La libertà di espressione è un tema che tocca tutti i settori della produzione culturale. Non c’è che dire. La libertà di espressione nella cultura italiana a cura di Marta Rizzo (La Lepre Edizioni) è un libro di grande attualità. Il testo evidenzia e analizza i limiti a cui è sottoposta la libertà di espressione. I numerosi autori che hanno contribuito alla realizzazione del testo ne sono consapevoli fornendo opinioni dettate sai rispettivi punti di vista culturali, tecnici e politici maturati nei rispettivi campi di azione. Il libro può considerarsi a pieno titolo un’enciclopedia sulla libertà d’espressione “in compendio”, come avrebbe detto Hegel. Probabilmente, la curatrice Marta Rizzo ha sentito la necessità di elaborare una enciclopedia su misura, come fece Alberto Savinio, il quasi dimenticato raffinato poligrafo autore della Nuova Enciclopedia. Il risultato è stato una ricerca articolata in dodici capitoli che contengono le interviste a ventiquattro scrittori, critici, storici, registi, attori, esperti di tecnologie informatiche.

A pagina ventiquattro viene evidenziato opportunamente il pericolo della creazione di commissioni di sorveglianza gestite in rete dai canali mondiali privati che esercitano di fatto una “giustizia digitale” scavalcando i confini delle nazioni e dei Governi in carica. Il caso concreto di questa super giustizia è stato la rimozione unilaterale del profilo dell’ex presidente Donald Trump. Nessuno ha evidenziato che le piattaforme di Internet andarono oltre irrompendo a gamba tesa sulle opinioni espresse perfino da governi di intere nazioni non allineate con il pensiero Usa, malgrado il giudizio negativo di corti di giustizia nazionali e internazionali. Come narrato a pagina venticinque, ben venga una regolamentazione comunitaria in materia di controllo pubblico dei contenuti dell’informazione sulla base di regole stabilite collegialmente ed approvate con votazione formale. Il principio guida è l’arte del dubbio accennata a pagina quattordici della “nota della curatrice”.

Gli interventi sono focalizzati sulla libertà di espressione nel mondo letterario, nel cinema e nel teatro con riferimento attento al mondo della rete come scenario, come veicolo ma anche come perimetro di controllo preventivo, concomitante e successivo delle attività intellettuali. Da pagina settantacinque in poi, nel libro si scatena un nutrito cecchinaggio contro l’ex presidente americano Trump. Un posto d’onore che fa dimenticare le feroci scorrettezze perpetrate dagli Usa in aperta violazione di quanto previsto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, delle regole Onu, della Croce Rossa, della Nato nata come struttura difensiva che è diventata una macchina bellica offensiva. Scorrettezze che hanno interessato la produzione culturale dei Paesi-bersaglio con pesanti interventi censori.

Molto opportuno è stato l’accenno alla “cancel culture” che sta colpendo duramente una buona parte della produzione del passato censurata con i criteri etici di oggi; sulle modalità della rete che enfatizza le modalità espressive oscurando i contenuti. Questa traslazione modifica il concetto di autore. A pagina ottantuno si parla di “utenti” e non più di “fruitori”. Purtroppo, il libro presenta interventi crivellati di inglesismi di cui si poteva fare a meno avendo a disposizione tutti i correlativi nella lingua italiana: un esempio? Il termine “brandizzazione”. Sarebbe stato interessante leggere una relazione sul potenziale censorio causato da esotismi infestanti che finiscono per rappresentare una recente forma di conformismo trattato a pagina ottantanove. Da leggere attentamente le pagine ottantasei e ottantasette sulla fine dei “saperi” e l’irruzione della comunicazione “memetica”. Una riflessione, questa, che mi ha indotto a pensare che la comunicazione frettolosa sta creando un sistema di notazione ideografica: forse un ritorno ai testi del celeste impero in edizione tecnotronica? Lo slittamento è argomento a pagina centoventi facendo accortamente presente a pagina centoventidue che Internet sarebbe chiuso se fosse veramente libero! A pagina centoventitré l’autore lo dice apertamente: la rete funziona se fa vendere e se produce considerevoli profitti.

A pagina centoventinove viene evidenziato che i Governi impongono protocolli “etici” ai gestori informatici. A pagina centosettantasette troviamo una interessante descrizione del mutamento di ruolo dei giornalisti che sono passati dal “racconto” al “commento”. Molto istruttiva la minuziosa descrizione a pagina duecentoquattordici del controverso rapporto fra l’autore e l’editore che spesso influenza i contenuti delle opere dei nuovi scrittori che hanno uno scarso potere contrattuale. Il libro corale riflette il pregiudizio ideologico che la “cultura” si identifica solamente con la narrativa, con il teatro, con il cinema. Le scienze umane come il pensiero economico, la sociologia, la psicologia, il diritto, la biopolitica sono settori che producono cultura e possono offrire schemi interpretativi legati alle censure aperte ed occulte inflitte alla libertà di espressione e il suo controllo. Molto utile sarebbe stata la disponibilità di un indice analitico. In considerazione dell’importanza sul tema della libertà di espressione, un’accurata bibliografia avrebbe consentito una navigazione facilitata nel vasto numero di riflessioni riportate in un libro che potrà essere consultato varie volte. La numerosità degli intervistati avrebbe reso necessaria una breve biografia di minimo tre righe per ciascuno di loro, per consentire ai lettori di conoscere i contributori del progetto. Un libro libertario, coraggioso da regalarsi e da regalare.

(*) Non c’è che dire. La libertà di espressione nella cultura italiana a cura di Marta Rizzo, introduzione di Massimo Carlotto, La Lepre Edizioni 2023, 260 pagine, 22 euro.