RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 5 FEBBRAIO 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

5 FEBBRAIO 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Tu vai alle Nozze di Figaro? No, me la cavo con un telegramma.

GINO & MICHELE, Anche le formiche nol loro piccolo si incazzano, Baldini Castoldi Dalai, 2001, pag. 165

 

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SOMMARIO

Perché Wikipedia ha modificato il 3 febbraio 2021 la pagina del Panfilo Britannia?
Il discorso di Draghi sul Britannia
Forme della cooptazione
DRAGHI COME MONTI? SECONDO MERCATI E STAMPA SONO DEI SALVATORI
I democratici ordinano a Trump di testimoniare sul suo stesso impeachment
Il virus dei banchieri svende i paesi con i lockdown-paura
OPPOSIZIONE PER ANALFABETI 2020
OLTRE IL SOGNO DI FRANKENSTEIN
Moltissimo di ciò che ci dicono su virus e vaccini è sbagliato. Il resto è nascosto (prima parte)
Moltissimo di ciò che ci dicono su virus e vaccini è sbagliato. Il resto è nascosto (seconda parte)
Ospedali, business Covid: 2.000 euro al giorno a paziente
Scienziati russi e americani attaccano la frode del riscaldamento globale
Documentazione riepilogativa sul complotto del Britannia

 

 

 

IN EVIDENZA

Perché Wikipedia ha modificato il 3 febbraio 2021 la pagina del Panfilo Britannia?

VIDEO QUI: https://youtu.be/ksqsPMgLraQ

FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=ksqsPMgLraQ

 

 

 

Il discorso di Draghi sul Britannia

FONTE: http://www.elzeviro.eu/lelzeviro/draghi-sul-britannia-il-discorso-dellinizio-della-dine-dellitalia.html

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

 

ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME

BELPAESE DA SALVARE

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

 

CULTURA

Forme della cooptazione

Karl Loewenstein
Forme della cooptazione
I processi autonomi di riproduzione dei gruppi privilegiati.
Giuffré, 1990

Se dovesse essere vera la predizione spesso formulata e mai contraddetta, che nel corso del prossimo quarto di secolo il dominio sul mondo cadrà nelle mani di trecento grandi gruppi multinazionali, dei quali – detto tra parentesi – i cinque sesti sarebbero americani, finirà che questi giganteschi gruppi scalzeranno, grazie ai movimenti di beni, di persone, di know-how che essi attuano attraverso i confini nazionali, la sovranità politica degli stati entro i quali operano senza che ad essi possa essere posto un freno per via legislativa o di fatto. I veri detentori del potere saranno dunque quei tecnocrati delle corporazioni che sono giunti al potere grazie alla cooptazione. Ma allora tutti gli sforzi dell’umanità di sottoporre i governanti al controllo dei governati sarebbero stati frustrati. [Loewenstein, p. 282 ]

01Queste parole non appartengono ad un no-global o ad un nemico del capitalismo, ma sono le conclusioni che un compassato studioso tedesco, insegnante prima nelle Università di Yale, Colorado, poi all’Amherst College e all’Università di Monaco di Baviera, di nome Karl Loewenstein, trae dallo studio del fenomeno della cooptazione, studio del quale è frutto un libro publicato in Italia nella collana di studi di scienza della politica diretta da Gianfranco Miglio.

02Il quarto di secolo è trascorso, ed anche se in modo più lento l’evoluzione della società si è andata approssimando a quella immaginata da Loewenstein. Dobbiamo chiederci allora anche noi che cosa è dunque la cooptazione. Loewenstein riporta alcune definizioni, simili a quella molto efficace che troviamo ne La Piccola Treccani (nell’edizione del 1931 il vocabolo non viene riportato):

03Cooptazione è un sistema di integrazione di un corpo consultivo o comunque collegiale, per cui il nuovo membro viene assunto su designazione di quelli già in carica. L’esempio più classico di cooptazione è quello dei membri dell’ Académie Française .

04Dal punto di vista che qui ci interessa i riferimenti generali più significativi nella letteratura sociologica li troviamo ancora in Max Weber , dalla cui opera maggiore, Economia e società, traggo questo chiarissimo frammento riassuntivo:

Quando comunità originariamente carismatiche prendono la strada della nomina del signore, alla lunga si afferma una disciplina del procedimento elettorale in base a norme. L’acclamazione dei dominati si ritira sempre davanti all’elezione preliminare dei chierici, dei funzionari di corte e dei grandi vassalli, e alla fine sorge un organo elettorale di tipo esclusivamente oligarchico. Ciò si verifica tanto nella Chiesa cattolica quanto nel Sacro Romano Impero; ma lo stesso avviene ovunque un gruppo esperto degli affari possiede un diritto di proposta o di elezione preliminare.
Specialmente nella maggior parte delle costituzioni cittadine di tutti i tempi esso è diventato un effettivo diritto di cooptazione delle stirpi dominanti, che in questo modo abbassano il signore dalla sua posizione esclusiva a quella di un primus inter pares , (arconte, console, doge) escludendo d’altra parte la comunità dalla collaborazione a questa nomina. Considerata da un punto di vista formale, questa è la strada “legale” di gran lunga più frequente per giungere all’oligarchia.

05Come nota Loewenstein [ p. 26 ] la cooptazione è all’epoca in cui il libro viene scritto (intorno al 1970) un fenomeno ancora assai poco studiato. L’osservazione è importante perché è proprio a partire da quegli anni che il fenomeno comincia ad avere una maggiore diffusione sociale legata soprattutto, come si è accennato, e come vedremo meglio in seguito, al diffondersi nel mondo del modello economico capitalistico; sia nella forma cino-sovietica, ora in via di radicale trasformazione, che nella forma tradizionale anglosassone.

06Personalmente ritengo che a partire dalla fine degli anni sessanta, nella società occidentale, venga gradualmente trasformandosi il rapporto ideologico che dalla rivoluzione francese in poi aveva legato il diffondersi dell’economia capitalistica alla forma del suffragio universale, facendone una delle idee vincenti del XIX secolo. Esempio di questo cambiamento ideologico intervenuto nella società degli anni settanta sono le stesse parole di Loewenstein quando dice:

L’illusione che gli stati civilizzati fossero governati da coloro che avevano ottenuto la loro carica, e quindi il potere, grazie all’elezione dei concittadini risale alla rivoluzione francese ed è stata il credo politico del XIX secolo.

07Dopo il 1968, data nella quale è intervenuta una vera e propria frattura epistemologica nel pensiero politico contemporaneo, il suffragio universale comincia a non essere più considerato, in larghi strati della popolazione la fonte prima ed unica dell’investitura popolare. Si comincia a percepire dietro il suffragio universale la presenza di una scelta in qualche modo già avvenuta e governata con altre leggi di cui il suffragio universale è solo una conferma rituale. Si percepisce la sua debolezza come strumento di democrazia reale.

08E, questo accade mentre il principio astratto del suffragio universale viene in apparenza accettato ed esteso progressivamente a tutta la popolazione adulta delle nazioni occidentali senza limiti di sesso, religione, razza e di opinioni esattamente come era nei voti dei lumi.

09Questa percezione che il suffragio universale sia solo una illusione si rende palese con la disaffezione dal voto, che diventa un elemento costante delle democrazie di maggiore tradizione. Si tratta però, in questo caso, di un epifenomeno.

10Il vero fulcro di questa trasformazione avviene, come dimostra Loewenstein, non a livello politico, ma a livello economico. E’ il diffondersi, con l’aumento della ricchezza disponibile, delle strutture reali del capitalismo, nella forma in primo luogo delle società per azioni, aumentate in numero e in potere, che cambia le regole stesse del gioco. All’inizio

nel sistema capitalistico la partecipazione ad una impresa economica organizzata nella forma di una società (corporation) – per esempio una società per azioni – è aperta a chiunque sia in grado di comperare una quota di partecipazione al capitale sociale cioè una azione (share, stock) e di pagare il prezzo stabilito per questa in borsa.

11Le corporation vengono concepite come gruppi di persone, i soci, con eguali diritti di influire sulla gestione della società, con il solo limite della proporzionalità rispetto al numero di azioni possedute. E’ lo stesso principio del suffragio universale, in cui alle teste sono semplicemente sostituite le azioni. Una testa un voto, una azione un voto. Questa affermazione di principio che lega il proprietario del capitale alle scelte nella gestione della corporation si affievolisce progressivamente proprio a partire dagli anni settanta.

12La gestione delle corporation diventa sempre più una questione tecnica demandata al gruppo dirigente della corporation, e sempre più una questione tecnica diventa la stessa gestione delle assemblee societarie in cui si prendono le decisioni sulla dirigenza.

13Accade quindi che le decisioni reali sulla scelta della dirigenza vengano demandate alla stessa direzione aziendale che in questo modo si autoperpetua con l’intervento solo formale dell’assemblea dei soci.

Questo significa la sostituzione dei vecchi proprietari con un gruppo di specialisti con formazione tecnica, i managers. Questi non possiedono una compartecipazione significativa nel capitale dell’impresa, la guidano a parole nell’interesse degli azionisti, che per lo più appartengono al grande publico, e con il fine di distribuire a questi dei guadagni (i dividendi), di fatto invece anche nel proprio personale interesse all’esercizio del potere. Questo gruppo dirigente che è diventato noto come élite manageriale, si presenta in forma di gruppo di vertice strutturato al suo interno in forme gerarchiche.

14Può accadere, ed accade, che questi piccoli gruppi strutturati diventino di fatto i veri proprietari dell’azienda di cui sono formalmente i semplici gestori. L’utilizzazione del credito per l’acquisto di azioni e la creazione di catene finanziarie rendono la proprietà stessa di una azienda non più identificabile con il possessore in senso stretto del capitale e trasforma la gestione di una corporation in una cosa sostanzialmente diversa da quella immaginata dai padri fondatori del capitalismo. In questo contesto attraverso l’uso quasi esclusivo della cooptazione come mezzo di rinnovo delle élites manageriali sfugge completamente ad ogni possibilità di controllo democratico il luogo stesso dove si formano gran parte delle decisioni reali che coinvolgono la società contemporanea nel suo complesso. E Loewenstein sottolineando la poca conoscenza che abbiamo dei meccanismi che governano il fenomeno esprime la stessa perplessità:

Quello che rende del tutto particolare il processo di reclutamento per cooptazione dei managers di vertice è la completa mancanza di regole razionali nella selezione di uomini che sono chiamati a determinare la vita economica e dunque anche il destino di un popolo.

15Tutto questo ha fatto immaginare ad alcuni autori americani la possibilità che la mano publica potesse designare propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione delle corporation che abbiano raggiunto una certa dimensione ed un certo potere di influenza sociale.

16In realtà è successo il contrario, è stata la mano publica ad essere invasa dai rappresentanti delle corporation.

Negli Stati Uniti… sono essenzialmente gli interessi economici capitalistici che determinano i fini della politica statale e che sono riusciti a subordinare a se stessi la guida della politica. La dipendenza dei politici si mostra in tutta la sua scoperta brutalità, e ciò per due motivi. In primo luogo è l’economia che fornisce il personale per le posizioni chiave del governo e che quindi aziona le leve statali della gestione dell’economia. Banchieri, capi d’industria, consiglieri legati alle imprese sono chiamati dal presidente a ricoprire i posti decisivi del gabinetto, e ottengono così un’influenza cruciale nel determinare una politica economica favorevole al capitalismo privato.

17Un potere oligarchico, non elettivo, si ritrova così a poter condizionare pesantemente, e dal suo interno, gli stessi strumenti di riproduzione del potere democratico.

In secondo luogo i potentati economici sostengono la parte del leone nelle campagne elettorali – la vera piaga della politica americana – senza delle quali nella democrazia di massa statunitense non è possibile accedere ad una carica elettiva. In questo modo si comprano la futura benevolenza dell’eletto.

18Anche per questi motivi le linee di ricerca tracciate nel libro di Loewenstein mi appaiono fondamentali per chi voglia, seguendo le sue tracce, approfondire la ricerca e la conoscenza, affinché il fare sociale diventi sempre di più un atto consapevole e non un gioco a mosca cieca.

MP

FONTE: https://www.mpopus.it/public/miscellanea/cooptazione.html

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

 

DIRITTI UMANI

ECONOMIA

DRAGHI COME MONTI? SECONDO MERCATI E STAMPA SONO DEI SALVATORI

 

 

 

EVENTO CULTURALE

 

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LA LINGUA SALVATA

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

I democratici ordinano a Trump di testimoniare sul suo stesso impechment

Febbraio 5, 2021 posted by Guido da Landriano

 

La strada dell’impeachment di Trump prosegue, nonostante molti abbiano dei forti dubbi che questa procedura possa essere applicata a un presidente non più in carica, e che sia opportuna mentre il presidente Biden sta facendo partire la sua presidenza. Invece va avanti questa procedura e ora  i democratici del Senato vogliono chiamare direttamente Trump a testimoniare, sotto giuramento, sul proprio comportamento.

Nella lettera in cui si chiede la testimonianza, il deputato Jamie Raskin, uno dei responsabili dell’impeachment, ha chiesto a Trump di fornire una testimonianza “prima o durante il processo di impeachment del Senato” e sotto esame incrociato, sulla sua condotta il 6 gennaio, già lunedì e non più tardi. rispetto a giovedì prossimo, 11 febbraio.

Raskin ha affermato che Trump ha messo in dubbio i fatti critici nel caso “nonostante le prove chiare e schiaccianti del tuo reato costituzionale”.

“Alla luce delle vostre contestazioni su queste accuse fattuali, vi scrivo per invitarvi a fornire una testimonianza sotto giuramento, prima o durante il processo d’impeachment del Senato, riguardo alla vostra condotta il 6 gennaio 2021”,

Raskin conclude che altri presidenti hanno, in passato , testimoniato davanti al Senato e che, nel cso si rifiutasse, ci sarebbero delle non meglio specificate conseguenze legali.

Non si sa bene cosa possa dire Trump in questa occasione, e neppure che domande possano essergli fatte. Gran parte della sua giornata e delle sue parole di quei giorni è pubblica. Secondo personggi che conoscono l’atteggiamento di Trump il presidente potrebbe benissimo andare a testimoniare in Senato, ma la cosa si chiuderebbe in un quarto d’ora.

 

Inoltre secondo il senatore repubblicano Lindsey Graham la testimonianza di Trump potrebbe far iniziare le rivalse dei repubblicani, che avrebbero alcuni personaggi politici democratici da ascoltare con interesse.

FONTE: https://scenarieconomici.it/i-democratici-ordinano-a-trump-di-testimoniare-sul-suo-stesso-impechment/

 

 

 

Il virus dei banchieri svende i paesi con i lockdown-paura

Il piano (da sventare) è questo: hanno deciso di bloccare le economie con ripetuti lockdown, causare una spaventosa crisi sociale, costringere gli Stati, le aziende e i privati a sovraindebitarsi: così che i banchieri, prestandoci la loro moneta creata dal nulla (e passando quindi per salvatori del mondo), possano impadronirsi di tutto e noi si finisca a lavorare, come schiavi cinesi, per pagare a loro gli interessi sui debiti. Lo afferma l’avvocato e saggista Marco Della Luna, che punta il dito contro Fmi e Bce, che avrebbero premuto per le nuove strette. Il giro di vite «metterà l’Italia come i banchieri franco-tedeschi la vogliono: a 90°, posizione detta ‘della troika’». Secondo Della Luna, la comunità bancaria mondiale si sta preparando: «Quando le economie saranno indebolite e indebitate dalle misure cosiddette anti-contagio, quando la popolazione sarà esasperata dalla povertà e dalla disoccupazione, quando ogni capacità di resistenza sarà fiaccata, allora si faranno avanti con la moneta che creano dal nulla grazie alla loro sovranità monetaria sottratta agli Stati, e compreranno tutto e tutti dalle macerie, istituzionalizzando il loro nuovo ordine sociale sul modello della dittatura cinese, con un pensiero unico obbligatorio e divieto di dissenso».

Non saremo più padroni di nulla, sottolinea Della Luna: i governi saranno «perennemente commissariati dai banchieri», e noi «lavoreremo solo per pagare gli interessi sul nuovo debito, contratto col prendere a prestito denaro che essi creano dal nulla Marco Della Lunasenza indebitarsi, e che anche gli Stati potrebbero creare dal nulla senza indebitarci, se i governanti non fossero i valletti stupidi dei banchieri predoni». Sovranità monetaria contro signoraggio: su questo, per Della Luna, «si giocherà la partita finale tra libertà e schiavizzazione». Insiste l’avvocato: «I governi stanno lavorando molto bene, per conto dei banchieri: hanno ritardato e sbagliato le misure di contenimento del contagio, hanno sbagliato diagnosi e protocolli di cura, hanno volutamente omesso di prescrivere l’assunzione di sostanze come la vitamina D e la vitamina C e altre, pure naturali, che proteggono dall’infezione e dalla malattia (ma costano poco e rendono poco a Big Pharma)». E ora continuano a imporre «misure assurde e improduttive che distruggono l’economia», persino le insalubri mascherine, «il che assicura che ci ammaliamo e che le statistiche restino alte e giustifichino il nuovo lockdown».

Quello che Della Luna definisce «lo strangolamento dell’economia» è ritenuto necessario «per il piano dei banchieri e per sostenere l’avanzata cinese nel mondo». Pechino annuncia una crescita del 10% del suo export: «Stanno comperando tutto». Le nuove restrizioni colpiscono le attività produttive, quindi anche il reddito nazionale (che consente di pagare la sanità e gli altri servizi). E la catastrofe socio-economica fa più vittime del Covid-19. Inoltre, aggiunge Della Luna, «i governi stanno abituando la gente ad accettare sistematiche e radicali privazioni di diritti fondamentali e costituzionali, come il diritto di riunione politica, quello di spostamento, di libertà personale, di scelta terapeutica, di dissenso espresso». Di questo passo, «consegneranno al potere bancario una società non solo indebitata fino al collo, ma pure ammaestrata ad obbedire e a non opporre resistenza, e incapace di distinguere la realtà dalla mistificazione del regime e dei mass media». Sarà una popolazione Proteste a Napoli contro il coprifuoco«senza coscienza dei principi del diritto, della democrazia, della legalità», e quindi «semplicemente perfetta per un nuovo ordine zootecnico».

Indifferente alle denunce di illegittimità che si levano da illustri costituzionalisti, «questa prassi di violazione della Costituzione continua ormai dal 31 gennaio, appoggiata dai mass media in coro e non ostacolata dal presidente della Repubblica», mentre le opposizioni «non si oppongono», sulle fondamentali questioni di legalità costituzionale. «Ma che senso avrebbe opporsi – si domanda Della Luna – data l’indifferenza morale e politica della popolazione bovina, che non si interessa alla legalità costituzionale, alla libertà, alla dignità?». Dal canto suo, l’avvocato non si sottrae alla necessità di formulare un Piano-B. «Cosa farei io contro la pandemia? Innanzitutto, ripristinerei la legalità costituzionale revocando i provvedimenti illegittimi come lo stato di emergenza e i Dpcm». Dopodiché, «preso atto che il virus è dappertutto, e che tutti verremo prima o poi in contatto con esso, quindi non ha senso proporsi di impedire il contatto», sarebbe meglio da un lato «rafforzare le difese dell’organismo per prevenire l’infezione o perlomeno minimizzare i sintomi», e dall’altro «diluire il contagio nel tempo, per non sovraccaricare le strutture sanitarie».

In concreto, Della Luna propone un piano in 7 punti. Primo: distribuire gratis le vitamine D e C, nonché altre sostanze utili a migliorare le difese. Mascherine? No, grazie: «Imporrei l’uso del parasputi di plastica, che non costringe a respirare aria viziata attraverso un tessuto che si riempie di germi». Diradare gli incontri? Sì, ma in modo selettivo: «Limiterei gli assembramenti, soprattutto quelli superflui, ma non le riunioni culturali, politiche e religiose». Quanto allo “smart working”, sarebbe da limitare «in modo che non rallenti o deteriori la prestazione, soprattutto nella pubblica amministrazione». In via temporanea, meglio la didattica a distanza: «Chi è predisposto impara anche da casa, mentre gli altri imparano poco o niente anche se vanno a scuola». Tra i consigli: stroncare il consumo di tabacco, raddoppiando i prezzi delle sigarette. Ma Denarosoprattutto: «Emetterei moneta di Stato, senza debito, a circolazione nazionale in parallelo all’euro». Servirebbe a sostenere l’economia, gli investimenti utili, i redditi e i consumi, e quindi ad evitare disoccupazione e indebitamento, cioè infine «la svendita del paese agli speculatori».

Della Luna mette nel mirino la Cina: «Preso atto che il Covid-19 ormai risulta essere il prodotto della ricerca militare cinese e che la sua diffusione sta tremendamente avvantaggiando l’espansionismo cinese nel mondo ai danni dell’Occidente», l’avvocato porrebbe apertamente, nelle sedi internazionali, il seguente problema: «La dittatura cinese  potrebbe decidere di fabbricare e diffondere un virus all’anno, se le conviene nel quadro della sua strategia di potenza», e potrebbe farlo «anche a costo di milioni di morti cinesi e di un crollo momentaneo delle esportazioni cinesi» (crollo che peraltro non sta avvenendo, anzi: l’export del Made in China sta vivendo un vero e proprio boom, mentre il resto del mondo barcolla). «Infine, in sede militare – conclude Della Luna – farei presente che, se il Covid-19 viene usato come arma contro paesi membri della Nato o dell’Asean, allora la competenza a difenderci da esso spetta a questi organismi».

FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/il-virus-dei-banchieri-svende-i-paesi-con-i-lockdown-paura/

 

 

 

POLITICA

VIA I POPULISTI E DENTRO LA RESTAURAZIONE EUROPEISTA 
Rosanna Spadini – 3 02 2021
La crisi di governo targata Renzi rappresenta l’avvento della Restaurazione europeista e liberista, al fine di eliminare le ultime pastoie di populismo residuo. La debalcle del Conte-Zelig, piegato ad ogni mercificazione pur di restare in sella, segnala la pochezza dell’abilità politica dei “populisti” 5S, che dopo aver tradito gli elettori, ora vengono sistematicamente triturati e ricacciati nelle fogne della storia. Il loro trasformismo da operetta, la loro ineffabile incompetenza, la loro mancanza di un’identità politica onesta, ora li hanno respinti all’angolo… perso il punto di equilibrio chiamato “Giuseppi”, non gli resta che votare Draghi, se vogliono mantenere il 35% dei seggi elettorali, diversamente si vedranno ridimensionati notevolmente alle prossime, forse imminenti, elezioni. Sta di fatto che la crisi innescata da Renzi sta spostando l’ago della bilancia al centro, verso un europeismo liberista, globalista e anti populista sempre più evidente. Il via Trump e dentro Biden ha garantito la rapidità del passaggio. #restaurazione
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FONTE: https://www.facebook.com/rosanna.spadini/posts/4247032685324872

OPPOSIZIONE PER ANALFABETI 2020

Si sa: i politici che hanno bisogno di essere eletti contano poco, prendono ordini, sono teatrino; il potere reale non viene messo in gioco con le votazioni popolari; i veri decision makers, gli ingegneri socio-economici, non si mettono in pubblica discussione.

Si sa pure: gli eletti non possono rappresentare gli interessi degli elettori, perché sono poco più che figuranti, devono innanzitutto ripagare chi li sovvenziona e chi li mette in lista, poi fare i propri interessi.

Si sa anche: metà della popolazione è analfabeta funzionale e solo un quinto è in grado di capire gli articoli di un giornale quotidiano; perciò la comunicazione per il pubblico, specie in campagna elettorale, è necessariamente fasulla.

Alle elezioni del 20-21 Settembre, la sedicente opposizione ha preso più voti e più seggi, ma è uscita sconfitta, siccome le affrontava sulla fortissima aspettativa di una travolgente avanzata e di una spallata liberatoria al governo, che sono mancate completamente, sicché il governo ne è uscito corroborato.

Adesso potrà prorogare l’illegittimo stato di emergenza e l’illegittima sospensione dei diritti costituzionali e continuare a governare per decreti altrettanto illegittimi, con l’avallo del Quirinale. Potrà imporre lo stato di sorveglianza sanitaria e vaccinazioni con prodotti industriali di pessima qualità, poco o punto efficaci, pieni di sostanze tossiche e  venduti da case farmaceutiche con fedine penali molto sporche, anche per corruzione politica. Potrà reprimere l’informazione e la critica su tutte queste realtà.

Adesso potrà nominarsi un nuovo Presidente di comodo che blocchi nuovamente ogni alternativa che possa scaturire prossime elezioni politiche.

Adesso potrà aprire a un’immigrazione selvaggia, deprimente per il mercato del lavoro, destabilizzante per l’ordine pubblico, costosa finanziariamente, pericolosa sanitariamente, lucrosa per l’apparato imprenditoriale legato alla sinistra e al Vaticano.
E abolire i decreti sicurezza e dare lo jus soli per crearsi una nuova riserva elettorale.

Adesso potrà imporre il denaro elettronico per far guadagnare le commissioni ai banchieri e facilitare le loro maxi-truffe; potrà restringere l’uso del contante per soffocare ulteriormente il lavoro autonomo a vantaggio delle multinazionali straniere.

Adesso potrà spendere Mes e Recovery Fund per finanziare il suo consenso clientelare e indebitare più fortemente l’Italia, così da poter poi, quando bisognerà rimborsare i prestiti, imporre la tassa patrimoniale sul pingue risparmio mobiliare e immobiliare degli Italiani, come da tempo esige la Germania egemone (cioè si pagheranno l’acquisto dei voti con i soldi dei contribuenti).

Adesso potrà perfezionare l’insabbiamento degli scandali del braccio giudiziario del suo sistema di potere, mentre il medesimo braccio potrà archiviare serenamente le cento e più denunce contro Conte e soci per la gestione della pandemia: una mana lava l’altra.

Accettare oppure rifiutare il dominio dei finanzieri, il monopolio monetario privato, l’egemonismo germanico, la sostituzione etnica, il pensiero unico, il nichilismo gender, e ora la biocrazia o dittatura sanitaria: queste sono le scelte reali, morali, strutturali.

Alla ricerca di ingresso al potere, sedicenti opposizioni, in due anni sono passate dal rifiuto incompleto di quel modello organico, all’accettazione condizionata, e ora all’accettazione incondizionata – modello che esse però non hanno mai ardito nemmeno descrivere come modello, come programma: come il nome del dio ebraico, non può nemmeno essere detto. E’ lo stato orwelliano, il Moloch egregiamente analizzato da Teoria della dittatura di Michel Onfray.

Avendo sin dall’inizio deciso di non fare opposizione al detto modello, non hanno mai formulato un modello organico alternativo: facendolo, si sarebbero legati le mani e reso più difficile il transito al modello dei poteri forti. Le loro proposte alternative sono sempre state, e rimangono, su elementi singoli, magari importanti, però mai sulla struttura complessiva.

27.09.20 Marco Della Luna

FONTE: https://marcodellaluna.info/sito/2020/09/27/opposizione-per-analfabeti-2020/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

OLTRE IL SOGNO DI FRANKENSTEIN

Il transumanesimo che ci porterà alla catastrofe

Francesco Oliviero 5 01 2021

Il dottor Francesco Oliviero si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1984 ed è specialista in Psichiatria e Pneumologia. Ha prestato servizio permanente effettivo per oltre vent’anni nel Corpo di Sanità dell’Esercito italiano. È membro del tavolo permanente “Mille Medici per la Costituzione“, un comitato tecnico scientifico che riunisce alcuni scienziati italiani e non.

Durante un Convegno organizzato a Milano lo scorso 17 ottobre, “Riavvicinamento Sociale del Migliore Tipo” alla presenza dell’avvocato Lillo Massimiliano Musso, portavoce del movimento Forza del Popolo, ha espresso opinioni molto decise sulla natura del virus, sul modo di fronteggiarlo, sui tamponi e sul vaccino anti Covid-19. Di seguito, e nel video, una sintesi.

Chi si è vaccinato contro l’influenza, ha sviluppato anticorpi non neutralizzanti, perché sono collegati a virus a Rna, che danno un’immunogenicità blanda, scarsa. Questi anticorpi non neutralizzanti sono rimasti in circolo. Nel momento in cui queste persone sono venute a contatto con questo nuovo virus, questi anticorpi non neutralizzanti hanno sviluppato degli immunocomplessi che hanno scatenato la reazione a cascata delle citochine, che poi ha portato alla coagulazione intravascolare disseminata, cioè alla tromboembolia polmonare. Tutti i morti o erano state vaccinate per l’influenza, o erano venuti a contatto con persone vaccinate contro l’influenza. Questo perché dopo la vaccinazione, i virus a Rna continuano ad essere emessi anche per 12 settimane, possono trasmettersi, provocare la formazione di anticorpi non neutralizzanti e, per chi viene a contatto con un virus che ha un’omologia di sequenza come il coronavirus, possono causare questa patologia gravissima da immunocomplessi. Quest’anno, quindi, se vogliamo fare davvero prevenzione, non fate il vaccino antiinfluenzale. Se qualcuno a livello mondiale, cioè l’Organizzazione Mondiale della Sanità o il suo maggiore finanziatore, Bill Gates, non avesse dato l’ordine di non fare le autopsie, avremmo capito cosa stava succedendo già a fine febbraio.

Oliviero si dedica poi a smontare la validità dei tamponi e mette in guardia sul vaccino anti Covid 19, ad acidi nucleici, che sarà “una devastazione totale“.

L’Rna messaggero contenuto nel vaccino, attraverso un enzima che si chiama trascrittasi inversa, arriva direttamente nel genoma umano. A quel punto il genoma codificherà il capside virale, le proteine e il virus stesso. Quini sarà chi si farà il vaccino che produrrà il virus verso il quale il sistema immunitario dovrebbe poi fare gli anticorpi. Ma questo, veramente, è oltre il sogno di Frankenstain. Stiamo parlando di genetica molecolare, di transumanesimo: ci porterà alla catastrofe. Dobbiamo fare qualcosa per indurre le persone ad una nuova consapevolezza. Altrimenti sarà la distruzione.

FONTE: https://www.byoblu.com/2021/01/10/oltre-il-sogno-di-frankestein-il-transumanesimo-che-ci-portera-alla-catastrofe-francesco-oliviero/

 

Moltissimo di ciò che ci dicono su virus e vaccini è sbagliato. Il resto è nascosto (prima parte)

Gennaio 26, 2021  Di FRANCESCO CAPPELLO

pubblicato su
Bimestrale NEXUS New Times
scenarieconomici.it
articolotre.info
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La scoperta che il Sars Cov 2 sia un virus batterico ha enormi conseguenze. Il rischio tra i vaccinati di potenziamento fatale della malattia. Il fenomeno della vaccino resistenza causa la diffusione di mutanti del virus più pericolosi e contagiosi. Quale ruolo virtuoso avrebbero avuto gli asintomatici, in condizioni normali, se non fossero stati messi in quarantena? Di tutto questo e di molto altro parliamo con la dott.ssa Loretta Bolgan

Potresti imbatterti in Loretta Bolgan se preso da dubbi, perplessità e preoccupazioni rispetto alla pressante richiesta di adesione alla campagna vaccinale ti decidi a percorrere la rete in lungo e in largo cercando di saperne di più. Ti stai chiedendo se sia la cosa giusta da fare, se sia l’unica scelta possibile per te, le persone che ami, per tutti noi.
Chi ha fortuna la incontra e sente e comprende immediatamente che ciò che intuiva seppure oscuramente era più che fondato. Ascoltandola si percepisce che ciò che la muove è autentico desiderio di avvertire il suo prossimo intorno ai grandi temi della salute. Del tutto scevra da qualsiasi conflitto di interesse si capisce facilmente come mai gli organi ufficiali di informazione la evitino scrupolosamente.

In Studi e Salute , il suo sito personale, Loretta si è posta l’obiettivo di rendere disponibile a tutti noi “una banca dati in cui raccoglie materiali di carattere scientifico e divulgativo (articoli, dossier, ebook ecc.) principalmente su due aree tematiche: la salute umana e l’ambiente, con lo scopo di informare e mantenere aggiornato il lettore su temi attuali sempre più complessi, in modo da aiutarlo a discernere in maniera consapevole, per il benessere individuale e collettivo, tra le molteplici possibilità di scelta che il progresso ci offre». Basta visitare la sezione salute del suo sito per rendersi conto della qualità e quantità di materiali documentali scritti, pubblicati e messi a disposizione gratuitamente di chiunque interessato alla loro consultazione.

Studi ambiente - Studi e Salute della dr.ssa Loretta Bolgan
L. Bolgan

Parla di se stessa con estrema sintesi definendosi un consulente scientifico. Si è laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche a Padova, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in scienze farmaceutiche. Durante il dottorato ha lavorato come Research fellow al Massachusetts General Hospital (Boston). Dopo il suo primo percorso di studi che le ha permesso di acquisire competenze in ambito farmaceutico, della biologia molecolare e cellulare, ha lavorato come ricercatrice industriale nello sviluppo di kit diagnostici di biologia molecolare, e nell’allestimento di dossier di registrazione di farmaci e galenici. Nel settore dell’industria farmaceutica si è occupata di registrazione e sviluppo di progetti di ricerca in ambito oncologico. È stata consulente di parte in merito alla legge 210/92, inquinamento ambientale e malattie professionali, ha partecipato all’ultima Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito nel gruppo vaccini. Ha collaborato come consulente per l’Ordine Nazionale dei Biologi per la tossicologia dei farmaci e dei vaccini, si occupa anche di medicina funzionale, nutrigenomica, terapie nutrizionali. Da oltre 20 anni, Loretta collabora, quale consulente scientifico, con associazioni no-profit, movimenti civici e comitati scientifici che hanno come obiettivo la tutela del consumatore, della salute umana e ambientale e lavorano per la libertà vaccinale e terapeutica e per la salvaguardia dell’ambiente.

Non lasciarti fuorviare dal suo sorriso gentile. In lei generosità, determinazione, forza, coraggio, competenza si integrano alla perfezione facendone una combattente per le cause della Vita e le istanze del benessere psicofisico.

Chi ha provato ad esorcizzare la potenza dirompente del suo messaggio nei confronti della narrativa dominante attaccandola personalmente o sulla base di presunti errori nella presentazione delle evidenze tecnico-scientifiche a supporto delle sue avvertenze ha fatto tutt’altro che una bella figura. Se la consapevolezza della molteplicità dei suoi interessi e delle sue attività-collaborazioni. Loretta è protagonista di associazioni dello spessore di Corvelva, RinascimentoItalia. Con la prima ha collaborato per le analisi sui vaccini. Fa parte del boarding di della FRI insieme alla consultazione del suo CV permettono di soppesare adeguatamente l’eccelsa qualità della sua formazione e della sua esperienza è solo leggendola e ascoltandola che si può apprezzare il carattere di forte rottura con le spiegazioni circolanti delle verità scientifiche di cui si fa ambasciatrice contro la propaganda dilagante che diffonde e usa la paura del contagio e la concomitante improrogabile necessità, quale unica arma utilizzabile di reclusioni coatte e vaccinazioni di massa.

Un virus batterico
La tesi sostenuta dalla Bolgan, sin da luglio scorso, che il virus che provoca il covid fosse un virus batterico (1), ha trovato recente conferma nei risultati della ricerca del dott. Carlo Brogna e del suo team con cui la dott.ssa Bolgan ha recentemente iniziato a collaborare; Il team di Brogna è stato il primo al mondo a fotografare e guardare in faccia il virus. La sua natura batterica spiega come mai risultino efficaci contro il virus gli antibiotici, utilizzati tra l’altro da quei medici che hanno individuato sul campo la terapia domiciliare precoce al cui successo, praticamente totale, nel trattamento tempestivo dei malati covid a casa dei pazienti non hanno fatto seguito la promozione e la diffusione della stessa da parte del governo e del CTS che continuano inspiegabilmente ad ignorarla.
La natura batterica del virus è coerente, inoltre, con la constatazione che gli immuno probiotici siano efficaci nel suo controllo. A domanda la dott.ssa specifica che la consapevolezza della natura del virus ha grande importanza per la individuazione della corretta terapia e prevenzione avendo «un impatto notevole in tutte quelle che sono le conoscenze relative alla sua modalità di trasmissione, mettendo in discussione tutta la procedura che è stata messa in opera per il suo contenimento quali le mascherine, il distanziamento ecc. perché presuppongono una diffusione a livello ambientale del virus, che si trova nell’ambiente, diversa da quella prevista avendo questo virus un comportamento più simile a un fago. I batteri fanno da veicolo al virus facilitando l’infezione delle cellule anche eucariote. Il virus, è documentato, entra quindi anche nelle cellule epiteliali così come nei macrofagi. Principalmente però è un virus che infetta i batteri attraverso i quali stimola la grande tempesta di citochine insieme ad una forte produzione di tossine batteriche responsabili tra l’altro di tutte le manifestazioni neurologiche del covid. Parlando di un virus che ha caratteristiche più da enterovirus, il contagio avviene per ingestione e non per inalazione; si mette perciò in discussione il fatto che questo sia un virus tipicamente respiratorio cioè che infetta le vie aeree inferiori, quelle polmonari. Esso infetta naso e gola ma poi viene ingerito, non viene respirato, a meno che non ci sia un’autoinalazione che è quella che succede quando indossiamo la mascherina… Tutte queste cose, andavano verificate da subito. Tutte le misure che noi stiamo prendendo sono del tutto inutili nei confronti di un virus come questo perché non abbiamo ancora capito o non abbiamo voluto capire quale è la reale via di trasmissione e come va trattato il paziente da subito, al primo manifestarsi della sintomatologia. Questo virus, insiste la dott.ssa Bolgan, colonizza i batteri iniettando al loro interno il suo genoma. Tende inoltre a integrarsi nel DNA dell’ospite. Non sappiamo ancora se si integra completamente o parzialmente. Se si integrasse parzialmente, nel momento in cui viene stimolata la sua produzione non sappiamo se si producono solo parti del virus, non infettive, o se si attivi tutto il virus provocando una ripartenza dell’infezione. Mi sono arrivate numerose segnalazioni che le persone che si sono vaccinate con l’antinfluenzale e poi per il covid dopo circa una settimana sviluppano il covid! I test tampone indicano che c’è una replicazione virale e questo ci dice che il virus si è riattivato. Per riattivarsi ci sono due modalità. Nella prima essa è dovuta alla persistenza del virus nelle cellule batteriche (non dannosa – semplicemente viene riattivata la sua presenza a livello dei batteri), nella seconda la riattivazione avverrebbe proprio perché si sarebbe integrato nel DNA esattamente come fanno i retrovirus (tipico l’esempio dell’herpes che è un retrovirus integrato). Questo presuppone che l’RNA del virus dev’essere retrotrascritto e integrato. Tale comportamento è stato dimostrato per questo virus a livello delle cellule; per il momento si è visto che l’integrazione è parziale, tuttavia le evidenze delle persone che si ammalano dopo la vaccinazione mi fanno pensare che il virus si integri completamente. Il fatto che si produca una cronicizzazione della malattia si è capito già dopo qualche mese perché le persone continuavano a produrre proteine virali anche dopo mesi cosa che è stata appurata facendo l’analisi delle feci. Anche qui abbiamo sbagliato. Il campione più corretto per studiare questo virus sono le feci, non il tampone salivare!

Quella a cui faceva riferimento prima è il fenomeno della crossreattività tra influenza e covid?
Sì, perché ci sono delle omologie di sequenza tra virus influenzali e covid che condividono proteine assai simili per cui se si formano degli anticorpi contro il virus dell’influenza, gli stessi anticorpi si legano debolmente al Sars Cov-2. Il problema è che gli anticorpi che si formano in seguito alla vaccinazione antinfluenzale si legano al covid ma poiché lo fanno in maniera debole accade che più anticorpi si legano allo stesso virus. Quando si forma questo complesso formato da più anticorpi col virus, il virus entra nelle cellule attraverso un recettore diverso dall’ACE2. In questo caso il complesso si serve del recettore Fc-gamma che è presente nelle cellule del sistema immunitario, in particolare nei macrofagi, nei mastociti e in altre cellule di questo tipo. Quando il virus entra nei macrofagi attraverso questa via, esso blocca la risposta antivirale del macrofago e quindi gli interferoni antivirali, cominciando così a replicarsi in maniera incontrollata all’interno delle cellule del sistema immunitario. Da qui la stimolazione della produzione di citochine. Ecco il meccanismo con cui si innesca la complicanza. Questo è quello che chiamiamo il potenziamento della malattia che si produce in maniera molto rapida e incontrollata.

Una versione amplificata della recidiva dell’influenza?
Esattamente. Sì, anche con il virus dell’influenza succede la stessa cosa. Il potenziamento della malattia nel caso dell’influenza è possibile dopo la vaccinazione antinfluenzale. Soprattutto negli over 65 si manifesta questo fenomeno molto pericoloso. Teniamo conto, infatti, che soprattutto tra gli anziani la percentuale dei vaccinati che manifestano un potenziamento è alta, aggirandosi intorno al 50%. La vaccinazione li predispone alla complicazione fatale soprattutto se sono compresenti più patologie. Di conseguenza il fenomeno del potenziamento è un fenomeno che va evitato cercando di fermare l’infezione nella prima fase, quella virale. Quando il sistema immunitario non riesce a bloccare il virus nella prima fase può succedere che si inneschi la complicazione perché nel tentativo di bloccare il virus esso ha tutto il tempo di andare ad infettare le cellule del sistema immunitario ed è questa infezione a provocare la complicazione grave fatale. Quest’ultima è quindi conseguenza di un potenziamento della malattia che si attiva con gli stessi anticorpi che la persona sta producendo contro il virus perché se c’è una produzione precoce di anticorpi che non sono molto affini ed efficaci per il virus, essi purtroppo sono in grado di legarsi al virus e causare di per sé il potenziamento. Se la persona avesse anticorpi provenienti dal vaccino antinfluenzale, da un vaccino covid o anche da infezioni covid pregresse essa corre un rischio maggiore di sviluppare il potenziamento, anche da subito.

Dottoressa, se non ho interpretato male, la letteratura scientifica riporta che la sperimentazione di vaccini contro le prime forme di Sars e di Mers, all’inizio del secolo, condotta, in fase preclinica, sugli animali, quando quest’ultimi venivano reinfettati con il virus selvatico, dopo essere stati vaccinati, manifestavano il fenomeno del potenziamento e della complicazione fatale tanto da causare il blocco della sperimentazione di quei vaccini. È così?
Sì, è proprio così.

Come mai allora è stata ripresa, e proprio sugli umani?
Ho documentato già nel primo libro che ho scritto sui vaccini, questa problematica, peraltro ben nota, sin dall’inizio, anche alle agenzie regolatorie e ai produttori. Se si va a leggere quello che ho scritto vi si trova documentato che nella prima riunione con le agenzie regolatorie e i produttori per decidere cosa fare nel pieno della pandemia, che l’argomento centrale a quel tempo era proprio il rischio di potenziamento della malattia. Ne erano, quindi, perfettamente a conoscenza ma hanno comunque utilizzato la procedura accelerata (fast track) prevista per situazioni di estrema gravità. Non si sapeva ancora bene che tipo di andamento la pandemia avrebbe manifestato nel corso del tempo, se sarebbe potuta diventare qualcosa di catastrofico. Davanti a tale incognita hanno deciso comunque di prendersi il rischio di fare il vaccino sperimentandolo direttamente sull’umano, in parallelo con gli studi preclinici. Questa scelta in una valutazione beneficio/rischio risulta nettamente sbilanciata verso il rischio.
Negli studi preclinici che a una occhiata anche superficiale appaiono strutturati nello stesso modo – io per ora ne ho approfondito solo uno e attualmente sto approfondendo quelli della Pfizer – si può constatare che essi gli animali vengono vaccinati per poi infettarli successivamente con il virus contagioso con la stessa sequenza del vaccino e non con virus circolanti. È evidente che con questa modalità non siamo assolutamente in grado di sapere se il vaccino protegge o meno dall’infezione o se può avere provocare un potenziamento della malattia. Tutti gli studi sulla SARS sono stati fatti con virus ingegnerizzati, quindi con una sequenza modificata rispetto al virus della SARS originale. Questo ha permesso di constatare il potenziamento della malattia. Teniamo conto che in questo caso il potenziamento della malattia non è trascurabile perché impatta gran parte dei vaccinati. Se si considera ad esempio il caso ben conosciuto del virus sinciziale respiratorio, il relativo vaccino è stato testato sui bambini con problemi di bronchiti, broncheoliti e simili. Hanno riscontrato che l’80% dei bambini, rispetto ai non vaccinati, ha sviluppato il potenziamento della malattia e molti di loro sono anche morti. Il vaccino contro la dengue che ha la stessa problematica è stato ritirato e la ditta produttrice è stata denunciata per non aver preso in considerazione il problema del potenziamento pur conoscendolo con la conseguenza di aver causato la morte di bambini vaccinati. La precauzione sarebbe stata d’obbligo, soprattutto non è accettabile che sia stata data un’autorizzazione seppure condizionale per un vaccino per il quale non si è escluso, in maniera chiara e definitiva, il rischio di causare il potenziamento. Grandi riviste, quali Science, Nature e altre, anche recentemente, hanno lamentato il fatto che non ci sono ancora dati su quest’aspetto e ecco, tutto questo è inaccettabile!

Ho letto, credo sul suo e-book, che gli studi preclinici sugli animali, fatti per gli attuali vaccini covid, sono stati svolti in fretta e furia e in parallelo alla sperimentazione sull’uomo grazie alla concessione della procedura fast track ma su modelli animali che non sviluppano la complicanza del covid con la conseguenza che non è stato possibile verificare se questi vaccini possano o meno causare potenziamento della malattia.
Sì, a breve analizzerò gli studi che la Pfizer ha presentato all’EMA come prova della sicurezza e dell’efficacia di questo vaccino. Attenzione che i primati non sono la specie animale corretta per testare il vaccino proprio perché non sviluppano la complicazione grave e fatale. Non possiamo sapere quindi se il vaccino protegge. La sua funzione sarebbe propriamente quella di evitare che le persone sviluppino questo genere di complicazioni! Se, infatti, dovessimo proteggere le persone da un semplice raffreddore, è del tutto evidente che del vaccino potremmo farne tutti a meno.
Dagli studi preclinici sappiamo che non è sterilizzante ossia che non impedisce la trasmissione del contagio. Il vaccinato può comunque prendersi l’infezione e sviluppare la malattia, sintomatica o asintomatica, non sappiamo ma è noto che può infettare gli altri. L’infezione si contrae perché se la persona dovesse venire a contatto con il virus circolante essa è esposta, a tutti gli effetti, alla stregua di una persona non vaccinata, a contagio e trasmissione del virus. In definitiva il vaccino non interrompe la catena della trasmissione del virus.

Pensare che c’è chi parla di dare un patentino di immunità a chi si sottopone alla vaccinazione, un patentino di immunità per un vaccino che non garantisce nessuna immunità…
Il patentino non ha senso a priori. Non trovo corretta questa strategia in ogni caso. A mio avviso queste infezioni stagionali hanno modalità di diffusione assai simili. Come con l’influenza l’unica cosa che possiamo fare è curare a casa la persona sintomatica finché non sta bene; anche nella fase di convalescenza dovrebbe starsene a casa almeno quindici giorni finché non recupera completamente. Questo andrebbe fatto per qualsiasi tipo di malattia infettiva. Di solito, invece, quando una persona è influenzata, passati i consueti tre giorni di febbre torna al lavoro ma il tempo necessario al sistema immunitario di risolvere l’infiammazione e fare i ripari del danno richiederebbe che la persona se ne stesse a casa tranquilla, a curarsi e a riposare. È questa la cosiddetta quarantena inversa. Tengo a casa il malato, lo curo, cerco di isolarlo, mantenendo con lui un contatto minimo indispensabile; tutti gli altri si lasciano liberi di uscire, soprattutto la fascia maggiore della popolazione che è quella che non manifesta sintomi e se li manifesta sono in ogni caso nella fascia dei sintomi influenzali che si risolvono senza che si abbia la complicazione grave. Precauzione e monitoraggio stretto degli anziani a rischio che vanno curati, in maniera tempestiva appena si manifestano i primi sintomi. Prevenzione per tutto il resto della popolazione. Fare quindi un investimento importante e sostanziale sulla prevenzione e sulla cura della fase influenzale ed evitare il tracciamento dei positivi a base di tamponi che strategicamente non è così fondamentale, viste oltretutto le problematiche di gestione del poco personale e delle risorse finanziarie di cui disponiamo. D’altra parte teniamo conto del fatto che ci sono degli studi che ci stanno dando l’informazione che gli asintomatici, per loro caratteristica, hanno selezionato all’interno del loro organismo, dei virus attenuati. Gli asintomatici, quindi, selezionano dei mutanti che in realtà non sono in grado di causare la malattia. Questo il motivo per cui sono asintomatici. Essi sono potenzialmente infettivi, però infettano a basso grado. In definitiva è come se fossero dei vaccini naturali perché infettano le persone a basso grado attraverso virus attenuati in modo naturale attraverso il loro organismo.

Una vaccinazione naturale. Bisognerebbe abbracciarsele queste persone quando si incontrano.
In teoria sì, in teoria sono quelli che fanno finire prima l’epidemia perché permettono la diffusione rapida del virus in forma di mutante non pericoloso diverso da quello che può causare la malattia; finendo prima la malattia essi impediscono anche la selezione di mutanti più aggressivi e pericolosi. Hanno quindi varie finalità. Una parte consistente della letteratura e degli studi che non sono stati fatti a sufficienza per vedere perché l’asintomatico è asintomatico e perché l’asintomatico è tale rispetto a uno che si prende la malattia; sembra che la ragione stia nei mutanti che si stanno replicando nel loro organismo. Teniamo conto, infatti, che una persona che ha un sistema immunitario efficace seleziona, tra i vari mutanti che si formano durante la replicazione del virus, quelli che sono meno pericolosi se il sistema immunitario è robusto perché riesce a eliminare quelli che possono creare un danno all’organismo. Viceversa quelli che sono attenuati sono quelli che rendono la persona asintomatica. In chi, invece, ha un sistema immunitario depresso o intossicato dall’uso di troppi farmaci come nel caso degli anziani o delle persone che hanno patologie che causano l’immunodepressione, il virus sfonda una porta aperta, per cui si replica in maniera incontrollata anche con mutanti più pericolosi che si replicano più rapidamente e sono più aggressivi. Ecco, bisognerebbe, aver studiato con molta più attenzione questi fenomeni. Si sarebbe potuto capire molto se si fosse fatto un lavoro approfondito sul sequenziamento. Se avessimo sequenziato fin dall’inizio i virus sia nelle persone che hanno sviluppato la patologia grave fatale sia in quelli sintomatici che non sviluppano la patologia grave e negli asintomatici forse saremmo riusciti a capire un po’ meglio la dinamica di questa infezione. Soprattutto bisognava andare a studiare nel dettaglio la diffusione ambientale del virus. Di recente cominciano a venire fuori studi cinesi molto importanti che ci dicono che il virus si trova nell’acqua, si trova nella verdura annaffiata, si trova nella carne macellata, addirittura nell’acqua dei prodotti congelati! Questo vuol dire che siamo in presenza di una diffusione ormai capillare che rende del tutto inutile il contenimento attuato attraverso il distanziamento se il virus si trova ormai dappertutto.

Quindi gli asintomatici piuttosto che tenerli in quarantena avremmo dovuto lasciarli circolare… Le chiedo allora pensando all’altra faccia della medaglia se può essere che il vaccino possa contribuire a indurre una selezione di mutanti più contagiosi e più pericolosi
Certo che sì! Fa vaccino resistenza. Sì, dobbiamo tener conto che i virus a RNA, a singolo filamento come questi, non solo formano rapidamente mutanti, soprattutto nella parte della Spike ché quella è immunogenica, riuscendo così a sfuggire rapidamente a quello che è l’attacco del sistema immunitario, soprattutto adattativo. C’è, infatti, un RNA polimerasi RNA dipendente che introduce molti errori nella sua replicazione, formando, quindi, molto rapidamente mutanti con mutazioni che sono presenti in tutti i virus del nuovo mutante, ossia in tutte le copie, al 100%. Può però formare anche una popolazione di mutanti minori, presenti in una percentuale che varia dal 20 all’80% del mutante maggiore che si chiamano quasispecie. Quindi accanto al mutante maggiore si hanno anche centinaia di questi mutanti minori, tutti in equilibrio competitivo tra di loro. Quando si vaccina si producono degli anticorpi specifici per l’antigene vaccinale ma questi anticorpi prodotti attraverso il vaccino non sono in grado di legarsi a tutti i mutanti minori, quindi i mutanti minori che sfuggono dal legame con l’anticorpo vaccinale sono propriamente quelli che si replicano e fanno la resistenza perché godono di un vantaggio selettivo. Essi vengono quindi selezionati proprio dalla vaccinazione ed ecco la vaccino resistenza! Ed ecco che la famosa variante di Londra, così come quelle che si sono manifestate in Francia o altrove che potrebbero avere questa origine. Facile presupporre che siano state causate dalla vaccinazione.
Bisognerebbe fare uno studio per vedere se le mutazioni cadono nel sito di legame degli anticorpi vaccinali perché se così fosse allora è stato effettivamente il vaccino a creare le varianti. In ogni caso, dal punto di vista della plausibilità biologica è assai probabile che si originino mutanti da vaccino resistenza. Più vacciniamo la popolazione più rapidamente creiamo vaccino resistenza. Il risultato sarà che invece di avere un effetto gregge (loro dicono che bisogna vaccinare il 75% della popolazione perché si riesca ad interrompere il contagio) in questo caso saremo di fronte a un virus che il vaccino non potrà contenere perché la trasmissione non si interrompe vaccinando e non ha alcun senso parlare di effetto gregge. Si otterrà viceversa l’effetto contrario, ossia la vaccino resistenza e anche molto rapidamente!

(1) Bibliografia da VACCINO COVID-19: LE PIATTAFORME VACCINALI TRADIZIONALI a cura della dott.ssa L. Bolgan, in corso di pubblicazione
p.67
Petruk G, Puthia M, Petrlova J, Samsudin F, Strömdahl AC, Cerps S, Uller L, Kjellström S, Bond PJ, Schmidtchen A. SARS-CoV-2 Spike protein binds to bacterial lipopolysaccharide and boosts proinflammatory activity.
J Mol Cell Biol. 2020 Dec 9:mjaa067. doi: 10.1093/jmcb/mjaa067. https://academic.oup.com/jmcb/advance-article/doi/10.1093/jmcb/mjaa067/6028992

Carissimo G, Ng LFP.
A promiscuous interaction of SARS-CoV-2 with bacterial products.
J Mol Cell Biol. 2020 Dec 16:mjaa068. doi: 10.1093/jmcb/mjaa068. https://academic.oup.com/jmcb/advance-article/doi/10.1093/jmcb/mjaa068/6039176

Shope RE.
Swine influenza : i. experimental transmission and pathology.
J Exp Med. 1931;54(3):349-359. doi:10.1084/jem.54.3.349 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2131998/pdf/349.pdf

Berger AK, Yi H, Kearns DB, Mainou BA.
Bacteria and bacterial envelope components enhance mammalian reovirus thermostability.

PLoS Pathog. 2017;13(12):e1006768. Published 2017 Dec 6. doi:10.1371/journal.ppat.1006768 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5734793/

Berger AK, Mainou BA.
Interactions between Enteric Bacteria and Eukaryotic Viruses Impact the Outcome of Infection. Viruses. 2018;10(1):19. Published 2018 Jan 3. doi:10.3390/v10010019 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5795432/

Baldridge MT, Nice TJ, McCune BT, et al.
Commensal microbes and interferon-λ determine persistence of enteric murine norovirus infection. Science. 2015;347(6219):266-269. doi:10.1126/science.1258025 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4409937/

VIDEO QUI: https://youtu.be/n8ACKBh956s

vedi anche il mio dossier: La prevenzione vaccinale può essere più pericolosa del covid? Vaccinarsi è un atto di fede?

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Fine prima parte

FONTE: https://www.francescocappello.com/2021/01/26/moltissimo-di-cio-che-ci-dicono-su-virus-e-vaccini-e-sbagliato-il-resto-e-nascosto/

 

 

 

 

Moltissimo di ciò che ci dicono su virus e vaccini è sbagliato. Il resto è nascosto (seconda parte)

Febbraio 3, 2021  Di FRANCESCO CAPPELLO

pubblicato su
scenarieconomici.it 
attivismo.info 
articolotre.info 

Abbiamo accennato a due dei tre meccanismi immunopatologici principali: il potenziamento della malattia e la tempesta di citochine. Ne esiste un terzo, il peccato antigenico originale. Ci spiegherebbe di che si tratta e perché può essere pericoloso quale effetto avverso di media o lunga durata?

Sì, avviene sempre perché si formano anticorpi debolmente protettivi. Questo lo si è visto anche per malattie come l’influenza, il morbillo, la pertosse e altre. Si tratta di un meccanismo piuttosto conosciuto e studiato. Accade che a seguito della vaccinazione il sistema immunitario acquisisca una memoria nei confronti dell’antigene vaccinale che orienta il sistema immunitario in maniera squilibrata verso la formazione di anticorpi. Il sistema immunitario, infatti, di solito si attiva in modo completo quando arriva un virus che fa danni: attiva la parte citotossica e quella anticorpale in maniera da eliminare o contenere il virus nonché, infine, la fase di riparazione dei danni. Nel caso dei vaccini si ha solo la fase con la produzione di anticorpi. Il sistema immunitario, incontrando l’antigene vaccinale, impara a rispondere limitandosi alla produzione di anticorpi. Cosa succede allora quando la persona vaccinata incontra il virus vero, quello che produce la malattia che può rivelarsi grave e anche fatale? Ecco, il virus circolante viene riconosciuto come se fosse di nuovo l’antigene vaccinale e risponde allo stesso modo ossia producendo anticorpi, ma attenzione, quelli vaccinali per i quali ha acquisito memoria per via del vaccino somministrato in precedenza e quindi anticorpi vaccinali deboli che non sono in grado di bloccare il virus mutato (circolante). Il virus allora comincia a replicarsi liberamente perché non trova resistenza da parte del sistema immunitario, e la malattia si manifesta in maniera atipica con sintomi diversi rispetto alla malattia di riferimento, cosa che può disorientare i medici che non capiscono di avere di fronte un morbillo o una pertosse perché partono dal presupposto che la persona è vaccinata e quindi protetta e non ha i sintomi tipici del morbillo perché ad esempio non produce i tipici puntini rossi (esantema) del morbillo ed ecco quindi che abbiamo una forma atipica che può anche rivelarsi resistente ai trattamenti come nel caso della pertosse che diventa resistente ai trattamenti e agli antibiotici. La malattia tende a cronicizzare perché il sistema immunitario non è più in grado di debellarla completamente. Se la cronicizzazione provoca a sua volta una infiammazione cronica capiamo quali siano i rischi (il rischio dell’autoimmunità). In altri termini tutte queste campagne vaccinali fatte ai bambini, realizzate con virus che possono provocare un potenziamento della malattia, portano ad un aumento esponenziale delle malattie autoimmuni nella popolazione adulta. Con il Sars Cov-2 ci sono i presupposti perché si manifesti la stessa dinamica.

Quando nel futuro prossimo dovessero manifestarsi effetti avversi, anche acuti, a medio e lungo termine, sarà facile verificarne l’eziologia e attribuirli alla campagna vaccinale di massa avviata in questo periodo? Saranno necessarie adeguate indagini epidemiologiche, nell’ipotesi che si avessero a disposizione tutti i dati necessari, per capire come siano effettivamente andate le cose?

Sicuramente, se si fa uno studio a posteriori per vedere se c’è stato un aumento dell’incidenza di malattie autoimmuni, prima e dopo la vaccinazione, qualche indicazione potremo averla. Io, però, per esperienza non ho una grande fiducia negli studi epidemiologici perché è molto facile manipolare i dati del gruppo di controllo, nel senso che come gruppo di controllo negativo devo disporre di un campione ampio di popolazione mai vaccinata, sana, e finora non è mai stato fatto uno studio epidemiologico sui vaccini con un gruppo negativo di mai vaccinati. Con i vaccini pediatrici, infatti, tutti gli studi epidemiologici confrontano fra loro popolazioni vaccinate; anche nel caso in cui si tratta di una popolazione vaccinata rispetto ad un’altra non vaccinata con lo specifico vaccino da studiare è comunque una popolazione vaccinata con tutti gli altri vaccini pediatrici, per cui risulta difficile, se non impossibile, capire quale sia la reale incidenza della patologia. Anche nel caso del vaccino COVID-19 si verificherà la stessa cosa. Si possono però fare indagini relative al tipo di malattia autoimmune e al tipo di anticorpo che la sta causando, ammesso che si tratti di malattie autoimmuni mediate dagli anticorpi. Se, cioè, riusciamo a trovare gli autoanticorpi che sono stati prodotti in conseguenza dell’infezione, tenendo conto che il nostro virus ha delle omologie di sequenze ben specifiche per determinate proteine umane, forse riusciamo a fare anche questo collegamento. Si prevede un’esplosione di malattie autoimmuni provocate dal mimetismo molecolare tra il SARS-CoV-2 e tante proteine umane, sia del sistema nervoso centrale che della spermatogenesi. Il fenomeno potrebbe spiegare quella problematica neurologica di cui si ha già notizia, il brain fog o nebbia mentale, sofferta da quelle persone che sono state infettate dal covid; la mediazione degli autoanticorpi potrebbe, inoltre, essere all’origine del manifestarsi di problemi di infertilità legati all’infezione. Tutte queste situazioni potranno presentarsi in maniera più evidente nel momento in cui andiamo a vaccinare a causa della mediazione di anticorpi vaccinali. Un altro fattore di cui bisogna tener conto è la produzione massiccia di tossine batteriche prodotte in conseguenza dell’infezione a carico del microbiota intestinale, in questo caso le malattie a lungo termine potrebbero derivare da un vero e proprio “avvelenamento” cronico da tossine.

Gravidanze mancate e malattie neurodegenerative a carico del sistema nervoso centrale!?

Purtroppo sì, c’è già letteratura su tutta una serie di malattie a carico del sistema nervoso centrale molto gravi, come la Guillain Barre, per esempio, la paralisi di Bell che abbiamo visto tra i danni da vaccino, la sclerosi multipla, la SLA, malattie anche del sistema nervoso periferico, tutte patologie autoimmuni che potrebbero manifestarsi nel medio-lungo termine dopo il COVID e quindi molto importante monitorare chi ha già sviluppato la malattia. Il vaccino potrebbe aggravare o indurre in soggetti predisposti queste malattie. Come detto prima, per sapere la reale incidenza di queste malattie nel caso del vaccino, bisogna avere un gruppo di monitoraggio attivo a lungo termine di persone sane vaccinate, confrontate con un gruppo altrettanto sano di non vaccinati e un gruppo negativo di mai vaccinati. Sicuramente questo non si farà perché stanno già cominciando a vaccinare il gruppo di controllo dei non vaccinati. Resteranno perciò le solite reazioni avverse, reattogene, al vaccino, quindi le reazioni acute nel punto di iniezione e sistemiche per quanto riguarda la febbre e l’anafilassi, ma quelle più a lungo termine non saranno identificate.

Recentemente sul BMJ è uscito un editoriale di P. Doshi, il quale ha potuto finalmente esaminare i dati della vaccinazione Pfizer-Biontech e ha riscontrato che un folto gruppo di persone, che dopo la vaccinazione hanno manifestato tutta la sintomatologia clinica propria del covid, non è stata conteggiata semplicemente perché il tampone su queste persone, malgrado la presenza della sintomatologia, ha dato esito negativo (falsi negativi). P. Doshi comprendendo viceversa queste persone e rifacendo i conti ha riscontrato una efficacia del vaccino tra il 19 e il 29% molto lontana da quella dichiarata (tra il 90 e il 95%). Egli spiega, quindi, che con questi numeri il vaccino non poteva e non doveva essere commercializzato risultando l’efficacia effettiva al di sotto della soglia minima del 50%. Le chiedo un commento e la differenza tra autorizzazione ed approvazione per un vaccino di questo tipo.

È evidente come la manipolazione, soprattutto nel gruppo di controllo, sia molto facile. E questo è un problema che si riscontra in tutti gli studi clinici epidemiologici sui vaccini. Per poter verificare è necessario andare nel dettaglio del dato che è stato raccolto e non è così semplice perché bisogna chiedere tutte le informazioni che sono state utilizzate per fare le valutazioni. Quello che ha trovato il prof. Doshi è estremamente grave perché qui stiamo parlando di una manipolazione di dati, perché il tampone dà un dato solo relativo alla presenza del virus ma non ha alcun valore diagnostico clinico e anche se era negativo, avrebbero dovuto confermare l’infezione da covid 19 con la diagnostica clinica.

Il test sierologico sarebbe potuto andar bene?

No, nemmeno questo è un test valido per la diagnosi clinica di malattia da COVID-19, bisognerebbe aver fatto le analisi del sangue, la tac polmonare, ect.; ci sono protocolli di analisi clinica che permettono di confermare o meno la diagnosi indipendentemente dal risultato del tampone molecolare. Il sierologico, in realtà, non dà risultati molto affidabili nemmeno per la diagnosi di laboratorio perché produce un significativo tasso di falsi positivi. Vanno quindi utilizzate le analisi di diagnosi clinica che devono essere fatte per inquadrare la malattia. Se hanno selezionato i pazienti solo sulla base del test molecolare, allora hanno falsato tutti i risultati. Inoltre, avendo fatto lo studio clinico d’estate in un momento in cui ormai l’epidemia non c’era più, non è stato possibile fare quello che è noto come “challenge test” cioè verificare come rispondono i vaccinati all’infezione. È ovvio che non sono stati in grado di capire se il vaccino funzionava o no, quindi quel 95% è un dato privo di significato. Il vero significato è che non sanno se funziona o no. Non solo, ma non sappiamo se al momento del contagio le persone risulteranno protette oppure faranno il potenziamento della malattia.
Riguardo all’autorizzazione dobbiamo tener conto che gli iter d’autorizzazione del vaccino possono essere di tre tipologie diverse. Cioè l’autorizzazione all’immissione in commercio ordinaria, fatta seguendo l’iter di registrazione normale quindi con fase preclinica e clinica fatte in maniera consecutiva. L’EMA dopo la fase preclinica positiva dà la sua approvazione perché la sperimentazione passi alla prima fase clinica sull’uomo, dalla fase uno alla due, ed alla due alla tre. Normalmente questo iter prende 10 anni di tempo per arrivare poi alla produzione su scala industriale del vaccino. Nel caso della autorizzazione accelerata con il Fast-Track queste fasi sono tutte fatte in contemporanea quindi la fase clinica, preclinica e la produzione industriale vengono compattate nel giro di pochi mesi in maniera da essere pronti per poter poi produrre il vaccino. Diciamo che su questo le industrie sono state estremamente efficienti dimostrando di essere effettivamente in grado di mettere in commercio il prodotto. È ovvio che questo va a scapito della sicurezza, della qualità e dell’efficacia del vaccino, però hanno ritenuto che l’urgenza di avere il vaccino fosse prioritaria. Noi oggi abbiamo in commercio dei vaccini con autorizzazione condizionale. L’autorizzazione condizionale significa che il produttore non ha ancora finito gli studi clinici e finché non finisce lo studio deve continuare ad aggiornare l’EMA sui risultati. È questo il significato di condizionale. Quando finirà il periodo dell’autorizzazione condizionale verrà messo in commercio come farmaco con una AIC (autorizzzazione all’immissione in commercio) normale. Per i cinque anni successivi il vaccino resterà comunque sperimentale. C’è un’altra procedura diversa che è quella di emergenza che ha utilizzato l’FDA per autorizzare i vaccini della Moderna e della Pfizer. A tutti gli effetti questo vaccino in America è sperimentale perché non hanno dato nessuna garanzia né di efficacia né di sicurezza, mentre l’Ema ha affermato che la Pfizer ha fornito dati che sono sufficienti per dire che c’è un rapporto beneficio rischio positivo, cioè i benefici supererebbero i rischi. Purtroppo non possiamo dire che è completamente sperimentale sulla base della AIC che è stata data qui in Europa, anche se di fatto lo è… Sappiamo benissimo che le persone che si stanno vaccinando adesso stanno affluendo a uno studio clinico in corso di svolgimento…

L’epigenetica è materia di studio relativamente recente. Sono possibili, tra i vaccinati, rischi di espressione genica alterata? Sono contemplabili rischi di natura epigenetica?

Questo è un rischio che si corre generalmente per tutti i vaccini che facciamo, perché dobbiamo tener presente che si tratta o di materiale genetico come nel caso di virus attenuati o di proteine che vengono modificate con formaldeide, dal legame con l’alluminio, o altro. Questi antigeni vaccinali possono portare alla produzione di peptidi o di virus o di parte di virus che possono andare a modificare la regolazione epigenetica del DNA, a maggior ragione se gli antigeni vaccinali sono acidi nucleici (DNA o RNA). Se si pensa ad un vaccino come quello ad adenovirus che supera la membrana nucleare, entra nel nucleo e si localizza in posizione episomiale, cioè senza integrarsi nel DNA, (almeno non come meccanismo d’azione del vaccino, ma potrebbe farlo come reazione avversa) è inevitabile che interagisca con il DNA silenziando o attivando determinati geni, quindi l’impatto che potrà avere sul metabolismo della cellula e sulla regolazione del DNA, purtroppo è imprevedibile.

Il vaccino che usa il vettore ad adenovirus è quello di Oxford-Astrazeneca?

Sì, così come lo Sputnik5 russo, e il vaccino della Sinovac cinese. Questi sono particolarmente pericolosi per vari motivi. Teniamo conto, in particolare, che sono cresciuti su linee cellulari fetali immortalizzate e quindi, purtroppo, c’è il rischio che ritroviamo dentro il vaccino questi residui di materiale genetico umano trasformato e anche virus cancerogeni.

Virus avventizi cancerogeni tra i residui di lavorazione del vaccino?

Sì, provenienti dalle linee cellulari. Consideriamo che la purificazione di questi vaccini è un passaggio molto critico e dati i tempi rapidi di produzione su vasta scala è facile pensare che ci saranno dei problemi di qualità. Purtroppo non c’è nessuna trasparenza per la parte che riguarda la qualità a causa del segreto industriale. Un pò più di trasparenza la si trova sugli studi clinici. Se si fa richiesta si possono rielaborare i dati come ha fatto il prof. Doshi ma sulla qualità ho dei forti dubbi perché so che, a suo tempo, le aziende avevano chiesto una facilitazione per il good manufacturing practices (Le norme di buona fabbricazione) cioè per la gestione del controllo qualità del processo di produzione. Dare delle facilitazioni significa, in realtà, fare meno analisi che potrebbero andare a scapito della qualità del prodotto finito.

Nel caso del vaccino Pfizer-Biontech sembrerebbe che queste criticità non possano esserci perché loro utilizzano solo un frammento dell’RNA virale, quello che codifica per la proteina spike. Quali sono le criticità più importanti in questo caso a partire dall’involucro oleoso in PEG?

L’approfondimento relativo alla tossicologia di questo vaccino lo sto facendo adesso. L’ho studiato per ora in modo generico per cui mi riserbo di rispondere dopo che ho divulgato il libro dedicato (*). C’è comunque da dire che il liposoma che viene utilizzato quale vettore lipidico in dimensioni nanoparticellari, funziona già da adiuvante (sostanze che vengono aggiunte ai vaccini per «potenziare» la risposta del sistema immunitario all’antigene) stimolando il sistema immunitario in maniera infiammatoria. Dopo l’ingresso nella cellula e il rilascio del materiale genetico (l’antigene vaccinale) bisognerebbe capire bene come quest’ultimo viene metabolizzato. Ci possiamo aspettare che il vettore, essendo costituito da materiale lipidico, possa stimolare determinati recettori del segnale del pericolo, principalmente citochine che sono mediatori dell’infiammazione. Il materiale genetico, resta nel citoplasma. Non passa attraverso la membrana nucleare e lì utilizza i ribosomi per la produzione delle proteine. Questo è il processo teorico e desiderato, ma il metabolismo delle cellule non lo conosciamo ancora completamente e non sono stati fatti studi specifici che ci permettano di escludere la possibilità che l’antigene venga trasformato in altre forme di materiale genetico. All’estremo del vettore sono presenti dei nucleotidi modificati, di sintesi. Come questi ultimi vengono metabolizzati non lo sappiamo. L’altra cosa riguarda il frammentino di RNA che viene trasformato in proteina direttamente. C’è anche da dire che quando andiamo ad iniettare questo materiale, nel sito di iniezione c’è un’attivazione immediata del segnale di pericolo perché è comunque materiale estraneo, soprattutto lipidico, e di acido nucleico che attiva immediatamente una risposta citochinica. La tempesta di citochine non è proprio una banalità perché le persone più sensibili potrebbero avere delle conseguenze anche molto gravi a fronte di una tempesta di citochine incontrollata e non possiamo nemmeno sapere quali possano essere le conseguenze a più lungo termine del danno multi-organo a cui possono andare incontro. E’ comunque già riportato che questo vaccino è molto reattogeno. Parliamo anche di anafilassi ma sarebbe da vedere che non siano tempeste di citochine causate dal meccanismo suddetto.
Penso che questo vaccino usato dalla Pfizer non si presta per niente all’utilizzo su larga scala. Ha veramente dei grossi problemi di gestione, il tempo di scadenza è troppo breve, sei mesi non sono sufficienti per somministrare un vaccino del genere in centinaia di milioni di dosi. Per farlo bene ci vorrebbe una struttura estremamente efficiente che non abbiamo. Il vaccino deve essere conservato rigorosamente a 80 °C sotto lo zero per evitare la degradazione che comporterebbe, da un lato la diminuzione della quantità di antigene vaccinale, e quindi andrebbe a compromettere l’efficacia teorica del vaccino, ma porta dall’altro anche alla produzione di materiale degradato lipidico e di acido nucleico che funziona da potente adiuvante, ma in senso negativo, perché può procurare un effetto infiammatorio eccessivo, aumentando quindi le potenziali reazioni avverse.

È importante che la catena del freddo per questo genere di vaccini sia del tutto integra?

Assolutamente sì, altrimenti si degrada con grande rapidità. La degradazione aumenta in modo importante l’incidenza delle reazioni avverse da tempesta di citochine.

È possibile interpretare quanto accaduto in Norvegia, mi riferisco ai 23 decessi, poi 29, seguiti alla vaccinazione di molti anziani utenti di una casa di cura che li ospitava, alla luce di quanto stiamo discutendo, shock anafilattico o altro?

Potrebbe essere stato un potenziamento della malattia fatale, o una reazione allergica sistemica, cioè un’anafilassi, come pure la conseguenza di una tempesta di citochine incontrollata. Un vaccino che abbia già di suo queste problematiche, nel momento in cui viene somministrato a pazienti che non hanno alcuna capacità di contrastare il danno causato dal vaccino, può ovviamente avere come risultato una complicazione fatale. Viene detto che è normale perché si trattava di anziani con più patologie, ma la domanda da porre allora è, se sapevate fin dall’inizio che si trattava di persone fragili e quindi a rischio di un danno fatale perché le avete vaccinate? La vaccinazione non è un’eutanasia… Seguendo la loro logica secondo cui non sono preoccupanti e sono trascurabili le morti da vaccino allora dovrebbero essere considerate non preoccupanti e trascurabili anche le morti da covid. Mettiamo allora sullo stesso piano la preoccupazione che si riserva alle morti, perché se si muore per un danno da vaccino l’evento non deve essere considerato preoccupante viceversa è inaccettabile se si muore a causa del covid. Questo succede di norma nel caso dei bambini che sviluppano complicazioni da vaccino dovute a patologie pregresse o a predisposizioni genetiche. Quando un bambino con problematiche di salute, anche potenziali (la famosa mutazione genetica non ancora scoperta…) viene vaccinato e interviene la complicazione questa è viene automaticamente addebitata alla patologia in corso o presunta e non al vaccino. Un bambino, con altre patologie in corso, che fa il morbillo muore a causa del morbillo. Un altro con la stessa patologia, se fa il vaccino e muore a causa del vaccino si dice che non è stato il vaccino ad ucciderlo ma la patologia. A questo genere di trucchetti si ricorre continuamente.

Un’ultima domanda (poi quando ultimerà lo studio che ci ha preannunciato intorno ai vaccini a mRNA, se potrà, sarei felice di poterci ritrovare a parlarne). È stata avviata la campagna di vaccinazioni nel Regno Unito e sono già disponibili dati, intorno all’incidenza, del 2,79% di effetti avversi a breve termine tra le persone vaccinate che a detta del report del CDC hanno avuto bisogno di cure ospedaliere. Una percentuale altissima che, nel caso malaugurato, in cui tutti gli italiani venissero vaccinati, produrrebbe nell’immediato post vaccino un milione e seicentomila pazienti che avrebbero bisogno di cure ospedaliere. Cosa sappiamo, a oggi, intorno agli effetti avversi a breve termine della campagna vaccinale già avviata e dove è possibile monitorare quanto sta accadendo alla popolazione vaccinata?

Per legge a raccogliere i dati delle segnalazioni dovrebbero essere le industrie farmaceutiche e le agenzie regolatorie attraverso il sistema di farmacovigilanza. Tuttavia, le reazioni avverse attualmente sono raccolte attraverso le segnalazioni passive della popolazione vaccinata (VAERS negli USA), perché comunque la farmacovigilanza attiva, che comprende visite mediche ed eventuali analisi sulla persona per indagare eventuali reazioni avverse, di solito non vanno oltre la settimana perché vengono raccolte solo le reazioni reattogene al vaccino non quelle a medio e lungo termine. Le reazioni gravi che potrebbero svilupparsi a medio e lungo termine potremmo anche rischiare di perderle come informazione o che siano sottostimate anche di un 90% come succede per gli altri vaccini. Le reazioni avverse acute che avvengono subito, sì, dovrebbero essere sicuramente registrate. Una volta appurato il danno ne andrebbe studiato la motivazione, cosa l’ha causato, perché fondamentale per poter intervenire. Un’anafilassi è diversa da una tempesta di citochine e va trattata in maniera diversa, così il potenziamento della malattia che è un meccanismo ulteriore. Si tratta, quindi, di mettere a punto le giuste strategie terapeutiche che risulteranno fondamentali per salvare la vita alle persone che ne dovessero essere vittime. Se non studiano questo genere di reazioni e i dati relativi vengono raccolti in maniera passiva senza andare a verificare cause e meccanismi con cui si verificano si rischia che le persone muoiano senza che si sia in grado di conoscere il motivo dei decessi. Magari non vengono eseguite le autopsie ed altre indagini che ci permetterebbero di capire se la causa di morte può essere attribuita al vaccino oppure no, e ciò che non siamo riusciti a sapere diciamo rimane celato, semplicemente non c’è: si nega il danno perché manca il dato. Questa è un’altra cosa gravissima che è una costante delle vaccinazioni. Nel libro che spero uscirà a giorni (*) ho approfondito tutte le piattaforme vaccinali tradizionali perché le piattaforme innovative ad acidi nucleici e quindi quella dei vaccini OGM sono una minima parte dei vaccini che verranno messi in commercio. Teniamo conto che a fine dicembre avevamo in corso di studio preclinico e clinico 289 vaccini diversi, di questi 66 sono in fase di revisione per ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio. Gran parte di questi sono vaccini tradizionali. Uno soltanto a virus attenuato, sottoforma di spray nasale che stanno testando in Inghilterra, diversi a virus inattivati con adiuvanti classici, quelli a subunità proteica, quelli a particella simil-virale, e poi la grande categoria dei vaccini a nanoparticella o nanovaccini, quindi queste sono le categorie che ci troveremo a dover affrontare. La gran parte sono a proteine non ad acidi nucleici. Ecco quindi tutte le problematiche legate alla tecnologia e al tipo di virus che viene utilizzato perché il grosso problema, oltre alla tecnologia, sono le particolari caratteristiche del Sars-Cov-2.
Un appunto sul vaccino antinfluenzale. Dobbiamo pensare che la problematica che stiamo vedendo per questo vaccino, autorizzato con una procedura accelerata, vale in realtà anche per il vaccino antinfluenzale, che viene autorizzato allo stesso modo tutti gli anni ed è un vaccino che viene somministrato su un numero molto ampio di popolazione a livello mondiale. Ci sono vaccini come ad esempio il Vaxigrip, del quale, a partire dagli anni 80 sono state somministrate miliardi di dosi con una farmacovigilanza di una settimana, fatta ogni anno mediamente su 20 persone e per il quale in realtà mancano tuttora dati affidabili sull’incidenza delle reazioni avverse a lungo termine. Oggi siamo tutti focalizzati sul vaccino contro il sars cov-2 perché è una novità, perché è OGM ecc. ma i vaccini pediatrici obbligatori non è che godano di una migliore valutazione del rapporto tra beneficio e rischio; ancora meno quello antinfluenzale che comporta il rischio del potenziamento della malattia il quale viene totalmente ignorato. Esso viene somministrato in particolare a persone anziane e quindi predisposte al danno e non si fa la farmacovigilanza come dovrebbe essere fatta. In breve, non stiamo scoprendo niente di nuovo…

Ne approfitto per chiederle quanto frequentemente la procedura di emergenza denominata “fast-track” viene applicata? Questa sorta di corsia preferenziale viene concessa anche per la produzione di altri farmaci?

Sì, ho visto che il fast track (FT), è stato introdotto inizialmente per produrre vaccini e farmaci d’emergenza; per esempio il vaccino contro l’ebola, determinati farmaci contro l’HIV o farmaci contro il cancro, tutti farmaci che hanno una certa emergenza perché la loro richiesta da parte della popolazione è molto alta. Il FT si basa molto sulla richiesta da parte della gente. Loro giustificano la concessione di una facilitazione ai produttori perché a chiederlo sarebbe la gente. È il contesto sociale che porta i produttori a domandare la concessione della procedura abbreviata di FT. È stata usata sempre più frequentemente. Se non ricordo male è del 2018 la presa di posizione dell’FDA di accelerare l’autorizzazione con questo tipo di procedura. Teniamo conto che abbiamo più di 600 farmaci sperimentali per il covid in FT. Quindi non solo il vaccino ma anche tutti i farmaci sperimentali, motivo per cui l’OMS ha invitato a non usare l’idrossidiclorochina (utilizzata per altre patologie), oltre che a bloccare la sperimentazione di farmaci off-label (es. Adenosina e altri) perché ci sono tutti i farmaci sperimentali di precisione, cioè progettati solo per il SARS-Cov-2, in corso di studio clinico che verranno progressivamente autorizzati con il FT.
Attenzione allora perché oltre al vaccino ci troveremo ad avere a che fare con molti farmaci sperimentali, tra tutti gli anticorpi monoclonali che sono l’altra grande categoria dei farmaci biologici con problemi simili di qualità, sicurezza ed efficacia dei vaccini.

Avvertenza
Chi avesse interesse alla letteratura scientifica su cui si basano le argomentazioni della dott.ssa Loretta Bolgan può reperire la documentazione relativa nel suo sito studiesalute.it/salute in particolare nella sezione Covid-19/vaccino.
(*) Anche il libro, a cui fa riferimento la dott.ssa Bolgan è ora disponibile nella sezione Covid-19/vaccino.

Fine seconda parte.

FONTE: https://www.francescocappello.com/2021/02/03/moltissimo-di-cio-che-ci-dicono-su-virus-e-vaccini-e-sbagliato-il-resto-e-nascosto-seconda-parte/

 

 

 

Ospedali, business Covid: 2.000 euro al giorno a paziente

Parliamo del grande business che si cela dietro gli ospedali Covid: per ogni ricoverato, la struttura ospedaliera riceve 2.000 euro al giorno. A spiegarlo non è una persona fuori dal sistema dalle istituzioni, ma il l’ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso. Intanto, i numeri reali della delle terapie intensive rimangono dubbi, misteriosi, perché neanche i primari – pensate – possono comunicare quanti posti liberi ci sono, in quelle terapie intensive. Un ospedale con 100 malati di Covid in reparto riceve della propria Regione 200.000 euro al giorno: lo rivela appunto Bertolaso, un uomo che il sistema lo conosce bene. Nascono così tanti dubbi e sorgono mille domande sulla gestione di tutta questa emergenza, sul colossale business e sui conflitti d’interesse. «Come si può pensare che, spontaneamente, i vari ospedali si privino di malati di Covid per mandarli altrove?», si chiede ancora Bertolaso. Insomma, detta così forse sembrare fin troppo cinico, ma i malati Covid rappresentano una vera e propria risorsa economica per gli ospedali (e un importante eborso per lo Stato, che tramite le Regioni eroga ai nosocomi ben 2.000 euro al giorno per ogni paziente ricoverato).

L’ex capo della protezione civile critica anche le misure introdotte da questo governo, che – dice – sforna Dpcm sempre più restrittivi: un segnale di resa, imponendo chiusure progressive con pesantissime conseguenze sull’economia. E poi, continua BertolasoBertolaso, mancano le contromisure propositive: «Dov’è la soluzione, se mi chiudi dentro casa ma poi mi costringi a 10 ore di fila per fare un tampone?». Intanto si cerca di fare chiarezza sui dati che arrivano dalle terapie intensive, che secondo gli ultimi aggiornamenti sarebbero sature al 14% (media nazionale), con punte che non superano il 22%, come accade in Campania. Non è però facile conoscere la reale situazione interna degli ospedali: i dati vengono forniti solo dalla direzione sanitaria. Abbiamo chiesto al professor Pietro Luigi Garavelli, primario di malattie infettive presso l’ospedale di Novara, quali fossero le condizioni della terapia intensiva. Ci ha risposto così: «La situazione a Novara? Mi fa una domanda alla quale io non posso rispondere, perché esiste un disposto regionale in base al quale io posso parlare, discutere di Covid, di tutto e di più dal punto di vista scientifico e divulgativo; ma per parlare di dati relativi all’ospedale dove lavoro, la competenza è della direzione sanitaria».

È stato molto chiaro, Pietro Luigi Garavelli, primario infettivologo presso l’ospedale di Novara; lui non è nelle condizioni di rispondere, non può fornire nemmeno i dati relativi ai suoi reparti. E dunque vogliamo fare un appello, noi di “ByoBlu”: chiunque di voi volesse raccontarci, invece, la reale situazione che c’è in questi ospedali italiani all’epoca del Covid-19 può farlo (ovviamente anche in forma anonima) scrivendoci all’indirizzo redazione@byoblu.com. Ovviamente il nostro appello si riferisce a medici, infermieri e, insomma, operatori del settore che conoscono davvero la reale situazione all’interno delle strutture ospedaliere italiane, oggigiorno.

(Virginia Camerieri ed Emanuele Canta, testo del servizio “2.000 euro al giorno, il business degli ospedali Covid”, trasmesso da “ByoBlu” il 27 ottobre 2020 e ripreso in video su Facebook).

FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/ospedali-business-covid-2-000-euro-al-giorno-a-paziente/

 

 

 

Scienziati russi e americani attaccano la frode del riscaldamento globale

26 dicembre 2009 (MoviSol) – Benché i media dedichino loro ben poco spazio, molti esperti e ricercatori hanno messo in dubbio i metodi e dati scientifici pubblicati dall’IPCC ancor prima che lo scandalo delle email dell’Università di East Anglia confermasse la manipolazione dei dati.

Negli Stati Uniti circola ampiamente una lettera aperta di scienziati importanti dell’American Physical Society (APS) al Presidente e agli altri scienziati. Chiedono che l’APS ritiri una dichiarazione adottata nel 2007, che sosteneva la teoria del riscaldamento globale, in quanto “era fondata su un lavoro scientifico che si è rivelato corrotto”. “Non è una questione di scienza, è una questione di integrità, ed è in forse l’integrità dell’APS”.

In Russia il Presidente russo Medvedev ha incontrato gli scienziati russi il 16 dicembre, prima di partire per il vertice di Copenhagen. Il gruppo, che includeva il presidente dell’Accademia delle Scienze Russa Yuri Osipov, gli accademici Yuri Israel e Nikolai Laverov, ha già avuto a che fare con l’ideologo britannico del cambiamento climatico Sir David King nel 2004, quando era consulente scientifico di Tony Blair. Osipov rammenta quell’incontro: “Quando discutemmo il trattato di Kyoto, insistemmo sul fatto che non aveva alcuna base scientifica. Invece di darci ascolto, non fece che esercitare pressioni su di noi. Perché non capiscono i motivi logici?”.

Dopo l’incontro il Presidente Medvedev ha detto che avrebbe tenuto in grande considerazione le preoccupazioni degli scienziati russi sul possibile coinvolgimento della Russia “nei giochi politici di qualcun altro” col “nobile” pretesto di impedire il riscaldamento globale.

FONTE: https://archive.movisol.org/09news250.htm

 

 

 

STORIA

Documentazione riepilogativa sul complotto del Britannia

14 gennaio 1993
La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni in Italia: il saccheggio di un’economia nazionale

Documento diffuso dall’Executive Intelligence Review e dal Movimento Solidarietà

Il 2 giugno 1992, a pochi giorni dall’assassinio del giudice Giovanni Falcone, si verificava in tutta riservatezza un altro avvenimento che avrebbe avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Il «Britannia», lo yacht della corona inglese, gettava l’ancora presso le nostre coste con a bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la ditta di brockeraggio della Barclay’s, a quelli della Baring & Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d’Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario italiano: rappresentanti dell’ENI, dell’AGIP, Mario Draghi del ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell’IRI, Giovanni Bazoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società Autostrade.

Si trattava di discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese. Draghi avrebbe detto agli ospiti inglesi: “Stiamo per passare dalle parole ai fatti”. Da parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra, dove c’è il capitale necessario.

Fu poi affidato ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli argomenti, parlare dell’urgente necessità di privatizzare per ridurre l’enorme deficit del bilancio. Al grande pubblico, sia il governo che i mass media hanno risparmiato la semplice verità che il “primo mobile” dietro tutto il dibattito sulle privatizzazioni è costituito dalle grandi case bancarie londinesi e newyorkesi. L’obiettivo è semplicemente quello di prendere il controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, partitocrazia, inefficienza, ecc.

Prima di esercitarci a calcolare quante lirette il ministero del Tesoro potrebbe ottenere dalla svendita dell’ENI, dell’IRI ecc., cerchiamo di mettere in luce i presupposti filosofici dei banchieri londinesi e dei loro associati newyorkesi della Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers e dei loro sostenitori nel Fondo Monetario Internazionale, nell’OCSE e nel mondo dei mass media. Queste grandi finanziarie di New York e Londra su cui si fonda il potere anglo-americano gestiscono il gioco della liberalizzazione dei mercati internazionali. Ne scrivono e riscrivono le regole per massimizzare di volta in volta i profitti. A Bruxelles contano su sir Leon Brittan, fratello del Samuel Brittan direttore del Financial Times. Fino al gennaio 1993 Leon Brittan è stato Commissario della CEE per la Politica di Concorrenza ed è l’autore delle regole bancarie ed assicurative che hanno favorito Londra, tanto criticate sia dalla Germania che dagli altri paesi membri della CEE. Sir Leon era un esponente del governo della Thatcher quando improvvisamente, nel gennaio del 1986, si dimise per andare a Bruxelles.

Nonostante le illusioni di grandeur, Parigi è un centro finanziario che non può tener testa alla prepotenza anglo-americana, e lo stesso discorso vale per i finanzieri di Francoforte, così come quelli del Sol Levante. Pur disponendo delle maggiori istituzioni bancarie e assicurative, il Giappone non è in grado di offrire una valida resistenza alle manipolazioni finanziarie anglo-americane.

La globalizzazione e il “Big Bang” londinese

La formula che gli anglo-americani tentano oggi di spacciare ai governi di tutto il mondo, convincerli cioè a svendere i patrimoni dello stato per ottenere qualche liquido con cui far fronte al dissesto del bilancio ed al tempo stesso “promuovere la competitività”, fu collaudata dalla finanza londinese alla fine del 1979, in particolare dalla N.M. Rothschild & Co., che coordinò la svendita generale per conto del governo della “Lady di Ferro”.

Così un ristretto gruppo di finanzieri ha dominato per quasi 12 anni l’economia inglese. Principalmente si tratta di esponenti della Società Mont Pelerin, come i consiglieri della Tatcher Karl Brunner, sir Alan Walters, lord Harris of High Cross ed altri ancora. La Società Mont Pelerin è stata presieduta internazionalmente fino a poco tempo fa dall’economista arciliberista Milton Friedman, ascoltatissimo dal Presidente Ronald Reagan.

Friedman è l’architetto della politica economica imposta al Cile dalla dittatura di Augusto Pinochet. Essa si riduce all’idea di tenere il governo fuori da ogni intervento e lasciare che gli interessi privati facciano il bello e cattivo tempo. Friedman fece scalpore quando propose che l’eroina e gli altri stupefacenti venissero considerati alla stregua di una “merce” normale, in modo da permettere al consumatore di “scegliere liberamente” se acquistarla o meno.

Sotto la rivoluzione “liberistica” imposta dalla Thatcher sono state messe all’asta le imprese migliori dell’Inghilterra, dalla British Petroleum alle compagnie del gas e dell’acqua, fino alla industria militare Vickers. Da quando la Thatcher è stata costretta ad andarsene vengono pian piano alla luce informazioni sempre più precise di come ad arricchirsi spudoratamente in quella “privatizzazione” furono principalmente gli amici della Lady di Ferro.

D’altro canto quel “collaudo” dimostra come non sia affatto vero che l’industria, una volta privatizzata, diventi più efficiente. Dopo 13 anni di thatcherismo, quella britannica è la più arretrata tra le grandi economie europee. Negli investimenti per la Ricerca e Sviluppo del settore macchine industriali ed automobile, l’Inghilterra è stata superata anche dall’Italia. L’essenza del “liberismo” thatcheriano è dare la priorità assoluta alla finanza, a scapito dello sviluppo industriale dell’economia nazionale.

Questa degenerazione britannica toccò il fondo nell’ottobre del 1986, quando il governo decretò la completa deregolamentazione finanziaria della City di Londra, che fu chiamata il “Big Bang”. Poco meno di un anno dopo, la borsa di Londra crollò insieme a tutte le altre, travolte dalla frenetica spirale di speculazioni e truffe da essa iniziata.

In Inghilterra il “problema” delle ditte di proprietà statale, come la British Leyland o la Jaguar, non era il fatto che esse fossero di proprietà dello stato, ma piuttosto che questo stato, amministrato dal governo della Thatcher, non volle impegnarsi in una oculata politica di pianificazione degli investimenti industriali, cosa caratteristica ad esempio del MITI in Giappone, perché quel governo esprimeva gli interessi dell’alta finanza e non quelli delle capacità produttive del paese. Oggi però dovrebbe essere chiaro anche ai non addetti che la deregolamentazione finanziaria londinese ha inesorabilmente portato alla rovina economica nazionale. L’Inghilterra versa nella peggiore crisi economica dagli anni Trenta, con la disoccupazione che è tornata ai livelli del 1979, quando si insediò la Thatcher. Il deficit del bilancio lievita ad un tasso annuale del 7% del PNL.

Però, contrariamente alla situazione del 1979, oggi il governo britannico non dispone più di una propria base industriale con cui mettere in moto tutta una serie di investimenti nel settore industriale.

Ma, a prescindere dal saccheggio compiuto da sir Jimmy Goldsmith, Jacob Rothschild, lord Hanson e compagnia dietro il paravento del “liberismo ad oltranza”, la privatizzazione decisa della Thatcher va collocata nel contesto della strategia anglo-americana per aprire altre regioni economiche a forme molto sofisticate di saccheggio neo-coloniale, perpetrato con la “mano invisibile” tanto cara alle teorie liberistiche. Questa “mano invisibile” anglo-americana regola i meccanismi di fusioni ed acquisizioni operate da altri governi nella misura in cui questi sono così stupidi e sprovveduti da richiedere e pagare profumatamente “consulenze finanziarie” proprio a quella cricca di finanzieri.

Alla fine degli anni Settanta, quando a Londra la Thatcher cominciò lo scontro col sindacato per ridurre i salari e cominciò a svendere le imprese statali ai suoi amici, a Wall Street gente come Donald Reagan, presidente della Merrill Lynch, e Walter Wriston, capo della Citicorp, si impegnarono a lanciare una “rivoluzione finanziaria” sulla stessa falsariga che in America fu chiamata “deregolamentazione dei mercati finanziari”.

Quando Ronald Reagan diventò presidente nel 1981, e prestò ascolto a Milton Friedman, la deregulation fece innumerevoli proseliti a Washington. Nei 12 anni che seguirono, fino alla sconfitta di George Bush nel novembre del 1992, Washington voltò le spalle ad una ben dosata politica di supervisione e regolamentazione governativa di attività particolarmente importanti come quella delle compagnie aree e degli autotrasporti, per non parlare dell’economia in generale. Le leggi che erano state escogitate negli anni della Grande Depressione per proteggere la proprietà di piccoli risparmiatori e azionisti furono abrogate o ignorate negli anni Ottanta per fare spazio alla “legge del Far West” che prevede la sopravvivenza del più cattivo.

Negli anni ruggenti della deregulation la filosofia negli USA era “tutto è ammesso, dillo con i soldi”. Così al crimine organizzato fu permesso di reinvestire i proventi illeciti nei regolari flussi finanziari, per poterli così usare nelle scalate speculative a Wall Street condotte da gente come Mike Milken, Ivan Boesky ed altri. Grazie al proliferare delle “obbligazioni spazzatura”, o altre tecniche speculative, si potevano acquisire imprese sane i cui nuovi proprietari trascuravano la politica di sviluppo a lungo termine su cui cresceva l’impresa, cercando solo di realizzare profitti a breve termine. Fu così che la TWA Airlines finì in mano a Carl Icahn, uno speculatore della banca Drexel. In questi anni Ottanta, i principali istituti finanziari di Londra e New York, come la S.G. Warburg, la Barclays, la Midland Bank, la Citicorp, la Chase Manhattan, la Goldman Sachs, la Merrill Lynch, la Salomon Bros., lanciarono la “globalizzazione dei mercati finanziari”. Il presupposto di partenza era che se tutti i paesi avessero abolito i controlli sui flussi di capitali ed altri meccanismi, la nuova finanza anglo-americana avrebbe potuto accedere a nuovi, grandi spazi economici, altamente profittevoli. I grandi nomi della finanza erano alla caccia di nuovi organismi sani su cui esercitare la propria distruttiva opera parassitaria, e così sedussero molti ambienti bancari, sia europei che giapponesi, a rinunciare alla naturale diffidenza per unirsi al gioco speculativo anglo-americano e “vincere”.

Uno dei sofismi utilizzati a questo proposito era quello che descriveva il sistema finanziario del paese preso di mira come “superato”, “obsoleto”, “non abbastanza dinamico”; insomma, da riformare per promuovere la nuova ondata di finanza creativa. Così l’intera Europa fu accusata di soffrire di “Eurosclerosi”. Tutti i trucchi sono buoni per costringere le economie nazionali a sollevare le barriere protettive e permettere alla finanza anglo-americana di dilagare su ciò che essa definiva mercati “arretrati” o “provinciali” e sfruttare la maggiore scaltrezza finanziaria per saccheggiarli.

La grande speculazione e la finanza angloamericana

Il vero e proprio inizio di questa dissennata corsa alla deregulation e alla “globalizzazione” dei mercati finanziari in stile thatcheriano, a cui assistiamo attualmente in Italia, risale alla fine degli anni ’60, inizio anni ’70. A partire da quel periodo, le grandi banche internazionali americane, come la Chase Manhattan e la Citicorp, iniziarono a cercare nuovi impieghi del capitale che fruttassero alti profitti, in quanto gli investimenti nell’economia interna americana non erano così profittevoli come quelli all’estero. Nel 1971, decine di miliardi di dollari avevano già abbandonato gli Stati Uniti ed erano approdati in Europa. L’astuto Sir Siegmund Warburg, presidente della omonima e celebre banca britannica (la stessa a cui il ministro del Tesoro Barucci si è recentemente rivolto per stimare il valore immobiliare dell’IMI), si recò allora a Washington per convincere il Tesoro e il Dipartimento di Stato USA a far rimanere all’estero quei capitali, in modo che Londra potesse usarli per ripristinare il ruolo di “banchiere mondiale” che la City aveva svolto fino al 1914. È ironico che il primo prestito in “Eurobbligazioni” sottoscritto da Siegmund Warburg fosse quello di 15 milioni di dollari lanciato dalla Società Autostrade dell’IRI.

La vera trovata di Warburg fu però l’uso dei dollari espatriati in Europa, i cosiddetti “Eurodollari”, che si rivelarono l’innovazione finanziaria più destabilizzante degli anni settanta. Il Presidente Nixon, seguendo il consiglio di George Shultz e Paul Volcker, annunciò il 15 agosto 1971 che da quel momento in poi Washington e la Federal Reserve, la banca centrale USA, si sarebbero rifiutate di riscattare in oro i dollari posseduti dalle altre banche centrali. Washington stracciò, con atto unilaterale, gli accordi di Bretton Woods del 1944 che stabilivano l’ordine monetario postbellico. Di colpo, il mondo si ritrovò ostaggio di un regime di “tassi di cambio fluttuanti” che trasformò il sistema monetario basato sul dollaro in una gigantesca arena speculativa.

Nel maggio 1973, sei mesi prima che scoppiasse la “crisi petrolifera”, l’oligarchia politico-finanziaria angloamericana si riunì segretamente nella località svedese di Saltsjoebaden per discutere la fase successiva del “ricatto” esercitato per mezzo del dollaro sull’economia mondiale.

Tra gli ospiti di quel ristretto gruppo di potenti, riuniti sotto l’egida del Club Bilderberg, c’era il Presidente della FIAT Gianni Agnelli. Si discusse che bisognava persuadere l’OPEC ad aumentare il prezzo del petrolio del 400%. Dato che dal 1945 il petrolio si acquistava solo con dollari, la mossa avrebbe automaticamente quadruplicato la domanda di dollari sul mercato internazionale.

Henry Kissinger, un altro ospite della riunione segreta del Bilderberg, battezzò l’idea col nome di “riciclaggio dei petrodollari”. I suoi interlocutori, come Lord Richardson della British Petroleum, Robert O. Anderson dell’americana Atlantic Ritchfield Corporation (ARCO) o lo svedese Marcus Wallenberg, non erano interessati a discutere come impedire i catastrofici effetti sull’economia mondiale derivanti da un quadruplicamento del prezzo del petrolio, ma, piuttosto, l’intera discussione in quella sperduta località della Svezia ruotò attorno all’idea di come assicurare che poche, scelte banche americane controllassero la nuova ricchezza dei “petrodollari” in mano araba. Si trattava quindi di come aumentare il potere nelle mani delle banche di Londra e New York, del cartello petrolifero e dei loro amici europei, alle spese del resto del mondo.

Negli anni ’80, dopo due crisi petrolifere e l’equivalente shock della stretta creditizia pilotata da Paul Volcker alla guida della Federal Reserve (1979-1982), la deregulation finanziaria di Thatcher e Reagan creò, nel contesto di un valore “fluttuante” del dollaro e del riciclaggio di prestiti in petrodollari che rifinanziavano il deficit dei paesi del Terzo Mondo, la cornice per un nuovo riciclaggio, quello dei narco-dollari. La liberalizzazione delle transazioni finanziarie in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni è servita infatti ad aprire le porte al riciclaggio dei proventi illeciti della droga, che nel 1990 si stimava in un valore tra i 600 e i 1000 miliardi di dollari.

La Lugano connection

A questo punto occorre dedicare qualche riga alle finanziarie di Wall Street che svolgono un ruolo decisivo nella “privatizzazione” delle imprese pubbliche italiane. Sono tre le ditte impiegate all’uopo come “consulenti” del governo Amato: Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers. Lo stesso ministro dell’Industria Giuseppe Guarino, contrario a una “svendita” del patrimonio industriale raccolto nelle ex Partecipazioni Statali, sembra riporre fiducia in queste tre finanziarie, i cui dirigenti incontrò il 17 settembre scorso nel corso di un viaggio a New York.

Sono molti attualmente a ritenere la Goldman Sachs la più potente finanziaria di Wall Street, posizione conquistata almeno a partire dal 1991, quando scoppiarono gli scandali di “insider trading” che la coinvolgevano assieme alla Salomon Brothers. Il presidente della Goldman Sachs, Robert Rubin, sarà il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale del Presidente Clinton. Quel posto dovrà essere un “ufficio di guerra economica” in stile britannico, per fronteggiare quelli che l’ex capo della CIA William Webster chiamò “gli alleati politici e militari dell’America che sono i suoi rivali economici”. Rubin non è il primo dirigente della Goldman Sachs che ricopre una carica nel governo americano. Prima di lui l’attuale vicepresidente, Robert Hormats, fu consigliere di Henry Kissinger al Dipartimento di Stato e un altro “senior partner”, John Whitehead, fu sottosegretario di Stato con Ronald Reagan. La Goldman Sachs é uno dei più influenti manipolatori del prezzo del petrolio e del valore delle monete, che determina tramite la sussidiaria J. Aron & CO., che opera sul mercato delle merci e dei “futures”. La Goldman Sachs ha rafforzato la sua presenza in Italia aprendo nel 1992 un “ufficio operativo” a Milano. Più avanti vedremo il ruolo cruciale che essa ha svolto nella crisi della lira e nella partita delle privatizzazioni.

La Salomon Brothers domina, assieme alla Goldman Sachs, il commercio di greggio mondiale. La Salomon possiede anche la svizzera Phibro (Philipp Brothers), che opera nel settore delle materie prime. Nel 1989 la Phibro fu coinvolta in un caso di riciclaggio di milioni di dollari ricavati dalla vendita di cocaina negli Stati Uniti. I soldi venivano riciclati dalla banda chiamata “La Mina”, che lavorava per il cartello della coca colombiano, nella Phibro Precious Metal Certificates.

Dopo gli scandali di “insider trading” e speculazione su Buoni del Tesoro USA scoppiati nel 1991, a cui abbiamo accennato sopra, ci fu un completo rinnovo dei vertici della finanziaria. Il nuovo presidente, attuale azionista di maggioranza, è Warren Buffett, originario di Omaha, Nebraska.

Buffett, oltre ad essere amico intimo di George Bush, è anche il principale azionista del Washington Post e della rete televisiva ABC. Egli possiede vasti interessi anche nell’American Express (del cui consiglio di amministrazione fa parte Henry Kissinger) e nella Wells Fargo Bank.

Lo stesso Buffett si dice sia implicato in uno scandalo di pedofili del Nebraska che facevano capo, fino alla fine degli anni ’80, al finanziere repubblicano Larry King, della banca Franklin Credit Union. Buffett era il patrocinatore e il sostenitore di King. La Warren Buffett Foundation, la fondazione intestata a suo nome, finanzia cause antidemografiche, come quelle lanciate da organizzazioni americane come Negative Population Growth, Planned Parenthood, l’Associazione per la Sterilizzazione Volontaria e il Population Council.

La Merrill Lynch è famosa per il ruolo che svolse in una sensazionale operazione di riciclaggio del denaro tra l’Italia, la costa orientale degli Stati Uniti e Lugano. Si tratta della “Pizza connection”, che portò al processo in cui la famiglia mafiosa newyorchese dei Bonanno fu accusata di aver riciclato circa 3,5 miliardi di dollari fino a quando fu arrestata, nel 1984. I Bonanno avevano usato, per i loro traffici, la sede centrale di New York e gli uffici di Lugano della Merrill Lynch. L’aspetto più sconcertante del processo sulla “Pizza connection” in Svizzera e a New York è che essi ignorarono completamente la complicità dei vertici della Merrill Lynch. All’epoca del processo il ministro del Tesoro americano, responsabile per le ispezioni sul riciclaggio del denaro, era l’ex presidente della Merrill Lynch Donald Reagan. Il processo si concluse con alcune multe nei confronti di funzionari minori della sede luganese della finanziaria americana, e la storia finì lì. Come è noto, la Merrill Lynch é stata incaricata dall’IRI, il 9 ottobre scorso, di preparare la privatizzazione del Credito Italiano.

Abbiamo fin qui identificato alcuni fatti poco noti che riguardano le tre finanziarie di Wall Street chiamate a svolgere un ruolo decisivo nella valutazione e nella stessa privatizzazione delle imprese pubbliche italiane. Queste finanziarie accedono a dati di grande importanza e delicatezza che riguardano alcune delle più valide imprese europee e si posizionano in assoluto vantaggio come “consiglieri per la privatizzazione”. Naturalmente, tutto secondo una rigida etica professionale e senza conflitti di interesse!

Moody’s e la guerra della lira

Quasi in contemporanea con la nomina del governo Amato, l’agenzia di “rating” newyorchese Moody’s annunciò, con la sorpresa di molti, che avrebbe retrocesso l’Italia in serie C dal punto di vista della credibilità finanziaria. Questo, senza che le cifre del debito italiano fossero cambiate drasticamente (la tendenza al deficit era nota almeno da due anni) e senza alcun rischio di insolvenza da parte dello stato. La giustificazione di Moody’s fu che il nuovo governo non dava sufficienti garanzie di voler apportare seri tagli al bilancio dello stato. Negli ambienti finanziari internazionali, Moody’s è famosa perché usa come arma “politica” la sua valutazione di rischio, tale che beneficia interessi angloamericani a svantaggio di banche rivali o, come nel caso dell’Italia, di intere nazioni. Il presidente della Moody’s, John Bohn, ha ricoperto un’alta carica nel ministero del Tesoro USA sotto George Bush.

La mossa di Moody’s costrinse il governo Amato ad alzare i tassi d’interesse sui BOT per non perdere gli investitori. Essa segnalò anche l’inizio di una guerra finanziaria contro la lira. Secondo fonti ben informate, i più aggressivi speculatori contro la lira, nell’attacco del luglio scorso, furono la Goldman Sachs e la S.G. Warburg di Londra. Ribadiamo che la speculazione ebbe un movente principalmente politico, non finanziario, e che, purtroppo, ebbe successo. L’Italia fu costretta ad abbandonare lo SME e il governo varò un piano di tagli e annunciate privatizzazioni per ridurre il deficit.

Ciò che Amato non ha mai detto è che la svalutazione della lira nei confronti del dollaro ha dato agli avventurieri della Goldman Sachs e delle altre finanziarie di Wall Street un grande “vantaggio”. Calcolato in dollari, l’acquisto delle imprese da privatizzare è diventato, per gli acquirenti americani, circa il 30% meno costoso. Lentamente, specialmente dopo l’ultimo attacco speculativo dell’inizio dell’anno, la lira si va assestando sul valore “politico” di circa 1000 lire a marco, esattamente il valore indicato dalla Goldman Sachs nel luglio scorso come “valore reale” della moneta italiana.

Come mai questa “coincidenza”? Come mai la finanziaria newyorchese ha appena aperto un ufficio operativo in un paese che secondo i suoi criteri sprofonda nella crisi? Come mai un economista come Romano Prodi, “senior adviser” della Goldman Sachs, suggerisce di privatizzare alla grande, vendendo tutte e tre le banche d’interesse nazionale (Banca Commerciale, Credito italiano, Banca di Roma), più il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l’Ina (Convegno presso l’Assolombarda il 30 settembre 1992)?

Lo stesso Prodi, che nel passato è stato a capo dell’IRI, oggi sembra aver sposato completamente la causa neoliberista angloamericana, tanto da aver proposto, a metà novembre, che l’Europa applichi verso i paesi dell’est una politica simile a quella dell’accordo di libero scambio siglato tra Stati Uniti, Messico e Canada (NAFTA). Un tale trattato darebbe il via libera alle grandi imprese per trasferire le loro attività all’est, dove la forza lavoro costa meno (è quanto è avvenuto ai confini tra Stati Uniti e Messico). Ciò aggraverebbe la crisi all’ovest e condurrebbe, nel medio-lungo termine, ad un abbassamento della produttività anche all’est, dato che la manodopera sottopagata è anche meno qualificata.

Il governo italiano deve scartare una simile politica, così come deve abbandonare il circolo vizioso dei tassi d’interesse alti che, per difendere la moneta, alimentano lo stesso deficit che si dichiara di voler combattere. Tra il giugno e il settembre scorso, i tassi sono aumentati paurosamente, da circa l’11% al 20% prima che la lira abbandonasse lo SME. Tuttora la Banca d’Italia mantiene il tasso d’interesse al 13%. Tenuto conto che ogni punto di aumento degli interessi si traduce in 15.000 miliardi in più sul debito dello stato a breve termine, il governo italiano è stato messo alle corde dagli speculatori angloamericani (e dai loro complici italiani) aumentando la pressione per privatizzare a prezzi di svendita.

Andando avanti su questa strada, l’Italia commetterà un suicidio economico. La sola via d’uscita è l’adozione di una politica creditizia nazionale del tipo che ai tempi di Enrico Mattei si sarebbe considerata ovvia. Occorre ripristinare il controllo sui cambi, congelare una parte del debito con una moratoria di 10-15 anni (salvaguardando naturalmente gli interessi dei piccoli risparmiatori), parallelamente all’avvio di una aggressiva politica di investimenti, favorita da crediti agevolati, nelle infrastrutture moderne, in concerto con i partner europei. Per far ciò, occorre che lo stato si riappropri della piena sovranità monetaria, il che significa che per finanziare gli investimenti esso non debba bussare alla porta della Banca d’Italia, la quale ha finora, incostituzionalmente, battuto moneta a nome dello stato per poi rivendergliela a tassi “di mercato”, cioè da usura. I motivi che hanno portato al “divorzio” tra il Tesoro e la Banca d’Italia, e cioè l’improduttivo finanziamento del debito, esistono, ma combattere il malgoverno non significa eliminare il governo. Perciò occorre porre fine al “divorzio” tra Bankitalia e Tesoro.

Una efficace repressione dell’attività di riciclaggio del denaro da parte della mafia, compreso quello investito nei BOT, accompagnata da un astuto cambio della moneta (la famosa “lira pesante”), darebbe alle istituzioni dello stato una posizione di forza e la credibilità e la fiducia popolare. L’alternativa è il caos e la guerra civile.


28 giugno 1993
Come difendere l’industria nazionale dalla speculazione e dalle svendite indiscriminate

Ampia rappresentanza delle forze politiche italiane alla conferenza del Movimento Solidarietà e dell’Executive Intelligence Review

Il Movimento Solidarietà e la Executive Intelligence Review hanno tenuto il 28 giugno 1993 a Milano, presso la sala FAST, una conferenza sul tema dell’economia, affrontando in particolare aspetti come le moderne tecniche di speculazione finanziaria, le privatizzazioni ed i grandi programmi di sviluppo.

La caratteristica forse più singolare della conferenza è stata la partecipazione dei rappresentanti di numerose forze politiche, anche disparate o divergenti, animati dal comune interesse di approfondire la conoscenza del pensiero economico dell’economista americano Lyndon LaRouche e di misurarsi con questo.

Da qui l’opportunità di dedicare il primo numero del bollettino della nuova associazione alla pubblicazione degli atti del convegno, per mettere a disposizione di un più vasto pubblico le analisi e le documentazioni che gli specialisti dell’EIR William Engdahl e Claudio Celani hanno esposto nelle loro relazioni, come pure gran parte dei numerosi contributi con i quali parlamentari, giornalisti e altri partecipanti hanno arricchito e animato il convegno.

“La speculazione selvaggia sui mercati internazionali e la «geopolitica» britannica sono le due facce della stessa medaglia oligarchica”, ha affermato nella sua breve introduzione ai lavori il giornalista dell’EIR Paolo Vitali, moderatore della conferenza. Vitali ha sottolineato che le speranze di milioni e milioni di persone, a seguito della caduta dei regimi comunisti del 1989, non sono state tradite dal fatale sprigionarsi di eventi e forze che non subivano più le strettoie della divisione del mondo in rigide sfere d’influenza, come asseriscono certe teorie sociologiche, ma sono state negate da un preciso piano di destabilizzazione “geopolitico”, che è partito ancor prima del crollo del muro di Berlino, e dalla incapacità e codardia delle forze politiche ed élite europee di reagire a questa nuova e precisa minaccia.

“L’economista e politico americano Lyndon LaRouche, che sconta innocente in un carcere del Minnesota da quasi cinque anni una montatura giudiziaria orchestrata dall’amministrazione Bush” – ha continuato Vitali – “ha tracciato tempo fa il paragone tra le situazione post 1989 con il periodo che precedette la Prima Guerra mondiale. A quel tempo l’oligarchia imperiale britannica sviluppò il concetto della «geopolitica» per far fronte alla minaccia rappresentata dalla potenzialità di sviluppo economico e sociale in tutta l’Europa continentale, l’«Eurasia». Due guerre mondiali, il Trattato di Versailles e l’accordo di Yalta, furono le dirette conseguenze di questa strategia «geopolitica»”.
“Con l’avvicinarsi del crollo della Cortina di Ferro nel 1989, i circoli oligarchici anglo-americani decisero che bisognava a tutti i costi impedire che la riunificazione tedesca costituisse un trampolino di lancio per una nuova politica di indipendenza, integrazione e sviluppo economico per tutto il continente, ripristinando il progetto de Gaulle di «un’Europa dall’Atlantico agli Urali». Gli attacchi alla Germania come «Quarto Reich», partiti dalle più alte sfere londinesi, e fatti propri dai nazi-comunisti serbi, l’aggressione del Panama, la guerra del Golfo, le atrocità interminabili nell’ex Jugoslavia, la destabilizzazione economica dell’Est europeo con le folli «terapie d’urto» dei liberisti, l’eliminazione fisica di chi proponeva un piano alternativo di sviluppo, come il Presidente della Deutsche Bank Alfred Herrhausen, sono tutti aspetti di questa complessa e articolata strategia di destabilizzazione”.

“Questa è la stessa trama destabilizzatrice che in Italia, soprattutto con gli eventi dell’ultimo anno, mira a frantumare le fondamenta stesse del nostro essere nazione sovrana indipendente. Guerre e destabilizzazioni, politiche economiche super liberiste, una speculazione selvaggia che ha trasformato i mercati finanziari internazionali in un’unica casa da gioco d’azzardo, sono elementi solidali di una strategia oligarchica, come contiamo di dimostrare, che o è fermata e sconfitta o può farci sprofondare, in un futuro tutt’altro che lontano, in un altro catastrofico conflitto”.

La piaga della “finanza derivata” e l’economia dell’illusione

Discorso di William Engdahl, esperto economico dell’EIR di Wiesbaden, autore di «A Century of War», un libro che descrive il ruolo del petrolio come un’arma fondamentale nella politica anglo-americana dei Nuovo Ordine Mondiale.

L’Italia è vittima di una destabilizzazione sistematica ad opera di forze coordinate interne ed estere. La componente solitamente meno compresa è quella estera, rappresentata da un cartello di speculatori stranieri impegnati a distruggere il paese con denaro preso a prestito.

Nel 1948 l’Italia era considerata di importanza strategica nella NATO per arginare il diffondersi del comunismo in Europa, in particolare nei Balcani e nel Mediterraneo. In questo contesto di strategia geopolitica una crescita economica del Paese era ritenuta una componente essenziale.

Un discorso differente è invece quello che riguarda l’ indipendenza dell’Italia. Howard K. Smith, un “insider” americano, parlò apertamente della spartizione del bottino della seconda guerra mondiale nel 1949 affermando: “Fino al 1946 le potenze vittoriose si sono disputate gran parte del vuoto lasciato da Hitler (…) l’Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata un’area in cui avrebbe predominato l’ influenza britannica”.

Questo predominio fu rappresentato principalmente dall’influenza che la Mediobanca avrebbe assunto sotto Enrico Cuccia. La Mediobanca fu posta sotto il controllo di fatto della Lazard Freres di Londra, una banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente influente dell’establishment britannico, il Pearson Group PLC. Il Pearson Group controlla anche la rivista «Economist» ed il quotidiano «Financial Times», che si sono recentemente distinti nella campagna di attacchi alle istituzioni economiche e politiche italiane.

Dal 1989 però, e dalla fine del regime comunista di Mosca, l’establishment anglo-americano si è reso conto del fatto che un’Italia economicamente stabile e collegata ad un’Europa continentale che si rafforza attorno ad una Germania riunificata e pro- spera non serviva più agli scopi di un’egemonia globale atlanticista, anzi, rappresentava una minaccia.

La crisi finanziaria in cui sia l’America che l’Inghilterra versavano nel 1989 si avvicinava alle dimensioni della Grande Depressione degli anni Trenta. Per far fronte all’erosione della propria egemonia gli anglo-americani adottarono ulna dottrina tanto semplice quanto folle: cercare in ogni modo di distruggere la stabilità dell’Europa continentale per impedire che essa potesse fungere da polo antagonista all’egemonia globale anglosassone.

Questo è il contesto in cui si colloca tutto ciò che viene fatto contro l’Italia ed il resto dell’Europa.

George Soros e la finanza derivata

Il crac della borsa di Wall Street, nell’ottobre del 1987, coincise con il lancio di una strategia radicalmente nuova da parte delle grandi finanziarie, quali la Salomon Brothers, Merrill Lynch, Morgan Stanley e di grandi banche americane quali la Citicorp, Bankers’ Trust, J.P. Morgan & Co. Il crollo record di 508 punti dell’Indice Dow Jones, verificatosi il 19 ottobre 1987, fu causato da un’incredibile innovazione introdotta nelle transazioni finanziarie. Le grandi finanziarie acquistavano contratti a termine, i “futures”, non di ditte specifiche, ma su interi indici delle azioni borsistiche. Le finanziarie di Wall Street ricorsero ad un trucco, acquistando le “futures” ad un costo inferiore del 10% rispetto alle azioni stesse, ed influenzando così un rialzo del prezzo delle azioni sul mercato di New York. Ma poteva funzionare anche nel- la direzione opposta. Questo portò alla bolla speculativa che esplose il 19 ottobre, con l’effetto acceleratore dei sistemi computerizzati. I computer di Wall Street erano stati preprogrammati in modo da vendere automaticamente al verificarsi di una caduta dei mercati. Fu un gioco che spinse i mercati finanziari verso una paralisi irreversibile, ma a quella paralisi non ci si arrivò solo grazie al precipitoso intervento stabilizzatore da parte delle Banche Centrali. Proprio qui stava il trucco escogitato a Wall Street: avevano inventato un sistema di gioco d’ azzardo in cui non si rischia di perdere! Molto meno rischioso della gestione di un casinò a Las Vegas.

Il gruppo di Wall Street cominciò allora a sperimentare quest’arma terribile sulla borsa di Tokio. Nel novembre del 1989 l’Indice Nikkei Dow toccava i record storici di 39 mila Yen. Ma all’inizio dell’estate successiva quel valore era già dimezzato. A scatenare il tracollo furono le stesse case americane: Salomon Bros. Morgan Stanley, Merrill Lynch, Bankers Trust, Goldman Sachs, con un nuovo apporto dei brokers londinesi.

Una conseguenza delle operazioni per approfittare del drastico ribasso della borsa di Tokio (le cosiddette “put options” o “short-selling”) fu il ritiro pressoché completo degli investimenti giapponesi nel resto del mondo, mentre le banche del Sol Levante versavano nella crisi peggiore del dopoguerra.

Nel frattempo Washington e Londra esercitavano notevoli pressioni sulle altre capitali del Gruppo dei Sette perché favorissero la “liberalizzazione” dei mercati finanziari e la partecipazione al “gioco globale”. All’Uruguay Round dei negoziati GATT per la prima volta si discusse il libero scambio dei servizi finanziari.

Parallelamente alla “globalizzazione” dei mercati finanziari mondiali si verificò senza chiasso uno sviluppo estremamente importante.

Il direttore della Central Intelligence Agency William Webster decise di istituire una nuova sezione della CIA, il Directorate V. Annunciando la decisione a Los Angeles, Webster sottolineò l’ importanza della tendenza alla “globalizzazione dei mercati finanziari internazionali” come un’area d’interesse per la nuova CIA. Finita l’era della guerra fredda, Webster vedeva una nuova missione per la CIA nello spionaggio contro “gli alleati politici e militari dell’America che al tempo stesso sono nostri concorrenti economici”.

Dopo cinque anni di collaudi e affinamenti condotti a Tokio ed a Wall Street le tecniche innovative di Wall Street venivano sottoposte alla prova più ambiziosa: far crollare le valute nazionali, ad onta delle più autorevoli autorità bancarie centrali, mettendo i governi con le spalle al muro. A Wall Street furono introdotti nuovi strumenti finanziari che non avevano alcun collegamento concreto con il flusso reale di scambi commerciali e di investimenti. A questi strumenti fu dato il nome di “derivatives”, o finanza derivata.

A Wall Street svilupparono le operazioni nel regno dei tutto astratto dei contratti finanziari a termine, che poi furono estese anche alle valute; si stabilì così un mercato di “futures” tra vari paesi e non solo nell’ambito di una sola borsa. Si scommette sul prezzo futuro di una valuta rispetto ad un’altra, ad esempio il marco rispetto al dollaro, oppure sul valore di un titolo di stato di un paese rispetto a quello di un altro, ad esempio entro una scadenza di 90 giorni.

Si tenga ben presente però che l’oggetto della compravendita non è un Buono del Tesoro italiano e un qualsiasi altro corrispettivo straniero, ma si scommette, così come si fa alle corse, sul loro valore entro una data scadenza.

Le grandi finanziarie di Londra e di Wall Street si attrezzarono con i sistemi di Contrattazione computerizzata che collegarono con le principali piazze finanziarie internazionali realizzando così la globalizzazione finanziaria di cui parlava Webster.

I nuovi contratti furono chiamati “derivati” in quanto il loro prezzo deriva da un titolo azionario o finanziario reale, o da una merce, ma non esiste un collegamento con la sua diretta proprietà. A Chicago, ad esempio, iniziarono la contrattazione di contratti a termine dell’indice del Nikkei Dow di Tokio, e lo stesso fecero da re. A Tokio non svolgevano contrattazioni simili e non ne capivano l’importanza. Gli sforzi del ministero delle Finanze nipponico per ottenere la cooperazione di Singapore a sospendere tali scambi fallirono in blocco. Gli organi d’informazione statunitensi e britannici criticarono quell’iniziativa giapponese come “passata di moda”.

La Moody’s crea l’ambiente controllato

Nei giorni successivi al “no” danese nel referendum del 2 giugno 1992 sul Trattato di Maastricht gli “insider” di Wall Street prepararono il grande attacco. Nel luglio 1992 gli operatori più importanti furono messi al corrente del fatto che “entro la fine dell’anno ciascuna moneta dello SME in Europa avrebbe cominciato a fluttuare liberamente”. I manager delle finanziarie decisero pertanto di sbarazzarsi dei titoli e delle valute europee. Tra i candidati più ovvi per tale svendita spiccavano l’Italia, come pure l’Inghilterra.

Ciò di per sé però non bastava. Il rischio era troppo alto e bisognava andare invece sul sicuro, perché sullo SME vegliava uno schieramento di alcune tra le più potenti banche centrali del mondo, a partire dalla Bundesbank, legate da un patto di reciproca difesa. A questo punto si ricorse ai servigi della Moody’s Investor Service, una ditta che stabilisce il “rating” a Wall Street, stabilisce cioè il grado di affidabilità dei titoli.

Anni addietro l’Italia aprì le porte agli investimenti stranieri, e vi fu costretta per finanziare il deficit, dando anche agli stranieri l’opportunità di acquistare Buoni dei Tesoro. Bastava allora convincere questi investitori stranieri che il debito statale italiano valesse poco più di quello di un paese come la Bolivia, ed essi si sarebbero precipitati a liquidare quei titoli, costringendo così la Banca d’Italia ad offrire tassi di interesse sostanzialmente più alti per i nuovi Bot.

Questo è il compito che la Moody’s ha assolto a partire dal giugno dello scorso anno. Iniziò annunciando di aver posto il debito italiano nella lista del “credit watch”, cioè sotto osservazione per una probabile retrocessione, benché non si stesse verificando alcuna crisi di solvibilità. Poi ci fu la serie di retrocessioni del debito italiano decretate dalla Moody’s seguite ogni volta da un rialzo dei tassi di interesse che il Tesoro era costretto ad offrire agli acquirenti dei suoi titoli.

Ogni aumento dell’l% del tasso d’interesse sul vasto debito pubblico italiano significa un aumento medio del deficit governativo di circa 17 mila miliardi di lire, che in pochi minuti brucia i disperati tagli effettuati sulla spesa pubblica. Le nuove emissioni a tassi maggiorati erano interpretati dalla Moody’s come un nuovo segnale di “inaffidabilità”, e giù un altro votaccio sulla pagella dell’Italia. Si tratta evidentemente di un circolo vizioso deliberatamene messo in moto dalla Moody’s che culminò nel settembre scorso!

Ma cos’è questa Moody’s, questo ente privato che ha finito col decidere il destino di nazioni e governi sovrani? Chi gli conferisce tanta autorità? Perché ad esempio non ha dato pollice verso anche agli Stati Uniti, visto che il debito pubblico di quel paese ha superato i 4 mila miliardi di dollari?

Nel mondo finanziario la Moody’s è famosa come “la più politica” agenzia di “rating”. È presieduta da John Bohn, che nell’amministrazione di Bush era un funzionario ad alto livello del Tesoro. Mentre votava una retrocessione dopo l’altra dell’Italia l’estate scorsa la Moody’s dava un rapporto molto positivo sulle grandi banche, come la Citicorp, che avevano esteso prestiti all’impero immobiliare canadese Olimpia & York di Paul Reichmann finito in una bancarotta clamorosa. I Reichmann erano legati politicamente ad Henry Kissinger, a lord Carrington ed all’oggi famoso George Soros. La Moody’s e premurosa con gli amici.

La cosa è persino più palese. Proprietaria della Moody’s è la Dun & Bradstreet Inc. che è anche proprietaria del Wall Street Journal. Nel consiglio d’amministrazione della Dun & Bradstreet figurano i principali direttori delle più importanti finanziarie di Wall Street che hanno condotto la speculazione contro la lira, e che sono anche quelle che al tempo stesso “prestavano consulenze” al governo italiano su come condurre il delicato processo di privatizzazione delle imprese di stato. II conflitto d’interessi è ovvio.

Nel consiglio d’amministrazione della M.J. Evans, strettamente legata alla Moody’s, figura un personaggio che al tempo stesso è nel consiglio di amministrazione della Morgan Stanley ed un altro ancora, R.A. Hansen, figura nella direzione della ,J.P. Morgan e della Merrill Lynch! Un altro ancora è Charles Raikes, che è stato consigliere della Federal Reserve dal 1958.

George Leung, amministratore delegato della Moody’s Investors Service, dichiarava su Financial World del 18 febbraio: “La gente è sempre più disillusa nei confronti del governi, sempre più preoccupata degli imbrogli e problemi che vede nei governi e finisce col cercare qualcuno che possa indipendentemente far luce su tanta confusione. Questo è il nostro ruolo”. Questa dichiarazione d’intenti è anteriore alla campagna della Moody’s contro l’Italia. Chi ha affidato alla Moody’s il potere di decidere sulle nazioni? Nessuno. Moody’s ha colmato il vuoto creatosi con la paralisi dei governi, costringendo ad accettare i propri diktat con la minaccia di voti sfavorevoli sul debito. La Moody’s però ha solo preparato il terreno. L’attacco alla lira è stato sferrato dalla speculazione della finanza derivata, diretta a colpire il “fianco debole” dello SME.

George Soros ed i suoi amici

Con l’avvicinarsi in Francia della scadenza referendaria su Maastricht del 19 settembre,un raggruppamento di banche e speculatori di Wall Street, diretto da George Soros, uno strano personaggio di origine ungherese, lanciò una formidabile ondata speculativa per costringere la lira a svalutare ed uscire di conseguenza dallo SME.

Ecco come funzionò.

La finanza derivata, teniamolo presente, consiste in scambi in cui non si cedono o acquistano azioni o titoli reali, ma che rappresentano solo un accordo tra le due parti a compiere pagamenti ad una futura scadenza in rapporto al rendimento di una merce o una valuta. L’esempio tipico è dato da una banca che compie un’operazione commerciale “derivata” mettendo a disposizione soltanto il 10% dei valore nominale del contratto, cioè il deposito di garanzia. Grazie ai collegamenti personali con banche come la Citicorp di New York, George Soros è stato capace di far crollare la lira e la sterlina, come pure la corona svedese, il tutto soltanto con denaro preso a prestito, senza versare più del 5% per il margine di garanzia collaterale!

In sostanza Soros ha dato come garanzia soltanto 50 milioni di dollari di titoli per ottenere una linea di credito, dalla Citicorp ed altre banche, di un miliardo di dollari. Un prestito a tempi brevissimi, per scommettere sulla svalutazione forzata della lira nei giorni in cui in Francia si teneva il referendum! Il rapporto speculativo del suo denaro è stato di 20:1. Dal canto loro la Bundesbank, la Banca d’Italia e le altre banche per difendere la propria valuta hanno invece dovuto sborsare il prezzo completo degli acquisti. Si stima che la Bundesbank abbia speso a settembre 60 miliardi di dollari nelle varie operazioni di difesa delle monete dello SME. Utilizzando i “derivatives”, Soros e Wall Street hanno potuto spuntarla sulla Bundesbank con soli 3 milioni di dollari (20:1) !

In una tipica operazione di swap con i “derivatives” condotta da Soros lo scorso autunno si sono acquistate lire con i dollari, le lire sono poi state convertite in marchi tedeschi al tasso fisso di cambio dello SME. Poi è stata la volta della Moody’s a declassare l’Italia, mentre gli organi di informazione internazionali si davano da fare a descrivere la gravità della crisi economica e politica del paese. Le corporation hanno avuto paura ed hanno cominciato a vendere lire. La valuta italiana è così passata da 765 lire contro il marco all’inizio di settembre alle 980 lire solo quattro settimane più tardi.

A quel punto Soros poteva acquistare lire fortemente scontate (il 28% in meno) e ripagare il suo debito iniziale, prima che scadesse la data del suo contratto, per il quale aveva inizialmente versato solo il 5%. II profitto che ne ha ricavato si calcola sul 560%, cioè circa 280 milioni di dollari. Ma nessuna autorità di vigilanza sarebbe potuta intervenire perché l’operazione è stata condotta “fuori registro”, o come si suoi dire “Over-the-Counter”, direttamente tra le due parti interessate senza altre formalità.

Naturalmente, se la lira si fosse rivalutata del 5% l’impero di Soros sarebbe stato spazzato via all’istante. Soros però non è soltanto un giocatore d’azzardo “fortunato”.

Intendo infatti spiegare che Soros è riuscito a condurre le sue recenti operazioni speculative in grande stile perché ha accesso alle informazioni più riservate dei centri di potere. Nel caso della crisi dello SME, come poteva sapere Soros quale delle 12 valute sarebbe stata colpita in quale giorno preciso?

Ex funzionari della Federal Reserve USA spiegano privatamente che Soros ha ricevuto informazioni riservate da parte di un amico che nella Federal Resene di New York lavora nel settore delle valute internazionali. La Fed di New York dispone, minuto per minuto, delle informazioni sull’andamento delle monete direttamente dalle banche centrali europee. Se Soros può disporre di tali informazioni il suo gioco è garantito.

Ma chi c’è dietro questo personaggio misterioso? Soros opera attraverso la Quantum Fund NV, una compagnia off-shore registrata nelle Antille Olandesi.

Opera insieme ad un raggruppamento internazionale che potrebbe essere chiamato il gruppo dei Rothschild. Nel consiglio di amministrazione della Quantum Fund figura Nils Taube, socio d’affari di lord Rothschild, e sir James Goldsmith, imparentato ai Rothschild. Altro membro del Quantum è Richard Katz che a Milano dirige la Rothschild Italia, S.p.A. Altri esponenti del Quantum sono Isidore Albertini della ditta di brocheraggio milanese Albertini & Co.; Alberto Foglia, capo della Banca del Ceresio di Lugano; e Edgar Picciotto, un socio di affari di Carlo de Benedetti. Picciotto dirige inoltre la CBITDB Union Bancaire Privée di Ginevra.

Si dice poi che al Quantum partecipino segretamente anche Marc Rich, uno svizzero latitante che operava nel settore dei metalli preziosi e del petrolio, ed il mercante di armi israeliano Shaul Eisenberg. Soros inoltre è colui che ha introdotto in Polonia ed in Russia il professore di Harward Jeffrey Sachs, il guru della terapia d’urto che causa il caos economico incontrollabile e profitti astronomici per gruppi ristretti di potere. Degno di nota è il fatto che Marc Rich ed Eisenberg sono stati tra gli investitori più attivi nell’Europa orientale e nel CSI a partire dal 1990.

Torniamo alla “Dottrina Webster” della CIA, promulgata nel 1989. All’epoca di Bush Washington era impegnata a sabotare l’unità economica europea. L’estate scorsa il governo USA fece strane dichiarazioni che ebbero l’effetto di scuotere le parità delle monete europee in rapporto al dollaro, come fase preliminare della crisi di settembre. Responsabile di quella operazione fu l’allora viceministro del Tesoro David Mulford, che oggi presiede la Credit Suisse First Boston di Wall Street. Prima di andare a Washington nel 1982 Mulford era uno dei direttori della Merrill Lynch, quando allora era presieduta da Donald Reagan, che andò anche lui a Washington come ministro del Tesoro sotto il Presidente Reagan.

Degno di nota è che una delle primissime nomine fatte dal Presidente Clinton riguarda Robert Rubin, presidente della Goldman Sachs, finanziaria più prestigiosa di Wall Street. Oggi Rubin è il Direttore dei nuovo Consiglio di Sicurezza Economica Nazionale della Casa Bianca. Esperti osservatori di Washington ritengono che il nuovo consiglio sia stato creato per coordinare l’applicazione della Dottrina Webster direttamente dalla Casa Bianca.

Le alte sfere della CIA, magari attraverso ex funzionari, hanno fatto opera di reclutamento nei consigli di amministrazione delle grandi finanziarie di Wall Street. Ai dirigenti delle finanziarie che accettano, la CIA impartisce un particolare addestramento ed essi tornano poi al loro mondo di Wall Street. Conosco personalmente un banchiere svedese che è stato invitato a Washington il novembre scorso ad un seminario dove l’ex capo della CIA William Colby teneva un discorso sul tema della nuova missione di spionaggio economico dei servizi segreti USA. Colby è personalmente impegnato a reclutare i dirigenti delle grandi finanziarie spiegando loro che adesso i mercati finanziari globali sono considerati un “area di interesse della sicurezza nazionale USA”. Il seminario era sponsorizzato dalla Merrill Lynch e dalla Borsa di New York.

L’esplosione della finanza derivata

“Senza la crescita enorme delle operazioni speculative della finanza derivata la crisi dello SME non si sarebbe mai verificata”, ha affermato recentemente un esperto banchiere europeo. Mentre nel 1987 le banche centrali furono in grado di difendere la stabilità dello SME a costi minimi, nel 1992 esse sono state ridotte all’impotenza dai meccanismi della finanza derivata.

Invece di svolgere una regolare attività di compravendita nei mercati a termine regolari, come quello di Chicago, dove le banche sono costrette a versare un deposito di garanzia ed a rendere nota quotidianamente la propria esposizione creditizia, i grandi di Wall Street eludono la sorveglianza del governo trattando direttamente, “Over the Counter”, tra banca e banca o tra banca e finanziarie straniere. La transazione non figura nel bilancio della banca cosicché gli investitori non possono sapere quanto è il rischio che l’istituto in questione corre di fronte ad un crollo del già enorme mercato dei “derivatives”.

La classifica dei grandi speculatori in “derivatives” era guidata lo scorso anno dalla Citicorp, che vantava operazioni per circa 1400 miliardi di dollari. Seconda era la Chemical Bank con 1300 miliardi di dollari, terze a pari merito la J.P. Morgan e la Bankers Trust, con mille miliardi di dollari ciascuna. Sono contratti che riguardano azioni, petrolio, obbligazioni come pure gli swap internazionali di valuta e gli swap dei tassi d’interesse. Per quanto riguarda queste ultime due voci, i contratti “derivati” oltre confine hanno già raggiunto l’astronomico ammontare di 4 mila miliardi di dollari.

La graduatoria dell’esposizione su questo mercato dei contratti “derivati” continua con la Merrill Lynch, per 720 miliardi di dollari, la Salomon Bros., con 730 miliardi di dollari e la Morgan Stanley con 300 miliardi di dollari. Queste attività hanno aperto tutto un vasto settore di informatica bancaria sofisticatissima, che impiega i supercomputer CRAY per processare i dati in parallelo, necessari per gestire la contrattazione automatica senza frontiere che avviene grazie a programmi capaci di far fronte ai complessi problemi di calcolo del rischio a variabile multipla. Ma, a parte questi aspetti pittoreschi, a fare profitti con la speculazione “derivata” so- no solo gli “insider traders” di New York. Il gioco d’azzardo è truccato, con la complicità di Washington. Cercare di capire gli aspetti “tecnici” della manovra con la quale Soros è riuscito ad intascare un miliardo di dollari di profitti speculando sulla sterlina a settembre è fatica sprecata. Certo è però che giornali finanziari quali il Wall Stret Journal ed il Financial Times fanno il possibile per destare l’impressione opposta.

Il che fare

Governi e banche centrali dell’ Europa continentale hanno sin ora respinto le nuove tecniche speculative della finanza derivata. Alcuni banchieri svizzeri e tedeschi sono convinti che l’offensiva condotta dagli anglo-americani con la finanza derivata sia “più pericolosa di una guerra nucleare con la Russia”. Il 24 novembre, poco dopo la crisi dello SME, il direttore generale della Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea Alexander Lamfalussy ha dichiarato ad un gruppo di banchieri a Londra: “Volete sapere perché molti colleghi delle banche centrali nutrono le mie stesse preoccupazioni che queste attività possano rappresenta- re problemi di natura sistemica nel sistema finanziario internazionale?” Lamfalussy teme il ripetersi del fenomeno verificatosi col crac borsistico del 1987: “l’attività sui mercati derivati potrebbe avere notevoli ripercussioni nei sotto- stanti mercati a pronti, al punto da accentuare proprio quella instabilità dei prezzi contro la quale si pensava di dare un’assicurazione con alcuni strumenti derivati”.

Lamfalussy ha inoltre spiegato che la grande esposizione negli strumenti fuori bi- lancio da parte delle banche “ha reso più opaca la natura e la distribuzione del rischio nelle operazioni sul mercato finanziario”. Ha infine prospettato lo scenario peggiore: “Qualora si verificasse un problema in un istituto le altre ditte reagirebbero immediatamente e drasticamente. Potrebbero ritirare improvvisamente ed indiscriminatamente linee di credito, e persino disimpegnarsi da operazioni in corso. Il tutto aumenterebbe la possibilità del verificarsi improvviso di un blocco globale di liquidità”.

Anche un personaggio di spicco a Wall Street come Henry Kaufman, che è stato il primo economista della Salomon Brothers, si è detto preoccupato perché la speculazione “derivata” fa intravedere “una prossima catastrofe colossale perle banche americane”. Altri così bollano queste novità nel sistema finanziario: “ventiseienni con il computer stanno costruendo la bomba all’idrogeno finanziaria.” Tuttavia non fanno nulla per controllare la situazione. La primavera scorsa Lamberto Dini condusse uno studio per il Fondo Monetario Internazionale, ma il suo rapporto è stato praticamente censurato, la stampa non ha ottenuto delle copie. Ad una mia domanda nel corso di una conferenza a febbraio, Lamberto Dini ha risposto: “Le banche americane e londinesi svolgono il grosso delle attività in questo processo. Dobbiamo determinare innanzitutto cosa stia effettivamente accadendo.

Alcuni segni di resistenza

Più recentemente il Presidente della Commissione Finanza e Banche del Congresso USA, l’on. Henry Gonzalez, ha richiesto alla Federal Reserve ed alla Commissione “Securities & Exchange” del governo di condurre un’indagine approfondita sulle attività all’estero del Quantum Fund di George Soros. Gonzalez ha chiesto di sapere come Soros possa fare profitti astronomici come quelli di settembre, quanto del suo capitale provenga dalle banche americane, in che misure le banche USA siano coinvolte nelle speculazioni di quel fondo, ed il ruolo specifico degli strumenti finanziari derivati nelle grandi manovre speculative di Soros. Questa è solo la superficie dei fatti.

Dietro le quinte infuria uno scontro tra le autorità bancarie europee e quelle americane. Le autorità d’oltre oceano sono radicali, ritengono che le banche statunitensi abbiano il diritto di non imporre alcuna restrizione alla finanza derivata. Ritengono infatti che questo sia il modo migliore di allentare la pressione sulle grandi banche USA, che disporrebbero in questo modo di maggiori capitali. Praticamente permettono che venga assicurato solo il margine netto di rischio, e non tutto il contratto. Le autorità di vigilanza europee non permettono una cosa del genere. Ritengono che sia dovere della banca assumersi al completo il rischio di un’insolvenza su tutto il valore nominale di un contratto.

Lo scorso ottobre il Congresso degli USA approvò la Futures Trading Practives Act of 1992, una legge che prevede che gli swap Over the Counter, cioè i contratti a pronti e termine di valuta o sui tassi di interesse che avvengono tra le due parti senza essere registrati, non rientrino più nella categoria dei “futures”, dei contratti a termine, dando vita in tal modo ad una proliferazione cancerosa di carta finanziaria fuori dal controllo di qualsiasi autorità.

L’economista americano Lyndon LaRouche ha recentemente lanciato la proposta di imporre una tassa globale e ben coordinata su queste attività speculative, perché tassarle sarebbe il modo migliore di renderle meno attraenti per gli speculatori e quindi sgonfiare la pericolosa bolla. LaRouche ha proposto una tassa dello 0,1 % sul valore nominale, non sul valore “netto”, di ciascuna transazione derivativa. “Questa è la bolla di John Law (nella Francia del 18mo secolo) all’ennesima potenza. La vulnerabilità di tutto il sistema finanziario, il caos e la distruzione delle strutture di produzione fisica sono potenzialmente incalcolabili, pertanto occorre mettere sotto controllo il fenomeno”. La settimana scorsa intanto George Soros ha fatto sapere che tornerà alla carica. Questa volta è deciso a spezzare uno degli elementi portanti della coesione europea: il suo nuovo obiettivo è quello di spezzare il legame che unisce il marco tedesco al franco francese.

 

I protagonisti della destabilizzazione italiana

Discorso di Claudio Celani, italian desk dell’EIR di Wiesbaden.

All’inizio dei gennaio scorso, l’EIR pubblicò un documento intitolato “La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di un’economia nazionale”. In quello studio, inviato ad alcuni organi di stampa, alle forze politiche ed alle istituzioni, si delineava un quadro preoccupante di attacco all’economia italiana nel contesto della cosiddetta “globalizzazione dei mercati”, cioè la realizzazione di un unico sistema economico mondiale in cui non vi sarebbe stato più alcun controllo sui movimenti e sulla creazione di capitali.

In quel documento si riferiva un episodio passato inosservato, e che invece rivestiva una grandissima importanza. II 2 giugno 1992, a pochi giorni dalla morte del giudice Falcone, si svolgeva una riunione semisegreta tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, ed i manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri nel governo Amato. Oggetto di discussione: le privatizzazioni. La cosa più grave è che questa riunione si svolse sul panfilo Britannia, di proprietà della regina Elisabetta II, la quale fu presente ai colloqui. Il Britannia, dopo aver imbarcato gli ospiti italiani a Civitavecchia, prese il largo ed uscì dalle acque territoriali. Avvenne dunque che i potenziali venditori delle aziende da privatizzare (governo e manager pubblici) discussero di ciò con i potenziali acquirenti, i banchieri londinesi, a casa di questi ultimi. Non sappiamo che cosa si siano detti questi signori, sappiamo solo che il direttore del Tesoro Mario Draghi provò tale imbarazzo che chiese di poter leggere il suo discorso quando il panfilo era ancora in porto, per poter scendere subito ed evitare di rimanerci quando questo prese il largo.

Sappiamo dell’imbarazzo di Draghi perché un settimanale, L’Italia, riprese l’articolo dell’EIR, citando la fonte, ed un parlamentare missino, Antonio Parlato, che lo lesse, presentò un’interrogazione parlamentare, anzi, poté rivolgere una domanda allo stesso Draghi, che quel giorno riferiva su altre questioni in Commissione Bilancio. In seguito, la notizia fu ripresa da numerosi organi di stampa, anche grazie al fatto che l’ex segretario del PSI Bettino Craxi aveva diffuso il documento dell’EIR alla Camera. Ci furono quindi numerose interrogazioni parlamentari (a Parlato, che ne fece mi sembra tre, si aggiunsero l’on. Tiscar, qui presente, e gli on. Pillitteri e Bottini) e altre sollecitazioni ufficiali (la senatrice Edda Fagni citò questo fatto nel discorso al Senato il giorno del voto di fiducia al governo Ciampi), ma né il governo di allora, guidato da Giuliano Amato, né quello attuale si sono sentiti in obbligo di fornire un chiarimento all’opinione pubblica ed al Parlamento.

Insisto su questo fatto perché mi sembra emblematico del modo in cui vengono prese le decisioni che determinano il futuro del nostro paese, cioè di milioni di cittadini che lavorano e pagano le tasse, ed hanno bisogno di avere fiducia in coloro che li rappresentano, che devono compiere scelte riguardanti il loro futuro, il loro posto di lavoro, i loro risparmi, i loro figli ecc.

Ebbene, il fatto del Britannia mostra che scelte decisive, come quelle delle privatizzazioni, vengono fatte al di fuori del Parlamento e addirittura in sedi così lesive dell’onore e della dignità nazionale come il panfilo della regina Elisabetta d’Inghilterra!

Su quel panfilo, siamo venuti a sapere, c’era anche l’attuale ministro degli Esteri Beniamino Andreatta, un personaggio che, benché non diriga personalmente un dicastero economico, entrò nel governo Amato proprio per accelerare il processo di privatizzazioni e tuttora, ne siamo certi, quando partecipa alle riunioni di gabinetto certamente dirà la sua in materia economica, anche per- ché di politica estera sembra capire ben poco. Ebbene, Andreatta dovrebbe come minimo chiari- re dinanzi al Parlamento che cosa disse e che cosa fece quel giorno sul Britannia e, nel caso emergano elementi compromettenti, dare le di- missioni. Noi siamo sicuri che Andreatta abbia qualcosa da raccontare, anche perché, analizzando il suo comportamento da ministro degli Esteri, si riscontrano evidenti coincidenze.

Guarda caso, infatti, l’ospite illustre della regina Elisabetta è anche quello che non appena messo piede alla Farnesina accoglie entusiasticamente la proposta britannica di mandare gli eserciti in Bosnia, a farsi massacrare dalle artiglierie serbe.

Andreatta, infatti, noncurante delle dichiarazioni dei nostri capi militari sul fatto che sarà una carneficina (non abbiamo nemmeno le corazze adatte sui nostri carri) afferma con disinvoltura che se è necessario si rivedrà il bilancio, quello stesso bilancio che fino ad un momento prima era una vacca sacra, intoccabile.

Preciso: non si tratta di essere contrari ad un intervento militare risolutore, ma esso va fatto senza mandare truppe coloniali sul territorio, bensì riarmando i bosniaci in modo che possano difendersi ed assistendoli cori l’aviazione.

Invece il comportamento di Andreatta è la prova che esiste un legame, come è stato detto nella introduzione, tra la strategia liberista, della “terapia d’urto” e delle privatizzazioni, e la geopolitica applicata nei Balcani per intrappolare l’Europa in uno scenario di conflitti. Quel documento dell’EIR, comunque, inquadrava l’episodio del Britannia in uno scenario più ampio, di vera e propria destabilizzazione politico-economica del paese. Come abbiamo sentito prima, la strategia geopolitica anglo-americana considera l’ Italia, assieme ai Balcani, il fianco sud, il “ventre molle” di un potenziale blocco di sviluppo euroasiatico, e per questo l’Italia viene colpita.

Che la destabilizzazione fosse in arrivo lo si sapeva da quando l’allora capo della CIA sotto Bush, William Webster, annunciò che, come conseguenza del crollo del comunismo, l’apparato di spionaggio USA avrebbe impegnato le sue risorse in una strategia volta a contrastare i rivali economici: l’Europa ed il Giappone. Webster enunciò la nuova dottrina proprio mentre il Muro stava cadendo, il 19 settembre 1989, di fronte al World Affairs Council di Los Angeles. La Dottrina Webster è uno dei pilastri del “nuovo ordine mondiale” inaugurato sotto la presidenza Bush. L’altro pilastro, più concepito per le nazioni del Terzo Mondo, è la cosiddetta “Dottrina Thornburgh”, secondo cui la legge americana è al di sopra del diritto internazionale. La Dottrina Thornburgh, dal nome dell’ex ministro della Giustizia USA, è quella che ha giustificato l’invasione del Panama.

Ed abbiamo, in coincidenza con questi sviluppi, l’apertura di una sede italiana della Bishop International, un’agenzia di informazioni operante nel mondo dell’economia, affiliata ad un altro ente simile, più noto, che si chiama Kroll International. Kroll è un ex agente della CIA che si è dato una copertura da “businessman” ma continua a lavorare per i vecchi padroni. Fu la Kroll, infatti, a raccogliere e divulgare informazioni sulle imprese europee che avevano fornito all’Irak materiale e tecnologia ritenuti “indesiderati” dall’ amministrazione Bush. Ebbene, Bishop è un ex agente di Scotland Yard che ha lavorato per anni con Kroll e poi si è messo in proprio a raccogliere “informazioni economiche”. Bishop ha aperto una filiale a Milano l’estate scorsa.

Ma l’iniziativa su scala più vasta sinora intrapresa nell’ ambito della Dottrina Webster ci sembra quella di Robert McNamara, il quale ha fondato nel maggio scorso un organismo internazionale chiamato “Transparency International”, il cui scopo sarebbe quello di combattere la corruzione su scala mondiale. Ora, è bene che noi italiani guardiamo con attenzione a ciò, perché dobbiamo evitare che nella sacrosanta lotta alla corruzione intrapresa a casa nostra (grazie a inquirenti che si sono svegliati dopo quarant’anni di letargo) ci affidiamo a metodi e “consigli” d’oltreoceano, se non addirittura a strutture investigative che sfuggono al controllo nazionale o sono influenzate da centri occulti. Questo vale sia per i reati amministrativi che per la lotta alla mafia.

Osserviamo da vicino l’iniziativa di McNamara. Innanzi tutto sorprende che un personaggio del genere scopra la vocazione per la giustizia. McNamara divenne famoso col nomignolo di “bodycount” (contacadaveri) quando era ministro della Difesa, durante la guerra del Vietnam. Quel nomignolo gli fu affibbiato perché compariva quasi ogni sera in televisione per vantarsi delle migliaia di nemici uccisi. Poi fece una famosa riforma al Pentagono, introducendo la dittatura dei ragionieri. Lui è fautore di una concezione economica di tipo assolutamente contabile, cioè non importa che cosa si produce ed a quale scopo, basta che il bilancio quadri. Andrebbe molto d’accordo col nostro Barucci o Andreatta. E’ il modo di pensare tipico dei banchieri usurai, i veri padroni di questo “tecnico” che ha rivestito posizioni di potere senza essere mai eletto.

Transparency International esibisce alcuni nomi famosi come fiore all’occhiello, come l’ex ambasciatore di Carter alle Nazioni Unite, Andrew Young, o l’ex presidente dei Costarica Arias (su quest’ultimo ci sarebbe da ridire), ma non saranno costoro a combattere la “corruzione”. Il compito sarà svolto dallo staff di funzionari, tutti provenienti dalla Banca Mondiale e dal Dipartimento di Stato americano. Transparency si occuperà di “consigliare” i paesi del Terzo Mondo e del settore in via di sviluppo, nonché quelli dell’ Europa dell’est, su quali contratti stipulare con le nazioni dell’OCSE, e quali no.

Al proposito è istruttivo leggere un articolo apparso sul quotidiano di Berlino Tageszaitung il 7 maggio scorso, articolo in cui veniva intervistato il direttore di Transparency, l’ex manager della Banca Mondiale Peter Eigen. Il vero obiettivo di Transparency sembra quello di impedire il trasferimento di tecnologia dall’Europa ai paesi in via di sviluppo. Gli acquisti di impianti ad alta tecnologia, macchine ecc., comportano infatti transazioni finanziarie elevate, all’interno delle quali, dichiarano quelli di Transparency, possono facilmente celarsi tangenti e bustarelle. I crociati della lotta alla corruzione si tradiscono quando parlano di “progetti superflui”: questa è la tradizionale politica malthusiana della Banca Mondiale, che ha sempre elargito i suoi scarsi finanziamenti a progetti di bassa produttività.

Non a caso l’organismo di McNamara ha scelto come sede Berlino ed ha annunciato che per il 1993 si prefigge l’obiettivo di stipulare contratti di consulenza con sei nazioni dell’Europa orientale. Sarà dunque l’ex carnefice del Vietnam a decidere che cosa i paesi dell’Europa dell’est acquisteranno dalla CEE e che cosa non acquisteranno. Naturalmente, c’è sempre lo zio Sam a fornire gli stessi beni senza bustarelle, cioè con tangenti “legali” del 5%.

Un altro protagonista della destabilizzazione economica è la più grande finanziaria di Wall Street, la Goldman Sachs. Nel nostro documento indicavamo come la G. Sachs avesse svolto un ruolo nel crollo della lira, dapprima annunciandone la sopravvalutazione ed indicando nel livello di 1000 lire al marco il tasso di cambio che essa riteneva realistico, poi buttandosi a vendere lire per contribuire a ottenere quel risultato. La Goldman Sachs si è posizionata sul mercato italiano aprendo l’anno scorso un ufficio “operativo” a Milano. Sorge quindi lecito il sospetto che la svalutazione della lira di circa il 30% serva tra l’altro a rendere più appetibili i pezzi delle ex PPSS che lo Stato ha deciso di mettere in vendita, e che andranno sicuramente ad acquirenti stranieri visto che nessuno in Italia ha i capitali a sufficienza. Il comportamento di un personaggio come Romano Prodi, nominato dall’ex governatore Ciampi a presidente dell’IRI, conferma questi sospetti. Già un anno fa Prodi aveva esposto le sue idee in materia di privatizzazioni: privatizzare tutte le banche d’interesse nazionale, più il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l’Ina. Ora, se crediamo ai resoconti di una sua intervista al Wall Street Journal, dichiara che non solo tutto delle ex PPSS si può vendere, ma anzi, le aziende vanno prima risanate e poi vendute. Quindi, prima le risaniamo con i soldi dei contribuenti italiani, poi le vendiamo a chi, ai soliti stranieri? Romano Prodi era fino a qualche tempo “senior adviser” della Goldman Sachs, e non ci risulta che si sia dimesso dalla carica. Allora deve decidere se fa gli interessi di Wall Strect o quelli dell’Italia. Oppure quelli del finanziere speculatore Soros, con cui collabora nei progetti di saccheggio dell’Europa orientale. Infatti, Prodi faceva parte del pool di economisti, assieme al famoso Jeffrey Sachs, che mise a punto il cosiddetto Piano Shatalin, un piano per la riconversione economica dell’ex URSS ideato da Soros, così radicale che fu respinto a suo tempo da Gorbaciov 1990-91).

Prodi è dunque collegato agli ambienti che speculano contro la lira, che saccheggiano l’economia dell’Europa dell’est ed hanno permesso in quei paesi un saldo insediamento della mafia. E’ legittimo, quindi, il sospetto che la liquidazione dell’IRI, col passaggio in mano straniera delle migliori aziende, ad alto contenuto tecnologico, sia stata già decisa e che Prodi sia un semplice esecutore delle volontà degli ambienti internazionali a cui è legato.

Non si tratta di sostenere il “socialismo reale” se si dubita che, per definizione, il privato sia meglio del pubblico.

In generale, la presenza dello stato dovrebbe limitarsi alle infrastrutture, in primis l’energia, ma anche i trasporti, la scuola e la sanità. Ma proprio il caso italiano mostra che, laddove essa è guidata da manager onesti e competenti, l’impresa pubblica è in grado di competere in quanto ad efficienza e risultati con quella privata. Se ciò non avviene è solo dovuto al fatto che non abbiamo più dirigenti del calibro di un Enrico Mattei. Ricordiamo che ai tempi di Mattei l’IRI, un complesso che ci era invidiato all’estero perché era in grado di fare tutto, moltiplicava ogni lira investita per sei-sette volte. Solo il Progetto Apollo della NASA ha saputo fare di meglio.

Dai pochi elementi qui presentati, potrebbe concludersi che c’è una destabilizzazione voluta dell’economia italiana? Certamente, anche se qualcuno potrebbe ribattere su ogni singolo punto offrendo una spiegazione diversa. Ciò che ci fa affermare con sicurezza che la destabilizzazione esiste, non è tanto un ragionamento di tipo deduttivo, cioè un’ipotesi desunta solo dagli elementi fattuali, come farebbe Sherlock Holmes o la FBI. Il fatto da cui bisogna partire è che coloro che oggi propongono la ricetta liberistica, privatizzazione più tagli, sanno benissimo che questa ricetta non funziona (basta vedere lo stato in cui è ridotta l’economia inglese) e che, anzi, essa ha effetti distruttivi sull’economia nazionale a cui viene applicata. Esiste, dunque, una mens rea a monte di tutto ciò, di cui sono complici coloro che per ingenuità o per stupidità se ne fanno i portavoce in Italia.

Il liberismo è una truffa sin dalla nascita: quando Adam Smith scrisse il suo libro “La ricchezza delle Nazioni” lo fece per convincere gli Stati Uniti a non diventare una nazione industriale, e rimanere un paese agricolo. Cosa che l’America si guardò bene dal fare. Oggi lo stesso trucco viene riproposto in forma moderna e su scala mondiale o, come dicono gli angloamericani, globale.

 


22 ottobre 2007
Mr. Britannia colpisce ancora

Alla riunione dei ministri finanziari del G7 tenutasi a Washington il 19 ottobre, è stata ascoltata la relazione di Mario Draghi, che oltre ad essere il governatore di Bankitalia è anche, dal 2006, capo del Global Financial Stability Forum, e cioè la squadra di salvataggio del sistema finanziario mondiale. Stando al testo distribuito, non si vedono minacce mortali al sistema, né attualmente né all’orizzonte. Addirittura, la parte finale della relazione consiste in una totale assoluzione del ruolo degli hedge funds: il settore degli hedge funds di per sé non si è rivelato come uno dei principali elementi problematici per l’intero sistema come pure ci si sarebbe potuti aspettare. Un’assoluzione normale per chi, fino ad un anno fa, era vicecapo europeo di Goldman Sachs, uno dei principali gestori di hedge funds, ma strabiliante per chi, nelle vesti di banchiere centrale, dovrebbe sapere bene che proprio gli hedge fund sono stati i veicoli del collasso del sistema.

In privato, i partecipanti al G7 hanno ammesso ben altre verità, come si desume dalle dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Steinbrück, che ha paventato il rischio di crollo di una grossa banca internazionale proprio come conseguenza del mancato rifinanziamento della “spazzatura” degli hedge funds.

Ci si chiede se l’operato del governatore sarà messo mai sotto scrutinio: difficile nell’attuale clima politico italiano, sotto scacco dagli stessi “poteri forti” che hanno sponsorizzato la carriera dell’illustre governatore. Draghi, che va sporgendo denuncia contro chi lo chiama “Mr. Britannia” (ricordando il suo exploit sul panfilo della Regina Elisabetta il 2 giugno 1992), viene addirittura candidato alla successione di Prodi nel caso che la spinta del suo ex compagno di scuola, Luca Cordero di Montezemolo, riuscisse a rovesciare il governo Prodi. Sarebbe il colmo.


Marzo 2008
La distruzione dello Stato Sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioni-privatizzazioni in Italia

Il Movimento Solidarietà pubblica un nuovo dossier per dimostrare che il processo di liberalizzazioni e privatizzazioni attuato in Italia dall’inizio degli anni Novanta non ha portato nessun beneficio al paese. Lo scritto iniziale, elaborato da Claudio Giudici, dimostra che:

  1. le liberalizzazioni portano ad un aumento dei prezzi;
  2. le liberalizzazioni portano alla distruzione di posti di lavoro ed all’abbassamento degli stipendi dei lavoratori e dei fatturati delle piccole imprese;
  3. la liberalizzazione-privatizzazione dell’impresa pubblica nel periodo 1992-2000 non è stata conseguenza dell’inefficienza economica;
  4. i processi di liberalizzazione-privatizzazione non hanno minimamente migliorato la capacità produttiva italiana;
  5. le liberalizzazioni favoriscono i concentramenti di capitale in poche ricchissime mani;
  6. il rendimento finanziario delle aziende privatizzate è stato peggiore rispetto alla generalità del mercato finanziario italiano.

Attraverso una serie di esempi lampanti, diventa sempre più evidente che questo processo di “modernizzazione” del paese in realtà rappresenta un grave attacco al suo tessuto produttivo, accelerando il processo di disintegrazione economica e finanziaria che sta già mettendo in ginocchio l’economia mondiale.

La seconda parte del dossier tratta “Le misure necessarie per fermare la crisi economica” elaborate dal Movimento di LaRouche, tra cui:

  1. la nuova Bretton Woods;
  2. il Disegno di Legge per la protezione dei proprietari di case e delle banche;
  3. l’iniziativa contro la ratifica del Trattato di Lisbona.

FONTE: https://archive.movisol.org/09news177.htm

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