Gli ultimi giorni dell’UE

Gli ultimi giorni dell’UE

Manlio Lo Presti – 16 marzo 2020

L’Autore è uno studioso di origine bulgara. Dirige un Centro studi a Sofia e insegna a Vienna.

In questo agile volumetto mantiene una posizione neutrale nel procedere ad una analisi sul futuro della Unione europea. Viene evidenziato un primo e fondamentale errore di valutazione che è alla base della costituzione dell’UE: non è stata prevista la possibilità di una sua disintegrazione, come è accaduto tra la sorpresa di tutti con l’uscita dell’Inghilterra. Gran parte della strategia UE in questi anni si è ispirata su questa negazione pensando che il consenso degli Stati membri dovesse essere solamente positivo! Questo atteggiamento rigido e scarsamente sensibile alla richiesta di gestione democratica dei popoli europei divenuta sempre più rumorosa, respingendo tale richiesta contenendola e perfino reprimendola con comportamenti totalitari e tecnocratici, come è accaduto con la defenestrazione di Berlusconi che non aveva il comportamento “giusto” ed era troppo amico dei russi.

La costante strategia volta ad eliminare rudemente qualsiasi voce contraria ai disegni verticistici globalisti immigrazionisti dei vertici UE è stato uno dei motivi del crescente sospetto delle popolazioni riguardo al comportamento insensibile alla richiesta di “appartenenza” e spingendo duramente su una visione globalista meritocratica dove vengono considerati coloro che hanno frequentato università costose, che hanno avuto successo, che non si identificano più con i propri luoghi di origine …

A pagina 44 viene magistralmente evidenziato lo spartiacque profondo provocato dal dirigismo freddo delle élite liberiste UE.

Da una parte c’è lo schieramento liberista/DEM che ragiona in termini di SPAZIO, di persone di successo, con studi selettivi e costosi alle spalle, che si spostano rapidamente da un continente ad un altro per captare opportunità e ricchezza personale e quindi senza interesse per il destino delle persone e del luogo di origine.

Dall’altra abbiamo le popolazioni che, rispetto alle competenze, danno valore al LUOGO inteso come aggregazione di persone umane in una comunità vivente, degli interessi locali e soprattutto del lavoro stabile, dell’economia condivisa, della cooperazione, dell’appartenenza ad un ceppo e ad una lingua nazionale, alla identità culturale storicamente sedimentata e definita nel corso dei secoli.

A pagina 93 viene infatti evidenziato che l’UE non è stata capace di costruire “identità politiche”.

La scelta di agire secondo schemi e strutture non elette direttamente ha creato – dice sempre l’Autore – la svolta meritocratica tecnicistica di governo, costruita su un modello esistenziale cadenzato da prove selettive continue, di esami dopo aver frequentato le scuole “giuste” e costose, una vita itinerante fra un Erasmus e un altro. Migranti consulenti digitali sradicati il cui luogo di riferimento è uno SPAZIO esteso quanto il mondo.

I promotori di questa visione senza luoghi ha suscitato la reazione di coloro che privilegiano il luogo, la comunità, l’appartenenza, il lavoro e l’impresa “responsabile” e radicata nel territorio, come è accaduto con Olivetti, Fiat, Ferruzzi, Cucinelli, Monte dei Paschi, Banche Popolari e Cooperative.

È contro questi localisti che l’UE ha scatenato una martellante politica di scontro e di eliminazione, piuttosto che percorrere la strada più proficua del dialogo con i “populisti”, sprezzantemente definiti. L’atteggiamento arrogante dei vertici UE non fa che aumentare il numero degli Stati e delle popolazioni che non si fidano di queste élite che hanno finora prodotto politiche economiche depressive, disoccupazione oltre il 10% del totale europeo, precariato e paura e fine del senso di appartenenza e di identificazione con il sogno europeo… Non si fidano di queste élite itineranti, che si spostano velocemente dove ci sono lavoro, successo e soldi, che hanno rapporti con omologhi meritocratici globalisti opportunisti. Quindi, gente che non vuole più avere a che fare con le proprie origini (pagina 104).

L’Autore evidenzia che non ci si può fidare di queste élite svincolate da tutto e quindi SLEALI perché totalmente disinteressate alla “gente che non ce l’ha fatta” e quindi se l’è voluta, mentre si mostra favorevole ad una immigrazione senza condizioni, mostrando una cinica indifferenza della ondata crescente di rabbia e di rifiuto della popolazione europea che “va educata e indirizzata”.

La colpa dell’UE è quella di aver favorito caotici sbarchi di migranti in primo approdo che hanno letteralmente investito Grecia e Italia (pagina 112) provocando reazioni ostili fra la popolazione che ha votato a grande maggioranza compagini politiche populiste.

Il populismo tuttavia non è riuscito ad approdare in parlamento. La UE, invece di dialogare, ha costruito una fortezza fondata sulle diseguaglianze, sulle immigrazioni, sulla paura, sul precariato e sulla disoccupazione di massa e sullo strapotere di organismi amministrativi non eletti e sul dominio di strutture finanziarie e bancarie.

Interessanti le analisi sulla efficacia dello strumento del referendum come elemento disgregante.

Nulla l’Autore ha detto sul potere destabilizzante dei rapporti sempre più difficili fra la UE gli USA.

Silenzio sui rapporti critici dell’UE con l’est.

Forse il breve spazio di circa 130 pagine non lo consentiva?

Un libro denso, equilibrato e ricco di spunti di riflessione.

Da leggere con attenzione e da far conoscere ad amici e conoscenti.

Ivan Krastev, Gli ultimi giorni dell’Unione. Sulla disintegrazione europea, Luiss, 2019, pag. 133, € 16.00