NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 17 MAGGIO 2019

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NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

17 MAGGIO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

“Se vuoi uno specchio puro, contemplati entro te stesso,

ché quello specchio non teme né ha vergogna del vero.

E se un volto di ferro trova, a forbirlo, tanta purezza,

che sarà mai del volto del Cuore, che non sa polvere e ruggine?”

Rūmī, Poesie mistiche, 19, a c. di A. Bausani, Milano 1980, pag. 87

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

 

Ritorna lo spettro della xylella  

La sinistra è malata. Lo ammette anche Ricolfi

IL PUTSCH DELL’ONESTÀ. 1

Lo stupro mette in mutande la suqallida indecenza della sinistra

ISAAC KAPPY MORTO SUICIDA/ Le accuse di pedofilia ad Hollywood e il mistero QAnon 1

United States of America, 202… La guerra civile che viene 1

La crociata di Massimo Fini contro il calcio moderno “Basta Var, donne allo stadio e telecronisti esagitati” 1

Xylella: dopo l’Italia tutta l’Europa rischia l’epidemia

Il tresette commerciale tra Usa e Cina (col morto che è l’Europa) 1

Non è colpa dei nazionalismi

ECCO PIU’ EUROPA – E LA LIBERTA’ CHE CI LASCIA. 1

Massoni: Di Maio bussa alla Golden Eurasia, in barba al M5S. 1

Chiunque abbia un minimo di occhio critico, avrà notato come il martellamento mediatico pro-immigrazione abbia subito negli ultimi due anni una recrudescenza

Pedofili al potere ai massimi vertici

Dobbiamo avere il coraggio di dire che il capitalismo è morto – prima che ci porti tutti all’inferno 1

Corrado Passera: “Le banche tradizionali? Spariranno” 1

Unicredit e Commerzbank, tante domande e poche risposte. Parla De Mattia 1

TANGENTI E PM/ Formica: ecco chi manovra M5s 1

Cosa si nasconde dietro alle richieste greche di risarcimenti per la Seconda Guerra Mondiale? 1

Spannaus: poteri opachi dietro la rissa tra Salvini e Di Maio. 1

DIETRO LE QUINTE/ Sapelli: Conte e gli omini-lego comandati da fuori 1

 

 

EDITORIALE

Ritorna lo spettro della Xylella

Manlio Lo Presti – 17 maggio 2019

Dopo un certo periodo di silenzio, causato dall’attenzione generale focalizzata sulla schifosa e indegna rissa elettorale, il buonismo imperante ed il terrorismo del politicamente corretto, usati come armi di distrazione di massa, ritorna lo spettro della xylella che fa ampio scempio di ulivi secolari in Puglia.

Ma durante questo prolungato silenzio la xylella dov’era? Aveva cessato di esistere? No di certo!

Misterioso l’infortunio accaduto all’esile ed attivissimo governatore della Puglia. La frattura della gamba esclude la corsa dello stesso alla candidatura europea e alla segreteria del suo partito. È stato un caso?

Poco lo fa pensare in un Paese dove la contesa politica arriva alla calunnia verbale e mezzo stampa, all’azzoppamento del bersaglio per via giudiziaria per poi arrivare al ferimento ed infine all’assassinio per incidente stradale (metodo preferito dai “servizi” perché rapido, diretto, che non lascia tracce).

Desta più di un sospetto il lancio della notizia del ritorno alla ribalta ad orologeria della xylella se la pubblicazione avviene addirittura sulla prima pagina della corazzata del buonismo neomaccartista quale è il Sole24Ore! Il quotidiano del FATE PRESTO, per capirci fino in fondo e senza finti equivoci.

Considerato l’alto standing del quotidiano, il lancio dalla corazzata mediatica fa riflettere e preoccupa molto.  La diffusione della notizia si sincronizza con il crescendo di martellante ostruzionismo contro il governo attuale, una mitragliata di ostacoli che nulla hanno a che fare con il confronto democratico di diverse visioni della società e le strategie “pulite ed oneste” per realizzarle.

Lo scontro ossessivo, senza fondamenti socio-economici, avviene sul paludoso territorio della disinformazione (un comportamento che le sinistre addebitano a tutti-coloro-che-non-hanno-votato-nel-modo-giusto il cui destino è quello di essere tacitati – secondo un ben noto scrittore napoletano – oltre i 70 anni di età e ricondizionati – come preconizzato da alcuni noti giornalisti “progressisti” e da eminenti filosofi “della parte giusta” –  in appositi campi di rieducazione stile Cina maoista).

La pubblicazione della recrudescenza della xylella, scomparsa da tempo dalle cronache di primo piano, è un segnale di morte imminente dell’attuale governo.

Un assassinio golpista a cui si stanno adoperando – senza alcun legame ad argomenti politici e sociali – in ordine di apparizione:

  • L’effervescente inquilino del Colle;
  • Le legioni cardinalizie de El Pampero a capo di uno staterello che da secoli continua a bloccare con le sue pesantissime ingerenze lo sviluppo democratico del nostro Paese;
  • I capi e capetti della costellazione di gruppi politici immigrazionisti che-hanno-votato-nel-modo-giusto, che hanno messo in ombra la tutela dei diritti sociali del lavoro, della sanità pubblica, le spaventose disuguaglianze sociali ed economiche, per votarsi alla vulgata ordoliberista NWO immigrazionista neomaccartista diffusa a colpi di miliardi di dollari e di euro dal generone DEM nordamericano finanziato dai soli noti multimiliardari;
  • Il potere schiavizzante della presenza pervasiva delle 164 basi atomiche USA nel territorio italiano;
  • La miriade di Ong dentro il territorio italiano e sul mare;
  • Il ruolo non proprio limpido delle forze armate italiane che in varie occasioni, SI SONO RIBELLATE ALLE DIRETTIVE DEL COVERNO ATTUALE. Un atto eversivo che doveva essere subito censurato dall’attuale presidente della repubblica che invece è stato zitto e non ha nemmeno destituito nessuno dei generali coinvolti nell’atto ribelle in puro stile sudamericano!!!!!!!!!!
  • L’asse francotedescosvizzeroUSA, con l’appoggio esterno dell’Inghilterra che da oltre un secolo azzoppa ed uccide con attentati sanguinosi con centinaia di vittime i tentativi italiani di darsi un governo e uno sviluppo economico autonomo.

All’interno di questo quadro non proprio esilarante, l’emersione della xylella è un campanello mortale di allarme: ritornano gli spettri dei colpi di stato finanziari, elaborati a tavolino nei palazzi dove risiedono i figuranti sopra elencati.

TUTTO CIO’ PREMESSO

Vale come digressione esplorativa e soprattutto esplicativa sul perché la vicenda xylella è un segnale mortale.

In una situazione di caos permanente programmato mediante un corto circuito istituzionale, economico, sociale, difensivo dell’Italia, possono riprendere in grande stile gli sbarchi dei c.d. immigrati, con il ritorno di guadagni titanici in miliari di euro a favore degli ben noti organizzatori, oggi messi al bando dall’attuale governo.

L’ingresso in massa di milioni di nordafricani e di profughi dall’est Europa, una invasione provocata dalla prossima aggressione di stampo iracheno contro l’Iran e dal Nordafrica potrà essere facilitato con la disponibilità di un ampio territorio desertificato come base di primo ingresso.

Casualmente, la zona pugliese massacrata dalla xylella (che fa pensare alle devastazioni pilotate del virus Ebola in Africa) può servire a questo scopo. Gli effetti sul tessuto sociale ed economico della Puglia sarebbe distruttivo: un particolare che ai piani del DEEP STATE DE’ NOANTRI non frega una beata …

Era questo che forse voleva dire il governatore della Puglia ma che non ha potuto fare perché casualmente infortunato con la gamba spezzata! Perché ha taciuto? Non si era rotta la bocca e il suo apparato mandibolare. Probabilmente sapeva tutto dall’inizio. Poteva parlare, ma non lo ha fatto.

P.Q.M.

SPREAD e XYLELLA sono – fra gli altri – i due MALLEUS MALEFICARUM per fare dell’Italia la sacca razziale dell’unione europea.

Con studiata lentezza, fra un caos pilotato ed un altro, questo è il destino riservato al nostro Paese.

Adesso assisteremo ad una fortissima accelerazione degli eventi.

Ne riparleremo molto molto presto!!!!!!!!!!!!!!!!

 

 

 

 

IN EVIDENZA

La sinistra è malata lo ammette anche Ricolfi

 

Sisto Ceci – 30 04 2019

 

“Sono le sue malattie che rendono antipatica la sinistra. Perché tutte e quattro offendono il comune sentire delle persone e veicolano lo stesso genere di messaggio:

 

1 – tu non puoi capire (schemi secondari),

2 – tu non devi parlare come vuoi (politicamente corretto),

3 – io sì che la so lunga (linguaggio codificato),

4 – noi parliamo alla parte migliore del paese (supponenza morale)”

 

La sinistra non usa parole chiare, non indica i propri obiettivi e si rifugia negli “schemi secondari”. Poiché la nostra mente fatica a sopportare le informazioni sgradevoli – non essere amati, aver fatto un cattivo investimento, scoprire che la propria opinione è sbagliata – “tendiamo a mettere in atto mille stratagemmi, tutti basati sulla manipolazione delle informazioni di base di cui disponiamo”. Costruiamo razionalizzazioni che ci rendono la realtà sopportabile. Il crollo del capitalismo non avviene, il comunismo si afferma dove non era previsto, il socialismo reale si macchia di crimini contro l’umanità: “ce ne sarebbe abbastanza per dissuadere i credenti più devoti”, ma abbandonare il sogno è troppo doloroso, perciò si attivano gli schemi secondari e la realtà viene piegata a una rappresentazione di comodo.

L’abuso degli schemi secondari serve a ridurre la dissonanza cognitiva

quando si scopre che la realtà smentisce la teoria.

È una malattia diffusa soprattutto nella sinistra di matrice marxista.

Ne discende il primato del “contesto”, per cui lo stesso provvedimento ha un valore negativo se preso dall’avversario e positivo se preso dalla sinistra. A destra “non esiste e non è mai esistito nulla di paragonabile all’immenso sforzo della cultura marxista di occultare i fatti – povertà, lavori forzati, repressione del dissenso – e di edulcorare le evidenze storiche dissonanti, dall’Unione sovietica alla Cina e a Cuba”. Le grandi illusioni generano visionari e i visionari trascurano le evidenze.

 

Tipico della sinistra è proporre parole che edulcorano la realtà: esempio supremo, la “guerra umanitaria”. La paura delle parole nasconde la paura della responsabilità. La sinistra rispecchia penosamente il diffuso rifiuto dell’autorità connesso al passaggio all’età adulta: “un’eterna adolescenza ci impedisce di ricoprire con convinzione qualsiasi ruolo che comporti non solo persuasione, dialogo, amicizia, comprensione, ma anche l’esercizio dell’autorità connessa a un determinato compito sociale… La rinuncia a usare l’autorità è la base psicologica dell’ideologia centrale della nostra generazione, l’idea dell’equivalenza delle culture (multiculturalismo) e della relatività del bene (relativismo morale)”.

La paura delle parole nasce negli Stati Uniti

dai movimenti di contestazione degli anni Settanta,

evolvendosi fino a imporre la dittatura del

“politicamente corretto”.

Per cui i ciechi diventano non vedenti, anzi otticamente svantaggiati, senza che la loro vista nel frattempo migliori.

Questa dittatura ha condannato a morte parole innocenti, come:

 

vecchio (anziano),

donna di servizio (colf),

negro (afroamericano),

spazzino (operatore ecologico).

 

Così facendo, la sinistra si è messa contro il senso comune delle persone, che in privato continuano a chiamare le cose con il loro nome. Senso comune che invece Berlusconi, con il suo linguaggio diretto, sa interpretare benissimo, erede di altri grandi “irriverenti” come Pertini, Cossiga e Giovanni Paolo II.

 

La terza malattia è il ricorso sistematico al linguaggio codificato,

che “manda in esilio le cose e le sostituisce con formule astratte e parole vaghe”;

ne deriva un discorso da iniziati, autoreferenziale,

che per arrivare agli elettori richiederebbe un interprete.

 

Quando la sinistra annuncia i propri programmi, la gente comune non capisce.

 

Già nei nomi sulle schede elettorali il confronto è impietoso: a destra si propongono concetti come libertà, buongoverno, nord, nazione, mentre a sinistra ci si presenta come progressisti, ulivo, alleanza democratica, unione.

Berlusconi usa le parole per spiegare concetti, la sinistra usa le parole per nasconderli. A chi? Ai suoi stessi esponenti: “Per la sinistra la necessità di tenere insieme le sue componenti è tuttora più importante di quella di arrivare agli elettori. La sinistra ha paura delle parole chiare semplicemente perché ha paura delle proprie divisioni… Non è il nemico che non deve capire, ma sono «i nostri» che non devono ricevere segnali precisi. Se tali segnali venissero emessi, addio Ulivo, addio Fed, addio Gad, addio Unione, addio «unità delle forze produttive»”.

La destra promette meno tasse, più sicurezza, innalzamento delle pensioni minime. “Dal punto di vista del ceto politico di sinistra quel che non va è che questa lingua esoterica – già un quarto di secolo fa suscitava la giusta indignazione di Natalia Ginzburg, che arrivò a denunciarla dalle colonne dell’Unità – allontana le persone normali dalla politica e le rende refrattarie al «discorso» della sinistra.

 

Dal punto di vista dell’interesse generale, invece, il problema è che il linguaggio esoterico della sinistra – parole nella nebbia, le chiamava Natalia Ginzburg –

non è frutto di arretratezza, di scarsa

 

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IL PUTSCH DELL’ONESTÀ

Maurizio Blondet  17 Maggio 2019

Perfetta recitazione quella di Di Maio. Splendido tempismo.  “Alle europee la scelta  è fra noi e la Tangentopoli bis che stiamo vedendo nelle inchieste delle ultime tre settimane…..Perché il tema vero è che abbiamo una nuova Tangentopoli  –  che sta colpendo tutte le forze politiche e NOI dobbiamo arginare”.

Così spiega benissimo lo scopo della  mitragliata di inchieste, che i grillini si aspettavano gongolando da settimane, conoscendo date e circostanze in anticipo: “La scelta è fra NOI e la corruzione”.  NOI non abbiamo più bisogno di presentare un programma alla nazione, perché NOI siamo gli onesti. Perché “IL TEMA VERO”  non è  che le nostre  leggi  e programmi di decrescita bloccano l’economia in recessione,  che il reddito di cittadinanza è un fallimento, che non sappiamo cosa fare in nulla; “IL TEMA VERO”  è l’onestà. Non si può scegliere fra due programmi, ma  si deve scegliere fra onestà e corruzione.

Il TEMA VERO

non è la crescita, non la UE, non l’euro,  

non l’oligarchia euro-tedesca che spadroneggia;

non se noi stiamo con Draghi e Mattarella o con gli euroscettici.

Quelli non sono temi veri.

Il tema vero è la corruzione e dovete stare con NOI perché “NOI la dobbiamo arginare”.

Chi ha dato loro il compito di “arginare la corruzione”? 

Il Procuratore Totale.

Quello per cui non esistono innocenti, ma

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LO STUPRO METTE IN MUTANDE LA SQUALLIDA INDECENZA DELLA SINISTRA

Danilo Bonelli 29 04 2019

 

Lo stupro – quello che un tempo si chiamava crudamente violenza carnale – è un reato inumano e disumano posto in atto da uno o più individui che danno mostra della loro ferocia e dello sprezzo che provano verso la dignità e la vita della loro vittima.

Chiunque si macchi di un tale crimine deve essere perseguito nel modo più severo, anche mediante l’auspicabile inasprimento delle pene previste dalla legislazione vigente.

Ma sull’eco di uno stupro commesso a Viterbo ecco che

 

il PD scopre la sua singolare visione della giustizia

che guarda non già all’oggettività di un illecito penale

bensì introduce un nuovo concetto giuridico di “reato ad personam”.

 

Veniamo al dunque: lo stupro di Viterbo è stato commesso da due esponenti di CasaPound, peraltro immediatamente espulsi da quel movimento politico.   E il PD del Lazio, per bocca del suo segretario senatore Astorre, parla con insolita fermezza di “folle violenza e crimine aberrante”, chiedendo la messa al bando di Casa Pound in quanto “organizzazione che manifesta una cultura basata sulla violenza, la xenofobia e la sopraffazione”.

 

Mi è venuto da chiedermi se per svegliare il PD

ci voleva un reato commesso da aderenti a CasaPound,

perché di tutto questo loro sdegno e ferma riprovazione

non abbiamo mai trovato traccia in precedenza,

quando fatti del genere vengono perpetrati dagli immigrati.

 

Dove era il PD quando Pamela Mastropietro o Desirée Mariottini venivano massacrate da bande di clandestini nigeriani?   Quale solidarietà ha mai espresso il PD a quella coppia di fidanzati che a Carpi

 

 

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ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

ISAAC KAPPY MORTO SUICIDA/ Le accuse di pedofilia ad Hollywood e il mistero QAnon

16.05.2019, agg. alle 19:39 – Davide Giancristofaro Alberti

Isaac Kappy, morto a 42 anni l’attore americano: la sua lettera d’addio, a 24 ore dal gesto, pubblicata su Instagram

Isaac Kappy, attore che ha recitato anche in Thor e ha fatto una comparsata in Breaking Bad, è morto suicida e sui social diversi suoi fan stanno esprimendo cordoglio per la tragica scomparsa. Un attore spesso al centro di controversie, basti pensare alle accuse di pedofilia rivolte a volti noti di Hollywood, e, come vi abbiamo riportato, l’adesione al QAnon. Ma di cosa si tratta? L’interprete sposò la teoria cospirativa nata nella destra americana, il cui nome deriva da un utente social anonimo che iniziò a scrivere degli strani messaggi nella sezione 4achan dedicata alla politica. E in breve tempo è riuscito a guadagnarsi un grande seguito, tanto che Wikileaks diffuse un articolo secondo cui QAnon stava riuscendo a far accettare agli elettori anti-establishment anche le politiche che normalmente detesterebbero… (Aggiornamento di Massimo Balsamo)

LA LETTERA D’ADDIO

La morte di Isaac Kappy, attore 42enne suicidatosi lanciandosi da un cavalcavia in Arizona, ha scosso notevolmente il mondo del cinema e delle serie tv. Tra le sue più celebri partecipazioni, ricordiamo i set di Breaking Bad e Thor ma si lui si ricorda sopratutto le sue forti prese di posizione contro i potenti di Hollywood che accusò a muso duro di pedofilia, così come le accuse che a sua volta gli furono sollevate da Paris Jackson, figlia del compianto Re del Pop, Michael, secondo la quale durante una festa tentò di strangolarla. Prima di uccidersi, Isaac Kappy ha affidato i suoi ultimi pensieri a Instagram in una lettera aperta che oggi suona come un triste testamento. Ventiquattro ore prima di farla finita, l’attore ha pubblicato un messaggio in cui si descriveva “non un bravo ragazzo” e si rimproverava di aver “abusato di persone che lo hanno amato”. Nella sua lettera d’addio, Kappy aggiungeva ancora: “In tutta la mia vita ho cercato di essere un bravo ragazzo, ma non lo sono affatto. Ho usato persone per soldi, ho tradito la fiducia di molte persone. Ho venduto droga, ho delle insolvenze fiscali e ho dei debiti. Ho abusato di alcool e droga”. (Aggiornamento di Emanuela Longo)

 

DALLA FAMA ALLA DROGA E AI DEBITI DI GIOCO

 

Ha deciso di farla finita Isaac Kappy, 42enne attore noto in particolare per le sue partecipazioni in pellicole a serie tv molto popolari come Terminator, Thor e Breaking Bad. Si è gettato da un cavalcavia ed è morto sul colpo dopo essere stato investito da un’auto che passava di sotto. Un personaggio molto controverso Isaac, capace di far parlare sia per le sue performance davanti alla cinepresa, ma anche e soprattutto per quelle extra-cinema. Basti pensare che con le sue teorie cospirazioniste con cui aveva accusato numerosi personaggi noti di Hollywood, era stato bannato sia da Facebook che da Twitter. Non aveva avuto invece la stessa sorte su Instagram, ma pochi giorni fa aveva deciso di cancellare tutti i post dal suo profilo, lasciandone solo uno, che riletto ora, dopo il suo tragico gesto, suona come un disperato appello. Isaac Kappy era il classico personaggio famoso che non era riuscito a gestire la fama e i soldi, e che era caduto in un turbine di droga e debiti. Lui stesso aveva infatti confessato di aver fatto uso di stupefacenti, e di avere problemi di soldi sia per via del vizio del gioco d’azzardo, sia per colpa di alcune tasse non pagate. Alla fine, si è tolto la vita: chissà che ora non si senta davvero un po’ più sereno… (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

ISAAC KAPPY, MORTO A 42 ANNI: SUICIDIO

Lutto nel mondo del cinema: nella giornata di ieri è morto Isaac Kappy, attore famoso per avere recitato in alcune pellicole “blockbuster”, nonché in serie tv di grande successo. Kappy è stato trovato senza vita, morto suicida all’età di 42 anni, dopo essersi lanciato da un cavalcavia in Arizona, sulla Transwestern Road a Bellemont. Una fine terribile quella del controverso attore, che dopo essersi lanciato dal ponte è stato travolto da un pick-up di passaggio, come riferito dal sito Deadline citando fonti del Dipartimento di

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https://www.ilsussidiario.net/news/cinema-televisione-e-media/isaac-kappy-morto-suicida-a-42-anni-lattore-ha-recitato-in-terminator-e-thor/1883325/

 

 

 

 

 

 

United States of America, 202… La guerra civile che viene

Pubblicato il 16 Maggio 2019 · in Cinema & tv, Recensioni ·

di Sandro Moiso

 

 

Quando i rappresentanti dei vertici economico-finanziari e dei media mainstream iniziano a starnazzare sul pericolo di rivolte e di rimessa in discussione dei principali assunti dell’attuale modo di produzione è il momento di alzare le antenne e aprire bene le orecchie.
Recentemente, con riferimento alle élite che non sono disposte ad apportare cambiamenti radicali all’economia statunitense, Anand Giridharadas, editor-at-large della rivista Time e autore del libro Winners Take All, ha affermato “queste persone, sinceramente, stanno chiedendo, supplicando di essere detronizzate e devono aprire gli occhi riguardo alla fase in cui si trovano”.

Su questo punto concorda con Ray Dalio, che dirige l’hedge fund più grande del mondo (che in base a una stima di Forbes ha un patrimonio di 18,4 miliardi di dollari) e che ha detto, sia durante il programma televisivo “60 Minutes” sia su LinkedIn, che gli attuali livelli di disuguaglianza sono “un’emergenza nazionale”, aggiungendo che “il sogno americano è andato perduto”.

Entrambi, poi, concordano su una cosa: se il capitalismo negli Stati Uniti non subirà una riforma entro un certo periodo, scoppierà qualche tipo di rivolta.

Queste affermazioni, parzialmente inaspettate dalla bocca di chi fa parte della classe dirigente, fanno sì che diventi ancor più significativo il fatto che ormai da diversi anni proprio dagli Stati Uniti provengano opere letterarie che trattano il tema della guerra civile oppure della resistenza armata contro lo Stato e tutti i suoi addentellati economici, politici e militari.

Un autore come Paul Auster, con il suo Man in the Dark (uscito in Italia per Einaudi con il titolo Uomo nel buio), nel 2008 è stato uno dei primi a introdurre il tema all’interno della letteratura non di genere, seguito poi da diversi altri scrittori.

Ma è proprio nel corso dell’ultimo anno che sono uscite due opere, una cinematografica e l’altra a fumetti, che mostrano come il tema sia diventato importantissimo e dirimente all’interno della cultura e dell’immaginario statunitense.

Nel primo caso si tratta di Captive State, un film di fantascienza del 2019, diretto da Rupert Wyatt e interpretato, tra gli altri, da John Goodman e Vera Farmiga, uscito nelle sale italiane con lo stesso titolo. Nel secondo si tratta di Days of Hate – Atto primo di Ales Kot e Danijel Zezelj, opera pubblicata in Italia dalla sempre lodevole, per le scelte intelligenti operate nel settore dei comics, dalla Eris di Torino.1

Nel primo, dichiaratamente ispirato a film quali La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo e L’armata degli eroi di Jean-Pierre Melville, lo spettatore viene catapultato negli Stati Uniti sul finire degli anni Venti del XXI secolo quando, a causa della sottomissione del governo della Casa Bianca agli interessi di carattere estrattivista di invasori alieni provenienti dall’outer space, le condizioni di vita di gran parte della popolazione sono nettamente peggiorate e non resta altro alla maggioranza della stessa che opporsi, armi alla mano e attraverso l’organizzazione in strutture politico-militari clandestine, alle scelte devastanti operate in nome del benessere “collettivo” e della sicurezza nazionale.

Il clima è cupo, l’ambientazione claustrofobica e Chicago la città prescelta per lo svolgersi di tutti i principali avvenimenti narrati. Le basi aliene ricordano i tunnel delle grandi opere, i resistenti bianchi e neri agiscono sapendo che la loro vita non vale più nulla una volta imboccata la strada della lotta. Agiscono in clandestinità senza poterlo, naturalmente, rivelare nemmeno alle persone più care. Vivono come se fossero già morti per poter ridare la vita e la speranza ad una società schiantata dalla miseria e dalla repressione.

La polizia e la guardia nazionale (servi dei servi dei servi) controllano le strade rinviandoci alle immagini delle ultime rivolte americane, al clima di paura dei governi securitari, ai discorsi infingardi sul benessere collettivo di Trump e di tutti gli altri governi dell’Occidente e non solo.
La scelta di resistere appare quindi sempre più disperata e isolata, infarcita di di tradimenti e di dolore. Eppure, eppure…

 

Il fumetto di Kot e Zezelj, già apprezzatissimo il primo (originario della Repubblica Ceca) per il lavoro di sceneggiatura di importanti e innovative serie della Marvel e importantissimo come illustratore il secondo2 (di

 

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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

13 maggio 2019

La crociata di Massimo Fini contro il calcio moderno “Basta Var, donne allo stadio e telecronisti esagitati”

Il giornalista autore di “Storia reazionaria del calcio” (Marsilio Editori): “Lo spezzatino delle tv ha rovinato la ritualità del calcio. Ho visto giocare Berlusconi a 19 anni: era alto un soldo di cacio ma pretendeva di fare il centravanti e non passava mai la palla”

13 MAGGIO 2019

Nel mondo ipertecnologico e politicamente corretto di oggi essere reazionario e scomodo è l’unica forma di rivoluzione. E Massimo Fini, il giornalista più controcorrente d’Italia, è abituato a sedersi nel posto lasciato libero dal perbenismo retorico all’italiana. Sono tanti i tabù infranti dal suo “Storia reazionaria del calcio” (Marsilio Editori), scritto con il giornalista sportivo Giancarlo Padovan. Dal calcio femminile alle bestemmie dei giocatori fino al valore dell’aggressività degli ultras nella nostra società. Con un po’ di nostalgia e ruvida chiarezza, Fini lancia un allarme: l’economia e la tecnologia hanno spogliato il calcio di quegli elementi identitari, mitici e simbolici che hanno fatto la sua fortuna per più di un secolo. Perché il calcio non è solo un gioco. È un rito collettivo, una messa personale, uno specchio dei tempi. I cambiamenti della società si riflettono sul campo e viceversa. Tra Var, telecronisti esagitati, nani e ballerine nei talk show sportivi, scommesse online, partite in streaming, Pay tv, anticipo del sabato, partita serale e posticipo del lunedì, il dubbio è che abbiamo perso il vero senso del calcio: la sua sacralità. Eppure, un tempo, quando i biglietti si compravano al Bar Sport, le partite si giocavano solo alle 15 della domenica e Var era solo un refuso, il mondo del calcio era diverso. Poi è cambiato tutto.

Fini, quando ha iniziato a degenerare il calcio? 
Nel 1986. Quando Silvio Berlusconi ha presentato il Milan all’Arena di Milano in stile Super Bowl con attricette e cantanti al seguito. In quel momento è iniziata l’era della tv nel calcio e nulla è stato più come prima. Il problema è che Berlusconi capiva molto di televisione ma non di pallone. Addirittur,a voleva dividere la partita in quattro tempi perché così poteva mettere degli spot. E dire che l’ho visto pure giocare da bambino.

Dove?
A Milano in via Copernico. C’era un campetto nel cortile dei salesiani. Berlusconi aveva 19 anni e giocava interno. Era un “Venezia”, come si dice dalle nostre parti. Era alto un soldo di calcio ma pretendeva di fare il centravanti e non passava mai la palla. Già in nuce e in forme ancora non pericolose c’era Berlusconi che tutti conoscono oggi. Ma quello era il 1965, altri tempi.

Com’era il calcio d’altri tempi? 
La differenza più grande rispetto a oggi è il tifo allo stadio. Ora c’è questa politica degli abbonamenti che costringe i ragazzotti ad ammassarsi tutti dietro le curve, mentre una volta si spalmavano per tutto stadio. Il calcio era uno sport interclassista, poteva capitare che l’imprenditore fosse seduto a fianco dell’operaio. A parte gli “stronzi” che stavano in tribuna d’onore. Ma quelli ci sono sempre stati.

Non mi dica che i tifosi non andavano in curva. 
Sì, ma non era tifo organizzato. Si trattava quasi sempre di gruppi indipendenti di amici che usavano la scusa della partita per fare una gita fuori città. Se per esempio il Bologna andava a giocare a Milano si guardava il cielo per capire se ci sarebbe stato tutto il giorno bel tempo. Si prendevano i biglietti al Bar Sport e ci si infilava tutti insieme nella stessa macchina per risparmiare sulla benzina. Era un tifo spontaneo. E ora che abbiamo ammassato gli ultras nelle curve, ci stupiamo se fanno casino. Ma il calcio è anche questo: uno sfogo legittimo dell’aggressività.

Il calcio è uno sport per uomini che sublima quel tanto poco di omosessualità che è in noi senza avere un rimbrotto sociale. Io non sono mai andato con una ragazza allo stadio perché era un rito sacrale e come tutti i riti vuole una concentrazione assoluta. Tu non puoi stare lì vedere la partita e sbaciucchiarti con la tua ragazza. O l’uno o l’altro.

Massimo Fini

 

Il calcio di oggi è diventato troppo politicamente corretto? 
L’aggressività è un aspetto della vitalità umana. Tutte le società che hanno preceduto la nostra hanno cercato di canalizzarla in modo che diventasse innocua. Mentre adesso i tifosi non possono più inalberare striscioni tipo “Forza Vesuvio” se la loro squadra gioca contro il Napoli, perché sennò c’è la discriminazione territoriale. Ma lo stadio non è un club di gentiluomini. Se comprimi l’aggressività in questo modo poi si finisce coi delitti delle villette a schiera di cui parlava Guido Ceronetti. I ragazzi devono avere un modo di esprimere la loro aggressività in modo da tenerla a livelli controllabili. Un classico della nostra società illuminista-occidentale che vuole eliminare la violenza e pensa all’uomo come dovrebbe essere e non come concretamente è. Un pensiero che ha combinato guasti inenarrabili, non solo nel calcio. E lasciate bestemmiare i giocatori.

Non sono un bell’esempio per i bambini.
Se un giocatore prendeva un pestone da un avversario e diceva una sacrosanta bestemmia una volta non succedeva niente. L’arbitro faceva finta di non sentire. Adesso la moviola va a studiare il labiale. Tanto è vero che i giocatori quando si parlano sul campo spesso si mettono le mani davanti alla bocca. Ma questo è solo uno dei tanti esempi di come siamo passati da un divertimento spontaneo a un qualcosa di estremamente regolato e artificiale. Come portarsi la ragazza allo stadio.

Che male c’è? 
Il calcio è uno sport per uomini che sublima quel tanto poco di omosessualità che è in noi senza avere un rimbrotto sociale. Io non sono mai andato con una ragazza allo stadio perché era un rito sacrale e come tutti i riti vuole una concentrazione assoluta. Tu non puoi stare lì vedere la partita e sbaciucchiarti con la tua ragazza. O l’uno o l’altro. Lancio una provocazione: lo stadio dovrebbe essere vietato alle donne.

Immagino che quest’estate non vedrai il mondiale femminile di calcio. 
Me ne guardo bene. Una donna che si interessa di calcio mi fa strano, figurarsi una che stoppa un pallone col petto. Ci sono altri sport in cui le donne eccellono rispetto agli uomini, come la pallavolo. Secondo me il calcio è un fatto puramente maschile. E lo dico anche se il coautore del libro, Giancarlo Padovan, è stato più volte allenatore di squadre femminili.

Nel libro spieghi che la televisione ha tolto l’ultimo luogo dedicato al sacro: lo stadio. Però grazie alla tv più persone possono vedere sempre più partite. Non è il trionfo del calcio? 
Il trionfo del business televisivo direi. Il venerdì c’è l’anticipo di B, il sabato la Serie B e l’anticipo di A, la domenica pomeriggio le tre partite più scrause, il match clou la sera, il lunedì il posticipo poi il martedì e mercoledì c’è la Champions League. Un’overdose più che uno sport. E ci tocca sorbire il giovedì quella cosa comica dell’Europa League dove finiscono le squadre scartate nella Coppa dei campioni. Ma lo spezzatino non ha solo rovinato il rito della partita la domenica alle 15.

Cos’altro?
È scomparso un altro sub-rito, quello del sabato quando si andava a giocare al Bar Sport la schedina del Totocalcio che ora non esiste più. In quel contesto si discuteva delle partite, si facevano previsioni, c’era un senso di comunità. Un tempo si parlava della partita il lunedì mattina in ufficio o in fabbrica, ora il calcio moderno è così farcito di talk show che siamo stati espropriati della chiacchiera da bar.

La partita di calcio è come la messa: non ci vai se non credi o se sei distratto, ma segui i riti e le sue formule anche se da fuori sembrano assurde. E come

 

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BELPAESE DA SALVARE

Xylella: dopo l’Italia tutta l’Europa rischia l’epidemia

15 maggio 2019–di Giorgio Dell’Orefice

Non esiste ancora un modo conosciuto per eliminare la Xylella fastidiosa da una pianta malata in reali condizioni di campo». E per questo l’intera Europa può essere considerata a rischio.
È quanto emerge dai due pareri dell’Efsa (l’Autorità europea della sicurezza alimentare) redatti sull’epidemia che ha devastato l’olivicoltura pugliese (si calcolano 4 milioni di alberi coinvolti, circa 50mila ettari di uliveti e un impatto sulla produzione di olio d’oliva della Puglia, prima regione produttrice in Italia, del 10% circa) e resi noti oggi.
Le simulazioni effettuate al computer dai ricercatori Efsa hanno evidenziato che le aree maggiormente a rischio sono quelle nell’Europa meridionale con in primis l’Italia e che la variante della Xylella fastidiosa multiplex è quella che risulta avere le maggiori probabilità di stabilirsi nel nord Europa rispetto alle altre sottospecie.

La lotta alla xylella, sottolineano gli esperti Efsa nei documenti con cui aggiornano le conoscenze scientifiche ferme ai rapporti redatti dalla stessa Autorità nel 2015, è complicata dal ritardo con cui si manifestano i sintomi. In assenza di cure il controllo degli insetti vettori e la corretta e tempestiva applicazione delle misure di emergenza attualmente in vigore a livello Ue (taglio delle piante infette e di quelle suscettibili di infezione nel raggio di 100 metri) risultano quindi decisive. Purtroppo, si tratta proprio delle misure raccomandate da Bruxelles fin dal 2015 e che tra ricorsi amministrativi e altre indagini giudiziarie in Puglia sono state adottate con grande ritardo al punto da spingere, lo scorso anno, la Commissione Ue ad aprire una procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia.

Tra queste una delle più contestate è stata la prevista eradicazione di tutte le piante poste in un raggio di 100 metri da un olivo infetto. Una misura che secondo l’Efsa potrebbe essere adottata anche con un raggio inferiore ai 100 metri (e quindi in misura meno invasiva) ma solo in presenza «di una diagnosi precoce della malattia, di un controllo degli insetti vettori efficiente per adulti e larve e della rimozione immediata delle piante. Al contrario – si legge ancora nei pareri dell’Efsa – se il vettore è scarsamente controllato anche nel caso del raggio di taglio attuale, l’eradicazione rischia di rivelarsi inutile e fallire».

Inoltre secondo gli esperti dell’Authority Ue, ridurre le zone tampone, quelle cioè che separano l’area infetta dall’area indenne, aumenta drasticamente la probabilità di espansione dell’epidemia.

GUARDA IL VIDEO / Xylella invade l’Europa, problema non più solo italiano

Ma il batterio della Xylella fastidiosa non ha colpito in questi anni solo l’Italia. Risulta

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https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2019-05-15/xylella-l-italia-tutta-l-europa-rischia-l-epidemia-190233.shtml?uuid=ACZYkJD

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Il tresette commerciale tra Usa e Cina (col morto che è l’Europa)

Al termine di questa partita, occorre chiedersi chi ha vinto e chi ha perso tra Cina Stati Uniti e Unione europea. L’analisi di Giuseppe Pennisi

12 maggio 2019

 

I negoziati commerciali Usa-Cina non sono andati a buon fine: alla mezzanotte ed un minuto della notte tra venerdì 10 e sabato 11 maggio, gli Stati Uniti hanno posto dazi del 25% su gran parte delle importazioni della Cina e Pechino ha risposto minacciando misure di ritorsione. Nonostante tutto, però, la trattativa sta riprendendo (pare) nella capitale nel nuovo Celeste Impero.

 

Vie della seta

http://www.libreidee.org/2019/05/guerra-sui-dazi-usa-cina-tresette-col-morto-che-e-leuropa/via-della-seta/

 

Al termine di questa partita (ancora non sono chiari i contorni della prossima), occorre chiedersi chi ha vinto e chi ha perso. Ipotizziamo che si tratti di una partita a carte: un tresette (col morto) dato i principali giocatori sono tre (Usa, Cina, Ue) non quattro. Il resto del mondo resta nello sfondo, come vi è rimasto nel corso della tornata. Pagherà comunque il conto in termini di incertezza sul futuro non solo del commercio ma anche degli investimenti internazionali, i quali, senza sapere quale è il regime tariffario a cui saranno soggetti i loro prodotti, non sapranno dove andare. Ciò provocherà un rallentamento della crescita dell’eximport mondiale di cui faranno le spese i Paesi esportatori più fragili (come l’Italia).

Ma torniamo ai tre contendenti al tavolo da gioco: Usa, Cina ed Ue. Gli Usa hanno fatto saltare il branco e terminato il 10 maggio una partita a cui erano stati concessi diversi tempi supplementari: sarebbe dovuta terminare entro il termini perentorio del 30 marzo. Lo hanno fatto nonostante che, almeno nel breve termine, Washington rischi di essere il giocatore che perde di più. Da un lato, i consumatori di prodotti finiti di bassa fascia (giocattoli, abbigliamento) dovranno pagarli di più se non troveranno sostituti manufatti negli Usa o altrove. Da un altro, le aziende (numerose in certe categorie dell’elettronica) che assemblano per il mercato americano componenti manufatte in Cina avranno più alti costi di produzione. Da un terzo, la banca centrale cinese è nelle sue riserve 1.13 trilioni di dollari Usa e, se vuole, può mettere in serie difficoltà gli americani, riversandone parte sul mercato finanziario.

Perde, nel più lungo termine, anche Pechino. Come più volte sottolineato su questa testata, il principale nodo più che il commercio è il fatto che la Cina non ottemperato alla promessa, fatta quando è stata ammessa, nel

 

Continua qui: https://formiche.net/2019/05/cina-usa-dazi-tresette-commerciale/

 

 

 

 

 

CULTURA

Non è colpa dei nazionalismi

MV, Il Borghese maggio 2019

C’era una volta il nazionalismo. Poi dopo la Seconda guerra mondiale anche i nazionalisti mutarono. Venne fuori il mito dell’Europa Nazione (lanciato da Filippo Anfuso), che fu la bandiera di noi ragazzi dei primi anni Settanta, Adriano Romualdi scrisse un breve pamphlet sul nazionalismo europeo, Maurice Bardèche fu cofondatore del Movimento Sociale Europeo, la destra nazionale si ispirò all’Europa delle patrie di De Gaulle, la destra rivoluzionaria seguì Jean Thiriart della Nazione europea che fondò la Giovane Europa, come Mazzini.

Insomma, il nazionalismo per la destra era acqua passata, glorioso ricordo per taluni, momento storico per altri. Poi è venuta l’Unione europea che dopo gli iniziali entusiasmi ha creato disagi, mortificazioni e rigetto. E ha alimentato, soprattutto nell’est uscito dal comunismo il desiderio di rinazionalizzare. Identità, sovranità, patria. Ma sarebbe un errore diventare antieuropeisti solo perché detestiamo questa specie di Non-Europa. Prima ancora che la destra europea sulla scia del Front National francese, è stata l’Europa stessa ad agitare il fantasma del ritorno dei nazionalismi. Anzi a sentire il racconto dominante di media, partiti e poteri europei, l’Europa corre solo un pericolo: che si riaffaccino i nazionalismi.

Ora vorrei ripercorrere i problemi che patisce l’Europa di oggi. Per cominciare, che c’entra la crisi economica mondiale e nazionale che viviamo da anni, l’espansione del debito, il buco nero della finanza, la disoccupazione e le nuove povertà, col nazionalismo tramontato da tanti decenni o che si affaccia oggi all’opposizione? Non sono piuttosto il frutto di governi, politiche, scelte economiche globali e mercati transnazionali? E poi, la corruzione delle classi dirigenti, la loro diffusa inadeguatezza, la loro cecità e incapacità di guidare e rappresentare gli interessi reali dei popoli, l’abisso tra governati e governanti, tra le istituzioni e i cittadini, sono causati dal nazionalismo o piuttosto nascono dai partiti, regimi, poteri, establishment, modelli politici opposti imperanti in Italia, in Europa e nella globalizzazione? E il presente degrado della vita pubblica, dei nostri centri storici, della cultura e dell’educazione dei popoli, le emergenze ambientali, strutturali, la crisi delle famiglie, del lavoro e del sud, le violenze sessuali, le ingiustizie sociali sono frutti del nazionalismo o piuttosto di processi, mentalità, governi, ideologie, modelli permissivi che sono ai suoi antipodi? E il declino di paesi come l’Italia, dove i morti superano i nati, i vecchi superano i giovani, è un

Continua qui: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/non-e-colpa-dei-nazionalismi/

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

ECCO PIU’ EUROPA – E LA LIBERTA’ CHE CI LASCIA

Maurizio Blondet  13 Maggio 2019

Un pezzo di copia-incolla.

Con la scusa delle #FakeNews hanno chiuso 24 pagine #Facebook a favore del governo con 2 milioni di utenti. Utenti “che condividevano informazioni false e contenuti divisivi su migranti, antivaccini e antisemiti a ridosso delle elezioni europee, oltre la metà a sostegno di Lega e 5 Stelle”.

La decisione – si viene subito a sapere – è arrivata grazie alle segnalazioni di AVAAZ.

“Spuntata negli Stati Uniti, a New York dodici anni fa, nel 2007, Avaaz è una sorta di sigla finalizzata alla “organizzazione di comitati di propaganda elettorale”, di ispirazione tendenzialmente parademocratica. Attraverso colossali indirizzari mail, infatti, invade quotidianamente i computer di tutti gli iscritti alla sua piattaforma, post poi sponsorizzati e promossi su tutti i social.

Una corazzata che controlla le ONG di mezzo mondo, Open Society, e condiziona i destini di tanta politica, geopolitica, sottopolitica e parapolitica. Nell’International Board di Open – va ricordato – siede la nostra Emma Bonino, commissario UE esattamente vent’anni fa, oggi al timone di + Europa con Bruno Tabacci e Benedetto Della Vedova. Una formazione politica che ha sempre ottenuto pingui finanziamenti dalle sigle dell’arcipelago firmato Soros. Secondo il Washington Post, il gruppo MoveOn.org ha ricevuto nel 2004 “1,6 milioni di dollari da George Soros e da sua moglie”.

http://www.lavocedellevoci.it/2019/05/13/avaaz-la-macchina-di-soros-per-condizionare-le-elezioni-via-web/

(da Il Giornale):

Avaaz, l’ong legata a Soros che segnala a Facebook le pagine fake

L’oscuramento delle pagine fake in Italia voluto da Facebook è arrivato dopo le segnalazioni di Avaaz, l’ong con sede a New York che ha profondi legami con il tutto il mondo progressista internazionale, Soros compreso

…. il fatto che Avaaz non sia un organo imparziale  è facilmente dimostrabile che le segnalazioni della ong fondata da Ricken Patel nel 2007 siano politicamente orientate e tutt’altro che super partes. Lo dimostrano le battaglie politiche dell’organizzazioni e i finanziamenti di cui ha beneficiato.

avaaz.org, infatti è stata co-fondata da Res Publica e dal gruppo progressista MoveOn.org. Quest’ultimo, vicino al partito democratico americano, ha ricevuto nel 2004, secondo il Washington Post, “1,6 milioni di dollari da “George Soros e sua moglie”. ….

Nel 2018, per esempio, come ricorda Gli Occhi della Guerra, Avaaz ha lanciato una petizione contro l’organizzazione dei Mondiali in Russia. Nel mirino c’erano Vladimir Putin e il presidente siriano Bashar al-Assad:

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/ecco-piu-europa-e-la-liberta-che-ci-lascia/

 

 

 

 

 

 

Massoni: Di Maio bussa alla Golden Eurasia, in barba al M5S

Scritto il 13/4/19

Luigi Di Maio omaggia Angela Merkel con un obiettivo preciso: spera di essere accolto nella Ur-Lodge della Cancelliera. Lo afferma il movimento massonico d’opinione “Grande Oriente Democratico”, presieduto da Gioele Magaldi, secondo cui il vicepremier grillino «bacia la pantofola della libera muratrice Angela Merkel per entrare nella superloggia Golden Eurasia e assicurarsi un avvenire a prescindere dal governo gialloverde e dalla sorte del M5S». Forte la polemica di Magaldi con Di Maio, accusato di essersi riproposto nei panni di «aspirante massone neoaristocratico», nonostante i 5 Stelle vietino ai propri esponenti (a parole) di avvicinarsi alla massoneria, a cui peraltro appartengono svariati uomini del governo Conte, inclusi i ministri Tria e Moavero. Di Maio? «Tradisce gli elettori pentastellati», lo accusa Magaldi, se dichiara – come ha fatto – che politici come la Merkel farebbero tanto bene anche all’Italia. «Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere», scrive “Grande Oriente Democratico”: «Ci auguriamo che Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Alessandro Di Battista e tutti quei parlamentari, dirigenti, attivisti, elettori e simpatizzanti pentastellati che hanno sempre individuato in Angela Merkel la campiona dell’austerity e dei dogmi neoliberisti che hanno funestato l’Europa e l’Italia prendano Luigi Di Maio a pedate nel sedere e a pomodori in faccia».

Non è senza precedenti, l’accusa rivolta a Di Maio dal presidente del Movimento Roosevelt, che nel saggio “Massoni” racconta che le 36 Ur-Lodges planetarie (sovranazionali e apolidi) reggono di fatto il potere mondiale. E’ il caso della stessa “Golden Eurasia”, alla quale secondo Magaldi sarebbero affiliati – oltre alla Merkel – anche il presidente russo Vladimir Putin, nonché l’ex cancelliere tedesco Gehard Schröder (poi arruolato dalla russa Gazprom come super-consulente) e l’ex manager industriale Peter Hartz, da cui Schröder mutuò la riforma neoliberista che precarizzò il lavoro in Germania, introducendo la flessibilità, la perdita dei diritti e i micro-salari (mini-job) che hanno poi fatto da battistrada in tutta Europa nell’annientare le storiche conquiste sindacali. «L’ipocrisia e la doppiezza di Luigi Di Maio si fanno addirittura iperboliche, perché il giovanotto ha bussato al gotha delle aristocrazie massoniche neoaristocratiche, non di quelle progressiste», scriveva Magaldi su “Grande Oriente Democratico” già nel febbraio 2018, durante la campagna elettorale per le politiche che poi avrebbero incoronato i 5 Stelle come primo partito, proiettandoli insieme alla Lega verso il futuro governo gialloverde.

Secondo Magaldi, lo scorso anno, il leader grillino «per poco non è stato preso a pernacchie», in quei salotti di Londra e di Washington ai quali aveva bussato, «ma la vicenda ha un carattere tristemente esemplare, perché illustra efficacemente il modus operandi del personaggio in questione e di certa massonofobia militante, la quale privatamente anela proprio a ciò che in pubblico demonizza e discrimina». C’è un diffuso meccanismo, aggiungeva Magaldi, che «induce determinati soggetti politici a scagliarsi contro i massoni che si presentino ufficialmente come tali, senza paludamenti», per poi invece «accogliere a braccia aperte chi conservi un profilo massonico accuratamente segretato». Attenzione: la sortita antimassonica di Di Maio – che si affrettò a dichiarare a “La7” che non avrebbe voluto massoni tra i piedi – non è stata affatto casuale, ma premeditata: «In quelle parole del candidato premier pentastellato c’è molta ambiguità e ambivalenza», disse Magaldi. Ovvero: «C’è un messaggio polivalente, rivolto a diversi interlocutori nazionali e internazionali». Un intervento «odioso e ipocrita, apparentemente massonofobico», in realtà indirizzato – in codice – a soggetti ai quali Di Maio si sta probabilmente ancora rivolgendo. Morale: «Il Movimento 5

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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Chiunque abbia un minimo di occhio critico, avrà notato come il martellamento mediatico pro-immigrazione abbia subito negli ultimi due anni una recrudescenza notevole.

Patrizia stabile 13 gennaio 2019

Dalla Chiesa di Bergoglio, felicemente cooptata per tradizionale interesse economico e per apparente convenienza politica, alle varie figure politiche globaliste (dai vertici più alti della UE fino ai meri inservienti a cottimo delle onlus), è tutto un pullulare di inviti ad abbattere i confini nazionali, ad aprire le porte alle “nuove leve” del lavoro sottopagato e della frammentazione sociale, e quasi a concedere loro uno status “privilegiato” rispetto ai diritti storici degli italiani. Che poi nella pratica questo status sia realmente concesso, è da vedersi, dato che i migranti vengono quasi sempre illusi dando loro sogni a buon mercato con un’illusoria accoglienza iniziale.

Tuttavia, ai fini del semplice “ingresso” (che è la sola cosa che interessa al globalismo liberista, per i fini che ben conosciamo), la propaganda globalista opera tramite mille canali. Quello culturale è senz’altro basilare, e promuove il principio della “migrazione permanente” del popolo flessibile, tramite giornali, libri, spettacoli e film. Un vero e proprio lavaggio del cervello di massa, con effetti tuttavia sempre meno efficaci sulla parte di popolazione meno ideologizzata o asservita.

Naturalmente gli esempi sono centinaia, se non migliaia, tanto è ramificata la catena propagandistica: è ormai assodato che non si possa far parte del mondo culturale senza essere mondialisti, pena l’esclusione. Anche se è solo uno dei tanti casi specifici, mi ha colpito un film in uscita in questi giorni. Narra infatti di una famiglia in crisi che accoglie in casa un gorilla, e che “ritrova la felicità” grazie al nuovo arrivato (sic!). Il film viene presentato, manco a dirlo, come un invito all’accoglienza, con tanto di considerazioni sul “gorilla migliore degli umani” (doppio sic). Frasi facilmente interpretabili: le metafore della dialettica immigrazionista si spingono ogni volta verso nuove vette.

Pur non avendo ancora visto il film ed avvalendoci quindi del beneficio del dubbio, va però detto che se dobbiamo stare a cotanta descrizione, non è difficile coglierne il messaggio, stavolta con risultati a dir poco grotteschi. A partire dai migranti ritratti come gorilla (senza contare che nessuna persona sana di mente si metterebbe in casa un gorilla, per rispetto suo e di se stessi, ma tant’è).

Questo è giusto un esempio minore, ma la narrazione è sempre la stessa. Quante volte abbiamo sentito concetti analoghi alla famosa frase boldriniana, ovvero “il loro stile di vita diventerà anche il nostro”? Quante volte abbiamo sentito inviti ad accogliere indifferentemente tutti i migranti, addirittura invitando ad ospitarli nelle proprie case? Si direbbe quasi che, nel perseguire lo scopo, si persegua addirittura la collettivizzazione della propria sfera privata, espropriandola e mettendola a disposizione del grande progetto di “classe unica” subalterna. L’unica “collettivizzazione” ed espropriazione in atto, dato che tutto il resto, dalle scuole alla sanità, sta finendo in mani private.

In realtà, quello che sta avvenendo è una vera e propria violenza nei confronti di un popolo, quello italiano, sempre più sofferente e insofferente, se è vero che impoverimento e invasione immigratoria (della quale, è bene ricordarlo, i migranti sono solo pedine) vengono messi in atto come parti di un’unica strategia. Costringere un italiano sottopagato o disoccupato, in lotta per mantenere un minimo di dignità e benessere, a caricare sulle proprie spalle un fardello non richiesto senza il proprio consenso, anzi,

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Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. 

Egidio Silecchia – 27 04 2019

 

Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dai Clinton.

Da chi viene la denuncia?

Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno».

Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio.

Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal

 

 

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ECONOMIA

Dobbiamo avere il coraggio di dire che il capitalismo è morto – prima che ci porti tutti all’inferno

17 Maggio 2019 DI GEORGE MONBOT

 

Il sistema economico è incompatibile con la sopravvivenza della vita sulla Terra. È ora di cercarne un altro.

Per gran parte della mia vita ho detto che non mi piaceva il “capitalismo delle corporation”, il  “capitalismo dei consumi” o il “capitalismo corrotto” e ci ho messo parecchio prima di comprendere che il problema non era l’aggettivo ma il sostantivo. Così mentre tanti si sono affrettati a rigettare subito e con gioia il capitalismo, io l’ho fatto con lentezza e con riluttanza. Uno dei motivi del tempo che mi ci è voluto è stato che, al capitalismo,  non vedevo nessuna alternativa chiara: a differenza di tanti anticapitalisti, non sono mai stato uno entusiasta del comunismo di stato, anzi mi infastidiva il suo status di religione. Dire che “il capitalismo sta morendo” nel XXI secolo è come dire “Dio è morto” nel XIX: è una bestemmia secolare. e per dirla ci voleva un grado di sicurezza che io ancora non avevo.

Ma poi sono cresciuto e  sono arrivato a riconoscere due cose. Innanzitutto che è il sistema stesso e non una sua qualsiasi variante, che ci sta spinge inesorabilmente verso il baratro. Secondo punto è che non si deve già avere un’alternativa pronta per riconoscere che il capitalismo sta morendo. Questa è una affermazione che sta in piedi da sola, anche se richiede anche che ci sia un altro, e un diverso sforzo per mettere in piedi un sistema nuovo.

La crescita perpetua di un pianeta finito porta inesorabilmente ad una calamità ambientale

La crisi del capitalismo deriva da due dei suoi elementi basici. Il primo è la crescita perpetua. La crescita economica è l’effetto aggregato della ricerca di accumulare capitale e fare profitto. Il capitalismo non regge senza crescita, ma si deve riconoscere che la crescita perpetua su un pianeta finito deve portare inesorabilmente a una calamità ambientale.

Chi difende il capitalismo dice che, se il consumo passa dai beni ai servizi, la crescita economica può essere indipendente dall’uso delle risorse materiali. La scorsa settimana un articolo sulla rivista New Political Economy, Jason Hickel e Giorgos Kallis, hanno ragionato su questa affermazione e hanno scoperto che è vero che nel 20° secolo si è verificato un disaccoppiamento relativo (il consumo di risorse materiali è cresciuto, ma non tanto rapidamente come la crescita economica), nel 21° secolo c’è stato un riavvicinamento: comunque ad oggi il crescente consumo di risorse ha raggiunto o superato il tasso della crescita economica. Il disaccoppiamento assoluto, necessario per evitare la catastrofe ambientale (una riduzione dell’uso di risorse materiali) non è mai stato raggiunto e sembra che questo sia impossibile se la crescita economica continua. La crescita verde è un’illusione.

Un sistema basato sulla crescita perpetua non può funzionare se non esistono zone di periferia e zone di  esteriorizzazione. Ci deve sempre essere una zona di estrazione – una zona da cui si ricavano i materiali senza pagarli per quello che veramente valgono – e una zona di smaltimento, dove i costi della produzione vengono scaricati sotto forma di rifiuti e di inquinamento, così la scala dell’attività economica è destinata a salire fino a quando il capitalismo non avrà inquinato qualsiasi cosa, dall’atmosfera agli abissi degli oceani e l’intero pianeta sarà diventato una zona di sofferenza: tutti noi ormai già  abitiamo alla periferia di quella macchina che produce profitto.

Questo ci spinge verso un cataclisma di dimensioni tali che quasi nessuno può riuscire ad immaginare. Lo sfacelo – minacciato –  dei sistemi che oggi permettono l’esistenza della vita è molto peggio di una guerra, di una carestia, della pestilenza o di una crisi economica, anche se non è da escludere che potrebbe essere un insieme di tutto ciò. Le società possono risollevarsi da questi eventi apocalittici, ma non dalla perdita del suolo, di una ricca biosfera e di un clima abitabile.

Il secondo elemento determinante è il concetto bizzarro per cui una persona può aver diritto a tanta parte di ricchezza naturale del mondo per  quanto sia il denaro con cui può comprarne. Questo sequestro dei beni comuni provoca altre tre distorsioni:

 

UNO: la lotta per il controllo esclusivo di attività non riproducibili, che implica violenza o prevaricazioni legislative sui diritti di altre persone.

DUE: l’immiserimento di altre persone per effetto di una economia basata sul saccheggio nello spazio e nel tempo. 

TRE: la traduzione del potere economico in potere politico, in quanto il controllo sulle risorse essenziali porta al controllo delle relazioni sociali che le circondano.

 

Sul New York Times di domenica scorsa, l’economista Premio Nobel,  Joseph Stiglitz ha cercato di distinguere tra buon capitalismo, che lui ha definito “creare ricchezza”, e cattivo capitalismo, che ha definito “prendersi la ricchezza” (tirarci  fuori i soldi). Capisco questa sua distinzione. Ma dal punto di vista ambientale, creare ricchezza significa prendersi la ricchezza. La crescita economica, intrinsecamente legata ad un sempre maggior uso di risorse materiali, significa estrarre la ricchezza naturale sia dai sistemi viventi oggi, che dalle generazioni future.

Puntare il dito su questi problemi oggi è un invito che può dar luogo a una raffica di accuse, molte delle quali basate su questa premessa: il capitalismo ha tirato fuori centinaia di milioni di persone dalla povertà – e adesso volete rigettarle tutte nella loro antica miseria. È vero che il capitalismo, e la crescita economica che ha comportato, ha radicalmente migliorato la qualità di vita di tantissime persone, distruggendo però contemporaneamente la prosperità di molte altre persone: quelle la cui terra, il cui lavoro e le cui risorse sono state sequestrate per alimentare la crescita in altri posti. Gran parte della ricchezza delle nazioni ricche deriva ed è basata sulla schiavitù e sull’esproprio coloniale.

Come successe con il carbone, anche il capitalismo ha portato molti benefici. Ma

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https://comedonchisciotte.org/dobbiamo-avere-il-coraggio-di-dire-che-il-capitalismo-e-morto-prima-che-ci-porti-tutti-allinferno/

 

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Corrado Passera: “Le banche tradizionali? Spariranno”

L’ex top manager di Mondadori, Olivetti, Poste Italiane e Banca Intesa San Paolo è stato ospite dell’evento “Redazione finanza” di Moneyfarm a Milano. Oggi è il CEO di Illimity, banca innovativa dedicata alle piccole e medie imprese in difficoltà ma con grande potenziale

17 maggio 2019

Redazione Finanza è il ciclo di dibattiti che Moneyfarm organizza ogni mese per la città di Milano, cercando di capire come le dinamiche economiche e finanziarie impattino sui risparmi delle famiglie

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Unicredit e Commerzbank, tante domande e poche risposte. Parla De Mattia

Gianluca Zapponini – 16 maggio 2019

Intervista all’ex dirigente Bankitalia. L’operazione potrebbe dar vita a un rapporto paritario, oppure sbilanciare Unicredit ancora di più verso l’estero, allontanandola dal nostro scacchiere. Prima però serve chiarezza da parte della stessa banca italiana. Occhio ai (potentissimi) sindacati tedeschi

L’operazione di per se è gigantesca e riguarda rispettivamente prima banca italiana e seconda tedesca. Unicredit e Commerzbank potrebbero sì convolare a nozze dopo lo sfumato matrimonio di quest’ultima con Deutsche Bank, ma potrebbero anche non farlo. C’è più di un motivo per pensarlo, a cominciare dalla potenza di fuoco dei sindacati tedeschi che nel sistema bancario teutonico siedono direttamente nel consiglio di sorveglianza dei principali istituti e che già hanno espresso una contrarietà di massima alla fusione di una banca tedesca con una italiana.

Ma se invece per un attimo ci convincessimo che l’operazione è in piedi (il ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier ha smentito di aver mandato a Jp Morgan e Lazard per studiare l’aggregazione, ma solo perché la Consob ha chiesto una posizione ufficiale per spegnere i rumors e comunque la smentita ma questo non vuol dire che Unicredit non sia egualmente interessata), allora l’impatto sul sistema bancario sarebbe enorme. Ne è convinto per esempio Angelo De Mattia, per decenni alto dirigenti di Bankitalia e oggi editorialista (qui una sua recente intervista a Formiche.net).

De Mattia, ammettiamo per un attimo che Unicredit e Commerzbank facciano sul serio. Quali le conseguenze?

Faccio una piccola premessa: è davvero molto ma molto prematuro farsi un’idea dell’impatto che una simile concentrazione potrebbe avere. L’operazione è stata ventilata, poi smentita, poi ancora di nuovo paventata. Mancano delle basi ufficiali, ma questo non ci impedisce di fare delle ipotesi. Una di queste potrebbe essere un rapporto paritario tra le due banche nel nuovo soggetto. Cioè l’assenza di un soggetto aggregatore e di uno aggregato. Un altro potrebbe invece essere un possibile allontanamento di Unicredit dallo scenario bancario italiano. L’istituto, che è sì italiano ma comunque pur sempre internazionale, potrebbe per così dire diventare un po’ più avulso dal nostro scacchiere, allontanandosene. Ma non bisogna mai dimenticare che vale un vecchio detto di Carlo Azeglio Ciampi

Sarebbe?

Che se vuoi essere forte all’estero allora devi essere ben radicato in patria. Prendiamo per un attimo Bnp-Paribas, la prima banca europea. Si tratta di un istituto molto forte in Francia ma non per questo non lo è altrove. E questo

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GIUSTIZIA E NORME

TANGENTI E PM/ Formica: ecco chi manovra M5s

17.05.2019 – intervista a Rino Formica

Per il politico socialista M5s e magistratura si ritrovano alleati nell’instaurazione di un nuovo sistema teocratico, quello dell’Onestà

Virgolettati di giornata. Di Maio: “tangenti ovunque”. Ancora Di Maio: “la scelta è tra M5s e nuova Tangentopoli”. Cantone, presidente dell’Anac: “Una parte del paese vuole lavorare e vivere con le tangenti”. A meno di dieci giorni dal voto europeo, fioccano arresti e avvisi di garanzia ad esponenti di Forza Italia e Lega: ieri sono stati arrestati il sindaco leghista di Legnano, il suo vice di FI e un assessore. Rino Formica, 92 anni, ex politico socialista, è una memoria vivente della prima repubblica. Per Formica M5s e magistratura si ritrovano alleati nell’instaurazione di un sistema teocratico, quello dell’Onestà. Gli altri partiti possono evitarlo, ma devono rimescolare le carte.

Rino Formica, che cosa sta succedendo?

Il sistema politico e istituzionale del paese si sta disgregando. Si badi: è un processo di lungo periodo, che occupa gli ultimi 25 anni. Accade quando le istituzioni non svolgono più il loro ruolo, quello di essere contenitori democratici della dialettica degli interessi, generali e particolari.

Sembra di assistere a una seconda Tangentopoli. I pm fanno politica?

Non direi così. M5s nasce come espressione organizzata del dissenso diffuso e contraddittorio che c’è nella società. Qui emerge però il suo peccato d’origine. Le mille poteste muovono la piazza, ma non creano di per sé una struttura istituzionalmente capace di portare un equilibrio, un ordine, una visione realizzabile.

E la magistratura?

M5s e magistratura sono simili nella limitazione del fine politico. La magistratura non può non svolgere il suo ruolo, che è quello di colpire quelle che dal punto di vista penale sono responsabilità personali. Non ha come obiettivo quello di risolvere crisi di sistema. E infatti ad ogni sospetto o accusa di agire con finalità politiche ogni magistrato risponderà, senza paura di essere smentito, di avere fatto solamente il suo lavoro. Chi esiste per mantenere o correggere il sistema sono i partiti politici. Ma M5s è sprovvisto di fine politico, perché il fine politico è la gestione dell’interesse generale nella ricomposizione dei conflitti di parte.

Un paradosso. Un partito come M5s, con 221 deputati e 122 senatori, non ha un fine politico.

Non ce l’ha. E quando dichiara di non essere né di destra né di sinistra dice, senza saperlo, di non essere una forza politica. Essere di destra o di sinistra significa avere la capacità di decidere scegliendo. Anzi, di esistere solamente in virtù di tale scelta. Se dico “non sono né di destra né di sinistra” dico implicitamente “io non scelgo”, ovvero “non sono un politico”.

Nella sua autobiografia politica, ripercorrendo gli eventi di Tangentopoli, si dice che “convergevano, in un buco nero di collasso generale, la passività delle forze politiche e in senso opposto l’iperattivismo di forze esterne”. Esiste la possibilità che M5s, come organizzazione a-politica, non decidente sulle questioni sostanziali, faccia gli interessi di qualcun altro?

Certo. Lo fa indirettamente: creando il vuoto, consente a forze esterne di inserirsi. Nel caso italiano, sono forze che disgregano la funzione dell’Italia all’interno di un sistema attualmente in fase di scomposizione e alla ricerca di una ricomposizione, il sistema-Europa. Meglio: sono interessate ad utilizzare il caos italiano per creare una condizione di caos europeo.

Sta parlando dell’America di Trump?

Non solo. Le forze interessate alla disgregazione europea sono in tutto il mondo. Quando è finita la gestione bipolare del mondo Usa-Urss, a farla da padrone è stato l’unilateralismo americano. Ma la globalizzazione ha imposto nuovi centri di aggregazione degli interessi geopolitici di vaste dimensioni.

Secondo lei qual è la chiave di lettura di queste elezioni europee?

Non siamo chiamati a scegliere per l’Europa o contro l’Europa, ma tra l’Europa come appendice euro-asiatica, e quindi appendice disgregata, e l’Europa come soggetto che ritrova una sua funzione euro-atlantica. Per fare questo, l’Unione Europea deve trovare una sua autonomia, passare da una posizione euroatlantica gerarchizzata a una posizione di parità nell’alleanza euroatlantica.

E in che modo?

La grande domanda è come vivere l’euroatlantismo di domani. Nel dopo-Yalta l’Europa ha goduto di una situazione di privilegio: ha avuto meno peso politico, ma le è stato risparmiato il conto salato di una politica estera e di difesa dell’alleanza euroatlantica. Per

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PANORAMA INTERNAZIONALE

Cosa si nasconde dietro alle richieste greche di risarcimenti per la Seconda Guerra Mondiale?

16 Maggio 2019 DI ALEXIS PAPAZOGLOU

 

Le discussioni sui nazisti potrebbero distrarre da una questione ben più importante: le attuali tensioni all’interno della UE.

In Aprile il parlamento greco ha votato per tentare di rivendicare pesanti risarcimenti dalla Germania a seguito dei danni subiti durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Non è la prima volta che la Grecia vaglia l’idea, diventata improvvisamente popolare durante la crisi finanziaria. E’ dal 2012 che i capi di governo greci assegnano a gruppi di lavoro e comitati il compito di sondare la possibilità di aprire una causa legale contro la Germania per chiedere risarcimenti e calcolarne il valore (attualmente vengono stimati attorno ai 300 miliardi di euro).

C’è la tentazione, dato che sono in arrivo le elezioni europee, locali e nazionali, di etichettare questa operazione capeggiata dall’attuale primo ministro Alexis Tsipras come una manovra meramente opportunistica. In tal caso si perderebbe però il punto più importante, una questione enormemente più importante della storia del primo Novecento e che, se rimane irrisolta, potrebbe minacciare la stabilità dell’intera Unione Europea. Le lamentele della Grecia per come fu trattata durante la crisi finanziaria non sono svanite, la Germania è ricordata come la forza che ha imposto dolorosissime misure di austerità alla Grecia in cambio dei programmi di salvataggio. Le austerità imposte hanno riacceso sopiti sentimenti antitedeschi in Grecia, che soffrì grandemente nelle mani dei nazisti durante la SGM. Le proteste ad Atene nel 2011 e 2012 non di rado facevano riferimento al passato nazista, comparando la Merkel a Hitler. Il dibattito sui risarcimenti che sta riaffiorando in questi ultimi anni mira tanto a colpire il nervo scoperto delle politiche tedesche quanto a offrire speranza ad una nazione che ha bisogno di un miracolo economico per risollevarsi: l’improvvisa riscoperta che l’intransigente creditore in realtà deve ripagare molti miliardi porterebbe alla soluzione perfetta.

Purtroppo scavare in profondità nel passato macchiato di sangue dell’Europa non permette di trovare soluzioni ai problemi di oggi. Inoltre evita di porre domande imbarazzanti: qual è il più recente retaggio tedesco che si pone come maggiore forza trainante all’interno della UE?

Durante le elezioni del 2014 Alexis Tsipras ed il suo partito di sinistra Syriza fecero delle riparazioni di guerra la questione centrale della propria campagna elettorale. Tsipras, una volta diventato primo ministro, quando incontrò la Merkel nel 2015 affrontò la questione: “Non è un problema di soldi, è una questione morale” disse. Pochi giorni prima aveva tenuto un discorso presso il parlamento greco riportando luoghi in cui le forze di occupazione tedesche durante la SGM uccisero e torturarono i greci. Rifiutò la tesi secondo cui tutte i risarcimenti fossero stati pagati negli accordi bilaterali del 1960 tra l’allora Germania Occidentale (RFT) e la Grecia, affermando che i 115 milioni di marchi tedeschi furono pagati esclusivamente alle vittime della guerra e non per sistemare i danni causati alle infrastrutture del paese. La posizione della Germania è che la questione è stata sistemata sia politicamente che legalmente.

Oggi come allora Tsipras sta cercando di tenere separati le dure condizioni del salvataggio imposte dalla Germania dalla discussione sui risarcimenti. Le riparazioni di guerra appartengono al passato, afferma, non al presente. Il comitato parlamentare a cui venne dato mandato nel 2014 di calcolare il valore totale dei risarcimenti che spettano alla Grecia è arrivato alle conclusioni finali nel 2016, ma il governo ha riaperto l’argomento solo il mese scorso. Tsipras ha messo in chiaro che vuole aspettare fino a quando la Grecia non farà più parte del programma di salvataggio, come prova che le nuove richieste di riparazione non sono motivate dal cercare di appianare i debiti del salvataggio.

Il pericolo è che l’attuale discussione sui risarcimenti siano una distrazione dall’attuale tensione che deve ancora essere risolta. Le affermazioni di Tsipras riguardo l’attuale situazione greca non sono interamente veritiere: la Grecia è ancora troppo distante da ripagare i pesanti prestiti ricevuti durante gli ultimi nove anni, e l’andamento dell’economia greca continua ad essere monitorata dai creditori. La Grecia resta un paese a pezzi che sta pagando sulla propria pelle i costi di una lentissima ripresa con la disoccupazione alle stelle e senza alcuna indicazione su come tornare al benessere di cui godeva agli inizi del nuovo millennio. E la sua attuale condizione ha molto più a che fare con l’influenza dell’odierna Germania all’interno della UE che l’occupazione dell’Asse in Grecia durante gli anni ‘40.

La Germania, in qualità di principale potenza finanziaria della UE, fu a tutti gli effetti dietro ai programmi di salvataggio imposti alla Grecia tra il 2010 ed il 2015. I programmi prevedevano tagli di bilancio, irreali riforme a passi

 

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POLITICA

Spannaus: poteri opachi dietro la rissa tra Salvini e Di Maio

Scritto il 16/5/19

Poteri opachi potrebbero strumentalizzare la guerra interna ai gialloverdi. Lo sostiene Andrew Spannaus, giornalista americano, fondatore di “transatlantico.info” e consigliere delegato dell’Associazione stampa estera di Milano, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Lo scontro intestino, in effetti, continua senza tregua: «Di Maio vuole stanziare per la famiglia i soldi avanzati dal reddito di cittadinanza, introdurre il salario minimo a 9 euro e nuovi criteri, solo tecnici, per le nomine in sanità». Ma il capo politico dei 5 Stelle, aggiunge Ferraù, ha pure stigmatizzato «le camionette delle forze dell’ordine» alla Sapienza, dove parlava Mimmo Lucano, e «una tensione sociale palpabile come non si avvertiva da anni». Pronta la risposta: «Di Maio e Zingaretti parlano di razzismo che non c’è», ha replicato Salvini: «Gli italiani non sono violenti, né egoisti, né razzisti. Pd e 5 Stelle si sono forse coalizzati anche contro autonomie, Flat Tax e per aprire i porti ai clandestini?». Il capo della Lega rilancia quindi su autonomia, tasse e decreto sicurezza bis. Ce n’è quanto basta – osserva Ferraù – per rendere esplosivo il prossimo Consiglio dei ministri, l’ultimo prima del voto europeo. «In campagna elettorale bisogna distinguersi», premette Spannaus. Prima, però – aggiunge – i distinguo e le repliche erano reciproci ma senza andare allo scontro. «Adesso invece la situazione sembra quasi fuori controllo».

Il governo terrà? «Mi auguro che le due forze siano in grado di gestire la competizione elettorale senza andare alla rottura», dice Spannaus: «Ne va della loro fortuna». Prima delle inchieste – prosegue Ferraù – Salvini diceva di voler governare altri quattro anni. I 5 Stelle  anche, perché erano in difficoltà e non volevano andare al voto. Ma adesso? «Salvini intende raddoppiare il consenso delle politiche e io credo che ci andrà vicino», sostiene Spannaus. «Se non arriverà al 30% la sua sarà vista come una sconfitta, in modo un po’ ingannevole perché la Lega sarà comunque il primo partito italiano. Se invece dovesse superare il 33-34%, sarà tentato di passare all’incasso». Lo farà? «Lui stesso dovrebbe valutare attentamente le prospettive». Insomma, far saltare il governo non conviene? «Il voto europeo non cambierà la composizione del Parlamento», sottolinea il giornalista americano. Un’ovvietà, certo. «Ma è il primo dato con cui fare i conti». Eventuali elezioni anticipate, «oltre ad arrivare in vista della legge di bilancio, sarebbero un’incognita». Perché, ragiona Spannaus, «o si ha la certezza di superare il 40%, oppure con l’attuale sistema elettorale occorre allearsi».

Per Salvini, «ribaltare la maggioranza parlamentare a suo favore sarebbe molto difficile» e probabilmente neppure auspicabile, «soprattutto nel momento in cui, alla luce del risultato europeo, dovesse risultare più forte». Riflette Ferraù: e se il Movimento 5 Stelle si rivelasse in Italia ciò che è stato Syriza in Grecia, il partito che ha raccolto il voto anti-establishment ma poi ha governato attuando l’austerity europea? «Non mi spingerei così avanti», frena Spannaus. «Nei fatti, soprattutto a breve termine, il M5S potrebbe anche avere questo ruolo, ma che possa fare intenzionalmente una virata pro-establishment mi pare improbabile e controproducente», sostiene il giornalista. «Questo governo – aggiunge – è totalmente diverso dagli altri governi in Europa. E mi auguro che Di Maio e Salvini se ne siano accorti. Pur litigando, mantiene un consenso del 55%, forse superiore». Velo pietoso sulle opposizioni: «Le critiche che provengono dagli altri partiti

 

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DIETRO LE QUINTE/ Sapelli: Conte e gli omini-lego comandati da fuori

12.05.2019 – Giulio Sapelli

Intervistato da El Pais, Giuseppe Conte chiarisce che è lui a guidare il Governo. Ma chi comanda davvero politicamente in Italia?

“Perché a volte abbiamo la sensazione che chi comanda nel Governo è Salvini?” “Se all’esterno o a voi stranieri richiama di più l’attenzione il ruolo o l’immagine di Salvini, che ha una grande capacità comunicativa, e credete che nel Governo comandi lui, è una vostra illusione ottica. Alla guida del Governo ci sono io e Salvini, come di Maio, sono vicepresidenti e leader delle due forze politiche”. Giuseppe Conte ha risposto così alla domanda di El País.

Chi comanda politicamente in Italia? Sì, politicamente e basta. Perché la grande innovazione dei sistemi poliarchici con alto gradiente di classi politiche eterodirette, com’è nel caso italico, è quella di autonomizzare sempre più fortemente le classi politiche medesime dalla società civile hegelianamente intesa. Per Hegel – e per Ferguson – la società civile costituisce lo spazio sociale di formazione della proprietà di qualsivoglia forma e dei mercati. Le classi politiche tradizionalmente intese mantenevano e mantengono con la società civile un rapporto costante, che è l’essenza del sistema poliarchico costruito dalle volizioni elettorali che si compongono in un parallelogramma di forze con la logica delle lobby e dei soft power che promanano dalla società civile.

La politica economica ordoliberista (Fiscal compact, deflazione, pilota automatico, debito come peccato irredimibile, distruzione dello Stato sociale) disgrega la società civile ed esalta il ruolo dell’eterodirezione delle classi politiche in qualche modo sempre presente in qualsivoglia sistema politico. La specificità italiana risiede nella frantumazione e debolezza della società civile, colpita dalla bassa dimensione dell’impresa in forma dominante e quindi con scarsissima capacità lobbistica, che tracima nell’aumento di potere delle classi politiche. Ma esse, le classi politiche, non hanno più potere proprio.

Donde lo traggono, allora, se vogliono preformare in modo compulsivo, tramite la macchina parlamentare, la società secondo i loro fini? Non lo traggono solo dall’eterodirezione internazionale, com’è tipico del movimento pentastellato, ma altresì dalle vertebre statali rimaste attive. Nel caso italico, se si escludono le forze armate e i servizi segreti (tra i migliori al mondo e per questo estranei al gioco politico), l’unico potere vertebrato è quella giurisprudenziale, sempre più manifesta e attiva, soprattutto in prossimità delle prove elettorali.

Pizzorno fu buon profeta, preconizzando lo strapotere compulsivo della magistratura come elemento attivo del parallelogramma delle forze poliarchiche. Accanto a esso vige il soft power internazionale. Nel Governo italiano vi è a riguardo uno

 

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