NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 11 MARZO 2019

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NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

11 MARZO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Nessun politico è privo di datori di lavoro

che abitano stabilmente nelle tenebre.

GUIDO CERONETTI, L’occhio del barbagianni, Adelphi, 2014, pag. 42

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

 

Il medico robot ad un paziente: “Stai per morire” 1

Il robot al paziente in terapia intensiva: “Stai per morire, non tornerai più a casa” 1

Viene informato che sta morendo da un robot. California, bufera in ospedale 1

La nausea per un mondo “corretto” 1

Trump, Horowitz e il fallimento della ricolonizzazione del mondo 1

Affamare il Venezuela fino alla sottomissione 1

Germania: Gli accoltellamenti e i crimini con arma bianca hanno raggiunto livelli record 1

Il mercato delle prigioni private negli Stati Uniti 1

Otto cose sulle carceri italiane 1

POLIZIOTTO: “MEDIA NASCONDONO I CRIMINI DEI PROFUGHI” 1

Il “nulla” nel nome della rosa

Poliziotto: i media nascondono i crimini dei profughi

Il Ministero della Verità ha deciso: Pamela conta meno degli spari di Traini

Obiettivo Venezuela

Così la cultura italiana è diventata comunista 1

Sull’umanità particolare che si sviluppa nei tempi bui 1

È morto a 98 anni il critico letterario Jean Starobinski 1

Controllo sociale e tecnica di “False flag”

Venezuela: la CIA potrebbe eliminare Guaido? 1

“Così i servizi segreti condizionano il potere” 1

La rivolta degli arditi 1

SUB-PRIME DI NUOVO. STESSE CAUSE, STESSI EFFETTI 1

Regolamento Ue Privacy: testo, articolo 13 e cosa cambia 1

Povera Italia: giù i salari, ai dipendenti 1000 euro in meno. 1

Nessuno è sicuro di cosa voglia dire “Europa” 1

Dai padroni oscuri nel 2019 avremo altre finte rivoluzioni 1

MACRON HA PRESO UNO SPUTO IN FACCIA. DA BERLINO. 1

La Svezia che persegue le pensionate e accoglie l’Isis 1

I democratici Usa in guerra: ecco chi sfiderà Trump 1

 

 

EDITORIALE

Matrix e false flag: i robot, i vaccini e i manifestanti di piazza

Manlio Lo Presti – 11 marzo 2019

La deformazione della realtà avanza a colpi di “false flag”, cioè di modificazioni della percezione della realtà circostante in modo che la popolazione sia contenta di essere:

  • sfruttata,
  • precarizzata,
  • ridotta a miseria progressiva,
  • raggirata da ininterrotti flussi informativi totalmente falsificati,
  • sottoposta a periodici trattamenti malthusiani di eliminazione di ingenti masse con le guerre di genocidio o, sempre di più, con la cultura di morte del suicidio assistito,
  • eliminata con crescente denatalità promossa dalla cultura del “qui e ora”, senza prospettive di futuro in un mondo piatto di eterno presente fatto di consumi e di mancanza di tempo privato,
  • scolarizzata da un sistema che non deve più insegnare a sapere e a pensare, ma piuttosto deve sfornare (pochi) androidi pronti al lavoro meccatronico (la cosiddetta “buonascuola”). Al resto ci pensano i robot,
  • sostituita da ondate caotiche di immigrazione selvaggia di neoschiavi disposti a lavorare per 3-400 euro al mese, con la copertura di slogan “restiamo umani”, “accoglienza senza se e senza ma”, “multiculturalismo”, “famiglia arcobaleno”, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. …

TUTTO CIO PREMESSO

È inevitabile che i robot saranno utilizzati in aree del lavoro dove gli umani verranno espulsi in numero crescente.

I “superflui” saranno raccolti in prigioni e manicomi privati che incasseranno titanici sussidi dalle pubbliche amministrazioni per gestire e soprattutto:

  1. mediante pratiche mediche sedative, neutralizzare l’aggressività degli esclusi,
  2. mediante eliminazione con uso di massa della pillola del tipo “KILL PILL”, che sarà venduta anche in appositi stand dentro i supermercati,
  3. mediante pratiche abortive di massa,
  4. mediante sterilizzazione totalitaria sostituita da immigrazioni di materiale umano già pronto all’uso schiavistico tecnetronico,
  5. mediante la promozione di politiche antifamiliari e infanticide in favore di pratiche LGBT.

Tutto questo panorama distopico che a noi può sembrare assurdo ed esagerato, apparirà del tutto plausibile a seguito di trattamenti planetari “educativi” che faranno sembrare tutto questo del tutto plausibile ed addirittura ovvio.

Quasi quasi, ci fanno sorridere i tentativi puerili odierni di deformare la realtà utilizzata dai partiti di opposizione quando affermano di aver avuto 250.000 manifestanti a piazza Duomo a Milano. Un luogo pertanto che è vasto 17.000 metri quadrati, dove possono stare – e anche stretti – un massimo di quattro individui a metro quadro, per un totale quindi di 67.000 manifestanti; oppure la adulterazione delle fotografie allegate alle notizie dove si scorgono ripetizioni di gruppi per rendere più imponente le masse.

P.Q.M.

I prossimi spacciatori della “realtà aumentata” e della “intelligenza artificiale” avranno una bottega ricca di strumenti che oggi non riusciamo neanche ad immaginare.

http://www.datamanager.it/news/google-avverte-il-grande-fratello-gi-realt-42054.html

 

Nel frattempo, tutti usciremo dalle nostre abitazioni domotiche e sostenibili correndo felici – dentro auto hybrid – ad estinguerci dietro le disarmonie seduttive e spaesanti di un pifferaio di Hamelin Vers. 64.15.9.3.0

FELICEMENTE ANDROIDI!

 

 

 

IN EVIDENZA

Il medico robot ad un paziente: “Stai per morire”

9 Marzo 2019

Di Francesca Pagano

 

La famiglia di Ernest Quintana sapeva che le condizioni di salute dell’uomo erano abbastanza disperate ma sono rimasti sorpresi quando la notizia l’ha data un robot. L’episodio è successo in un ospedale di Fremont, in California. La famiglia lo aveva portato domenica al pronto soccorso per l’acutizzarsi di una malattia polmonare cronica.

 

Dopo due giorni di ricovero un robot è entrato nella sua stanza in terapia intensiva ed un medico, collegato via Skype, ha detto al paziente di 78 anni che probabilmente sarebbe morto nel giro di pochi giorni. I familiari hanno denunciato immediatamente l’accaduto.

 

“Se venite a dirci notizie normali, va bene, ma se vieni a dirci che non c’è più polmone e vogliamo metterti su una flebo di morfina finché non muori, dovrebbe essere fatto da un essere umano e non una macchina “, ha detto la figlia del paziente Catherine Quintana. Dello stesso parere la nipote. “Sono distrutta – ha detto la giovane -.

 

Sapevo che stavamo perdendo mio nonno. Ma non mi sarei mai aspettata di non

 

Continua qui: https://www.juorno.it/il-medico-robot-ad-un-paziente-stai-per-morire/

 

 

 

 

 

 

 

 

Il robot al paziente in terapia intensiva: “Stai per morire, non tornerai più a casa”

Il 79enne Ernest Quintana ha appreso così la sua triste sorte. La nipote Annalisia, che era con lui: “Mi sarei aspettata il conforto di un medico, un essere umano”

Gabriella D’Angelo – 9 marzo 2019

 

Ernest Quintana sapeva di essere ormai al tramonto della vita. Ma mai si sarebbe aspettato che a dargli la triste notizia sarebbe stato un robot. E invece, è andata proprio così. Dopo essersi recato con la famiglia in un ospedale di Fremont, in California, il 79enne ha visto entrare nella sua camera di terapia intensiva una grossa macchina con sopra uno schermo in cui è comparso il viso del medico.

Il dottore, collegato via skype, ha informato lui e i familiari che “stava morendo” e che “non sarebbe mai tornato a casa”. L’uomo si è spento mercoledì per una gravissima crisi respiratoria. La nipote Annalisia ha poi raccontato a Ktvu news l’episodio: “Un’infermiera è venuta a dirmi che il medico stava arrivando. Ho pensato: bene, bisogna che registri le sue parole per poter meglio riferire alla mamma”.

E così ha registrato tutto con il suo cellulare. Dal video-robot sono però venute le parole che hanno gelato il sangue nelle vene della ragazza: “Lo sapevamo che il nonno stava male. Ma ci aspettavamo che venisse una persona in carne ed ossa a parlargli.

Continua qui:

https://www.huffingtonpost.it/2019/03/09/il-robot-al-paziente-in-terapia-intensiva-stai-per-morire-non-so-tornerai-a-casa_a_23688370/

 

 

 

Viene informato che sta morendo da un robot. California, bufera in ospedale

10 MARZO 2019

Ha scatenato una bufera in un ospedale della California la scelta di un medico di comunicare a un proprio paziente che aveva pochi giorni di vita attraverso un robot. Il 78enne Ernest Quintana si è visto entrare in stanza il robot con cui il suo dottore lo visitava e lo teneva aggiornato regolarmente a distanza, ma stavolta dallo schermo gli è stato comunicato che alla luce delle ultime tac non era più curabile. L’uomo è deceduto il giorno dopo, martedì scorso, al Kaiser Medical Center di San Francisco.

I familiari si sono indignati per la totale mancanza di tatto, aggravata dal fatto che le parole del medico erano udibili a fatica dal paziente al punto che la nipote 33enne, presente nella stanza, ha dovuto ripetergli il messaggio. “Se devi fare una comunicazione di routine il robot è ok”, ha commentato la figlia, Catherine Quintana, “ma se vieni a dirci che il polmone non c’è più e che verrai messo sotto morfina

Continua qui: https://www.agi.it/estero/morto_ospedale_robot_california-5120680/news/2019-03-10/

 

 

 

 

 

La nausea per un mondo “corretto”

MV, La Verità 28 febbraio 2019

Ma quando finirà la dittatura del politicamente corretto? Passano gli anni, cambiano i governi, insorgono i popoli. Ma da Hollywood a Sanremo, dalla tv ai premi letterari, dai fatti di cronaca alla storia adattata al presente, la dominazione prosegue incurante della vita, della verità e della realtà. Il copione si ripete, all’infinito.

Serpeggia da tempo la nausea verso quella cappa asfissiante, a volte la parodia prende il posto del canone. Lo deplorano in tanti, il politically correct, persino i suoi agenti, quelli che somministrano ogni giorno i suoi sacramenti; e questo è il segno che invecchia, scricchiola, si fossilizza. Ma alla fine, la dominazione resta e il vero mistero a questo punto è l’assenza di alternative: la rabbia c’è ma non ci sono mai opzioni diverse. Eppure, basta cercarle. Nel cinema ad esempio quest’anno sono usciti almeno tre film meritevoli di Oscar: dall’est è arrivato Cold war, ma toccava seppur di striscio il tema del comunismo.

Dagli States è arrivato il solito gran film di Clint Eastwood, Il corriere (in passato Clint era persino premiato, ma ora gli Oscar sono pura catechesi nero-omo-razza). E in Italia è venuto fuori un gran film di cui abbiamo già scritto, Il primo Re, sulla fondazione di Roma.

Ma gli oscar vanno solo al nero, razzismo-nazismo-negritudine, più omosex e me-too.

E ricadiamo nel politically correct.

Ma cos’è poi il Politically correct, proviamo a darne una definizione e un contenuto preciso. Per cominciare, il politically correct è la pretesa di dire agli altri come devono essere, cosa devono dire, come devono comportarsi. Presuppone dunque un punto di superiorità di chi giudica.

Il politically correct è poi una lente ideologica che altera la vista di uomini, idee e cose secondo un pregiudizio indiscusso e indiscutibile, assunto a priori come porta della verità, del bene e del progresso. Nasce dalla convinzione che tutto ciò che proviene dal passato sia falso e superato. La realtà, la natura, la famiglia, la storia, la civiltà come l’avete finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate, vanno ridefinite e corrette. Così nasce il politically correct, questo busto ortopedico applicato alla mente e alla vita. Il politicamente corretto è il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo clericale in assenza di religione. Il politically correct è il rococò della rivoluzione, come la posa residua del caffè. Non riuscendo a cambiare il mondo, si cambiano le parole. Il linguaggio politicamente corretto è lessico bollito e condito con la mostarda umanitaria. Inoltre è oicofobia, dice Roger Scruton, è rifiuto della casa, primato dell’estraneo e dello straniero sul nostrano e sul connazionale. E, infine, è riduzionismo: la varietà del mondo e dei suoi problemi è ridotta all’ossessione su due-tre temi.

Dove nasce il politically correct? La prima risposta è in America, laboratorio globale del futuro e capitale mondiale dell’Impero dei segni. È famoso il saggio di Robert Hughes (un australiano, peraltro), La cultura del piagnisteo (Adelphi), sul bigottismo progressista. Prima di lui Tom Wolfe denunciò già nel 1970 l’artefice del politically correct, il radical chic. Un testo importante sul vizio progressista è “La chiusura della mente americana” di Allan Bloom. E potremmo citarne altri. Ma non si esaurisce negli States la matrice del politically correct. Qualcosa del genere ha serpeggiato nel nord Europa, nelle socialdemocrazie scandinave, elette per decenni a modello progressista di emancipazione. La Svezia è la sua vera patria, sostiene Jonathan Friedman in Politicamente corretto (ed.Meltemi).

L’autore è stato toccato da vicino, perché sua moglie, ricercatrice, fu accusata di razzismo solo perché ha documentato, dati alla mano e analisi rigorose, che in Svezia è stato un fallimento il multiculturalismo e la politica di accoglienza dell’immigrazione.

Ma il P.C. non nasce in un luogo bensì in un’epoca: nasce sulle ceneri del ’68, diventa il catechismo adulto di quelli che da ragazzi furono iconoclasti. Dopo aver processato l’ipocrisia del linguaggio cristiano-borghese e autoritario-patriottardo, gli ex-sessantottini adottarono quel nuovo lessico ipocrita e quel galateo manierista. Dal perbenismo al perbuonismo.

Il politically correct nasce quando finisce l’effetto del marxismo, tramonta

Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/03/presunta-superiorita-morale-la-mafia-del-politically-correct/

 

 

 

 

Trump, Horowitz e il fallimento della ricolonizzazione del mondo

Stefano Zecchinelli • 18 febbraio 2019

Lo scontro fra Donald Trump ed il complesso militar-industriale USA è il conflitto fra i sostenitori di una concezione tradizionale del colonialismo – con tanto di sfruttamento delle risorse naturali e della forza lavoro – e i neoconservatori. Il piano di questi ultimi (neocons), sistematizzato da David Horowitz (nella foto sotto), teorico della guerra permanente, prevede la distruzione del mondo non globalizzato favorendo la nascita di una moltitudine di Stati etnicineo-totalitari post-democratici. Una prospettiva geopolitica che va ben oltre il colonialismo inglese, il fascismo europeo ed il sionismo israeliano, soltanto uno studio dettagliato dei dispacci d’intelligence permette ai governi democratici di fronteggiare alcune manovre.

Il colonialismo dei tempi andati e la Ri-Colonizzazione del mondo è ciò che Marx definì ‘’la vecchia merda del regime precedente’’, seppur il piano di Trump – nei confronti di Russia, Siria, Iran e Venezuela – sembrerebbe meno irrazionale. La CIAha mondializzato la guerra di classe nei secoli scorsi, se ne sono accorti tutti tranne la socialdemocrazia europea apertamente schierata contro i principi dell’indipendenza degli stati nazionali, della sovranità economica e dell’internazionalismo antimperialista. La guerra contro il nazionalismo progressista ed antiimperialista venezuelano smaschera l’evidenza: globalismi e populismi reazionari si uniscono quando si tratta di aggredire un paese ostile al neoliberismo. In questo non ci sono particolari differenze fra Marine Le Pen, Salvini, Orban e il ‘’socialista’’ fallito Pedro Sanchez.

Qual è la strategia statunitense? Alcuni analisti di politica internazionale (silenziati dal Giornalismo di regime) hanno pubblicato nuovi documenti di prima mano.

Il canale Wikileaks prosegue l’attività d’informazione nonostante l’ingiusta persecuzione giudiziaria e politica del suo fondatore, Julian Assange. Il CIVG ha ripreso un importante articolo di Ben Norton che ha ripubblicato alcuni stralci dal Manuale del colpo di stato degli Stati Uniti, opuscolo dell’Army Special Operations Forces Unconventional Warfare (Forze Speciali per le Operazioni di Guerra Non convenzionale dell’Esercito): ‘’WikiLeaks ha attirato l’attenzione su una parte intitolata “Strumento Finanziario del Potere Nazionale degli Stati Uniti e Guerra Non Convenzionale”.

Questa sezione delinea come il governo USA, nelle sue stesse parole, usa “armi finanziarie” per condurre “guerre economiche” contro governi stranieri che cercano di perseguire un percorso indipendente’’ 1; ‘’Nel manuale di guerra anticonvenzionale, le Forze per le Operazioni Speciali dell’Esercito (ARSOF) hanno scritto che gli USA “possono usare il potere finanziario come arma in tempi di conflitto per arrivare fino alla guerra generale su vasta scala”. E ha notato che “l’uso attento della forza finanziaria degli Stati Uniti può influenzare le politiche e la cooperazione dei governi statali “- vale a dire, costringere quei governi ad assecondare la politica degli Stati Uniti’’. Le organizzazioni sovranazionali, facenti parte della nuova classe capitalista transnazionale, vengono definite come un’arma della fazione cosmopolita della borghesia USA. Il conflitto fra Trump e la Clinton inerisce alla dicotomia fra una idea ‘’nazionalista’’ del capitalismo e l’ala apolide alleata di ferro della City di Londra. I lavoratori e le masse popolari, così come i governi nemici della globalizzazione non hanno nulla da guadagnare dalla vittoria di una delle due fazioni, perché il risultato finale non cambierebbe in ogni caso: Washington resta il nemico principale. I “populisti di sinistra” hanno trasformato la (pessima) Ue, protesi “civile” della Nato, nell’avversario più insidioso rendendosi in tal modo sensibili alle infiltrazioni – da non sottovalutare – dell’Alt Right. Con l’imperialismo ‘’yankee’’ non bisogna mai abbassare la guardia.

Il giornalista Israel Shamir ha scritto un articolo eccellente dove ha preso in considerazione la ricomposizione dell’élite USA contro un governo portatore di idee innovative ed anti-sistemiche:

“Si dice spesso che in Occidente esistono due antagonisti, i populisti e i globalisti, e che il presidente Trump è il leader dei populisti. La crisi del Venezuela ha dimostrato che queste due forze si unificano se c’è la possibilità di attaccare e rapinare un paese esterno. Trump viene condannato in patria quando richiama le truppe dall’Afghanistan o dalla Siria, ma viene appoggiato

Continua qui: http://www.linterferenza.info/esteri/trump-horowitz-fallimento-della-ri-colonizzazione-del-mondo/

 

 

 

 

Affamare il Venezuela fino alla sottomissione

ISRAEL SHAMIR – 12 febbraio 2019

 

Ma come siete di buon cuore! Ho versato una lacrima pensando alla generosità americana. “Una montagna di deliziose leccornie: sacchi di riso, tonno in scatola e biscotti ricchi di proteine, farina di mais, lenticchie e pasta, il tutto arrivato al confine di un Venezuela in difficoltà; abbastanza roba per un pasto leggero a testa per cinquemila persone,” dicono gli organi di informazione, con sublime riferimento a quei cinquemila che erano stati sfamati dai pesci e dai pani di Gesù Cristo. C’è da dire però che Gesù non ha mai messo mano nei conti bancari e non ha mai rubato l’oro di quelli che aveva nutrito. Ma il Venezuela del 21° secolo è molto più prospero della Galilea del 1° secolo. Oggigiorno devi organizzare un embargo, se vuoi che le persone ti siano grate per il tuo aiuto umanitario.

Questo non è un problema. La coppia Stati Uniti-Regno Unito l’ha fatto in Iraq, come aveva scritto nell’aprile del 2000 il meraviglioso Arundhati Roy (sul Guardian dei vecchi tempi, prima che diventasse uno strumento dell’imperialismo): dopo che l’Iraq era stato messo in ginocchio, la sua popolazione stava morendo di fame, mezzo milione dei suoi bambini erano stati uccisi, le sue infrastrutture gravemente danneggiate … l’embargo e la guerra erano stati seguiti da … avete indovinato! Aiuti umanitari. All’inizio hanno bloccato forniture di cibo per miliardi di dollari, e poi hanno fatto arrivare 450 tonnellate di aiuti umanitari e hanno celebrato la loro generosità con giorni interi di trasmissioni televisive in diretta. L’Iraq aveva le risorse economiche necessarie per comprare tutto il cibo di cui aveva bisogno, ma era stato sottoposto ad embargo, e la sua popolazione aveva ricevuto solo un po’ di briciole.

E questo era stato abbastanza umano, almeno per gli standard americani. Nel 18° secolo, i coloni britannici del Nord America avevano usato metodi assai più drastici, mentre dispensavano aiuti ai nativi disobbedienti. I pellerossa erano stati espulsi dalle loro terre natie, e poi erano stati forniti di aiuti umanitari: whisky e coperte. Le coperte erano state precedentemente utilizzate da pazienti ammalati di vaiolo. La popolazione nativa del Nord America era stata in questo modo decimata dalle conseguenti epidemie e da altre misure simili. Probabilmente non avrete sentito parlare di questo capitolo della vostra storia: gli Stati Uniti hanno molti musei dell’Olocausto ma non un solo memoriale per un genocidio accaduto vicino a casa. È molto più divertente discutere delle colpe dei Tedeschi e dei Turchi che di quelle dei propri antenati.

All’inizio, si affama la gente, poi le si fanno arrivare gli aiuti umanitari. Una cosa del genere era stata proposta da John McNaughton al Pentagono: bombardare dighe e chiuse, inondare le coltivazioni di riso, procurare una carestia generale (oltre un milione di morti?) “e poi faremo arrivare aiuti umanitari ai Vietnamiti affamati.

 

Oppure, “potremmo offrirci di farlo al tavolo delle trattative”.

 

Pianificare un milione di morti per fame, e metterlo per iscritto: se un appunto del genere fosse stato trovato fra le macerie del Terzo Reich, l’episodio sarebbe stato definito un genocidio e se ne sarebbe parlato tutti i giorni. Ma la storia del genocidio dei Vietnamiti, oggigiorno, viene raramente menzionata.

Lo hanno fatto anche in Siria. All’inizio hanno dato armi a tutti gli estremisti mussulmani, poi hanno messo sotto embargo Damasco e infine hanno inviato aiuti umanitari, ma solo nelle aree sotto il controllo dei ribelli.

Questo crudele ma efficace metodo per spezzare lo spirito delle nazioni è stato sviluppato per anni, forse per secoli, dai domatori di leoni. Devi far morire di fame la bestia fino a quando non prenderà il cibo dalle tue mani e ti leccherà le dita. “Addomesticamento da fame,” lo chiamano.

Gli Israeliani lo praticano a Gaza. Bloccano tutte le esportazioni o le importazioni dalla Striscia, vietano la pesca nel Mediterraneo e alimentano, goccia a goccia, con “aiuti umanitari” i Palestinesi intrappolati. Gli Ebrei, essendo Ebrei, sono riusciti a fare ancora meglio: hanno costretto l’Unione Europea a pagare per gli aiuti umanitari a Gaza, che devono necessariamente essere acquistati in Israele. Tutto questo ha reso Gaza un’importante fonte di profitto per lo stato ebraico.

E così in Venezuela seguono la vecchia sceneggiatura. Gli Stati Uniti e il loro cagnolino londinese hanno sequestrato oltre 20 miliardi di dollari dal Venezuela e dalle compagnie nazionali venezuelane. Hanno rubato oltre un miliardo in lingotti d’oro che il Venezuela aveva fiduciosamente depositato nei forzieri della Banca d’Inghilterra.

Beh, hanno detto che magari daranno questi soldi ad un Signor Nessuno venezuelano. Ad un tizio che ha già promesso di regalare le ricchezze del Venezuela alle multinazionali statunitensi. E dopo questo palese furto, faranno arrivare al confine alcuni container di aiuti umanitari e aspetteranno l’assalto al cibo da parte dei poveri Venezuelani.

Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha twittato: “Il popolo venezuelano ha disperatamente bisogno di aiuti umanitari. Gli Stati Uniti e gli altri paesi stanno cercando di dare una mano, ma le forze armate venezuelane, agli ordini di Maduro, stanno bloccando gli aiuti con camion e navi cisterna. Il regime di Maduro deve LASCIARE CHE I SOCCORSI RAGGIUNGANO LE PERSONE CHE STANNO MORENDO DI FAME.”

I Venezuelani non stanno morendo di fame, anche se stanno attraversando

 

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/affamare-il-venezuela-fino-alla-sottomissione/

 

 

 

Germania: Gli accoltellamenti e i crimini con arma bianca hanno raggiunto livelli record

di Soeren Kern – 10 marzo 2019

Pezzo in lingua originale inglese: Germany: Stabbings and Knife Crimes at Record High

Traduzioni di Angelita La Spada

La polizia ha segnalato più di 4.100 crimini con arma bianca nel 2018, rispetto ai circa 3.800 reati commessi nel 2017 – e solo 400 nel 2008. Complessivamente, negli ultimi dieci anni, in Germania, i crimini di strada sono aumentati di oltre il 900 per cento – da uno a più di dieci al giorno.

  • I media tedeschi non riportano la maggior parte degli episodi di violenza correlati all’uso di armi bianche. I crimini denunciati vengono spesso liquidati come “episodi isolati” che non sono legati all’immigrazione di massa. Inoltre, molti rapporti redatti dalle forze dell’ordine, tra cui i registri degli arresti nelle centrali di polizia, omettono i riferimenti alle nazionalità dei perpetratori e delle vittime – a quanto pare per evitare di infiammare i sentimenti anti-immigrazione. (…) Molti tedeschi hanno la sensazione che il pericolo si annidi ovunque, ma la mancanza di statistiche ufficiali sembra permettere alle autorità tedesche di presumere che il problema sia immaginario.
  • L’epidemia di crimini con arma bianca è continuata ininterrottamente fino al 2019. Durante i primi 45 giorni del 2019, la polizia ha segnalato più di 500 episodi – una media di 11 al giorno.

 

Mourtala Madou, un migrante illegale di 33 anni proveniente dal Niger è stato condannato all’ergastolo per aver accoltellato a morte l’ex fidanzata tedesca di 34 anni e per aver decapitato la loro figlioletta di 21 mesi in una stazione della metropolitana di Amburgo.

Il crimine orrendo ha riportato l’attenzione sull’epidemia di accoltellamenti e di crimini di strada, scatenatasi da quando la cancelliera Angela Merkel ha consentito a più di un milione di migranti, per lo più maschi, provenienti dall’Africa, Asia e dal Medio Oriente di entrare nel paese.

Il duplice omicidio di Amburgo avvenne la mattina del 12 aprile 2018, il giorno dopo che un giudice di famiglia aveva negato a Madou (noto anche come Mado Bido M. o Mourtala M.) l’affidamento congiunto della figlia. L’uomo aveva seguito la madre della piccola, Sandra P., e la bambina, Mariam, nella stazione metropolitana di Jungfernstieg, nel centro di Amburgo. Davanti a numerosi passanti, aprì il suo zaino ed estrasse un coltello con il quale colpì all’addome la figlioletta nel passeggino. E poi la decapitò. Successivamente, Madou accoltellò alla schiena Sandra P. e la lama le recise gli organi vitali. La donna morì meno di un’ora dopo in un vicino ospedale.

Durante l’interrogatorio della polizia, l’uomo affermò: “Questa è mia figlia. Questo è il mio sangue. La madre mi separa da mia figlia. Allora io separo la bambina da lei”.

Il 15 febbraio 2019, la Corte distrettuale di Amburgo (Landgericht Hamburgha condannato Madou all’ergastolo per due capi d’accusa. Inoltre, il tribunale ha riconosciuto “la particolare gravità della colpa” (besondere Schwere der Schuld), un meccanismo giuridico applicato alle sentenze per crimini particolarmente brutali. Questa sentenza impedisce a Madou di poter avere automaticamente la libertà vigilata dopo aver scontato 15 anni di prigione, perché diversamente questa sarebbe la normale prassi in Germania. Un avvocato che rappresenta la sorella di Sandra P. ha dichiarato che la condanna inflitta a Madou è “il massimo della pena che si poteva ottenere”.

La polizia e l’accusa avevano inizialmente cercato di nascondere ai cittadini che Mamou aveva decapitato la bambina, ma un pendolare – un cittadino ghanese Daniel J., cantante di gospel in una chiesa evangelica di Amburgo – che era arrivato nella stazione della metropolitana poco dopo l’aggressione riprese la scena con il suo cellulare. Nel video, si sente Daniel J. dire in inglese: “Oh mio Dio! È incredibile. Oh Gesù, oh Gesù, oh Gesù! Hanno tagliato la testa della bambina. Oh mio Dio! Oh Gesù!”.

Heinrich Kordewiner, un blogger di Amburgo che scoprì il video sulla pagina Facebook di Daniel J., lo caricò su YouTube. La polizia di Amburgo successivamente si presentò nell’appartamento di Kordewiner con un mandato di perquisizione e sequestrò il suo computer, il cellulare e altri dispositivi elettronici, presumibilmente per trovare le “prove” del “crimine” di aver caricato il video.

La procura tedesca perseguì anche Stefan Frank, l’autore dell’articolo pubblicato dal Gatestone, per aver citato testualmente il mandato di perquisizione, che includeva i dettagli dell’omicidio, compreso il fatto che la bambina era stata decapitata. La circostanza della decapitazione non solo è stata omessa da tutti i report pubblici, ma è stata anche negata. Il procuratore distrettuale Lars Mahnke dichiarò che la “congettura” in merito alla decapitazione era falsa. Tuttavia, Frank era venuto a conoscenza della decapitazione perché menzionata nel mandato di perquisizione. Il suo “crimine” è stato quello di aver informato l’opinione pubblica. Il caso contro Frank è stato archiviato nel gennaio scorso dopo che lui ha accettato di pagare un’ammenda di 300 euro.

La polizia e l’accusa hanno ribadito che il loro silenzio in merito alla decapitazione della piccola era dovuto al rispetto della dignità delle vittime. Altri, tuttavia, hanno accusato le autorità tedesche di aver censurato le informazioni sulla crescente criminalità – inclusa la spirale di episodi di violenza correlati all’uso di armi bianche – per “preservare la pace civile”.

Accoltellamenti e crimini di strada

In Germania, non esistono statistiche ufficiali sulle aggressioni all’arma bianca. La Conferenza dei ministri dell’Interno (Innenministerkonferenz, IMK), in un continuo scambio di opinioni sulle questioni dell’applicazione della legge tra i titolari dei dicasteri dell’Interno dei 16 Stati federati tedeschi (Länder), di recente ha deciso che le statistiche federali sulla criminalità dovrebbero includere dati sulla violenza all’arma bianca. Ma prima che ciò possa accadere le autorità tedesche devono dapprima “elaborare le linee guida” per le statistiche su questo genere di crimini e inoltre “trasformare i sistemi tecnologici di registrazione negli Stati federati”.

A febbraio scorso, Oliver Malchow, capo del sindacato della polizia tedesca (Gewerkschaft der Polizei, GdP), ha esortato il governo ad accelerare la raccolta di dati sui crimini correlati all’uso di armi bianche. “Abbiamo sentito che non accadrà fino al 2022,”egli ha dichiarato, “ma pensiamo che sia troppo tardi”.

L’Ufficio federale della polizia criminale (Bundeskriminalamt, BKA) ha affermatoche “non appena saranno garantiti report uniformi, i dati corrispondenti potranno essere introdotti nella statistiche nazionali”. Al momento, tuttavia, “il BKA non può rilasciare dichiarazioni sul fatto che gli attacchi con coltello in Germania siano in aumento”.

Un esame effettuato dal Gatestone Institute sui registri di polizia tedeschi ha rilevato che il 2018 è stato un anno record per gli accoltellamenti e i crimini di strada compiuti in Germania: la polizia ha segnalato più di 4.100 crimini con arma bianca nel 2018, rispetto ai circa 3.800 reati commessi nel 2017 – e solo 400 nel 2008. Complessivamente, negli ultimi dieci anni, in Germania, i crimini di strada sono aumentati di oltre il 900 per cento – da uno a più di dieci al giorno. I dati mostrano un significativo aumento delle aggressioni all’arma bianca dal 2015, quando la cancelliera Angela Merkel aprì i confini tedeschi a centinaia di migliaia di migranti.

I media tedeschi non riportano la maggior parte degli episodi di violenza correlati all’uso di armi bianche. I crimini denunciati vengono spesso liquidati come “episodi isolati” che non sono legati all’immigrazione di massa. Inoltre, molti rapporti redatti dalle forze dell’ordine, tra cui i registri degli arresti nelle centrali di polizia, omettono i riferimenti alle nazionalità dei perpetratori e delle vittime – a quanto pare per evitare di infiammare i sentimenti anti-immigrazione.

Coltelli, asce e machete sono le armi preferite dai criminali in Germania, paese che ha alcune delle leggi più restrittive d’Europa in fatto di armi. Le persone armate di coltelli, asce e machete hanno provocato sconcerto in tutti e 16 i Länder tedeschi. I coltelli sono stati utilizzati non solo per compiere attacchi jihadisti, ma anche per perpetrare omicidi, rapine, effrazioni, aggressioni sessuali, delitti d’onore e molti altri tipi di crimini violenti.

I crimini correlati all’uso di coltelli sono avvenuti nei parchi di divertimento, nelle piste ciclabili, negli hotel, nei parcheggi, nei parchi, nelle piazze pubbliche, sui mezzi di trasporto, nei ristoranti, nelle scuole, nei supermercati e nelle stazioni ferroviarie. Molti tedeschi hanno la sensazione che il pericolo si annidi ovunque, ma la mancanza di statistiche ufficiali sembra permettere alle autorità tedesche di presumere che il problema sia immaginario.

I rapporti di polizia mostrano che tanto i migranti quanto i non migranti sono responsabili dell’aumento delle aggressioni all’arma bianca in Germania. Le politiche migratorie della “porta aperta” adottate dalla Merkel sembrano aver messo in moto un ciclo di violenza autoindotto in cui sempre più persone girano con un coltello – anche per autodifesa. Queste politiche sembrano portare a un maggior numero di episodi di accoltellamento, soprattutto quando il perpetratore ha assunto bevande alcoliche.

“Le motivazioni che inducono ad andarsene in giro armati di coltello sono dovute alla paura di diventare vittima di un crimine, e anche all’orientamento verso le norme di mascolinità”, afferma il BKA, che ha aggiunto che i giovani armati di coltello hanno il doppio delle probabilità di perpetrare atti di violenza rispetto ai giovani disarmati.

Alcuni dei recenti accoltellamenti sembrano aver avuto motivazioni religiose o politiche, e talvolta entrambe:

  • Fulda. Un richiedente asilo somalo di 23 anni ha chiesto una sigaretta a un passante dicendo: “Dammi la sigaretta. La sigaretta è mia. Allahu Akbar! [Allah è il più Grande!] Uccido i cristiani!” Al rifiuto dell’uomo, il somalo ha estratto un coltello e lo ha ripetutamente colpito nella parte superiore del busto. L’uomo ferito è riuscito a fuggire, ma il somalo lo ha inseguito urlando: “Sono musulmano. Voglio ucciderti. Uccido i cristiani. Allahu Akbar!”
  • Flensburg. Ahmad Gulbhar, un richiedente asilo afgano la cui domanda è stata respinta, ha accoltellato a morte la 17enne Mireille B. dopo che lei si era rifiutata di convertirsi all’Islam. Nella sua domanda di asilo, l’uomo aveva dichiarato di avere 18 anni e di provenire dalla Siria. Gli esami medici hanno dimostrato che Gulbhar aveva almeno 21 anni e probabilmente 29 anni.
  • Nordstetten. Un richiedente asilo siriano di 26 anni, Mohammed Omran Albakr, è stato arrestato per aver accoltellato a morte il suo padrone di casa, Michael Riecher, un immobiliarista. Riecher aveva aiutato Albakr e qualcuno ha ipotizzato che l’omicidio avesse un movente finanziario. Altri hanno dettoche Albakr ha ucciso Riecher dopo aver saputo che era ebreo; pertanto, l’omicidio avrebbe avuto una dimensione religiosa e antisemita.
  • Berlino. Un musulmano di 24 anni ha fermato un passante di 27 anni e gli ha chiesto perché portasse due tatuaggi raffiguranti la croce cristiana. Il musulmano ha chiesto all’uomo, un cristiano iracheno, di fare l’elemosina a un mendicante. Quando il cristiano si è rifiutato di farlo, il 24enne lo ha colpito in faccia con un pugno e lo ha minacciato con un coltello.
  • Berlino. Un siriano di 23 anni ha accoltellato diversi passanti nella stazione metropolitana di Bayerischer Platz. Prima ha chiesto a un uomo di 50 anni se fosse turco. Quando quest’ultimo ha risposto di essere tedesco, il siriano ha urlato: “Sei un infedele!” e lo ha accoltellato. Anche le altre vittime erano tutte tedesche. La polizia ha detto che il siriano era “mentalmente instabile”.
  • Berlino. Sei uomini sono stati arrestati per aver pianificato delle aggressioni col coltello contro gli spettatori alla Mezza Maratona di Berlino. Secondo quanto riferito, il principale sospettato conosceva Anis Amri,

 

Continua qui: https://it.gatestoneinstitute.org/13869/germania-accoltellamenti-reati-coltello

 

 

 

 

Il mercato delle prigioni private negli Stati Uniti

Il modello delle aziende che gestiscono o possiedono carceri esiste da trent’anni ed è in continua espansione, anche oggi

  • DOMENICA 10 MARZO 2019

L’intransigenza dell’amministrazione di Donald Trump sui migranti irregolari e l’antica politica statunitense delle incarcerazioni di massa sono un’occasione economicamente molto vantaggiosa per le aziende che gestiscono o possiedono carceri private negli Stati Uniti. Il Wall Street Journal, partendo dalle difficoltà e dal sovraffollamento delle strutture di detenzione federali – e dunque gestite dal governo – ha raccontato come negli ultimi tempi sia cresciuto un modello, nato trent’anni fa, basato sempre di più sull’appalto delle carceri a operatori e investitori privati e specializzati.

 

L’inizio della privatizzazione

La fortuna delle imprese private nelle prigioni degli Stati Uniti iniziò negli anni Ottanta quando, nel contesto della cosiddetta “guerra alla droga”, l’allora presidente Ronald Reagan firmò l’Anti-Drug Abuse Act instaurando pene molto severe per crimini non violenti ma legati alla droga, e causando un aumento improvviso della popolazione carceraria degli Stati Uniti (in particolare di quella di origine afroamericana). La tendenza subì un’ulteriore accelerazione negli anni Novanta, quando sotto la presidenza democratica di Bill Clinton venne firmato il Violent Crime Control and Law Enforcement Act, che interveniva in modo nuovamente restrittivo su reati non violenti e detenzioni legate alla droga.

Da lì in poi il fenomeno dell’incarcerazione di massa raggiunse dimensioni tali che se nel 1980 le persone detenute erano circa 660 mila, oggi sono più due milioni (nel 2013 un quarto della popolazione carceraria mondiale era negli Stati Uniti). Le persone detenute sono in gran parte afroamericane: ci sono città dove un adulto nero su due è o è stato in carcere. Le risposte al problema del sovraffollamento causato dalle politiche attuate e del conseguente aumento dei costi di gestione portarono da subito a far crescere la privatizzazione carceraria, sia nella gestione di strutture prima amministrate dagli stati, sia nella costruzione e nella gestione di nuove strutture, sia nella fornitura di servizi all’interno delle prigioni, per esempio quelli medico-sanitari. La prima azienda a ottenere un contratto per la gestione di un carcere fu la CoreCivic, nel 1983. L’anno dopo toccò a GEO Group, una società della Florida, che oggi lavora anche nel Regno Unito, in Australia e in Sudafrica.

 

CoreCivic e Geo Group

CoreCivic, ex Corrections Corporation of America (CCA), e Geo Group sono le due principali società che oggi controllano il mercato delle carceri private. Entrambe sono quotate in borsa e sono affiancate da altri circa 3 mila operatori privati più piccoli: non si occupano solo della gestione diretta delle prigioni ma anche dei fornitori, delle imprese in cui i detenuti lavorano, gestiscono programmi di riabilitazione, di monitoraggio elettronico e sono proprietarie di edifici in cui hanno sede degli uffici governativi.

A differenza della maggior parte delle altre imprese, il cui andamento è strettamente legato alla crescita economica del paese, spiega il Wall Street Journal, i gruppi carcerari del settore privato possono guadagnare anche durante un rallentamento economico. Ma dipendono, molto più che altri settori, dai cambiamenti legislativi o esecutivi. Nel 2016, per esempio, la viceprocuratrice generale dell’amministrazione Obama, Sally Yates, presentò un memorandum al Dipartimento di Giustizia in cui chiedeva ai funzionari responsabili di non rinnovare i contratti con i gestori delle carceri private, proprio per cercare di limitare questo modello (che, come vedremo, pone molti problemi). I prezzi delle azioni delle compagnie carcerarie private crollarono di oltre il 35 per cento.

Poi è arrivato Trump, che già in campagna elettorale aveva parlato del malfunzionamento del sistema carcerario del paese e dei meriti del settore privato. Subito dopo le elezioni presidenziali il nuovo ministro della Giustizia, Jeff Sessions, aveva annullato le linee guida del suo predecessore sulla riduzione del modello privato. Negli ultimi due anni CoreCivic e Geo Group – che per le elezioni del 2016 hanno speso più di 5 milioni di dollari in attività di lobbying e finanziamento delle campagne elettorali – hanno firmato nuovi contratti di appalto con il governo e hanno chiuso il 2017 con un fatturato complessivo da 4 miliardi di dollari. Il giorno dopo la vittoria di Trump le azioni della CoreCivic sono aumentate di valore del 43 per cento; quelle di GEO Group del 21 per cento.

Secondo una ricerca pubblicata nell’aprile del 2018 dall’associazione no profit Urban Justice Center, più della metà degli 80 miliardi di dollari spesi dal governo statunitense ogni anno per il sistema carcerario è utilizzata per pagare le società private.

Continua qui: https://www.ilpost.it/2019/03/10/prigioni-private-stati-uniti/

 

 

 

 

 

Otto cose sulle carceri italiane

Aumentano i suicidi e il sovraffolamento mentre scende molto il tasso di detenzione degli stranieri, emerge dal rapporto annuale dell’associazione Antigone

VENERDÌ 20 APRILE 2018

 

L’associazione Antigone, che si occupa di tutelare i diritti delle persone che si trovano in carcere, ha pubblicato il suo XIV Rapporto sulle condizioni di detenzione. Il rapporto, oltre a mettere in ordine dati, numeri, leggi e circolari dell’amministrazione penitenziaria, racconta le storie, le criticità, «lo sforzo degli operatori ma anche il senso di insicurezza delle persone che ogni giorno, ogni ora di vita detentiva non sanno bene quello che potrebbe accadere il giorno dopo o l’ora successiva».

Nel rapporto c’è una sezione di approfondimento dedicata al progetto di riforma delle carceri del giugno 2017 e ai conseguenti decreti delegati. Lo scorso 16 marzo il Consiglio dei ministri aveva approvato uno di questi decreti che, tra le altre cose, prevede l’estensione della possibilità di accedere alla misure alternative. Per diventare esecutivo il testo deve essere esaminato dalle commissioni parlamentari, ma l’assenza di un governo sta complicando le cose, così come la contrarietà del Movimento Cinque Stelle, di Forza Italia e della Lega ad accelerare i tempi: la delega scadrà il prossimo 3 agosto. Antigone dice quindi che il 2017 «avrebbe dovuto essere l’anno della “svolta” per il sistema penitenziario italiano» ma non lo è stato.

Abbiamo raccolto di seguito altri dieci punti interessanti dal loro rapporto.

Il sovraffollamento è tornato
Nel 2017 Antigone ha visitato 86 delle 190 carceri in giro per l’Italia: 36 nel nord, dalla Valle d’Aosta alla Romagna, 20 in centro Italia e 30 tra il sud e le isole. Il carcere più grande è quello di Poggioreale, Napoli, che ospita ormai oltre 2.200 detenuti.

Nel corso dell’ultimo anno i detenuti in più sono circa 2.000: in totale sono passati da 56.289 (marzo 2017) a 58.223 (marzo 2018). Questo aumento non ha avuto le stesse conseguenze ovunque e in alcuni istituti «la situazione sta diventando invivibile».

Tra gli istituti più sovraffollati ci sono quello di Como, che ha un tasso di affollamento del 200 per cento, e Taranto con un affollamento del 190,5 per cento: «In entrambi la situazione è preoccupante. Como in taluni casi non è adempiente alle recenti disposizioni in materia di spazi, con l’utilizzo di celle da 9 metri quadri scarsi per 3 detenuti».

Il 34 per cento dei detenuti è in custodia cautelare e quindi in attesa di una sentenza definitiva: un dato in leggero calo rispetto all’anno scorso. I reati per cui le persone sono detenute sono prevalentemente contro il patrimonio (24,9 per cento), seguiti dai reati contro la persona (17,7 per cento) e da quelli previsti dal testo unico sugli stupefacenti (15,2 per cento). Tra gli stranieri i reati contro la persona sono meno frequenti rispetto agli italiani, mentre lo sono di più quelli per violazione della legge sulle droghe.

Il 4,9 per cento dei detenuti è in carcere per condanne fino a un anno, e la percentuale sale al 7,1 per cento se si considerano i soli stranieri: «Si tratta di un dato piuttosto elevato se si pensa alle molte alternative alla detenzione possibili per chi ha subito una condanna così lieve». Al contrario gli stranieri sono meno rappresentati tra quanti hanno subito condanne più lunghe. Gli ergastolani sono il 4,6 per cento di tutti i detenuti e solo lo 0,8 per cento dei detenuti stranieri. La differenza tra italiani e stranieri per i reati commessi e per le pene subite si rispecchia anche sull’età, che è mediamente più elevata tra gli italiani. Ha più di 45 anni il 36,6 per cento di tutti i detenuti, ma il 16,9 per cento dei detenuti stranieri.

Il lavoro è in realtà un’occupazione del tempo
L’attività lavorativa e la formazione professionale sono fondamentali per la vita delle persone detenute e dovrebbero aiutarle ad acquisire capacità e competenze specifiche che possano poi essere usate nel lavoro una volta usciti.

Il tasso di occupazione in carcere è pari al 30 per cento, la metà di quello della popolazione libera. In carcere nel 2017 hanno lavorato 18.404 persone (31,95 per cento del totale), con percentuali omogenee nelle diverse aree geografiche. Solo il 2,2 per cento dei detenuti lavora per datori di lavoro diversi dall’amministrazione penitenziaria. Alcuni di questi sono in semilibertà e altri escono nelle ore lavorative per recarsi al lavoro. Coloro che invece lavorano per datori di lavoro esterni ma restando all’interno del carcere sono 949 (l’1,7 per cento del totale della popolazione penitenziaria).

Le altre 17 mila persone censite dall’amministrazione penitenziaria come “lavoranti” sono alle dipendenze dell’amministrazione stessa e per la maggior parte (l’82 per cento) impegnate nei servizi di istituto (pulizia, distribuzione del vitto, alcune mansioni di segreteria). «Lavori svolti a turnazione e senza alcuna spendibilità nel mondo del lavoro esterno. Più che lavori dunque, occupazioni del tempo».

Ci sono percentuali molto basse anche per quanto riguarda i corsi di formazione, che coinvolgono solo il 3,8 per cento dei detenuti. Nel 43 per cento delle carceri visitate dall’Osservatorio di Antigone – su cui si basa poi il rapporto – non è attivo nessun corso di formazione professionale.

La vivibilità è problematica
Nel 69,4 per cento degli istituti visitati non vengono garantiti i 6 metri quadrati di spazio vitale che il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ha definito come standard minimo per i detenuti. Nell’8,1 per cento delle strutture il riscaldamento in cella non è funzionante e nel 43 per cento delle celle manca l’acqua calda. Nel 58,1 per cento dei casi le celle non dispongono di docce e in 4 istituti (il 4,7 per cento), dice Antigone, «abbiamo ancora trovato un wc non separato dal resto della cella».

La vivibilità degli spazi è compromessa anche dai limiti nell’accesso alle attività in comune (lavorative, istruttive, formative, sportive, ecc.). Nel 41,9 per cento dei casi non viene garantito accesso settimanale alla palestra e, più in generale, nel 40,7 per cento degli istituti visitati non tutte le celle sono aperte per almeno 8 ore al giorno.

Nel rapporto si fa notare come questi dati descrivano una realtà «in cui molte persone detenute continuano a passare gran parte del loro tempo all’interno di spazi al di sotto degli standard minimi. Questa situazione, oltre a determinare la violazione di vari diritti in capo alle persone detenute, si traduce agevolmente nella manifestazione di problematiche di salute, sia intese come strettamente fisiche che psichiche». Raccogliere i dati sulle varie patologie è molto difficile, per la mancanza di un adeguato sistema di raccolta e sistematizzazione da parte dei vari dipartimenti coinvolti (nel 68,6 per cento degli istituti visitati manca la cartella clinica informatizzata).

In generale si può però affermare che «la popolazione detenuta risulti in media per il 60-70 per cento portatrice di patologie croniche». Trarre conclusioni non è semplice: in che misura è il carcere in sé a causare le patologie? E in che misura il carcere non è in grado di curarle adeguatamente? Questo vale ancora di più quando si considerano i disturbi psichici.

E le persone con disabilità?
Solamente il 30 per cento delle carceri visitate ha spazi adeguati e pensati per accogliere detenuti disabili, «negli altri casi la disabilità diventa l’ennesimo ostacolo ad una vita detentiva degna».

 

Sono aumentati i suicidi
Il tasso di suicidi (numero dei morti ogni 10 mila persone) è salito dall’8,3 del 2008 al 9,1 del 2017: in numeri assoluti significa passare da 46 morti del 2008 a 52 morti del 2017.

L’integrazione reale ha conseguenze positive sul tasso di detenzione 
Da 2003 gli stranieri residenti in Italia sono triplicati e in termini percentuali si è ridotto di quasi tre volte il loro tasso di detenzione.

 

Se nel 2003 su ogni cento stranieri residenti in Italia l’1,16 per cento finiva in carcere, oggi lo 0,39 per cento: «Un dato straordinario in termini di sicurezza collettiva che mostra come ogni allarme, artificiosamente alimentato durante la campagna elettorale recente, sia ingiustificato».

 

Negli ultimi dieci anni gli stranieri detenuti sono diminuiti in termini assoluti di circa 2 mila unità e questo nonostante gli stranieri residenti siano invece due milioni in più rispetto a dieci anni fa.

Nel rapporto si spiega come maggiore è il tempo dal suo insediamento in Italia, minore è il numero dei detenuti che quella comunità esprime: «Ciò accade in quanto quella comunità diventa parte integrante dell’economia e della società italiana. Di conseguenza diminuisce il rischio per i suoi membri di finire in carcere. Cinesi, filippini e ucraini hanno un tasso di detenzione più o meno identico a quello degli italiani. Poco superiore è il tasso di detenzione di moldavi, romeni, etiopi. La regolarizzazione è anche funzionale alla sicurezza del paese

 

Continua qui: https://www.ilpost.it/2018/04/20/antigone-rapporto-detenzione-carceri-italiane/

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

IL “NULLA” NEL NOME DELLA ROSA  

In margine alla riproposizione televisiva del romanzo di Umberto Eco

Luigi Copertino  4 Marzo 2019

Ebbene, Rai TV – primo canale, quello un tempo democristiano e “cattolico” – ci ripropone in versione televisiva il romanzo di Umberto Eco più noto al grande pubblico, ossia “Il Nome della rosa”.

Recensendo l’evento sul suo blog personale, lo storico Franco Cardini, al quale mi legano rapporti di stima e personale amicizia, ha osservato, in ordine al romanzo, a suo giudizio troppo mal letto e troppo poco compreso: «Là, si snoda il tragico duello tra chi dai propri errori e dalla lezione della storia ha appreso l’umana pietà e chi cerca nell’Eterno la chiave dell’inflessibile Verità, che ignora il sorriso e condanna il perdono».

Comprendo, per parte mia, perfettamente cosa vuol dire lo storico fiorentino, che di Eco fu amico benché distante per quanto riguarda le rispettive posizioni di fede: cattolico praticante il primo; “cattolicissimo professore e polemista ateo innamorato della scolastica”, come lo definisce sempre Cardini con richiamo al giovanile integralismo cattolico-tomista, il secondo.

Cardini intende dire che spesso i cristiani, soprattutto se colti (san Francesco d’Assisi guardava alla cultura come ad una forma di potere che può portare al peccato di superbia), hanno presentato la Verità in modo talmente rigido da oscurare la Carità.

E’ vero, verissimo! La storia ecclesiale è piena di dispute tra scuole teologiche intorno a questioni di approccio filosofico alla Verità spesso condotte certo in insospettata libertà ma senza clemenza per gli avversari. Per non parlare – anche se sarebbe invece bene parlarne di più allo scopo di decostruire le tante leggende eccessivamente nere montate in proposito a discapito della verità storica – della prassi di “convincere” di Essa con metodi inquisitoriali.

L’inquisitore domenicano del romanzo, Bernardo Gui, è personaggio storicamente reale che nel suo trattato inquisitoriale ha lasciato scritto: «Il dolore induce a riflettere». Eppure non fu il mostro che spesso si dipinge, dato che, come da prassi inquisitoriale ecclesiale, il ricorso alla tortura era molto raro. Ci si limitava più spesso – il che era comunque una pressione psicologica – soltanto a mostrare all’imputato gli strumenti di essa. La tortura, del resto, non è stata una invenzione della Chiesa. La tortura è sempre esistita ed è stata praticata presso tutte le culture. Anzi, per l’appunto, la Chiesa fu molto moderata nel suo uso inquisitoriale laddove, al contrario, molto meno scrupoli si facevano le inquisizioni laiche sui malcapitati nemici politici del sovrano di turno.

Se è dunque vero che spesso i cristiani hanno dimenticato la Carità in nome della Verità, è pur altrettanto vero, tuttavia, che oggi accade il contrario e molti cristiani edulcorano o dimenticano la Verità in nome della Carità.

Ora, è per questo che Umberto Eco resta, a mio giudizio, una intelligenza che non ha saputo cogliere l’et-et sempre necessario. Forse per colpa del suo giovanile integralismo cattolico che appunto in nome della Verità dimenticava la Carità ed al quale egli ha, poi, reagito in modo inappropriato ossia rovesciando i termini del dilemma.

Eco, da giovane, nell’età preconciliare, era considerato, all’interno dell’Azione Cattolica pacelliana, l’enfant prodige e la sicura promessa della cultura cattolica che, in quell’epoca, sovente sfoggiava toni trionfalistici, anche politici, nella convinzione che l’avversario andasse prima sottomesso e poi convertito. Era un cattolicesimo filosofico che non si accorgeva di aver ridotto, contro lo stesso Aquinate, il tomismo a un soffocante razionalismo, facile preda della critica neo-gnostica della Nouvelle Theologie franco-tedesca (Ranher e De Lubac) la quale, proprio in quegli anni, lo stava segretamente minando dalle fondamenta scavandogli sotto enormi gallerie sulle quali sarebbe crollato nella svolta antropologica del post-concilio. Una debacle del tomismo neoscolastico dell’epoca che, a mio giudizio, è stata provvidenziale avendo permesso allo stesso di liberarsi delle incrostazioni e sovrastrutture razionaliste e di ritrovare la sua originarietà grazie, soprattutto, all’opera di padre Cornelio Fabro.

Come cattolico, al di là degli umani errori di noi cristiani che restiamo comunque, alla pari degli altri, uomini fallibili nelle nostre scelte storiche, sento tuttavia necessario ribadire che non è con il nominalismo che si risolve il dramma umano. Perché l’essenza della rosa non è il suo nome come il Nome di Dio non è l’Essenza di Dio ma soltanto il veicolo del suo rivelarsi e manifestarsi.

Insomma abbandonare Tommaso d’Aquino per Guglielmo di Ockham, anche se travestito da Sherlock Holmes (nel romanzo Guglielmo di Baskerville),  non è la strada che salva, dato che dietro la disputa sugli “universalia” si nasconde la scelta del cuore umano tra Cielo e terra, Eterno e temporale, Pienezza e nulla. Laddove la terra ed il temporale non hanno più collegamenti vitali – sacramentali – con il Cielo e l’Eterno, l’umanità perde la Pienezza ed il Senso e precipita nel nulla e nel non-senso.

Ed infatti il mondo a partire dal XIV secolo, quello nel quale è ambientato il romanzo di Umberto Eco, è molto progressivamente peggiorato, sotto il profilo spirituale, e se oggi l’Occidente naufraga nel nichilismo forse dovremmo cercarne le cause anche nel nominalismo nel quale era già insito tutto il “nulla”, tutta la leggerezza dell’essere, che giustifica l’animalizzazione dell’umano alla quale siamo ormai, purtroppo, fin troppo avvezzi.

Voglio dire che Umberto Eco, certamente una intelligenza alta e tormentata, non ha affatto migliorato il mondo e, forse, al di là delle sue intenzioni, lo ha profondamente peggiorato.

Una cosa è dire non dimenticate la Carità, altra è dire non esiste la Verità.

Negando esistenza e cittadinanza alla Verità si aprono autostrade larghissime al capitale, alla finanza, alla globalizzazione che oggi, a distanza di qualche decennio dalla pubblicazione del romanzo di Eco, stanno mettendo più che mai

Continua qui:

https://www.maurizioblondet.it/il-nulla-nel-nome-della-rosa-in-margine-alla-riproposizione-televisiva-del-romanzo-di-umberto-eco-di-luigi-copertino/

 

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

POLIZIOTTO: “MEDIA NASCONDONO I CRIMINI DEI PROFUGHI”

23 febbraio 2019

Un agente della polizia raccontò tempo fa ad un giornale locale, la sua esperienza nei centri di accoglienza al tempo del Pd al governo.

Due settimane fa ero presente durante la rivolta all’hotspot di Milo a Trapani, di cui praticamente nessun giornale o televisione nazionale ha parlato. Si tratta del gruppo dei 120 sbarcati poco tempo prima e portati lì in attesa di rimpatrio. Hanno aspettato che entrassero i colleghi impegnati a scortare la ditta che fornisce i pasti. E li hanno assaltati per tentare la fuga: 10 poliziotti aggrediti, di cui 3 feriti. Quindi hanno distrutto vetri, incendiato materassi, devastato condizionatori, rendendo inservibile la struttura, il settore F dove vengono messi i più pericolosi”.

Una violenza studiata spiega l’agente. “Sanno quando devono agire e si organizzano di conseguenza. Colpisce la loro arroganza: una sera, mentre un immigrato era in crisi epilettica, chiedevano insistentemente caffè, sigarette e scheda telefonica. Capite le pretese? Caffè, sigarette e scheda telefonica, queste erano le loro priorità. Potete immaginare lo stato d’animo dei colleghi che nemmeno erano riusciti a mangiare per tenerli a bada”.

Pochi giorni fa un altro sbarco, stavolta in 150, sempre dalla Tunisia: “E’ successo nell’unico giorno di mare calmo. Siamo di fronte a flusso allarmante e continuo”, aggiunge il poliziotto, precisando che la massa di clandestini era composta nella sua interezza da uomini giovani ad eccezione di una donna. L’aspetto incredibile è che le forze dell’ordine hanno

 

Continua qui: https://voxnews.info/2019/02/23/poliziotto-media-nascondo-i-crimini-dei-profughi/

 

 

 

Il ministero della Verità ha deciso: Pamela conta meno degli spari di Traini

Roma, 4 febbraio 2019

– Vi ricordate le parole pronunciate a Macerata dal ministro Minniti solo poche giorni fa, in occasione dell’uccisione e dello smembramento di Pamela Mastropietro ad opera di un immigrato nigeriano? In effetti è impossibile: il ministro dell’Interno, infatti, ha ritenuto di non doversi recare sul luogo di un delitto tanto efferato, derubricandolo evidentemente a mero fatto di cronaca, crudo, sì, ma privo di “contesto”, senza agganci con qualcosa che stia accadendo nella realtà italiana. Non così dopo la folle scorribanda di Luca Traini, nella medesima città. Un episodio che ha acceso i riflettori su Macerata, ha portato in città Minniti, e soprattutto ha attivato la ricerca affannosa dei “mandanti morali”, del contesto ideologico, del retroterra politico. La megamacchina mediatico-politica si è mossa, in grande stile. Non esiste una graduatoria dell’orrore e della follia, sarebbe di cattivo gusto anche stilarla, ma i custodi del pensiero unico hanno dimostrato di avere invece in testa gerarchie molto chiare: i pezzi di Pamela caricati in due valigie “pesano” meno degli spari di Macerata.

Pamela non conta, non stimola riflessioni, sono “cose che capitano”, tragiche fatalità, ha incontrato la persona sbagliata nel momento sbagliato. Il raid di Traini no, quello è solo la punta di un iceberg di intolleranza e odio. Da Traini deve partire un processo morale, se non addirittura penale, contro tutta un’area politica, contro chiunque, in qualsiasi modo, si opponga all’immigrazione incontrollata. Contro ogni residuo di identità, contro ogni volontà di rimanere se stessi. A dettare la linea è stato subito Roberto Saviano, che prima ha definito Matteo Salvini il “mandante morale” degli spari (e il mandante morale dell’omicidio di Pamela chi è? Saviano?), poi ha mandato un foglio d’ordini alla stampa: “Invito gli organi di informazione a definire i fatti di Macerata per quello che sono: un atto terroristico di matrice fascista. Ogni tentativo di edulcorare o rendere neutra la notizia è connivenza”. Dire la verità, e cioè che Traini era uno psicopatico, con ossessioni tratte dall’immaginario di estrema destra, certo, ma comunque un matto, diventa quindi complicità. Eppure è questo che emerge, dai frammenti

Continua qui: https://forum.termometropolitico.it/747627-il-ministero-della-verita-ha-deciso-pamela-conta-meno-degli-spari-di-traini.html

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Obiettivo: Venezuela

Un documento interno del governo USA delinea il programma di “ guerra economica” in Venezuela

Scritto da Ben Norton

31 gennaio 2019

 

Il Venezuela ha sofferto una crisi economica negli ultimi anni, e, mentre il governo degli Stati Uniti e gli organi di informazione hanno dato la colpa di queste difficoltà esclusivamente al partito socialista dominante, documenti interni del governo americano riconoscono che Washington ha usato quelle che vengono chiaramente descritte come “armi finanziarie” per condurre una “guerra economica” alla nazione sudamericana ricca di petrolio.

Questa tacita ammissione conferma quello che il governo di Caracas dice da anni: gli Stati Uniti stanno conducendo una guerra economica contro il Venezuela, il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo.

Le sanzioni paralizzanti imposte dall’amministrazione Donald Trump hanno dissanguato il Venezuela per miliardi di dollari.

Il primo relatore delle Nazioni Unite a visitare la nazione in due decenni, l’esperto legale Alfred de Zayas, ha dichiarato all’Independent che le devastanti sanzioni internazionali imposte al Venezuela sono illegali e potrebbero essere potenzialmente un crimine contro l’umanità.

Il professor Steve Ellner, uno dei principali studiosi di politica venezuelana, che ha vissuto e insegnato nel paese per decenni, ha spiegato in un’intervista su Moderate Rebels (Ribelli Moderati) che le sanzioni hanno economicamente isolato Caracas:

Il timore di ritorsioni da parte dell’amministrazione Trump ha spinto la comunità economica mondiale a interrompere i rapporti economici col Venezuela. Ciò equivale praticamente ad un blocco economico del Venezuela”.

 

All’inizio del 2019, l’amministrazione Trump ha infierito ancora di più.  Il 23 gennaio, il governo degli Stati Uniti ha avviato un colpo di stato in Venezuela riconoscendo il leader dell’opposizione di destra non eletto Juan Guaidó come presunto “presidente ad interim”.

Guaidó, che, secondo un sondaggio di gennaio, era sconosciuto a un impressionante 81 percento dei venezuelani, ha cercato di usurpare il legittimo governo del presidente Nicolás Maduro, che è stato rieletto in un’elezione presidenziale del 2018, volontariamente boicottata dall’opposizione sostenuta dagli Stati Uniti .

Questo tentativo di colpo di stato in corso è il culmine di una campagna di destabilizzazione da parte degli Stati Uniti, durata due decenni e volta a distruggere la Rivoluzione Bolivariana del Venezuela. Caracas ha definito da tempo questa campagna come una guerra economica. Ed i documenti interni del governo degli Stati Uniti dimostrano che è esattamente così.

“Armi finanziarie” e “guerra economica” statunitensi.

In concomitanza con il colpo di stato in Venezuela, WikiLeaks ha pubblicato un estratto da quello che descriveva come il “Manuale del colpo di stato degli Stati Uniti”, l’opuscolo dell’Army Special Operations Forces Unconventional Warfare (Forze Speciali per le Operazioni di Guerra Nonconvenzionale dell’Esercito) (PDF).

WikiLeaks ha attirato l’attenzione su una parte intitolata “Strumento Finanziario del Potere  Nazionale degli Stati Uniti e Guerra Nonconvenzionale”. Questa sezione delinea come il governo USA, nelle sue stesse parole, usa “armi finanziarie” per condurre “guerre economiche” contro governi stranieri che cercano di perseguire un percorso indipendente.

Nel manuale di guerra anticonvenzionale, le Forze per le Operazioni Speciali dell’Esercito (ARSOF) hanno scritto che gli USA “possono usare il potere finanziario come arma in tempi di conflitto per arrivare fino alla guerra generale su vasta scala”. E ha notato che “l’uso attento della forza finanziaria degli Stati Uniti può influenzare le politiche e la cooperazione dei governi statali “- vale a dire, costringere quei governi ad assecondare la politica degli Stati Uniti.

Le istituzioni che aiutano il governo degli Stati Uniti a raggiungere questo obiettivo, continua il manuale ARSOF, sono la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).

Esempi di “armi finanziarie” comprendono “manipolazione statale dei tassi di interesse e delle tasse” e pressioni sulle istituzioni finanziarie per limitare “prestiti, sovvenzioni o altre forme di assistenza finanziaria a stati stranieri e agenti non statali”, ha dichiarato l’ARSOF.

“L’Office of Foreign Assets Control (Ufficio di Controllo delle Attività Estere) (OFAC) ha una cosolidata pratica nell’organizzare guerre economiche, esperienza che può essere utile per qualsiasi campagna UW ARSOF”, conclude il manuale.

L’Ufficio per il Controllo delle Attività Estere del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti sovraintende alle sanzioni contro paesi come il Venezuela. E il 28 gennaio, il giorno in cui WikiLeaks ha twittato l’estratto di cui sopra, l’OFAC ha imposto sanzioni alla compagnia petrolifera statale del Venezuela, Petroleos de Venezuela, S.A. (PDVSA).

Prendere di mira la compagnia petrolifera statale Venezuelana PDVSA

L’obiettivo di queste ultime sanzioni statunitensi è chiaro: Steve Mnuchin, segretario del Tesoro di Trump ed ex responsabile dell’informazione di Goldman Sachs, ha comunicato che Juan Guaidó, a capo del golpe venezuelano appoggiato dagli Stati Uniti, utilizzerà il PDVSA e le attività petrolifere del Venezuela negli Stati Uniti per finanziare il suo governo parallelo non eletto.

L’OFAC, che secondo l’ARSOF “ha una lunga storia di gestione di guerre economiche”, ha fatto notare, mentre stava sanzionando la PDVSA, che questa compagnia petrolifera statale è “una fonte primaria del reddito e della valuta estera del Venezuela”.

Come ha riferito The Grayzone, Guaidó ha immediatamente preso di mira la PDVSA, poche ore dopo essersi dichiarato “presidente ad interim” (con la benedizione dell’amministrazione Trump). Guaidó e l’opposizione di destra sostenuta dagli Stati Uniti sperano di ristrutturare la PDVSA e di portarla verso la privatizzazione, riscrivendo le leggi del Venezuela sugli idrocarburi e distribuendo contratti per consentire alle multinazionali di accedere alle più grandi riserve di petrolio del pianeta. E Guaidó ha cercato assistenza finanziaria dal FMI, che ARSOF ha identificato come alleato degli Stati Uniti nella sua strategia di guerra economica.

Il manuale di guerra anticonvenzionale ARSOF chiarisce che queste politiche non sono solo una campagna di pressione pacifica; fanno parte di una strategia esplicita di “guerra non convenzionale” rivolta al Venezuela.

Queste parole, che arrivano direttamente dal governo degli Stati Uniti, confermano che le sanzioni e le altre politiche economiche punitive non sono un semplice preludio alla guerra; sono una forma di guerra.

Gli Stati Uniti non stanno “valutando” una guerra contro il Venezuela; la superpotenza sta già conducendo una guerra, da anni, contro questa nazione sudamericana indipendente.

Le sanzioni statunitensi sono “paragonabili agli assedi delle città nel medioevo”

Questo è esattamente ciò che ha detto l’ex relatore delle Nazioni Unite Alfred de Zayas, sia in un’intervista con The Independent che in un rapporto sul Venezuela che ha presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha detto che gli Stati Uniti e gli alleati come l’Unione Europea e il Canada , hanno condotto una “guerra economica” contro il Venezuela.

De Zayas, un esperto legale che insegna diritto internazionale alla Scuola di Diplomazia di Ginevra, ha scritto: “Le sanzioni economiche ed i blocchi di oggi sono paragonabili agli assedi medievali delle città”. Ha aggiunto: “Le sanzioni del ventunesimo secolo cercano di mettere in ginocchio non solo una città, ma interi paesi sovrani”.

Come primo relatore delle Nazioni Unite a riferire dal Venezuela in un incredibile periodo di 21 anni, de Zayas ha dichiarato a The Independent: “Quando affermo che l’emigrazione è in parte attribuibile alla guerra economica contro il Venezuela ed è in parte dovuta alle sanzioni, la gente non mi ascolta volentieri. Vogliono solo una storia semplice in cui si dimostra che il socialismo ha fallito e ha fatto fallire il popolo venezuelano “.

E gli Stati Uniti non sono stati soli nella loro ostilità. Allo stesso modo, la Bank of England (Banca d’Inghilterra) si è rifiutata di permettere che il governo sovrano del Venezuela ritirasse le sue riserve in oro per 1,2 miliardi di sterline. Invece, un ministro degli esteri del Regno Unito ha cercato di dare quei soldi al leader del colpo di stato nominato da Trump, Juan Guaidó.

I reali obiettivi di politica estera degli Stati Uniti

Il manuale di guerra anticonvenzionale ARSOF fornisce ulteriori informazioni su ciò che realmente motiva gli Stati Uniti a condurre una guerra economica in Venezuela e altrove.

Il documento delinea uno degli obiettivi chiave della politica estera degli Stati Uniti

 

Continua qui:

http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1434:obiettivo-venezuela-un-documento-interno-del-governo-usa-delinea-il-programma-di-guerra-economica-in-venezuela&catid=2:non-categorizzato

 

 

 

 

CULTURA

Così la cultura italiana è diventata comunista

Un saggio rivela come il Pci abbia sedotto mente e cuore degli intellettuali del nostro Paese. Ma perché la destra non vi è mai riuscita?

 

Giovanni Sallusti – 28/04/2011

Cronaca di un capolavoro. Sarebbe la dicitura da affiancare a Operazione Gramsci. Alla conquista degli intellettuali nell’Italia del dopoguerra, saggio firmato da Francesca Chiarotto in libreria per Bruno Mondadori (pagg. 233, euro 20).

In realtà, un manuale sull’arte di costruire un’egemonia culturale, che diventa negativo fotografico dell’oggi. Il capolavoro, tecnicamente s’intende, fu quello del Pci nell’immediato dopoguerra, e soprattutto di un uomo che concentrava in sé l’azione e il pensiero del partito, Palmiro Togliatti (alla faccia della sinistra perbene d’oggidì, che strilla per le derive leaderistiche altrui).

È un’operazione rigorosa scandita a tappe, ma il cui esito era già scritto nelle premesse. Il baricentro è il recupero degli scritti di Gramsci, morto nel 1937 dopo un decennio nelle prigioni fasciste, e la loro presentazione al pubblico come un classico della cultura. Togliatti mira così alla mitizzazione di un padre nobile che garantisca le due direttrici che gli interessano. Il rafforzamento dell’idea che esista una «via italiana» al comunismo, specifica ma ovviamente non contraddittoria rispetto all’ortodossia sovietica. E la capacità di attirare nell’orbita ideologica del Pci tutta l’intellighenzia variamente di sinistra, facendo della discussione sul pensiero di Gramsci un grimaldello di penetrazione intellettuale, extra-politico, e dunque più tranquillizzante. Fatto del gramscianeismo l’abc del discorso culturale, si può saldare attorno ad esso tutto un sistema, mondano e popolare allo stesso tempo, sparso in case editrici, convegni, premi letterari, biblioteche, Case del Popolo, periodici, che avrebbe assicurato il miracolo. Rendere il Pci, perdente nell’urna, dominante nella cultura diffusa.

Operazione che non solo riuscì, ma che trascina i suoi effetti fino a oggi. Togliatti ne aveva talmente chiara la decisività, che già il 3 marzo 1943, in piena guerra, sollecitava il segretario generale del Comintern, Dimitrov, a «recuperare il lavoro del compagno Gramsci in prigione, di cui forse tra breve avremo bisogno per l’immediata utilizzazione nel Paese». Gli originali riposavano nell’allora alla sede del Comintern, e da lì arrivarono direttamente a Togliatti. Per il Migliore, l’operazione Gramsci è una priorità, tanto che già nel maggio 1945 sistema quello che per lui era un tassello fondamentale. Accordarsi per la pubblicazione con una casa editrice prestigiosa e non di partito, ma contigua idealmente al partito: Einaudi. Il materiale da pubblicare era sterminato, e Togliatti puntò in primis sulle Lettere dal carcere, non sui

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/cos-cultura-italiana-diventata-comunista.html

 

 

 

 

Sull’umanità particolare che si sviluppa nei tempi bui

di Melissa Pignatelli – 28 gennaio 2019

Hannah Arendt, in L’umanità in tempi bui (Raffaello Cortina Editore, 2006) riflette su una particolare forma di umanità che si sviluppa in condizioni di pressione, incidendo nel rapporto tra un individuo e lo spazio pubblico nel quale vive.

“La storia conosce molti periodi in cui lo spazio pubblico si oscura e il mondo diventa così incerto che le persone non chiedono più alla politica se non di prestare la dovuta attenzione ai loro interessi vitali e alla loro libertà privata. Li si può chiamare tempi bui “. (B. Brecht)

La Arendt prosegue il suo ragionamento avanzando l’ipotesi di una particolare forma di umanità che cancella le divisioni del mondo, unisce le persone in maniera intensa, e fa sentire anche agli esterni una gioia ed una forza profonda.  L’anima di questo sentimento profondamente umano e “naturale” e lo spirito di fraternità. Questo sarebbe il sentimento e la passione più preziosa generate quasi spontaneamente laddove le condizioni esterne premono sugli individui al punto tale da “togliere la parola” e da portarli a cercare rifugio nell’isolamento dal mondo.

Come esempio di spirito di fraternità emerso dai tempi più bui che il XX° secolo abbia attraversato, la Arendt porta quello molto forte della comunità ebraica:

“L’umanità nella forma della fraternità fa inevitabilmente la sua comparsa nella storia presso i popoli perseguitati e ridotti in schiavitù. Nel XVIII secolo doveva essere pressoché naturale scoprirla tra gli ebrei, allora nuovi arrivati nei circoli letterari. Questo tipo di umanità è il grande privilegio dei popoli paria; è il vantaggio che i paria di questo mondo possono avere sempre e in tutte le circostanze sugli altri”.

“E’ un privilegio pagato caro; spesso accompagnato da una perdita del mondo tanto radicale, da un’atrofia tanto terrificante di tutti gli organi per mezzo dei quali entriamo in comune con cui ci orientiamo in un mondo condiviso con gli altri al senso della bellezza o al gusto, con cui amiamo il mondo – che nei casi estremi, in cui la condizione di paria si è prolungata per secoli, possiamo parlare di reale acosmia (eng.wordlessness, ted. weltlosigkeit, NdA) e l’acosmia, purtroppo

 

Continua qui: https://larivistaculturale.com/2019/01/28/umanita-tempi-bui-hannah-arendt-memoria-raffaello-cortina-libri-recensione-analisi-filosofia/

 

 

 

 

 

È morto a 98 anni il critico letterario Jean Starobinski

GIOVEDÌ 7 MARZO 2019

 

Il critico letterario e scrittore svizzero Jean Starobinski è morto lunedì a Morges, in Svizzera: aveva 98 anni. Starobinski era nato a Ginevra nel 1920 e si era laureato in Lettere e successivamente in Medicina, con una specializzazione in psichiatria.

Si era però fatto conoscere soprattutto come critico letterario. Armando Torno lo ha definito sul Sole

Continua qui: https://www.ilpost.it/2019/03/07/jean-starobinski-morto/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Controllo sociale e tecnica di “False-Flag”: come ingannare e dominare le masse

Nicola Bizzi –

Il grande filosofo e teorico della comunicazione statunitense Noam Chomsky ha elaborato e sintetizzato un utile prontuario che ci spiega le dieci fondamentali tecniche che utilizza il potere, su scala mondiale, per dominarci, condizionarci e farci accettare, in nome di un presunto “nobile fine”, le decisioni e le leggi più aberranti e vessatorie.

E devo ammettere che Chomsky ci ha visto giusto: avviene proprio sulla base di queste dieci “strategie” la progressiva realizzazione ed attuazione di quel Nuovo Ordine Mondiale che sta schiacciando le identità dei popoli e degli stati e che sta annientando e annichilendo tutte le nostre libertà e conquiste civili faticosamente raggiunte in millenni di civiltà.

Ritengo che, per ribellarsi e passare al contrattacco, sia fondamentale conoscere e capire queste strategie di controllo sociale, che qui di seguito Vi riporto per intero. Vi parlerò poi nel dettaglio di un’altra strategia, che si riallaccia alla seconda regola enunciata da Chomsky, da sempre utilizzata dal potere per ingannare le masse e per carpirne il consenso: quella della “False-Flag”.

 

LE 10 REGOLE PER IL CONTROLLO SOCIALE INDIVIDUATE DA NOAM CHOMSKY

 

L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élite politiche ed economiche.

 

1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione, che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élite politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.

La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della Scienza, dell’Economia, della Psicologia, della Neurobiologia e della Cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali”. Questa citazione, come altre che seguiranno in questa esposizione, è ripresa dal testo “Armi silenziose per guerre tranquille”, un documento datato Maggio 1979 trovato “fortuitamente” il 7 Luglio 1986 in una fotocopiatrice della IBM acquistata ad un’asta di attrezzature militari. Il documento, un vero e proprio “manuale di programmazione della società”, non reca la firma dell’ente o dell’organizzazione che lo ha prodotto e si ritiene che fosse in possesso dei servizi della US Navy, ma varie fonti ritengono che sia stato redatto dal Gruppo Bilderberg.

 

2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione-soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

 

3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

 

4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. É più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

 

5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché?

“Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedi sempre il documento “Armi silenziose per guerre tranquille”).

 

6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…

 

7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi sempre “Armi silenziose per guerre tranquille”).

 

8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…

 

9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile delle proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto-svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

 

10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élite dominanti. Grazie alla Biologia, alla Neurobiologia e alla Psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

 

Consiglio ai lettori di questo articolo di studiare a fondo queste dieci semplici regole e di tenerle sempre in mente. Vi accorgerete di come esse vengano applicate quotidianamente dai nostri governanti e da tutti i mezzi di informazione e comunicazione di regime.

 

In un mio precedente articolo sono andato a scomodare Richard Dawkins per parlarvi del concetto di “meme”, un’entità di informazione che si propaga come un virus da una mente ad un’altra o, nell’eccezione dawkinsiana, un’unità auto-replicante di informazione culturale che, come abbiamo visto, può fare molti danni se creata ad hoc con lo scopo di diffondere disinformazione o notizie falsate presso l’opinione pubblica. E Vi ho citato a riguardo molti esempi.

Dato che uno degli scopi che si prefigge questo blog è, oltre a trasmettere e diffondere contro-cultura e contro-informazione, quello di far riflettere i lettori e di insegnare loro – senza presunzione e nei limiti del possibile – a non credere ciecamente alle informazioni propinate quotidianamente dai quotidiani di regime e dai mass media in genere, continuiamo allora a parlare di libera informazione, o, meglio, di libertà di informazione. E, continuando appunto su questo filone, vi spiegherò questa volta il concetto e il significato di “false flag”, neologismo anglosassone coniato già durante la II° Guerra Mondiale, del quale l’enciclopedia in rete Wikipedia ci fornisce una esaudiente spiegazione:

“La tattica false flag, o operatività sotto falsa bandiera, è una tattica segreta condotta generalmente da grandi compagnie, agenzie d’intelligence, governi, o gruppi politici, e progettata per apparire come perseguita da altri enti e organizzazioni anche attraverso l’infiltrazione e/o lo spionaggio di questi ultimi. Il nome deriva da ‘false’ e ‘flag’, ossia bandiera falsa. L’idea è quella di ‘firmare’ una certa operazione per così dire “issando” la bandiera di un altro stato o la sigla di un’altra organizzazione. Un’operazione ‘false flag’ può vedersi come la versione in grande, strategico-politica, di un falso d’autore, ma non solo: la tattica falsa bandiera non si limita esclusivamente a missioni belliche e di contro-insorgenza, bensì viene utilizzata anche in tempi di pace, come ad esempio nel periodo italiano della strategia della tensione, e copre anche operazioni nelle quali il nemico viene guidato a sua insaputa verso il raggiungimento di un obiettivo che lo stesso nemico può persino ritenere essere connaturale al completamento della propria missione e/o all’attuazione della propria strategia”.

Pur non mancando addirittura nella storia antica numerosi esempi che potrei citarvi, in tempi più recenti possono essere classificati come “false flag” l’incidente di Gleiwitz del 1939, con cui Reinhard Heydrich costruì ad arte un “attacco polacco” per mobilitare l’opinione pubblica tedesca, e per fabbricare una giustificazione falsa per l’invasione della Polonia. Oppure l’episodio di Mukden del 1931, quando funzionari giapponesi costruirono un pretesto per annettere la Manciuria facendo esplodere una sezione di ferrovia. In seguito, produssero la falsa affermazione per cui sarebbe stato rapito uno dei loro soldati nell’episodio del ponte Marco Polo, come scusa per invadere la Cina. E, tornando al 1939, si verificò un caso di false flag quando l’Unione Sovietica di Stalin bombardò il villaggio di Mainila alla frontiera con la Finlandia, diffondendo poi la notizia di molte vittime. L’episodio fu utilizzato come giustificazione per attaccare il paese scandinavo.

Altro caso “classico” di false flag potrebbe essere l’Operazione Northwoods, pianificata (ma mai eseguita) da parte di gruppi di funzionari di alto livello del governo statunitense, e finalizzata a inventare pretesti per una guerra contro Cuba. Tale operazione includeva scenari come la simulazione del dirottamento di un aereo passeggeri facendo cadere la colpa su Cuba, oppure atti terroristici contro immigrati cubani negli USA, da rimproverare a terroristi castristi. Scritta e firmata dai Joint Chiefs of Staff (gli Stati Maggiori riuniti delle Forze Armate statunitensi), fu bocciata dal Segretario alla Difesa Robert McNamara e venne alla luce solo grazie alla legge per la libertà di informazione, il Freedom of Information Act, e fu resa pubblica da James Bamford.

Anche la storia recente è letteralmente disseminata di casi di false flag. Basti ricordare l’efferata strage di civili al mercato di Sarajevo, operata e condotta dalle truppe musulmano-bosnianche di Alja Izetbegovic per far ricadere la colpa sui Serbi.

Ma veniamo a tempi più recenti. É del 12 Marzo di due anni fa una notizia che tutti attendevamo (o quantomeno l’attendeva il sottoscritto); notizia che, naturalmente, è passata rigorosamente sotto silenzio sui nostri quotidiani e sui nostri notiziari. Adesso è ufficiale: tracce di esplosivi di nano-termite sono stati individuati tra i detriti delle Twin Towers del World Trade Center di New York. Sì, proprio le Torri, quelle Torri che l’opinione pubblica americana e non è stata indotta a credere siano state abbattute dal più terribile e spettacolare attentato terroristico della storia. Analizzando numerosi detriti raccolti subito dopo il crollo, il Dr. Steven Jones, professore di Fisica della Brigham Young University, coadiuvato da un team internazionale composto da nove scienziati, ha individuato chiaramente residui di esplosivo nano-termite, generalmente usato per scopi militari e per le demolizioni controllate degli edifici. Dopo un rigoroso processo di peer-review, la notizia della scoperta e la relativa documentazione sono state pubblicate sulla prestigiosa rivista scientifica Bentham Chemical Phisycs Journal, una delle testate più accreditate e rispettate negli U.S.A. In sintesi, come già dimostravano (per chi aveva gli occhi attenti per capirlo) alcuni filmati girati durante il crollo, è possibile adesso affermare ufficialmente che a determinare il crollo delle Twin Towers non sono stati gli aerei che le hanno colpite, ma tutta una serie di cariche di esplosivo piazzate con estrema perizia e maestria in numerosi punti dei due edifici.

Sempre nel 2011, il giorno 2 Maggio, i telegiornali e i siti internet di tutto il mondo hanno dato la notizia di un blitz delle forze speciali americane in territorio pakistano, durante il quale sarebbe stato ucciso nientemeno che il famigerato leader di Al Qaeda Osama Bin Laden. Già dopo aver letto le prime agenzie stampa sulla dinamica dell’operazione e aver rilevato delle grossolane incongruenze, coronate dalla notizia del presunto funerale in mare (secondo “rito islamico”!?!) del barbuto sceicco, ricordo di aver esclamato “Ma ci hanno veramente presi per degli idioti!”.

Adesso, ad oltre due anni dalla vicenda, i miei sospetti che si trattasse di una ennesima false flag, costruita ad arte da un’amministrazione Obama in crisi di identità e in forte calo di consensi, appaiono sempre più fondati.

A parte il fatto che tutta la storia della sedicente Al Qaeda, dall’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1980 in poi, per chi la conosce bene o semplicemente si è degnato di approfondirla, appare già di per sé come una colossale montatura

Continua qui: http://www.signoraggio.it/controllo-sociale-e-tecnica-di-false-flag-come-ingannare-e-dominare-le-masse/

 

 

 

Venezuela: la CIA potrebbe eliminare Guaido?

Stefano Zecchinelli • 9 marzo 2019

Il presidente venezuelano Maduro ha resistito alla prima fase del progetto di restaurazione reazionaria, ma il tentativo di destabilizzare il governo venezuelano non finisce qui. Il cambio di regime classico all’interno del Piano Cerebrowski viene definito da Thierry Meyssan un’arma di distrazione; l’obiettivo reale degli USA è quello di scatenare un conflitto regionale funzionale a distruggere il Bacino dei Caraibi. Gli USA hanno tre opzioni: (1) infiltrare paramilitari neonazisti dalle frontiere brasiliana e colombiana; (2) provare ad attaccare, in modo banditesco, obiettivi militari all’interno dello Stato venezuelano; (3) cercare il casus belli eliminando qualcuno dei loro fantocci. Le prime due opzioni sono difficilmente percorribili: Brasile e Colombia uscirebbero sconfitte da un conflitto armato con Caracas, che godrebbe dell’assistenza militare sino-russa. La CIA prepara un nuovo lavoro sporco?

Il politologo marxista Atilio Boron percorre questa pista, ovvero la CIA ‘’potrebbe sacrificare Juan Guaidò, eliminandolo, data l’inutilità della manovra, e incolpare della sua morte il governo bolivariano. Con questo si cercherebbe di creare un clima mondiale di rifiuto che giustificherebbe, con l’aiuto della stampa canaglia, un’operazione militare su larga scala. E’ chiaro che questo sarebbe un gioco di altissimo costo politico perché la credibilità del governo degli Stati Uniti a fronte di un fatto di questo tipo è uguale a zero’’

  1. Il signor Guaido è una carta sporca, disprezzato dai chavisti e considerato un (in)utile idiota dagli anti-chavisti; di gente come lui si può sempre fare a meno. Aldilà di questo personaggio politico educato alla corte di Soros e dell’OTPOR

2, è molto importante inquadrare (in termini analitici e non propagandistici) la strategia dell’imperialismo americano-sionista prevedendone le (catastrofiche) mosse.

 

Thierry Meyssan: ‘’Rendere ciechi i protagonisti’’

La guerra di quarta generazione, meglio definita dagli esperti di comunicazione come guerra psicologica, rende ciechi i protagonisti; la stragrande maggioranza dei cittadini si ritrova totalmente incapace di fare previsioni.

Il conflitto in corso risparmierà pochissimi stati sudamericani. Il governo neofascista brasiliano verrà trascinato – foraggiato da Trump e Netanyahu – in un conflitto che porterà il paese verso la catastrofe. Colombia e Guyana sono stati, ma non conoscendo l’integrazione sociale non possono autodefinirsi nazioni; le aree geografiche sono ridistribuite sulla base della classe sociale d’appartenenza con la borghesia metropolitana che spadroneggia su popoli ridotti all’anonimato. Il piano del complesso militar-industriale è funzionale alla logica dei neoconservatori: la distruzione del mondo non globalizzato, un progetto perseguito da uomini come Bush, McCain, Horowitz e Bannon. Conclusione: l’Alt Right è una costola del neoconservatorismo, con alcuni aggiustamenti più mediatici che politici.

Lo studio di Thierry Meyssan ci aiuta, finalmente, ad abbozzare delle previsioni in linea col lavoro degli studiosi di geopolitica:

“Pur supponendo che Guaidò si sia autoproclamato presidente ad interim credendo di poter risolvere la crisi e servire il proprio Paese, in realtà ha fatto il contrario. Il suo gesto provocherà una situazione che verrà assimilata a una guerra civile. Guaidò o i suoi successori chiameranno in soccorso i fratelli latino-americani. Brasile, Guyana e Colombia dispiegheranno [sedicenti] forze di pace sostenute da Israele, Regno Unito e Stati Uniti. I disordini continueranno fino a quando intere città saranno ridotte

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“Così i servizi segreti condizionano il potere”

Scritto da Aldo Giannuli – 12 febbraio 2019

Alcuni giorni fa ho rilasciato questa intervista a Giacomo Russo Spena, giornalista e attento osservatore del nostro tempo. Buona lettura! A.G.

 

1) I servizi segreti sono considerati, da sempre, come apparati dello Stato. La globalizzazione ha cambiato l’intelligence? E in che modo?

Per la verità i servizi segreti privati esistono da molto più tempo, la globalizzazione ne ha dilatato enormemente il campo d’azione e il numero di soggetti. Nel mondo globale l’arma più importante è l’informazione, sia per i governi che per le aziende che sono interessate a monitorare in anticipo i movimenti di borsa, spiare le mosse dei concorrenti, proteggere il proprio personale tecnico in impianti petroliferi, difendersi dagli attacchi informatici. E questo richiede un apparato professionale specifico i cui operatori, spesso sono ex funzionari dei servizi segreti statali. E’ così che è nata la “comunità dell’intelligence” che associa pubblico e privato e crea reti di relazioni internazionali.

2) In alcuni precedenti libri ha spiegato bene come la manipolazione informativa, le veline ai giornali, finanche l’omicidio e il rapimento, siano stati gli strumenti utilizzati dall’intelligence negli scenari della lotta al terrorismo. E’ ancora così?

E’ sempre più che mai così, si pensi agli omicidi mirati: non ce ne sono mai stati tanti e, quanto alla disinformazione è l’altra faccia della battaglia per l’informazione: sapere cosa accade ma anche confondere le idee agli avversari.

3) Perché lo spionaggio, oggi, si appresta a conquistare il centro della scena?

Soprattutto per due ragioni: in primo luogo perché la conflittualità mondiale ha assunto la forma di guerra coperta, incessante ed onnidirezionale: coltivare rapporti con formazioni guerrigliere, destabilizzare una economia, condurre attacchi cyber, alimentare campagne scandalistiche ecc sono cose che solo un organismo ad hoc può fare ed i servizi fanno, appunto, questo.

In secondo luogo i decisori politici (ma anche quelli finanziari) hanno sempre più bisogno di orientarsi nella crescente complessità del mondo globale, quel che esige una minuziosa analisi che è uno dei campi in cui i servizi si sono specializzati dal 1945 in poi ed in modo crescente. A quel punto, il passo fra formazione della analisi ed indicazione di una strategia è molto breve ed i governi spesso sono fortemente condizionati dalle indicazioni dei loro servizi

4) Nel libro passa dalla destabilizzazione monetaria al terrorismo, dalla guerra cognitiva alla manipolazione dello high frequency trading, dagli attacchi cyber al reverse engineering. Ci aiuta a capire meglio anche per un pubblico non esperto in materia?

E’ l’idea della guerra asimmetrica: costringere un avversario o un concorrente a piegarsi alla nostra volontà attraverso forme diverse e concentriche di pressione: da un attacco cyber ad una campagna scandalistica, da un’operazione di spionaggio industriale (e il reverse engineering è una delle forme di questo spionaggio) alla destabilizzazione della moneta. Insomma, tutto quello che serve, momento per momento.

5) Quali sono le strutture di nuovissima generazione? Ci fa esempi pratici?

In tutto il mondo si sta manifestando una tendenza a specializzare il lavoro dei servizi creando agenzie specifiche, ad esempio i cinesi hanno per 14 servizi segreti (di cui uno, appunto, per il reverse engineering) oppure orientare a

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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

La rivolta degli arditi

Gli Usa ci spiano e noi zitti. Sbarcano fiumi di migranti e l’Europa se la squaglia

Marcello Veneziani – Gio, 31/10/2013   RILETTURA

Gli Usa ci spiano e noi zitti. Sbarcano fiumi di migranti e l’Europa se la squaglia. L’euro si rafforza a scapito dell’export e uccide le imprese. L’Europa ci tiranneggia con i suoi diktat contabili e minaccia punizioni. Le banche fanno, come scrive Luciano Gallino in un libro coraggioso, Il colpo di Stato, ispirato a Davos e alla speculazione finanziaria.

Per una volta vi invito a mettere in fila cose disparate in una visione del mondo. Non avvertite il peso di una sudditanza? Non vi sentite schiacciati, calpestati, da una MegaMacchina, un Superpotere, che ci succhia sangue, lavoro e imprese?

I domestici locali ci affogano nelle tasse per servire Sua Maestà Il Debito Sovrano, ci bombardano la casa, spiano i conti correnti, esigono più tracciabilità quando il problema oggi è la liquidità. Per carità, poi ci sono gli sperperi, la corruzione

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/interni/rivolta-degli-arditi-cuc-963426.html

 

 

 

ECONOMIA

SUB-PRIME DI NUOVO. STESSE CAUSE, STESSI EFFETTI

Maurizio Blondet  11 Marzo 2019

Sette milioni di americani hanno cessato di pagare il prestito per l’auto. E’ esattamente la situazione che nel 2007 provocò la cosiddetta crisi dei sub-prime, e a cui dobbiamo l’immane collasso delle economie americana prima, occidentali poi, da cui non ci siamo ancora ripresi.

https://www.cbsnews.com/news/car-loan-delinquencies-record-7-million-americans-behind-on-car-loan-payments-red-report-says/

E il perché non ci siamo ripresi, è evidente da questa stessa notizia:  non è stato vietato alla finanza speculativa di compiere le azioni devastanti che compirono allora,prestando irresponsabilmente ,  e più in generale   il capitalismo terminale non è stato messo sotto  tutela  da chi doveva mettercelo. Chi, se non lo Stato? Ma la finanza ha comprato lo Stato…

E’ bene almeno ricordare con quali azioni – disoneste e criminali – la finanza ha portato al collasso economico. Tutto comincia con banche e banchette che vanno a cercare, fanno firmare mutui per la casa (o per l’auto a rate) a persone di basso reddito: tipicamente, la ragazza-madre negra con due bambini e un posto di commessa al supermercato da 300 dollari la settimana.

Sono debitori “subprime”, ossia di bassa qualità: significa che probabilmente non potranno pagare i ratei dei mutui. Parecchi hanno già un passato di insolvenze e bancarotte.  Ma allora perché banche e banchette Usa sono andati e cercarseli, addirittura? Non capiscono che si assumono un rischio, il rischio d’insolvenza?

Finanza creativa significa: rifilare i rischi ad altri

Ebbene: no che non si accollano il rischio, le banche.  Hanno trovato il modo di rifilare il rischio a qualcun altro, ignaro.  Il trucco si chiama “securitization” in italiano cartolarizzazione: un prodotto, allora nuovo, della “finanza creativa” .  Unire e mescolare insieme migliaia di questi contratti di mutuo,   farne una specie di macinato, e come   un  salame, tagliarli a fette  e venderle –  nella forma di “titoli che rendono un bell’interesse perché coperti da mutui” (MBS, Mortgage-baked Securities) e Obbligazioni coperte da  debiti (CDS):  “coperte” nel senso che la ragazza madre avrebbe continuato mese per mese ad onorare debito ed interesse. Interesse alto, proprio perché lei come debitrice è  a rischio di fallire.

Questi “titoli” sono stati venduti essenzialmente a grandi fondi che hanno bisogno di ottenere  un flusso di interessi continuo per pagare, poniamo, le pensioni o le assicurazioni: fondi-pensione e fondi-assicurazione. I cui gestori – i famosi competenti – hanno acquistato scatola chiusa, accollandosi i debiti di migliaia di ragazze madri negre o di precari messicani   che  si sono comprati l’auto a prestito.  Erano stupidi, i gestori? No. Sapevano, ma per un  po’ tutta la finanza andava benissimo, per un ovvio motivo:  poiché milioni di ragazze madri negre hanno comprato casa, l’immobiliare ha avuto un vero boom, e anche i prezzi degli immobili salivano alle stelle.

Tanto bene che la ragazza negra vedeva la sua casetta aumentare di “valore”,  aveva  contratto un mutuo da 100 mila e ora la casa,  sul “mercato”,  valeva 300 mila; quando diceva  di non riuscire a pagare il suo debito,  veniva contattata dal  funzionario della banca che  gli aveva fatto firmare il mutuo e le diceva: “Niente paura!    Noi  le accendiamo un secondo  mutuo sulla casa, che è tanto aumentata di valore! Le diamo altri  soldi a prestito!  Quando il valore della casa aumenterà ancora – sicuramente lo farà, non vede che boom? – potrà restituire il nuovo debito. Senza problemi.   Lei sta diventando ricca, missis Jane!”.

Ovviamente i  prezzi   immobiliari han cominciato a crollare. Nel 2006-7.E missis Jane s’è trovata aggravata da due mutui per 300 mila dollari, garantiti da una casetta di legno che ne valeva 200 mila, anzi presto 100 mila…E milioni di negre ragazze-madri non sono state più in grado di pagare. Migliaia di case sono state pignorate e si sono messe “sul mercato”, facendo ancor più crollare i prezzi.  Altri   debitori hanno addirittura abbandonato le case..  Altri vi si  sono uccisi dentro.   Una tragedia raccontata solo in parte da qualche crudo film.

Già sarebbe stato grave se le banche mutuatarie avessero mantenuto i mutui  nei loro libri contabili:  in fondo s’erano accollate il rischio – l’azzardo  – di prestare a debitori palesemente incapaci, e quindi ne pagassero il prezzo, fallendo. Il punto è, come abbiamo ricordato, che  il rischio insolvenza (migliaia  di rischi-insolvenza) l’avevano  sbolognato nel bellissimi “nuovi prodotti finanziari”  creativi che avevano rifilato ai fondi-pensione e alle assicurazioni. Quindi sono stati questi a fallire – o a rischiare di fallire. Facendo mancare la pensione a decine di  milioni di anziani, come infatti accaduto  in molti casi.

Ma   i fondi-pensione e le grandi banche sono “troppo grandi per fallire” Lo Stato ha dovuto interventire. Iniettando trilioni di dollari (creati dal nulla:  quando la  finana lo vuole, lo Stato lo fa) nel sistema. O in quella  parte del  sistema  che la dottrina liberista gli prescrive di investire per salvare il resto: il mercato azionario. Sostenendo i corsi delle azioni  – ossia  gonfiandoli – si è “salvato” tutto, sia i fondi-pensione  (che avevano investito in azioni, oltre  che nei titoli cartolarizzati, ossia  confezionati come “Securities”, ossia  obbligazioni.

Così  si è prodotto lo strano boom che ancora vediamo:  boom dei valori  azionari, e azionisti che diventano miliardari a centinaia di miliardi per  avere inventato imprese che non producono nulla   (Amazon, Google..),  e  insieme, migliaia di senza-casa  e senza-lavoro che fanno i loro bisogni sui  marciapiedi , e  decine di migliaia di lavoratori precari che muoiono di oppiacei. I miliardi creati dallo Stato non sono scesi ai piani bassi – non hanno alimentato l’economia reale, ma solo la bolla immane  dei ricchissimi.

A quel punto  lo Stato avrebbe  potuto  – e dovuto  – imporre alla finanza di non osare più rifilare ad altri i debiti che essa aveva fatto contrarre alla ragazza-madre  e altri debitori-subprime.  Distinguere, nelle banche, l’attività di deposito da quella di speculazione. Roosevelt riuscì a farlo egli anni ’30, con la legge Glass STeagall –  e già allora vincendo una resistenza   spesso soverchiante della speculazione, sostenuta dalla dottrina del mercato (e dalla Corte Suprema che dà ragione agli usurai contro l presidente). In Italia, le banche furono nazionalizzate, i proprietari cacciati a calci senza indennizzo, e  lo Stato si assunse l’economia reale e la produzione con l’IRI.

Ma ormai,   la finanza speculativa è diventata troppo grossa e troppo ricca per lasciarsi mettere le redini.  E  inoltre, visto che nessun  potente della finanza ha pagato per i suoi delitti  da  irresponsabile  (perché un banchiere che indebita milioni di  persone che sa non possono pagare è, come minimo, un incosciente sconsiderato),  ciò  ha instaurato il clima di  irresponsabilità ai banchieri centrali,  alle oligarchie – tipicamente l’eurocrazia  che si è sottratta a qualunque  giudizio  etico popolare – e delle  stesse popolazioni,  ormai incapaci di esprimere un giudizio morale sui governanti, visto che vivono esse stese in  una irresponsabilità dove la morale, anche familiare,   è un fardello  che  hanno felicemente deposto:”Dio patria famiglia, che vita di merda”, come proclama la ridente Cirinnà.

 

Se  in America questo è evidente nello strano boom   con senzatetto che la fanno per strada, e  i milioni che tornano a comprare   auto a credito e non possono pagarle, in Europa è ancora peggio:   qui è la banca centrale – diretta da uno di Goldman Sachs, perché stupirsi?  – che ha imposto austerità e ribassi di salari, disoccupazione “per pagare i debiti pubblici troppo alti”.  Tutte misure a solo favore dei creditori e  a danno della stessa economia reale, perché sono i creditori che vogliono essere pagati, non tollerano nessun default, rivogliono i loro miliardi che hanno prestato –  in eccesso – a debitori che sapevano benissimo non essere in grado di onorare  il  debito.

Nella UE, la Grecia predata perché debitrice-subprime

E’ il caso della Grecia, verso cui le Germania ha imposto le politiche predatorie che sappiamo:  dopo che è stata indebitata fino all’inverosimile dalle banche tedesche e francesi.   La Grecia è  stata l’equivalente  nell’euro-area della ragazza-madre americana da 300  dollari settimana, a cui le banche tedesche hanno permesso spese pazze, che adesso le rimproverano.  In questo caso, le banche tedesche l’hanno indebitata a iosa,   ricavando lucrosissimi interessi fino a  quando è durato, in piena irresponsabilità gestionale, sapendo che  non si tenevano il rischio insolvenza sui loro libri contabili. A  chi l’hanno accollato? A tutti gli altri che condividono la moneta comune, l’euro.  Non avrebbero prestato tanto alla Grecia (con l’aiuto di Draghi, allora a Goldman Sachs) se non  con l’ implicita intesa che un paese della zona euro non sarebbe  mai stato lasciato fallire – che la ragazza—madre avrebbe continuato a pagare –  perché  c’era la Banca Centrale   di emissione, che sarebbe intervenuta.  Il debito greco insomma, benché enorme rispetto alle posisbiltà economiche del paese, era “garantito” dalla BCE.

Di fatto, era garantito da noi italiani, che abbiamo versato miliardi al fondo di garanzia. Adesso, il nostro debito, la BCE non lo garantisce affatto: e la Bundesbank ci rimprovera ogni giorno, e ci punisce con  lo spread, perché rischiamo  l’insolvenza:  tagliamo i salari rientriamo al  debito al  60% del Pil, facciamo avanzo primario! Ce lo chiede l’Europa.

Questa è la storia fin qui. I  7 milioni di americani che hanno cessato di pagare il rateo dell’auto, ci dicono che tutto ricomincia.  Sicuramente, le banche che li hanno indebitati,  mica si sono tenuti il rischio ; l’hanno certo sbolognato con prodotti finanziari creativi nel sistema finanziario generale – ampliando a dismisura il collasso prossimo venturo, come già fecero allora..   Questo è  il liberismo, il mercato senza limiti, dell’accoglienza  senza confini,  degli Stati che sono superati, il che significa senza compartimenti stagni

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GIUSTIZIA E NORME

Regolamento Ue Privacy: testo, articolo 13 e cosa cambia

www.termometropolitico.it – Valentina Juric – 10 marzo 2019

 

Quando si parla di dati personali ci si riferisce a qualsiasi informazione su una persona fisica identificata o identificabile. Nome, cognome, indirizzo e-mail, data di nascita o stato di famiglia, per fare degli esempi.

La tutela della Privacy è uno di quei pochi ambiti collegati ad internet ed alle nuove tecnologie che presenta una disciplina normativa organica e strutturata.

Risale al 2016 il Regolamento Ue n. 679/UE, che reca norme sulla “tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati”.

Gli stati membri avevano due anni di tempo per predisporre l’adeguamento della normativa interna. Dal 25 maggio 2018 il Regolamento è definitivamente applicabile su tutto il territorio comunitario.

Cosa prevede il nuovo Regolamento UE su privacy

L’esigenza di una nuova normazione a livello comunitario nasce dallevoluzione tecnologica degli ultimi anni e dal conseguente aumento dello scambio di dati tra soggetti.

Per questo il Regolamento ha agito su due fronti: meno vincoli alla libera circolazione dei dati e più protezione.

Ha innanzitutto riformato la normativa sulle modalità di diffusione dei dati personali e sul diritto all’oblio, oltre a prevedere la “responsabilizzazione” per i titolari del trattamento dei dati e l’istituzione nelle aziende del Data Protection Officer, nonché di un Registro delle attività di trattamento.

Un’importante novità ha riguardato anche l’ambito di applicazione del Regolamento: anche per le imprese con sede fuori dall’Unione europea che operano sul territorio comunitario.

Ecco le novità in materia di informativa

Interventi significativi anche in materia di informativa sul trattamento dei dati, con il nuovo art. 13 del Regolamento.

Viene predisposto un elenco tassativo dei doveri informativi. Si prevede

Continua qui: https://www.termometropolitico.it/1401719_regolamento-ue-privacy-articolo-13.html

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Povera Italia: giù i salari, ai dipendenti 1000 euro in meno

Scritto il 11/3/2019

L’austerity ha devastato i salari italiani, che hanno perso mille euro di potere d’acquisto negli ultimi sette anni. Se n’è accorta la Fondazione Di Vittorio, centro studi della Cgil che mette a confronto le retribuzioni medie dei lavoratori dipendenti italiani con quelle del passato, paragonandole a quelle degli altri grandi paesi europei. Risultato sconfortante: in Italia gli stipendi si sono “ristretti”, mentre all’estero – in particolare in GermaniaFrancia– sono saliti. Il report della Fondazione Di Vittorio rileva le retribuzioni lorde (dati Ocse) dal 2001 al 2017. Sorpresa: in Italia c’è stata una sostanziale “stazionarietà” dei salari, mentre dal 2010 al 2017 si è verificata una perdita di 1.059 euro, circa il 3,5%. L’analisi, scrive “Repubblica”, è basata sui salari reali, cioè «aumentando “virtualmente” le retribuzioni di allora, come se i prezzi del 2010 fossero stati gli stessi di oggi». Se nel 2010 la retribuzione media in Italia era di 30.272 euro, sette anni dopo è scesa a quota 29.214. Ovvero: possiamo comprare 1.000 euro di beni e servizi in meno. Tutt’altra musica in Germania: il lavoratore dipendente tedesco, che già nel 2010 era pagato meglio del collega italiano (35.621 euro), nel 2017  riceveva 39.446 euro, cioè 3.825 euro in più. In crescita anche i salari francesi: circa 2.000 euro in più: il 5,3% (da 35.724 euro a 37.622).

Evidente che il sistema-Italia è quello che più ha sofferto delle politiche di rigore indotte dall’Eurozona. La fondazione della Cgil punta il dito contro i contratti-pirata che tengono i salari sotto al minino, ma l’analisi – firmata da Lorenzo Birindelli – denuncia soprattutto il part-time e i lavori discontinui, che l’Ocse include nella rilevazione, considerandoli come prestazioni full time. Le nostre retribuzioni per i lavoratori a tempo parziale sono più basse della media dell’Eurozona: da noi valgono il 70,1% del full time, mentre nel resto d’Europa l’83,6%. Grave la carenza di “capitale umano” nel nostro paese: in calo la quota di dirigenti e di professioni tecniche. In sostanza, «in Italia si è ridotta la presenza delle alte qualifiche (7 punti percentuali in meno in questo ultimo ventennio) mentre sono aumentate di 2 punti percentuali le basse qualifiche». Come rimediare? Secondo Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio, serve un intervento su qualità e quantità dell’occupazione

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/03/povera-italia-giu-i-salari-ai-dipendenti-1000-euro-in-meno/

 

 

 

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

Nessuno è sicuro di cosa voglia dire “Europa”

  • MERCOLEDÌ 16 GENNAIO 2019

 

Ci sono diverse ipotesi sull’etimologia della parola, anche se sappiamo chi si chiamava così prima del continente

 

VIDEO QUI: blob:https://mediailpost-meride-tv.akamaized.net/9b9081f6-c5b3-4ed6-8560-7f9aeac4140b

 

https://www.ilpost.it/2019/01/16/europa-parola-significato/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Dai padroni oscuri nel 2019 avremo altre finte rivoluzioni

Scritto il 06/1/2019

Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti: l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel 2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente antisistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…

Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze. Come già per lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filosioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani. Da una parte sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico, ma dall’altra anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane. Una modalità molto diversa da quella “gesuitica” fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica.

Di fronte alle varie risposte positive delle coscienze in risveglio, che non si sono fatte sedurre più di tanto dai disegni di centralizzazione e verticalizzazione, i gruppi di manipolazione mondialisti hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali. Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “cattivi” evidenti, e hanno riaperto il ring degli scontri e della devastazione. Ma speriamo bene, soprattutto nelle risposte delle coscienze. Il ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione. Non si tratta di un “salvatore”, come molti in modo ingenuo interpretano il ruolo di questo sanguinario feudatario del potere, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, e che vedremo svilupparsi ancora nel 2019. Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, comincia a mostrare alcune crepe.

Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo già dal 2017. L’influenza della presidenza Trump e degli ambienti conservatori internazionali si è già fatta sentire negli equilibri politici italiani, con l’improvviso risorgere della destra leghista. Una destra che, dietro la sentita esigenza di ordine e sicurezza, nasconde ed esercita una sollecitazione anti-coscienza all’odio e all’egoismo. Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti, illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio. E che sono e saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – anche nel 2019.

Ora queste due appendici italiane del divide et impera mondiale, la destra parafascista della Lega e il gesuitico Cinquestelle, convivono con difficoltà nel governo, pur di sostituire la classe dirigente precedente, ormai decotta e non più utile al potere vero, preparando la stagione di un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e  conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista. Un nuovo teatrino fatto per illuderci che un cambiamento della politica sia avvenuto, concedendo qualcosa alle masse e sacrificando con nostra soddisfazione vecchi gruppi politico-affaristici, pur di consentire ai soliti poteri occulti di continuare a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale. Il progetto di Unione Europea è ormai entrato in una fase di crisi: il vento del divide et impera, sulla spinta della Brexit, delle proteste di piazza francesi, delle spinte leghiste, pentastellate, ungheresi, austriache, polacche, soffia forte sulle strutture europee, accompagnato dalle spaccature create dalla artificiosa e forzata emergenza immigratoria. Tutto ciò avrà un peso nelle elezioni per il Parlamento Europeo del 2019, e da queste potrebbe emergere un nuovo equilibrio delle strutture europee.

Un cambiamento possibile perché nulla cambi, in fondo, nella tenuta dei grandi poteri dietro le quinte, sul modello di quanto sta gattopardescamente avvenendo in Italia. Come già detto lo scorso anno, le forze mondialiste cercheranno in ogni modo di sfruttare anche questa crisi per creare ulteriori emergenze e ricompattarci sotto ulteriori perdite di sovranità. Ma non è detto riescano. Dipenderà molto dal grado di risveglio dell’opinione pubblica. I governi delle grandi potenze occidentali continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie. Mentre il volto antiumano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente, e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo. E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture, e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche neocolonialiste straniere. E i paesi islamici continueranno a svolgere il ruolo di vittime e di volano della creazione di vortici di violenza, odio e paura con effetti anti-coscienza in tutto il mondo. Mentre un Israele sempre più fanatico, duro e nazionalista continuerà a svolgere un ruolo squilibrante in tutto il Medio Oriente.

Le grandi forze industriali continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente il disastro creato dai loro stessi strumenti per evidenziare l’emergenza climatica e spingere il mondo a creare nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità. Anche in questo caso la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti (ma forse favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore peggioramento dell’emergenza ambientale). L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio. Prepariamoci a una lotta dura e intensa, nella quale avremo l’appoggio del Cielo. Fino ad ora questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/01/dai-padroni-oscuri-nel-2019-avremo-altre-finte-rivoluzioni/

 

 

 

 

 

 

MACRON HA PRESO UNO SPUTO IN FACCIA. DA BERLINO.

Maurizio Blondet  10 Marzo 2019

“Insuccessi”  del governo italiano? Dilettantismo? Grossolani errori in politica estera?  Figure di m…?  I nostri media ne stano parlano nelle stesse ore in  cui , se c’è  una figura di m.  da registrare, è  quella di Macron. Ha appena ricevuto uno sputo in faccia dalla vice-Merkel,  e quasi certamente futura cancelliera,   la signora  Annegret Kramp-Karrenbauer  (d’ora in poi AKK).

Il 5 marzo, Macron ha reso pubblica una napoleonica Lettera agli Europei dove ha lanciato “un appello  urgente” per una Europa più forte e unita .  Contro i “populisti”. Qui i punti salienti:

https://www.lettera43.it/it/articoli/mondo/2019/03/04/macron-emmanuel-lettera-europei-elezioni-europee-2019/229772/

Ebbene:   la  signora AKK, in una lettera sul Welt am Sontag, ha risposto picche a tutte le richieste  del piccolo Eliogabalo dell’Eliseo.  Egli  proponeva passi avanti verso gli Stati Uniti d’Europa,  la centralizzazione più spinta. Lei risponde:

No a “centralismo-statismo europeo,  no  alla  messa in comune dei debiti,  no  all’europeizzazione dei sistemi di protezione sociale e  del salario minimo” europeo:   “Sono la strada sbagliata”.

Alla proposte di unire le forze contro i nazionalismi, la AKK risponde da nazionalista-sovranista: “Una nuova fondazione dell’Europa non può funzionare senza gli stati nazionali: forniscono legittimità e identificazione democratica”  –   “Sono gli stati membri che formulano e riuniscono i propri interessi a livello europeo. Questo è ciò che dà agli europei il loro peso internazionale “.

La “strada giusta” invece è questa : la Francia metta a disposizione il seggio  al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per la UE (ossia alla Germania) e la smetta di pretendere che l’europarlamento si riunisca un po a Bruxelles e un po’ a Strasburgo  –  misura  che ha imposto  la Francia  per non si  sa quale senso di grandeur: si   riunisca solo a Bruxelles  e la si faccia finita.

“Niente mutualizzazioni de debiti , ma mutualizzazione del seggio all’ONU”, commenta Coralie Delaume, giornalista e politologa: “…La Germania è attualmente nel trip ‘ciò che è mio è mio, ciò che è tuo è mio”.

L’economista David Cayla parla di “umiliazione”.  Anche la  giornalista tedesca Franziska Brantner scrive  che la proposta di AKK di cancellare la sede di Starsburgo per l’europarlaento è  “una provocazione”.  Per Le Point,  la risposta della vice-Merkel “fa cascare le braccia”.

La umiliazione e la provocazione  servono a mandare il messaggio: non sei tu che guidi la  Unione Europea, siamo “noi”.   E un così calcolato sputo in faccia non ha altro senso che indicare che Berlino non ha bisogno di Parigi – e men che meno di Macron.

Dopo una simile risposta,   Manu dovrebbe  unire le sue forze  ai “populisti” che ha insultato e  che vuole debellare con l’aiuto di Berlino, per unirli in un fronte anti-tedesco. Altrimenti   togliersi di torno e dare  le dimissioni: contestato nelle strade dai GJ, non ha il minimo appoggio in Germania. Il suo progetto di centralismo europeo è  fallito.     Cosa resta a  fare all’Eliseo, se non i balletti verdi?

Ma invece, Antonio Tajani dice che la lettera  di Conte che rilancia   sulla TAV

 

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La Svezia che persegue le pensionate e accoglie l’Isis

di Judith Bergman – 8 marzo 2019

Pezzo in lingua originale inglese: Sweden Prosecuting Pensioners, Welcoming ISIS

Traduzioni di Angelita La Spada

Forse il Consiglio d’Europa ritiene che gli sforzi intrapresi da Åberg per trasformare i suoi connazionali svedesi in poliziotti che perseguono presunti reati d’opinione siano un esempio che gli altri paesi europei dovrebbero emulare?

  • Durante l’interrogatorio, la pensionata ha spiegato: “Mi sono arrabbiata quando ho letto come funziona con gli immigrati e come essi evitino le punizioni per tutto ciò che fanno. Vengono assolti anche se rubano e fanno altre cose. È ingiusto che coloro che commettono gravi crimini possano essere rilasciati…”. La pensionata ha detto che non avrebbe scritto quelle parole se avesse saputo che era illegale. Evidentemente l’ha fatto con la convinzione errata di vivere ancora in uno Stato di diritto democratico. A gennaio, la donna è stata condannata a pagare un’ammenda di 4 mila corone svedesi (443 dollari). Vive con una pensione di soli 7 mila corone svedesi (775 dollari).
  • Le autorità svedesi chiaramente non possono – o non vogliono – perseguire o condannare i jihadisti che hanno così generosamente accolto nel paese; eppure, non hanno scrupoli ad accusare e processare anziane pensionate indifese. Si potrebbe aggiungere che una cultura che rispetta i diritti umani dei combattenti dell’Isis rientrati nel paese più di quanto non rispetti quelli delle donne anziane che hanno paura di questi miliziani è alla fine.

 

Mentre il Servizio di sicurezza svedese garantisce ai cittadini che farà “ancora di più”

per limitare lo sviluppo di ambienti terroristici in Svezia,

il governo svedese acuisce ulteriormente il problema

accogliendo i combattenti jihadisti dell’Isis che fanno rientro nel paese.

Secondo un comunicato stampa diramato il 15 gennaio scorso dal Servizio di sicurezza svedese (Säpo),”l’estremismo islamista che promuove la violenza costituisce attualmente la più grande minaccia per la Svezia”. “Il livello della minaccia terroristica rimane elevato, attestandosi al terzo gradino di una scala di 5. Questo significa che è probabile che avvenga un attacco terroristico”, ha dichiarato Klas Friberg, a capo del Säpo.

“Per contrastare la minaccia del terrorismo, il Servizio di sicurezza lavorerà in futuro in modo ancora più strategico per limitare lo sviluppo di ambienti terroristici. Ciò potrebbe significare occuparsi [omhänderta] di persone che rappresentano una minaccia per la sicurezza o, cooperando con altre autorità, lavorare più duramente per garantire che questi individui siano perseguiti per altri crimini – oppure che le loro opportunità si riducano.

Mentre il Säpo assicura ai cittadini svedesi che farà “ancora di più” per limitare lo sviluppo di ambienti terroristici in Svezia, il governo svedese acuisce ulteriormente il problema accogliendo i combattenti jihadisti dell’Isis che fanno rientro nel paese. Circa 300 persone hanno lasciato la Svezia per andare a combattere per l’Isis e si stima che grossomodo 150 combattenti svedesi dell’Isis siano tornati in patria. Circa 150 di coloro che non hanno fatto ritorno sono stati uccisi.

A gennaio, il capo del Säpo, ha parlato del ritorno dei combattenti dell’Isis descrivendoli[1]

come “persone distrutte che sono rimaste traumatizzate dalla loro esperienza” e ha affermato che la società svedese deve “svolgere un ruolo importante nella loro reintegrazione”.[2]

La legge svedese non consente ai servizi di sicurezza di adottare tutti provvedimenti necessari per contrastare il ritorno dei combattenti dell’Isis, anche se una legge relativamente nuova, finalizzata a risolvere il problema dei terroristi in Svezia, è stata approvata nel 2016. Secondo Fredrik Hallström, vicecapo dell’unità del Säpo che si occupa degli “attori motivati ideologicamente”, la legge non consente, ad esempio, alle autorità di sequestrare o ispezionare i telefoni cellulari e i computer dei combattenti dell’Isis rientrati in Svezia, a meno che non esista un sospetto concreto che sia stato commesso un reato. Inoltre, Hallström afferma che le autorità non sanno se i miliziani rientrati rappresentino una minaccia o meno per i cittadini svedesi: “È anche difficile dirlo perché le valutazioni che facciamo possono cambiare”.

Molti dei combattenti dell’Isis hanno portato con sé le loro famiglie, compresi i bambini piccoli, quando si sono uniti all’Isis. Una famiglia svedofona che era andata a combattere per lo Stato islamico ha realizzato un video amatoriale sulla loro vita di jihad, trasmesso di recente dai media svedesi. In una scena, la madre si esercita a sparare, mentre il padre spiega ai bambini: “Ora guarderemo la mamma mentre fa il jihad”. Il video mostra anche la donna che spara esclamando festante: “È stato fantastico!” e “Allahu Akbar!” (“Dio è il più grande!”).

In un’altra scena si vede il padre mentre si prepara a uscire per andare a uccidere e racconta ai due figli piccoli come aveva rubato un walkie-talkie a un “infedele” al quale aveva sparato alla testa uccidendolo. Il ragazzino spiega al padre come usare al meglio le munizioni del fucile d’assalto e gli chiede di poterlo accompagnare, ma la madre gli dice che suo padre pensa che sia ancora “troppo piccolo”. La voce narrante del film spiega che molti bambini delle famiglie appartenenti all’Isis sono tornati in Svezia con i loro genitori e frequentano gli asili e le scuole del paese. La famiglia del video è una delle tante. Tuttavia, le autorità locali svedesi non sannoquanti bambini siano tornati. Secondo un sondaggio condotto dal canale televisivo svedese SVT sui Comuni del paese, questi ultimi sono a conoscenza del rientro di 16 adulti e 10 minori, su 150 reduci.

Già nel giugno del 2017, l’allora capo del Säpo, Anders Thornberg, aveva dichiarato ai media svedesi che il paese stava andando incontro a una sfida “storica” dovendo avere a che fare con migliaia di “islamisti radicali in Svezia”. (Secondo il Säpo, nel 2010 c’erano 200 jihadisti nel paese.) Thornberg ha anche detto che la sua organizzazione riceveva 6 mila informazioni di intelligence al mese sul terrorismo e l’estremismo, rispetto a una media di 2 mila al mese, nel 2012.

Inoltre, non sorprende affatto che gli svedesi si sentano sempre più insicuri nel loro paese. Secondo il Rapporto di Sicurezza nazionale, pubblicato dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità (Brottsförebyggande RådetBrå), quattro donne su dieci hanno paura di uscire liberamente di casa.

“Quasi un quarto della popolazione sceglie un percorso diverso o un’altra modalità di trasporto a causa delle preoccupazioni riguardo alla criminalità e un quinto evita di essere attivo su internet a seguito dei timori di ricevere minacce e subire molestie”, afferma il Brå.

“Tra le donne di età compresa fra 20 e i 24 anni, il 42 per cento dichiara di aver optato per un percorso diverso o per un altro mezzo di trasporto perché si sente insicuro e teme di essere vittima di reati. La corrispondente percentuale tra gli uomini della stessa fascia di età è del 16 per cento. (…) Il grado di attività su internet può anche risentire delle preoccupazioni legate alla possibilità di essere colpiti da reati. Circa una persona su cinque, indipendentemente dal genere, afferma che durante l’anno passato si è spesso astenuta dal postare qualcosa su internet per timore di essere esposta a minacce o molestie”.

“I social media sono un forum sempre più importante per il dibattito pubblico. Se un quinto della popolazione non vuole esprimersi in rete per paura di essere vittima di reati”, ha dichiarato Maria Söderström del Brå, “allora può essere un problema democratico”.

La paura di minacce e molestie non è la causa principale che induce gli svedesi a evitare di esprimere le proprie opinioni su internet. Molti di coloro che hanno espresso in rete opinioni “sbagliate” sono stati accusati dalle autorità svedesi di “incitamento contro un gruppo etnico” – un reato punibile dalla legge svedese. Il “problema democratico” di cui parla la Söderström è pertanto duplice: la paura delle minacce e delle molestie da parte di altri e il timore di essere perseguiti penalmente dallo Stato.

L’organizzazione, ritenuta in gran parte responsabile di queste accuse, almeno dal 2017, è la “Näthatsgranskaren” (“Monitora l’odio online”), un organismo privato fondato nel gennaio del 2017 da un ex funzionario di polizia, Tomas Åberg, il quale pare si sia preso la briga di identificare e segnalare alle autorità svedesi i cittadini che secondo lui e la sua organizzazione commettono reati d’opinione e di “incitamento all’odio” nei confronti degli stranieri. Åberg di recente si è vantato di aver inoltrato alla polizia 1.218 rapporti solo nel 2017-2018 e che su 214 capi d’accusa, sono state emesse 144 sentenze. “Molti sono ancora in attesa di essere processati”, ha scritto su Twitter.

Lo scorso novembre, l’Information Society Group, un’organizzazione che opera sotto l’egida del Consiglio d’Europa, ha invitato Åberg come oratore principaledella sua conferenza regionale dal titolo “Contrastare i discorsi di incitamento all’odio nei media: il ruolo delle autorità di controllo e dell’ordinamento giudiziario”, organizzata a Zagabria. La conferenza ha esaminato “in che modo i discorsi di incitamento all’odio sono regolamentati nei differenti Paesi membri del Consiglio d’Europa, ponendo l’accento sul ruolo specifico e l’operato delle autorità di regolamentazione nazionali, della magistratura e degli organismi di autoregolamentazione dei media”. Forse il Consiglio d’Europa ritiene che gli sforzi intrapresi da Åberg per trasformare i suoi connazionali svedesi in poliziotti che perseguono presunti reati d’opinione siano un esempio che gli altri paesi europei dovrebbero emulare?

Nel 2017 e nel 2018, i contribuenti svedesi hanno incentivato con 1,5 milioni di corone svedesi (165 mila dollari) gli sforzi di Åberg. Secondo il magazine online Fria Tider, la maggior parte di questa somma sarebbe stata impiegata per pagare lo stipendio di Åberg.

A novembre, l’impegno di Åberg ha portato alla condanna di una donna di 70 anni che aveva scritto il seguente post, commentando un articolo sulla violenza perpetrata dagli uomini musulmani contro le donne, in un gruppo di Facebook chiamato “Difendi la Svezia”: “Non siamo in Svezia o abbiamo trasformato il paese in un dannato mostro musulmano?” La donna è stata in seguito convocata in una stazione di polizia per essere interrogata – quella stessa polizia svedese che non dispone di risorse sufficienti per indagare sui casi di stupro. E una volta lì ha spiegato:

“Sono stata provocata da ‘Cold Facts’ [un programma televisivo di giornalismo d’inchiesta] e da varie notizie relative a episodi di violenza a donne che sono state bruciate e percosse dai loro mariti. Mi chiedo se sarà così anche in Svezia e questo mi preoccupa” (…) “Sono contraria a loro perché sono cattivi nei confronti delle donne. Arrivano così tanti musulmani. Mi riferivo al fatto che abusano delle donne.”

Il fatto che una donna anziana sia preoccupata per la sicurezza fisica delle donne in Svezia, il cui governo nel 2016 si è definito “femminista”, sembra inaccettabile per le autorità svedesi. Mentre i combattenti dell’Isis che possono aver violentato, saccheggiato, torturato e ucciso per capriccio vengono riaccolti in Svezia e possono continuare con la propria vita – o pianificare atti terroristici contro gli svedesi – le anziane donne svedesi non possono dire una sola parola sulla loro paura di uomini del genere o addirittura della loro ideologia. Il procuratore capo Lars Göransson presso la Procura della Repubblica di Gävle ha deciso di incriminare la 70enne per “incitamento nei confronti di un gruppo etnico

Continua qui: https://it.gatestoneinstitute.org/13857/svezia-accoglie-isis

 

 

 

 

POLITICA

I democratici Usa in guerra: ecco chi sfiderà Trump

11 marzo 2019

Lo sfidante di Donald Trump , stando ai pronostici, sarà uno tra Bernie Sanders e Joe Biden. Per avere qualche certezza bisognerà aspettare la prossima estate. I sondaggi sui caucus in Iowa, che è il primo appuntamento sul calendario, già programmato per il 3 febbraio del 2020, parlano chiaro: la turnata elettorale in questione premierà il senatore del Vermont e l’ex vice di Barack Obama.

Le primarie prevedono consultazioni interne e consultazioni esterne, cioè aperte anche ai simpatizzanti. I caucus sono assemblee in cui hanno facoltà di votare solo i dirigenti e gli iscritti. Di solito, per via di questo meccanismo, vengono premiati i candidati “partitici”.

Secondo quanto riportato da Politico, Bernie Sanders, che per quanto si stia normalizzando rimane un indipendente per storia personale e istanze sostenute, si affermerà su quasi tutti i suoi avversari con un 25% in grado di sigillare la credibilità della sua candidatura. Il “vecchio leone”, nelle rilevazioni, è preceduto da un solo competitor: quel Joe Biden che non ha ancora deciso il da farsi e che pare si sia ritirato con la famiglia in campagna per una settimana, proprio col fine di sentenziare sul suo futuro politico. In Iowa dovrebbe prendere il 27%, ma è un tasso di consensi più basso rispetto a quello che ci si aspettava e a quello che era stato registrato qualche mese fa.

Queste statistiche hanno la loro importanza perché le poche cose che sappiamo

 

Continua qui: http://www.occhidellaguerra.it/biden-sanders-trump/

 

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