RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI SPECIALE CAPODANNO 31 DICEMBRE 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI SPECIALE CAPODANNO 31 DICEMBRE 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

È già abbastanza augurarsi che il 2022 non sia peggiore del 2021

 

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SOMMARIO

Storia e origini del Capodanno
La storia del Capodanno e delle sue tradizioni nel mondo
Capodanno: origini, storia, usanze e rituali nei diversi paesi del mondo
Capodanno: significato e storia
Perché la notte di Capodanno è “San Silvestro”
Alfredo Cattabiani: “La festa di Ognissanti e il Capodanno celtico”
Perché a Natale e Capodanno si usa il rosso?
Una festività zoroastriana: il Noruz, capodanno persiano
Origine del Capodanno
Notti Magiche. Riti e tradizioni di Capodanno
Capodanno 2015: il significato, i simboli dagli slip al rosso, le tradizioni cristiane
L’Akītu, il Capodanno babilonese, e la riattualizzazione del Sacro
Il Capodanno è la festa romana in onore del Dio Giano

 

 

 

IN EVIDENZA

Storia e origini del Capodanno

Ecco perché si festeggia il 31 dicembre

Il Capodanno rappresenta l’inizio di un nuovo anno e la fine di un altro, è inoltre considerato un momento di bilanci. Per la maggior parte delle persone si festeggia il 31 dicembre, ma questa festa non si festeggia in tutto il mondo lo stesso giorno. Andiamo a scoprire che significato e origine ha la festa di San Silvestro?

PERCHÉ SI FESTEGGIA IL CAPODANNO?

La storia del Capodanno ha origini pagane: il 1 gennaio è stato considerato il primo giorno dell’anno a partire dal 46 a.C. con l’introduzione del calendario giuliano. Prima dell’istituzione del calendario promulgato da Giulio Cesare, infatti, il primo giorno dell’anno coincideva con il primo giorno di marzo.

Ma come mai il Capodanno si festeggia in occasione del primo dell’anno? I festeggiamenti risalgono alla festa pagana in onore del dio romano Giano – nome da cui deriva quello del mese di Gennaio – che si festeggiava subito dopo i Saturnali, le feste romane per il dio Saturno, che chiudevano l’anno. Durante i secoli successivi, nonostante molti paesi europei avevano impiegato il calendario giuliano che fissava Capodanno il 1 gennaio, in realtà la data del 1 giorno dell’anno cambiava da zona a zona. Ad esempio in Inghilterra, Irlanda, Pisa e Firenze il Capodanno di celebrava il 25 marzo. In Spagna, invece, il primo giorno dell’anno era fissato al 25 dicembre, in corrispondenza con il Natale. In Puglia, Calabria e Sardegna si festeggiava il 1 settembre, che equivaleva al 14 settembre nel calendario gregoriano.

Le diverse date in cui si festeggiava il Capodanno nei paesi europei vennero poi fatte coincidere da papa Innocenzo XII tutte nel 1 gennaio a partire dall’anno 1691.

La data del primo giorno dell’anno fissata per il 1 gennaio venne ufficializzata nel calendario gregoriano e questo diede la spinta decisiva per approvare il Capodanno il 1 gennaio. In Italia poi, durante il regime fascista, il Capodanno venne spostato al 28 ottobre (anniversario della marcia su Roma) per poi ritornare al solito 1 gennaio dopo la caduta della Repubblica Sociale Italiana.

È tradizione, in Italia, festeggiare il Capodanno tra la notte del 31 dicembre e il 1 gennaio, la cosiddetta “notte di San Silvestro”. È per questo che ci si riferisce spesso alla notte del 31 dicembre, precisamente il giorno di San Silvestro, come al Capodanno. In realtà il 31 dicembre si festeggia San Silvestro ed è da considerarsi la vigilia del vero e proprio Capodanno.

FONTE: https://www.infocilento.it/2021/12/30/storia-e-origini-del-capodanno-2/

 

 

 

La storia del Capodanno e delle sue tradizioni nel mondo

1º gennaio del calendario gregoriano

Capodanno nel mondo moderno cade il 1º gennaio del calendario gregoriano in uso ai fini civili in tutto il mondo e nella larghissima maggioranza degli Stati è un giorno di festa.

 

Per le popolazioni che seguono il calendario giuliano, ad esempio alcune chiese ortodosse, ai fini strettamente religiosi l’inizio dell’anno viene celebrato nel giorno corrispondente al 14 gennaio gregoriano.
 


 

Gregorio XIII il papa che si assunse l’onere di aggiustare le date del calendario (che prese il nome di gregoriano)

 

Storia

 

Il Capodanno risale alla festa del dio romano Giano. Nel VII secolo i pagani delle Fiandre, seguaci dei druidi, avevano il costume di festeggiare il passaggio al nuovo anno; tale culto pagano venne deplorato da Sant’Eligio (morto nel 659 o nel 660), che redarguì il popolo delle Fiandre dicendo loro: “A Capodanno nessuno faccia empie ridicolaggini quali l’andare mascherati da giovenche o da cervi, o fare scherzi e giochi, e non stia a tavola tutta la notte né segua l’usanza di doni augurali o di libagioni eccessive. Nessun cristiano creda in quelle donne che fanno i sortilegi con il fuoco, né sieda in un canto, perché è opera diabolica”.

 

Nel Medioevo, molti paesi europei usavano il calendario giuliano, ma vi era un’ampia varietà di date che indicavano il momento iniziale dell’anno. Per esempio dal XII secolo fino al 1752 in Inghilterra e in Irlanda il capodanno si celebrava il 25 marzo (giorno dell’Incarnazione e usato a lungo anche a Pisa e in seguito a Firenze) mentre in Spagna fino all’inizio del Seicento il cambio dell’anno era il 25 dicembre, giorno della Natività.
 


 

Il Capodanno di Pisa festeggiato fino al 1752 il 25 marzo

 

In Francia fino al 1564 il Capodanno veniva festeggiato nella domenica di Resurrezione (chiamato anche stile della Pasqua), a Venezia (fino alla sua caduta, avvenuta nel 1797) era il 1º marzo mentre in Pugliain Calabria e in Sardegna lo si festeggiava seguendo lo stile bizantino che lo indicava al 1º settembre, tant’è vero che in sardo settembre si traduce Caputanni (dal latino Caput anni).

 

Queste diversità locali (che, specialmente nel Sacro Romano Impero variavano spesso da città a città), continuarono anche dopo l’adozione del calendario gregoriano. Solo nel 1691 papa Innocenzo XII emendò il calendario del suo predecessore stabilendo che l’anno dovesse cominciare il 1º gennaio, cioè secondo lo stile moderno o della Circoncisione. L’adozione universale del calendario gregoriano fece sì che anche la data del 1º gennaio come inizio dell’anno divenne infine comune.
 


 

Il Calendario Repubblicano francese

 

Svariati regimi politici hanno istituito riforme del calendario di più o meno lunga durata. Una delle più intrusive, che cercava di riformare il calendario su basi astronomiche e razionali, fu quella adottata in Francia durante la Prima Repubblica, il cosiddetto Calendario Repubblicano, abbandonato poi durante il Primo Impero.

 

Anche durante il periodo fascista in Italia il regime istituì il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, come proprio capodanno, associato a una numerazione degli anni parallela a quella tradizionale contando come “Anno I dell’Era Fascista” il periodo tra il 28 ottobre 1922 e il 27 ottobre 1923, e gli altri a seguire.
 


 

28 ottobre 1922 – La marcia su Roma

 

Questa modalità, utilizzata nel Regno d’Italia durante tutto il ventennio fascista, fu continuata dalla Repubblica Sociale Italiana, e abbandonata con la caduta di quest’ultima il 25 aprile 1945.

 

Tradizione moderna

 

È usanza di alcune regioni considerare il Capodanno come il primo giorno dell’anno.

 

Il 1º gennaio segna l’inizio di un nuovo periodo, che solitamente inizia una settimana dopo Natale, dedicato al riepilogo dell’anno appena trascorso, specialmente nelle radio, nelle televisioni, e nei quotidiani,
 


 

L’oroscopo

 

I mass-media spesso, infatti, pubblicano articoli o trasmettono notizie su quanto è avvenuto durante l’ultimo anno, gli elenchi delle persone più in vista decedute durante l’anno appena terminato, i cambiamenti annunciati, previsti o prevedibili nel nuovo anno, come la descrizione delle leggi che entreranno in vigore dal 1º gennaio e l’oroscopo per l’anno che verrà.

 

Questo giorno è in molti luoghi una festa religiosa di precetto (la Solennità della Madre di Dio per la Chiesa cattolica che segue la forma ordinaria del rito romano, la Circoncisione di Gesù per chi segue il rito ambrosiano o la forma straordinaria del rito romano), ma anche una occasione per celebrare la notte di passaggio tra il 31 dicembre e il 1º gennaio, che si festeggia con il veglione di Capodanno. In occasione di questa celebrazione, in quasi tutte le città del mondo si sparano i tradizionali fuochi artificiali, solitamente accompagnati (nei paesi anglosassoni) dalla canzone Auld Lang Syne.
 


 

Capodanno a Sidney

 

Molti la considerano anche un’occasione per fare dei buoni propositi per il nuovo anno.

 

La tradizione italiana prevede una serie di rituali scaramantici per il primo dell’anno che possono essere rispettati più o meno strettamente come quello di vestire biancheria intima di colore rosso o di gettare dalla finestra oggetti vecchi o inutilizzati (quest’ultima usanza è stata quasi completamente abbandonata).

 

Le lenticchie vengono mangiate a cena il 31 dicembre come auspicio di ricchezza per l’anno nuovo e un’altra tradizione prevede il baciarsi sotto il vischio in segno di buon auspicio.


 

Intimo rosso di capodanno

 

In Spagna c’è la tradizione di mangiare alla mezzanotte dodici chicchi d’uva, uno per ogni rintocco dei dodici scoccati da un orologio (il principale è quello di Puerta del Sol a Madrid). In Russia, dopo il dodicesimo rintocco, si apre la porta per far entrare l’anno nuovo. In tutta l’ex Unione Sovietica è usanza scambiarsi e aprire i regali. Spesso vengono regalati cioccolatini o pupazzetti corrispondenti all’animale simbolo del calendario cinese dell’anno che verrà.

 

In Ecuador e in Perù si esibiscono fuori la propria abitazione dei manichini di cartapesta (a volte con le sembianze di personaggi famosi, calciatori, etc.) riempiti di petardi così da bruciare ed esplodere ai rintocchi della mezzanotte. In Giappone, prima della mezzanotte, le famiglie si recano nei templi per bere sakè e ascoltare 108 colpi di gong che annunciano l’arrivo di un nuovo anno (si ritiene infatti che questo sia il numero dei peccati che una persona commette in un anno e che in tal modo ci si purifichi).
 


 

Capodanno in Ecuador

 

In tanti paesi che seguono il calendario Gregoriano, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Italia e altri, il Capodanno è anche una festa civile. In molti paesi, se il 1º gennaio cade di sabato o domenica, allora il venerdì precedente o il lunedì successivo sono anche festivi. Israele è il solo paese che, pur usando il calendario gregoriano, non celebra il Capodanno come festa pubblica.

 

La ragione ufficiale è che essa nascerebbe come festa della Chiesa Cristiana, anche se molti altri paesi a maggioranza non cristiana festeggiano il Capodanno. Nondimeno, molti israeliti che vivono specialmente in Nord America o in Europa lo festeggiano privatamente.

 

Capodanni di altre culture

 

Il Capodanno cinese, o capodanno lunare, si festeggia in diversi paesi dell’estremo oriente (tra cui Cina, Giappone, Corea, Mongolia, Nepal, Bhutan) in corrispondenza del novilunio che cade tra il 21 gennaio e il 19 febbraio.

 

Il Capodanno vietnamita, il Tết Nguyên Đán, si festeggia in concomitanza con quello cinese.
 


 

Potala 1938, festa del capodanno tibetano

 

Il Capodanno islamico si festeggia il primo giorno del mese di Muharram e può corrispondere a qualsiasi periodo dell’anno gregoriano, in quanto l’anno lunare impiegato nel calendario islamico è circa 11 giorni più breve dell’anno solare del calendario gregoriano, cosicché una data islamica si “sposta” indietro, rispetto al calendario gregoriano, di circa un mese ogni tre anni. Per esempio, nel corso dell’anno gregoriano 2008 sono caduti due diversi Capodanni islamici: quello dell’anno 1429 dell’Egira (corrispondente al 10 gennaio 2008) e quello dell’anno 1430 dell’Egira (corrispondente al 28 dicembre 2008).

 

Losar, il capodanno tibetano, cade tra gennaio e marzo.

 

In Iran il Norouz coincide con l’equinozio primaverile (21 marzo). Anche il Naw-Ruz della Fede Bahá’í condivide lo stesso giorno.

 

La festa telegu (Ugadi) si colloca tra i mesi di marzo e aprile.
 


 

Capodanno in Thailandia in aprile

 

In Thailandia, Cambogia, Birmania e Bengala, il capodanno solare detto Songran è invece compreso tra il 13 aprile e il 15 dello stesso mese, in occasione del cambiamento di posizione del sole nell’anello dello zodiaco.

 

La festa mapuche si chiama We Tripantu e ha luogo in occasione del solstizio d’inverno (il 21 giugno per l’emisfero meridionale). La data coincide con il Capodanno inca (Inti Raymi).

 

Il Rosh haShana, il Capodanno ebraico, occorre generalmente nel mese di settembre.

 

Enkutatash è il Capodanno etiopico, in data 11 settembre.

 

L’anno nuovo indù si festeggia due giorni prima di Diwali, il festival della Luce, cioè a metà novembre.

FONTE: https://www.nauticareport.it/dettnews/report/la_storia_del_capodanno_e_delle_sue_tradizioni_nel_mondo-6-6750/

 

 

 

Capodanno: origini, storia, usanze e rituali nei diversi paesi del mondo

 

 

 

Capodanno: significato e storia

Perché capodanno si festeggia nella notte tra il 31 dicembre e il 1 gennaio? Ed è sempre stato così?

Nella notte tra il 31 dicembre e il 1 gennaio si festeggerà Capodanno: una ricorrenza segnata con il cerchio rosso sul calendario e che porta con sé eco di tappi di bottiglie, di cenoni pantagruelici e di conti alla rovescia. Una tradizione che sembra scolpita nella pietra e che pare affondare le sue radici nella storia stessa dell’umanità. Ma qual è la storia e il significato di Capodanno?** La scelta del passaggio dal vecchio al nuovo anno il 31 dicembre ha origini molto antiche** e risale, si pensa, addirittura al 153 a.C., anno in cui i consoli romani iniziarono a entrare in carica proprio a partire dal 1 gennaio, data che, pertanto, consacrava l’inizio dell’anno politico. Fu poi Giulio Cesare a calendarizzare, all’interno del calendario giuliano, ufficialmente il 1 gennaio come inizio dell’anno.

Ovviamente il capodanno così come deciso dall’impero romano non fu adottato “urbi et orbi” (per esempio i celti continuarono a celebrare il loro capodanno il 31 ottobre) e le differenze rimasero tali anche dopo l’intervento di Papa Gregorio XIII che, nel riformare il calendario nel 1582, fissò al primo gennaio l’inizio dell’anno, contribuendo alla diffusione della tradizione almeno nei paesi cattolici. Il capodanno però, ovviamente, viene celebrato in date diverse in altre culture. Il capodanno cinese, che è lunare, viene festeggiato infatti in corrispondenza del novilunio che cade tra il 21 gennaio e il 19 febbraio mentre il capodanno tibetano (detto Losar) cade tra gennaio e marzo. L’anno nuovo per la cultura induista si festeggia a metà novembre il capodanno islamico, che varia di anno in anno, è stato celebrato nel 2017 il 22 settembre e verrà festeggiato il 12 settembre nel 2018.

Ma da dove derivano alcune usanze di Capodanno? Partiamo dalle lenticchie che solitamente vengono associate a un auspicio di denaro: il motivo di tale “pietanza scaramentica” è da far risalire sempre all’antica Roma e in particolare all’usanza di regalare una scarsella (borsa in cuoio solitamente usata per portare con sé il denaro) piena di tali legumi che, anche per forma, richiamavano le monete. Per quanto riguarda invece l’usanza di indossare qualcosa di rosso, essa è invece mutuata dai riti pagani: il rosso, infatti, richiama il calore del fuoco e in particolare quello del Sole che, con il 21 dicembre (e ancor più il 31), ricomincia la sua ascesa verso il nuovo calore. Infine un accenno al termine strenna. Secondo la tradizione della roma antica, la “strenna” era un dono di natura religiosa e consisteva in un ramoscello colto nel boschetto che circondava il tempio della dea Strenia che veniva offerto al re. Gli antichi erano soliti scambiarsi tali doni, per augurio, nei giorni di festa, specialmente nelle calende di gennaio; oltre ai ramoscelli sacri, a frutta e a miele successivamente si sostituirono il denaro o altri oggetti. Ecco come si è passati dalla dea Strenia, alle strenne di Natale. E i botti di capodanno? Anche questi sono una tradizione, ma magari per quest’anno la limitiamo: forse piaceranno tanto a noi umani, ma ai nostri amici a quattro zampe fanno solo tanta paura.

FONTE: https://www.vogue.it/news/notizie-del-giorno/2017/12/31/capodanno-significato-storia

 

 

 

Perché la notte di Capodanno è “San Silvestro”

Cosa lega il 33esimo papa della Chiesa cattolica ai festeggiamenti del nuovo anno? In realtà poco o niente

VENERDÌ 31 DICEMBRE 2021

“Capodanno” è il nome che, intuitivamente, corrisponde al primo giorno dell’anno, anche se viene spesso usato per definire la sera precedente, quella delle feste e dei veglioni e che è più precisamente la notte di San Silvestro, dal nome del santo celebrato nel calendario. Non ci sono però particolari legami tra la vigilia del nuovo anno e  San Silvestro, che semplicemente morì in quel giorno nel 335. Fu il 33esimo papa della Chiesa cattolica con il nome di Silvestro I tra il 314 e il 335.

Il Capodanno non è sempre stato festeggiato il 1º gennaio, e la festa per molto tempo, specialmente nel Medioevo, fu fissata in diverse date a seconda della città. Come aveva raccontato Leonardo Tondelli sul suo blog sul Postfino al Settecento ognuno festeggiava il Capodanno un po’ quando gli pareva:

«Non c’era consenso nemmeno tra una città e l’altra: a Venezia l’anno iniziava il primo marzo, perciò dicembre era davvero il decimo mese. A Firenze cominciava il 25 marzo: a Pisa anche, ma c’era un anno di differenza, così, per il piacere di complicarsi la vita. In Francia si cominciava con la Pasqua. Era una festa mobile, quindi ogni anno aveva un numero di giorni diversi. A Bisanzio, ma anche nel meridione e in Sardegna, si cominciava il primo settembre».

Non bastò nemmeno l’introduzione del calendario gregoriano nel 1582 a risolvere la questione: benché avesse stabilito una nuova divisione dei mesi dell’anno rispetto al calendario giuliano in vigore dal 46 a.C., non aveva però fissato una data per l’inizio dell’anno, così che a lungo le varie città del Sacro Romano Impero continuarono a festeggiare il Capodanno quando volevano.

Fu solo Papa Innocenzo XII nel 1691 a perfezionare il calendario del suo predecessore, stabilendo che l’anno dovesse iniziare il 1° gennaio, cioè nel giorno della festa della circoncisione di Gesù, che nella tradizione ebraica avveniva otto giorni dopo la nascita (anche se Gesù con ogni probabilità non nacque realmente il 25 dicembre).

FONTE: https://www.ilpost.it/2021/12/31/notte-di-capodanno-san-silvestro-storia/

 

 

 

Alfredo Cattabiani: “La festa di Ognissanti e il Capodanno celtico”

Il 1° novembre è lo spartiacque fra un anno agricolo e l’altro. Finita la stagione dei frutti la terra, che ha accolto i semi del frumento destinati a rinascere in primavera, entra nel periodo del letargo. Per i cristiani si celebrano in questi giorni due feste importanti, Ognissanti e la Commemorazione dei defunti. Ma un tempo, nelle terre abitate dai Celti, che si estendevano dall’Irlanda alla Spagna, dalla Francia all’Italia settentrionale, dalla Pannonia all’Asia Minore, questo periodo di passaggio era il Capo d’anno: lo si chiamava in Irlanda Samuin ed era preceduto dalla notte conosciuta ancor oggi in Scozia come Nos Galan-gaeaf, notte delle Calende d’inverno, durante la quale i morti entravano in comunicazione con i vivi in un generale rimescolamento cosmico, come già si è constatato in altri periodi critici dell’anno.

di Alfredo Cattabiani

TRATTO DA CALENDARIO, CAP. VIII
COPERTINA: WILLIAM STEWART MACGEORGE, HALLOWEEN, 1911

Al declinar d’ottobre

Finita la vendemmia, ottobre declina verso la stagione buia e fredda. Cominciano le piogge insistenti che possono durare a lungo, come dice il proverbio del 16: «Se piove per San Gallo piove per cento giorni», cui si contrappone: «Si fa belo a San Gal fa belo fino a Nadal». tempo di arare poiché la stagione agricola sta finendo e sta per cominciare la nuova, sicché si dice: «Chi semina in ottobre miete in giugno»; oppure: «O molle o asciutto, per San Luca semina tutto»; e infine: «Per San Simone leva il bue dal timone, metti la stanga nel vangone», perché l’aratura per questo periodo – siamo al 28 – dev’essere terminata e anche le prode vangate. Gli insetti a loro volta muoiono o si rifugiano in luoghi riparati dal freddo, sicché: «Per San Simone una mosca vale un piccione».

La liturgia cattolica non prevede solennità ma solo feste di santi, il 18 l’evangelista Luca e il 28 gli apostoli Simone e Giuda, che non rientrano in questo viaggio non avendo un’importante funzione calendariale come d’altronde gli altri santi di cui si celebra la memoria, da santa Teresa d’Avila a sant’Ignazio d’Antiochia. Certo, incontrando nello scorrere dell’anno liturgico figure tanto sublimi, la tentazione di ripercorrere la loro vita spingerebbe a rovesciare le dighe di questo viaggio per dilatarlo in una maestosa collana di testimoni del Cristo. Vinta la tentazione, accompagniamo nel suo spegnersi fra le brume autunnali il mese d’ottobre in una notte magica per gli antichi, ma forse ancora per noi.


La festa di Ognissanti e il Capodanno celtico

Il 1° novembre è lo spartiacque fra un anno agricolo e l’altro. Finita la stagione dei frutti la terra, che ha accolto i semi del frumento destinati a rinascere in primavera, entra nel periodo del letargo: «Per l’Ognissanti siano i grani seminati e i frutti rincasati» consiglia un proverbio. Per i cristiani si celebrano in questi giorni due feste importanti, Ognissanti e la Commemorazione dei defunti. Ma un tempo, nelle terre abitate dai Celti, che si estendevano dall’Irlanda alla Spagna, dalla Francia all’Italia settentrionale, dalla Pannonia all’Asia Minore, questo periodo di passaggio era il Capo d’anno: lo si chiamava in Irlanda Samuin ed era preceduto dalla notte conosciuta ancor oggi in Scozia come Nos Galan-gaeaf, notte delle Calende d’inverno, durante la quale i morti entravano in comunicazione con i vivi in un generale rimescolamento cosmico, come già si è constatato in altri periodi critici dell’anno.

Era festa grande per i Celti, così come le feste solstiziali di Capodanno lo erano per i Romani, e veniva ancora celebrata all’inizio del medioevo. Per cristianizzarla l’episcopato franco istituì al 1° novembre la festa di Ognissanti alla cui diffusione contribuì soprattutto Alcuino (735-804), l’autorevole consigliere di Carlo Magno. Qualche decennio dopo, l’imperatore Ludovico il Pio, su richiesta di papa Gregorio IV (827-844) ispirato a sua volta dai vescovi locali, la estese a tutto il regno franco. Ma ci vollero ancora parecchi secoli perché il 1° novembre diventasse in tutta la Chiesa d’occidente la festa d’Ognissanti: fu papa Sisto IV a renderla obbligatoria nel 1475. La tradizione di festeggiare tutti i santi, anche quelli ignoti, non è nata tuttavia in Francia. Fin dalla seconda metà del secolo II in Oriente e del III in Occidente la Chiesa festeggiava ogni anno l’anniversario del dies natalis di ogni martire, ovvero il giorno della sua rinascita in cielo che coincideva, come s’è già spiegato, con la morte.

In greco mártyr significava testimone; e il primo dei martiri, il modello, era stato il Cristo stesso, «il testimone fedele», come l’aveva chiamato nell’Apocalisse Giovanni, il quale tuttavia aveva dato il medesimo titolo ad Antipa, ucciso a Pergamo per la sua fede [1]. Non era certo una contraddizione poiché il martire che confessa la propria fede nel Cristo fino all’estremo sacrificio diventa una realtà sola con il Crocifisso Risorto e rende al Padre la stessa testimonianza di fedeltà che gli ha reso il Figlio: figlio nel Figlio, nel mistero della comunione celeste. Nei primi secoli si ricordava il martire presso il suo sepolcro con la celebrazione dell’eucaristia. Inizialmente si pregava il Signore per lui, poi si cominciò a pregare suo tramite, a considerarlo cioè intercessore presso Dio, come testimoniano i graffiti romani della Memoria apostolorum che risalgono all’incirca al 260. L’usanza di celebrare ogni martire nel suo dies natalis indusse le Chiese locali a compilare un elenco con la data della morte e il luogo della depositio del corpo, ovvero della morte, come prescriveva san Cipriano, vescovo di Cartagine (morto nel 258) [2]: sicché fin dalla metà del secolo III nacquero i primi abbozzi dei calendari cristiani e dei martirologi.

René Charles Edmond His, All Saints’ Day, 1897

La prima depositio martyrum pervenutaci è contenuta nel già ricordato Cronografo Filocaliano (354), così detto perché fu composto da Furio Dionigi Filocalo, artista greco e inventore di caratteri di rara eleganza di cui egli si sarebbe servito più tardi per far scolpire sulle tombe dei martiri le iscrizioni dettate dal suo maestro, papa Damaso. Il Cronografo, che era destinato a un cristiano, come dimostra la dedica (Floreas in Deo, Valentine: possa tu fiorire in Dio, Valentino) contiene nella prima parte un calendario con i fasti romani, seguito dai sette giorni della settimana con le loro proprietà astrologiche; nella seconda, i fasti consolari, il catalogo dei prefetti della città, la descrizione di Roma e infine alcuni testi cristiani fra cui la depositio martyrum con le indicazioni essenziali: per esempio, al terzo giorno dalle Idi di agosto, cioè all’11, si legge Laurenti in Tiburtina, ovvero a Lorenzo sulla via Tiburtina. La riportiamo qui di seguito premettendo tra parentesi la traduzione in date moderne di quelle romane:

item depositio martyrum (25 dicembre): VIII Kal. Jan. Natus Christus in Bethleem Judeae.
Mense Januario (20 gennaio): XIII Kal. feb. Fabiani in Calisti et Sebastiani in Catacumbas.
(21 gennaio): XII Kal. feb. Agnetis in Nomentana.
Mense Februario (22 febbraio): VIII Kal. mart. Natale Petri de catedra.
Mense Martio (7 marzo): Non. mart. Perpetuae et Felicitatis, Africae.
Mense Maio (19 maggio): XIV Kal. jun. Partheni et Calogeri in Calisti, Diocletiano IX
et Maximiano VIII cons. (304).
Mense Junio (29 giugno): III Kal. Jul. Petri in Catacumbas et Pauli Ostense, Tusco et
Basso cons. (258).
Mense Julio (10 luglio): VI id. Jul. Felicis et Filippi in Priscillae; et in Jordanorum
Martialis, Vitalis, Alexandri; et in Maximi, Silani; hunc Silanum martyrem Novati furati
sunt; et in Praetextati, januari.
(30 luglio): III Kal. aug. Abdos et Sennes in Pontiani, quod est ad Ursum piliatum.
Mense Augusto (6 agosto): VIII id. aug. Xysti in Calisti, et in Praetextati, Agapiti et
Felicissimi.
(8 agosto): VI id. aug. Secundi, Carpophori, Victorini et Severiani in Albano; et
Ostense VII ballistaria, Cyriaci, Largi, Crescentiani, Memmiae, Julianae et Smaragdi.
(9 agosto): III id. aug. Laurenti in Tiburtina.
(13 agosto): id. aug. Ypoliti in Tiburtina et Pontiani in Calisti.
(22 agosto): XI Kal. sept. Timotei, Ostense.
(28 agosto): V Kal. sept. Hermetis in Bassillae, Salaria Vetere.
Mense Septembre (5 settembre): Non. sept. Aconti in porto, et Nonni et Herculani et
Taurini.
(9 settembre): V id. sept. Gorgoni in Labicana.
(11 settembre): III id. sept. Proti et Jacinti in Bassillae.
(14 settembre): XVIII Kal. oct. Cypriani Africae, Romae celebratur in Calisti.
(22 settembre): X Kal. oct. Bassillae, Salaria vetere, Diocletiano IX et Maximiano VIII
cons. (304).
Mense Octobre (14 ottobre): prid. id. oct. Calisti in via Aurelia, miliario III.
Mense Novembre (9 novembre): V id. nov. Clementis, Semproniani, Claudi, Nicostrati
in comitatum.
(29 novembre): III Kal. dec. Saturnini in Trasonis.
Mense Decembre (13 dicembre): id. dec. Ariston in Portum.

Albrecht Altdorfer, All Saints, 1500 circa

Il Cronografo contiene anche una depositio episcoporum perché ogni Chiesa locale teneva aggiornato l’elenco dei suoi vescovi per attestare la sua filiazione apostolica e dunque la sua legittimità. Anche per i vescovi era indicato il luogo di sepoltura perché il vescovo in carica potesse visitare alla data fissata la tomba del suo predecessore con una piccola delegazione di chierici e fedeli. Fra i vescovi, a partire dal secolo IV, si cominciò a onorare chi, pur non essendo stato martirizzato, aveva dimostrato di essere testimone del Cristo, ovvero «confessore». Questo termine, originariamente sinonimo di martire, era stato applicato nel secolo III ai cristiani imprigionati, condannati alla prigione perpetua o torturati per la loro fede, che tuttavia erano riusciti a sfuggire alla condanna. Poi fra il secolo IV e il VI assunse il significato di «martire bianco», ovvero di colui che aveva sacrificato la propria vita all’ascesi. Infine con il medioevo sarebbe stato sostituito da quello pagano di santo che in latino – sanctus – significava sacro, degno di religioso rispetto, accetto agli dèi.

Era logico che anche i non martiri venissero venerati perché con l’età costantiniana erano tramontate le persecuzioni, e i fedeli avevano cominciato a onorare altre forme di testimonianza evangelica, come quelle dei Padri del deserto, degli asceti, dei fondatori del monachesimo, delle vergini o delle vedove che si erano consacrate al Cristo, e infine dei pastori che meglio avevano testimoniato la loro fede. Sicché a partire dal secolo V si fusero in un unico elenco martiri e confessori: nacquero i primi martirologi che, diversamente dai calendari, la cui funzione era di indicare i fasti locali delle varie Chiese, ordinavano nell’ordine dei giorni tutti i nomi dei santi appartenenti alla Chiesa universale che l’autore riusciva a conoscere. Il più antico pervenutoci è il cosiddetto Martirologio Geronimiano, attribuito erroneamente a san Girolamo. La copia, che risale al 592, fu compilata ad Auxerre, in Francia, ma l’originale, scritto nell’Italia settentrionale e perduto, doveva probabilmente risalire all’incirca alla metà del secolo V. Il Geronimiano aveva ricavato le notizie dal già citato Cronografo Filocaliano, da un martirologio siriaco del 411 (ispirato a sua volta a un martirologio greco redatto a Nicomedia nel 360 all’incirca), dal calendario di Cartagine, anch’esso del secolo V; e altre notizie l’estensore le aveva attinte dalle Chiese dell’Italia settentrionale, della Gallia, della Spagna e della Bretagna.

Alla fine del secolo VI san Gregorio Magno ne conosceva l’esistenza perché scriveva a Eulogio, patriarca di Alessandria: «Riuniti in un sol libro, abbiamo i nomi di quasi tutti i martiri, con le loro passioni segnate a ogni giorno, e ogni giorno celebriamo messe in loro onore. In questo volume non è tuttavia indicata la forma della loro passione. Vi è soltanto il nome, il luogo e il giorno della morte» [3]. Alla lacuna ovviò il monaco inglese Beda il Venerabile (morto nel 735) che all’inizio del secolo VIII compose un martirologio meno denso di nomi ma con una breve notizia per ciascuno, ricavata dagli acta, dalle Passiones martyrum e dalle successive leggende. Nascevano così i martirologi classici, fra i quali assunse maggiore autorità quello di Usuardo di Saint-Germain (865) che sarebbe stato letto per tutto il medioevo nei capitoli canonicali e nei monasteri, e si sarebbe arricchito via via di altre notizie. Questo testo, collazionato con quello di Beda e con un altro di Adone di Vienna (860), servì per la preparazione del Martirologio romano voluto da Gregorio XIII per mettere ordine nel gran guazzabuglio di date, spesso infondate o in contraddizione fra di loro. La prima edizione del Martirologio romano, che uscì con lettera ufficiale di Gregorio XIII nel 1584, non era tuttavia perfetta. Ne seguirono molte altre rivedute e corrette fino a quella di Benedetto XIV nel 1748 che è servita di base per le ristampe successive con l’aggiunta dei nuovi santi.

Tutti i Santi in una miniatura senese del XV secolo

Se il culto dei singoli martiri e santi risale ai primissimi secoli, a partire dalla fine del secolo IV si sentì in Oriente l’esigenza di celebrare tutti i santi, conosciuti o ignoti, in un’unica festa: la Chiesa siriaca durante il tempo pasquale, la bizantina la domenica successiva alla Pentecoste. A Roma la nascita di quella che sarebbe poi diventata la festa di Ognissanti risale invece al 13 maggio del 610, quando papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon alla Vergine Maria e a tutti i martiri (Sancta Maria ad martyres). Successivamente si tentò di introdurre nella città anche la festa bizantina che cadeva la domenica successiva alla Pentecoste; ma la nuova data durò poco perché un’antica tradizione imponeva ai Romani il solenne digiuno delle Tempora che si concludeva con la veglia domenicale. Con il medioevo la festa franca del 1° novembre istituita nel secolo IX, come s’è detto, si estese a poco a poco dal regno franco agli altri paesi finché papa Sisto IV la rese obbligatoria per tutta la Chiesa occidentale.

Ognissanti è considerata nel nuovo calendario liturgico una solennità, cioè fa parte delle feste più rilevanti perché secondo la costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II «nell’anniversario dei Santi la Chiesa proclama il mistero pasquale realizzato nei santi che hanno sofferto con Cristo e con Lui sono glorificati». Essi sono coloro che avendo assimilato il «modello» Cristo, avendo offerto la propria vita col martirio «rosso» (i martiri veri e propri) o con il «bianco» (gli asceti), partecipano ontologicamente della natura divina: attraverso la porta stretta della «grande tribolazione», come scrive Giovanni, hanno raggiunto la gioia della comunione, introdotti alla presenza inesprimibile e ineffabile di Dio. Lo contemplano nel suo mistero d’amore di Padre, Figlio e Spirito Santo [4]. «Tutti stavano in piedi davanti al trono e all’Agnello,» è scritto nell’Apocalisse «avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani»: simboli di resurrezione, di vittoria sul male e di gloria. Figli di Dio nel Figlio diventano canali di grazia nel corpo mistico del Redentore dove tutti sono lieti quando un membro è nella gioia e soffrono quand’egli soffre; e dunque, non potendo restare insensibili alle necessità spirituali dei fratelli, intercedono presso il Signore perché la grazia richiesta sia concessa. Tuttavia, come afferma la costituzione conciliare Lumen gentium a proposito della Santa per eccellenza, la Vergine soccorritrice e mediatrice, il ricorso a loro «va inteso in modo che nulla detragga o aggiunga alla dignità e all’efficacia di Cristo, unico mediatore» [5].

Il 1° novembre, che celebra la morte di tutti i santi come giorno della loro «nascita», della loro vittoria, dell’assunzione nella comunione divina, ha cristianizzato il capo d’anno celtico non contraddicendone lo spirito perché, se si paragonano i santi ai chicchi di grano, scesi nella stagione autunnale nella terra per rinascere come piante in primavera, si possono comprendere meglio le parole che il Cristo disse ad Andrea e Filippo: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve il Padre lo onorerà» [6].

Julio Larraz, Halloween, 1973

La Commemorazione di tutti i fedeli defunti

Il giorno successivo, 2 novembre, la Chiesa commemora tutti i defunti secondo un’usanza universale che si riscontra in ogni tradizione e non ha mai avuto, se non nell’Occidente moderno, carattere triste e funebre. Vi è però un paese europeo dove la commemorazione assomiglia a una festa familiare durante la quale i morti sembrano confondersi con i vivi. «In Irlanda» scriveva Yeats «il mondo dei morti non è tanto distante da quello dei vivi. Essi sono a volte così prossimi che le cose del mondo paiono soltanto ombre dell’aldilà.» Per questo motivo il luogo dove si riunivano i clans irlandesi era un vecchio cimitero ancora utilizzato oppure fuori servizio, dove si amministrava la giustizia.

Oggi ancora nelle notti di Ognissanti e dei Morti i cimiteri irlandesi sono un mare di lumini, quasi a continuare la tradizione celtica del Samuin quando si aprivano le tombe e i morti si mescolavano ai vivi: il sentimento di vicinanza era tale che ogni vivente – si diceva – poteva scendere con loro nel mondo infero all’unica condizione di rimanervi fino al Samuin successivo. In quei giorni di freddo autunno i Celti portavano nei cimiteri fiori a profusione – forse secchi, forse coltivati in serre – per alludere all’aldilà come paradiso. Usavano anche accatastare teschi perché si pensava che il morto appartenesse, per un certo tempo, a entrambi i regni: per quanto, nessuno poteva dirlo. «Il che gli consentiva, e consentiva in particolare al suo cranio» spiega Margarethe Riemschneider «di profetare a beneficio dei rimasti in vita. Egli poteva inoltre, se riverito, irradiare su di loro certe energie paradisiache… L’ossario con i suoi teschi accatastati è più che una forma di sepoltura. La vicinanza dei teschi – che non sono necessariamente di antenati noti – è tale, come dice Yeats, che la loro ombra dall’aldilà cade sui vivi.» [7] Si sono ritrovate case di ossa in Bretagna, Boemia e Carinzia, tutti paesi celtici nell’antichità.

Paul Cornoyer, Halloween, 1887

Durante la veglia funebre si dipingevano i teschi custoditi nell’ossario e si trascorreva la notte bevendo, suonando e cantando in compagnia dei morti. Un’eco sbiadita di quelle veglie si ritrova oggi nella notte di Hallow’en in Irlanda e negli Stati Uniti, durante la quale i ragazzi si mascherano da scheletri o fantasmi mimando il ritorno dei trapassati sulla terra, e girano di casa in casa chiedendo piccoli tributi e minacciando se non li ottengono di giocare qualche scherzo che consiste nell’imbrattare di sapone le finestre o nell’impiastricciare le vetrine. In una diversa area culturale, in Messico, le feste di Todos los Santos, che comprendono anche il giorno dei Morti, riflettono tradizioni azteche non dissimili da quelle celtiche. I cimiteri sembrano un prato fiorito a primavera, non c’è tristezza ma gioia nella rievocazione dei parenti e degli amici. Per la festa si confezionano dolci di pane in forma di teschi e scheletri a significare che dai morti, dai «semi sotterrati» rinasce la vita, ovvero che i morti «ci nutrono».

D’altronde, anche nel nostro paese si mangiano ancora le «ossa dei morti» al 2 novembre: così si chiamano in Sicilia quei dolci di mandorla che le pasticcerie vendono dalla vigilia fino a tutto il 2 novembre. Ma l’usanza non è limitata alla Sicilia: in varie altre regioni, dalla Sardegna all’Umbria, si vendono per l’occasione i dolci dei morti. Che i morti portano la vita è dunque una credenza anche italiana: d’altronde, nella stessa Sicilia si dice che i defunti, nella notte a loro consacrata, rechino doni ai bambini, come la Befana; le mamme raccontano ai figli che i morti abbandonano in quelle ore magiche le loro dimore e scendono a frotte verso le case dei vivi portando loro regalini. Anche gli Etruschi credevano che i defunti sedessero accanto a loro sul bordo dei sepolcri partecipando al pasto funebre: nelle necropoli vivi e morti erano sempre gli uni alla presenza degli altri, quasi non esistesse un confine tra i due mondi per un tempo determinato.

James Elder Christie, Halloween Frolics, 1890 circa

Se i Celti festeggiavano i morti al 1° novembre, gli antichi Romani dedicavano loro nove giorni di febbraio, durante il passaggio dall’inverno alla primavera, dal vecchio al nuovo anno; e anche quando le Calende di gennaio s’imposero come unico capo d’anno si continuò a onorare gli antenati durante i Parentalia che duravano dal 13 al 21 febbraio. Le cerimonie consistevano nella parentatio tumulorum, che indicava un servizio funebre prestato alle tombe. Si offrivano sul sepolcro familiare corone di fiori, viole sparse, farina di farro con un grano di sale, pane inzuppato nel vino: parva petunt Manes, i Mani si contentano di poco, scriveva Ovidio. Il giorno culminante e finale dei Parentalia erano i Feralia (il 21 febbraio) che anticamente cadevano nell’ultimo quarto di luna. Secondo Varrone «Feralia deriva da inferi, morti, e ferre, portare, perché in quel giorno si portavano i funerei cibi al sepolcro della famiglia da chi aveva il diritto di farlo» [8]. Festo invece faceva derivare il nome da ferio, ovvero «ferire» le vittime; ma questa interpretazione non sembra giustificata da nessun sacrificio ricordato in quel giorno [9]. I parentes erano anche ricordati singolarmente nel loro dies natalis, ovvero nel compleanno. I familiari si radunavano intorno al sepolcro del defunto per offrire libagioni o presentare alimenti ai suoi manes e per partecipare al refrigerium, al banchetto funebre.

Anche i cristiani cominciarono a onorare i loro defunti che seppellivano nelle necropoli costruite lungo le vie consolari: ogni morto aveva un loculo scavato nel tufo, dove nella ricorrenza non della nascita ma della morte, che come s’è spiegato rappresentava il vero dies natalis, gli si offriva una messa. Ai tempi di sant’Ignazio di Antiochia e di san Policarpo, nella seconda metà del secolo I, l’usanza era ormai diffusa. La Chiesa però volle frenare quelli che considerava abusi e stabilì che la messa fosse celebrata soltanto sui sepolcri dei martiri; successivamente, nel secolo IV proibì anche i banchetti funebri forse per distinguere la commemorazione cristiana dalla pagana. Ma alcune usanze sopravvissero a lungo: Prudenzio, che visse a cavallo fra il secolo IV e il V, ricorda le viole e i fiori che si spargevano sui sepolcri, come le libagioni sulle tombe dei cari. Talvolta, attraverso fori praticati sui coperchi dei sarcofagi si facevano gocciolare latte e miele oppure unguenti preziosi direttamente sulla salma. Poi con le scorrerie dei barbari le catacombe, che si trovavano fuori della cinta delle mura aureliane, divennero insicure e si cominciò a tumulare i morti all’interno delle città, nelle chiese e lungo i narteci.

William-Adolphe Bouguereau, The Day of the Dead, 1859

La Commemorazione di tutti i defunti nacque invece più tardi, nel cuore del medioevo, a imitazione dei bizantini che celebravano un Ufficio in suffragio di tutti i morti al sabato prima della domenica di Sessagesima, ovvero l’ottava prima di Pasqua, nel periodo compreso tra la fine di gennaio e quella di febbraio: furono i monasteri benedettini a introdurre questa pratica nella Chiesa latina durante il secolo X. Pochi decenni dopo, nel 998, sant’Odilone di Cluny ordinò ai cenobi dipendenti dall’abbazia francese di far risuonare le campane con i tradizionali rintocchi funebri dopo i vespri solenni del 1° novembre, annunciando ai monaci che dovevano celebrare in coro l’Ufficio dei defunti. Il giorno seguente tutti i sacerdoti avrebbero offerto al Signore l’eucaristia «pro requie omnium defunctorum»: evidente la preoccupazione di cristianizzare le cerimonie celtiche che probabilmente sopravvivevano ancora nelle zone rurali non del tutto evangelizzate.

Il rito si diffuse a poco a poco nei rituali diocesani e in quelli di altri ordini religiosi fino al Trecento prima che Roma l’accogliesse: l’Anniversarium omnium animarum – così si chiamava appare per la prima volta al 2 novembre nell’Ordo romanus del secolo XIV. In quel giorno non si celebrava il concistoro né si predicava durante la messa. La quale aveva e ha la funzione di impetrare la misericordia per i defunti sottolineando la comunione dei santi che unisce la Chiesa orante e militante a quella penante ed espiante nel purgatorio: corpo mistico dove dimorano i beati del cielo, i «viatori» della terra e le anime purganti.

Oggi, dopo la messa, ci si reca nei cimiteri per adornare le tombe di fiori, soprattutto crisantemi (simboli in Oriente, da dove sono giunti, di solarità e dunque di immortalità), e per ricordare con tutta la famiglia i parenti scomparsi. Ma diversamente dagli antichi, viviamo questa giornata all’insegna della mestizia e consideriamo i cimiteri come luoghi lugubri, da non frequentarsi se non nelle occasioni tristemente necessarie. E invece i camposanti dovrebbero tornare ad essere luoghi familiari e ridenti perché contengono le nostre radici, tutti coloro che ci hanno preceduto trasmettendoci non soltanto la vita ma anche il patrimonio di tradizioni, di cultura e di regole morali su cui è fondata la nostra comunità. Per questo motivo la Commemorazione dei defunti non è soltanto una ricorrenza religiosa o un’occasione per rievocare i nostri defunti, ma una vera festa della città. E giustamente nel 1987 il Comune di Torino ha invitato i cittadini ad adornare con i fiori, che l’amministrazione metteva a disposizione gratuitamente, tutte le tombe e ha mandato nei cimiteri la Banda dei Vigili urbani perché con le sue note gioiose sottolineasse anche la valenza civile della Commemorazione. Infine, per spingere i torinesi a passeggiare nei camposanti al di fuori della ricorrenza, ha distribuito gratuitamente una guida del cimitero monumentale, intitolata significativamente Le nostre radici: così è nata una nuova usanza che si dovrebbe estendere a tutte le città italiane.

Jakub Schikaneder, All Souls’ Day, 1888

Note:

[1] Cfr. Apocalisse 1, 5 e 2, 13.

[2] Epistula 12.

[3] Epistula 8, 29.

[4] Cfr. a questo proposito anche Giovanni Marchesi, Il Vangelo della speranza, commenti al lezionario festivo, anno B, Roma 1987, p. 514.

[5] Lumen gentium 62.

[6] Giovanni 12, 24-26.

[7] Margarethe Riemschneider, Vivere coi morti, in «Conoscenza religiosa», n. 1, 1981, p. 69.

[8] De lingua latina VI 34.

[9] Festo, Feralia.

FONTE: https://axismundi.blog/2021/10/31/alfredo-cattabiani-la-festa-di-ognissanti-e-il-capodanno-celtico/

 

 

 

Perché a Natale e Capodanno si usa il rosso?

Laura Calligari – 21 12 2021

Forse sarà capitato anche a voi di chiedervi perché a Natale e Capodanno si usa il rosso come colore ben augurante. Una tradizione che arriva da lontano nel tempo e che continuiamo a portare avanti ancora oggi quando realizziamo i nostri addobbi natalizi.

Perché a Natale si usa il rosso?

Come tutte le storie e le tradizioni che ci sono state tramandate, anche quella che racconta il perché a Natale a Capodanno si usa il rosso è ricca di interpretazioni.

Guardando indietro nel tempo si scopre che in epoca romana il rosso era considerato un colore nobiliare. Veniva utilizzato nel vestiario al fine di distinguere i nobili dalla plebe. Così fu anche nel Medioevo, epoca in cui il rosso continuò ad essere considerato il colore simbolo di prestigio e regalità. Soprattutto i papi e i cardinali, figure molto potenti, iniziarono a vestire le classiche mantelle rosse, riprodotte in molti ritratti famosi. Allo stesso modo fecero anche i cavalieri di vari ordini.

Pare infatti che in passato le persone usassero identificare il loro status all’interno della società non solo nel modo di vestirsi ma anche a secondo dei colori usati. Rossi erano anche i tappeti in velluto dei castelli e le sedute dei troni.  

Ma se si parla della tradizione natalizia allora il riferimento principale è nella figura di San Nicola. Personaggio che si dice sia realmente esistito, a cui si lega il mito di Babbo Natale.

San Nicola o Sinter Claes, come lo chiamano nei paesi nordici, da quando si apprende guardando le riproduzioni del santo, indossa un mantello rosso. Colore a cui vengono associati il concetto di stabilità, sicurezza e protezione. 

Ma il rosso da sempre ha nell’immaginario collettivo, valenza simbolica molto profonda ed importante. Viene identificato come un colore con un legame intrinseco con la vita, la nascita e la rinascita. Questo ci lascia così intendere, anche una correlazione profonda con il Natale, festa della nascita di Gesù.

Perché a Capodanno si indossa e si usa il rosso

Tradizione vuole che il rosso sia anche il colore simbolo della festa di Capodanno. Anche riguardo a questa usanza, si trovano riscontri nell’antichità. Alcuni studiosi riportano che già gli antichi romani intorno al 31 a.c. ai tempi di Ottaviano Augusto, avessero  la tradizione del rosso a Capodanno. Durante il Capodanno romano, festività che cadeva il 1 marzo e cui si  rinnova il fuoco di Vesta, gli uomini e donne indossavano qualcosa di rosso come simbolo di potere, fertilità, salute e ricchezza . Il rosso pare fosse già considerato il colore della passione e dell’energia .

Al culto di Vesta divinità romana erano legati le vestali  sacerdotesse il cui compito quello di   custodire il fuoco sacro alla dea, acceso all’interno del tempio a lei dedicato, evitando che questo si spegnesse. Probabile quindi che l’usanza del rosso nel nostro Capodanno, sia da ricollegare alla celebrazione del fuoco rosso dentro al sacro del tempio.

Perché a Natale e Capodanno si usa il rosso simbolo di fortuna e non solo per addobbare l'albero

PERCHÉ A NATALE E CAPODANNO SI USA IL ROSSO SIMBOLO DI FORTUNA E NON SOLO FOTO DI JILL WELLINGTON DA PIXABAY

Il rosso come colore del Capodanno anche in Oriente

Ma la tradizione del rosso a Capodanno non è solo una tradizione Occidentale. Anche in Oriente per il Capodanno cinese si usa come colore della festa il rosso. 

In Oriente però al colore rosso viene dato un significato diverso, essendo usato anche per le feste nuziali. Il rosso è considerato il colore della fortuna, della prosperità e della buona sorte.

Anche in Cina l’usanza di usare il rosso a Capodanno arriva dall’antichità. In quanto i cinesi usavano il rosso per scacciare il Niàn, una figura mitologica che secondo tradizione, farebbe la sua comparsa proprio durante il Capodanno cinese. Il rosso sarebbe quindi un colore “scaccia demoni”  e per questo considerato un colore portafortuna.

Usare il rosso nelle festività natalizie

In sintesi il motivo che spiega il perché si usa il colore rosso a Natale e Capodanno è da ricollegare a vari riferimenti sia religiosi che pagani. Riguardo a queste feste gli studiosi di antropologia culturale ci ricordano che il rosso è un colore che già nella preistoria era un colore di culto, che ricorda il sangue e rimanda al principio della vita. Il 25 dicembre oltre ad essere  la data in cui si festeggia la nascita di Cristo è anche il periodo in cui fin dalle epoche più lontane si facevano riti propiziatori per il raccolto del nuovo anno.

Da qui probabilmente deriva il rito moderno che facciamo quando usiamo il rosso come colore per le festività natalizie a cui solo in epoche più recente si è aggiunta la figura di Babbo Natale come lo conosciamo oggi, con il classico  vestito e cappello rosso. Ovvero così come venne raffigurato negli anni trenta, dal pittore statunitense Haddon Sundblom per la celebre bevanda gassata.

PILLOLE DI CURIOSITÀ – IO NON LO SAPEVO. E TU?
  • Secondo la tradizione contemporanea la notte del 31 dicembre si dovrebbero indossare dei capi rossi nuovi che sono stati ricevuti come regalo. Dopo averli indossati nella notte di San Silvestro, questi  andrebbero gettati il giorno seguente.
  • Oltre al rosso gli altri colori ricorrenti, tradizionalmente legati alle festività natalizie sono il verde, il bianco e l’oro simbolo di regalità e ricchezza.

FONTE: https://www.habitante.it/habitante-curioso/perche-natale-capodanno-si-usa-rosso/

 

 

Una festività zoroastriana: il Noruz, capodanno persiano

di Maria Rosaria Mormone

Una delle celebrazioni più sentite dagli Iraniani è senz’ombra di dubbio il Noruz, il capodanno persiano, una festività millenaria che non ha fondamento nel credo islamico, ma trova le sue radici nello zoroastrismo.

Il Noruz coincide con l’equinozio di primavera e la data non è certamente una casualità: le giornate si allungano, il freddo dell’inverno lascia spazio al sole e la natura è pronta a risvegliarsi mentre la primavera inizia ad avvolgere ogni cosa.

Noruz letteralmente significa nuovo giorno, ma la festività non si esaurisce in un’unica giornata in quanto inizia diversi giorni prima con vari preparativi come la khaneh tekani cioè una pulizia della casa da cima a fondo in modo che tutto sia in ordine per l’arrivo del nuovo anno e dei numerosi ospiti che affolleranno le dimore iraniane.

Il periodo del Noruz comprende vari riti. Tra questi il chaharshanbeh suri, la notte tra il martedì e il mercoledì che precede il capodanno, un momento suggestivo che rievoca le antiche cerimonie del culto del fuoco del mazdeismo: al calar della sera per le strade si accendono dei piccoli falò sopra ai quali si salta recitando il verso Zardi-emanaz to, Sorkhi- e to az man, letteralmente il mio giallo a te il tuo rosso a me, affinché il fuoco possa assorbire tutti gli elementi negativi presenti nella persona e il rosso, simbolo di salute ed energia, prenda il posto del giallo che simboleggia, invece, malattia e debolezza.

Le ceneri dei fuochi che rappresentano tutti i dolori e i dispiaceri dell’anno trascorso, poi, vengono raccolte e portate lontano dalle abitazioni per motivi scaramantici perché non si verifichino di nuovo nell’anno che sta per entrare.

Nella stessa sera i bambini, coperti da un lenzuolo per non farsi riconoscere, praticano il ghashogh zanimuniti di una pentola sulla quale battono un cucchiaio per fare rumore, bussano ad ogni porta fino a quando qualcuno non apra per donare dolci e frutta secca, cercando scherzosamente di scoprire quale “disturbatore” si cela sotto il travestimento.

Sempre in questa serata c’è chi osserva ancora il falgush, cioè l’usanza di restare nascosti per strada in attesa che passino due persone intente a dialogare fra loro: le parole pronunciate dai due passanti, intese di sfuggita, avulse dal loro contesto originario, in seguito vengono interpretate per trarne auspici. Sono soprattutto le ragazze non sposate e in cerca di marito che si divertono in questo modo, traendo buoni o cattivi presagi da quanto riescono a carpire dalle altrui conversazioni.

Durante il periodo di Noruz, in ogni casa si prepara l’haft sin (sette “s”): si sceglie un ripiano, generalmente un piccolo tavolino, lo si adorna con una tovaglia finemente lavorata con lustrini e perline, e al di sopra di essa si collocano degli oggetti che iniziano con la lettera s, ognuno dei quali richiama il trionfo del Bene sul Male. Protagonisti dell’haft sin sono: il sabzeh, germogli che simboleggiano la rinascita e la purezza, sib, la mela simbolo di salute e bellezza, il somaq, una spezia rossa come il sole che sorge e sconfigge le tenebre della notte, il sir, l’aglio per allontanare malattie e spiriti maligni, il serkè, l’aceto come emblema dellapazienza, il senjed un particolare frutto essiccato che simboleggia l’amore, il samanù, una crema di germogli di grano che richiama la dolcezza. In sostituzione di eventuali elementi mancanti, si possono porre altri oggetti: le sekkè, cioè delle monete come auspicio di prosperità e ricchezza, o il sonbol, il giacinto come segno della primavera.

Completano l’haft sin delle candele accese che rappresentano l’alba, uno specchio che moltiplica gli oggetti sulla tavola come segno di pulizia e onestà, ma anche della Creazione avvenuta secondo la leggenda persiana, il primo giorno di primavera, delle uova decorate (una per ogni componente della famiglia che richiamano la fertilità, , un vaso con dei pesci rossi che esprimono la vita nella vita, un libro sacro come il Corano per i musulmani,  l’Avesta per gli zoroastriani, oppure un libro di poesie, generalmente quelle del poeta Hafez. Quando l’orologio indica l’arrivo del nuovo giorno i membri della famiglia, spesso in abiti nuovi, si raccolgono intorno all’haft sin, recitano una preghiera, aprono a caso il libo di Hafez per scoprire cosa riserva il futuro, si scambiano auguri e iniziano il pranzo a base di riso e salmone del Mar Caspio. I membri più anziani distribuiscono ai più giovani dei doni in denaro detti eidi.

Lhaft sin rimane imbandita in questo modo per tredici giorni, fino al tredici del mese di Farvardin coincidente col sizdeh bedar che letteralmente significa passare il tredici, ed è il giorno in cui tutti gli Iraniani si recano all’aperto per un picnic beneaugurale. La tradizione, infatti, vuole che si trascorra la giornata fuori per tenere lontano dalla propria casa gli spiriti malvagi: nel caso in cui essi dovessero presentarsi presso l’abitazione, non troveranno nessuno.

Durante il sizdeh bedar il sabzeh viene gettato in un corso d’acqua affinché porti via con sé tutte le difficoltà e le preoccupazioni dell’anno trascorso. Prima di buttare il sabzeh si annodano i fili d’erba e si esprimono dei desideri nella speranza che si avverino durante l’anno appena iniziatoIn questa occasione le giovani donne sono solite annodare l’erba recitando il verso sal-e digar khooneye shouhar baccé dar baghal cioè speriamo che l’anno prossimo io possa essere a casa dello sposo con un bambino in braccio.

Durante i tredici giorni che intercorrono tra il Noruz e il Sisdeh bedar c’è l’usanza di scambiarsi visite tra parenti vicini e lontani; generalmente sono sempre i più giovani che si recano a trovare i più anziani e non è infrequente che si approfitti dell’occasione per riappacificarsi e dimenticare eventuali vecchi dissapori.

Maria Rosaria Mormone

Maria Rosaria Mormone è docente di materie letterarie nella scuola secondaria di secondo grado. Ha sostenuto una tesi di dottorato di ricerca dal titolo Viaggiatori Italiani in Persia. Oltre il pregiudizio: la scoperta dell’iranicità attraverso il viaggio tra il sacro e il profano nell’Iran contemporaneo, presso l’Università di Nantes in cotutela con l’Orientale di Napoli. Ha il doppio titolo di Dottore di Ricerca in Lingua e civilizzazione italiana e in Asia Africa e Mediterraneo.

Immagine: L’ haft sin dell’autrice.

FONTE: https://larivistaculturale.com/2021/03/20/antropologia-culturale-sociologia-una-festivita-zoroastriana-il-noruz-capodanno-persiano/

Origine del Capodanno

di Redazione 

 

Le feste di Natale sono ormai passate, ci diamo qualche giorno di tregua, per poi ricominciare i festeggiamenti per il Nuovo Anno, nuovo cenone, e nuovi riti. A differenza della festa religiosa natalizia, che c’è chi la festeggia e chi no, l’inizio del Nuovo Anno lo festeggia tutto il mondo, o meglio lo festeggia chi ha come calendario, il calendario Gregoriano.

In tempi antichi il Capodanno non era per tutti il 1° gennaio, infatti, i babilonesi, i giapponesi, festeggiavano l’inizio dell’anno con la rinascita della Terra, e cioè in primavera. L’origine del Capodanno, come lo conosciamo oggi, risale alla festa pagana del Dio romano Giano, nel VIII secolo, i pagani delle Fiandre, avevano l’usanza di festeggiare il passaggio del nuovo anno proprio il 1° Gennaio.

Nel 46 a.c. Giulio Cesare, creò il “Calendario Giuliano” che stabiliva che l’anno nuovo iniziava il primo gennaio, e come usanza i Romani usavano invitare a pranzo gli amici e scambiarsi il dono di un vaso bianco con miele, datteri e fichi, il tutto accompagnato da ramoscelli d’alloro, detti “strenne” come augurio di fortuna e felicità. Il nome strenna derivava dal fatto che i rami venivano staccati da un boschetto della via sacra ad una dea di origine sabina: Strenia, che aveva uno spazio verde a lei dedicato sul Monte Velia.

La dea era apportatrice di fortuna e felicità; il termine latino “strenna”, presagio fortunato, deriva probabilmente proprio dalla dea. Nel Medioevo molti paesi europei usavano il Calendario Giuliano, ma vi era un’ampia varietà di date che indicavano il momento iniziale dell’anno. Tra queste per esempio il 1 marzo (capodanno nella Roma repubblicana), 25 marzo (Annunciazione del Signore) o il 25 dicembre (Natale). Solo con l’adozione universale del calendario gregoriano (dal nome di papa Gregorio XIII, che lo ideò nel 1582), la data del 1 gennaio come inizio dell’anno divenne infine comune.

FONTE: http://calendario-esoterico.esoterya.com/origine-capodanno/21402/

 

 

 

Notti Magiche. Riti e tradizioni di Capodanno

Un’altra straordinaria notte magica è quella che costituisce il cuore delle feste, la notte di Capodanno, la festa della speranza, la speranza nel domani. Con lo scoccare della mezzanotte un ciclo si conclude ed un altro ha inizio.

di Maria Pia Fiorentino, 29 Dicembre 2014

Con lo scoccare della mezzanotte un ciclo si conclude ed un altro ha inizio

Un’altra straordinaria notte magica è quella che costituisce il cuore delle feste, la notte di Capodanno, la festa della speranza, la speranza nel domani. Con lo scoccare della mezzanotte un ciclo si conclude ed un altro ha inizio; è un istinto arcaico quello che induce gli uomini ad appellarsi alla fortuna attraverso una serie di consuetudini che pur avendo un sapore magico, vengono perseguite da tutti, anche dai più scettici: vischio, agrifoglio, nocciole, uvetta, lenticchie, zampone, simboli di fortuna e di abbondanza. E ancora botti, rumori, brindisi scherzi e risate che pare vogliano esorcizzare quel magico, lunghissimo momento che separa il passato dal futuro: è istintivo, d’altronde, rivolgere al futuro le proprie aspettative ed attribuire al passato ogni sorta di negatività.

 

I riti della notte di Capodanno

Vediamo dunque come propiziarsi la fortuna in questa notte incantata:

al momento del brindisi di mezzanotte, se avete un ceppo che arde nel camino, versate sulla fiamma il primo sorso del vostro spumante, avendo cura di far cadere qualche goccia del vostro vino anche sul ceppo e la fortuna non vi abbandonerà per tutto l’anno.

Prendete una noce, tenetela in mano per dieci minuti circa e poi gettatela nel fuoco; se la noce scoppierà l’anno sarà buono, se brucerà senza scoppiare, sarà un po’ più difficile.

A mezzanotte in punto bruciate il vecchio calendario arrotolato e legato con nove giri di filo rosso, ripetendo mentalmente «Brucia libro dei giorni passati e che i dolori del vecchio anno non tornino più».

Scrivete su un foglietto i progetti, le situazioni e le esperienze che, nell’arco dell’anno che si è chiuso, vi hanno arrecato dispiacere e che non desiderate più rivivere e quindi gettatelo nel fuoco. Su un altro foglio scrivete i vostri desideri e le vostre aspirazioni per l’anno che comincia e, dopo averlo piegato e strappato in quattro pezzetti ( perché nessuno possa leggerlo), affidatelo al vento…

 

Cose da fare

Far rumore con botti e campanelli per scacciare da casa le presenze negative.

Offrire al camino (o al vento, se non avete il camino) il primo sorso di spumante o il primo boccone dell’anno.

Buttare via (dal balcone?) oggetti vecchi dei quali volete liberarvi.

Mangiare tra la mezzanotte del 31 e l’alba del 1 gennaio le lenticchie con le mani.

Baciare uno sconosciuto sotto il vischio. Fare gli auguri ad una persona dell’altro sesso che sapete felice ed amata. Fare gli auguri ai propri animali domestici. Gettarsi dietro la spalla sinistra un sorso di vino e una moneta.

Indossare al contrario, un paio di slip rossi. Indossare un capo nuovo. Indossare qualcosa di rosso e di turchino. Mangiare a mezzanotte tredici chicchi, uno dietro l’altro, d’uva nera. Accendere una candela bianca da offrire all’anno nuovo perché vi sia propizio e lasciare che bruci completamente.

 

Cose da non fare

Preparare la pasta in casa per il pranzo di Capodanno. Spazzare la casa il primo giorno dell’anno. Lasciare appese delle corde o delle calze penzolanti. Contare denaro. Mangiare a mezzanotte qualcosa all’aperto. Litigare con qualcuno. Telefonare, se siete donne, in casa d’altri di buon mattino per fare gli auguri… la prima telefonata, perché sia di buon auspicio, deve essere fatta da una voce maschile.

FONTE: http://www.eternoulisse.it/miti_leggende/notti_magiche_riti_tradizioni_capodanno.html

 

 

 

Capodanno 2015: il significato, i simboli dagli slip al rosso, le tradizioni cristiane
24 dicembre 2014 ore 10:00, Micaela Del Monte

Il Capodanno porta con sé usanze a cui è difficilissimo sottrarsi. Spesso alcuni “riti” vengono imposti dagli amici senza neanche capirli. Ma perché la notte del 31 dicembre si fanno certe cose? Tanto per cominciare:da cosa avrebbe origine il Capodanno? Tutto risale alla festa del dio romano Giano. Nel VII secolo i pagani delle Fiandre, seguaci dei Druidi, avevano il costume di festeggiare il passaggio al nuovo anno .

Oggi in tutto il mondo si festeggia il passaggio dal vecchio al nuovo anno e per ogni Paese esistono diverse usanze, pagane o religiose, a cui occorre far fede per portare fortuna all’ anno che arriva. La mezzanotte segna comunque il momento di passaggio che ricorda al mondo la fine di qualcosa e l’inizio di un nuovo percorso da fare. Ma quali sono i simboli e le usanze del Capodanno? E soprattutto perché li pratichiamo? Lenticchie, fuochi d’artificio, completini intimi rossi, uva e tanto altro… C’è un motivo per cui sono nate queste tradizioni, che comunque variano da regione a regione, e sono comunque tutti simboli di buon augurio. Ma vediamo approfonditamente come e perché sono nate:

LE LENTICCHIE: è uno dei riti più conosciuti e di base viene utilizzato in quasi tutta Italia. Questa usanza sembra che favorisca l’abbondanza e la ricchezza e vengono mangiate perché, note sin dall’antichità, hanno un grande potere nutritivo e nella forma molto simili ai soldi (motivo per cui vengono associate a questi); mangiarne significa quindi un anno pieno di abbondanza, soldi, gratificazioni economiche. Sempre segno di abbondanza associato alle lenticchie è il cotechino o lo zampone; il maiale, carne grassa e nutriente è anche questo simbolo di un anno pieno di abbondanza e prosperità.

UVA E MELOGRANO: La prima è un’usanza importata dalla Spagna, bisognerebbe infatti mangiarne un chicco per ogni rintocco alla mezzanotte, 12 come i mesi dell’anno, l’uva è l’equivalente delle lenticchie e, per gli spagnoli, simbolo di fortuna. Il melograno invece è simbolo di fedeltà efecondità, mangiarlo nell’ultima notte dell’anno, magari con il proprio compagno, fidanzato o marito è simbolo didevozione e prosperità.

INTIMO ROSSO: Il colore rosso dei chicchi di melograno lo ritroviamo nell’usanza di mettere della biancheria intima di questo colore il 31 dicembre, per avere amore e fortuna, ma, e forse questa cosa si conosce poco, va buttata il giorno dopo. Gli antichi romani invece lo indossavano perché il rosso è il simbolo del sangue e della guerra e serviva dunque ad allontanare la paura.

FUOCHI D’ARTIFICIO: Sono ora simbolo di gioia e di festa, ma in passato il rumore serviva a scacciare gli spiriti cattivi e le forze del male che si scatenano nel momento di passaggio dal vecchio al nuovo anno.

GETTARE LE COSE VECCHIE: Un’altra usanza che a volte si è rivelata pericolosa e che sta però scomparendo è quella di gettare dalla finestra delle cose vecchie rotte come simbolo di abbandono dell’inutile per un inizio migliore. Ma è anche un rito di eliminazione del male, fisico e morale, che si è accumulato durante l’anno trascorso. Questa usanza è molto diffusa soprattutto a Roma e a Napoli.

IL VISCHIO: Il Vischio era considerato dai Druidi una pianta sacra in grado di guarire ogni malattia, per i Celti invece era un modo per raccogliere i fulmini (queste infatti colpivano molto spesso querce ricoperte di vischio) e quindi un collegamento diretto con il cielo. Non molti sanno però che, nonostante sia simbolo di buon auspicio per l’anno che verrà e milioni di innamorati si siano baciati sotto i suoi rami, le sue bacche sono fatali. E allora perché si usa baciarsi sotto il vischio? Perché i Druidi quando due nemici si incontravano sotto una pianta di vischio erano infatti soliti abbandonare le armi e concedersi una tregua, sancendo il patto con un bacio. Da quella tradizione si è giunti fino alla nostra per cui, appendere il vischio alla porta della propria casa o all’interno dell’abitazione è augurio di prosperità.

ALTRE USANZE: Nella tradizione di Capodanno, dopo che vi sarete svegliati, è quella di uscire di casa con dei soldi in tasca perché è un auspicio per il buon inizio; e se incontrerete un anziano o un gobbo sarà veramente un anno fortunato, perché l’anziano è sinonimo di vita longeva, il gobbo di fortuna, ma in alcune parti d’Italia è abbastanza fortunato incrociare una persona del sesso opposto per avere un anno di fortuna (i conviventi sono esclusi, ovviamente). Un’usanza cristiana è invece il Te Deum,ovvero un inno in prosa di origine antica. Il Te Deum è soprattutto legato alle cerimonie di ringraziamento e viene appunto cantato, secondo la tradizione, la sera del 31 dicembre per ringraziare dell’anno appena trascorso-

Tratto da: www.intelligonews.it/articoli/24-di…zioni-cristiane

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Il vassoio di solidarietà

Secondo una credenza molto antica cinese, nei tempi passati, le famiglie usavano riempire un vassoio di otto scompartimenti, ognuno dei quali con alimenti diversi. Il suo contenuto veniva offerto a tutti gli ospiti che venivano a far visita durante l’Anno Nuovo. Ancora oggi questa tradizione è mantenuta viva in molte case di tutto il mondo, dove un vassoio è tenuto ripieno con dolci, caramelle e altri gadget, ed è offerto a tutti gli ospiti. Esso simboleggia una famiglia che sta insieme in ogni momento.

Narciso d’acqua o Ninfea

Il popolo cinese e anche di tutto il mondo considerano il fiore narciso come un ottimo auspicio e significa buona fortuna . Si crede che regararlo o tenendolo in casa nel giorno del nuovo anno, porti buona fortuna e prosperita’

Il colore rosso

Il colore ‘rosso’ significa vita e prosperità, così la maggior parte delle decorazioni in giro per il Capodanno sono di solito di colore rosso. Anche se si presenta qualcuno con un bouquet di fiori come regalo di capodanno, il rosso è considerato il colore ideale che si dovrebbe scegliere

Giano – il dio romano

I Romani dedicavano il 1 ° gennaio al dio romano Giano. Egli era un Dio con due facce, che guardava avanti e indietro verso gli altri .
Il volto che guarda all’indietro rappresentava l’anno passato e il volto che guardava in avanti, rappresentava l’anno che si avvicinava. Janus è anche noto come il dio dell’inizio e della fine.

Candele

Anticamente, si è creduto che il fumo delle candele alzandosi raggiungesse i cieli , assicurando che gli Dei rispondessero alle preghiere fatte. Accendere diverse candele la notte di capodanno avrebbe diffuso luce ,allegria e calore tra le persone

Il ceppo di Natale

Il ceppo di Yule è una parte importante nei festeggiamenti di Capodanno. È il simbolo della luce di ritorno dalla conquista delle tenebre . Si tratta di una parte importante della celebrazione, e dà anche un tocco di tradizione ad esso. Il ceppo è decorato splendidamente prima di essere deposto nel camino. È ornato con molle, nastri rossi e glitter, per aggiungere un auspicio supplementare ad esso. Tradizionalmente, il ceppo dovrebbe bruciare per una notte intera, per dodici giorni ,covare sotto la cenere (che indica i dodici mesi) e successivamente essere messo fuori dalla porta.

Tratto da: http://passionelotto.forumcommunity.net/?t…9c7682b21db12,0

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LE ORIGINI DEL CAPODANNO – TRADIZIONI, CELEBRAZIONI IN ITALIA E NEL MONDO

La notte di Capodanno è celebrata da tutte le popolazioni che seguono il calendario gregoriano a qualsiasi religione appartengano (a parte gli israeliani).

Origini del Capodanno- In origine il capodanno non cadeva nel passaggio tra il 31 dicembre e il 1 gennaio: queste date derivano dal calendario giuliano, adottato nel 46 a.C. da Giulio Cesare, dal quale prende il nome. Il calendario giuliano riprende e modifica il calendario egizio, e una delle modifiche è l’adozione del 1 gennaio come inizio dell’anno, mentre in precedenza cadeva il 1 marzo.

Nel 1582 questo calendario è stato sostituito dal calendario gregoriano, entrato in vigore con la bolla papale Inter Gravissimas del papa Gregorio XIII, dal quale prende il nome.
Il calendario gregoriano compensa lo scarto tra anno solare e anno del calendario adottando l’anno bisestile ogni 4 anni.
L’adozione del 1 gennaio come data di capodanno si deve quindi ai romani, ma solo con l’adozione universale del calendario gregoriano la data del 1 gennaio come inizio dell’anno divenne comune.
In questo giorno i Romani usavano invitare a pranzo gli amici e scambiarsi il dono di un vaso bianco con miele, datteri e fichi, insieme a ramoscelli d’alloro, detti strenne come augurio di fortuna e felicità. Ecco un termine diventato poi di uso comune, strenna.
Ma cosa significa? Il nome strenna derivava dal fatto che i rami venivano staccati da un boschetto della via sacra ad una dea di origine sabina: Strenia, che aveva uno spazio verde a lei dedicato sul Monte Velia. La dea era apportatrice di fortuna e felicità; quindi il termine latino “strenna”, presagio fortunato, forse deriva proprio dalla dea.
Le tracce più antiche arrivano però dagli antichi babilonesi: si narra che cominciarono a festeggiare il capodanno circa 4000 anni fa, e cadeva in corrispondenza della prima luna nuova dopo l’equinozio di primavera. Questa è la vera origina della festa, ed ancora oggi è così per tanti popoli.

Altre date del Capodanno- Vanno ricordati i Celti, che in passato festeggiavano nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, ossia Halloween, per celebrare il periodo in cui la terra si preparava per tornare poi a ridare i suoi frutti.
In Inghilterra e Irlanda il capodanno si festeggiava il 25 marzo, nel giorno dell’incarnazione, in Francia coincideva con la domenica di Pasqua, in Spagna invece fino al 1600 circa capodanno era il giorno di Natale.
Fu nel 1691 che papa Innocenzo VI, per porre fine a queste differenze locali, decretò che il capodanno dovesse iniziare per tutti il 1 gennaio (detto anche della Circoncisione).

Tradizioni e scaramanzie- Uno dei riti più conosciuti in tutta Italia è quello di mangiare le lenticchie allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, perché sembra favorisca l’abbondanza e la ricchezza, così come l’uva passa. I legumi, infatti, sono considerati un cibo in grado di nutrire, di opporsi alla fine del tempo per far sì che in futuro ci siano prospettive valide.
Per eliminare il male accumulato nel corso dell’anno, sia fisico sia morale, vi è un’altra usanza molto caratteristica: lanciare i cocci a mezzanotte, diffusa ancora a Roma e a Napoli. Gettare le cose vecchie è invece un segno di cambiamento e un augurio per il nuovo anno.
Uva e melograni fanno poi da padroni nei cenoni. Il melograno simboleggia la fedeltà coniugale e mangiarne è di buon auspicio. La leggenda narra che Proserpina, dopo aver mangiato il frutto, sia stata condannata a passare il resto della vita nell’Ade, insieme a Plutone suo sposo.
Un altro portafortuna è dato dalle strenne: se si ricevono molti regali infatti, si accumula abbondanza per tutto l’anno che verrà. Durante la notte di Capodanno, gruppi di giovani in varie regioni, cantano la “strenna” per le strade, con gli auguri di un felice anno e la richiesta di doni.

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Ma il bacio sotto il vischio? Anche questo è di buon auspicio.
A mezzanotte, se si bacia la persona amata sotto il vischio si avrà amore per tutto l’anno. Pianta che dona prolificità materiale e spirituale, il vischio era sacro per i popoli antichi.
Da non dimenticare poi la biancheria intima rossa da indossare a Capodanno: anche questo è un amuleto. L’usanza arriva dagli antichi romani, che lo indossavano come simbolo di sangue e guerra per allontanare la paura.
Attenzione poi alla prima persona che si incontra per strada allo scoccare della mezzanotte. È di buon augurio incontrare un vecchio o un gobbo, mentre se si incontrerà un bambino o un prete si avrà disgrazia.
Un’altra tradizione diffusa da ricordare è quella delle calende. E’ tradizione pensare che dal tempo che farà nei primi 12 giorni dell’anno si possa stabilire quello che farà nei 12 mesi dell’anno.

Ma i botti? Hanno un significato? Certamente si. Essi esprimono la volontà di allontanare gli spiriti maligni che nel momento di passaggio dal vecchio al nuovo anno si scatenano.
Oggi più che altro rappresentano un momento di allegria per l’anno nuovo. Nel tempo però si sono trasformati spesso in momenti di pericolo, più che di allegria, al punto tale da essere vietati.

Capodanno nel mondo- Nel resto del mondo sono ancora molte le date utilizzate come inizio, estranee alla storia religiosa cristiana: l’esempio più famoso è il calendario cinese, che non inizia in un giorno preciso bensì nel giorno della seconda luna piena dopo il 21 dicembre (solstizio d’inverno), e quindi in un giorno compreso tra il 21 gennaio e il 21 febbraio.
Ormai però anche questo grande Paese ha acquisito l’usanza di festeggiare il 31 dicembre.
Il capodanno islamico si festeggia il primo giorno del mese di Muharram e può corrispondere a qualsiasi periodo dell’anno gregoriano, in quanto l’anno lunare impiegato nel calendario islamico è circa 11 giorni più breve dell’anno solare del calendario gregoriano, cosicché una data islamica si “sposta” indietro, rispetto al calendario gregoriano, di circa un mese ogni tre anni.
Nel sud est asiatico sono diversi i paesi che festeggiano tra il 13 e il 15 aprile.
C’è poi il capodanno ebraico, che si festeggia a settembre, così come quello etiopico, infine il capodanno indù, che si festeggia a metà novembre.

Per quanto riguarda le usanze e i riti scaramantici:

In Spagna i festeggiamenti sono molto simili a quelli italiani.
Qui l’usanza tipica è quella di mangiare l’uva allo scoccar della mezzanotte: si preparano 12 acini e se ne inghiotte uno ad ogni rintocco dell’Orologio della Puerta del Sol di Madrid (le sue campanadas sono trasmesse su tutte le rete tv nazionali).
Come in Italia, inoltre, porta fortuna indossare un indumento intimo di colore rosso e posare un anello nel bicchiere del brindisi di mezzanotte per propiziare la buona fortuna. Dopo aver fatto tintinnare i bicchieri per tre volte consecutive, si brinda pronunciando la formula “Arriba, abajo, al centro y pa’ dentro” e bevendo tutto d’un sorso.

In Grecia il giorno di Capodanno si festeggia San Basilio (anziché San Silvestro, ndr), che porta doni ai bambini.
Una volta superata la soglia di casa, ogni ospite deve rompere un melograno, gettandolo per terra: più chicchi si spargeranno, più fortuna avranno i proprietari di casa.
A tavola si gusta, invece, la vassilopitta o torta di San Basilio, un pane dolce che nasconde al suo interno una monetina d’oro o d’argento:
chi la troverà, avrà un anno fortunato e prospero. Per quanto riguarda i dolci, i più gettonati sono i kurabiedes (frutta secca e dolcetti) e i melomakarona (biscotti con ripieno di miele o sciroppo). Ad accompagnare il tutto le kalanta, le tradizionali canzoni greche.

In Belgio non può mancare in tavola il Civet de Lièvre, salsa che accompagna i piatti di selvaggina preparato con vino, cipolle e spezie. E si consuma una zuppa di cipolla gratinata allo scoccare del nuovo anno, stando attenti a mettere sotto la ciotola una moneta o una foglia di cavolo, che assicurano prosperità.

In Inghilterra si usa fare un vero e proprio veglione di Capodanno, dove è tradizione mangiare il tacchino ripieno di castagne e il Christmas Pudding, un tipico dolce al cucchiaio molto spesso è arricchito con monete d’argento.
La notte di San Silvestro, inoltre, i sudditi della Regina si divertono partecipando a diversi giochi, come pescare con le mani la frutta secca che galleggia su un liquore infiammato, saltare all’interno di un cerchio composto da 13 candele rosse disposte sul pavimento senza spegnerne nemmeno una e, infine, mangiare una mela che si trova sospesa ad un filo senza spegnere la candela inserita nell’altra estremità.
Insomma, una sorta di rivisitazione del film cult “Il tempo delle mele” in chiave rigorosamente british.

I tedeschi trascorrono il Capodanno tutti agghindati e mascherati come fosse Carnevale.
Si brinda al nuovo anno con il Feuerzangenbowle, la bevanda della fraternità e delle associazioni studentesche a base di vino rosso, cannella, chiodi di garofano, bucce d’arancia e rum.
Nel corso della serata si offrono noci, nocciole e uvetta a tutti i parenti, amici e conoscenti. Nelle regioni protestanti si consuma l’aringa affumicata, che sembrerebbe essere anche un ottimo toccasana per far passare la sbronza.
Un’altra tipica usanza made in Germany è Das Bleigießen, letteralmente “colata di piombo”, che consiste nel versare il piombo nell’acqua fredda per conoscere il futuro (se il piombo forma una palla è un buon segno.

I giapponesi si preparano a celebrare Toshigami, la divinità dell’anno nuovo, dedicandosi alle pulizie domestiche.
I festeggiamenti veri e propri hanno, però, luogo dal 31 al 3 gennaio (Shogatsu), periodo dell’anno durante il quale si ringraziano gli dei che proteggono i raccolti e si dà il benvenuto agli spiriti degli antenati.
Per questa ricorrenza si usa esporre decorazioni di rami di pino e bambù (kadomatsu) e decorazioni di fili di paglia (shime-kazari) all’ingresso delle case.
Allo scoccare della mezzanotte le campane dei templi buddisti rintoccano 108 volte, tanti rintocchi quanti sono gli elefanti di Bonō per confessare tutti i peccati degli uomini.

La Russia è, invece, l’unico Paese dove il Capodanno si festeggia per ben due volte: il 31 dicembre secondo il calendario Gregoriano e il 13 gennaio secondo quello Giuliano (anche detto Capodanno vecchio).
Il 31 si fa l’albero e si aspetta la mezzanotte scandita dalla Torre Spasskaja del Cremlino per ballare e mangiare (la specialità del luogo sono le prugne secche farcite di nocciole ricoperte di panna acida).
Le portate del cenone (sembrerà scontato dirlo, ma non manca l’insalata russa) sono accompagnate da champagne e vodka ghiacciata.
Altra usanza tipica è poi quella di aprire la porta di casa al dodicesimo rintocco per far entrare l’anno nuovo.

Nel Sud America ci si veste tutti di giallo, il colore dell’oro, del sole e della luce.
Anche qui si mangiano 12 chicchi di uva nera e il capofamiglia getta il contenuto di un bicchiere di vino all’indietro per allontanare da casa la sfortuna.
In particolare, in Messico, per tutta la giornata si accende e si spegne il fuoco gettando tra le fiamme pietre, pestelli o mestoli di legno.
Infine, in Brasile ci si agghinda tutti rigorosamente di bianco vestiti, per cavalcare le prime 7 onde dell’anno e rendere così omaggio a Yemanjá, la divinità che protegge i mari e i bambini.

In Brasile il Réveillon vede persone di tutte le etnie, classi sociali e credenze religiose scendere in strada per festeggiare insieme il nuovo anno.
A Rio de Janeiro e a San Paolo si usa vestirsi di bianco, simbolo della pace e della tradizione afrobrasiliana.
L’anno inizia con le offerte alla dea Iemanja (la sirena delle acque) poste su piccole zattere illuminate da candele e spinte al largo in balia della corrente. Altra tradizione è il salto delle prime sette onde del nuovo anno per attirare la fortuna.

www.ounet.it/it/news/news/190-capod…-nel-mondo.html
www.cronacamilano.it/curiosita/2084…nuovo-anno.html
www.focus.it/A_ciascuno_la_sua_mezzanotte_C38.aspx
www.iodonna.it/attualita/primo-pian…171385002.shtml

FONTE: https://vascello-stelleperdute.forumfree.it/?t=71888293

 

 

 

 

L’Akītu, il Capodanno babilonese, e la riattualizzazione del Sacro

Attraverso la riattualizzazione mitica dello scontro tra il dio Marduk e il “mostro marino” Tiamat, l’Akītu si configurava, in ultima analisi, seguendo gli studi di Mircea Eliade, come un rito di passaggio collettivo: al principio del nuovo anno, mediante il rituale e la recitazione dell’antico poema cosmogonico Enûma Eliš, veniva “rifondato” il tempo e lo spazio.


di Maurilio Ginex

 

È possibile apprendere dalla lezione di Mircea Eliade una differenziazione tra ciò che rappresenta il Tempo Sacro e ciò che invece viene definito come Tempo Profano. Quest’ultimo si identifica con la normale andatura del tempo all’interno della vita di un uomo che si contraddistingue da ciò che rientra nella dimensione temporale di sacro attraverso la ricorrenza delle feste a sfondo religioso che rappresentano una forma di cesura del tempo, una rottura con il tempo ordinario.

Le feste, costituite da articolati rituali che richiamano, nel loro manifestarsi periodicamente, l’importanza del mito nel contesto sociale, diventano un modo per poter passare, senza alcun pericolo, dal tempo profano al tempo sacro e viceversa. A tale proposito Eliade stesso dice (Il sacro e il profano, p. 47):

« Partecipare religiosamente a una festa, significa uscire dalla “normale” durata temporale e reintegrare il tempo mitico riattualizzato dalla festa stessa. »

Ciò che rientra nella dimensione di sacro la cui manifestazione viene definita come ierofania, che significa per l’appunto «manifestazione del sacro», abbraccia una mole svariatissima di fatti. Un rituale, un mito, possono essere ierofanie; ma ciò che è importante evidenziare è il fatto che il tempo assume sacralità in virtù della ricorrenza dell’evento e nel suo continuo manifestarsi, non mutando mai nella sua ontologia.La sua reiterazione e la sua manifestazione risultano monolitiche nel senso che in esso non vi è possibilità di applicare la razionalità temporale intesa come cambiamento imposto dal divenire del tempo. Il tempo sacro che traspira in una determinata festa o in un determinato rituale non cambia la sua essenza, diventa un tempo circolare la cui sacralità viene reintegrata attraverso le ierofanie.

Sulla scia di questo breve preambolo sulla differenza tra le due tipologie di tempo vissuto dall’individuo, prendiamo in analisi un contesto storico-mitico che nei vari studi culturali che si sono occupati di società arcaiche spesso compare, ovvero, la realtà di Babilonia. Una città chiamata «Casa della base del cielo e della terra» o «porta degli dèi» (Etemenanki) (Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, p. 31), ovvero una città da cui gli dei discendevano.

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All’interno del contesto babilonese, che nel nostro discorso abbraccia la differenza tra tempo profano e tempo sacro, innestiamo uno sguardo critico ed esplicativo di una specifica tipologia di festa, molto antica, risalente al periodo di Babilonia non soltanto per una localizzazione storico-temporale ma per l’appartenenza culturale della città. Questa festa è chiamata Akītu, ovvero il Capodanno babilonese. Essa era la festa più importante a Babilonia ed era un evento che poteva essere celebrato soltanto in presenza del re.

Tale festa era costituita da una grossa struttura, in quanto la sua celebrazione si svolgeva in 12 giorni, nel mese di Nisān (Nissanu), che equivale al mese di Aprile in Occidente. L’Akītu rappresenta quello che nella letteratura etnologica, da Arnold Van Gennep, è stato definito rito di passaggio, ovvero una ierofania che causa un passaggio da uno stato di cose ad un altro. Una celebrazione che rappresenta un rito di passaggio, in cui nella transizione al nuovo anno viene rifondato il tempo e lo spazio.

Tra i 12 giorni che si trascorrono nella festività dell’Akītu, il quarto assume una particolare importanza sacrale poiché in quel giorno, nella sera, il sommo sacerdote (šešgallu) del tempio — Esagila, una struttura eretta in Babilonia per il re degli dèi, Marduk — reciterà l’antico poema cosmogonico Enûma Eliš. Quest’ultimo metterà in risalto un aspetto strutturale della vicenda storico-mitica babilonese, ovvero il rapporto che intercorre tra il dio Marduk e il mostro marino Tiamat. Il poema rappresentava lo strumento attraverso il quale poter continuamente rinnovare nella memoria, mediante un processo di ritualizzazione, lo scontro tra Tiamat e Marduk; scontro in cui quest’ultimo riuscì a sconfiggere il mostro ricomponendo l’ordine e sconfiggendo il Caos.

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Il dio Marduk e il “Mostro Marino” Tiamat

Marduk nella storia della mitologia e nel mondo antico rappresenta una figura controversa, in quanto soltanto nel momento in cui Babilonia diviene il centro politico dell’Eufrate – per mano di Hammurabi, nel secondo millennio a.C. —esso assunse le sue connotazioni positive e maggiore importanza di fronte alla popolazione, tanto da dedicare alla sua effige mitica uno spazio sacro, come l’Esagila, luogo in cui si incarna l’importanza di Marduk che mitologicamente, sconfigge Tiamat.

Quando si parla di spazio sacro si parla implicitamente di una costruzione cosmogonica attraverso tale spazio. La costruzione rappresenta una reiterazione all’infinito di un archetipo, sotto forma di «rivelazione primordiale» (Eliade, Trattato di storia delle religioni, p. 382). Ma l’aspetto che più interessa il discorso sviluppato in questa sede è ciò che riguarda la dimensione cosmogonica, sopra citata, della creazione dello spazio sacro.

Nel Trattato di storia delle religioni (1958), Eliade, quando parla della costruzione della dimensione spaziale del sacro, sviluppa un discorso inerente all’erezione di altari e santuari, identificando nella stessa costruzione dei medesimi l’atto di una ricostruzione del cosmo, ma la stessa portata cosmogonica può strutturalmente essere applicata a qualsiasi altra intenzione di costruzione di uno spazio sacro. Come per esempio, nel nostro caso, l’Esagila che diventa — attraverso il richiamo alla figura del sacro identificata nel dio Marduk — reiterazione archetipica e primordialeIl sacro, presso le popolazioni che, sulla base di una certa tradizione di studi che va da Eliade ad Van der Leeuw, vengono definite come tradizionali o primitive, diventa qualcosa che nella sua reiterazione e valorizzazione promuove una visione metafisica dell’esistenza.

La società babilonese è per l’appunto, un esempio di tali sistemi sociali, che vedono nella realtà terrena una forma di imitazione della dimensione celeste(Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, p. 18). Dunque un altro aspetto determinante all’interno di un processo di analisi, volto alla comprensione della razionalità di una società antica viene rappresentato dal simbolismo del centro e dall’importanza che quest’ultimo riveste culturalmente. In questo specifico aspetto del contesto babilonese analizzato, la centralità dell’Esagila ne attesta la sacralità non soltanto per il fatto che esso diventa un elemento costitutivo della festa rituale dell’Akītu, ma propriamente perché nella sua centralità si sintetizza l’innesto tra culto del Dio e passaggio dal caos (Tiamat presente) all’ordine (Tiamat sconfitto). Luogo, che per il suo specifico simbolismo, diventa perfettamente consono all’idea di rito di passaggio che vi è nella festa di capodanno.

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Marduk sconfigge Tiamat

Le forme del sacro sono innumerevoli, ma ciò che bisogna rammentare di fronte a qualsiasi decostruzione analitica che se ne fa, è che ogni fenomeno culturale nasce come espressione di una data esperienza psichica, per dirla con Leo Frobenius. Tutto è soggetto a una contestualizzazione tematica, concettuale, sociale e culturale, oltre che temporale, ma tale contestualizzazione non deve essere sintomo di pregiudizio implicito.

Esempi come l’Akītu o istituzioni sacre come l’Esagila, rappresentano un dato importante, in quanto in esse possiamo leggere come nell’antichità non si scorga un ipotetico discorso separatista, da parte del moderno europeo, basato sulla presenza o meno di razionalità nelle ierofanie specifiche. Si può percepire invece come, in realtà, sia più comune la presenza di un rapporto diretto con il sacro. Un rapporto che influenza l’identità della struttura sociale che baserà la sua esistenza sul rapporto primordiale e continuo con una dimensione celestiale.

Questo aspetto specifico identifica l’assoluta peculiarità delle società presocratiche e arcaiche in cui il sacro si consumava sin dal quotidiano. Quel sacro che allude a una dimensione in cui vige l’importanza della ripetizione, attraverso cui le società rifondano il tempo mitico e la validità dello spazio rituale — come il centro rappresentato dall’Esagila nel discorso svolto — al fine di un’autocoscienza totale che evidenzia continuamente il rapporto con il trascendente.

Infine, in un orizzonte in cui il sacro acquisisce un suo specifico spazio anche nel quotidiano, risulta determinante identificare come il mito acquisisca un’importanza di particolare rilievo, poiché è in esso che bisogna ritrovare l’origine di quella dimensione sacra. Il mito racconta come si sono evoluti i fatti in forma primordiale e attraverso di esso si può risalire all’identificazione di un cultura, decostruendo usi e costumi di un popolo. Dunque, il mito rappresenta qualcosa di totale nei confronti dell’identità del sistema sociale di appartenenza e da esso si può individuare la morfologia — simbolica e culturale — dei vari rituali festivi.

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Una rappresentazione moderna dell’Akītu

Bibliografia:

  • ELIADE, Mircea: Il mito dell’eterno ritorno, 1949
  • ELIADE, Mircea: Il sacro e il profano, 1959
  • ELIADE, Mircea: Trattato di storia delle religioni, 1958

FONTE: https://axismundi.blog/2019/03/28/lakitu-il-capodanno-babilonese-e-la-riattualizzazione-del-sacro/

 

 

 

GianoBifronte(ASI) Roma – Il Capodanno è forse la più antica festività e in Italia deriverebbe dalle celebrazioni pagane in onore del Dio Giano. Infatti, se i Romani chiudevano l’anno con i Saturnali (una serie di festeggiamenti in onore del Dio Saturno), lo aprivano il 1 gennaio con le celebrazioni in onore del dio Giano, da cui trae origine il nome del primo mese dell’anno, appunto Gennaio.

Il Capodanno, cioè la festa pagana del Dio Romano Giano coincide col 1 gennaio, da quando è stato introdotto nella Roma antica, nel 46 a.c., il Calendario Giuliano, promulgato da Giulio Cesare, in qualità di Pontefice Massimo. In precedenza, il Capodanno era il 1 marzo, in prossimità del risveglio naturale primaverile, come era in uso in molte popolazioni italiche.

Il nome del dio Giano, tipicamente italico e latino, deriverebbe da “Janus”, termine che deriverebbe a sua volta da “porta” in latino: “ianua”.

Quindi, Giano è considerato il Dio dell’apertura, cioè dell’inizio, in questo caso appunto dell’apertura dell’anno, cioè del suo principio.

Infatti, nell’antica Roma si credeva che ogni azione, sia pubblica che privata, non si poteva svolgere positivamente se non si aveva il favore del dio Giano che, secondo gli Italici e i Latini, presiedeva alla nascita del mondo, ed era anche protettore del concepimento, perciò, in tal senso, veniva definito “Janus Pater”, cioè padre di tutti gli uomini, dell’Universo.

Una delle attività pubbliche che assolutamente non si potevano fare contro il favore di Giano, era sicuramente la guerra, infatti il suo tempio nel Foro Romano (la cui sembianza è pervenuta a noi solo su una moneta di Nerone del 66 d.C.), rimaneva aperto in occasione di campagne militari e veniva sbarrato con una cerimonia in tempo di pace. Pertanto, si considerava Giano anche il custode simbolico della pace.

A Giano, i Romani offrivano ritualmente foccacia, farro o lenticchia (da ciò deriverebbe l’uso attuale delle lenticchie per i soldi e la fortuna nel nuovo anno), per propiziare i raccolti e quello stesso giorno i Romani usavano incontrarsi a mangiare con gli amici e scambiarsi doni. Inoltre, si gettavano fragorosamente dalla finestra delle case della plebe romana tutte le cose vecchie e legate a cattivi ricordi e presagi (da qui deriva la tradizione dei botti e del lancio degli oggetti, ancora molto diffusa a Napoli, a Roma e nel centro – sud Italia).

Esso, secondo una leggenda latina, sarebbe stato il primo Re del Lazio che dimorava sul Gianicolo (letteralmente “posto abitato da Giano”), dove ospitò il Dio Crono (Saturno per i Romani), dopo che venne detronizzato dal figlio Zeus (il Latino Giove).

Per la gentilezza, Saturno trasfromò Giano in una divinità, donandogli la possibilità di vedere sia il passato che il futuro e proprio per questo viene rappresentato bifronte, dal cui aspetto deriverebbe anche il fatto di essere il sorvegliante sia della porta della casa che della città: una sua faccia guarda verso l’entrata, mentre l’altra verso l’uscita (il passato – il futuro, l’inizio – la fine).

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

FONTE: https://agenziastampaitalia.it/speciali-asi/speciale/36860-il-capodanno-e-la-festa-romana-in-onore-del-dio-giano

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