazir Bhutto (che sarà poi uccisa nel 2007), il sostituto Ishaq Khan fece scarcerare Fazle Haq (sarà ucciso qualche tempo dopo, forse per vendetta per la morte del religioso sciita). La DEA venne in possesso di informazioni relative al marito della Bhutto, Asif Ali Zardari, per aver finanziato spedizioni di eroina dal Pakistan verso Gran Bretagna e Stati Uniti. La DEA aveva affidato le indagini sul grande traffico internazionale di droga a John Banks, per lavorare sotto copertura in Pakistan. Banks era un agente esperto, aveva già lavorato per la DEA e pure per la Gran Bretagna. L’agente sotto copertura incontrò il marito della Bhutto, un generale dell’aviazione e un banchiere pakistano per discutere circa la logistica del trasporto, e gli dissero che “il Regno Unito era un’altra zona verso la quale avevano regolarmente spedito eroina e hashish”. Un agente in pensione della polizia doganale britannica disse al Financial Times che tenevano sott’occhio Zardari, e che avevano informato i servizi segreti britannici. Anche in questo caso però, Banks disse che la CIA bloccò le indagini della DEA su Zardari.

Un’altra vicenda che suscitò scandalo fu la scoperta che Ahmed Wali Karzai, fratello dell’attuale presidente afghano, il filo statunitense Hamid Karzai, era nel libro paga della CIA da otto anni (all’ottobre 2009), e la sua vicinanza al traffico d’oppio nel Medio Oriente contribuì a offuscare le reali intenzioni dei servizi segreti degli Stati Uniti circa il blocco del commercio della suddetta droga. Karzai, in ottemperanza a queste relazioni, fu pagato per realizzare operazioni in alcune regioni dell’Afghanistan e reclutare forze paramilitari. (8) Ma non crediate che dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, la CIA abbia smesso di occuparsi di traffico internazionale

Continua qui: http://www.madrerussia.com/la-cia-e-il-traffico-internazionale-di-droga/

 

 

L’ipocrisia di Chomsky e della sinistra imperialista

27 dicembre 2018da aurorasito

FRN 25 dicembre 2018

Molti pro-Rojava (l’entità curda separatista sul territorio siriano) di sinistra, incluso Noam Chomsky, concordano la necessaria occupazione militare illegale degli USA di un Paese sovrano per proteggere “i curdi”, probabilmente perché non hanno idea di quanto pragmaticamente il Presidente Bashar al-Assad affronti pretese e lamentele dei curdi. Le Unità di protezione del popolo curdo (YPG) volevano la cittadinanza per 300000 curdi apolidi e Assad la concesse nell’aprile 2011. Poi volevano l’autonomia, che Assad effettivamente concesse nel luglio 2012. La maggior parte non sa che dal 1980-98 in Turchia, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), in cui le YPG sono la filiale siriana, e il suo leader Abdullah Ocalan avevano la base a Damasco da dove intrapresero la campagna secessionista contro la Turchia. Più in generale, perché nella mente della sinistra filo-rojava i curdi sono le sole vittime dell’estremismo islamico le cui vite appaiono importanti? Perché serve un’agenda pro-partizione. Dieci milioni di yemeniti muoiono di fame proprio a causa della campagna d’aggressione saudita che arruola 100000 mercenari armati dal complesso industriale militare anglo-statunitense, per combattere al fianco di al-Qaida contro il governo sostenuto da Ansarullah a Sana, solo per ripristinare lo status quo filo-saudita. Alla sinistra non importa nulla dello Yemen non essendo di moda, senza femministe danzanti da esotizzare.

Se la sinistra filo-Rojava si è davvero preoccupata degli islamisti sostenuti dalla Turchia che assassinavano i curdi socialisti, perché dal 2012 al 2014 non disse nulla su armamento e finanziamento degli islamisti da parte dell’alleanza NATO-Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC)? Ricordo quel periodo, gli unici che dissero qualcosa in difesa dei curdi siriani (a parte i curdi di sinistra)

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Un aereo spia americano vola presso base russa in Siria

28.12.2018)

Un aereo dell’aeronautica USA, il Boeing P-8A Poseidon, ha volato sopra le acque del Mar Mediterraneo, dice Plane Radar su Twitter.

L’aereo è decollato dalla base aerea della NATO a Sigonella in Sicilia e poi ha effettuato un’esplorazione vicino alla Costa del Libano e della Siria, si è avvicinato a 30 chilometri dalla costa.

​Il volo è durato circa un’ora. In questa zona le navi da guerra russe devono

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https://it.sputniknews.com/mondo/201812287025168-aereo-spia-antisommergibile-boeing-vola-presso-base-russa-siria-libano/?fbclid=IwAR1y8_JZ7pjeBq4QlZgAJmufLYjDu0csHHgQ18dDFTtMt-jLU8gt3hLxOKM

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Immigrazioni incontrollate e simboli che cadono, la resa dell’Occidente

www.nicolaporro.it

Il campo dei santi di Jean Raspail è un libro eccezionale. Scritto nel 1973, sembra che ripercorra esattamente, anche se in modo romanzato, le tensioni migratorie di questi anni.

La trama è attualissima. Un gruppo di paria si impossessa di un centinaio di navi scalcagnate nel porto di Calcutta. Nella totale indifferenza dell’opinione pubblica occidentale, e nella sottovalutazione se non compiacenza delle rappresentanze diplomatiche locali. La migrazione (telefonata si direbbe in termini calcistici) si conclude sulle coste meridionali della Francia. «Di fronte ad un milione di invasori l’opinione pubblica e le autorità occidentali cedono ad una ottusa disperazione; si lasciano occupare». Il buon senso resta nei comportamenti e negli occhi di quell’unico vecchio abitante della montagna che guarda dall’alto le navi dei disperati, senza aver alcuna intenzione di lasciare libera la sua casa all’occupazione. Anzi uccidendo l’invasore. È il disperato grido dell’eroe di Raspail, che non ci sta. «L’uomo di colore scruta l’uomo bianco mentre questi discorre di umanità e di pace perpetua. Ne fiuta l’incapacità e l’assenza di volontà di difendersi».

È una resa dell’Occidente, raccontato da uno scrittore che all’epoca fu tacciato dall’intellighenzia di sinistra come razzista. Nelle parole di un console belga che aveva intuito tutto per primo, il racconto di ciò che avviene anche oggi: «Avete creato dal nulla, nel cuore del nostro mondo bianco, un problema razziale che lo distruggerà, ed è proprio questo il vostro obiettivo, dato che nessuno di voi è fiero della sua pelle bianca e di ciò che esso significa».

I simboli dell’occidente uno alla volta cadono, e il racconto dell’invasione va di pari passo all’abdicazione rispetto ai nostri valori. Il Papa si spoglia delle sue apparenze, delle sue ricchezze, dei suoi palazzi e anche del suo

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ECONOMIA

Una recessione in stile 2008 o in stile anni Trenta?

27/12/2018 Massimo Bordin

I lettori mi dicono: basta Gesù, parlaci di SOLDI! Io per la verità avrei glissato volentieri non solo perché Natale e Gesù ci calza a pennello (anche se Santa Claus è invenzione della Coca Cola), ma soprattutto perchè le analisi non sono confortanti. Per nostra fortuna – come dice il mio amico trader Stefano Fanton – “i mercati sono fatti per sorprendere” e dunque tutto può sempre succedere, però questo non deve distoglierci dal fotografare la situazione. Ed è una fotografia che non mi piace.

In passato, qualche lettore mi ha già tacciato di pessimismo, evidenziando il fatto che in Borsa (quasi) tutto cresceva. Detto nella speranza di non offendere nessuno, si trattava però di lettori che mi leggono sporadicamente, perdendo per forza di cose il filo di un ragionamento. In questi anni, al contrario, ho parlato molto positivamente di diverse azioni ed assets, che poi in effetti hanno brillato alla stragrandissima. Questi ultimi sono stati anni in cui tutto saliva però, e dunque, contrariamente a quanto visto fare da altri analisti, non mi sembra proprio il caso di fare la ruota da pavone. Il “pessimismo” di cui si diceva era dato dalla situazione dell’economia reale, non della finanza, e sono sempre più convinto che siano due universi del Dio Denaro difficilmente correlabili, se non nel lunghissimo periodo.

Questa volta, però non sono preoccupato solo per il mercato del lavoro, per la tenuta del welfare, per la deindustrializzazione o la messicanizzazione dell’Italia. Ero pessimista dal 2009 e si è visto com’è andata, mentre c’è chi parlava di “ristoranti pieni”. Questa volta anche la finanza sta dando segni di forte nervosismo, e ciò avviene dopo una lunga fase – il 2018 – che chiamerei distributiva, cioè una fase in cui le aziende quotate salgono e scendono, ma in cui di fatto le mani forti del mercato le vendono a quelle più deboli in attesa di riposizionarsi.

Siccome non mi va di fare figuracce e di prendermi la colpa dello scenario negativo che mi sembra presentarsi nel 2019, scarico volentieri questa responsabilità su Ray Dalio che a quanto pare di soldi se ne intende:

«Credo che siamo in un periodo simile a quello della fine degli Anni ‘30 – ha confessato in un’intervista al Corriere – in cui i divari di ricchezza portano a conflitti sia all’interno dei Paesi sia tra di loro, e tra le potenze emergenti (allora la Germania, ora la Cina) e quelle esistenti (allora l’Inghilterra, ora gli Stati Uniti ). Questi conflitti probabilmente peggioreranno nella prossima recessione che credo si verificherà nei prossimi due anni circa».

Quali sono gli elementi che hanno reso Ray Dalio così negativo sui mercati?

Visto e considerato che potrebbe anche raccontare una panzana appositamente, in quanto “moviere” del mercato internazionale con il suo ipermegafondo Bridgewater, è bene dire che la statistica è dalla sua parte: non si era

Continua qui: http://micidial.it/2018/12/una-recessione-in-stile-2008-o-in-stile-anni-trenta/

 

 

Il sacro occidentale impero dell’unione europea

Lisa Stanton – 28 DICEMBRE 2018

 

In assenza di un pericolo autoritario ci si può baloccare fra destra e sinistra, ma i poli della lotta politica restano sovranismo (cioè difesa della democrazia) e assolutismo (difesa degli interessi delle élites). Il passaggio di potere dalle famiglie ai cittadini di un determinato territorio, servì anticamente per attenuare la concentrazione del potere aristocratico.

Per sua natura l’impero, per strutturarsi e sopravvivere, non poteva che avere carattere antidemocratico, sebbene i suoi editti, statuti e trattati si vantassero del contrario.

Oggi deterritorializzare le sovranità serve quindi per sradicare le democrazie, perché il territorio ed il legame culturale sono in antitesi ad una tirannica concentrazione di potere. L’attacco alla sovranità territoriale di istituzioni sovranazionali e della manovalanza noborder sono, secondo la grammatica della geopolitica, un attacco alla democrazia.

Questo è la U€ (e la BCE): l’attacco al territorio ed al legame culturale, indicativo di un attacco alla democrazia ed ai diritti sociali.

 

Come gli imperi più subdoli e pericolosi, anche L’unione non si presenta come tale.

 

Ti dà direttive sulle vongole, sui cetrioli, sul politicamente corretto, sulla tutela delle minoranze (ricche), sul dovere morale di meticciato e di paternalismo.

Ma resta un attacco alla democrazia ed ai diritti sociali mediante la cancellazione della memoria storica che rimuove ogni codice culturale e politico

 

Continua qui: https://www.facebook.com/lisa.stanton

 

 

 

Commissariati a nostra insaputa

 

21 Dicembre 2018

Nella prima parte di questo video, Claudio Messora sintetizza i dubbi che hanno colto molti di noi, dopo la chiusura delle trattative con l’Europa.

Siamo proprio sicuri di aver riportato una “vittoria”, come dicono Salvini e Di Maio

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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Se le banche ignorano il rapporto umano col cliente

La componente emotiva tra un istituto di credito e il suo correntista è fondamentalie. Ma troppo spesso non viene considerata. Il caso di Carmine Di Maio.

28 dicembre 2018

arroganza dei bancari è il segnale della loro mediocrità professionale e della loro cieca vanità. I loro deliri di onnipotenza nascondono seri problemi di integrazione in un contesto sociale e civile completamente mutato rispetto a 20 anni fa. Non è una generalizzazione ma sicuramente il pensiero dominante nell’universo dei dipendenti delle banche è ancora lontano anni luce dalla piena consapevolezza di ciò che li aspetta. Ancora non si rendono conto che l’unico elemento che può tentare di arginare la furia dei mostri del comparto tecnologico come Google, AmazonFacebook Apple (i cosiddetti Gafa) che, a breve, entreranno nel mondo della finanza, è il rapporto umano. Capitale tecnologico, manageriale, finanziario e soprattutto di fiducia dei Gafa sono centinaia di volte superiori a quelli del sistema bancario. L’unico aspetto che indurrà quindi il consumatore a privilegiare la relazione con la banca sarà solo ed esclusivamente la componente emotiva derivante dal rapporto con un essere umano. Umano, appunto.

IL CASO DI CARMINE DI MAIO

Ma gli episodi denunciati come worst practice sono ancora numerosi rispetto a quelli, pochi ed eccezionali, individuabili come “buone pratiche” comportamentali. Paradigmatico è il caso di Carmine Di Maio, umile ed educato operaio che cerca di arrivare a fine mese con lavori saltuari e precari e che, avendo ricevuto regolare assegno circolare come indennizzo per una causa di lavoro vinta, è stato più volte umiliato da un triste (da un punto di vista della energia relazionale) ed arrogante impiegato della sede centrale di Napoli di uno dei più grandi istituti di credito in Italia, emittente dell’assegno, che non ha voluto riconoscergli quanto dovuto. Ha portato con sé il verbale di conciliazione per dimostrare che la fonte era regolare.

 

Ha esibito due (2) documenti di identità e il codice fiscale per il regolare riconoscimento. Ha fatto presente che non poteva, per i costi, permettersi l’apertura di un conto corrente che tra l’altro gli era stata rifiutata anche solo per il tempo necessario all’incasso del titolo. Ha chiesto, disperato, di parlare con qualche “direttore” ma è stato addirittura preso di forza dalle guardie giurate per essere sbattuto fuori dalla filiale. Ha infine denunciato alla nostra redazione l’accaduto e a nulla è servito il nostro intervento per capire i

Continua qui: https://www.lettera43.it/it/articoli/economia/2018/12/28/assegno-circolare-carmine-di-maio-banca/227658/

 

 

Quale è il futuro di Deutsche Bank

Le accuse di aver favorito operazioni di riciclaggio. Il crollo dei titoli azionari. La mancanza di strategia. L’ipotesi fusione con Commerzbank. Perché per la banca tedesca il 2019 è un anno fondamentale.

STEFANO CASERTANO28 dicembre 2018

a notizia del mese su Deutsche Bank è che sarebbe esposta con i derivati per un totale pari a 20 volte il debito italiano. La news percorre internet di social in social, con grande soddisfazione di alcuni. «I tedeschi dovrebbero preoccuparsi delle loro banche, prima che dell’Italia», è un commento tipico. Il problema è che la notizia, se non falsa, è almeno fuorviante. È vero cioè che il valore “nozionale” dei derivati di DB è di oltre 48 mila miliardi di euro. È vero anche che fino al 2008, quando a New York non si sapeva a chi sbolognare un derivato, la risposta tipica era «chiama Deutsche Bank». È vero quindi che la trasformazione in banca d’affari internazionale – da banca “industriale” che era – è stata caratterizzata per anni da una gestione ispirata ai peggiori cliché di Wall Street. Ma calcolare un totale di “valore nominale” dei derivati sarebbe come sostenere che un ente assicuratore sia “indebitato” per il totale dei massimali assicurativi delle polizze verso i clienti.

Prima di tutto non è detto che il valore di un derivato debba essere onorato da una banca nella sua interezza. Inoltre, a fronte di un’operazione in derivati viene posta in essere tipicamente un’operazione in senso contrario, che riduce il rischio e con questo l’esposizione dell’istituto. Da qui – come anche ricordato da un comunicato della stessa DB a Lettera43.it – il valore netto dei derivati sarebbe assai inferiore, pari cioè ad appena 21 miliardi secondo gli ultimi dati resi noti dall’istituto. Nonostante questo, il valore del titolo Deutsche Bank sta toccando fondali oceanici: sette euro per azione, rispetto ai 34 raggiunti solo nel 2014. I problemi della banca sono evidenti, ma i derivati giocano solo un ruolo marginale. O forse nessun ruolo, visto che la loro presenza in bilancio è in linea con quella delle altre grandi banche d’affari.

PER DEUTSCHE BANK UN MODELLO DI BUSINESS DA RIVEDERE

La prima questione reale è il modello di business. Non è un caso se nei tre anni di gestione dell’ex-Ceo John Cyran ci siano stati tre piani di ristrutturazione e tre anni di perdite. Il settore dell’investment banking è stato il più deludente – proprio quello su cui si puntava per portare DB al vertice mondiale. È aumentata poi la concorrenza internazionale da parte di banche in Paesi a forte sviluppo. Soprattutto, ci sono questioni di potere che solo con il nuovo Ceo Christian Sewing sembrano conoscere un po’ di pace – anche se la successione di leader a partire da Josef Ackermann(2002-2012) in poi non ha fatto bene. In questo senso, il problema di DB non è solo di bilancio – anche perché DB è tornata all’utile nel terzo trimestre del 2018 – quanto un problema strategico. L’istituto sta faticosamente cercando un riposizionamento tra le tentazioni dell’investment banking e il ruolo tipico della banca di sistema. Con un rischio particolare: quello che il “figlio” che ha tentato di diventare un trader a Wall Street perda tutto e torni a casa da mamma, e in particolare dell’ancora cancelliera Angela Merkel.

 

Panama Papers hanno rivelato che Deutsche Bank potrebbe aver aiutato troppi clienti ad aprire società in paradisi fiscali

Christian Sewing ha dimostrato finora particolare abilità nella riduzione dei costi. Le sfide, elencate dallo spietato Tagesspiegel in un articolo di fine novembre, sono però ancora tante. I Panama Papers hanno rivelato per esempio che Deutsche Bank potrebbe aver aiutato troppi clienti ad aprire società in paradisi fiscali, perché non avrebbe attivato le procedure di segnalazione di rischio di riciclaggio. DB rischierebbe multe milionarie per non aver rispettato le sanzioni contro l’Iran e per aver partecipato a operazioni poco chiare di riciclaggio in Russia. È recente anche la rivelazione del coinvolgimento in uno scandalo di riciclaggio con la daneseDanske Bank.

L’IPOTESI FUSIONE CON COMMERZBANK

In altre parole, il vero problema di Deutsche Bank è strategico e di credibilità. Troppe multe, troppe incertezze, troppi cambi al vertice. L’ipotesi di un fallimento è remota, ma un valore azionario così basso scopre il fianco a operazioni più o meno ostili, che Berlino non può accettare. La maggioranza dell’azionariato dell’istituto è ancora in mano tedesca, ma

 

Continua qui: https://www.lettera43.it/it/articoli/economia/2018/12/28/deutsche-bank-titolo-commerzbank/227666/

 

 

 

 

Cronaca di una crisi annunciata (e pianificata)

13 novembre 2018da Federico Dezzani

 

Sul finire dell’anno emerge con chiarezza l’esistenza di un dispositivo progettato per esplodere nel corso del 2019: i dinamitardi si trovano Oltreoceano, il luogo dell’attentato sarà l’Europa continentale, le ripercussioni politiche-finanziarie saranno globali.

La prima parte del dispositivo è costituita dalla progressiva restrizione monetaria della FED che, drenando liquidità, prepara il crollo delle piazze finanziarie.

La seconda parte del dispositivo è stata assemblata installando ai vertici della terza economia europea, nuovamente vicina alla recessione, un governo “populista” deciso a infrangere a qualsiasi costo le regole europee; la terza parte sarà quasi certamente costituita dalla “hard Brexit” che, innescando il collasso della UE, travolgerà i membri più deboli dell’eurozona.

Un dispositivo pronto a esplodere

Le crisi finanziarie, partendo dalla bancarotta di re Carlo I e di Luigi XVI, che innescarono rispettivamente la rivoluzione inglese e quella francese, sono spesso studiate a tavolino e perseguono precisi obiettivi geopolitici. Sul finire del 2018, ci sono ammassati una quantità di indizi sufficienti per asserire che una grande crisi finanziaria è ormai imminente ed avrà ripercussioni che peseranno sull’intero XXI secolo. L’obiettivo della crisi è, come sempre, difendere la supremazia dell’establishment angloamericano sul sistema internazionale (la supremazia del Mare sulla Terra, in termini geopolitici), sconquassando l’Europa Continentale, rallentando la sua uscita dalla sfera d’influenza atlantica, disseminando caos politico ed economico a scala globale.

Si tratta di un dispositivo piuttosto semplice, che presenta forti analogie con quello adottato dall’establishment angloamericano nel 1929.

La prima parte del dispositivo è stata posta con l’uscita di scena di Janet Yellen e l’avvento alla presidenza della Federal Reserve, nel febbraio 2018, di Jerome Powell, con un passato alla potentissima banca d’affari Dillon, Read & Co.: il neo-governatore della Riserva Federale ha accelerato il rialzo dei tassi, portati allo zero nel lontano dicembre 2008, risaliti sopra l’1% nell’estate 2017 e, attualmente, sopra il 2%. Si tratta di un tasso di sconto, come è visibile dal grafico sottostante, storicamente basso, ma vertiginoso rispetto allo 0% applicato nell’ultimo decennio. Come è notabile nel secondo grafico, la base monetaria degli USA è letteralmente esplosa dal 2008, inondando il mondo di biglietti verdi. Azioni, obbligazioni, derivati, valute straniere sono state artificialmente gonfiate dal denaro a costo zero, creando una bolla speculativa pronta ad esplodere all’occorrenza. Come nel 1929, è però interesse degli angloamericani che lo scoppio della suddetta bolla, innescato dal rialzo del costo del denaro, non abbia gli effetti più devastanti in patria, bensì all’estero. Nella fattispecie, si è lavorato perché l’epicentro della prossima crisi sia l’Europa continentale.

Passiamo così alla seconda parte del dispositivo, di cui abbiamo parlato nel nostro ultimo articolo. La banca d’affari Goldman Sachs (la stessa che ha “inventato” Donald Trump, colonizzando poi la nuova amministrazione), nella persona di Steve Bannon e dell’ambasciatore Lewis Eisenberg, ha collocato ai vertici della terza economia dell’eurozona, un governo integralmente “populista”, creato assemblando il Movimento 5 Stelle alla Lega Nord. Il tempismo dell’operazione è perfetto, perché l’Italia imbocca la deriva populista proprio nel momento in cui il quadro monetario si complica (la sullodata stretta monetaria della FED e la progressiva restrizione dell’allentamento monetario da parte della BCE) e quello economico si deteriora: la crescita dell’eurozona è al minimo degli ultimi quattro anni1e l’Italia si dirige, con altissime probabilità, verso una nuova recessione. Nel momento finanziario-economico più complesso dell’ultimo decennio, l’Italia si trova quindi impegnata in un braccio di ferro con Bruxelles senza sbocchi, completamente isolata dal resto dell’Europa (i populisti del centro-nord sono i più fieri oppositori della manovra fiscale italiana), bersagliata dalla agenzie di rating, che dosano i declassamenti del debito pubblico italiano con strategica metodicità. L’Italia è, insomma, una bomba collocata nel lato meridionale dell’Europa, in attesa di esplodere: la prossima crisi finanziaria, le cui basi sono state gettate dalla politica monetaria a tassi zero della FED, si abbatterà così su Wall Street, come a Londra e Shanghai, ma sarà, prima di tutto, una crisi italiana ed europea.

Si tratta della stessa Europa che, sotto la guida (franco)tedesca, sta cercando di liberarsi progressivamente dalla tutela angloamericana, mettendo così a repentaglio l’egemonia dell’establishment atlantico e scatenando le ire della Washington “populista”. Si noti che il tentativo (franco)tedesco di liberarsi dalla tutela angloamericana è, ovviamente, ben visto ed incentivato da Mosca, come esplicitamente affermato da Vladimir Putin a proposito del progetto per un esercito europeo2.

Il dispositivo così assemblato (rialzo dei tassi, sommato ad un governo populista in Italia) sarebbe già sufficiente per scardinare l’eurozona e l’Unione Europea: non servirebbe però ancora un detonatore? Un innesco che faccia esplodere l’ordigno, ossia l’Italia, in ultima analisi? La definizione establishment “angloamericano” non è certo casuale, perché si compone della componente inglese e di quella statunitense: Londra si prepara a dare il proprio importante contributo alla riuscita del piano aggiungendo a questo quadro politico-economico, già fosco di suo, un ormai probabile divorzio dalla UE senza alcun accordo, il cosiddetto “hard Brexit”, con le conseguenti drammatiche ricadute finanziarie (“No-deal Brexit could lead to financial crisis as bad as 2008, warns Bank of England chief Mark Carney”3).

Seguendo la politica inglese, si ha la chiara impressione che l’intero establishment inglese, apparentemente diviso tra laburisti e conservatori, euroscettici ed europeisti, stia lavorando per una clamorosa rottura non consensuale con Bruxelles. Difficilmente il Parlamento inglese approverà l’accordo raggiunto da Theresa May con l’Unione Europea (l’intesa che si va delineando è ormai

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La verità (e l’inganno) dietro il rimbalzo delle Borse

Santo Stefano per Wall Street ha portato un importante rimbalzo. Meglio però non fidarsi di questo tipo di rallies delle Borse

28.12.2018 – Mauro Bottarelli

 

Ma come, Wall Street piazza un rimbalzone record, addirittura con il Dow Jones che chiude la seduta del 26 dicembre in rialzo di 1.000 punti, il Nikkei da buon cane di Pavlov completamente dopato e spinto dalle banche entrate in azione piazza un +3,9%, maggior rialzo intraday da due anni a questa parte e l’Europa delude così? Niente fuochi d’artificio a Milano come a Francoforte o Madrid, almeno stando alla parte di contrattazioni che ho potuto seguire prima di inviare questo articolo? Brillavano solo Londra sulle indiscrezioni di un aumento del sostegno parlamentare all’accordo stretto da Theresa May con l’Ue in vista del voto a Westminster del 14 gennaio e Parigi, sospinta paradossalmente dal dato relativo all’aumento record della cassa integrazione a causa delle proteste dei “Gilet gialli”, più 43mila unità: di fatto, Emmanuel Macron può prepararsi a un sereno Capodanno. Il nuovo ’68 è ufficialmente finito. Insomma, particolarismi. E una tantum.

Ma attenzione, quelli strani non siamo noi. Sia chiaro. Le Borse europee scontano criticità strutturali e reali, Milano ad esempio il pasticciaccio di Carige (controbilanciato da un altro evento una tantum, ovvero la performance prenota-scudetto del titolo Juventus dopo la sconfitta del Napoli a San Siro) che, se non affrontato debitamente e in tempo, rischia di mandare di traverso pane e Nutella al ministro Salvini. La follia vera è quella che si è consumata il giorno di Santo Stefano a Wall Street. E, per quanto possa sembrarvi paradossale, quella chiusura record è la prova provata che il peggio è davanti a noi, che il mercato è in bear market e che, soprattutto, la recessione rischia di farsi avanti a grandi falcate.

Mi spiego più approfonditamente. Nella seconda parte del mio articolo natalizio, uscita proprio il 26 dicembre, spiegavo chiaramente che non sarebbe stato affatto inusuale attendersi un mini-rally di fine anno in Borsa, anche di dimensioni notevoli. E così è stato. E sapete perché? Proprio per il motivo che riportavo nell’articolo: Dio benedica i fondi pensione! Quella che può apparire un’invocazione blasfema è invece il sunto migliore per descrivere quanto accaduto nella prima giornata di contrattazioni a Wall Street dopo la chiusura natalizia. Questi grafici mettono l’intera situazione in prospettiva: il programmato ribilanciamento monstre del portafoglio d’investimento dei fondi pensione statunitensi comportava infatti un acquisto di titoli azionari tra il 24 e il 31 dicembre per un controvalore di 64 miliardi di dollari. Il tutto, appunto in quattro giorni e mezzo di contrattazioni. Quindi, denaro garantito che sarebbe affluito principalmente sull’indice Dow Jones, quello di riferimento: il quale, infatti, ha segnato a Santo Stefano la crescita intraday maggiore della sua storia.

Ma non basta, perché la giornata sembrava preparata a tavolino. Dopo aver rovinato il Natale a un bimbo di 7 anni, dandogli di fatto del giovane problematico per il fatto di credere ancora a Babbo Natale ed essersi poi lamentato via Twitter di essere da solo alla Casa Bianca, Donald Trump aveva parlato con la stampa e le sue parole erano state chiare. Dopo aver rassicurato rispetto al posto di lavoro del segretario al Tesoro, Steven Mnuchin e a quello di Jerome Powell, il Presidente aveva lanciato un paio di segnali, uno palese e l’altro più sottile. Il primo era un consiglio per gli acquisti da piazzista navigato, un misto fra gramsciano ottimismo della volontà e più volgare certezza di un rimbalzone del gatto morto, grazie ai pensionati del Mid-West e della Florida: “Abbiamo grandi aziende in America, le più grandi di tutte. Per questo penso che questa sia un’enorme occasione per comprare, davvero grande”, ha dichiarato Trump. Poi, la frase più sibillina: «La Fed sbaglia ad alzare i tassi così velocemente, ma molto presto porrà rimedio». Auspicio? O certezza che Jerome Powell, pur di mantenere il suo posto, cederà alle pressioni della Casa Bianca?

Un solo dato: stando al mercato dei Fed Funds del 24 dicembre, a oggi le possibilità di un taglio dei tassi nel gennaio 2020 sono maggiori di quelle di un loro rialzo. Orizzonte apparentemente lontano, ma non per le tempistiche della finanza: significa che il mercato già oggi prezza l’inizio di una recessione conclamata – e, quindi, della risposta della Banca centrale Usa attraverso un ciclo di espansione monetaria – entro un anno. Ma come se l’abbinata fondi pensione-Trump non fosse stata sufficiente, a dare una mano agli indici a dar vita a quel clamoroso rimbalzo ci ha pensato la cosiddetta smart money, rivelatasi in questo caso tutt’altro che smart: ovvero, i Cta (Commodity Trading Advisors) e gli hedge funds. I primi passati in massa in posizione short e i secondi con l’esposizione netta al mercato attualmente al livello più basso da 3 anni a questa parte.

Questo grafico contestualizza il tutto: con gli shorts aumentati di colpo, la dinamo dell’accoppiata fra fondi pensione e Casa Bianca ha fatto scattare un colossale short squeeze che, a sua volta, ha innescato un trend auto-alimentate dei rialzi, già molto sostenuti da metà contrattazioni in poi. Nelle prime due ore, infatti, i primi 200 punti di rialzo del Dow Jones si erano polverizzati in pochi istanti di vendite da panico: poi, l’ingresso della “mano visibile” dei fondi pensione – forse un po’ in ritardo, rispetto alle attese – ha raddrizzato la situazione. Infine, le chiusure obbligate di quelle posizioni ribassiste hanno fatto il resto. Ma non basta ancora. Quanto avvenuto il 26 dicembre a Wall Street è palesemente fuori dall’ordinario e sintomo di una disconnessione di fondo del mercato, certamente non imputabile – come ormai è prassi – soltanto alle dichiarazioni in libera uscita di Trump o agli algoritmi che fanno impazzire gli indici.

Il giorno dopo aver patito la peggior perdita della storia per la vigilia di Natale, infatti, lo Standard&Poor’s 500 ha guadagnato 116,6 punti, il maggior rimbalzo dalla crisi finanziaria e secondo soltanto al +7% del marzo 2009, in piena campagna di turbo-rialzi del primo Qe della Fed. Qualche altra statistica sospetta? Eccone tre. Tutti e tre i principali indici statunitensi hanno guadagnato almeno il 4% nella seduta del 26 dicembre, un qualcosa che non avveniva dal 2011, oltretutto sia con il Dow Jones che con lo Standard&Poor’s solo frazionalmente distanti dalla quota psicologica del +5%. Secondo, la performance del Dow Jones è stata lo specchio perfetto di quella della vigilia di Natale, quando tutte e 30 le componenti comprese nell’indice andarono in rosso. Il 26 dicembre, tutte in rialzo. Prima volta che accadeva un fenomeno simile dal 2015 e solo la decima volta dal 2000. Terzo, per la prima volta in assoluto, il 99,8% dei 505 titoli quotati sullo Standard&Poor’s 500 ha chiuso la contrattazione di Santo Stefano in verde. Il primato precedente (99,6%) risaliva al 2011, in piena era Qe e vedeva in rialzo 498 degli allora soli 500 titoli quotati. E sapete qual è stato l’unico titolo a chiudere in rosso mercoledì? La Newmont Mining. In contemporanea con il calo dell’altro grande sconfitto in questa giornata di rialzi storici e pressoché generalizzati: l’oro, schiacciato dal dollaro arrivato a un passo dai massimi

 

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https://www.ilsussidiario.net/news/economia-e-finanza/2018/12/28/spy-finanza-la-verita-e-linganno-dietro-il-rimbalzo-delle-borse/1827980/

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

DEDICATO L’ALTARE PER IL TERZO TEMPIO

Maurizio Blondet  28 dicembre 2018

Lunedì 10 dicembre, in Gerusalemme è avvenuta una interessante cerimonia: è stato “dedicato” l’altare per il Terzo Tempio, dove si ripeterà il sacrificio ebraico dell’agnello sgozzato. Ne dà notizia il sito “Breaking Israel News – Ultime notizie in prospettiva biblica”, redatto da tale Adam Eliyahu Berkowitz,  un ebreo americano che ha fatto aliah nel ’91, ha combattuto in Tsahal ed è stato ordinato rabbino.

https://www.breakingisraelnews.com/?s=temple

Da quel  che scrive sembra essere un seguace dei Lubavitcher, e riporta informazioni credibili sulle opere dello United Temple Movement, una costellazione  di  organizzazioni che –  ampiamente finanziata  con denaro di protestanti americani  che ritengono di accelerare così il secondo avvento di Cristo – si stanno preparando  per  eseguire il rito interrotto da duemila anni.

Il vasellame rituale d’oro, ricostruito secondo le indicazioni della Torah.

 

Ormai sono alle prove generali del rituale, che è descritto minuziosamente nella Torah. Nella dedicazione di lunedì, kohanim (“sacerdoti”) vestiti di bianco nel costume  prescritto dalla Torah, hanno recitato “la rievocazione  integrale del  Korban Tamidi  (offerta eterna). A  fine settembre scorso, avevano raccolto l’acqua per il Sukkot esibendo il ricco vasellame d’oro (anch’esso minuziosamente descritto nella Bibbia)  costruito appositamente per il tempio futuro, sotto lo sguardo compiaciuto di “Rabbi Hillel Weiss, portavoce del Sanhedrin e organizzatore dell’evento”.   In quella occasione,  un altro rabbi, “ il rabbino Azriel Ariel ha annunciato la nascita della  giovenca  rossa.

Nel libro dei Numeri, capitolo19, si trova prescritto che una giovenca rossa senza alcun pelo bianco vada allevata e poi bruciata, e con le ceneri sia purificato il popolo d’Israele, “dovendo l’ebreo essere puro per sacrificare le offerte nella festa”.

http://www.bibbiaweb.net/lett133s.htm

Le caratteristiche che deve avere la giovenca per essere davvero rossa, sono lungamente discusse nel Talmud. Il Temple United Movement aveva cercato di risolvere  il problema con   la  selezione genetica, con sperimentazioni riservate di cui si sa poco.  In ogni caso, pare averlo risolto. Infatti il rabbino Ariel ha detto: “Questo è l’inizio di un lungo processo che, a Dio piacendo, ci permetterà di purificare tutto Israele, ha detto il rabbino Ariel. “Non siamo noi a forzare la mano di Dio. Stiamo semplicemente eseguendo mitzvoth (i comandamenti ebraici) come ci sono stati dati nella Torah. “Ha spiegato che l’effettiva preparazione delle ceneri sarà tra due anni” (la giovenca sta crescendo), e “fino a quel momento, è considerato un  egla (vitello, sostanzialmente asessuato) dalla legge ebraica. All’età di due anni, diventa classificato  para   (manza  da fecondare) e può essere sacrificata e bruciata, sono le ceneri utilizzate nel rituale di purificazione”. Secondo alcuni, sarà il Messia stesso a compiere questa purificazione con le ceneri della giovenca rossa.

Risolto il problema genetico dei sacerdoti?

A maggio, ci ha informato Berkovitz,  “sacerdoti discendenti di Aronne”  hanno eseguito l’offerta delle primizie prescritta nel Deuteronomio per il Tempio. Dunque il movimento crede di  aver risolto anche il problema più difficile per  la ripetizione e validità del rito: il sacerdozio ebraico era infatti genetico, lo ereditavano i discendenti carnali di una sola tribù e per  questo si tenevano precise genealogie. E’ il caso di ricordare che i primi cristiani, tutti ebrei, si domandarono con ansia come potesse Gesù essere anche “sacerdote” valido, essendo “della  stirpe di Davide”, ossia del re? Al che Paolo rispose che il sacerdozio cristiano è “secondo l’ordine di Melchisedek”, il misterioso re-sacerdote cui Abramo pagò la decima, quindi superiore al sacerdozio “carnale” giudaico.  Non a caso: re “di pace e di giustizia”, Melkisedec è  segno dell’unione principiale del potere temporale con l’autorità spirituale, evocazione di una perfezione metafisica e preistorica in cui  i due poteri non erano distinti.

Il punto che, fino a pochi anni fa, sembrava che vari tentativi di ritrovare il  DNA di Aronne (anche fra i Samaritani, una piccola comunità che continuano a celebrare sul monte Garizim), senza esito; il 75% degli ebrei d’oggi sono di origine khazara, quindi geneticamente non ebrei; anche ammettendo che abbiano ricercato fra la minoranza  sefardita, come hanno potuto identificare il carattere genetico dell’antico Aronne nel sangue di sefarditi contemporanei?   Le antiche genealogie, se esistono, hanno molti vuoti. Come si può assicurare, non descrivendo la Bibbia il DNA del fratello di Mosè, deceduto dopo il 1400 avanti Cristo, senza lasciare – a quanto ne sappiamo – suoi campioni di sangue per le future analisi?

Il lettore ha  diritto di pensare che costoro siano dei mattoidi che stanno recitando una messinscena archeologico-messianica creata dalle loro menti esaltate.  Ma non è questo il punto. Il punto è che questo gruppo ebraico “creda” di aver selezionato veri kohanim (plurale di Cohen); per essi è punto della massima importanza, sapendo per  primi che  senza questa condizione  (sacerdoti del “seme di Aronne”),  il rito che stanno preparando in tutti i particolari non  è “valido”, quindi inefficace ad ottenere da YHVH quello che vogliono.

Con tremenda serietà questi si preparano al Terzo Tempio realizzazione che ritengono imminente. Rabbi  Yosef Berger, detto “il rabbino della tomba del re Davide sul monte Sion” ha parlato di una  campagna lunga un mese (una raccolta-fondi) per “preparare il Messia nella maniera più pratica” creando una corona che gli sarà presentata come dono al suo arrivo a Gerusalemme.

La corona che sarà data al Messia, re d’Israele prossimo venturo.

 

Aspettano, il 21 gennaio, l’eclissi lunare che avverrà sopra Washington e sarà una “luna di sangue”, perché per loro realizza la profezia di Gioele  (3-3-59:  “Prima che giunga il giorno grande e terribile di Hashem, darò dei portenti nel cielo e sulla terra: Sangue e fuoco e colonne di fumo; Il sole si tramuterà nelle tenebre e la luna in sangue. Ma tutti quelli che invocano il nome di Hashem devono scappare; poiché ci sarà un residuo sul monte Sion e su Yerushalayim, come ha promesso Hashem. Chiunque invochi Hashem sarà tra i sopravvissuti. 

“Il rabbino Mattityahu Glazerson , un esperto dei codici della Torah , ha recentemente elaborato un tavolo che mostra che il Messia arriverà quest’anno”, basandosi sull’opinione del rabbino Sa’adiah ben Yosef Gaon, una delle principali autorità rabbiniche del IX secolo: “Se stai calcolando la data per il Messia e la redenzione, conti gli anni secondo la creazione dell’Uomo che era sei giorni dopo la creazione del mondo “.

Ovviamente, essi vedono “segni” dell’imminenza per esempio nel fatto che Trump abbia dichiarato di voler riconoscere Gerusalemme capitale ebraica.  “Rabbi Berger ritiene che l’elezione del presidente Trump abbia già iniziato questo processo. Il rabbino ha osservato che il nome di Donald Trump in ebraico (דונלד טראמפ) in gematria (la numerologia basata su lettere ebraiche) equivale a 424 – che è lo stesso valore numerico della frase ” Moshiach (Messia) dalla Casa di David” (משיח בן דוד) “.

Di Netanyahu, si dice che il rabbino  Menachem Mendel Schneerson   (il fondatore della setta Lubavitcher, che il politico incontrò a  New York nel 1984, quando era ambasciatore israeliano all’ONU)  avrebbe predetto:

“Spero che sarà in grado di consegnare le sue chiavi a Moshiach (il Messia), e avremo la completa e vera Redenzione “. Numerosi rabbini vedono quindi in “Bibi”  il Mosiach ben Yosef  (Messia figlio di Giuseppe), misteriosa figura,   per  il Talmud,  di precursore del Messia vero, figlio  di David: “”E ‘molto chiaro che il primo ministro Benjamin Netanyahu  sta adempiendo il suo destino come Moshiach ben Yosef , vale a dire la reincarnazione di Jonathan” (il figlio del re biblico Saul), ha detto Rabbi Sudri. “Il nome ‘Netanyahu’ (נתניהו) è composto dalle stesse lettere del nome” Jonathan (יהונתן) “.  Nel 2017, una donna haredi avrebbe visto in sogno il rabbino Dov Kook, cabalista e discendente del primo rabbino capo d’Israele Avraham Kook, che le avrebbe detto: “Quando il governo di Netanyahu cade, è tempo di prepararsi per il Moshiach”.  Ai primi dell’aprile scorso, quando due F-15 israeliani hanno sparato volate di missili su Damasco, “il rabbino  Yekutiel Fish ,  ha dichiarato: “Geremia ha predetto un incendio nelle fortezze di Damasco che presagirà il Messia”, Darò fuoco al muro di Damasco e consumerò le fortezze di Ben-Adad. Geremia 48:27  –  Secondo Rabbi Fish, Assad [meglio: la sua caduta] ha una parte  fondamentale nell’arrivo  in Moshiach Ben David (Messia, figlio di David) la seconda metà del processo messianico che includerà il ritorno della dinastia davidica e la costruzione del terzo tempio”.

Questo è il clima psichico, o la bolla messianica, il senso di imminenza,  in cui vive la  componente “religiosa” dell’ebraismo. Quando lunedì 10 dicembre è avvenuta la dedicazione dell’altare del Tempio, Berkowitz   ha informato che l’altare appena consacrato è “fatto di cemento cellulare e costruito su un telaio metallico appositamente progettato per essere caricato su un camion con pianale. Sebbene non sia l’ideale, è interamente kosher per l’uso nel servizio del Tempio. Anche i recipienti rituali  sono stati preparati per essere pronti all’istante in caso di necessità per avviare il servizio del Tempio. La menorah è costruita in legno. Sebbene non sia l’ideale, è kosher per l’uso nel Tempio e può essere trasportato da una sola persona.”

Chiaramente, il tutto è trasportabile per essere trasportato nel solo luogo al mondo

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/dedicato-laltare-per-il-terzo-tempio/

 

 

 

POLITICA

Che amara delusione, quest’anno: l’Italia è rimasta schiava

Scritto il 31/12/18

Se dovessi provare a definire l’anno che si chiude con una sola parola, utilizzerei il termine “delusione”. Questa delusione nasce dalla realizzazione che, qualunque governo possa venire a formarsi in Italia, la nostra situazione non potrà mai cambiare in modo sostanziale. Certo, si potranno dare 100 euro in più a chi è povero, e magari mandare in pensione qualche mese prima chi se lo è meritato, ma la realtà complessiva che ci circonda non potrà mai cambiare più di tanto: siamo una nazione schiava. Schiava economicamente, a causa di un debito che ci schiaccia in maniera insopportabile, e che ci toglie ogni margine di manovra per cambiare efficacemente la nostra organizzazione sociale. Schiava politicamente, perché siamo legati mani e piedi al Patto Atlantico, e da quello non possiamo uscire. Schiava ideologicamente, perché legati a certi dettami del pensiero unico che viene controllato ferocemente dai mediadi sistema, e che impedisce una qualunque mutazione sostanziale nelle opinioni delle masse.

Intendiamoci, non sto dicendo che mi aspettavo una rivoluzione travolgente da parte del nuovo governo giallo-verde. Non sono un ingenuo, e ho vissuto abbastanza a lungo da capire che certe mutazioni possono avvenire solo nel corso del tempo. Ma quando vedo un governo i cui rappresentanti erano palesemente a favore di un’uscita dall’Euro(pa), e ora si ritrovano invece a piegare la testa ai dettami di Bruxelles, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza. Quando vedo un governo i cui rappresentanti erano palesemente contrari alle vaccinazioni obbligatorie, e ora invece sembrano diventati i camerieri di Big Pharma, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza. Quando vedo un governo che sosteneva apertamente che gli F-35 sono dei bidoni ingovernabili, e ora invece ne tessono le lodi come se fossero dei gioielli di

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2018/12/che-amara-delusione-questanno-litalia-e-rimasta-schiava/

 

Mattarella globalista sulla pelle degli italiani

Federica Francesconi 31 12 2018

Non ascolterò il discorso di fine anno dell’indegno Presidente della Repubblica. Non mi rappresenta. Egli non è il Presidente di tutti gli italiani ma il Presidente dei poteri forti, che difende a spada tratta ogni volta che qualche evento non previsto rischia di togliere di mezzo. Io difendo la mia patria, lui il sovranazionalismo apolide. Io sto dalla parte del popolo, lui dalla parte dell’alta finanza che tiene in scacco le sovranità nazionali. Lui sta dalla parte dell’ex classe dirigente di questo disgraziato Paese, la sinistra neoliberista che ha venduto pure i mutandoni in nome del libero mercato, io sto dalla parte del popolo. Lui invoca il diritto internazionale come clava contro i cosiddetti paesi canaglia e contro la Russia, io sto dalla parte della Russia, che non ha mai fatto del male, a me e agli altri cittadini italiani. Lui era a favore all’aggressione militare alla Siria, io contraria a quella sceneggiata per deporre Assad. Lui vorrebbe più invasione clandestina, io sono per rispedire a calci nel sedere chi viene qui a delinquere o a farsi mantenere a spese dei contribuenti. Lui ha gli occhi di ghiaccio, segno inequivocabile, dal punto di vista metafisico, di un’anima nera. Il mio sguardo è cristallino, pieno di amore per il mio popolo e per la mia Patria.

Mattarella è il Presidente di un passato che gli italiani vogliono scrollarsi di dosso, il perfetto burocrate che gestisce la cosa pubblica in nome di interessi privati. Nessuna stima per lui e per il suo codazzo di ammiratori. E’ dai tempi di Pertini che la carica di Presidente della Repubblica non è rivestita da una personalità degna.

Se proprio devo avere un Presidente, costoro sono Putin e Assad, leali protettori dei loro rispettivi popoli. Che Dio li benedica sempre e che maledica quanti odiano i popoli riservandogli sofferenze indicibili.

https://www.facebook.com/1165264657/posts/10215261573630371/

 

 

Analogia e/o comparazione: il caso dei gilets gialli

Scritto da Martino Iniziato

Mi è capitato di vedere, di recente, una trasmissione in cui si cercava una spiegazione del movimento dei gilet gialli sulla base di un’analogia con il sessantotto. Il lavoro era fatto bene e dimostrava buona conoscenza dei due fenomeni che erano analizzati in breve ma con buon livello professionale. Ciò nonostante, la cosa non mi ha affatto convinto: un pezzo altamente suggestivo ma che, raschia raschia, si basava su una idea di fondo che non stava in piedi: che siamo di fronte ad un nuovo sessantotto.   

Il che non era certo colpa del giornalista, che ha indicato con sufficiente precisione sia le somiglianze che le dissomiglianze fra i due fenomeni (anche se di dissomiglianze potremmo aggiungerne alcune altre).

Il punto è che la nostra cultura storica vive nel culto dell’analogia che, invece è uno strumento di analisi molto ingannevole, per la semplice ragione che confrontando due cose qualsiasi (fosse anche l’impero dei Moghul ed il regno borbonici) qualche somiglianza c’è sempre, così come anche due cose sostanzialmente simili (il fascismo in Italia ed in Germania) spuntano delle inevitabili differenze: nulla è completamente diverso da qualsiasi altra cosa e nulla è identico a null’altro.

Eppure, da sempre, gli storici sono affascinati da questo gioco intellettuale, ad esempio le “vite parallele” di Plutarco (che pure fu storico sui generis, più interessato a descrivere le caratteristiche del personaggio che non le vicende di cui fu protagonista) sono costruite su di esso.

L’idea è che, attraverso l’analogia si possano stabilire leggi (a almeno regolarità) della storia, per cui i fenomeni hanno un numero limitato di varianti e tendono a seguire sequenze particolari. Ma possiamo anche accettare che la somiglianza fra Nicia e Crasso fosse la ricchezza dei due alla base della loro ascesa politica, ma i due hanno avuto, per ben altri aspetti, vite non molto simili ed anche caratterialmente, non ebbero tanto in comune.

L’analogia è una suggestione cui è difficile sottrarsi e, in alcuni casi, può fornire allo storico utili elementi di riflessione: ad esempio, il confronto fra il passaggio dalla repubblica all’impero nell’antica Roma, quello dalla democrazia comunale alla signoria possono dare qualche spunto di riflessione sull’attuale autunno della democrazia e le nuove tendenze oligarchiche indotte dal neoliberismo.

Ma, poi, occorre sviluppare una ricerca specifica o non si va molto avanti nella comprensione del fenomeno studiato. Ad esempio, oggi si tende a spiegare l’ondata populista in termini di fascismo, magari sulla base delle idee personali o delle radici culturali di alcuni personaggi come Bolsonaro, Le Pen, Haider ecc.

In realtà, anche se Bolsonaro, di suo, è certamente imbevuto di cultura fascista (assorbita per il tramite dell’esperienza della dittatura militare che, peraltro, era un fascismo molto sui generis), il suo movimento e la sua azione si svolgono in un contesto completamente diverso da quello degli anni trenta e non basta il richiamo ideologico. Il fascismo storico aveva alle spalle e fu strumento di un capitalismo molto diverso da quello attuale.

Ma l’analogia ha una sua capacità di rassicurazione, autorizza a pensare di avere una bussola nel viaggio attraverso la storia. E questo spiega il suo fascino perdurante.

In realtà la storia oggi ha uno strumento molto più raffinato di analisi: la comparazione e vale la pena di spendere qualche parola per indicare la diversità fra le due metodologie.

In primo luogo, l’analogia cerca le somiglianze, mentre la comparazione cerca sia le somiglianze che le dissomiglianze: non è significativo solo in cosa due fenomeni storici sono simili, ma anche in cosa non lo sono.

In secondo luogo, l’analogia lavora generalmente sul confronto fra pochi casi (normalmente due o tre) e si capisce il perché: trovare solo punti di convergenza spinge a circoscrivere il numero di casi da prendere in considerazione, perché allargano il campo di osservazione, diventa sempre più difficile trovare elementi similari. Vice versa la comparazione lavora sempre su diversi casi e più ce n’è più il confronto risulta approfondito e persuasivo. Ma questo la comparazione può farlo perché, ai suoi fini, le differenze hanno lo

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http://www.aldogiannuli.it/analogia-comparazione-caso-gilets-jaunes/?fbclid=IwAR3tLtggZAvMG5yHwvGkL5IzsB6KwlavjO1d4Ikie7ShBg8pCp4F7lPPRwI

 

 

STORIA

“Se ne infischiavano dei morti”: la guerra nelle Filippine

28.12.2018

120 anni fa il presidente USA William McKinley ha firmato un proclama di “assimilazione volontaria” che rese ufficialmente le Filippine un territorio sotto il controllo degli Stati Uniti.

Visto che l’arcipelago prima era stato dichiarato nazione indipendente, la politica statunitense portò a una guerra sanguinosa le cui vittime, secondo alcune fonti, toccarono 1 milione di persone.

La campagna avviata dagli USA fu definita da molti cittadini statunitensi ingiusta e di conquista. Ma questo non ha influito sulla posizione delle autorità statunitensi. Gli storici osservano che in quel momento le Filippine erano molto importanti dal punto di vista strategico per gli USA i quali puntavano alla supremazia globale.

I primi uomini arrivarono nelle Filippine nell’antichità. A partire dal V secolo d.C. sulle isole cominciò a svilupparsi una civiltà primitiva. Nell’VIII secolo nell’arcipelago giunsero dei commercianti cinesi e nel XIV secolo vi approdarono marinai arabi. Per diversi secoli le isole erano politicamente sotto il controllo di regni indo-malesi, ma in pratica godevano di grande libertà di gestione. Gli abitanti locali professavano una religione a metà fra l’induismo e il buddismo. Su influenza degli arabi parte delle popolazioni si convertì all’islam.

Nel 1521 Magellano scoprì le Filippine per i Paesi europei, prese parte alla guerra intestina tra i governi locali e morì. Nel 1565 sulle isole si insediarono i conquistadores che le trasformarono in una colonia spagnola. Nelle Filippine si diffusero il cristianesimo e lo spagnolo.

I “liberatori” americani

 

“L’arrivo degli americani nelle Filippine è legato alla loro partecipazione alla guerra che i filippini conducevano per ottenere l’indipendenza dalla Spagna. Stanchi della tricentenaria dominazione spagnola, gli abitanti locali insorsero contro i colonizzatori e gli USA prestarono loro aiuto”, ha spiegato Darya Panarina, ricercatrice del Centro studi del Sud-Est asiatico, dell’Australia e dell’Oceania presso l’Istituto di studi orientali dell’Accademia russa delle scienze.

Le grandi insurrezioni antispagnole nelle Filippine iniziarono nel 1896, ma gli insorti non avevano le risorse necessarie per cacciare definitivamente i colonizzatori. Nel 1898 cominciò una guerra tra gli USA e la Spagna, il cui motivo formale fu la perdita della corazzata Maine al largo di Cuba in circostanze non chiare. Le forze armate USA occuparono Cuba e Porto-Rico. Ma il primo maggio 1898 la flotta americana durante la Battaglia della Baia di Manila distrusse completamente la squadra navale delle Filippine. Gli americani si insediarono sulle isole, ma la capitale dell’arcipelago non riuscirono a conquistarla subito.

Tuttavia, i dirigenti dell’esercito statunitense si accordarono per collaborare con gli insorti locali e in poco tempo occuparono i dintorni di Manila.

Il 12 giugno 1898 i rivoluzionari filippini guidati dall’ex funzionario statale Emilio Aguinaldo proclamarono l’indipendenza. 11 giorni dopo Aguinaldo fu nominato presidente delle Filippine. Prima che gli USA partecipassero alla guerra il futuro capo di Stato si trovava in esilio in Cina. Da lì lo richiamarono gli americani promettendogli il loro aiuto nella lotta per l’indipendenza delle Filippine. Inoltre, gli statunitensi insistevano sul fatto che il loro Paese non aveva bisogno di colonie. Tuttavia, né gli ufficiali né i diplomatici americani fornirono ad Aguinaldo qualsivoglia attestazione scritta della gratuità dell’aiuto da loro prestato.

Il dibattito sull’indipendenza delle Filippine scatenò un vero e proprio scandalo a Washington. I dirigenti americani dovettero convincere l’opinione pubblica di non aver discusso con Aguinaldo del futuro delle isole. Ma in ogni caso nessuno dei partecipanti agli eventi aveva ammonito la popolazione locale dei progetti di Washington di espandere la propria sovranità sull’arcipelago. I filippini pensavano sinceramente che l’aiuto americano fosse gratuito e volontario.

Alla fine dell’estate del 1898 i rapporti tra americani e filippini divennero tesi. A metà agosto i militari americani e gli insorti occuparono Manila. Gli americani avevano agito dopo essersi accordati con gli spagnoli. Aguinaldo richiese di stabilire ufficialmente il controllo congiunto americano-filippino sulla capitale, ma la sua richiesta venne respinta. Il 31 agosto gli americani presentarono agli insorti un ultimatum, richiedendo loro di abbandonare Manila entro il 16 settembre. L’ultimatum venne rispettato.

Una propria visione della democrazia

 

Ad agosto dello stesso anno gli Stati Uniti di fatto crearono nelle Filippine un’amministrazione militare. Il primo governatore militare dell’arcipelago fu il generale Wesley Merritt. Ma dopo due settimane venne sostituito dal generale Elwell Otis.

In autunno i filippini tennero delle elezioni e giunsero alla creazione dei propri organi di potere. Ma questo non preoccupava Washington. Il 10 dicembre 1898 a Parigi fu firmato il trattato di pace tra USA e Spagna secondo cui Madrid concedeva i propri diritti sull’isola per 20 milioni di dollari.

Il 21 dicembre 1898 il presidente USA McKinley firmò un proclama della cosiddetta “assimilazione volontaria”, che stabiliva ufficialmente la sovranità americana sulle Filippine e introduceva nell’arcipelago un governo militare. Il documento stabiliva che l’amministrazione militare doveva “conquistarsi la fiducia, il rispetto e la devozione dei filippini”. Otis, una volta ricevuto il proclama, non corse il rischio di presentarlo subito ad Aguinaldo, dunque gli presentò una versione emendata dei passaggi che riguardavano la privazione di fatto dell’indipendenza dell’arcipelago.

Tuttavia, altri funzionari americani che non erano a conoscenza della “manovra” di Otis, cominciarono a diffondere il proclama originale nell’arcipelago. Questo provocò un grande scandalo. La popolazione locale ormai non credeva più alle buone intenzioni degli statunitensi.

“I filippini non potevano vincere gli spagnoli senza l’aiuto americano ed erano felici dell’espulsione dei colonizzatori, ma, quando fu chiaro che Washington pianificava di stabilire nell’arcipelago la propria visione della democrazia, gli umori degli autoctoni mutarono”, ha osservato Panarina.

Il 4 gennaio 1899 fu dichiarata pubblicamente la sovranità americana sulle Filippine. Otis su ordine di Washington convinceva i locali del fatto che questo fosse stato fatto nei loro interessi e per la loro sicurezza. Ma i filippini sapevano che non era così. Aguinaldo definì l’accaduto “un attacco violento e aggressivo”.

A gennaio nella regione di Iloilo, il controllo della quale gli spagnoli a suo tempo avevano concesso agli insorti, cominciarono piccole sommosse tra i locali e gli americani.

Il 4 febbraio 1899 il soldato americano William Grayson del primo reggimento volontario di fanteria del Nebraska nel distretto di Santa Mesa aprì il fuoco su un gruppo di militari filippini disarmati che non si erano fermati nonostante il suo ordine. Nello scontro morirono un luogotenente e un soldato semplice. Emilio Aguinaldo dichiarò di interrompere ogni relazione amichevole con gli americani. Il giorno dopo tra gli eserciti filippino e statunitense cominciarono gli scontri armati. L’11 febbraio la flotta americana distrusse la città di Iloilo e l’esercito statunitense la occupò senza nemmeno combattere. 

A inizio di febbraio 19.000 militari americani nella regione di Manila attaccarono la 15a milizia filippina, buona parte della quale era armata di archi, lance e pugnali. La battaglia fu combattuta su un fronte largo 25 km. Morirono 44 americani e circa 700 filippini (secondo le fonti americane). La battaglia fu vinta dagli USA.

Dopo i primi insuccessi le forze filippine passarono a una guerra eminentemente partigiana. Le perdite delle truppe americane cominciarono ad aumentare e questo impose a Washington di aumentare il proprio contingente militare nelle Filippine. Contro la popolazione locale vennero condotte spedizioni punitive durante le quali si effettuavano torture ed esecuzioni per terrorizzare i filippini: ad esempio, alle vittime veniva fatto bere di forza un secchio d’acqua e la persona moriva per lacerazione degli organi interni. Gli americani giustificavano le proprie azioni in virtù di un comportamento violento dei filippini con i prigionieri, ma i giornalisti europei presenti nell’arcipelago affermavano che i soldati USA detenuti erano tranquilli come se fossero a casa propria.

Nel 1900 il nuovo governatore militare Arthur McArthur introdusse ufficialmente nelle Filippine lo stato militare e limitò in maniera significativa i diritti dei locali. Chiunque sostenesse gli insorti era tacciato come nemico degli USA. All’inizio del 1901 gli americani riuscirono a imprigionare Emilio Aguinaldo e lo costrinsero a riconoscere l’autorità degli USA. Ma la resistenza della popolazione locale continuò.

Il 28 settembre 1901 in risposta alle feroci angherie degli americani i locali insorsero sull’isola di Samar. I locali uccisero 48 soldati americani e si impadronirono dell’arsenale. Questa fu la sconfitta più clamorosa dell’esercito americano dalla battaglia del Little Bighorn contro i nativi Lakota nel 1876. I dirigenti americani inviarono a Samar un battaglione della fanteria di marina con l’ordine di uccidere chiunque potesse impugnare un’arma inclusi i bambini di più di 10 anni. Sull’isola vi fu una strage la cui portata ancora oggi non è ancora stata determinata con esattezza. Ma alcuni storici stimano le vittime civili a 50.000.

Nella primavera del 1902 gli insorti si arresero alle truppe americane. Il 16 aprile la guerra si concluse formalmente. Ma le azioni militari di alcune divisioni isolate continuarono fino al 1913.

Compiti strategici

La guerra nelle Filippine costò al governo USA 600 milioni di dollari. Le perdite subite dagli americani furono di circa 6.000 soldati. La popolazione locale pagò molto di più per il suo tentativo di creare una nazione indipendente. Negli scontri morirono circa 20.000 miliziani locali. Mentre il numero di vittime cadute durante le spedizioni punitive e per via di malattie e carestie varia secondo le stime dalle 200.000 unità a 1 milione.

Se queste ultime stime sono corrette, la dominazione americana costò agli isolani circa il 10% della loro popolazione, circa 9 milioni di persone alla fine del XIX secolo.

Dopo la conclusione delle azioni militari gli americani imposero velocemente la propria autorità nelle Filippine, crearono un nuovo sistema di istruzione e scacciarono la chiesa cattolica. Le prime lezioni ai bambini locali furono impartite dai soldati americani e poi giunsero maestri dagli Stati Uniti.

Nella comunità americana la guerra nelle Filippine fu accolta negativamente. Il magnate dell’acciaio Andrew Carnegie promise di rimborsare personalmente alle autorità statunitensi 20 milioni di dollari se queste avessero lasciato in pace gli isolani. Lo scrittore Mark Twain definì questa guerra un “tradimento della democrazia”. Tuttavia, Washington non abbandonò le isole.

Nel 1935 fu creato il Commonwealth delle Filippine che ottenne alcuni

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