RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 7 AGOSTO 2020

https://www.radiortm.it/2020/08/05/beirut-distrutta-da-unesplosione-micidiale-di-giannino-ruzza/

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 7 AGOSTO 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Se un uomo ricco vi viene a raccontare che è diventato ricco grazie al duro lavoro,

dovreste chiedergli: DI CHI?

GINO & MICHELE, Le cicale 2008, Kowalski, 2007, pag. 132

 

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SOMMARIO

Silverstein: è stato Israele a bombardare il porto di Beirut
Israele distrugge Beirut Est con una nuova arma
Beirut colpita, ora il regime-change
Pagati dall’Oms per fare il lockdown? La Bielorussia accusa
LE DONNE DEI FILM
Come governo USA e Hollywood collaborano per giustificare i bombardamenti atomici del Giappone
Mons. Negri sulla Mafia di San Gallo
Cremaschi: finiremo come la Grecia, lo dice chi l’ha vissuto
RIPARTE LA SCUOLA, MA NON IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
LA RIVOLUZIONE CONCETTUALE URBANA
Sotto il tricolore che sventola a Camp Darby
Quale nuova arma è stata usata nel Golfo e a Beirut?
Beirut, Hiroshima
Uomini e topi: il potere mondiale fondato sulla paura
“Colpiremo chiunque vogliamo”: la maschera dell’impero USA scivola via
Assalto dal Mar Baltico
NON LO DICEVA NERUDA
Bizzi: Conte cede sui segreti-Covid dopo la strage a Beirut
Conte, si mette male: il Copasir vuole vedere le carte segrete sul Coronavirus
Lockdown voluto da Conte, CTS chiedeva chiusure differenziate: i documenti desecretati
L’arbitrario lockdown nazionale di Conte e la finta desecretazione dei verbali
Nike e altri marchi mondiali, complici nel lavoro forzato della Cina
MPS naufraga in Borsa: la perdita trimestrale è da record
Palamara ammette: «È vero, la sinistra orienta la magistratura».
Emilio Fede, 89 anni, arrestato come un serial killer: in 6 per bloccarlo al ristorante
I TORTI DI SERGIO ZAVOLI NEI CONFRONTI DI FRATE MITRA
Pensioni, preparano in silenzio la Fornero-bis.
La raccolta firme contro Soros: ecco come vogliono cacciarlo
Usa e Israele utilizzano la tragedia di Beirut per mettere sotto controllo il Libano e neutralizzare Hezbollah
ECONOMIA BLOCCATA E LEGALITÀ: È LA RICETTA CONTE CHE PIACE ALL’UE
I libanesi diventano amici libici.
Superpoteri, segreti e pm. La democrazia è in pericolo
LE MASSE “MODERNE” E OSCURANTISTE – CREDONO DI OBBEDIRE ALLA “SCIENZA”.
Bianca Bonavita: “Bill Gates e la nemesi tecno-medica”
Ritter, ex ufficiale Marines: Gli USA bombardarono il Giappone nel 1945 per dimostrare il loro potere all’URSS

 

 

IN EVIDENZA

Silverstein: è stato Israele a bombardare il porto di Beirut

Israele ha fatto esplodere un deposito di munizioni di Hezbollah nel porto di Beirut. Ma non sapendo che un deposito vicino conteneva un’enorme quantità di nitrato di ammonio,  sopraffatto dalle dimensioni della carneficina e della distruzione, il governo ha immediatamente negato il proprio coinvolgimento – ancor prima che qualcuno in Libano incolpasse Israele. Una fonte israeliana altamente informata mi ha detto, in via confidenziale, che Israele ha causato la massiccia esplosione nel porto di Beirut che ha ucciso oltre 100 persone e ne ha ferite migliaia. Il bombardamento ha anche praticamente raso al suolo il porto stesso e causato danni ingenti in tutta la città. Israele aveva preso di mira un deposito di armi di Hezbollah nel porto e aveva pianificato di distruggerlo con un dispositivo esplosivo. Tragicamente, l’intelligence israeliana non è stata sufficientemente diligente, perché non sapeva (o se lo sapevano, non gliene importava) che c’erano 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio in un magazzino proprio lì accanto. L’esplosione del deposito di armi ha incendiato il magazzino accanto, provocando la catastrofe che ne è derivata.

Ovviamente è inconcepibile che gli agenti israeliani non si siano curati di appurare tutto ciò che riguardava il loro obiettivo, incluso ciò che si trovava nelle immediate vicinanze. La tragedia che Israele ha provocato è un crimine di guerra di immensa Richard Silversteingrandezza. La Corte Penale Internazionale ha già stabilito di indagare su Israele per i crimini di guerra commessi a Gaza nel 2014 durante Protective Edge. Ora, immagino che amplierà la portata delle indagini, includendo il criminale massacro, causato da negligenza, del 4 agosto. Sebbene Israele abbia regolarmente attaccato Hezbollah e depositi e convogli di armi iraniani in Siria, raramente ha intrapreso attacchi così sfacciati all’interno del Libano. Questo attacco nella capitale del paese segna un’escalation maggiore. La pura incoscienza di questa operazione è sorprendente. Un’operazione di questo tipo può avvenire solo in mezzo a disfunzioni politiche interne. Bibi (Natanyahu) è alle corde, e cerca disperatamente di cambiare argomento. Quando i suoi ufficiali dell’intelligence gli hanno portato il piano, probabilmente si è fregato le mani con gioia e ha detto: «Vai!».

L’intelligence israeliana era naturalmente pronta a soddisfare il capo, e probabilmente ha “smussato” gli angoli per portare a termine l’attacco. Quando nessuno al volante dice “stop”, la barca colpisce un iceberg e affonda. Questo è probabilmente quello che è successo in questo caso. L’attentato israeliano ne richiama alla memoria altri simili, orchestrati dai suoi agenti a Beirut nel periodo precedente e successivo all’invasione del 1982. Il libro di Ronen Bergman sugli omicidi del Mossad, come pure Remy Brulin, hanno documentato molteplici attentati israeliani, durante questo periodo, che hanno provocato molte morti e distruzioni ai danni della popolazione civile della città. In questo caso, il danno è stato accidentale, ma questo non sarà di conforto per le migliaia di abitanti di Beirut, le cui vite sono diventate un inferno vivente a causa di questo crimine israeliano. L'esplosione a BeirutPer inciso, l’ex membro della Knesset per il Likud, Moshe Feiglin, ha twittato una citazione della Bibbia sul disastro: «Non ci sono mai stati giorni così grandi in Israele come il 15 di Av [il giorno dell’attentato] e lo Yom Kippur».

Certo, mi duole ammettere che il presidente Trump aveva ragione nella sua affermazione che l’esplosione è stata «un attacco terribile», e che l’informazione gli era stata trasmessa dai «suoi generali». In questo caso, avevano ragione loro. Potrebbero (e dovrebbero) esserci ripercussioni politiche interne, per questo disastro. Quando Netanyahu ha approvato l’attacco, è divenuto responsabile delle conseguenze. Nel 1982, una commissione d’inchiesta trovò Ariel Sharon colpevole dell’invasione del Libano e del massacro di Sabra e Shatila. Fu mandato in esilio politico per un decennio. Per lo meno, questo dovrebbe escludere Bibi dal guidare il paese. Questo sarebbe il risultato in qualsiasi nazione democratica in cui il leader fosse ritenuto responsabile dei suoi fallimenti. Ma ahimè, Israele non è un paese del genere, e Bibi sembra sempre riuscire a sottrarsi alle responsabilità per i suoi errori. La differenza adesso è che il leader israeliano è già sotto pressione, a causa della disastrosa risposta del suo governo al Covid-19 e dell’incombente processo per corruzione, con tre capi d’accusa. Questo potrebbe essere il punto di svolta.

Normalmente, gli israeliani non batterebbero ciglio di fronte a un simile massacro. Sono affascinati dalla sofferenza che infliggono ai loro vicini arabi. Ma data la decrescente popolarità di Netanyahu, questo accadimento potrebbe accelerarne la fine. Israele non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per infliggere tale sofferenza al Libano. Il paese è in profonda crisi economica. Le aziende falliscono, le persone non hanno nulla da mangiare, i politici litigano e si incolpano a vicenda, mentre non fanno nulla. Il Libano è come un cestino da basket. La sofferenza è ovunque. C’è poco interesse da parte dei suoi fratelli arabi, come l’Arabia Saudita, ad andare in suo aiuto. Se un paese non aveva bisogno di questa tragedia aggiuntiva, La catastrofe a Beirutquesto è il Libano. Ma ecco qui: Israele non sembra avere alcun senso di vergogna o moderazione quando si tratta di infliggere dolore ai suoi vicini. Naturalmente ci saranno degli scettici, persone che non crederanno alla mia fonte. Ma a loro faccio notare due evidenze.

Di solito, se Israele ha intrapreso con successo un attacco terroristico (come quelli contro l’Iran), o rifiuterà di commentare, oppure una figura militare o politica di alto livello dirà qualcosa del genere: «Noi rifiutiamo di commentare, ma intanto qualcuno ha fatto un favore al mondo». In questo caso, Israele ha immediatamente negato ogni responsabilità. Perfino Hezbollah avrebbe detto che Israele non aveva causato il danno (probabilmente per proteggersi dall’inevitabile colpa di aver conservato le sue armi accanto a un edificio pieno di materiale esplosivo). Il secondo segnale rivelatore è che Israele non offre mai aiuti umanitari ai suoi vicini arabi. Durante la guerra civile siriana, l’unico gruppo a cui Israele offrì assistenza umanitaria furono i suoi alleati islamisti anti-Assad. Israele non ha mai offerto aiuti del genere in Libano, fino ad oggi. Ha invece causato decenni di morte e distruzione. Farlo ora è degno della sua faccia tosta.

(Richard Silverstein, “Israele ha bombardato Beirut”, dal blog di Silverstein del 4 agosto 2020; post tradotto e ripreso l’indomani da Paola Di Lullo su “L’Antidiplomatico“. Silverstein, giornalista e blogger ebreo-americano, si definisce un «sionista progressista (critico)» che sostiene un «ritiro israeliano ai confini pre-67 e un accordo di pace internazionalmente garantito con i palestinesi». La stessa di Lullo segnala tre indizi: un video postato da “Repubblica“, in cui si vede un oggetto volante nero che lascia la zona, e i sospetti dell’esperto Danilo Coppe, intervistato dal “Corriere della Sera” e da “Fanpage).

FONTE:https://www.libreidee.org/2020/08/silverstein-e-stato-israele-a-bombardare-il-porto-di-beirut/

 

 

 

Israele distrugge Beirut Est con una nuova arma

Il primo ministro israeliano ha ordinato la distruzione di un deposito d’armi dello Hezbollah a Beirut con una nuova arma che, non ancora ben sperimentata, ha causato ingenti danni, ha ucciso più di un centinaio di persone, ne ha ferite 5.000 e ha distrutto molti edifici. Questa volta Benjamin Netanyahu difficilmente potrà negare.

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Il 27 settembre 2018, alla tribuna delle Nazioni Unite, Benjamin Netanyahu mostra il deposito che esploderà il 4 agosto 2020, indicandolo come deposito di armi dello Hezbollah.

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha autorizzato un’offensiva contro un deposito d’armi dello Hezbollah per mezzo di una nuova arma, testata sette mesi fa in Siria. S’ignora se l’operazione sia avvenuta con il consenso del secondo primo ministro, Benny Gantz.

L’offensiva del 4 agosto 2020 ha colpito esattamente il luogo indicato da Benjamin Netanyahu nel discorso tenuto alle Nazioni Unite il 27 settembre 2018 [1].

Non si sa che tipo di arma sia stata usata. È stata però testata in Siria a gennaio scorso. Si tratta di un missile la cui testata contiene un componente nucleare tattico, che provoca il fungo caratteristico delle armi nucleari. Non si tratta evidentemente di una bomba atomica in senso strategico.

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Test israeliano in Siria

Quest’arma è stata testata in Siria, in pianura e in aperta campagna, poi nelle acque del Golfo Persico, contro imbarcazioni militari iraniane. Il 4 agosto è stata utilizzata per la prima volta in un’area urbana, in un ambiente particolare che ha fatto ripercuotere sull’acqua e sull’altura lo spostamento d’aria e le vibrazioni. Non solo ha distrutto il porto di Beirut, ha ucciso anche un centinaio di persone, ne ha ferite almeno altre 5.000 e ha distrutto la parte Est della città (la parte Ovest è stata in gran parte protetta dall’alto edificio che contiene silos per cereali).

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Mettendo a confronto queste due foto satellitari, su quella di sinistra si vede la distruzione del deposito dello Hezbollah e di parte del porto.

Israele ha immediatamente attivato le entrature nei media internazionali per nascondere il proprio crimine e accreditare l’ipotesi dell’esplosione accidentale di uno stock di fertilizzante. Come spesso accade, si trovano colpevoli fasulli e la macchina mediatica internazionale ripete fino alla nausea la menzogna, sebbene in assenza d’inchiesta. Eppure tutti hanno potuto vedere il fumo a forma di fungo, incompatibile con la tesi dell’esplosione di fertilizzanti.

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Il fumo a forma di fungo osservato a Beirut non ha niente a che vedere con quello che avrebbe causato un esplosivo convenzionale.

Così come né Siria né Iran hanno reagito dopo essere stati colpiti da questa nuova arma, anche i partiti politici libanesi hanno immediatamente concluso un accordo affinché la verità venga tenuta nascosta al fine di non demoralizzare la popolazione. È stata aperta un’inchiesta per indagare non già sulla causa dell’esplosione, ma sulla responsabilità del personale portuale nello stoccaggio dei fertilizzanti, spacciati come causa dell’esplosione. Questa menzogna si è però presto ritorta contro i partiti politici che l’hanno architettata.

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Il Tribunale delle Nazioni Unite per il Libano ha deciso di rinviare di qualche giorno il verdetto sull’affare dell’assassinio nel 2005 del primo ministro Rafic Hariri, che avrebbe dovuto emettere a breve. Nella vicenda dell’assassinio di Hariri, l’esplosione di un furgone mascherò il tiro di un missile caricato con una nuova arma, così come l’esplosione di nitrato ha mascherato il tiro sul deposito di armi dello Hezbollah.

Cinque anni dopo – cinque anni troppo tardi! – ho rivelato su una rivista russa come fu ucciso Rafic Hariri [2]; lo Hezbollah diffusse invece un video che dimostrava l’implicazione di Israele.

È importante rilevare che l’assassinio del 2005 colpì un primo ministro sunnita, mentre l’attacco del 2020 non colpisce lo Hezbollah sciita, ma l’insieme della Resistenza libanese.

Oggi diverse ambasciate hanno fatto rilevamenti, in particolare hanno prelevato campioni di cereali e filtri ad aria delle ambulanze che si sono immediatamente recate sul posto, materiale che già viene analizzato nei rispettivi Paesi.

NOTE

[1] “Remarks by Benjamin Netanyahu to the 73rd Session of the United Nations General Assembly”, by Benjamin Netanyahu, Voltaire Network, 27 September 2018.

[2] “Rivelazioni sull’assassinio di Rafiq Hariri”, di Thierry Meyssan, Оdnako (Russia) , Rete Voltaire, 29 novembre 2010.

FONTE:https://www.voltairenet.org/article210678.html

 

 

Beirut colpita, ora il regime-change

7 agosto 2020

In Beirut devastata, la visita del presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha promesso aiuti, ma è da capire se condizionati all’eliminazione di Hezbollah dal Paese.

Ieri sera, una manifestazione contro il governo. C’è grave malcontento in Libano, date le condizioni economiche disastrose acuite dalle sanzioni americane (comminate perché il Paese conserva un legame con l’Iran), che la distruzione del suo vitale porto acuisce ancor più.

L’ecatombe può essere usata per promuovere il regime-change in Libano – manovra alimentata dall’estero già da mesi, di cui le sanzioni sono fattore -, cioè creare una nuova dirigenza che disarmi Hezbollah.

Tale è l’auspicio che rimbalza su diversi media. Strumentalizzazione inaccettabile di quanto accaduto, sia che si tratti di un incidente sia che si tratti di un attacco.

E del tutto irresponsabile: Hezbollah e i suoi alleati, libanesi e non, non possono accettarla, da cui il rischio di una nuova guerra civile, che però, a differenza di quella del passato, non risparmierebbe il territorio israeliano.

Come tutti i regime-change servono soldi, tanti soldi. Gli aiuti per la ricostruzione possono essere utilizzati anche per questo, da cui l’attenzione al tema.

Di ieri la notizia delle dimissioni del delegato Usa per l’Iran Brian Hook, falco che pure aveva trovato accordi con Teheran (Reuters e, più approfondito, Piccolenote). Sarà sostituito con Elliott Abrams, delegato per il Venezuela e specialista in regime-change (New York Times). Non aiuta.

Tanti i leader del mondo che hanno espresso la loro solidarietà e inviato aiuti concreti.

Rifiutati, invece, quelli di Israele, che ha espresso apertamente analoga solidarietà. Sul punto, riportiamo alcuni passaggi di un articolo di Gideon Levy su Haaretz, che definisce l’offerta del governo israeliano uno “show dell’ipocrisia”.

Nella sua nota ricorda che tale offerta stride con la sistematica violazione dei cieli libanesi, che l’aviazione israeliana solca usualmente in violazione della sovranità altrui.

E con la devastazione portata nel Libano dalle forze israeliane nelle due guerre pregresse, che hanno creato ovvia diffidenza.

Più precipuo quanto scrive di seguito: “Non è stato lo stesso ministro della Difesa che solo la scorsa settimana ha terrorizzato lo stesso Libano con la minaccia di distruggere le sue infrastrutture? Il primo ministro non ha anch’egli minacciato il Libano? E come dovrebbe apparire la distruzione delle infrastrutture del Libano? Proprio come quel che si è visto martedì in Libano”.

E ricorda come in seno all’esercito israeliano si sia fatta strada la “Dottrina Dahiya” (1), che prevede “l’uso di una forza sproporzionata e sfrenata contro le infrastrutture, la distruzione diffusa e lo spargimento di più sangue possibile. “Flattening” – per insegnare al nemico una lezione ‘una volta per tutte’.  L’IDF [Israel Defence Force] ci ha provato più di una volta in passato, in Libano e a Gaza, ed è stata una storia di successi vertiginosa. Sembra proprio quello che si è visto a Beirut martedì”.

Intervento durissimo, del quale abbiamo riferito solo alcuni cenni, e certo erroneo nel dilatare la critica a tanti cittadini israeliani estranei a tali derive, una moltitudine dei quali è anzi oppositiva (né i cittadini americani avevano nulla a che vedere con la decisione della Difesa Usa di usare due atomiche su civili innocenti nella Seconda guerra mondiale).

Ed erroneo nel dilatare la critica all’intero apparato di Sicurezza israeliano, che invece, nonostante la necessaria unità esterna, vede dialettiche accese al suo interno, sia negli obiettivi che nei metodi.

Tanto che si può dare per certo che in queste ore terribili si sia intrecciato un dialogo sottotraccia tra Hezbollah e l’ambito più realista di tale apparato, un dialogo peraltro da sempre intercorso tra i due contendenti, al fine di gestire le tensioni perché quanto avvenuto e sta avvenendo non tracimi ancor più.

Esercizio arduo, ma è l’unica strada per evitare nuovi disastri. Ed è probabile che proprio tale dialogo abbia prodotto l’impossibile linea comune sulle cause accidentali dell’esplosione (vera, verosimile o falsa che sia), presto diventata linea globale (a parte Trump che ha parlato di “attacco”, anche per fugare eventuali dubbi riguardo ipotesi di operazioni Usa).

Un esito che però deve ancora essere fissato, date le spinte confliggenti. Di oggi le parole del presidente del Libano Michel Aoun, il quale ha detto che a causare l’esplosione potrebbe essere stata anche “una bomba, un missile o un’altra azione“, cioè un sabotaggio.

Oggi pomeriggio parla il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, e il mondo è sospeso a quanto dirà.

(1) Il riferimento è all’ultima guerra tra Israele ed Hezbollah del 2006 che, nonostante Hezbollah occupasse il solo Libano del Sud, Israele reputò necessario estendere all’intero Paese. Così Levy: “Quando Israele ha demolito Dahiya e altri quartieri di Beirut, l’edificio del comune di Tel Aviv non era illuminato con i colori della bandiera libanese”.

Ps. L’Iran ha chiesto agli Stati Uniti di abolire le sanzioni contro il Libano, da martedì esplicitamente criminali. Nonostante il profondo dolore per l’accaduto, tale revoca ancora non è stata neanche ipotizzata. A proposito di ipocrisia…

FONTE:http://piccolenote.ilgiornale.it/46620/beirut-esplosione-regime-change

 

Pagati dall’Oms per fare il lockdown? La Bielorussia accusa

Il governo italiano è stato pagato sottobanco per imporre il lockdown più severo e disastroso d’Europa? Se lo domanda lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurola Boreale, riflettendo sullo scandalo denunciato dalla Bielorussia: prima l’Oms e poi addirittura il Fmi avrebbero offerto un mare di soldi, a Minsk, per “fare come in Italia”. Chiudere in casa il paese, sulla base di un allarme gonfiato, fino a rovinarlo economicamente? Nemmeno per sogno, ha risposto il governo bielorusso: per fronteggiare il Covid bastano e avanzano le normali misure sanitarie adottate nel paese est-europeo, senza nessun coprifuoco e nessun blocco suicida dell’economia. E se una simile “offerta” fosse stata avanzata anche all’Italia, in primis, visto che «come ben sappiamo, in tutta questa sceneggiata» il nostro paese «ha sempre avuto il ruolo di modello-pilota», decisivo per premere sul resto d’Europa verso il modulo-Wuhan? «Ben conoscendo la mentalità dei nostri politicanti, dubito fortemente che non sia stata accettata», scrive Bizzi sulla sua pagina Facebook, nel giorno in cui a denunciare il governo, la Protezione Civile, il Comitato Tecnico-Scientifico e lo stesso ministro Speranza è nientemeno che il prestigioso fisico Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia dei Lincei.

L’accusa: l’Italia è stata ingannata, sulla base della «volontà fraudolenta» del Cts, «per mezzo della Protezione Civile», complice anche l’Istituto Superiore di Sanità. «Devono spiegarci perché in FranciaGermania, Spagna e Gran Bretagna i dati Lukashenkosono di pubblico dominio, e in Italia no», ha detto Parisi, completamente ignorato dai grandi media nazionali, sui cui vigilia la task-force istituita a Palazzo Chigi per filtrare le notizie scomode sul Covid. Grande silenzio anche sulle sconcertanti esternazioni che il presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenko ha rilasciato ufficialmente di fronte al Parlamento di Minsk. Il mese scorso, ricorda Bizzi, il presidente Lukashenko, «che notoriamente si è sempre rifiutato di adottare nel suo paese alcuna misura di emergenza, di lockdown o di “distanziamento sociale”», ha dichiarato di aver ricevuto «una cospicua offerta in denaro (92 milioni di dollari) da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, affinché facesse “come in Italia”». Offerta che, dopo il secco no di Lukashenko, sarebbe stata in poche settimane addirittura decuplicata: «Ben 900 milioni di dollari, questa volta offerti dal Fondo Monetario Internazionale, accompagnati dalla medesima richiesta: chiudere tutto e fare “come in Italia”».

Aggiunge Bizzi: «So, da fonti di intelligence, che simili offerte sono state fatte a molti altri paesi europei e non solo europei. E so anche che molti capi di Stato o di governo, tra cui il presidente della Serbia Aleksandar Vučić, non hanno esitato un attimo ad accettarle». Per Bizzi, la logica vuole che anche l’Italia «potrebbe aver avuto una lauta offerta in tal senso», particolarmente allettante per «i nostri politicanti». Peraltro, aggiunge Bizzi, «questa ipotesi potrebbe spiegare dove e come il governo Conte abbia reperito le risorse destinate (probabilmente già all’inizio dell’anno) al potenziamento delle forze dell’ordine per garantire la tenuta e la riuscita del lockdown». Già in precedenza, Bizzi aveva parlato di anomale e inspiegabili “spese pazze” per dotare polizia e carabinieri di auto e fuoristrada, droni, elicotteri. «Mi auguro sinceramente che fra gli atti e i verbali secretati che il Walter Ricciardi e Angelo BorrelliTar del Lazio ha ordinato di rendere pubblici – aggiunge Bizzi – si possa presto trovare la risposta a questo e a molti altri nodi irrisolti, come ad esempio la folle e inconcepibile direttiva che “sconsigliava” le autopsie». Bizzi si riferisce alla sentenza del 13 luglio, sulla base della quale – dopo l’esposto dei legali della Fondazione Einaudi – il tribunale amministrativo chiede al governo di rendere pubblici, entro 30 giorni, i dati autentici sull’emergenza sanitaria italiana.

La sentenza del Tar, ricorda Bizzi, impone alla presidenza del Consiglio e alla Protezione Civile di togliere il velo ai verbali del Comitato Tecnico-Scientifico, «in base a cui il governo Conte avrebbe preso tutte le decisioni più importanti per mettere in scena lo “stato d’emergenza”, il lockdown, l’arbitraria sospensione dei diritti civili dei cittadini sanciti dalla Costituzione e tutte le orwelliane misure repressive che ben conosciamo e che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle negli ultimi mesi, dal “distanziamento sociale” alle museruole». Atti e verbali che erano stati secretati, «peraltro senza alcuna oggettiva giustificazione», e la cui lettura o conoscenza è stata fino ad oggi preclusa e negata «non solo ai parlamentari, ma addirittura agli stessi membri del governo, come ha più volte lamentato il vice-ministro della salute Pierpaolo Sileri». Tutto questo avviene mentre ci avviciniamo al 31 luglio, giorno che (almeno formalmente) dovrebbe sancire la fine dello stato d’emergenza imposto da Conte all’Italia e agli italiani lo scorso gennaio. «Stato d’emergenza che, nonostante la sempre più massiccia levata Bizzidi scudi da parte di centinaia di illustri medici, giuristi, costituzionalisti, docenti universitari e intellettuali, tenteranno fino all’ultimo di prorogare, non certo per motivi sanitari».

Secondo Bizzi, gli uomini attualmente al governo del paese prorogherebbero volentieri il catastrofico “stato d’emergenza” «per coprire i loro misfatti, per evitare che vadano in fumo affari milionari e per continuare a governare a colpi di Dpcm, nel totale silenzio del Quirinale e delle cosiddette “opposizioni”», che per Bizzi – da Salvini a Berlusconi, fino alla Meloni – hanno solo finto di contrastare Conte, attenendosi in realtà alla linea del lockdown che ha trasformato l’emergenza sanitaria in catastrofe socio-economica a orologeria. Tuona Parisi, presidente dei Lincei: «Ignoriamo quando e quante siano venute a mancare le persone per Covid. Quanti siano i contagi effettivi, per quanti giorni siano state ricoverate le persone, il reale quadro clinico di ognuna di esse». Parisi parla di una «storia oscura», e aggiunge: «I numeri non tornavano mai, sia nel confronto con gli altri anni, sia con il numero delle vittime rispetto al 2015, che in quell’anno furono oltre 50.000, 15.000 più di oggi, senza che bloccassero il paese». Un’accusa durissima: «Tradotto dal politichese, quei numeri erano un solenne imbroglio senza alcun fondamento, utile solo per generare un clima di terrore». Di qui il sospetto evocato da Bizzi: non è che i nostri governanti hanno accettato finanziamenti dall’Oms per imporre il lockdown più pazzo d’Europa, in modo che gli stregoni della nuova “polizia sanitaria” potessero andare in giro per il mondo, soldi alla mano, a proporre di “fare come l’Italia”?

FONTE:https://www.libreidee.org/2020/07/pagati-dalloms-per-fare-il-lockdown-la-bielorussia-accusa/

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

LE DONNE DEI FILM

MANU LOT

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Le donne dei film quando vanno a dormire indossano pigiami fighissimi, mica di flanella con i polsini in colori pastello… NO. Sono sempre piacevoli completi da uomo in seta o micro camicie da notte con vestaglia (aperta) coordinata. Ecco. Noi donne normali di vestaglie non ne abbiamo. Forse una. Brutta. Ereditata. Per l’ospedale, non si sa mai che occorra e facciamo le corna.
Le donne dei film quando vanno a dormire si spazzolano a lungo i capelli. Noi no. Tanto poi ci dormi sopra e ti si forma comunque la COFANA.
Le donne dei film quando vanno a dormire si spalmano voluttuosamente la crema sulle mani, sulle gambe, sul viso, quello anche noi donne mortali ma magari in bagno, dopo la doccia, in 10 secondi e prima che qualcuno faccia irruzione senza bussare. Mica a letto che poi si unge tutto.
Le donne dei film quando vanno a dormire si lavano i denti senza sputacchiare disordinatamente nel lavandino. E’ perché usano dentifrici speciali. A SECCO.
Le donne dei film quando vanno a dormire inforcano occhiali molto sexy (che mica sono ciecate come noi) e leggono un libro. Poi, o vengono importunate e risatine e doppi sensi e ciaone al libro, tanto mica era vero, erano le pagine gialle (ndr. per i giovani: trattasi di elenco telefonico cartaceo, anche detto “reperto del mesozoico”) oppure vengono cazziate dal marito/compagno infastidito dalla luce. I libri noi li si legge sul divano che è più comodo e non c’è nessuno che rompe.
Le donne dei film prima di dormire discutono con i loro mariti/compagni su questioni di fondamentale e vitale importanza, tipo l’educazione montessoriana dei figli, l’università dei figli (attualmente all’asilo), i problemi di lavoro, il senso d’inquietudine diffuso tra la gente, la pace nel mondo, il razzismo, la politica. Le donne normali prima di dormire si accertano innanzitutto di aver recuperato tutti i figli (ovunque fossero) e si accordano col compagno/marito su chi va a prendere chi il giorno seguente e dove.
– Hai capito che devi prenderla a danza alle 18.30? No, non a musica, a danza. No, non alle 19, alle 18.30. Mi ascolti cazzo? Ripeti: dove la devi andare a prendere domani? Ok. Lascia stare. VADO IO.
Le donne dei film non si struccano mai, si addormentano e si svegliano truccate, a volte pure già vestite. Con il letto già fatto. Sorridenti. E sembra sempre abbiano trascorso una giornata in una spa e non al lavoro.
Anche voi?

FONTE:https://www.larivistaintelligente.it/donne-film/

 

 

Come governo USA e Hollywood collaborano per giustificare i bombardamenti atomici del Giappone

Democracy Now, 06 agosto 2020

Nel 75° anniversario del bombardamento di Hiroshima, quando gli Stati Uniti divennero l’unico Paese ad aver mai usato armi nucleari in guerra, guardiamo a come il loro governo cercò di manipolare la narrativa su ciò che fece, soprattutto controllando come fu ritratto da Hollywood. Il nuovo libro del giornalista Greg Mitchell, “The Beginning or the End: How Hollywood – and America – Learned to Stop Worrying and Love the Bomb”, documenta come i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki innescarono una gara tra gli studi cinematografici di Hollywood per raccontare una versione disinfettata della storia con un grosso film. “Sono emerse prove di ogni tipo che l’uso della bomba non fu necessario, avrebbe potuto essere ritardato o non usato affatto”, afferma Mitchell. “Ma l’importante era impostare questa narrazione di giustificazione, impostato proprio all’inizio da Truman ed alleati, coi media molto disponibili”.

Trascrizione
Questa è una trascrizione affrettata. La copia potrebbe non essere finale.
AMY GOODMAN Qui è Democracy Now! Sono Amy Goodman, con Nermeen Shaikh…
Oggi è il 75 ° anniversario del lancio della bomba atomica da parte degli Stati Uniti su Hiroshima, 75 anni fa, inaugurando l’era atomica il 6 agosto 1945. Questo è J. Robert Oppenheimer, lo scienziato che coordinò la creazione della bomba atomica, e a capo del progetto Manhattan, che descrive i suoi sentimenti alla prima esplosione nucleare della storia che illuminò il poligono di prova Trinity nel New Mexico, il 16 luglio 1945.
J. ROBERT OPPENHEIMER: Sapevamo che il mondo non sarebbe stato lo stesso. Alcuni risero. Alcuni piansero. Molti erano silenziosi. Mi ricordai la frase delle scritture indù, del Bhagavad Gita. Vishnu cercava di persuadere il principe a fare il suo dovere e, per impressionarlo, assunse la forma dalle tante braccia dicendo: “Ora sono diventato la Morte, il distruttore dei mondi”. Suppongo che l’abbiamo pensato tutti, in un modo o nell’altro.

AMY GOODMAN: “Ora sono diventata la Morte, il distruttore dei mondi”. Era lo scienziato J. Robert Oppenheimer che citava il Bhagavad Gita. Bene, passiamo ora a guardare a come il governo degli Stati Uniti controllò la narrativa sulla corsa per costruire e utilizzare la prima bomba atomica, soprattutto controllando come tale storia fu rappresentata dai media. Questo è il fulcro del nuovo libro The Beginning or the End: How Hollywood – and America – Learned to Stop Worrying and Love the Bomb. The Beginning or the End è anche il nome di un film del 1947 della MGM. Ne sapremo di più e molto altro dal giornalista Greg Mitchell, che ha scritto molto sui bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, ed è anche autore di Atomic Cover-up e Hiroshima in America, con Robert J. Lifton, ex-redattore della rivista Nuclear Times. È fantastico averti con noi, Greg. Terribile anniversario il 75° del lancio della bomba atomica, che inaugurò l’era nucleare. Greg, prima di parlare del film,The Beginning or the End , che iniziò a creare la narrazione su ciò che accadde, per chi non ha familiarità con ciò che accadde allora, il senso di J. Robert Oppenheimer, la decisione del presidente Truman di sganciare la bomba? Dicci perché la bomba fu sganciata e le critiche da quel momento ad oggi, che non furono ascoltate in quel momento.

GREG MITCHELL: Sì. Grazie. Felice di essere qui. Beh, sai, la ragione dichiarata per sganciare la bomba, diventata quella che chiamo narrazione ufficiale, davvero fino ad oggi, come abbiamo visto di nuovo con la copertura mediatica del mese scorso, era che fosse l’unica cosa che avrebbe potuto porre fine alla guerra, salvando un milione di vite nordamericane, i giapponesi non si sarebbero arresi ed avremmo avuto una costosa invasione del Giappone, e dovevamo davvero sganciare la bomba, l’unica cosa che funzionava. Questo emerse dalla dichiarazione iniziale di Truman, in cui definì Hiroshima base militare. Quindi, sin dall’inizio, fu importante comunicare al popolo nordamericano che questo fu un atto dignitoso e necessario. E naturalmente nel corso dei decenni emersero prove che dimostrano che c’erano alternative. Ad esempio, Truman aveva chiesto alla Russia di dichiarare guerra al Giappone, che lo promise per il 9 agosto. E ci sono molti che credono che il Giappone, anche Truman, si sarebbe arreso rapidamente dopo la dichiarazione di guerra sovietica. E così, c’è ogni prova emersa che l’uso della bomba non fosse necessario, che avrebbe potuto essere ritardato o non usato affatto. Ma ciò che era importante era impostare questa narrativa della giustificazione. Impostata dall’inizio, da Truman e dai suoi alleati, coi media molto disponibile, e successivamente la soppressione delle prove di Hiroshima e Nagasaki, confisca di filmati, fotografie dell’ufficio censura a Tokyo. Il mio libro riprende la storia a Hollywood. E penso che racconta l’intera storia di questo periodo e cosa successe con questa svolta cruciale, stranamente, attraverso la storia piuttosto divertente di questo film, per come Truman e l’esercito intervennero per dettare il film e fare una totale revisione della sceneggiatura riflettendo tale narrativa ufficiale, piuttosto che porre domande sulla bomba. E poi, alla fine, quando uscì il film, non fu altro che propaganda. E così davvero la storia di questo film, e come racconto nel libro, riflette davvero molto tale punto di svolta degli USA, adottando questo percorso per approvare l’uso della bomba, da parte della maggior parte dei media e del pubblico fino ad oggi.

AMY GOODMAN: Greg, una cosa molto veloce, prima di parlare del film, dell’altro film di cui parli. Il governo degli Stati Uniti filmò segretamente i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, non solo dal cielo, ma la devastazione sul terreno, portò quel film agli scienziati di Los Alamos, del Progetto Manhattan che realizzò le bombe. E i rapporti sono che questi scienziati vomitarono. Vomitarono mentre vedevano questo film, inorriditi, non capendo che questo sarebbe stato usato sul Giappone. Può parlare di tutti, da Albert Einstein a J. Robert Oppenheimer, e di come si sentirono alla fine? Quel film fu quindi reso altamente classificato per decenni .
GREG MITCHELL: Esatto.

AMY GOODMAN: Ovviamente non incriminante, non condividendo segreti nucleari, ma a causa del suo enorme effetto.
GREG MITCHELL: Sì. Ebbene, in effetti, come mostra il libro, il film della MGM effettivamente fu ispirato da uno di questi scienziati. Ce n’erano così tanti sconvolti da ciò che era successo coll’uso della bomba e dai pericoli per il futuro. E così, uno di questi scienziati di Los, mi scusi, di Oak Ridge, contattò stranamente una sua ex-studentessa di chimica, l’attrice Donna Reed, e Donna Reed mise in moto MGM per realizzare questo film. Ma era…

AMY GOODMAN: Questa è Donna Reed, la famosa attrice.
GREG MITCHELL: Sì.

AMY GOODMAN: Il suo insegnante di scienze?
GREG MITCHELL: Il suo insegnante di chimica al liceo finì nel Progetto Manhattan. Le scrisse una lettera due mesi dopo il bombardamento, dicendo che doveva convincere Hollywood a realizzare un film ad alto budget che avrebbe messo in guardia il mondo sui pericoli di questa strada nucleare. E naturalmente come hai detto, Albert Einstein ne fu molto convinto di questo, probabilmente ne fu il principale portavoce. E sai, Donna Reed mise in moto laddove MGM iniziò, lanciando questo film. Alla Paramount, realizzarono lanciato un film concorrente, con Ayn Rand, tra l’altro, come sceneggiatrice. Quindi, il libro ne parla molto. La sceneggiatura di Ayn Rand fu alla fine troppo stravagante anche per Hollywood, e quindi la Paramount si unì alla MGM nel film, nel loro terribile film. Ma in ogni caso, gli scienziati fecero, molti di loro si misero contro la bomba. E in parte fu causa dei loro guai; i principali scienziati erano sorvegliati e seguiti, e i loro telefoni intercettati dall’FBI. Hai menzionato la confisca di questo filmato. Solo molto, molto brevemente, i giapponesi, una squadra di cinegiornalisti giapponese prima e poi una squadra militare statunitense, filmarono a Hiroshima e Nagasaki nelle settimane e mesi successivi al bombardamento. Il filmato nordamericano era a colori. Probabilmente fu tutto: ogni volta che vedi un filmato a colori di Hiroshima e Nagasaki, era di questa squadra militare statunitense. E ho raccontato questa storia prima in Atomic Cover-up, libro che scrissi alcuni anni fa, e ora ho appena diretto un film, sempre Atomic Cover-up, che esplora come il metraggio giapponese e quello nordamericano furono nascosti per decenni, perché semplicemente… mostrava troppo degli effetti umani dei bombardamenti. Ma questa è una storia correlata al mio libro attuale, perché Hollywood essenzialmente fece la stessa cosa. Era diverso, ma prese la sceneggiatura di un film, rivedendola completamente, con modifiche ordinate anche dalla Casa Bianca. Una scena costosa dovette essere girata di nuovo su ordine di Truman e della Casa Bianca, spiegando la sua decisione di usare la bomba in modo favorevole, si potrebbe dire, cosa che fece la MGM. Quindi, voglio dire, è abbastanza incredibile, solo quell’esempio, tra i tanti, di un presidente in carica che ordina a uno studio cinematografico di riprendere la scena chiave di un film per riflettere favorevolmente lui e ciò che fece.

NERMEEN SHAIKH: Bene, Greg Mitchell, voglio passare ai giorni nostri e al punto in cui gli Stati Uniti si trovano ora sull’uso delle armi nucleari, non solo 75 anni fa. Ma oggi scrivi che 75 anni dopo il primo uso delle armi nucleari, viene ancora supportato dalla maggioranza dei nordamericani. Citi un recente sondaggio di YouGov e The Bulletin of Atomic Scientists che rilevava che più di un terzo sosterrebbe un attacco nucleare contro la Corea democratica, se testasse un missile a lungo raggio in grado di raggiungere gli Stati Uniti, anche se ciò significasse il morte di un milione di civili.
GREG MITCHELL: Sì. Voglio dire, ciò che ha veramente guidato il mio lavoro per quasi quattro decenni è, sai, la gente dice: “Perché Hiroshima è importante oggi?” o, “Non puoi cambiare la storia, anche se potessi”. Ma il semplice fatto è che gli USA continuano ad avere ciò che viene chiamata politica del primo colpo. Significa che qualsiasi presidente può ordinare un attacco nucleare preventivo, in altre parole, in risposta a una guerra convenzionale o, come hai appena detto, una minaccia percepita da un rivale o nemico. Penso che la maggior parte delle persone pensi ancora che gli USA sganciò solo per rappresaglia, ma non è vero. Abbiamo una politica di primo uso o primo colpo. E ci sono stati sforzi per cambiarla. Non è successo. Quindi abbiamo ancora un presidente dal primo colpo. Ora abbiamo un presidente alla Casa Bianca che sai molte temono du ciò che possa fare in una crisi, o anche in risposta a un tweet. Non è esattamente il “genio stabile” che afferma di essere. E così abbiamo questa politica ancora in vigore. Ed è perciò che continuo a tornare a Hiroshima ogni anno e con libri e articoli, perché i media, in particolare, continuano a sostenere l’uso di allora. Certamente, nessun presidente si è messo contro. Gli alti funzionari continuano ad approvarlo. E il fatto è che sai, da un lato, diremo: “Non dobbiamo mai più usare armi nucleari. Sono terribili ”e così via. Ma le due volte che le usammo, furono “necessarie”. E quindi è questa l’approvazione dell’uso della bomba. Penso che potremmo vedere tutti piuttosto facilmente che se lanciassimo un altro attacco nucleare, la stesse scuse uscirebbero. Abbiamo questo nel nostro background. Abbiamo questo nella nostra storia. Il mondo lo condanna nettamente, ma è nella nostra storia. Ed è stato giudicato…

AMY GOODMAN: E nel tempo, Greg Mitchell, il numero di persone che morirono, si credeva fossero più di 200000, quando le due bombe atomiche furono sganciate?
GREG MITCHELL: Sì, 200000 a Hiroshima e Nagasaki.

AMY GOODMAN: Beh, lascio qui, con questo 75° anniversario del bombardamento di Hiroshima. Grazie mille per aver partecipato.

FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=13199

 

 

 

ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME

Mons. Negri sulla Mafia di San Gallo

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19 feb 2017
Mons. Negri sulla Mafia di San Gallo Mons. Negri sul laicismo e vescovi che tramavano che Benedetto XVI fosse mandato via
VIDEO QUI: https://youtu.be/4hu9DgtxOPY

FONTE:https://www.youtube.com/watch?v=4hu9DgtxOPY&feature=youtu.be

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Cremaschi: finiremo come la Grecia, lo dice chi l’ha vissuto

In una intervista all’”Huffington Post”, Yanis Varoufakis smonta il tanto esaltato patto Ue e la retorica della vittoria dell’Italia, che ancora stupidamente l’accompagna. Il punto centrale del giudizio del ministro greco, licenziato perché si opponeva al memorandum che ha poi distrutto la Grecia, è semplicissimo. Il vertice Ue avrebbe dovuto cancellare le politiche di austerità e in primo luogo il patto di stabilità che le impone. Invece quel patto è stato solo sospeso e l’anno prossimo, come annuncia anche il vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskis, tornerà in vigore. Paradossalmente proprio quando l’Italia potrebbe ricevere la prima tranche di aiuti e prestiti, tornerebbero in vigore quelle politiche ci hanno costretto a 38 miliardi di tagli sulla sanità. Così noi dovremmo accompagnare la spesa dei soldi che arrivano dalla Ue con la politica di rigore e riduzione del debito, che taglia i servizi e i diritti sociali. Esattamente la condizione della Grecia, che mentre con una mano riceveva prestiti dalla Ue, con l’altra li restituiva con gli interessi a banche e multinazionali, tedesche in primo luogo, tagliando e privatizzando tutto. Né vale la tesi che noi riceveremmo in questo caso anche aiuti a fondo perduto e non solamente prestiti.

Intanto perché questi aiuti netti, cioè tenuto conto di ciò che il nostro paese verserà nelle casse Ue per costituire il fondo complessivo, al massimo saranno 25-30 miliardi, scaglionati in 4 o 5 anni. Questi soccorsi risibili, come li definisce Varoufakis, Yanis Varoufakisgiungono ad un paese che solo quest’anno perderà 200 miliardi di Pil e che in tre decreti ha già speso per l’emergenza sociale 100 miliardi. Quindi pochi soldi che saranno inghiottiti dalle condizioni di rigore cui saremo sottoposti. Non c’è stata nessuna svolta in Europa, né nelle politiche di austerità, né in chi le guida: la Germania. Che avrebbe potuto fermare Rutte con una telefonata, ma che ha scelto di usarlo nella classica scena del poliziotto buono e di quello cattivo. Esattamente come avvenne per la Grecia, ci ricorda Varoufakis, che lo ha vissuto direttamente. Varoufakis è un europeista e spiega che proprio l’europeismo esce sconfitto da un patto che rafforza i nazionalismi, gli egoismi e il potere dell’austerità Ue. Per le stesse ragioni il Parlamento Ue ha quasi bocciato il patto di Bruxelles, lamentando i tagli che lo accompagnano, tagli alla spesa per la sanità, la ricerca, l’agricoltura. E sottolineando che la forte riduzione del peso degli aiuti a fondo perduto, da 500 a 390 miliardi, rischia di comprometterne ogni efficacia.

Insomma gli “europeisti onesti”, assenti nel Parlamento e nei mass media italiani, sono i primi a dichiarare che il patto di Bruxelles è una svolta mancata, che dopo la pioggia di un po’ di soldi, tornerà nella Ue ancora più aspra la siccità delle politiche di austerità. Noi non siamo europeisti, ma ai tanti rassegnati o in malafede che ripropongono la solita frase della signora Thatcher – non ci sono alternative – ricordiamo la proposta alternativa dell’europeista Varoufakis. Una proposta elementare: sospendere per sempre il patto di stabilità. E noi aggiungiamo: imporre alla Bce di comprare ancor più e per sempre debito pubblico, come ora fanno tutte le banche centrali del mondo. Su questo terreno ci sarebbe stato lo scontro vero sull’austerità al vertice Ue, ma nessun governo questo scontro lo ha tentato, anzi neppure pensato, a partire da quello italiano. Tutti hanno agito, proposto e litigato nell’ambito dell’agenda che Merkel aveva definito con Macron: aiuti e prestiti una tantum proprio per non toccare nulla dell’impianto e delle regole dell’austerità Ue. Che torneranno subito, con le condizioni cui dovremo sottostare e i controlli che dovremo subire. Intanto però l’Italia sconfitta si atteggia a vincitrice, in attesa che le pressioni per il ricorso al Mes la riportino alla dura realtà.

(Giorgio Cremaschi, “Finiremo come la Grecia, lo dice chi l’ha vissuto”, da “Come Don Chisciotte” del 25 luglio 2020).

FONTE:https://www.libreidee.org/2020/08/cremaschi-finiremo-come-la-grecia-lo-dice-chi-lha-vissuto/

 

 

 

RIPARTE LA SCUOLA, MA NON IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE

Riparte la scuola, ma non il diritto all’istruzioneNell’undicesima puntata de La scuola libera – la rubrica settimanale dell’Istituto Bruno Leoni curata da Suor Anna Monia Alfieri e dedicata all’approfondimento dei temi della scuola ai tempi del Coronavirus – parliamo dei limiti ancora presenti alla libertà di scelta educativa, e alla possibilità di superarli nell’ottica degli interventi atti alla ripresa dell’attività scolastica.

In questa puntata ripercorriamo quindi le tappe della legislazione nazionale ed internazionale che riconosce tale diritto alla famiglia, con particolare attenzione alla correlazione tra questo e il principio di non discriminazione su base economica, che può essere rispettato adottando il criterio della quota capitaria per studente.

Il rispetto di tali diritti non è solo un atto dovuto al rispetto delle convenzioni internazionali e della stessa costituzione italiana, ma rappresenta quindi la soluzione ai problemi posti alla ripartenza delle scuole e, con esse, dello stesso diritto all’istruzione.

VIDEO QUI: https://youtu.be/L0TeAkFT5MM

FONTE:http://www.opinione.it/societa/2020/08/07/istituto-bruno-leoni_scuola-libera-suor-anna-monia-alfieri-coronavirus-ripresa-attivit%C3%A0-scolastica-diritto-famiglia-discriminazione-base-economica-diritto-istruzione/

 

LA RIVOLUZIONE CONCETTUALE URBANA

La rivoluzione concettuale urbanaCarlos Moreno, professore della Sorbona, propone una ipotesi di “nuova città” e, a mio avviso, è un chiaro e motivato contributo a ripensare il concetto di città, il concetto di ambito urbano. Pochi blog fa ho affrontato il tema delle aree metropolitane ed ho prospettato una nuova logica per la amministrazione di tali sistemi; Moreno, invece, non cerca una nuova procedura amministrativa, non invoca un processo programmatico nella gestione della città, prospetta ed anticipa degli obiettivi che a mio avviso sono rispettosi della definizione di città di Max Weber “ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio-economiche”, ma al tempo stesso, lancia alcune interpretazioni che, devo essere sincero, mi affascinano.

La definizione weberiana è senza dubbio stata alla base di tutti coloro che, nell’intero arco temporale del ‘900, si sono cimentati nella redazione di Piani Regolatori delle nostre città. Mentre il professor Carlos Moreno lancia il progetto della “città in un quarto d’ora”, cioè una realtà urbana che viene fruita sistematicamente entro e non oltre un segmento temporale limitato. Per Moreno si passa dalla mobilità subita alla mobilità scelta; in realtà è il primo tentativo con cui si intende ridimensionare quel pendolarismo che ormai è diventato riferimento di base nel rapporto tra sede del lavoro e lavoratore.

Molte città ormai stanno cercando di comprendere una simile rivoluzione concettuale, in particolare città come Melbourne, Copenaghen ricercano nuove logiche di interpretazione delle esigenze di una città che negli ultimi trenta anni è cambiata. Ricordo sempre che trenta anni fa le attività del terziario incidevano, nella formazione del Prodotto Interno Lordo, per una percentuale non superiore al 40%, oggi tale soglia supera il 70%. Le attività del terziario, in particolare quelle del “terziario avanzato”, si svolgono essenzialmente in ambito urbano e quindi un simile cambiamento impone un ricorso ad una geografia del tempo che sfrutti lo spazio nei vari momenti della giornata, cioè secondo Moreno bisogna rendere polifunzionali molti luoghi e in tal modo annullare le fasi in cui spazi della città sono privi di attività, sono prive di funzioni. Questo comporta il ricorso ad una elasticità interpretativa della città che si configura davvero come una delle rivoluzioni concettuali più avanzate e, al tempo stesso, forse l’approccio più interessante in termini di sociologia urbana. Le realtà in cui oggi si aggregano gli uffici, le realtà in cui si aggregano le attività commerciali, le attività in cui si aggregano i siti più interessanti in termini di beni culturali, sono tutti esempi della città sommatoria di momenti e non della città “sempre e comunque presente nella sua disponibilità ad essere usata”. Una attività imprenditoriale, un centro industriale, una piastra logistica vive, in un arco ben preciso di ore, le sue specifiche funzioni e poi rappresenta solo la sua connotazione fisica, cioè solo una volumetria priva di attività. Un edificio scolastico vive aggregando un numero rilevante di fruitori in un arco temporale davvero limitato: 8 – 10 ore e poi diventa uno spazio inutile, una volumetria del costruito. Un grande laboratorio per prodotti fashion vive forse anche dodici ore coinvolgendo uno svariato numero di frequentatori e raggiungendo anche in alcuni casi effetti di super affollamento degli spazi e poi rimane fermo per le restanti dodici ore senza consentire l’uso degli spazi, senza consentire l’accesso ad altri possibili utilizzatori. Una stazione ferroviaria vive anche 18 ore la sua funzione e la vive offrendo spazi essenzialmente legati alla fluidificazione degli arrivi e delle partenze di un numero ingente di utilizzatori della offerta ferroviaria ma, proprio perché tale funzione logistica consente tante occasioni per ottimizzare al massimo l’uso del tempo, sarebbe folle non ottimizzare al massimo un simile contesto all’interno sempre della città. Alcuni uffici come ad esempio quello delle Poste sicuramente nell’arco di un decennio non saranno più utilizzati; questi enormi spazi, queste tipologie degli interni sicuramente diventeranno inutili in quanto il processo di digitalizzazione, oggi non condiviso e non capito dalle fasce di utenti ultra sessantenni, renderà automatico ed informatizzato tutto ciò che riguarda la miriade di attività legate alla fiscalità, alla corrispondenza, alla riscossione ed al deposito di risorse, ecc. Automaticamente gli spazi oggi “vivi ed efficienti” per 10 ore al giorno diventeranno “vuoti” e privi di attività. I teatri, i grandi centri per la realizzazione di grandi eventi, vivono la propria funzione solo per un limitato numero di giorni e per un numero limitato di ore e poi rimangono spazi inutili.

Forse la unica realtà in cui l’utilizzo degli spazi è totale è quella del sistema sanitario, quella dei complessi ospedalieri e la vitalità di tali impianti con la relativa frequentazione per turni sistematici da parte dei vari gestori e dei vari fruitori, penso rappresenti un modello di riferimento per tutto ciò che all’interno della città definiamo come “costruito”.  Ed allora dopo questa prima lettura prende corpo una prima considerazione, una prima ipotesi di rivisitazione degli approcci tradizionali alla pianificazione dell’urbano; prende corpo un primo convincimento: non ha più senso concepire o definire “una zona residenziale”. Forse non ha più senso parlare di zone; anzi potrebbe esserci, come atto coerente alla intuizione di Carlos Moreno, l’annullamento di ogni forma di ghettizzazione dell’intero contesto urbano. Non una città di quartieri ma una città di città, dove nulla si ferma, dove la presenza umana è sempre una garanzia per la funzione poliedrica della città stessa. Sembrano questi solo banali slogan invece sono un chiaro tentativo per modificare la nostra abitudine a seguire logiche pianificatorie standardizzate, logiche che in modo facile catalogano determinati ambiti e attraverso la destinazione d’uso ne assegnano, in modo irreversibile, la funzione. Modificare questa abitudine o, addirittura, rivedere integralmente le attuali articolazioni urbanistiche, rappresenta non una semplice rivoluzione concettuale ma una possibile rilettura di ciò che per secoli ha rappresentato il costruito rispetto al non costruito, una rilettura di ciò che da sempre noi chiamiamo centro e periferia, di ciò che da sempre consideriamo valore patrimoniale e non semplice bene d’uso.

Lo so questo è un approccio difficile e, devo essere sincero poco concepibile, ma stranamente Carlos Moreno non anticipa il futuro, non è lungimirante perché il presente da diversi anni contiene già queste innovazioni.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

FONTE:http://www.opinione.it/societa/2020/08/07/ercole-incalza_carlos-moreno-sorbona-nuova-citt%C3%A0-max-weber-piani-regolatori-pil-zona-residenziale-futuro-innovazioni/

 

Sotto il tricolore che sventola a Camp Darby

e forze armate italiane si integrano un po’ di più in quelle statunitensi. Finora partecipavano a operazioni volute dagli Stati Uniti, ma sotto il comando degli ufficiali USA della NATO. Ora, grazie a un abile gioco di prestigio, saranno agli ordini diretti del Pentagono.

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Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ispeziona il nuovo quartier generale del Comfose.

Mentre molte attività bloccate dal lockdown stentano a ripartire dopo l’allentamento delle restrizioni, ce n’è una che, non essendosi mai fermata, ora sta accelerando: quella di Camp Darby, il più grande arsenale Usa nel mondo fuori dalla madrepatria, situato tra Pisa e Livorno. Completato il taglio di circa 1.000 alberi nell’area naturale «protetta» del Parco Regionale di San Rossore, è iniziata la costruzione di un tronco ferroviario che collegherà la linea Pisa-Livorno a un nuovo terminal di carico e scarico, attraversando il Canale dei Navicelli su un nuovo ponte metallico girevole.

Il terminal, alto una ventina di metri, comprenderà quattro binari capaci di accogliere ciascuno nove vagoni. Per mezzo di carrelli movimentatori di container, le armi in arrivo verranno trasferite dai carri ferroviari a grandi autocarri e quelle in partenza dagli autocarri ai carri ferroviari. Il terminal permetterà il transito di due convogli ferroviari al giorno che, trasportando carichi esplosivi, collegheranno la base al porto di Livorno attraverso zone densamente popolate. In seguito all’accresciuta movimentazione di armi, non basta più il collegamento via canale e via strada di Camp Darby col porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa. Nei 125 bunker della base, continuamente riforniti dagli Stati uniti, è stoccato (seondo stime approssimative) oltre un milione di proiettili di artiglieria, bombe per aerei e missili, cui si aggiungono migliaia di carrarmati, veicoli e altri materiali militari.

Dal 2017 nuove grandi navi, capaci di trasportare ciascuna oltre 6.000 veicoli e carichi su ruote, fanno mensilmente scalo a Livorno, scaricando e caricando armi che vengono trasportate nei porti di Aqaba in Giordania, Gedda in Arabia Saudita e altri scali mediorientali per essere usate dalle forze statunitesi, saudite e altre nelle guerre in Siria, Iraq e Yemen. Proprio mentre è in corso il potenziamento di Camp Darby, il più grande arsenale Usa all’estero, una testata toscana online titola «C’era una volta Camp Darby», spiegando che «la base è stata ridimensionata, per i tagli alla Difesa decisi dai governi Usa». e il quotidiano Il Tirreno annuncia «Camp Darby, sventola solo il tricolore: ammainata dopo quasi 70 anni la bandiera Usa». Il Pentagono sta chiudendo la base, restituendo all’Italia il territorio su cui è stata creata? Tutt’altro.

Lo US Army ha concesso al Ministero italiano della Difesa una porzioncina della base (34 ettari, circa il 3% dell’intera area di 1.000 ha) prima adibita ad area ricreativa, perché vi fosse trasferito il Comando delle forze speciali dell’esercito italiano (Comfose), inizialmente ospitato nella caserma Gamerra di Pisa, sede del Centro addestramento paracadutismo [1]. Il trasferimento è avvenuto silenziosamente durante il lockdown e ora il Comfose annuncia che il suo quartier generale è situato nel «nuovo comprensorio militare», di fatto annesso a Camp Darby, base in cui si svolgono da tempo addestramenti congiunti di militari statunitensi e italiani.

Il trasferimento del Comfose in un’area annessa a Camp Darby, formalmente sotto bandiera italiana, permette di integrare a tutti gli effetti le forze speciali italiane con quelle statunitensi, impiegandole in operazioni coperte sotto comando Usa. Il tutto sotto la cappa del segreto militare. Visitando il nuovo quartier generale del Comfose, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini lo ha definito «centro nevralgico» non solo delle Forze speciali ma anche delle «Unità Psyops dell’Esercito». Compito di tali unità è «creare il consenso della popolazione locale nei confronti dei contingenti militari impiegati in missioni di pace all’estero», ossia convincerla che gli invasori sono missionari di pace. Il ministro della Difesa Guerini ha infine indicato il nuovo quartier generale quale modello del progetto «Caserme Verdi».

Un modello di «benessere ed ecosostenibilità», che poggia su un milione di testate esplosive.

FONTE:https://www.voltairenet.org/article210539.html

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Quale nuova arma è stata usata nel Golfo e a Beirut?

Una nuova arma è stata usata a inizio luglio contro sette imbarcazioni iraniane nel Golfo Persico [1] e nuovamente il 4 agosto, nel porto di Beirut.

Nelle otto esplosioni si è formata una nuvola di fumo diversa da quella delle esplosioni convenzionali, ha assunto infatti la forma di fungo, caratteristica delle deflagrazioni atomiche.

A Beirut l’esplosione ha fatto tremare la terra in un raggio di 200 chilometri e, secondo il centro tedesco di geo-scienza (GFZ), ha raggiunto la magnitudine di 3,5 sulla scala Richter. La vibrazione – non la nuvola – ha distrutto molti quartieri della città.

L’esplosione ha causato anche un’ondata gigantesca e sollevato alcune vetture che si trovavano nella zona del porto: acqua e veicoli non sono stati spinti lateralmente, ma è stato come se una forte pressione fosse stata esercitata sul mare e intorno all’epicentro del disastro.

Questi attacchi sopravvengono in vista della sentenza che il Tribunale Speciale delle Nazioni Unite per il Libano dovrebbe emettere il 7 agosto [2]. La data dovrebbe essere rinviata.

Traduzione
Rachele Marmetti
Giornale di bordo

[1] Réseau Voltaire aveva parlato di questo attacco in «Il Libano di fronte alle proprie responsabilità», Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 21 luglio 2020, traduzione di Rachele Marmetti.

[2] «Rivelazioni sull’assassinio di Rafiq Hariri», Thierry Meyssan, Odnako (Russia), Rete Voltaire, 29 novembre 2010.

FONTE:https://www.voltairenet.org/article210668.html

 

 

Beirut, Hiroshima

5 agosto 2020

Fungo atomico su Beirut. Questa l’immagine che ha fatto il giro del mondo. “Come Hiroshima e Nagasaki“, ha dichiarato il governatore della città, e domani ricorrono i 75 anni da Hiroshima.

Non un’atomica, le due esplosioni che hanno incenerito un magazzino del porto e devastato il quartiere adiacente sono state prodotte da altro.

La prima, di cui non è ancora chiara la causa, ha provocato un incendio che ha innescato a sua volta la seconda, terribile, causata da 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio stipate nel magazzino (così le fonti ufficiali).

Israele si è affrettato a negare ogni coinvolgimento, dato che, come ricorda Zvi Bar’el su Haaretz, tanti hanno fatto un parallelo con quel che accade in Iran, teatro di misteriosi incendi ed esplosioni attribuite alle forze americane e israeliane (sul punto vedi anche National Interest “La guerra non dichiarata all’Iran).

Da qui l’ipotesi che analogo mistero si fosse abbattuto sul Libano, il cui governo è considerato troppo legato a Teheran.

Le tensioni Hezbollah-Israele

A rafforzare tale ipotesi, scrive Bar’el, il braccio di ferro in corso tra la milizia sciita di Hezbollah e Israele al confine libanese, iniziato dopo un raid israeliano in Siria, che ha ucciso un uomo di Hezbollah, infrangendo il tacito accordo tra i duellanti e aprendo le porte alla ritorsione.

Ritorsione che tarda a venire, nonostante Israele abbia annunciato di aver sventato due tentativi in tal senso, al confine libanese e in Siria. Un ritardo che ha innervosito gli israeliani, come denota l’intervento del ministro degli Esteri Benny Gantz di alcuni giorni fa: “Ogni atto contro Israele avrà una risposta potente, acuta e dolorosa”. Non le usuali minacce incrociate tra i contendenti, quasi un allarme.

Hezbollah ha un’arma segreta a sua disposizione, il fatto che sul LIbano Israele non può usare le sue atomiche, dato che sarebbe investito dalle radiazioni. Da qui un confronto militare più simile a un gioco di scacchi che a un risiko (anche se esistono alternative potenti all’atomica).

Un nervosismo che in questi giorni era stato rivenduto dai media vicini a Hezbollah come una vittoria psicologica sull’antagonista, come probabilmente avrebbe dichiarato il loro leader Hassan Nasrallah nell’intervento previsto oggi.

Un intervento nel quale avrebbe parlato sicuramente anche dell’assassinio di Rafiq Hariri, del quale il 7 agosto è atteso il verdetto del Tribunale speciale delle Nazioni Unite, che prima ha accusato la Siria, con testimonianze false, poi si è orientato su Hezbollah…

Se accenniamo a tali circostanze è per rilevare che l’esplosione di ieri chiude l’ennesima crisi: Hezbollah sta usando tutte le sue risorse per aiutare i cittadini colpiti, non ha tempo per altro, e il verdetto su Hariri, destinato a infiammare Beirut, potrebbe essere rimandato.

La bomba su Hezbollah

Per Bar’el, però, la tragedia di ieri è destinata a pesare su Hezbollah, come da titolo del suo articolo alquanto cinico – in Medio oriente usa così – e rivelatore: “Le onde d’urto dell’esplosione di Beirut saranno sentite a lungo da Hezbollah“.

Tre i motivi. Anzitutto per la querelle sui suoi magazzini di armi, da tempo al centro di controversie. I suoi antagonisti accusano il movimento di stiparle nei pressi dei centri abitati. Da qui la richiesta al governo libanese di disarmare il movimento. Per Bar’el, dopo quanto accaduto, la pressione in tal senso è destinata ad aumentare.

Inoltre, secondo Bar’el, l’esplosione “invia anche un messaggio di avvertimento all’Iran, che circa un mese fa ha dichiarato che avrebbe dispiegato navi e petroliere in Libano”. Target di possibili raid israeliani, tali navi metterebbero a rischio la vita dei cittadini libanesi che vivono nei pressi del porto, e non solo.

Infine, il cronista israeliano rileva che l’esplosione ha distrutto una delle più importanti fonti di ricchezza del Paese, cioè il porto. “La sua chiusura, in un momento in cui il Libano [in crisi economica,  ndr.] ha bisogno di ogni dollaro, alimenterà lo scontro politico che sta minacciando la stabilità del Paese”.

Da mesi, infatti, il Libano è sede di manifestazioni anti-governative, che Hezbollah, e non solo, denuncia come un’operazione di regime-change guidata dall’esterno in stile primavere arabe.

Scenari ipotetici, da verificare. Oggi l’immane dolore ha unito. Anche a livello internazionale: sono giunti aiuti da Francia, Russia, Giordania e Kuwait (Orient le Jour).

Non aprire il vaso di pandora

È stato stabilito che l’esplosione è stato un incidente, anche se nel suo comunicato Hezbollah identifica le vittime come “martiri“. Un incidente simile ad altri causati dal nitrato di ammonio, ricorda una nota di al Manar, tra cui quello avvenuto a Tolosa il 21 settembre del 2001 (29 morti e 1.170 feriti).

Esplosione che, anche in quel caso, all’inizio fece ipotizzare un attentato, data la prossimità dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, con ipotesi poi fugata.

Già, anche il Libano ha il suo 11 settembre (Daily Mail), ma aver stabilito una causa accidentale evita una guerra Hezbollah-Israele, che dilaterebbe al parossismo l’ecatombe.

Controcorrente Trump, il quale ha detto che secondo i suoi generali sarebbe un attentato. Ma è voce isolata e contraddetta anche dalla Sicurezza Usa. Nessuno vuole nemmeno ipotizzare di aprire il vaso di pandora.

 

Ps. In serata, ad articolò chiuso, la notizia che il verdetto sull’omicidio Hariri è rimandato. Il lutto di tre giorni proclamato in Libano è stato rispettato.

FONTE:http://piccolenote.ilgiornale.it/46589/beirut-hiroshima

 

 

Uomini e topi: il potere mondiale fondato sulla paura

Troppo bella, la pace nel mondo. Era il sogno di Gorbaciov: la fine universale delle ostilità, e l’avvento di una nuova era per il genere umano. Lo sistemarono velocemente, con un golpe. A seguire: lo sfacelo dell’Urss e la svendita della Russia, la guerra in Cecenia, il martirio della Jugoslavia. Archiviata la narrazione gorbacioviana, riecco il film dell’orrore: 11 Settembre, e dunque guerra. Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria. L’agenda del mondo ridotta a pura emergenza: il terrorismo, il clima, e ora il virus. Via Gorbaciov, in prima pagina sono finiti Bin Laden e Al-Baghdadi, Greta Thunberg, Bill Gates. Dall’universale al particulare italico: la paura dei migranti, la paura di Salvini, la paura del Covid. Tutti accessori dell’unico sostantivo permanente, la paura, ormai imposta come regola e dovere civile per gli ex cittadini, virtualmente trasformati in topi dal primo ministro venuto dal nulla e dalla sua oscura coorte di plenipotenziari tuttologi. Se il grande Mikhail Sergeevič vagheggiava per tutti noi un’alleanza internazionale di intelligenza cooperativa, spalancata su un futuro da abbracciare, nel giro di trent’anni siamo arrivati alla più grottesca zootecnia di massa che la letteratura distopica potesse immaginare, e proprio nei termini disegnati da scrittori come Huxley e Orwell: il topo è felicissimo di stare chiuso in gabbia, e squittisce indispettito verso chi cerca di evadere.

Fatti non foste a viver come bruti, dice Ulisse, che oggi finirebbe per parlare a moltitudini spettrali, rintronate dal post-giornalismo fattosi propaganda armata, minacciosa associazione di stampo omertoso. Reticenza e menzogne, per anni, hanno Gorbaciovdeprivato l’opinione pubblica dei mezzi elementari per esercitare il raziocinio critico della conoscenza adulta, scientifica, fondata sul dubbio. Dilaga la superstizione, nell’orgia dei sentito dire che i grandi media diffondono a reti unificate, sapendo di mentire, in mezzo al cimitero di quello che una volta si sarebbe chiamato giornalismo. Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: è il Grande Bugiardo a incaricarsi del fact-checking, decretando vita e morte di ogni aspirante narratore di notizie. Sicché, nel piccolo mondo sottostante – quello delle elezioni – i sedicenti politici si regolano di conseguenza: si adattano, tutti, ai 140 caratteri di Twitter, agli slogan destinati a durare solo fino all’indomani, proprio come gli esilaranti programmi elettorali ricamati dagli storyteller all’unico scopo di rastrellare gonzi, di destra o di sinistra non importa, europeisti o sovranisti, filogovernativi ottusi o alternativi di belle speranze che si candidano a scarabocchiare la stessa lavagna che poi tornerà nera come prima, con un bel colpo di spugna.

Liberatori e carcerieri: la mole di Gorbaciov si staglia ancora all’orizzonte, proiettando la sua ombra sul governo mondiale dei mascalzoni che si sono impadroniti del terzo millennio. Cialtroni generici e pericolosi apprendisti stregoni, subdoli allevatori di terroristi, spietati strozzini tecno-finanziari, famosi medici dalla siringa facile e buffoni di corte travestiti da scienziati. Stanno scavando una voragine planetaria brulicante, nella quale la zoologia umana sta lentamente sprofondando, di paura in paura, senz’altro paesaggio immaginario che quello di una smisurata catastrofe incombente, quella disegnata mezzo secolo fa dalle grandi famiglie demiurgiche e dai loro impenetrabili club ammantati di prestigio internazionale. Vaticinavano sciagure epocali già negli anni Settanta, dopo la fine dei Kennedy, prima ancora che i killer si dedicassero a Moro e Olof Palme, a Yitzhak Rabin, a Thomas Sankara. Poi finirono gli omicidi selettivi e si passò a sparare nel mucchio, dalle Torri Gemelle alle stragi firmate Isis. Unico, identico obiettivo: noi, il popolo oggi obbligato a indossare la mascherina. Uomini e topi: chissà che titolo avrebbe inventato, Steinbeck, per descrivere la condizione dell’umanità di oggi, terrorizzata senza tregua, benché stia vivendo nel pianeta più ricco e prospero che la storia ricordi.

(Giorgio Cattaneo, “Uomini e topi”, dal blog del Movimento Roosevelt del 4 agosto 2020).

FONTE:https://www.libreidee.org/2020/08/uomini-e-topi-il-governo-mondiale-fondato-sulla-paura/

 

 

 

“Colpiremo chiunque vogliamo”: la maschera dell’impero USA scivola via

Rainer Shea, 28 luglio 2020

La scorsa settimana, quando il neo-colonialista miliardario Elon Musk si è smascherato su twitter su come la sua compagnia beneficia del colpo di Stato perpetrato da Washington in Bolivia, rispondendo con una dichiarazione che incapsula la laida nudità dell’attuale imperialismo USA: “Colpiremo chiunque vogliamo! Abbozza”. Ho la sensazione che quando il mondo ricorderà il 2020, il momento in cui gli Stati Uniti si scatenarono con estrema violenza di fronte al proprio declino imperiale, la dichiarazione di Musk sarà vista come il momento in cui la maschera dell’impero cade. Dalla seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno interferito nelle elezioni di almeno 85 Paesi e si sono impegnati in un guerre contro almeno 36 Paesi, con 20-30 milioni di persone uccise in questo periodo da tutte le operazioni estere degli Stati Uniti. Le sole operazioni segrete della CIA uccidevano almeno mezza dozzina di milioni di persone, secondo l’Associazione per il dissenso responsabile. Il rapporto che mostra che le sanzioni statunitensi hanno ucciso oltre 40000 venezuelani tra il 2017 e l’inizio del 2019, da un piccolo indizio di quanti furono uccisi dalla guerra economica di Washington. Costruiti sul genocidio coloniale delle popolazioni indigene ed africane, gli Stati Uniti furono e continuano ad essere un impero genocida paragonabile alla Germania nazista.
Il fatto che ora sia il momento in cui un oligarca degli Stati Uniti come Musk sente il bisogno di vantarsi così apertamente dell’imperialismo degli Stati Uniti, mostra che mentre gli Stati Uniti lottano per l’egemonia, la loro natura genocida è sempre più evidente. Essenzialmente sparita la patina dell’”umanitarismo” e della “democrazia” che l’impero usava per mascherare la natura delle sue azioni. Un rappresentante degli imperialisti di Washington dichiarò che colpiranno chiunque vogliano, anche se ciò porti alla creazione di un regime dittatoriale che promuove la pulizia etnica contro gli indigeni della Bolivia. Mentre l’amministrazione Trump ancora usa la vecchia lingua “umanitaria”, il suo approccio alla politica estera rispecchia la tendenza verso il nudo imperialismo indicato dal tweet di Musk. La maschera dell’impero sempre più si distacca dalla fine dell’era Obama, con Trump che espande i programmi di bombardamenti e droni di Obama, intensificando ulteriormente la guerra fredda con la Russia e spingendo verso la guerra coll’Iran. La normalizzazione da parte della Casa Bianca di una sfacciata demagogia anti-cinese e la presenza militare senza precedenti contro le superpotenze rivali di Washington rappresentano la continua discesa nordamericana nel paradigma della guerra. L’approccio dell’amministrazione Trump alla sorveglianza della politica latinoamericana mostra anche come l’establishment di Washington condivida la mentalità di Musk. Analogamente all’operazione Condor, lo sforzo orrendamente violento durante la guerra fredda per eliminare i movimenti di sinistra in America Latina, c’è la campagna per rovesciare i governi antimperialisti nella regione e reprimere chi cerca di sbarazzarsi dei regimi neoliberisti dell’America Latina.
La cricca neoconservatrice di Washington programma di attuare un cambio di regime non solo in Venezuela, ma a Cuba, Nicaragua e Messico. Trump, la cui amministrazione ha tentato numerosi colpi di Stato in Venezuela, promise questo mese che “presto accadrà qualcosa” in Venezuela. Nel 2018, la CIA aiutò a eleggere Jair Bolsonaro presidente del Brasile, consentendo agli Stati Uniti di avere un altro alleato regionale nella campagna per minacciare militarmente il Venezuela. Stati neoliberisti dell’America Latina come Brasile, Colombia e ora Bolivia attuano una crescente repressione. Sembra che il 20° secolo in America Latina di dittature di destra, che Bolsonaro glorifica, venga ripetuta. Nonostante il trollismo di Musk, tuttavia, le realtà pone crescenti limiti a quanto la corporatocrazia degli Stati Uniti può imporre la sua volontà sul mondo. Le dittature e proto-dittature odierne in America Latina non sono così forti come le precedenti del 20° secolo, in parte a causa della forza che i movimenti di sinistra della regione hanno acquisito; l’Argentina, ad esempio, ora ha un governo guidato dalla sinistra modellato dai movimenti femministi e dei diritti umani del Paese, in contrasto con la dittatura sostenuta dagli Stati Uniti che terrorizzò la popolazione del Paese negli anni ’70 e ’80. Il regime della Bolivia fu accolto da resistenza indigena e proletaria militante, con gruppi indigeni che ora si organizzano per riprendere il controllo del litio che Musk gli rubava. Nonostante le minacce di repressione di Bolsonaro, la lotta di classe continua a intensificarsi in Brasile tra scioperi dei lavoratori dei corrieri.
Le recenti mobilitazioni di Southcom, come gli sforzi per intensificare lo sfruttamento neocoloniale dell’America Latina e i tentativi di colpire tutte le nazioni disobbedienti, fanno parte della reazione al declino imperiale degli Stati Uniti. La crescente presenza della Cina in America Latina e la crescente capacità di sfidare gli interessi degli Stati Uniti in altre parti del mondo, crea una serie di reazioni imperialiste auto-rafforzanti in cui le contraddizioni del capitalismo diventano più pronunciate. Questo naturalmente rende il sistema più vulnerabile. Più gli Stati Uniti si isolano economicamente da Russia e Cina e cercano di opprimere gli alleati nella sottomissione totale, più gli Stati Uniti si avvicinano al crollo della propria valuta in seguito all’abbandono mondiale del dollaro. Più gli Stati Uniti ottengono alleati duri come l’Australia per isolarsi economicamente dalla Cina, più le economie di questi Paesi sono ferite e più potenziali sorgono per il conflitto di classe. Più gli Stati Uniti cercano di costringere gli alleati europei come la Germania a danneggiare i propri interessi isolandosi economicamente dalla Russia, più si avvicina la rottura dell’alleanza NATO anti-russa. Se dovesse succedere quest’ultimo scenario (che le recenti violazioni della sovranità tedesca di Trump hanno reso molto plausibile), l’impero degli Stati Uniti sarà sostanzialmente finito.
Di fronte a una crisi economica nel nucleo imperiale e ai crescenti disordini delle masse disaffezionate, i plutocrati come Musk mirano a mantenere i profitti eliminando tutte le persone sacrificabili. Se vengono uccise dagli squadroni della morte della presidentessa golpista della Bolivia Jeanine Ánhez, o muoiono per il rifiuto del regime neoliberista di affrontare adeguatamente il Covid-19, Musk farà un commento spigoloso su twitter in difesa del regime. Se decine di milioni di persone negli Stati Uniti corrono il rischio di perdere il sostentamento a causa della depressione, Musk dirà che un altro pacchetto di stimoli non va approvato. L’aumento di repressione ed austerità è il modo con cui miliardari come Musk mirano a mantenere la tendenza a diventare sempre più ricchi durante la pandemia. Tra il crollo dell’imperialismo nordamericano e una crisi capitalistica sempre più profonda, non sorprende che cerchino di fregare tutti gli altri per il proprio tornaconto. Costruire un movimento per rovesciare lo Stato capitalista e sostituirlo con una democrazia proletaria è la nostra opzione migliore per porre fine alla crudeltà capitalista di cui Musk beneficia.

FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=13138

Assalto dal Mar Baltic o

Il vertice europeo che doveva decidere il piano di rilancio continentale dopo la crisi da Coronavirus si è chiuso dopo 92 ore di estenuanti trattative ed ha decretato la sostanziale vittoria dell’approccio franco-tedesco: troppo debole, in termini demografici e politici, l’opposizione di Olanda, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia per sabotare il summit ed accelerare l’implosione della UE. Dietro il fronte dei “Paesi frugali” si nascondono gli angloamericani, che hanno attualmente spostato le loro operazioni dal Mediterraneo (Italia, Grecia e Spagna) al Mar Baltico. La Germania ha ormai compreso che è necessario preservare una cornice di cooperazione europea per evitare l’accerchiamento politico-militare.

Alla ricerca dell’instabilità permanente

Postulato: la strategia angloamericana nei confronti dell’Europa si basa sulla ricerca dell’instabilità permanente, dove per instabilità si intende l’impossibilità di intraprendere azioni coordinate in ambito economico-politico-difensivo sotto l’inevitabile guida di una nazione egemone, che nel corso della storia furono la Spagna, poi la Francia ed infine la Germania. Il vecchio “balance of the power” britannico non è mai andato in pensione e sta ritornando prepotentemente alla ribalta oggi, come testimoniano gli incessanti tentativi angloamericani di frantumare l’Unione Europea e dividere nuovamente il continente in due o più campi contrapposti. La stessa Unione Europea è stata concepita sin dal 1992 perché avesse all’interno le cause della futura disintegrazione, così da impedire che una Germania riunificata si trovasse in una stabile posizione di egemonia continentale, premessa per un’integrazione continentale con la Russia post-sovietica.

“L’ordine” verso cui tendere, sin dal 1992, non furono mai dunque gli improbabili e irrealistici Stati Uniti d’Europa, bensì un graduale ritorno alla contrapposizione tra potenze e nazionalismi: la trasformazione della Polonia in media potenza ascendente, autoritaria, anti-tedesca e anti-russa, si inserisce alla perfezione in questo schema, che sarebbe completato dalla svolta “nazionalista-sovranista” della Francia. A quel punto il continente avrebbe compiuto magicamente un nuovo ciclo politico, per tornare grossomodo all’Europa degli anni Venti-Trenta. La premessa di tale schema è, ovviamente, il previo collasso dell’Unione Europea, costruita in modo tale da generare, anno dopo anno, squilibri crescenti: l’Italia, in particolare, è stata scelta come “bomba ad orologeria” per causare il collasso della moneta unica nel volgere di un ventennio, attraverso il suo default. Non è un mistero per nessun economista obiettivo che l’Italia difficilmente avrebbe potuto reggere un cambio fisso (l’euro) con la Germania; tutto è stato però fatto per rendere un calvario la permanenza dell’Italia nell’euro e spingerla progressivamente alla bancarotta: distruzione della Somalia (1991), Tantentopoli (1992), smantellamento dell’IRI (2002), stallo politico con il paralizzante duello Berlusconi-magistratura (1994-2009), distruzione della Libia (2011), inserimento in Parlamento di un forte movimento disgregatore (successo elettorale del M5S nel 2013), primo governo integralmente populista benedetto dall’ambasciatore americano Lewis Einsenberg (2018) e, infine, trasformazione dell’Italia in uno dei principali focolai europei del Covid-19 (insieme alla “mediterranea” Spagna con cui l’Italia ha tentato in queste ultime settimane una qualche coordinazione) con conseguente tracollo dell’economia. Per il 2020 è stimato un PIL in caduta del 10-11% ed un parallelo lievitare del debito pubblico verso il 160% del PIL: qualora l’Italia non dovesse più riuscire a rifinanziarsi sul mercato, lo scenario di una dissoluzione disordinata della moneta unica (e dell’Unione Europea) si farebbe più concreto che mai.

A quel punto, la Germania sarebbe sì riunificata e finanziariamente florida, ma priva di quella cornice di sicurezza europea che le ha sinora consentito di prosperare, devolvendo peraltro una quota minima della sua spesa pubblica alla difesa. La sua connaturata tendenza a convergere verso Cina e Russia sarebbe così tenuta a freno dagli angloamericani con la creazione di un ambiente europeo ostile, con Polonia e Francia come grandi candidate ad assolvere la funzione di potenze di contenimento alla Germania. Tale dinamica di fondo è ormai ben chiara a Berlino e ciò spiega “la svolta” tedesca in concomitanza alla crisi del Covid-19, svolta che ha visto l’abbandono di buona parte delle precedenti posizioni a favore dell’austerità: la preservazione della UE o, perlomeno, la sua difesa ad oltranza, sono ormai considerate come parte integrante del sistema difensivo tedesco. Veniamo così al vertice del 17 luglio incentrato sui provvedimenti per contrastare i devastanti effetti economici del Covid-19 (ed impedire il default dell’Italia): coordinandosi con la Francia, Berlino aveva avanzato l’ipotesi di un piano da 750 miliardi, di cui circa la metà a fondo perduto ed il restante a prestito, che avrebbe visto l’Italia come principale beneficiaria. Data la mutata posizione tedesca e le condizioni disastrose in cui versano i Paesi mediterranei, nulla avrebbe dovuto impedire una rapida conclusione dell’accordo: gli angloamericani hanno perciò dovuto prontamente costruire un nuovo fronte per tentare di sabotare il progetto ed accelerare la dissoluzione dell’Unione Europea. Dopo aver a lungo lavorato sul Mediterraneo (Syriza, M5S, Lega Nord), le operazioni si sono spostate nel Mar Baltico, dove è stato prontamente allestito il fronte dei “Paesi frugali” che altro non sono se i tradizionali clienti regionali di Londra: Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, con l’aggiunta “dell’alpino” Sebastian Kurz, che intrattiene però rodati e ben noti con elementi di spicco della finanza anglosassone come George Soros. Si ricordi che già nel 2014 il premier inglese Cameron aveva ipotizzato una “Northern alliance”, incentrata sull’Olanda del primo ministro olandese Mark Rutte, per “riformare” la UE secondo le linee dei Paesi baltici. A capo del fronte dei “frugali” è stato collocato non a caso proprio l’olandese Rutte, arrivato ai vertici dei Paesi Bassi dopo una lunga esperienza ai vertici dell’anglo-olandese Uniliver: dopo aver divorziato dalla UE, Londra si serve dunque dei suoi rimanenti “cavalli di Troia” per sabotare qualsiasi azione coordinata a livello europeo. Si noti la dialettica degli opposti, tipica del modus operandi angloamericano: Rutte si è impuntato in modo particolare su “quota 100”, uno dei più noti e discussi provvedimenti del governo giallo-verde sponsorizzato da Washington, provvedimento pensionistico adottato proprio per esasperare il conflitto tra Italia ed il resto dell’Unione.

Il peso demografico e politico del fronte dei “frugali” è stato però troppo modesto per stravolgere l’iniziale impianto franco-tedesco e l’eventuale ricorso al veto, con conseguente terremoto finanziario, sarebbe stato troppo pesante per le fragili spalle olandesi o finlandesi. Il piano iniziale di rilancio da 750 mld è quindi sostanzialmente salvo: resta da vedere se sarà sufficiente per impedire il tracollo dell’Italia, in avanzatissimo stato di decomposizione politica-economica-sociale e, di conseguenza, l’implosione della UE. Come avevamo però messo in luce in una delle primissime analisi post-Covid 19, chi rischia in prospettiva di più dal collasso italiano ed europeo, è proprio la Germania, su cui si sposterebbe nel nuovo scenario geopolitico l’intero focus militare angloamericano: Berlino ha ormai compreso il quadro della situazione. Si vedranno gli sviluppi.

FONTE:http://federicodezzani.altervista.org/assalto-dal-mar-baltico/

 

 

 

CULTURA

NON LO DICEVA NERUDA

DIEGO C. de la VEGA

  

pablo_neruda

in foto: Pablo Neruda, quello vero.

Da anni, con la stessa infettività virale dei melensi aforismi di Coelho, circolano in rete tre, ormai celebri, falsi poemi di Pablo NerudaLentamente muereQueda prohibido e Nunca te quejes. Non fidatevi nemmeno dei titoli. Si incontrano tradotti in diversi modi e, in italiano, probabilmente li conoscete come “Lentamente muore”, “È proibito” e “Non incolpare nessuno”.
La diffusione è tale che, per fare chiarezza, è intervenuta in veste di debunker la Fundación Pablo Neruda (ufficiale) per mezzo del suo direttore di biblioteca, Dario Oses, pubblicando questa dichiarazione sul sito: «Non sappiamo le ragioni per cui vengono attribuite queste poesie a Pablo Neruda. Se avete letto i tre testi è evidente che tutti hanno un tono edificante, prescrittivo, si percepisce una parentela con la letteratura di auto-aiuto, non tipica dell’epoca di Neruda. Senza nulla togliere a queste poesie, l’opera di Pablo Neruda è lontana da questo genere in tono, contenuto, linguaggio e per le immagini che crea». [si trova in copia cache, online, perché il sito è in ristrutturazione. ndr].
Fernando Sàez, direttore esecutivo della stessa Fondazione, in un’altra dichiarazione sul tema, ci ricorda, invece, che quello di Neruda non è l’unico caso. La vedova BorgesMaría Kodama, si è battuta, senza successo, per far correttamente attribuire Istantes a Nadine Stair (o Strain) e non al marito come, tuttora, qualsiasi motore di ricerca continua a fare.  Jorge l’avrebbe presa in ridere, chi si risentì fu, invece, il cantante Bono che la citò, con sicumera da star, in diretta alla tv messicana in occasione di un Teletòn. Incauto. Per non parlare del fasullo, La marioneta, di Gabriel García Márquez. Sarebbe, secondo gli esegeti da mouse, il saluto dello scrittore agli amici dopo la scoperta della malattia. Interrogato direttamente sulla questione, il premio Nobel dichiarò: «Mi vergogno per quelli che hanno pensato che io potessi scrivere una cosa tanto oscena!». Come dargli torto? Almeno ha fatto in tempo a dirlo, Neruda no. La velata obiezione di Márquez è incentrata sullo stile di scrittura e quindi, forse, prima di citare chicchessia dovremmo sempre porci la domanda « ma io ne ho mai letto qualcosa?».
Chi sono, quindi, gli estensori di quelle tre cornucopie di banalità in forma di poema? Saltando di pagina in link si trovano notizie. La più anonima, come paternità, è “Non incolpare nessuno” (o Non lamentarti). Di questo pedante e moraleggiante elenco nessuno ha rivendicato la paternità, dev’essere un po’ come le barzellette, non si sa dove nascano. La più conosciuta, invece, risulta essere: “Lentamente muore” (Lentamente muere). È una poesia della giornalista e scrittrice brasiliana Martha Medeiros che a parte aver vissuto nove anni in Cile mangiando, quindi, i piatti della cucina locale non ha nessun’altra relazione con Neruda. Il titolo originale della poesia è A morte devagar, com’è originale il portoghese in cui è stata scritta. Fu pubblicata nel novembre del 2000 sul periodico Hora Zero, di Porto Alegre, dove appunto lavorava la Medeiros. Già pochi anni dopo si contavano circa 19.000 link (fonte: Fondaciòn Neruda) con l’attribuzione al poeta cileno. Così accadde l’impensabile: la Medeiros stessa si mise in contatto con la Fondazione Neruda per riottenere l’esatta attribuzione della sua opera e, forse, rastrellare qualche diritto di pubblicazione. Non incontrò resistenze.
Meno nota la vicenda del terzo poema: “È proibito” (Queda prohibido). Si sa, con precisione, che apparve per la prima volta il 23 luglio del 2001 sul sito, chiuso ormai da tempo, deusto.com. Il suo autore è Alfredo Cuervo Barrero, nato a Barakaldo, in Spagna. A causa delle oltre ventimila citazioni per l’egoista poeta cileno, del povero Alfredo nulla si sa di più, non essendosi ancora guadagnato gli onori di una pagina Wikipedia, se non che all’epoca della pubblicazione aveva ventun’anni. La diffusione, sotto il nome di Neruda, fu così rapida da sorprendere anche l’autore autentico. Barrero era in buona fede e all’oscuro di tutto. A conferma di ciò ancora si ritrova, tra le pieghe della rete, una pagina che ripubblica una mail inviata dal Barrero in persona a un sito di pubblicazioni letterarie con il seguente inatteso, e quasi commovente, appello: «Vi invio questa mail, in relazione a un poema che avete sulla vostra pagina dal titolo Queda Prohibido attribuito a Neruda, per dirvi che appartiene ad Alfredo Cuervo Barrero. Come prova della mia proprietà vi dico che il poema è registrato a mio nome nel Registro de Propiredad Intelectual de Vizcaya (Pais Vasco, Espana), al n° di iscrizione BI-13-03. La fondazione Neruda ne ha già negato l’appartenenza, inviate una mail per averne conferma. (…) altrimenti come vi spiegate che una poesia tan hermosa non si trovi in rete prima del 2001? (…) in ogni caso le versioni che circolano non sono come l’originale, sono dei riassunti, qui vi allego il testo autentico se vorrete pubblicarlo. Un saluto, Alfredo».
Miracolo della rete, uno sconosciuto ragazzo ventenne che si difende dagli abusi di Neruda, chissà invece cosa avrebbe dato Salieri se lo avessero scambiato per Mozart?
Non è finita. Da poco è comparso un nuovo caso che potrebbe diventare, in breve, il prossimo quarto falso. La voglia, postuma, di Pablo Neruda nell’attribuirsi dall’aldilà qualsiasi testo scritto, dalle tavolette assirobabilonesi sino al menù della pizzeria, ha colpito ancora. Non contento di rubare testi mediocri ha pensato bene di danneggiare un suo collega: Herman Hesse. Non ci credete? Provate a digitare su un motore di ricerca «è strano vagare nella nebbia» e guardate cosa compare. Se siete pigri potete accontentarvi dell’immagine qua sotto, dove sono messe a confronto due pagine, addirittura, dello stesso sito! Buon plagio a tutti.

FONTE:https://www.larivistaintelligente.it/non-lo-diceva-neruda/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Bizzi: Conte cede sui segreti-Covid dopo la strage a Beirut

Svolta clamorosa nel caso del segreto di Stato posto dal governo sulle relazioni del Comitato Tecnico-Scientifico sull’epidemia da coronavirus: Palazzo Chigi ha infatti appena comunicato alla Fondazione Einaudi, che si era fatta carico della battaglia legale per rendere pubblico il contenuto della documentazione, la desecretazione dei dossier. Dopo il gravissimo e criminale attacco con droni e missile con testata termobarica su Beirut, scrive Nicola Bizzi sulla sua pagina Facebook il 5 agosto, ecco «un’interessante “svolta” nella giunta golpista italiota: questa mattina Conte afferma “Mai più lockdown”, Speranza nega la volontà del governo di imporre l’obbligo vaccinale e, ciliegina sulla torta, domani verranno desecretati i famigerati verbali del sedicente Comitato Tecnico-Scientifico. E, dalla Germania, un sospetto silenzio: nessuna nuova sentenza della Corte Costituzionale, che oggi doveva esprimersi su una decisione storica sulla sopravvivenza dell’euro. Si stanno rimescolando le carte sul tavolo molto velocemente». Quanto all’attentato in Libano, Bizzi – storico e editore di Aurora Boreale – ha le idee chiare: «L’attacco era stato annunciato cinque giorni fa dal ministro della difesa israeliano ed è stato ufficialmente rivendicato oggi per ben due volte da Netanyahu». Sincronicità: Israele, la Germania, Conte e il Covid. Tutto si tiene?

Il Tar, ricorda il “Tempo“, aveva ordinato al governo di pubblicare tutti i dossier segreti, in base ai quali era stato deciso il lockdown all”italiana (severissimo, ma scattato in ritardo e deciso sulla base di dati controversi). La presidenza del Consiglio, La strage a Beirutperò, aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato per bloccare tutto, adducendo motivi di ordine pubblico. Il 5 agosto, poi, si è appreso che il Copasir aveva chiesto al governo di visionare le carte, mentre al Senato era andato in scena un pesantissimo intervento del capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, che ha chiesto a muso duro cosa avesse da nascondere il governo. A dare l’annuncio della svolta è stata, attraverso Twitter, la stessa Fondazione Einaudi: «Pochi minuti fa – ha cinguettato alle 21.45 – i nostri avvocati Rocco Todero, Andrea Pruitic ed Enzo Palumbo hanno ricevuto la comunicazione da parte del governo della desecretazione dei verbali del Cts. Ringraziamo per la sensibilità dimostrata dalla presidenza del Consiglio». Ora, naturalmente, aumenta la curiosità per il contenuto delle carte. Curiosità che, scrive sempre il “Tempo”, dovrebbe essere soddisfatta nelle prossime ore, quando – a quanto si apprende – proprio la Fondazione Einaudi dovrebbe pubblicare tutti gli incartamenti.

«Non credo che possano desecretare documenti falsi o parzialmente falsificati», scrive Bizzi, su Facebook. «Se Conte ha ceduto, significa che i documenti sono già nelle mani dei servizi. Bisogna però vedere se li renderanno noti tutti». Cosa sta succedendo? «A Bruxelles, nel covo delle vipere, iniziano a rivoltarsi contro la sceneggiata “pandemica”», sostiene Bizzi. «Per quanto l’Unione Europea sia marcia e in mano a una cricca di criminali, non è stata l’artefice di questo tentativo di golpe mondiale: anzi, ne è rimasta decisamente spiazzata, anche se nei primi mesi ha sostenuto la cosa». Adesso, aggiunge Bizzi, i burocrati della Commissione Europea (dietro i quali agiscono «organizzazioni sovranazionali molto potenti, ma che Nicola Bizziperseguono fini diversi da quelli che hanno scatenato e inscenato la “pandemia”») temono il collasso dell’Unione e la fine dell’euro. «Stanno quindi facendo pressione sugli Stati membri per l’uscita da ogni “emergenza”: hanno infatti impedito il tentativo di un nuovo lockdown in Catalogna e stanno facendo emergere (seppur gradualmente e con cautela) le prove dell’inganno».

Per Bizzi, si tratta di una guerra nelle alte sfere: «L’Italia era stata scelta come nazione-pilota per questo golpe mondiale, ed è per questo che la sceneggiata, qui, fino ad oggi ha retto molto più che in altri paesi. Mi auguro che adesso gli cada tutto addosso», conclude lo storico, secondo cui «tutto è talmente evidente, che chi non ci arriva ha gli occhi foderati di prosciutto». Il riferimento alla Suprema Corte tedesca è palese: l’élite ordoliberista della Germania aveva ispirato la sentenza in cui, mesi fa, i giudici chiedevano al Parlamento di Berlino di opporsi alla Bce, impedendo a Christine Lagarde di assistere finanziariamente i paesi più in difficoltà dopo il lockdown (uno su tutti, l’Italia). Ora la stessa Germania, letteralmente travolta dalle proteste – un milione di manifestanti, a Berlino, contro un eventuale nuovo lockdown – frena anche sull’ulteriore penalizzazione dell’Italia? E’ singolare, annota Bizzi, che sul segreto di Stato il governo Conte faccia retromarcia nel giro di poche ore, dopo lo spaventoso attentato di Qasem SoleimaniBeirut, in apparenza lontano: come se si cominciasse a prendere le distanze dai metodi della “regia occulta” dei grandi eventi, nel caso esistesse un collegamento tra i sovragestori del virus e quelli del terrorismo stragista.

Non va dimenticato che proprio Israele – che a gennaio festeggiò l’omicidio a Baghdad del generale iraniano Qasem Soleimani, eroe della lotta contro l’Isis in Siria – è stato accusato da più parti di aver segretamente sostenuto le armate di tagliagole capeggiate da Abu Bakr Al-Baghdadi, poi bombardate da Putin con il consenso di Trump. Cessata l’emergenza Isis, è scattato l’allarme coronavirus, che ha letteralmente travolto l’Italia, prona ai diktat dell’Oms esercitati dagli alti burocrati inseriti nel governo Conte. La Casa Bianca ha reagito prima negando il proprio contributo economico all’Organizzazione Mondiale della Sanità, dominata dalla Cina e largamente finanziata da Bill Gates, e poi addirittura ritirando gli Stati Uniti dall’organizzazione sanitaria delle Nazioni Unite. Due gli scenari sotto osservazione: l’Italia beffata dal Recovery Fund e costretta a un autunno di crisi senza precedenti, a causa del perdurante rigore Ue, e dall’altra parte dell’Atlantico la corsa per le presidenziali americane, con Trump avverso al “partito del rigore sotto forma di coronavirus”. La lettura di Bizzi – l’Europa ora evita di dare il colpo di grazia all’Italia, dopo l’attentato a Beirut (e Conte ne trae le conseguenze, smentendo la sua linea di intransigenza sul segreto di Stato) – suggerisce che tutti questi eventi siano collegati tra loro, e che sia in atto una guerra tra due schieramenti: quello democratico starebbe “rimontando” su quello dittatoriale, che finora ha imbrigliato l’Italia sprofondandola nella paura e nel disastro economico.

 

Conte, si mette male: il Copasir vuole vedere le carte segrete sul Coronavirus

Il Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica (Copasir) ha chiesto di poter visionare la documentazione del Comitato tecnico scientifico sull’epidemia da Coronavirus sulla quale il governo ha opposto il segreto di Stato.

Si arricchisce di un’altra puntata, così, la vicenda degli atti in base ai quali il presidente del Consiglio ha emanato i cosiddetti Dpcm per limitare la libertà degli italiani e contrastare così il diffondersi del Covid-19 nella fase più dira della pandemia. Nelle scorse settimane era intervenuta prima una sentenza del Tar a favore di una serie di legali della Fondazione Einaudi che avevano chiesto che gli atti fossero resi pubblici. Palazzo Chigi, però, aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato che, nell’attesa di prendere una decisione il prossimo settembre, ha mantenuto il segreto sugli atti. Nel ricorso, la Presidenza del Consiglio aveva addirittura parlato di rischi per l’ordine pubblico come conseguenza dell’eventuale pubblicazione del dossier.

Ora scende in campo il Copasir, al termine della seduta nella quale è stata audita la ministra dell’interno Luciana Lamorgese, che si è confrontata sulle domande dei componenti in particolare sulla tematica di eventuali tensioni sociale che potrebbero eventualmente verificarsi nell’ultimo periodo del 2020. “Il Copasir ha altresí convenuto nella stessa seduta di richiedere alla Presidenza del Consiglio la documentazione del Comitato Tecnico Scientifico relativa al coronavirus”.

FONTE:https://www.iltempo.it/sport/2020/08/05/news/copasir-chiede-carte-segrete-cts-coronavirus-giuseppe-conte-segreto-stato-si-mette-male-tensioni-sociali-24107387/

 

 

 

Lockdown voluto da Conte, CTS chiedeva chiusure differenziate: i documenti desecretati

Secondo gli atti resi pubblici, il lockdown sarebbe stato voluto dal premier Giuseppe Conte, mentre il Comitato Tecnico Scientifico aveva proposto delle chiusure diversificate su base territoriale.

Lockdown voluto da Conte, CTS chiedeva chiusure differenziate: i documenti desecretati

Il lockdown è stato voluto dal premier Conte, mentre il Comitato Tecnico Scientifico aveva suggerito delle chiusure diversificate in base alle zone. Le informazioni sono state raccolte dai documenti del CTS resi pubblici dalla Fondazione Einaudi, dopo che il Governo ha deciso di togliere il segreto sugli atti posti alla base dei vari DPCM emanati per fronteggiare l’emergenza coronavirus.

Secondo quanto emerso il Comitato Tecnico Scientifico avrebbe proposto due misure diversificate di contenimento in base alla diffusione del virus nei vari territori lo scorso 7 marzo mediante un documento riservato inviato al ministro Speranza. La proposta del CTS tuttavia sarebbe stata completamente ignorata dal premier Conte, il quale ha emanato un lockdown su tutto il territorio nazionale a partire dal 9 marzo senza alcuna distinzione, ma soprattutto senza citare alcun atto da parte del CTS che ne giustificasse la motivazione.

Lockdown voluto da Conte, per CTS provvedimenti differenziati

Secondo il Comitato Tecnico Scientifico si sarebbero dovute adottare delle misure diversificate e più rigide per i territori maggiormente colpiti dall’epidemia, quali la Lombardia e le province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Alessandria e Asti. Per le altre zone del Paese invece le misure sarebbero dovute essere più blande e permissive. Questi verbali tuttavia non sono stati presi in considerazione da Giuseppe Conte che ha deciso di estendere le norme di contenimento su tutto il territorio nazionale.

In un passaggio di questi verbali si legge inoltre che “il CTS esprime la raccomandazione generale che la popolazione, per tutta la durata dell’emergenza, debba evitare, nei rapporti interpersonalistrette di mano e abbracci ”.

Ancora assenti alcuni documenti

Da una prima rassegna degli atti sembrano essere ancora assenti alcune discussioni riguardanti la mancata classificazione come zona rossa della Val Seriana. Per il momento sono stati desecretati solamente 5 verbali datati 28 febbraio, 1 marzo, 7 marzo, 30 marzo e 9 aprile 2020. Risultano quindi ancora assenti le documentazioni relative alle riunioni dei primi giorni di marzo, ossia quelle della mancata zona rossa ad Alzano e Nembro, in Val Seriana.

I documenti sono stati resi pubblici solamente dopo mesi di richieste, appelli e ricorsi giudiziari. Secondo il Governo i documenti sarebbero dovuti rimanere segreti dal momento che sono atti amministrativi, con lo scopo di tutelare la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico. Con la possibilità di consultare questi documenti adesso si potrà forse fare chiarezza su alcune decisione del Governo nella gestione dell’emergenza.

FONTE:https://www.money.it/lockdown-voluto-conte-CTS-chiusure-diversificate-documenti

 

 

L’arbitrario lockdown nazionale di Conte e la finta desecretazione dei verbali

Da pagina Facebook del Dottor Stefano Scoglio
Alla fine Conte, messo con le spalle al muro, ha fatto finta di desecretare i verbali del Comitato Tecnico-Scientifico…Cerchiamo di capire cosa è successo…Il governo ha fatto ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del TAR del Lazio di desecretare i verbali, mostrando chiaramente di non volere rivelare cosa è veramente successo nelle segrete stanze del potere…Il Consiglio di Stato ha sospeso l’applicazione della sentenza del TAR, rinviando la decisione alle sezioni congiunte del Consiglio il 10 Settembre, ma con una motivazione (da parte del Presidente Franco Frattini) che faceva chiaramente capire che non si vedevano ragionevoli ostacoli alla pubblicazione dei verbali.
Conte si è così trovato di fronte alla quasi certezza che i verbali sarebbero stati resi pubblici il 10 Settembre, e così ha deciso di giocare di anticipo. Ha scritto una circolare in cui incaricava gli uffici di rendere pubblici i documenti, ma chiedendo che le parti “più sensibili” restassero comunque segrete…E così è stato: gli uffici della Presidenza del Consiglio hanno consegnato alla Fondazione Einaudi documenti fortemente castrati.
Solo per fare un esempio, il verbale CTS del 7 Marzo riporta di essere composto da 3577 pagine, ma il documento ne riporta solo 52 (vedi numerazione nell’intestazione del documento)! Dove sono le altre 3525 pagine? E questo è solo uno degli innumerevoli verbali!
sotto a destra: “composto complessivamente di 3577 pagine”; sopra, nell’intestazione: 1/52 (52 pagine)
Tuttavia, nonostante siano state probabilmente tagliate le parti più scabrose, già da qui emerge chiaramente che Conte ci ha mentito, e ha imposto il lockdown nazionale CONTRO il parere del Comitato Tecnico-Scientifico (CTS), e quindi obbedendo ad altri interessi.
Infatti, questo documento è del 7 Marzo, è l’ultimo verbale prima del lockdown nazionale del 10 Marzo, e qui il CTS scrive:
E segue qui la lista delle misure tipiche del full lockdown che abbiamo tutti sperimentato, con la chiusura di tutte le attività economiche, ma limitato alla sola Lombardia e ad altre 11 province…Sarebbe stata una cosa ben diversa, un po’ come la Cina che ha chiuso di fatto solo la regione di Wuhan, il Wubei, mentre la sua economia ha continuato a marciare come sempre!
Per la restante stragrande maggioranza dell’Italia, il CTS proponeva solo misure di contenimento ridotte:
  • chiusura delle scuole (sempre troppo),
  • limitazioni della mobilità alla casi strettamente necessari;
  • frequentazione dei luoghi e attività pubbliche che, con il solo mantenimento di misure di distanziamento (1 metro), potevano restare aperte .
Pur essendo anche questo troppo per una pandemia farlocca, questa soluzione avrebbe mantenuto aperte tutte le attività economiche, e avrebbe evitato quel crollo economico che sta distruggendo metà dell piccole-medie imprese, e sta portando ad un autunno devastante dal punto di vista economico-finanziario. Insomma, la distruzione dell’economia italiana, con tutti i danni e i morti che causa e causerà, è esclusiva responsabilità di Conte e del suo governo giallorosso, che si è nascosto dietro lo schermo dell’invisibile Comitato Tecnico Scientifico, che si rivela ora essere una minuscola e di fatto inesistente foglia di fico.
Mi auguro che ora ci sia un’inchiesta giudiziaria su un governo che ha arbitrariamente deciso (magari sollecitato dalle offerte economiche della OMS, come nel caso della Bielorussia?) di distruggere l’economia italiana, causando miseria, sofferenza e morte…
Fonte: https://www.facebook.com/notes/stefano-scoglio/larbitrario-lockdown-nazionale-di-conte-e-la-finta-desecretazione-dei-verbali/10218814105805902/?app=fbl

 

 

 

DIRITTI UMANI

FONTE:https://it.gatestoneinstitute.org/16313/nike-marchi-lavoro-forzato-cina

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

MPS naufraga in Borsa: la perdita trimestrale è da record

Azioni MPS affondano: cosa è successo e perché il titolo è crollato a Milano

MPS naufraga in Borsa: la perdita trimestrale è da record

Dopo la trimestrale le azioni MPS sono crollate a Milano nell’ultima seduta della settimana.

I risultati messi a segno dalla senese nel periodo di riferimento hanno avuto un impatto particolarmente evidente sul titolo, che in pochi minuti ha bruciato svariati punti percentuali.

Le azioni MPS si sono dovute confrontare con una perdita record che ha affossato in maniera evidente il sentiment degli investitori.

Azioni MPS crollano: i motivi nella trimestrale

Una perdita choc: così gli analisti hanno definito il rosso di 845 milioni contabilizzato nella seconda trimestrale 2020 di Monte dei Paschi.

Sul risultato hanno pesato in maniera evidente i 476 milioni di svalutazioni di attività per imposte anticipate, determinate dall’aggiornamento post-COVID delle stime sui valori economico-patrimoniali. Come non annoverare poi i 384 milioni di componenti non operative negative e i 107 milioni di rettifiche su crediti.

Le azioni MPS oggi sono crollate sulla scia della trimestrale e questo nonostante la lieve salita del risultato operativo lordo (+2,9% rispetto al trimestre precedente) a 186 milioni. Il CET1 si è attestato all’11,8%.

Si noti comunque che anche i primi 6 mesi sono stati archiviati in perdita dalla società, che ha portato a casa un rosso di quasi 1,1 miliardi di euro.

Al momento in cui si scrive le azioni MPS stanno reagendo alla trimestrale con un tonfo di oltre il 6% a Milano.

FONTE:https://www.money.it/azioni-MPS-2-trimestrale-2020-rosso-da-record

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Palamara ammette: «È vero, la sinistra orienta la magistratura».

E aggiunge: «Mi sono pentito»

lunedì 3 agosto 9:29 – di Gianluca Corrente

Palamara

«La magistratura è in evoluzione, bisogna essere realisti. È composta da 9mila persone che nei fatti sono una comunità. Ed è indubbio che la sinistra ha una forte capacità di orientamento della magistratura». Ad affermarlo è Luca Palamara, nell’intervista con il direttore del giornale online Giulio Gambino durante la terza serata del TpiFest. «A volte ti viene da pensare che la stampa non sia libera, è importante l’indipendenza della stampa così come quella della magistratura. Ho grande fiducia che la generazione dei giovani possa dare al paese una stampa libera».

Il pentimento di Palamara

«Se tornassi indietro non rifarei le stesse cose», aggiunge. «Eviterei questo meccanismo di relazioni. Sarei molto più netto su reiterate e numerose richieste di raccomandazione che hanno caratterizzato la mia persona in quegli anni. Mi sono pentito». Ci tiene però a sottolineare che «ci sono più Palamara per ogni correnti. E sono coloro che negli anni hanno ricevuto incarichi politici associativi». È stato preso «il mio telefono. Se fossero state ascoltate le conversazioni di miei omologhi si potrebbe avere visione più globale di quello che è realmente accaduto. Dovrebbero essere ascoltati per una visione meno parziale, perché esiste un altro pezzo».

Le chat “confidenziali” sul telefono

«Per le chat sul mio telefono, dico che contengono affermazioni improprie. Già più volte da quelle affermazioni io per primo ho preso le distanze. Ma tengo a dire che quando si scrive sulle chat spesso lo si fa in via confidenziale, in forma stringata, in forma sintetica. E soprattutto lo si fa nella convinzione del caposaldo della libertà e segretezza delle nostre comunicazioni», aggiunge Palamara.

Palamara e i giudizi politici

«Prendo le distanze da quelle che contengono contenuti impropri su svolgimento dell’attività politica. Ho esercitato una carica rappresentativa che come tale mi imponeva di interfacciarmi con il mondo della politica e delle istituzioni. Ho frequentato uomini politici di entrambi gli schieramenti. Determinati giudizi sono frutto di situazioni contingenti che come tali devono essere contestualizzati. Il mio nome, Palamara, può essere fatto solo per definire processo giusto e imparziale».

FONTE:https://www.secoloditalia.it/2020/08/palamara-ammette-e-vero-la-sinistra-orienta-la-magistratura-e-aggiunge-mi-sono-pentito/

 

 

 

Emilio Fede, 89 anni, arrestato come un serial killer: in 6 per bloccarlo al ristorante

martedì 23 giugno 10:30 – di Marta Lima

In sei per arrestare il giornalista Emilio Fede, nel giorno del suo compleanno, a Napoli. Motivo? Evasione, dagli arresti domiciliari a Milano.  A darne notizia è il quotidiano napoletano “Il Roma”, che riporta come l’ex direttore del Tg4 fosse a cena con la moglie sul lungomare partenopeo per festeggiare il suo 89esimo compleanno quando sei Carabinieri in borghese lo hanno avvicinato notificandogli il provvedimento del magistrato di Milano. (in basso la foto di Fede al momento dell’arresto, per gentile concessione del Roma).Fede, condannato in via definitiva a 4 anni e 7 mesi nell’ambito del processo Ruby Bis, ha scontato 7 mesi di arresti domiciliari e deve completare la pena con 4 anni di servizi sociali, ma sarebbe partito da Milano in direzione Napoli senza attendere l’autorizzazione del giudice del tribunale di sorveglianza milanese. Sempre secondo quanto riportato dal quotidiano “Il Roma”, Fede è stato scortato in albergo e gli è stato intimato di non lasciare la struttura fino alla decisione del magistrato di sorveglianza che dovrebbe arrivare in mattinata.

Emilio Fede: “E’ stato terrorizzante”

“Il mio arresto? E’ stata una cosa terrorizzante. Compivo gli anni e da Milano, con i domiciliari finiti, sono partito per trascorrere due giorni con mia moglie. Siamo andati al ristorante a mangiare una pizza io e lei, e lì sono arrivati i carabinieri, notificandomi gli arresti per il reato di evasione”. Questo il racconto all’Adnkronos del giornalista Emilio Fede dell’arresto a Napoli per evasione dai domiciliari.

“Mi viene contestato di essere partito da Milano quando non c’era ancora la firma sui servizi sociali. Sono stato accompagnato in albergo e ora non posso nemmeno affacciarmi alla finestra – dice ancora Fede- Io sono claustrofobico, sono stato operato alle vertebre e non posso camminare da solo, devo essere accompagnato e con il bastone. E’ stato un arresto davanti a tutti, sono terrorizzato, che si possa prendere un essere umano, non Emilio Fede, e arrestarlo cosi’”

FONTE:https://www.secoloditalia.it/2020/06/emilio-fede-89-anni-arrestato-come-un-serial-killer-in-6-per-bloccarlo-al-ristorante/

 

 

 

I TORTI DI SERGIO ZAVOLI NEI CONFRONTI DI FRATE MITRA

I torti di Sergio Zavoli nei confronti di Frate Mitra

Anche la cosiddetta narrazione agiografica di un mostro sacro del giornalismo divulgativo all’italiana come fu Sergio Zavoli contiene qualche eccezione che conferma poi la prassi e la regola. Nel caso in ispecie quella eccezione è contenuta nella puntata de “La Notte della Repubblica” – viaggio nelle radici del terrorismo brigatista e non solo – dedicata alla cattura di Renato Curcio e Alberto Franceschini alla stazione di Pinerolo, nel torinese. E al ritratto non lusinghiero – e in ciò conformista ai desiderata dell’epoca della sinistra – della figura di Silvano Girotto, in arte “Frate Mitra”, che poi fu quello che a Curcio e Franceschini li fece catturare. Mentre una provvidenziale soffiata dall’interno delle istituzioni salvo le terga a Mario Moretti che doveva cadere anche lui nella trappola. La soffiata venne raccolta dal medico Enrico Levati, modesto fiancheggiatore brigatista, e poi girata a Moretti per vie ancora oscure.

Se Moretti fosse stato catturato già nel 1974 probabilmente nel 1978 non avrebbe potuto fare il regista della strage di via Fani e del sequestro di Aldo Moro, tanto per dirne una. Ma Girotto, in quella puntata de “La Notte della Repubblica” viene dipinto come un individuo losco che fa arrestare i due “idealisti” – “buoni” sarebbe tropo – delle Br, lasciando invece libero il “militarista” Moretti. E poi chissà chi era questo infiltrato. E magari lo mandava la Cia o qualche servizio deviato e così via. Peccato che Girotto volesse fare catturare anche Moretti, come raccontò alla Commissione stragi – portatoci dal sottoscritto in qualità di consulente nel lontano 10 febbraio del 2000 – che mai si era degnata nella sua decennale vita di sentirlo prima di allora. E oltre a raccontare come andarono veramente le cose – non come le descrisse Zavoli nella puntata de “La Notte della Repubblica” – disse di aver agito in buona fede e di non essersi infiltrato per conto di nessuno, ma semplicemente di essere stato contattato dagli allora ancora ingenui brigatisti perché lui in Sudamerica era stato un prete guerrigliero con i Tupamaros.

Di qui il nomignolo di “Frate Mitra”. E articoli sui giornali che ne amplificarono la fama nei primi anni Settanta. Solo che, dopo essere stato a colloquio con i “brigatisti in erba”, Girotto si rese conto che erano dei pazzi e dei futuri assassini a sangue freddo di uomini delle istituzioni democratiche e non di certo dei guerriglieri che combattevano dittature come quelle sudamericane dell’epoca. Di qui la sua decisione di rivolgersi ai carabinieri di Dalla Chiesa che conosceva sin da giovane per delle storie di furti di auto, suoi errori di gioventù. Prima di farsi prete.

Una storia interessante che poteva essere anche raccontata da Zavoli, come più volte chiese lo stesso Girotto con richieste di rettifica alla Rai. Ma Zavoli preferì insistere nella versione che dipingeva lui come un traditore delle vecchie Br e come un agente provocatore mandato chissà da chi. Per la cronaca, quella fama a Girotto è costata parecchio: non ebbe alcun premio in denaro per la cattura di Curcio e Franceschini e ha vissuto tutta la vita come un profugo più che un esule. Riparando all’estero e vivendo senza cambiamento di identità del proprio mestiere di elettricista. Che puntualmente si interrompeva con un licenziamento non appena qualcuno soffiava al datore di lavoro i suoi “precedenti”. Che sostanzialmente consistevano nell’aver fatto arrestare Curcio e Franceschini!

Oggi Girotto vive in Africa e fa il missionario laico, Curcio e Franceschini coltivano il proprio mito di brigatisti puri e non duri e Zavoli riposa in pace considerato un mostro sacro del giornalismo italiano. La vita spesso è così.

Clicca qui per leggere il resoconto stenografico della seduta della “Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” del 10 febbraio 2000

FONTE:http://www.opinione.it/politica/2020/08/06/buffa_politica_sergio-zavoli-girotto-franceschini-moretti-frate-mitra/

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Pensioni, preparano in silenzio la Fornero-bis.

E Librandi: «Giusto, bisogna lavorare più a lungo»

giovedì 30 luglio 9:22 – di Roberto Mariotti

Il gioco delle parti per arrivare al traguardo. Che è la trappola delle pensioni. La prima a preparare la strada è la Fornero. Da settimane, in difesa della sua legge, continua a reclamare una politica di lacrime e sangue. Poi c’è la strategia del governo. Diffonde dati allarmistici per disegnare un quadro dalle tinte fosche. E con questa scusa mettere mano alle pensioni.

Pensioni, i dati diffusi dal governo per sondare il terreno

A spiegarlo, alcuni giorni fa, era stato l’ex sottosegretario Alberto Brambilla. «Questo governo sta buttando miliardi e miliardi nel più improduttivo assistenzialismo», aveva detto. «Per questo lascia che circolino delle vere e proprie fake news sui conti dell’Inps, come quella secondo cui durante il Covid il numero dei pensionati avrebbe superato quello dei lavoratori». La strategia è chiara: la confusione tra spesa previdenziale e spesa assistenziale non nasconde solo la volontà del governo di mascherare la vera natura dei propri provvedimenti. Sullo sfondo, infatti, c’è qualcosa che è perfino peggio: una riforma delle pensioni che sarà «una Fornero bis ancora più dura».

Librandi: stop a una linea dannosa per le finanze

La conferma arriva dalle parole di Gianfranco Librandi. L’esponente renziano fa il furbo: dà una piccola stoccata al governo (riecco il gioco delle parti), per poi rimettere al centro della discussione il nodo delle pensioni. «Si apprende dalla stampa che la Ministra del Lavoro Catalfo abbia confermato Quota 100 fino al 2021 e che il Governo punti a una riforma nel 2022 per evitare gli scaglioni collegati alla fine della misura». dice. «Se il buongiorno si vede dal mattino, prevedo maltempo sul tema pensioni. Nonostante i risultati disastrosi e la bocciatura della Corte dei Conti, si continua a insistere su una linea dannosa per le finanze e per il futuro del Paese».

«La riforma delle pensioni è un nodo cruciale»

Poi Librandi aggiunge: «La riforma delle pensioni è un nodo cruciale per l’Italia. La riproposizione di un modello rivisto o ridotto di Quota 100 sarebbe l’ennesimo errore. Ciò che serve è in primo luogo una riflessione seria sui lavori usuranti. Successivamente, bisogna cambiare paradigma. Oggi si vive molto di più e si invecchia più tardi. L’obiettivo deve essere lavorare meno ore a settimana ma per più a lungo, non andare in pensione a 62 anni. Inoltre, la riduzione dell’orario di lavoro avrebbe effetti benefici sul bilanciamento tra lavoro e vita privata, sul benessere, sulla natalità e sui consumi», conclude.

FONTE:https://www.secoloditalia.it/2020/07/pensioni-preparano-in-silenzio-la-fornero-bis-e-librandi-giusto-bisogna-lavorare-piu-a-lungo/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

La raccolta firme contro Soros: ecco come vogliono cacciarlo

Il Conservative Brazil Movement (Mbc) ha già raccolto più di 25mila firme che saranno consegnate al Congresso. L’obiettivo è quello di istituire una giornata mondiale contro l’influenza del magnate e della sua rete. Manifesti affissi a Brasilia

In Brasile, un movimento conservatore ha da poco promosso una petizione contro l’influenza nel Paese del finanziere George Soros e della sua rete “filantropica”.

La campagna promossa dal Conservative Brazil Movement (Mbc) conta già il supporto di oltre 25mila firme, che verranno ufficialmente consegnate al Congresso Nazionale, il 13 agosto. Come spiegano i promotori, l’iniziativa mira a frenare l’attività e l’influenza di George Soros, fondatore della Open Society Foundations (Osf), uno dei “principali finanziatori di cliniche abortive nel mondo“.

La mobilitazione, sottolineano i referenti del Conservative Brazil Movement, ha l’obiettivo di diventare una campagna globale al fine di istituire il 12 agosto come la Giornata internazionale contro l’influenza ingombrante del magnate liberal, uno dei più importanti sponsor del Partito democratico Usa e di molte Ong progressiste in tutto il mondo. Per il movimento conservatore brasiliano, “Soros è il piú grande finanziatore della sinistra nel mondo, risponsabile di far cadere governi e rendere le nazioni instabili, con proposte che vanno dalla distruzione della cultura giudaico-crstiana, la legalizzazione dell’aborto, la teoria del gender, fino alla censura di Internet. É arrivato il momento di lottare uniti contro la personificazione del globalismo” sottolineano i promotori. Il titolo della campagna è “Non lasciare che George Soros pensi al posto tuo“. Secondo il movimento conservatore brasiliano, Soros finanzia movimenti come Black Lives Matter, alimentando le divisioni razziali. “Secondo un’analisi del Washington Times, l’Open Society Foundations ha stanziato al movimento almeno 33 milioni di dollari in un anno“. Recentemente, un gruppo di giovani del Conservative Brazil Movement si è incontrato a Brasilia per pubblicizzare la campagna con una serie di manifesti affissi in alcuni punti strategici della capitale.

L’influenza di Soros in Italia

Anche l’Italia è al centro delle attenzioni del magnate e della sua rete filantropica. Come abbiamo sottolineato di recente su questa testata, l’Asgi e il Cairo Institute for Human Rights Studies (Cihrs), associazioni sostenute e sponsorizzate rispettivamente dai magnati Soros e Rockfeller, hanno denunciato Italia, Libia e Malta dinanzi al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite per presunte “ricorrenti violazioni“. Ma la la mappatura dei finanziamenti con cui, tramite la Open Society Foundations, George Soros inonda il nostro Paese di soldi per plasmarlo a sua immagine e somiglianza riguarda partiti politici, organizzazioni non governative politicizzate, onlus che favoriscono l’immigrazione e associazioni che sostengono le comunità rom. Tra il 2017 e il 2018, stando all’inchiesta pubblicata dall’agenzia Adnkronos poco meno di un anno fa, si parla di oltre otto milioni e mezzo di dollari versati nelle casse di quegli enti che si prefiggono come obiettivo la creazione di una società più aperta e accogliente.

In linea generale la Open Society Foundations spazia dai progetti per la difesa dei diritti umani all’assistenza sanitaria agli immigrati, dalle iniziative ambientaliste al monitoraggio dell’industria degli armamenti. Non deve, quindi, stupire se prima delle elezioni politiche del 2018 ha messo a dosposizione dell’Università di Urbino 25mila dollari per mappare “l’informazione politica sui media italiani“. E, sempre in quella tornata elettorale, ha staccato al partito di Emma Bonino un assegno da 298.550 dollari per “promuovere un’ampia riforma delle leggi italiane sull’immigrazione attraverso iniziative che puntino a fornire aiuto agli immigrati e avanzare il loro benessere sociale“.

FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/mondo/brasile-petizione-contro-linfluenza-george-soros-1882085.html

 

 

 

Usa e Israele utilizzano la tragedia di Beirut per mettere sotto controllo il Libano e neutralizzare Hezbollah

controinformazione.info

La visita improvvisa a Beirut del presidente francese Emmanuel Macron e la richiesta di alcune fonti libanesi pro occidentali di internazionalizzare le indagini sull’esplosione del porto di Beirut sono indicative di quanto si sta muovendo nel martoriato paese dei cedri.

Già alcune ore dopo l’attentato al porto di Beirut, alcuni esponenti libanesi collegati a centrali estere (USA e Arabia Saudita) chiedevano che la gestione del porto fosse internazionalizzata. Esiste in Libano un fronte interno che include élite politiche e mediatiche, che si muovono in chiara armonia, cercano l’internazionalizzazione da un lato e si muovono contro il governo e il Patto dall’altro, in uno scenario che ricorda la situazione del 2005. Questo coincide con le richieste di internazionalizzazione su Twitter e su altri social media, dove la maggior parte di questi messaggi provengono da non libanesi.

Queste chiamate sono arrivate in concomitanza con l’ arrivo del presidente francese Emmanuel Macron, ieri in visita a Beirut, per “aiutare il popolo, non lo stato” (sue dichiarazioni). Questo è indicato dalla sua dichiarazione in cui affermava che “gli aiuti francesi non finiranno nelle mani dei corrotti e forniremo aiuti internazionali sotto la supervisione delle Nazioni Unite e raggiungeremo direttamente il popolo e le associazioni non governative”(le ONG pilotate dalla USAID e altri organismi pro USA).

Oltre a queste dichiarazioni, il presidente francese ha anche chiesto “il cambiamento in Libano” e ha anche detto, mediante un suo tweet, che “il Libano non è solo” all’indomani di un’esplosione al blocco 12 del porto di Beirut, che ha ucciso più di cento persone e devastato una buona parte della città.

“Non è solo il Libano”, ha detto Macron, ma il paese si trova ancora sotto sanzioni USA e la Russia ha richiesto a Washington di rimuovere le sanzioni come unico vero atto di solidarietà internazionale, piuttosto che non dichiarazioni ipocrite da parte delle stesse potenze che hanno imposto il blocco e le sanzioni che hanno gettato nella crisi la popolazione libanese.

L’analista degli affari politici di Al-Mayadeen, Qasim Izz al-Din, ha commentato la visita di Macron affermando che “la Francia è l’origine del sistema settario in Libano e deve fornire soccorso al Libano con qualche cosa di più dei quattro aerei umanitari” inviati. Questo perché adesso tutti simpatizzano con il Libano e la sua gente “, ma fino a ieri il Libano era sul banco degli accusati per non essere “collaborativo” con gli USA e le potenze occidentali.

Beirut, Libano – 4 agosto

Izz al.Din ha aggiunto che “la Francia deve assumersi la sua responsabilità per gli aiuti umanitari e dare tutto ciò che può in questo frangente e può fare molto, ma non deve imporre riforme ai libanesi”.

Una porzione del territorio libanese è ancora sotto occupazione israeliana e Israele viola continuamente lo spazio aereo e marittimo del Libano sentendosi padrone assoluto dei giacimenti di gas in mare e delle risorse del paese.
Le autorità libanesi e vari esponenti delle fazioni politiche chiedono l’internazionalizzazione delle indagini sull’esplosione del porto di Beirut ma non l’interferenza estera nelle questioni interne del Libano.

Inoltre, questa era anche la richiesta del leader del Partito socialista, ex vice Walid Jumblatt, il quale ha detto che “non si fida della capacità del governo libanese di rivelare la verità”. Jumblatt ha ritenuto che “l’attuale governo sia ostile e che ci debba essere un governo neutrale che lasci il Libano dagli asset dominanti e che i passaggi e i porti debbano essere controllati e che non vi sia fiducia nell’autorità locale, con questa banda dominante “.

Jumblatt ha aggiunto: “È una coincidenza o una cospirazione? … L’indagine rivelerà questo e, dalle poche informazioni che possiedo, questa enorme quantità di ammonio che è arrivata al porto di Beirut ed è rimasta per quasi 6 anni, non esplode anche se è tossica o esplosiva da sola, ha bisogno di un fulmine “.

Ha anche considerato che “il Libano è ferito, occupato, isolato e controllato, ed è abbastanza grato per la sua visita.

Nello stesso contesto, il leader del partito “Forze libanesi”, Samir Geagea, ha chiesto l’invio di un comitato di indagine internazionale da parte delle Nazioni Unite il prima possibile, e ha invitato il parlamento a “tenere una sessione di emergenza e pubblica per interrogare il governo sull’esplosione”.

Alcuni hanno risposto a queste richieste dicendo che “abrogano lo stato nazionale”,così ha dichiarato il vicepresidente del Parlamento Eli Farzly. Inoltre, il ministro degli interni Mohamed Fahmy ha confermato che l’attuale governo non farà ricorso a esperti internazionali.

Non vi è alcun dubbio che le richieste di internazionalizzazione provengano da “Israele” e dagli Stati Uniti per raggiungere il loro obiettivo di porre il Libano sotto più controllo fiduciario, in particolare con la loro richiesta di modificare le funzioni di “UNIFIL” (il contingente dell’ONU) e aumentarne l’autorità. Questa non è la prima volta che le questioni relative al Libano sono state internazionalizzate, in particolare l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri.

Questo si accompagna al rinvio dell’International Special Tribunal for Lebanon, che sta esaminando il caso dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri, per pronunciarsi fino al 18 agosto, dopo che era stato programmato il 7 dello stesso mese, a causa delle ripercussioni dell’esplosione a Beirut.

Hezbollah, movimento di resistenza libanese. Reparti in parata

Dopo queste dichiarazioni, lo scenario indica i tentativi di imporre una tutela indiretta al Libano, e c’è chi cerca di accusare Hezbollah di essere responsabile della catastrofica esplosione nel porto di Beirut, seppur indirettamente, accennando che l’esplosione di Beirut è stato un evento casuale e collegando questo con la questione a Hezbollah e alle sue armi.

Tutti o quasi i media occidentali insistono su tale versione dei fatti mettendo sotto accusa Hezbollah e istigando un cambiamento in Libano che metta fuori gioco Hezbollah (il grande nemico di Israele) e consenta l’instaurazione nel paese di un governo filo occidentale.
Da questa campagna mediatica si comprende a cosa sia stato finalizzato il disastro di Beirut e quali ambienti siano interessati ad utilizzare l’evento per un cambiamento politico nel paese dei cedri che rimetta il Libano sotto i controllo delle centrali degli USA, di Israele a cui il Libano si era sottratto.

Tuttavia si omette di riferire che , il segretario generale di Hezbollah, Sayyid Hassan Nasrallah, con una sua presa di posizione di pochi giorni prima , aveva “negato categoricamente” in un precedente discorso le accuse formulate dal delegato israeliano al Consiglio di sicurezza circa l’uso di Hezbollah di trasferire armi o componenti di armi in Libano attraverso il porto di Beirut, considerato da Hezbollah una struttura non sicura e inquinata da spie e agenti statunitensi e sauditi.

E il signor Nasrallah ha considerato che “queste dichiarazioni preludono all’imposizione di una tutela sul porto, sull’aeroporto e sui confini, alcuni dei quali vogliono che il Libano sia messo sotto il controllo degli USA e dei suoi procuratori”. Nasrallah aveva anche avvertito coloro che avevano “un problema con Hezbollah, dal mettere in pericolo il porto di Beirut”.

Gli analisti libanesi hanno indicato all’indomani dell’esplosione che “lo sfruttamento dell’incidente è iniziato con l’obiettivo di mirare a responsabilizzare Hezbollah che ha depositi di armi nel porto”, secondo vari osservatori indipendenti. Questi ritengono che le esperienze del Libano con la Corte internazionale non abbiano avuto successo e non possano essere rivendicate come una costante per il paese.

Il Libano ha già subito da parte di Israele e dei suoi sodali (USA, GB e Francia) occupazione militare, destabilizzazione interna e sobillazione di violenze e ostilità fra le varie componenti etniche e religiose del paese. Il tutto mirato a portare il caos nel paese e favorire una neocolonizzazione in stile “esportazione della democrazia” nel paese dei cedri. In Libano si ricordano ancora dei 33 giorni di bombardamenti fatti da Israele nel 2006 che causarono migliaia di vittime fra i civili libanesi ed il tentativo di invasione del sud del Libano che fu bloccato da Hezbollah.

Nessuna meraviglia che sia utilizzato il disastro del porto di Beirut per disarmare il movimento di resistenza e imporre un diktat al paese per sottomettersi alle potenze dominanti. Il ricatto è già stato preannunciato: aiuti in cambio di riforme politiche e sottomissione.

Hezbollah farà presto sentire la sua voce e l’asse della resistenza non sembra disposto a deporre le armi e sottomettersi ai nuovi/vecchi padroni, a prescindere che parlino francese o arabo.

 

FONTE: https://www.controinformazione.info/usa-e-israele-utilizzano-la-tragedia-di-beirut-per-mettere-sotto-controllo-il-libano-e-neutralizzare-hezbollah/

 

 

 

POLITICA

ECONOMIA BLOCCATA E LEGALITÀ: È LA RICETTA CONTE CHE PIACE ALL’UE

Economia bloccata e legalità: è la ricetta Conte che piace all’UeIl destino dell’Italia sembrerebbe immutabile, con lui la certezza che Giuseppe Conte possa rimanere in sella sino al 2023 ed oltre. Impressioni o certezze supportate da due dati di fatto, ovvero che gli italiani sbraitano ma temono doversi ribellare violentemente al sistema, e poi che Conte sta assolvendo benissimo al compito assegnato da “partito sovranazionale dell’establishment” al Conte bis. Quest’ultimo aspetto è poco chiaro ai più, e sarebbe il governare l’Italia badando bene che l’economia resti bloccata. Nello specifico, Giuseppe Conte avrebbe promesso il Paese bloccato in cambio dell’appoggio dell’Unione euroepea al suo mandato, e di questa nefanda promessa ne sarebbero al corrente il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ed il commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni: i due ovviamente tacciono, reputando questa situazione possa logorare Conte e chi lo supporta (i 5 stelle) per poi permettere al Pd di gestire dal 2023 la ripresa. Ma può un Paese stare a bocce ferme per altri tre anni e forse più? L’idea che una carestia possa convincere l’Italia a cedere i propri gioielli di famiglia a multinazionali e famiglie importanti era percepibile già durante il governo di Mario Monti (meno di otto anni fa), oggi è una certezza.

I cosiddetti “frugali” (Germania, Danimarca, Olanda, Belgio, Austria, Finlandia, Svezia e Norvegia) supportano la linea politica che l’Italia dovrebbe dimostrare di volersi privare dei propri beni a fronte di moneta che proverrebbe dall’Europa. Per dirla in soldoni, Conte viene chiamato dall’Ue a recitare la parte che fu di Totò in Totòtruffa, ovvero offrire la Fontana di Trevi in cambio di danaro (pardon moneta elettronica). Particolare non secondario è che, Totò interpretava la parte di colui che incassava danaro senza dare in cambio la fontana, mentre il nostro Conte i monumenti potrebbe davvero spedirli all’estero ed in cambio di moneta virtuale e pagamento di debiti e sanzioni Ue. Ovvero rischiamo di perdere la nostra storia (e primaria attrazione turistica) in cambio di carta straccia e qualche click di soldini virtuali. Ma l’italiano non s’indigna, anzi ignora e si dice incredulo. Vi rammento nuovamente che, l’ascesa di Mustafa Kemal Atatürk venne anche favorita dal sentimento popolare d’indignazione verso l’ultimo Pascià, quello che aveva ceduto alla Germania guglielmina tutte le opere d’arte ellenistiche anche in cambio dell’azzeramento di pendenze su transazioni internazionali (un po’ quello che oggi verrebbe promesso all’Italia). Miracolo della finanza, può mettere di culo per terra chiunque le si avvicini, trasformandolo in un irreversibilmente povero. Ma l’italiano medio, poltrone e sornione, non vuole vedere la realtà dei fatti. Anzi, ritiene sia sempre possibile una mediazione andreottiana su ogni patto leonino stretto in Ue. È mai possibile una mediazione andreottiana senza un Andreotti? E perché se i mediatori sono il ministro Luigi Di Maio ed i suoi compari, allora prepariamoci anche a veder trasferire gli Uffizi tra Germania ed Olanda. Emerge che nessuno fermerà la spoliazione dell’Italia, perché pubblici funzionari (e stipendiati statali) e forze dell’ordine favorirebbero (ed assicurerebbero) che i beni possano viaggiare per l’estero senza che quel brigante del popolo italiano possa tentare di fermarne la fuga.

Di questo me ne offre prova Facebook: ho provocatoriamente postato sul mio profilo varie incitazioni a rivolte ed alla rivoluzione contro i gestori delle istituzioni e contro le politiche del governo, così mi ha risposto un politicante di centro-destra (già dipendente dello Stato) “non credo nelle rivolte e nell’uso della piazza contro chi ha responsabilità di governo, credo nel dialogo moderato e democratico con le istituzioni”, alle sue parole ben due “mi piace” da esponenti del Pd e da altrettanti ex An e Forza Italia. Emerge come sia politicamente trasversale quel fritto misto di complicità e pavidità: e lo dico da persona profondamente convinta che nemmeno la Lega s’opporrebbe al cedere i gioielli italiani allo straniero. Perché ad opporsi dovrebbe essere il popolo tutto, ma la gente è ormai vinta dalla cultura amorfa e banale del piangersi addosso, dall’incapacità di far valere i propri diritti, dal convincimento che nelle aule parlamentari e giudiziarie vi sia prima o poi chi metterà le cose a posto. Intanto il tempo passa, e nel 2023 saremo molto più poveri di oggi. Vittime di quella povertà irreversibile che per motivi bancari, giudiziari, fiscali o tributari, non permette a circa otto milioni d’italiani di sortire dalla povertà (povertà irreversibile appunto): una sorta di morte civile, istituto giuridico diffuso in Europa fino al XIX secolo, che condannava all’invisibilità milioni di cittadini non potevano più firmare contratti, avere documenti. Questa sorte oggi può benissimo inviluppare altri milioni d’italiani bloccati da iter giudiziari, burocratici, fiscali dai diritti negati.

E Conte, Di Maio e compari cosa propongono? La “povertà sostenibile”, dare a tutti questi milioni d’italiani una sorta di reddito universale di cittadinanza, a patto che stiano fermi, che non tentino più di fare impresa, di lavorare, di pensare d’integrarsi in una sorta di nuovo corso e d’ascensore sociale. Emerge anche che, il collante tra 5 Stelle e burocrati è un senso polveroso e pinocchiesco (collodiano) di legalità. Anche qui è doveroso l’esempio, giornalmente in Italia una ventina di cittadini vengono arrestati e processati perché si rivolgono violentemente contro i dinieghi della pubblica amministrazione. Ma chi sono e cosa fanno? Si tratta d’imprenditori che danno in escandescenza negli uffici pubblici, e perché subiscono revoche di concessioni in corso d’opera, blocchi di cantieri o fermi di lavorazioni. Oppure di cittadini che subiscono ingiusti accertamenti o modalità coercitive di pagamento. Basti pensare che, durante il cosiddetto “Smart working”, un artigiano romano s’è presentato presso un ufficio pubblico per rinnovare un permesso con certificazioni europee (pena momentanea chiusura dell’attività) ed un pubblico funzionario lo ha così cazziato con voce roboante “lei non ha rispetto degli iter burocratici”. L’artigiano lesto di mano non ha accettato l’alterigia istituzionale del burocrate, forse è andato in escandescenza, certo è stato condotto fuori dall’ufficio con la forza pubblica, ed ora aspetta l’esito d’un processo.

Di questi esempi ne sono piene zeppe le cronache locali italiane, mentre sappiamo che nelle vicine Austria e Germania gli uffici pubblici hanno dedicato del personale alla risoluzione “bonaria” delle pendenze di artigiani e commercianti. Ecco descritto il “senso di legalità” di ci governa, ovvero alterigia dei pubblici funzionari e carichi giudiziari su imprenditori, artigiani, commercianti e cittadini d’ogni tipo e classe sociale. Questa contrapposizione dovrebbe sfociare in rivolte, ed invece il malcapitato (come nel caso dell’artigiano romano) è lasciato solo al proprio destino: ignorato ed allontanato come reprobo e folle da partiti, sindacati, stampa, opinione pubblica. Ne deriva che, grazie agli italiani, mantenere l’Italia economicamente bloccata non è un compito arduo per Giuseppe Conte. Non dimentichiamo che, Conte è figlio di quella voglia di sostituire i partiti del consenso con quelli dell’establishment, voglia che serpeggia nei “salotti buoni” dell’Ue da almeno un ventennio. Conte non a caso ha ottenuto il consenso di quel Monti che è stato “commissario europeo per il mercato interno” tra il 1995 ed il 1999 nella Commissione Santer, e che sotto la Commissione Prodi ha rivestito il ruolo di “commissario europeo per la concorrenza” fino al 2004. Il legame tra Monti e Santer è a dir poco inossidabile, entrambi fanno parte del salotto internazionale che reputa giusta causa la sostituzione dei governi retti da esponenti dei “partiti del consenso” con esecutivi capitanati dai “partiti dell’establishment”. Il progetto è trasformare Italia, Grecia, Spagna e Portogallo nelle braccia del Nord Europa, e dopo aver privato queste nazioni delle loro ricchezze culturali ed artistiche.

Ovvero realizzare un volano economico interno all’Ue che permetta lunga vita dell’establishment perpetrando l’economia gocciolata sui paesi poveri dell’Ue. Teoria che lo stesso Santer ha sperimentato nel suo Lussemburgo, quando sul finire degli anni ‘70 venne nominato ministro delle Finanze, del Lavoro e della Sicurezza sociale del ricco Paese francofono: lì per la prima volta vennero reintrodotti i quartieri dove confinare i poveri, ovvero quel fardello sociale che alimenta devianza e criminalità (ampia letteratura in materia era già stata versata nell’Inghilterra vittoriana). Vale la pena rammentare che Bruxelles nel 2005 assurgeva ad esempio internazionale per le democrazie opulente ed evolute, e per aver risolto il problema del binomio povertà-criminalità: nel suo quartiere ghetto potevano convivere poveri e condannati a pene detentive, entrambi in completa libertà, ma a patto di non varcare i confini rionali. Il “partito dell’establishment” non fa prigionieri, soprattutto confina l’ascensore sociale ai soli delfini della cosiddetta “classe dirigente”. Se ne deduce che oggi l’Italia è prigioniera d’una maggioranza di cretini agli ordini del furbo cameriere Conte. Soprattutto nessuno vuole o sa come sbloccare l’economia e la digitalizzazione s’applica alla manifattura: questo governo ha messo milioni d’italiani senza lavoro davanti al computer, dicendo loro d’aspettare.

fFONTE:http://www.opinione.it/politica/2020/08/07/ruggiero-capone_conte-sassoli-gentiloni-monti-pd-m5s-unione-euroepea-italia-germania-danimarca-olanda-belgio-austria-finlandia-svezia-norvegia-tot%C3%B2truffa/

 

 

 

I libanesi diventano amici libici.

Le comiche al ministero degli Esteri

Riccardo Mazzoni 

Manlio Di Stefano è sottosegretario agli Affari Esteri da ben due governi, e sul suo profilo Twitter elenca scrupolosamente le sue deleghe: Asia, Onu, Imprese e Spazio, precisando di essere anche “responsabile Rousseau Lex Parlamento”, incarico quest’ultimo pomposamente vago. Ebbene, alla luce della sua posizione di primo piano alla Farnesina, Di Stefano non poteva certo esimersi dall’esprimere dolore e vicinanza al popolo libanese dopo la terribile esplosione che martedì ha sconvolto Beirut. Per questo la sera stessa, d’impulso, ha twittato urbi et orbi il suo doveroso comunicato di solidarietà. Già, ma a chi? Purtroppo ha sbagliato indirizzo: “Con tutto il cuore – ha scritto commosso – mando un abbraccio ai nostri amici libici”.

Ora, è vero che anche la Libia non è messa propriamente bene, devastata da una lunga guerra civile e finita in mano a Erdogan, ma – avrebbe detto Di Pietro – che c’azzecca con la strage di Beirut? Perché, se di Tripoli ce ne sono effettivamente due, una in Libia e l’altra in Libano, è fuori discussione che di Beirut ce n’è una sola. E allora? Possibile che un sottosegretario agli Esteri non conosca la differenza che passa tra un libanese e un libico? Certamente no, sarebbe un’ipotesi dell’irrealtà in qualsiasi parte del mondo, meno che nell’Italia del fantastico mondo grillino, dove l’incompetenza al potere è diventata una virtù, anche se l’idea che la politica migliore la possano fare i cittadini, gli inesperti, e i nemici del congiuntivo ha già prodotto disastri senza precedenti, complici ovviamente i troppi italiani che ci hanno creduto.

Di fronte a una tragedia di proporzioni epocali come quella di martedì, piombata in un Paese già vicino al default, è difficile anche fare ironia sulla crassa incompetenza della classe dirigente che Grillo ha catapultato dal nulla al governo con una rivoluzione sgangherata e stracciona che ha elevato l’ignoranza a sistema. Ma i social si sono ugualmente scatenati di fronte a uno sfondone che non poteva passare sotto silenzio, anche perché i Cinque Stelle, quando si tratta di storia, geografia (Beirut in Libia, Matera in Puglia) o anche di grammatica, non colpiscono mai da soli, come i leggendari fratelli De Rege. E infatti nella notte, dopo il disastroso errore – inutilmente cancellato e corretto – del sottosegretario, l’ineffabile senatrice Elisa Pirro ha pensato bene di dar manforte al più illustre collega mettendo così a segno su Twitter una memorabile doppietta: “Le immagini dell’esplosione avvenuta a Beirut sono sconvolgenti. Esprimo la mia vicinanza al popolo libico”. Quando si dice copiare dal compagno sbagliato.

Finito nel tritacarne dei social- ah la nemesi! – e sulle pagine online di tutti i giornali, Di Stefano prima l’ha buttata filosoficamente sul sarcastico (“Wow, pare che oggi io sia popolare!”), ma poi è salito in cattedra per spiegare che una distrazione per stanchezza non può cancellare i suoi strabilianti successi come uomo di governo e “ingegnere di formazione”. E qui abbiamo scoperto che grazie all’infaticabile opera del sottosegretario Di Stefano – uno che “si occupa da anni di Libano” (o di Libia?) “anche dal punto di vista “sia politico che commerciale” – in tutti i Paesi target della sua azione “l’export italiano è cresciuto mediamente del 15%”. Altro che gaffista, qui siamo di fronte a un autentico fenomeno della diplomazia.

Peccato, anche per statisti come lui, che il diavolo si nasconda sempre nei dettagli. E la geografia, come la storia, sono dettagli decisamente ostici per i grillini. Non è stato forse l’attuale titolare della Farnesina, Di Maio, a parlare di Pinochet come dittatore del Venezuela, o a chiamare due volte “Ping” il presidente cinese Xi, il leader  più potente del mondo? O, ancora, a definire in un messaggio quella francese come una ” democrazia millenaria”?

Per cui Di Stefano ha ancora molta strada da fare per ambire alle vette raggiunte dal suo ministro. Ma il mondo è pieno di insidie, ed avrà sicuramente modo di rifarsi. Non ci sono infatti solo libanesi e libici, ma anche lettoni e lituani, indiani e indonesiani, irlandesi e islandesi. Di Corea ce ne sono due. Di Guinea addirittura tre. E poi: Austria e Australia possono diventare un autentico rompicapo, per non parlare di Niger e Nigeria , di Slovenia e Slovacchia, oppure di Mali, Malesia e Malawi.

Ma c’è poco da scherzare: i tanti, troppi Di Stefano che albergano tra governo e Parlamento non vengono mai sfiorati dal dubbio del cattivo esempio che danno con la loro resistibile ascesa al potere, dell’umiliazione che infliggono a un Paese che avrebbe bisogno di ben altra classe dirigente, e alle eccellenze che non trovano spazio perché il merito è stato abolito dall’uno-vale-uno. Il taglio dei parlamentari servirà almeno a ridurre il numero di questi Carneade della politica che, arrivati fortunosamente al potere, pretendono anche il diritto di distrarsi senza pagare pegno.

FONTE:https://www.iltempo.it/politica/2020/08/06/news/libanesi-libici-abitanti-di-gaffe-manlio-di-stefano-sottosegretario-grillino-agli-amici-popolo-libico-esplosione-24110560/

 

 

 

Superpoteri, segreti e pm. La democrazia è in pericolo

Riccardo Mazzoni 

Democrazia è una delle parole più inflazionate della storia: dall’antica Grecia in poi è stata infatti declinata in mille modi, spesso a seconda delle convenienze di chi si è impadronito di volta in volta del potere. Non si chiamavano forse «democratiche» le Repubbliche dell’Est europeo ai tempi della guerra fredda? E per un evidente paradosso, democratica era definita la Germania del dittatore Honecker, e solo «federale» quella di Helmut Kohl. Oggi il vocabolario è stato aggiornato, e i Paesi, diciamo così, a libertà vigilata, vengono definiti con un termine sgraziato ma efficace: «democrature». Ebbene, forse per il feroce caldo estivo di questo terribile 2020, sta prendendo corpo un incubo sempre più realistico: quello di un grande Paese industrializzato, ancorato da 70 anni ai principi liberali – e che si vanta di avere la Costituzione più bella del mondo – in cui negli ultimi mesi si stanno accavallando avvenimenti che dovrebbero suscitare qualche legittima apprensione nelle sentinelle della democrazia.

Ne mettiamo in fila tre: questo Paese è l’unico in cui il governo ha preteso di estendere di altri mesi lo stato d’emergenza nazionale per l’epidemia Covid: lo ha proclamato per primo, a marzo, e sarà di gran lunga l’ultimo a uscirne. Il premier intendeva – e probabilmente questo resta il suo obiettivo – prorogarlo fino a Natale, ma per ora ha ripiegato sulla scadenza del 15 ottobre con la scusa di non buttare a mare i provvedimenti in corso d’opera per il contenimento della pandemia, ma le motivazioni tecniche nascondono sempre inevitabili mire politiche, e in questo senso l’esperienza maturata nel lungo lockdown ha lasciato tracce non proprio rassicuranti: durante l’emergenza lo stesso premier infatti si è surrettiziamente appropriato dei poteri eccezionali che sarebbero previsti dall’articolo 78 della Costituzione solo ed esclusivamente per lo stato di guerra, e limitando la libertà dei cittadini a colpi di Dpcm – ossia atti amministrativi – si è mosso ai limiti della legalità costituzionale mettendo sempre il Parlamento di fronte al fatto compiuto. In effetti la Costituzione all’articolo 13 stabilisce che la libertà personale è inviolabile, una norma che è il pilastro su cui è stata ricostruita la nazione dopo la seconda guerra mondiale, e questo principio basilare può essere compresso dall’Autorità Giudiziaria, ma solo nei limiti fissati dalla legge e in casi eccezionali di necessità ed urgenza, e comunque per un arco temporale limitatissimo. Già questo dovrebbe essere sufficiente per far suonare il primo campanello d’allarme.

FONTE:https://www.iltempo.it/politica/2020/08/02/news/governo-conte-segreto-lockdown-matteo-salvini-pieni-poteri-regime-democrazia-24071050/

 

 

LE MASSE “MODERNE” E OSCURANTISTE – CREDONO DI OBBEDIRE ALLA “SCIENZA”.

Cominciamo da qui:

Italia in lockdown? Decisione di Conte. I tecnici invece… La verità dei verbali

 Francesco Bechis

Nel verbale del Comitato tecnico scientifico del 7 marzo i tecnici consigliavano di istituire due zone diverse e di riservare fino al 3 aprile “misure più rigorose” per il Nord. Ma nel Dpcm del 9 marzo Conte scelse di fare dell’Italia un’unica, grande zona rossa. Ecco la verità nei verbali della Fondazione Einaudi

Italia zona rossa? Il Comitato tecnico scientifico di Palazzo Chigi non l’ha mai consigliata. .

(il resto qui: https://formiche.net/2020/08/italia-lockdown-decisione-conte-tecnici-verita-verbali/

“In sintesi, ha messo le #zonerosse dove non era necessario e non ha messe dove invece lo era, imprigionandoci tutti con un #lockdown che ha causato MISERIA e MORTE e solo per salvare il suo governicchio di scappati di casa. Il male esiste e dimora in mezzo a noi”  (@FaberVonCastell).

“C’hanno rotto il belino per mesi con la scienza e poi il lockdown c’è stato imposto da un deejay, uno steward, un clown, una con la terza media, un’altra che parla in arabo, un odontotecnico ed un avvocatuccio di Provincia. Sembra una barzelletta ma non lo è”. @RadioSavana.

Il governo spagnolo ha fatto meglio:

Madrid  ha ordinato il lockdown   su ordine di un Comitato Tecnico Scientifico… che non è mi esistito

@ queequeg1901
5 agosto 2020
In Spagna non solo tenevano secretati i verbali del CTS, ma addirittura i nomi dei componenti. Finché, ieri il Ministero della salute ha ammesso che il CTS NON ESISTE. È tutto meraviglioso.

las mentiras de vuestro Gobierno son # MotivosParaLaMoción

Coronavirus: Los Angeles  chiude acque e luce  alle case   dove si svolgono parties

Il sindaco di Los Angeles ha dichiarato che il municipio sarà autorizzata a chiudere l’acqua e  elettricità  alle proprietà in cui si svolgono grandi feste e raduni nonostante le restrizioni imposte per frenare la diffusione del coronavirus.

Eric Garcetti ha affermato che le feste in casa sono diventate “locali notturni sulle colline” e che l’attenzione si concentrerà su incontri “che presentano significativi pericoli per il pubblico”.

La regola entra in vigore venerdì.

Il resto qui:  https://www.bbc.com/news/world-us-canada-53680761

Evidentemente i governi stanno obbedendo a un ordine   sovrannazionale, e lo eseguono  ; ma  lo possono fare puntando a colpo sicuro  sull’ignoranza  delle  masse    che si credono “moderne”  perchè   approvano i “diritti LGBT”.   Anzi, più che  ignoranti. Esse sono oscurantiste:  basta evocare “la Scienza”  e  si mettono in ginocchio.   La “Scienza”  di cui non hanno la minima nozione, e  a cui attribuiscono  – superstiziosamente  –   un potere divino e indiscutibile, e a cui si sottomettono oggi  come  i contadini del ‘200 si  sottomettevano a Dio.
Il  40  e più per  cento della popolazione   italiana  appoggia la vaccinazione obbligatoria,  annunciata da Speranza e dalla ghenga “sanitaria” per l’autunno, e  vi si sottoporrà docilmente: senza  nemmeno chiedersi cosa c’è in questo pretesto “vaccino”,  di cosa è composto l’intruglio che gli fanno enrare nelle vene, se non sia  dannoso. Farà  quello che dice la Scenza.
Puntuale  caso di scurantismo:
I grillini hanno messo alla Commissione “Cultura” e “Affari Europei” questo Sergio #Battelli , dalla terza media  e , come attività professionale, commesso in  un negozio di animali.

 

FONTE:https://www.maurizioblondet.it/italia-in-lockdown-decisione-di-conte-i-tecnici-invece-la-verita-dei-verbali/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Bianca Bonavita: “Bill Gates e la nemesi tecno-medica”

Riceviamo e volentieri pubblichiamo come dibattito alla discussione in corso questo estratto dall’e-book di Bianca Bonavita “Bill Gates e la nemesi tecno-medica” con un’introduzione di Giorgio Agamben, Edizioni Efesto, Roma, 2020.

Di Bianca Bonavita

Denunciare la mistificazione costruita attorno al grande evento spettacolare Covid-19 e alla forma di governo e di controllo della popolazione che si sta globalmente ridefinendo, non significa difendere la devastante normalità del prima, non significa porsi in una posizione di conservazione di un prima desiderabile da preservare. Così come non significa negare la morte delle persone.

Il virus non ci sembra, come molta della critica radicale vorrebbe, una speciale conseguenza della
distruzione prodotta dal capitalismo e dai suoi allevamenti industriali umani e animali.

Gli allevamenti umani e animali da molti decenni ormai producono malattie croniche ben più letali: quasi tutti hanno pianto amici o parenti morti prematuramente per tumori o per malattie cardiovascolari che sono, se vogliamo usare questa parola, le due vere pandemie dei nostri tempi.

Pandemie prodotte, queste sì, da forme di vita innaturali, dominate dal regime della separazione, incatenate a lavori alienanti, immerse in arie irrespirabili, abbeverate da acque inquinate e pasturate con mangimi industriali.
Spostare dunque il fuoco dell’attenzione dalle malattie croniche, che sono le vere pandemie moderne, a malattie infettive che hanno una bassa letalità, contribuisce a rimuovere un serio discorso sul nesso tra prevenzione e forma di vita.

Se un paese intero, (ma si potrebbe estendere il discorso anche al di fuori dei confini nazionali), con rare eccezioni, accetta, senza metterne in questione le ragioni, la sospensione di molte delle libertà
fondamentali, cadendo in preda alla paura e al sospetto o semplicemente a una ancor più inquietante
serena accettazione, come potranno le persone che vivono in quel paese rivoltarsi contro i disastri prodotti dal capitalismo fino a mettere in questione e ridefinire la propria forma di vita?

I più non desidereranno forse soltanto il ritorno alla normalità?

E in nome di questo desiderio non accetteranno qualunque sopruso da parte del potere?

E pur di ritrovare almeno alcuni elementi della vecchia normalità non accetteranno esse tutti gli atroci e assurdi dispositivi della nuova, odiosa, normalità che si sta definendo?

Se l’ecatombe che ogni anno procurano il cancro e le malattie cardiovascolari (solo in Italia a causa loro muoiono rispettivamente 180.000 e 220.000 persone) non ha mostrato ai più la verità della distruzione che produce il capitalismo, per quale ragione dovrebbe farlo un virus che ha bisogno di un’impressionante operazione di propaganda per poter accrescere la sua letalità che altrimenti sarebbe probabilmente di poco superiore alla media stagionale per influenza? (Alcuni studi, come quello dell’università di Kobe, parlano addirittura di una letalità inferiore alla media dell’influenza stagionale).

Come può vedere la luce del vero dentro o intorno a sé chi è offuscato dalla fitta cortina di fumo del falso che lo circonda?

Il virus Sars-CoV-2, nelle sue diverse e mutanti forme che stanno circolando, sia che esso abbia un’
origine dolosa e artificiale, sia che abbia un’origine incidentale o naturale, ci sembra piuttosto un
prodotto/evento (atteso, voluto o provocato poco importa) gestito dalle oligarchie digitali, farmaceutiche e biotecnologiche transnazionali al fine di poter ridefinire assetti geopolitici e forme di governamentalità.

Per rispetto delle persone morte a causa del virus Sars-CoV-2 e di tutte quelle morte per altre cause che, risultate positive a un tampone in vita o in morte, sono finite nei mistificatori conteggi dei governi (quello italiano particolarmente mistificatorio), sarebbe doveroso far cessare immediatamente l’uso strumentale della morte a fini di propaganda: è criminale usare la morte delle persone per realizzare progetti egemonici che hanno ben poco a che fare con la salvaguardia della salute, (visti tra l’altro i danni enormi in termini di salute, che sappiamo non essere slegata dall’equilibrio psichico, che sappiamo non essere slegato da quello economico e sociale, che le misure di contenimento hanno causato e causeranno in moltissime persone).

Sul conteggio mistificatorio del governo italiano vale la pena far notare che lo stesso Istituto Superiore di Sanità, nel suo report settimanale su un campione di persone decedute di cui è stato possibile analizzare le cartelle cliniche, ci dice implicitamente nel titolo “Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia”, che non v’è prova di una correlazione diretta e decisiva tra la morte di queste persone e l’infezione di Sars-CoV-2. L’unica certezza (anch’essa in realtà non così certa visto che il tampone ha un margine d’errore) è che al momento della morte i “pazienti” del campione erano “positivi” al virus. Questo dato, unito al fatto che l’età media delle persone decedute in esame è di 80 anni, e che il numero medio di patologie presenti al momento della morte è di 3,3, può legittimamente far pensare che molte di queste persone non siano morte a causa del virus ma in sua presenza.

Quanto alle zone della Lombardia in cui pare esservi stata effettivamente un’anomalia della mortalità nei primi mesi dell’anno in corso, sarebbe auspicabile che si moltiplicassero le ricerche volte a indagare i co-fattori ambientali (inquinamenti di varia natura) e iatrogeni (interferenze virali, interferenze con altri farmaci, errori di diagnosi e di terapie) che potrebbero aver reso più letale l’infezione da Sars-CoV-2.

Queste considerazioni non vogliono negare che ci siano state morti provocate direttamente dal virus Sars-CoV-2, né tantomeno vogliono togliere peso al dolore e alla tragedia che ogni morte può portare con sé.

Ma sono purtroppo necessarie per denunciare l’opera di mistificazione tuttora in corso che ha bisogno di ingigantire a dismisura la letalità del virus per poter giustificare l’instaurarsi di uno stato di allarme permanente con relative sospensioni delle libertà fondamentali e con il progressivo normalizzarsi dei dispositivi di emergenza, al fine di ridefinire assetti geopolitici, egemonie economiche, nonché la forma stessa della governamentalità e il suo rapporto con i governati.

Lo stato di eccezione non ha di certo fatto la sua comparsa nella primavera del 2020 e, a ben guardare, poteva essere considerato permanente anche prima del grande evento spettacolare Covid-19. Ma è innegabile che lo stato di emergenza globale dichiarato di fatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a fine gennaio 2020, e le conseguenti misure d’emergenza adottate dai governi di tutto il mondo, abbiano segnato un salto di qualità senza precedenti per intensità e diffusione dello stato di eccezione e che sia necessario interrogarsi sulla sua causa efficiente così come sulla sua causa finale.

Per intraprendere questa indagine abbiamo deciso di tradurre e di commentare un testo apparso nel mese di aprile sul blog personale di Bill Gates, intitolato Pandemic I.

La prima cosa che dovrebbe saltare agli occhi dopo aver letto il testo di Gates è come il suo programma, scritto il 23 aprile, si stia puntualmente verificando, ovvero come le cinque innovazioni tecnologiche da lui menzionate (test, terapie, vaccini, tracciamenti, riapertura) siano oggetto in tutto il mondo di ogni azione dei governi e di ogni discorso dei media.

In Italia l’adesione dell’attività di governo al programma di Gates, o dell’oligarchia digitale, biotecnologica e farmaceutica, di cui sembra essere portavoce, attraverso i consigli o le direttive delle numerose e illegittime “task force” di “tecnici” che ne hanno condizionato l’attività, ha raggiunto livelli parossistici e imbarazzanti.

In un bellissimo passo di “Nemesi Medica”, Ivan Illich, suggerisce che per evitare che la Nemesi, la
gelosia degli Dei, ricada su tutti quanti, la società debba elaborare dei programmi per fronteggiare i
desideri irrazionali dei suoi membri più dotati.

“Per restare in condizioni vitali, l’uomo deve anche sopravvivere ai sogni, che finora erano modellati e insieme tenuti a freno dal mito. Oggi la società deve elaborare dei programmi per fronteggiare i desideri irrazionali dei suoi membri più dotati.

Prima, era il mito ad adempiere la funzione di porre dei limiti alla materializzazione dei sogni cupidi, invidiosi, omicidi. Il mito prometteva all’uomo comune la sicurezza su questa terza frontiera, purché egli rimanesse dentro la sua barriera. Garantiva invece la rovina a quei pochi che cercavano di raggirare gli dei. L’uomo comune moriva di malattia o di violenza; solo chi si ribellava alla condizione umana diventava preda di Nemesi, la gelosia degli dei.”

Ci sembrano parole appropriate a commento del testo di Gates, parole che parlandoci del limite ci
riportano qui sulla terra dal cyberspazio in cui siamo stati gettati, in maniera sempre più accelerata, negli ultimi cinquant’anni.

La nemesi che sembra abbattersi in questi giorni sull’umanità intera non è soltanto la nemesi medica di cui parla Illich, con la sua iatrogenesi, la sua diagnosi epidemica, la sua prevenzione totalitaria e la sua medicalizzazione della vita e della morte, ma è anche la nemesi tecnologica che, dal blog del fondatore di Microsoft, si annuncia con tutta la sua furia.

Gates ci presenta il conto almeno trentennale dell’informatizzazione delle nostre vite: la macchina è pronta a fare il “salto di specie” dentro l’umano (il più pericoloso “spillover” da cui dovremmo davvero guardarci), per meglio guidarlo nei suoi comportamenti, per meglio governarlo.

Che fare allora per fronteggiare i “desideri irrazionali” di questi “membri più dotati” che sembrano voler ridefinire non soltanto la forma del governo ma con esso anche quella dell’umano?

In “Fahrenheit 451” si tratta di salvare la memoria della conoscenza attraverso la formazione di piccole comunità nelle quali ogni individuo renitente alla società, diventa un libro e ne diventa le parole; in “1984” di estendere a poco a poco lo spazio dell’integrità mentale.

Si ha l’impressione che a noi e alle prossime generazioni spetterà il compito di coltivare e di tramandare, anche clandestinamente, una forma-di-vita umana riunita alla terra e libera dal controllo delle macchine (e di chi le governa) mascherato da sicurezza sanitaria, e di cospirare dunque nel suo significato più originario di confondere gli spiriti, resistendo al distanziamento e alla diabolica separazione, mediante lo scambio di soffio vitale e divino che avviene attraverso il bacio.

Bianca Bonavita

Notizia del: 
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-bianca_bonavita_bill_gates_e_la_nemesi_tecnomedica/82_36646/

 

 

 

STORIA

Ritter, ex ufficiale Marines: Gli USA bombardarono il Giappone nel 1945 per dimostrare il loro potere all’URSS

Ritter, ex ufficiale Marines: Gli USA bombardarono il Giappone nel 1945 per dimostrare il loro potere all'URSS

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Di Scott Ritter* – RTMentre il mondo riflette sulla decisione degli Stati Uniti di lanciare due bombe atomiche sul Giappone alla fine della seconda guerra mondiale, la realtà è che l’impresa nucleare statunitense rimane la più grande minaccia alla pace mondiale.

Settantacinque anni fa, in questi giorni,  due bombardieri americani della B-29 “Superfortress” lasciavano l’isola di Tinian, nella parte più settentrionale delle Isole Marianne, a circa 1.500 miglia a sud di Tokyo, armati con l’arma più nuova e più orribile del mondo: la bomba atomica . Il 6 agosto, un B-29 soprannominato “Enola Gay ” lanciava una singola bomba contenente 64 chilogrammi di uranio altamente arricchito sulla città giapponese di Hiroshima.

La bomba, soprannominata “Little Boy”, esplose con la forza di 15 kilotoni di TNT. Almeno 66.000 persone morirono sul colpo, con altri 69.000 feriti, molti dei quali successivamente sono morti per le ferite riportate.

Due giorni dopo un secondo B-29, soprannominato “Bockscar”, lanciava una bomba contenente 6,4 chilogrammi di plutonio sulla città di Nagasaki. Quest’arma, soprannominata “Fat Man”, esplose con una forza di 21 kilotoni, uccidendo circa 39.000 giapponesi e ferendone altri 25.000, la maggior parte dei quali, come quelli feriti a Hiroshima, morirono in seguito per le loro ferite.

Gli storici americani hanno lottato con la loro coscienza sulle armi che potrebbero distruggere una città e la sua popolazione in una potente esplosione. Nel corso degli anni, è stato raggiunto un consenso che giustifica l’orrore dell’uso della bomba atomica in quanto ha contribuito a porre fine alla guerra con il Giappone e, nel fare ciò, ha salvato centinaia di migliaia di vite americane che sarebbero andate perse in una qualsiasi invasione delle principali isole giapponesi, insieme alle vite di milioni di giapponesi, che sarebbero morte difendendo la loro patria.

Il problema con questa narrazione è che fornisce un quadro impreciso di ciò che è realmente accaduto. Certamente, la matematica riguardante le perdite attese nel caso di un’invasione del Giappone è di fatto accurata, per quanto riguarda le stime.

Tuttavia, la realtà era che il Giappone era in procinto di arrendersi e, se gli Stati Uniti avessero offerto condizioni che replicavano l’accordo del dopoguerra eventualmente raggiunto dal generale MacArthur (il mantenimento della famiglia imperiale e un minimo di autogoverno giapponese), vi sono tutte le ragioni per credere che i giapponesi si sarebbero arresi senza che gli Stati Uniti ricorressero a una costosa campagna di conquista.

Il nocciolo della questione è la cerchia ristretta di Truman, tra cui il Segretario di Stato James Byrnes e il Segretario alla Guerra Henry Stimson, che erano favorevoli a sganciare la bomba atomica sulle città giapponesi non tanto perché avrebbe accorciato l’attuale guerra con il Giappone, ma principalmente perché avrebbe contribuito a scoraggiare una futura guerra con l’Unione Sovietica .

Byrnes credeva che “la Russia potesse essere più gestibile” in una realtà del dopoguerra plasmata non dalla possibilità teorica di una bomba atomica, ma dalla dimostrata capacità distruttiva della nuova arma. Come il generale Leslie Groves, il direttore militare del Progetto Manhattan che produsse le due bombe americane, riferì agli scienziati coinvolti, ” lo scopo di questo progetto era quello di sottomettere i russi. ”

Questa distinzione è fondamentale per comprendere il ruolo svolto dalle armi nucleari nella posizione e nella politica nucleari americane oggi. La dottrina, come le organizzazioni e le persone, sono fortemente influenzate dalle circostanze della loro nascita. Esiste un’enorme distinzione tra il calcolo richiesto per giustificare l’uso di un’arma allo scopo di abbreviare una guerra e salvare vite umane e quello utilizzato per cercare di intimidire un potenziale futuro avversario dimostrando la capacità distruttiva di un’arma attraverso l’annientamento di due città e le rispettive popolazioni, che altrimenti non avrebbero dovuto essere oggetto di distruzione.

Agli americani piace abbracciare la narrativa dell’uso delle due bombe atomiche che hanno preso di mira Hiroshima e Nagasaki come un atto perverso di umanitarismo: abbiamo dovuto uccidere centinaia di migliaia di persone per salvarne milioni. Visto in questa luce, il continuo possesso di armi nucleari da parte degli Stati Uniti è un male necessario, poiché la loro esistenza aiuta a prevenire, mediante dissuasione, il futuro impiego di queste terribili armi di distruzione di massa.

Ma se visto attraverso una lente che riflette la realtà della genesi della bomba atomica, che si trattava di una forza intimidatoria il cui potere doveva essere dimostrato attraverso l’uccisione di centinaia di migliaia di persone, la maggior parte delle quali erano civili che altrimenti sarebbero sopravvissute, la bomba atomica e la sua discendenza non erano più un male necessario, ma piuttosto un puro male personificato.

Gli Stati Uniti hanno lottato a lungo con la necessità di bilanciare la nozione di “guerra resa facile ” attraverso l’esistenza di armi nucleari e la tentazione di usarle che una tale filosofia promuove e la dura realtà della ritorsione per mano di altre potenze nucleari dovrebbe essere incline a usarli. Il fatto che, nel corso degli anni, gli Stati Uniti siano stati tentati di usare le armi nucleari per risolvere difficili conflitti non nucleari ( vengono in mente Corea , Vietnam e Iraq ) sottolinea solo la realtà che l’intimidazione, e non la deterrenza, è il loro valore principale .

Il fatto che gli Stati Uniti continuino a progettare e schierare armi nucleari in base al loro “uso” dovrebbe far venire un brivido al collo di ogni cittadino americano, e anzi al collo di ogni cittadino del mondo. Ciò è particolarmente vero ora, data l’attuale ambivalenza degli Stati Uniti verso il tipo di controllo degli armamenti che in precedenza ha contribuito a ridurre il rischio di conflitti nucleari involontari. Negli ultimi 20 anni, gli Stati Uniti si sono ritirati dal Trattato sui missili anti-balistici e dal Trattato sulla forza nucleare a raggio intermedio, ed è sul punto di consentire la scadenza del nuovo Trattato sulla riduzione delle armi strategiche.

Invece di raddoppiare il tentativo di rilanciare il controllo degli armamenti, gli Stati Uniti sembrano concentrati sul mostrare i propri muscoli attraverso il dispiegamento di nuove testate “a piccola resa” sui missili balistici lanciati da sottomarini (SLBM).

I politici americani e i pianificatori militari possono cercare di placare un mondo preoccupato insistendo sul fatto che queste azioni, e altre simili, sono intese solo a rafforzare la capacità deterrente dell’impresa nucleare statunitense. Ma il mondo non dovrebbe essere ingannato.

Settantacinque anni fa, gli Stati Uniti uccisero centinaia di migliaia di giapponesi al solo scopo di cercare di intimidire la Russia. Una recente esercitazione che ha coinvolto la SLBM “a basso rendimento” recentemente schierata, in cui il Segretario alla Difesa ha praticato le procedure di rilascio delle armi in uno scenario che coinvolge il bersaglio di forze russe in Europa, deve essere visto all’ombra di questa storia. L’intimidazione, non la deterrenza, è stata, è e sarà sempre la forza trainante dell’arsenale nucleare americano. Come ogni bullo del cortile, la preoccupazione non è se gli Stati Uniti useranno queste armi, ma quando.

*Ex ufficiale dell’intelligence del Corpo dei Marines degli Stati Uniti e autore di ” SCORPION KING : l’American Suicidal Embrace of Nuclear Weapons from FDR to Trump”. Ha prestato servizio in Unione Sovietica come ispettore per l’attuazione del Trattato INF, nello staff del generale Schwarzkopf durante la guerra del Golfo, e dal 1991-1998 come ispettore delle armi delle Nazioni Unite. Seguilo su Twitter  @RealScottRitter

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ritter_ex_ufficiale_marines__gli_usa_bombardarono_il_giappone_nel_1945_per_dimostrare_il_loro_potere_allurss/82_36643/

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