RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 4 FEBBRAIO 2023

https://www.acro-polis.it/2023/02/02/quando-lintelligenza-artificiale-scrive-favole-per-bambini/

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 4 FEBBRAIO 2023

 

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Dovunque, nelle città del mondo, ho visto che gli uomini si calunniano e accusano a vicenda e, per questo, patiscono giudizio e condanna senza mai requie né pietà.

GIORGIO AGAMBEN, Quel che ho visto, udito, appreso …, Einaudi, 2022, Pag, 8

 

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SOMMARIO

LUCI ED OMBRE DEL TERZO SETTORE
Se la Russia iniziasse la guerra vera, spianerebbe l’Ucraina in 48 ore
L’UNIONE EUROPEA CONTRO L’ITALIA
L’ITALIA È IL PAESE PIÙ IMPORTANTE DEL MONDO E PER QUESTO È SOTTO ATTACCO
Ritmo. 4 mani e due bacchette
Perché “Realismo capitalista” di Mark Fisher è il libro più importante del XXI secolo?
Big tech Usa, 40mila ingegneri a spasso. Li assuma l’Italia, la proposta
SIAMO SUDDITI
La sconfitta incombe: la Rand guerrafondaia ora consiglia la pace
Due modi di percepire la guerra in Ucraina
Prestigioso organo di controllo liberale (CJR) condanna la copertura del Russiagate da parte del New York Times
Ex ufficiale Marines, Scott Ritter: La NATO è una pillola suicida per il mondo. Pregate che la Russia vinca
Stoltenberg: ‘guerra oggi in Europa, domani forse in Asia’
Cia e operazioni di sabotaggio in Russia, finanziamenti USA all’Ucraina, Zelensky al WEF, asse Russia-Iran,
UE e fertilizzanti russi, Israele e Ucraina
California: immigrati più “smart” degli autoctoni
L’esproprio neoliberista della casa nell’Europa green delle multinazionali
PERCHÉ LE CATENE GLOBALI DEL VALORE DOVREBBERO ESSERE CHIAMATE CATENE GLOBALI DELLA POVERTÀ
Stilema
La guerra in Ucraina per mantenere l’Unione Europea sotto tutela
Stoltenberg, segretario generale Nato, lancia l’allarme: Cina minaccia per l’Europa
L’intera Europa campo di battaglia
Sora Meloni in Zelensky
Quando l’intelligenza artificiale scrive favole per bambini
In arrivo 21mila colonnine di ricarica auto elettriche: 713 milioni di euro

 

EDITORIALE

LUCI ED OMBRE DEL TERZO SETTORE

Manlio Lo Presti

La legge è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale degli altri. (George Orwell) 

Il terzo settore italiano ha raggiunto dimensioni eccessive. Ha coperto gli spazi volutamente abbandonati dallo Stato che ha ridotto le sue funzioni sull’ondata di liberismo ossessivo e distruttivo. L’eccessiva crescita fa aumentare il sospetto che dietro a queste strutture ci sia la presenza di operazioni di riciclaggio di somme devolute fiduciosamente dai cittadini e delle quali quasi nessuna di queste strutture rende conto e ragione in modo analitico. Non esiste infatti, una normativa contabile severa sui bilanci di queste organizzazioni lasciando così il varco ad abusi e malversazioni. La regolamentazione esistente è partita male comprendendo le solite “eccezioni” che ne azzoppano subito l’efficacia. Mi riferisco all’esenzione del bilancio per rendicontazioni inferiori ai 220.000 euro. Perché questa esclusione? Faccio notare che sono pochi gli ETS (Enti del Terzo Settore) con movimenti considerevoli di denaro. Il resto è costituito da una marea pulviscolare di piccole entità con cifre inferiori al limite sopra accennato. Accanto a strutture di ispirazione laica e di provenienza internazionale, abbiamo una forte presenza di strutture cattoliche, fra le quali primeggia una ben nota Comunità che muove miliardi di euro. Per queste piccole entità basta una “rendicontazione”. Lascio immaginare la vastità di arbitrio che esiste. Non basta emanare una normativa scarna (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/04/18/20A02158/sg  ), ma è necessario attivare efficaci organi di controllo. Come al solito, la formulazione di testi legislativi è caotica e contraddittoria per la presenza di numerose eccezioni alla sua applicazione generale.

L’art. 30 del d.lgs. n. 117/2017 prevede un controllo ma elenca altresì una nutrita lista di eccezioni o restrizioni che inficiano clamorosamente l’efficacia del provvedimento! È necessaria e opportuna la certezza della pena per coloro che agiscono scorrettamente. Sarebbe interessante sapere la percentuale delle ETS che superano il limite di 220.000 euro e per i quali scattano gli obblighi contabili di bilancio. Sarebbe interessante conoscere il totale degli importi che circolano fra gli ETS rispettivamente sotto e sopra il limite. Va aggiunto che gran parte delle donazioni della popolazione sono destinate a “spese di amministrazione” che comprendono gli stipendi dei responsabili di vertice e le spese di gestione. Dalla risultante di numerose analisi, l’incidenza di questi costi “amministrativi” rappresenta oltre il sessanta percento degli incassi! Ai volontari va poco e niente, mascherando di fatto un sistema di lavoro gratis neoschiavista. Insomma, sarebbe necessaria una buona dose di prudenza e di sospettosità nell’analizzare questo settore che amministra importi sempre più rilevanti. Per questi motivi, sarebbe interessante leggere con attenzione la composizione dei consigli di amministrazione dai certificati camerali. Uscirebbero fuori moltissime sorprese sui nomi riportati, spesso in legame parentale con politici, banchieri, nobildonne, industriali e/o componenti del corpo diplomatico, ecc. ecc. ecc. Molti aspetti negativi e nascosti di questo magma dai confini poco chiari sono stati analizzati accuratamente dal libro: L’INDUSTRIA DELLA CARITA’. IL VOLTO NASCOSTO DELLA BENEFICENZA, Chiarelettere Edizioni.

Una svolta sarà possibile in termini di certezza del diritto e di certezza della pena quando il testo unico e normative satelliti escluderà qualsiasi eccezione, nel rispetto della uguaglianza di tutti di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione della Repubblica Italiana). Questa disarmonia rispetto al dettato costituzionale rende illegittimo almeno il settanta percento delle leggi italiane costruite e vanificate sul nascere dall’inserimento nei testi di una sequenza infernale di eccezioni che rendono difficile se non impossibile, il controllo sulla loro corretta applicazione generando una enorme quantità di contenziosi che intasano e blocca l’operatività della macchina giudiziaria.

FONTE: https://www.lapekoranera.it/2023/02/03/luci-ed-ombre-del-terzo-settore-in-italia/

 

 

 

IN EVIDENZA

Se la Russia iniziasse la guerra vera, spianerebbe l’Ucraina in 48 ore

ImolaOggi1 Febbraio 2023EUROPA UENEWS2023

di Augusto Sinagra – “FINCHÈ C’È GUERRA, C’È SPERANZA”
Il Signor Capo dello Stato conferma la saggezza e il grande senso politico del suo più noto ascendente in linea paterna e cioè il grande Bernardo.
Egli ha dichiarato con sicuro accento e noto cipiglio che le armi pesanti e offensive che in misura crescente vengono inviate al comico e presidente dell’Ucraina (alla faccia dei disoccupati e dei poveri in Italia) sono finalizzate a porre termine alla guerra.

Nella sua saggezza presidenziale il Nostro afferma in sostanza che un incendio può essere spento con il cherosene.
La forte visione politica del Nostro rende chiaro e conferma che l’impegno militare italiano in Ucraina costituisce, come in effetti è, una partecipazione diretta alla guerra contro la Federazione Russa.
Infatti, se, secondo il presidenzialpensiero, esclusa ogni ipotesi di armistizio e di pace così come comanda la NATO per decisione presa dal comparto produttivo bellico USA e dai guerrafondai americani, la fine della guerra significherebbe la vittoria di una delle due parti formalmente in guerra: ovviamente la vittoria dell’Ucraina.

La verità è che l’Ucraina nonostante le massicce forniture di armamento pesante che riceve dall’Italia e da altri Stati, non può vincere contro la Russia la quale in realtà ancora non è passata dalla “iniziativa militare speciale” alla guerra vera e propria e dispone di capacità economiche e industriali e di Forze Armate delle quali ha impegnato meno del 5%; onde, essa è destinata a vincere questa guerra. Se la Russia decidesse di iniziare la guerra vera e propria, “spianerebbe” l’Ucraina fino al suo confine occidentale con la Polonia nel giro di 48 ore.

Il Signor Capo dello Stato conosce molto bene la situazione di questo conflitto che non è della Russia contro gli ucraini ma è dei guerrafondai occidentali contro la Federazione Russa per laidi interessi imperialistici finanziari ed economici degli USA.
La conclusione è inevitabilmente che le forniture italiane alla Ucraina di armamento anche pesante e offensivo sono rivolte alla cura dei laidi interessi nordamericani.
E poco importa se questo comporta la perdita della vita di tanti giovani ucraini e russi o se questo comporta il dissanguamento economico dell’Italia.

A parte l’aspetto ridicolo, prima ancora che tragico, dell’Italia in guerra contro la Federazione Russa, questa Italia è in condizioni tali che dovrebbe cedere Rimini e la sua Provincia se solo la Repubblica di San Marino richiedesse lo sbocco a mare.

AUGUSTO SINAGRA – Professore ordinario di diritto delle Comunità europee presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Avvocato patrocinante davanti alle Magistrature Superiori, in ITALIA ed alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a STRASBURGO

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2023/02/01/se-russia-guerra-vera-spianerebbe-ucraina/

 

 

 

L’UNIONE EUROPEA CONTRO L’ITALIA

By Redazione CDC On 30 Gennaio 2023  

Meloni e Von Der Leyen

Di Michele Rallo

L’Unione Europea é oggettivamente nemica degli interessi italiani. Oramai dovrebbe averlo capito chiunque, compresa l’ex-sovranista Giorgia Meloni e tutti gli altri eredi politici di Mario Draghi.

Oddio, non c’era forse bisogno di attendere fino a questi ultimi mesi per intuirlo. Sarebbe bastata un’occhiata ai funesti “parametri di Maastricht” per accorgersene, per rendersi conto che questi erano stati creati su misura per favorire le economie di paesi europei che erano in oggettiva competizione con l’Italia (ed ogni riferimento alla Germania non é puramente casuale) e per imporre standard bancari privatistici che ci erano ostili (ed ogni riferimento alle banche “d’affari” anglosassoni non é parimenti casuale). Per tacere di tutto quanto é seguíto poi, fino a disegnare una Unione Europea che é oggi una macchina da guerra al servizio dell’aberrante ideologia (si fa per dire) dell’alta finanza mondialista, con il suo armamentario “politicamente corretto”: immigrazionismo, cancel culture e, naturalmente, un estremismo bellicista made in USA che potrebbe condurci dritto filato ad una terza guerra mondiale.

Ma, senza andare troppo indietro nel tempo, basterebbe un’occhiata all’agenda europea di questi ultimi mesi per avere la prova provata dell’avversione dell’UE agli interessi italiani. Avversione mascherata dietro la volontá di accelerare forsennatamente quella “transizione energetica” sulla quale, peraltro, grava il sospetto di essere originata da un colossale errore di valutazione; se non anche – ma non vorrei proprio crederlo – da una gigantesca operazione di speculazione finanziaria.

supporter di una tale transizione (dalla donnetta di Bruxelles all’ingenua ragazzina cui hanno fatto credere di essere una specie di Giovanna d’Arco, dai clan della sinistra democrat di Washington ai geniali imbrattatori di monumenti di Roma e Parigi, a tutta intera la variopinta congerie gretina) sostengono che i mutamenti climatici ed i conseguenti disastri ambientali siano dovuti all’azione dell’uomo, che sta “distruggendo il pianeta” con l’utilizzare i combustibili fossili e con altri comportamenti di minore impatto (giú giú fino ai sacchetti di plastica). Orbene – secondo costoro – per arginare tutto ció e per “salvare il pianeta” occorre imporre una draconiana “transizione energetica”, cominciando dalla rapida eliminazione dei combustibili fossili e dalla loro sostituzione con fonti energetiche alternative.

Naturalmente, per giungere ad una tale “transizione” ci sará bisogno di spendere montagne di miliardi. Miliardi che saranno intercettati leggiadramente dai soliti noti di Wall Street e della City; mentre la necessaria “distrazione di massa” sará garantita da qualcuno degli scandaletti di copertina sempre disponibili sul mercato del politicantismo d’accatto, con i soliti raccoglitori di briciole (tipo Qatargate) di cui ci si accorgerá cadendo dalle nuvole, con sussiegoso disappunto per la volgare violazione delle regole democratiche.

In realtá, la maggior parte dei climatologi é concorde nell’affermare che i mutamenti climatici siano dovuti solo in minima parte all’inquinamento prodotto dall’uomo, mentre per il 95% sarebbero riconducibili direttamente alle fasi dell’attivitá solare [vedi «Ecologismo all’amatriciana» su “Social” del 23 settembre scorso]. Basterebbe, dunque, spendere somme infinitamente piú modeste per gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza dei territori, senza bisogno di mettere in crisi gli equilibri energetici del mondo intero e, con essi, la qualitá di vita degli abitanti dell’intero pianeta.

Ma lasciamo stare questi scenari megagalattici, e torniamo invece alle piccole cose, ai piccoli affari, ai piccoli attentati della quotidianitá antitaliana che imperversa nella cosiddetta “Unione”. Limitiamoci agli ultimi provvedimenti assunti o da assumere a breve scadenza. Si comincia dalla cancellazione dell’industria automobilistica tradizionale e dal passaggio obbligato all’industria della “auto elettrica” da realizzarsi inderogabilmente entro il 2035. L’impatto sull’industria automobilistica italiana sará – fra diretto e indotto – di circa 500 imprese in crisi e di 70.000 lavoratori licenziati (come da dichiarazione del Presidente di Confindustria).

V’é poi la vera e propria guerra mossa all’agroalimentare ed alla zootecnía, attraverso tutta una serie di provvedimenti tra loro legati dal fil rouge della lotta aperta contro gli interessi italiani. Si va da una generica avversione alla dieta mediterranea, passando per l’ostilitá dichiarata (anche personalmente da certi altissimi papaveri di Bruxelles) per la zootecnía italiana, per le sue carni e per i suoi insaccati, accusati di essere cancerogeni; proseguendo col tentativo di promuovere prodotti proteici alternativi (farine di grillo e simili porcherie); per giungere infine all’ultima carognata, quella che vuole colpire l’export del nostro vino attraverso l’obbligo di una etichettatura terroristica e farneticante.

Ma il culmine della guerra europea contro l’Italia é certamente rappresentato dall’imminente direttiva sul cosiddetto “efficientamento” delle abitazioni; anche questo – manco a dirlo – motivato dalla “transizione energetica”. Ebbene, secondo gli ecologici nemici dell’edilizia italica, entro il 2029 tutte le abitazioni europee dovrebbero rientrare almeno nella classe energetica E, ed entro il 2032 almeno nella classe energetica D. Questa direttiva green – secondo le stime di Confedilizia – colpirebbe in Italia non meno di 9 milioni di abitazioni, i cui proprietari sarebbero di fatto obbligati a spendere cifre ingentissime, pena l’impossibilitá di vendere o affittare gli immobili. Sarebbe una patrimoniale mascherata, e salatissima.

Al riguardo, si ricordi che i governanti di Berlino non hanno mai digerito il fatto che numerosissimi italiani siano proprietari delle proprie abitazioni, mentre la generalitá dei tedeschi vive in case d’affitto. La Merkel – come piú volte ricordato su queste pagine – aveva il chiodo fisso delle case degli italiani, che avrebbe voluto fossero date in garanzia del nostro debito pubblico.

Nonostante gli sforzi, la Kanzlerin dovette rassegnarsi a subire quella “anomalía italiana”, anche perché nessuno dei governi succedutisi a Roma fu talmente sciocco da avallare un provvedimento che gli avrebbe messo contro milioni e milioni di cittadini elettori. Adesso, ci riprova la donnetta di Bruxelles, attraverso una prossima “direttiva” ammantata dai nobili ideali di transizioni del piffero, di riduzione della dipendenza dal gas russo, di lotta dura e pura ai mutamenti climatici, eccetera, eccetera.

Naturalmente, si spera che la Meloni batta un colpo, che si metta di traverso, che dia un segnale per avvertire che la pacchia delle angherie contro l’Italia sia veramente finita. Si spera, si spera…

Ma in ogni caso, anche a prescindere dall’esito di queste ultime scandalose manovre antitaliane, credo che oramai sia chiaro e lampante che la Unione Europea ci é ostile, che lavora contro di noi, che colpisce i nostri interessi. Cosí come ci é ostile la sua banca “centrale” (cioé posseduta da soggetti privati che dovrebbero lavorare per il bene pubblico). E la linea della BCE non lascia ormai dubbi: le soluzioni geniali adottate dalla sua presidente – quella insopportabile Christine Lagarde – sono costate ai risparmiatori italiani nel 2022 qualcosa come 20 miliardi di euro, bruciati da una inflazione “passeggera” che dovrebbe agevolare – anch’essa! – la transizione energetica.

Non credo che ci possano essere ancora dubbi: dobbiamo uscire, dobbiamo scappare da questa camicia di forza che si chiama Unione Europea. Il problema sará farlo con intelligenza, con gradualitá, con la capacitá di assorbire i contraccolpi negativi. Lo hanno giá fatto gli inglesi, che pure dalla partecipazione alla cosiddetta Unione hanno avuto assai meno danni di noi. Perché non dovrebbero poter farlo anche gli italiani?

Di Michele Rallo

N.B. Il pezzo, naturalmente, non ha la pretesa di essere esaustivo. Non si parla, per esempio, del MES, uno strumento che sembra essere stato pensato appositamente per incaprettare l’Italia, con la scusa di soccorrere la sua Sanitá. E non si parla nemmeno del PNRR, che per l’Italia ha piú svantaggi che vantaggi, e che ci é stato di fatto imposto per costringerci a realizzare alcune “riforme” direttamente riconducibili alla “transizione energetica”.

Michele Rallo è storico e saggista, ex parlamentare della Repubblica Italiana.

28.01.2023

FONTE:  https://comedonchisciotte.org/lunione-europea-contro-litalia/

 

 

 

L’ITALIA È IL PAESE PIÙ IMPORTANTE DEL MONDO E PER QUESTO È SOTTO ATTACCO

“Perché quell’impasto di tradizioni, cultura e credenze, anche le più sciocche, costituiscono la ricetta della nostra sopravvivenza”. Abbiamo incontrato il blogger Alceste per un dialogo sul nostro presente. E dopo i tanti orrori della modernità, la speranza per un futuro migliore passa sempre dalla lotta.

INTERVISTACULTURASOCIETÀ

By Jacopo Brogi On 16 Gennaio 2023  40,362

 

I nostri lettori conoscono bene Alceste, lo hanno letto e riletto su queste pagine. Ed è sempre un grande impatto, è sempre un andare in profondità, fino alla radice dei problemi della nostra epoca. Poche parole affilate come coltelli. Dotte citazioni, simboli, metafore e sembra di guardarsi allo specchio mentre il sarto Alceste ci cuce su misura l’abito che fa per noi. Un popolo avvilito, sconfitto, occupato non solo dal 1945, ma che oggi accetta e subisce la colpa più grave inflitta dal conquistatore, senza nemmeno saperlo: essere italiano.

Sembra finita peggio che all’Americano a Roma, Nando Moriconi, visto che le nuove generazioni rischieranno di preferire le cavallette tostate agli spaghetti di casa nostra. Alberto Sordi era “Ameregano der Cansas Siti“, l’eterno presente italiano non è neppure americano, è globale e basta. Eppure la nostra immensa cultura è nata molto prima dello Stato. Ed è forse per questo, in realtà, che siamo una Superpotenza – così tanto debilitata – da abbattere definitivamente.

Ma come i grandi italiani, spesso sconosciuti, danno sempre il colpo di coda: un sentimento rivoluzionario di riscossa che ci appartiene, quasi mai collettivo, ma che fa parte della nostra storia millenaria. Grazie ad Alceste per il suo lavoro di informazione e divulgazione e grazie per aver accettato questa intervista. Lo spunto è il suo ultimo affresco dipinto a misura della nostra società: “La modernità come cancro terminale“.

Si parte.

  • Perché “Alceste” e da quanto tempo è attivo il suo blog

“Alceste è ovviamente derivato dal nome del protagonista della commedia di Molière, “Il misantropo”. La mia presenza online risale al 2013-2014 quando Eugenio Orso, per allargare la collaborazione al suo blog Pauperclass – blog oggi purtroppo scomparso – mi contattò per scrivere alcuni pezzi. Assieme a me era Il Poliscriba (il quale appare ancora su alcesteilblog) e altri autori. Nel 2015 Pauperclass ebbe i primi problemi e così decisi di riversare i post già scritti sull’attuale account che cominciò a funzionare con una certa regolarità attorno al 2017.”

  • Quali motivazioni di fondo la spingono a scrivere i suoi pensieri e le sue analisi?

“Perché scrivo? Me lo sono chiesto spesso. Dapprima credevo fosse dovuto a un residuo di inestirpabile vanità. Forse ho solo bisogno di condividere una mia radicata disperazione. La misantropia perfetta non funziona, si ha bisogno di un palco con qualche spettatore che ti stia a sentire o ti lanci i pomodori.”

  • Ogni qualvolta arriviamo sul blog, riscontriamo una miriade di commenti entusiasti. Trova soddisfazione e riscontri particolari dai suoi lettori, nella sua opera di informazione e divulgazione?

“Miriadi è esagerato, non crede? Presumo che i venticinque lettori del blog, afflitti dalla mia prosa da almeno cinque-sei anni, sanno di trovare un discorso compiuto, che non si ferma alla cronaca. Anzi, i fatterelli della cronaca vengono presi in esame solo per dimostrare questo discorso onnicomprensivo o, al massimo, per fare del sarcasmo. La guerra russo-ucraina, a esempio, l’ho citata pochissimo poiché la reputo l’ennesimo episodio di una più vasta, secolare e catastrofica opera di conquista delle entità sovrannazionali nate con l’Illuminismo. Non solo, ma la porzione di storia umana nata con tale Illuminismo (amo chiamarlo Illuminismo Nero per distinguerlo dalla vera scienza) mi sembra solo il processo secondario di un movimento ancor più immane.

La vicenda umana, infatti, la inscrivo in un generale moto di regressione universale. Si è in presenza di una lentissima devoluzione, anziché di un’evoluzione. La Civiltà consiste, perciò, in una bolla di resistenza a tale regressione. Il dominio della razionalità tecnica sulla Natura, divenuto assoluto in questi ultimi decenni, si è fatto forsennato, parodistico. L’estrema illusione, insomma, che si nutre della mancanza di Dio, è anche la più rovinosa perché prevede, paradossalmente, l’assoluta mancanza di umanità. Da tale prospettiva mi sembra inutile, sciocco e depistante (è solo un banale esempio) estendere centinaia di post e note sul laptop di Hunter Biden. Il rifiuto della cronaca e del giornalismo, dei triti fatti quotidiani, credo sia l’aspetto che nel blog viene più apprezzato. Oltre a una certa aria carbonara e al divieto d’insulto.”

  • Alceste, nel suo ultimo articolo “La modernità come cancro terminale” riesce così a sintetizzare “l’intera storia della umanità moderna”: “Noi creature multicellari siamo tutto sommato un’eccezione nell’evoluzione, un’insorgenza tardiva che riguarda soltanto un settimo della storia della vita sulla Terra … fare copie di sé stessi è l’imperativo darwiniano”. Quindi è Darwin che ha interpretato il volere di Dio, Dio non esiste, o magari “Dio è morto” come cantavano i Nomadi?

“La citazione non è mia, ma è tratta dall’introduzione di Telmo Pievani a un libro di Pier Paolo Di Fiore sul cancro. Pievani vuole semplicemente dire: l’essere umano rappresenta l’eccezione delle eccezioni; alcune cellule di cui è materiato a volte anelano ritornare al primitivo egoismo monocellulare ingenerando così il cancro. Tali cellule si sentono Dio e nella loro ansia di eternarsi distruggono il corpo ospitante e, perciò, sé stesse. Questa analisi biologica la uso come metafora della storia umana: alcuni uomini vogliono diventare Dio; cercano, quindi, di eternarsi sostituendosi a Lui e rigettando la religione; essi, però, incontreranno lo stesso destino delle cellule cancerogene autodistruggendosi assieme all’umanità. Il richiamo ancestrale che induce a sentirsi Dio l’ho battezzato la “Bestia”. La “Bestia”, non è il Male, ma il Nulla. L’ansia di auto annientamento. Senza Dio, la devoluzione ci richiama dapprima alla ferinità e poi all’inorganico, Al suicidio. Secolarizzazione, tecnica e follia postmoderna sono i sintomi più rilevanti di questa catabasi. Da tale punto di vista Storia, Biologia e Teologia sono metafore l’una dell’altra.”

  • L’autorevolezza dei più anziani, la memoria e l’esperienza empirica, la tradizione orale, i proverbi che erano scuola e linguaggio del popolo che si tramandava fra generazioni che mai avrebbero potuto imparare dalla scrittura, attività possibile soltanto dei ceti colti e possidenti. Il passato ormai pare tutto da buttare, i giovani hanno titoli di studio ed i tutorial di YouTube per imparare, altroché un genitore spesso assente o emigrato in un altro matrimonio o convivenza; il nonno mica ha fatto master alla Bocconi o alla Luiss, cosa ne potrà mai sapere della complessità del mondo? L’eterno presente tecnocratico sembra ormai assoluto, e le nuove generazioni hi tech e iper specializzate non hanno praticamente alcun rapporto col proprio passato e con la propria cultura originaria. Cosa rischiano?

“L’estinzione. Qui occorre intendersi bene su cosa sia il progresso. Andiamo avanti, dicono. Ma in cambio di cosa avanziamo? Ecco il busillis. Viviamo una vita più comoda, ecco tutto. La domanda capitale rimane: la comodità a che prezzo l’abbiamo pagata? Si è disimparato il calcolo, la lingua, la logica, la devozione … era nozionismo! E cosa abbiamo avuto in cambio? Dei poveretti che conoscono un vocabolario di cento parole. Quando si giudica una cultura come quella italiana … anzi: il solo pensiero di giudicare una cultura come quella italiana … e giudicarla negativamente – equivale a pensare di correggere coi pennarelli “La nascita della primavera” di Botticelli. Ho ricordato spesso Niccolò Machiavelli che, dopo una giornata di bagordi, entrava nel proprio studio solo dopo un’adeguata purificazione; con reverenza; da umile pedina del sapere al cospetto di Tito Livio o Cicerone. Per questo affermo che l’Italia, il Paese più importante del mondo, è sacro. Il suo passato è talmente gigantesco da dover rimanere intangibile. E sa perché? Perché quell’impasto di tradizioni, cultura e credenze, anche le più sciocche, costituiscono la ricetta della nostra sopravvivenza. Chi abiura il passato muore, c’è poco da fare. Vale per tutti, dai Kaweskar della Patagonia agli indios brasiliani:estinti, infatti. Nel passato viene condensata l’immortalità della propria cultura. I Kaweskar ebbero i loro feticci, noi Botticelli e Tito Livio. Con tale differenza: la classicità e il Cristianesimo nati o raffinati in Italia o nei territori della latinità (il passato) rappresentano il katechon dell’intero Occidente. Per questo l’Italia è sotto attacco, per tali motivi si è insegnato agli Italiani, incessantemente, in ogni lercio sussidiario, pamphlet, saggio o articolo di gazzetta, il disprezzo e il dileggio di sé stessi. Radere al suolo l’Italia, con la complicità degli Italiani e della immonda sua classe dirigente, è necessario per l’instaurazione d’un Mondo Nuovo. Come sta avvenendo. Senza il passato che agisce da difesa, però, abbiamo di fronte solo macerie.”

  •  Tutto è materia, di sacro non c’è nulla se non le sentenze degli algoritmi. Per ciò che occorre bastano ormai pochi click su Google, Amazon, Facebook, Pornhub e Onlyfans. Sono utili, istantanei, affidabili, profittevoli, divertenti e non sbagliano mai. E’ davvero così?

“Anche questa è un’operazione voluta. Per dissolvere passato e identità e instaurare un dominio internazionale oligarchico. Cefis lo affermò esplicitamente già nel 1972 … Ci dicono: le grandi piattaforme sono un progresso, siamo liberi, inutile contrastare al progresso … sì, ma lo ripeto: cosa abbiamo sacrificato per questa minutaglia? Si glorifica il digitale. Va bene, il digitale è comodo. Con lo smartphone si può girare un film! I gadget digitali sono democratici! Abbassano i costi di produzione! Ti rendono indipendente! Cronenberg c’ha girato i film con lo smartphone! Ognuno può diventare un Cronenberg! Un attore! Risultato: negli ultimi vent’anni ci saranno due o tre film italiani degni di nota. Non belli: degni di nota. Il livello è sprofondato. La falsa democrazia ha annientato il buon gusto, l’artigianato della scenografia, la scelta oculata delle location, la cesellatura dei dialoghi, l’attorialità stessa. I supposti divi contemporanei bofonchiano, protagonisti di storielle quotidiane, le sceneggiature sono scipite o goffamente sensazionali, il tono punta alla colloquialità coprolalica o al perbenismo televisivo; si è perso non solo l’aggancio con la realtà, che consentiva la commedia nera italiana, ma anche il simbolismo, l’allusione … Fellini, ormai, lo proiettano nelle catacombe … Avati ha provato a fare qualcosa col suo “Magnificat”, ma non ha lo stesso passo dei maggiori, tutti defunti da almeno trent’anni. Pure la commediola pecoreccia è ormai un modello troppo alto per noi, dissolto il mondo dell’avanspettacolo popolare. Hanno rincoglionito di correttezze anche il povero Banfi … .”

  • Non fatevi ingannare dalle specializzazioni, dalle divisioni tecniche, dalle minuzie, dalle argomentazioni da leguleio”. Sembra un ammonimento a non lasciarsi tradire dalla conoscenza settoriale e specializzata, in una parola dagli “esperti”; che tutto sanno e tutto comandano, da quei tecnici che sanno solo di tecnica, dagli scienziati che hanno infuso l’unica vera Scienza possibile. Siamo in un’epoca in continua evoluzione ma che sembra piombata in una nuova oscurità. Com’è stato possibile?

“Giacomo Leopardi ha coniato la felice espressione “colpo d’occhio del genio”. Così è. Il genio – il Sapiente – rapporta ogni sezione della vita a tutte le altre. La scienza è specchio della filosofia, e viceversa. Il tecnico è il suo figlio degenere. Sa tutto del particolare, ma ignora il quadro complessivo. Il tecnicismo esasperato è poi degenerato, parlo dell’attualità, nel cretinismo vero e proprio … virologi, direttori di musei, cultori della cultura, avvocati, commercialisti, saggisti … parlano una lingua poverissima, autoreferenziale, perbenista e superficialissima … non per questo meno arrogante. Il decadere della lingua, l’essiccamento del lessico, divenuto esclusivo gergo compartimentale, ha recato all’inferno cautela e intelligenza … che un pescivendolo di Efeso nel 412 a.C. sia stato più intelligente della Ursula von der Leyen pare fuor di dubbio.”

  • Usura, Tecnica, Democrazia e Libertinaggio si legano a filo quadruplo. Le migliori menti dell’eversione si riuniscono nei paradisi universitari per teorizzare l’eternità dell’Uomo. L’Uomo è immortale, onnipotente e assolutamente, incondizionatamente, libero. I cenacoli intellettuali dei primi paesi d’Europa scristianizzati sono le Regine Nere che replicheranno sé stesse: a metastatizzare il nuovo credo, a infettare il mondo.” Chi stabilisce qual è la vera Conoscenza e perché mai ogni uomo, ogni animale politico, ogni essere pensante e critico, non può essere considerato, qualunque sia la propria estrazione e/o condizione economica e sociale, a suo modo e maniera, un intellettuale?

“La conoscenza ti precede. Se recidi via il passato ti aggiri per la Totalità alla cieca, come una guida della domenica s’aggira per gli Uffizi. Lo specialista, che si compiace della propria conoscenza tecnica, è, di solito, un perfetto cretino se recato fuori dalla minuscola cerchia di sapere che controlla. Lo specialista accademico, poi, batte il muso dappertutto. Gli manca la passione, lo sguardo, l’amore. Basti confrontare una lezione di Federico Zeri, l’antiaccademico per eccellenza, con quelle di certi presunti storici o giornalisti-saggisti da prima serata. La prima, oltre che di chiarezza impressionante, ti fa venir voglia di leggere e saperne di più; le seconde consistono in lasche sequele di aneddoti o pettegolezzi. Pure il Barbero mi è andato fuori di testa, gli manca solo la lectio magistralis sui brontosauri. Con questo non voglio dire che chiunque possa essere considerato un intellettuale. Occorre crescere lentamente, in una scuola, una confraternita, un gineceo, una corporazione; una bottega. Leonardo aveva talento, il papà glielo riconosceva: Leonardo mio, tu hai qualcosa. Però lo spedì dal Verrocchio per farsi le ossa, sborsando moneta sonante perché il Verrocchio – anzi, la sua bottega – era un coagulo di conoscenza artistica e artigianale che, proprio perché tale, poteva tramandarsi agli allievi. Noteremo, en passant, come la furia dei postmoderni si sia accanita contro tale centri di diffusione del sapere … oggi si ha una sola possibilità, barrare le crocette e imparare a memoria la lezioncina politicamente corretta, quindi passare di grado e diventare un individuo monodimensionale. Si producono laureati e addottorati in serie di spaventevole ottusità, impermeabili alla ragionevolezza. L’ac-culturazione coatta, che ha preso il posto di quella naturale e secolare, ha creato dei carnefici perfetti, d’un conformismo allucinante. Si dicono scienziati, ma coltivano assai poco il dubbio. Tolti dal girello delle convinzioni indotte si comportano come bambocci tremebondi. Al gioco delle tre carte gli toglierebbero pure le mutande.”

  • L’Uomo sembra ormai emancipato e distaccato da Dio, tanto da averne assunto le sembianze. Domina la Natura e la cambia, e quindi sente in sé il potere autoconferito di annientare la propria civiltà, giudicandosi superiore ai suoi consimili. Nell’articolo lei cita gli altri reset della Storia: che umanità ci porterà questo Grande Reset 2030?

“L’umanità del cubicolo. Case alveare, reddito di sudditanza, nessuna creatività, conformismo totalitario, oligarchia casual, olovisori interconnessi, abolizione dei viaggi, pornografia virtuale polimorfica, spegnimento graduale del desiderio, ignoranza di arte, filosofia, storia … un’ignoranza da tabula rasa, di tutto ciò che si è stati … e junk food, ovvio, perché l’arte culinaria, proprio perché arte, verrà messa in sospetto ovunque. Il pasto principale consisterà in merda. Voltaire, il padre dell’Illuminismo, nel “Dizionario filosofico” prende per i fondelli il profeta Ezechiele che mangia pane spalmato di merda di bue, non avvedendosi, il Voltaire, che sarà il suo macabro scetticismo a innescare un processo che dal fagiano arrosto porterà alla barretta copro-proteica. L’homunculus sarà talmente affaccendato a perdere tempo prima di morire che non si accorgerà di non vivere … tanto non ci sarà granché da fare, a parte di-vertirsi, estraniarsi, soprattutto da sé stessi, dall’orrido e disprezzabile Io … Una noia talmente mortale che il suicidio andrà di moda, più o meno istituzionalizzato. Il crimine tenderà a zero così come ogni altra manifestazione di vitalità. Si creeranno nuovi mestieri come l’Estrattore di Salme (dal cubicolo: chi si accorgerà di qualcuno quando muore?) o il Compostatore di Cadaveri. I cimiteri spariranno, come le scuole, le prigioni e il turismo. Prevedo città semideserte, a parte la Logan 654 di qualche oligarca che, finalmente, potrà sfrecciare a piazza di Spagna senza l’ingombro dei coglioni. Si provvederà, forse, a qualche nuovo culto miscelando assieme cascami new age, gandismo pannelliano e rituali bislacco-buddisti. Vite che non varrà la pena vivere.”

  • Il nemico numero uno del materialismo sembra ancora essere la spiritualità, perché forse è un sentimento non controllabile e non calcolabile, come l’imprevisto: la coscienza può inceppare il meccanismo automatico. Prendiamo il cattolicesimo diviso ed in crisi di identità: come giudica l’era dei due Papi Ratzinger e Bergoglio?

“Disastrosa, ovviamente. L’intero corpo amministrativo del Cristianesimo si sta disfacendo. Gran parte delle parrocchie romane, a esempio, sono rette da sacerdoti sudamericani o africani; addirittura indiani. Di fatto non funziona più nulla. Questi figuri, che maneggiano concetti a loro estranei, sono i primi a concedersi al casual quando, invece, per non disperdere il patrimonio dovrebbero puntare alla ritualità e al più stretto formalismo tradizionale. Certo, loro non rappresentano che l’effetto d’un avvelenamento preesistente. L’imbruttimento delle architetture religiose, la sciatteria liturgica, il tirar via … una malattia postconciliare da papa buono. Dal 1960, a esempio, non vengono costruite chiese “belle”. Perché è stato programmato l’imbruttimento.

Attenzione: la “bellezza” non è un concetto vaporoso, impressionistico; la bellezza è ciò che individua e raggruma una serie di accorgimenti ed euritmie, distillati nei secoli, che avevano per fine la gloria della fede. Ora non più. Ora si edifica scatolame postmoderno, come “Il cubo” di Fuksas a Foligno e “Le Vele” di Meyer a Tor Tre Teste … accrocchi in cui si fatica anche a trovare l’acquasantiera e il tabernacolo. Tutto questo diluisce il sacro in una spiritualità da discount, di fatto eguale a qualsiasi altra. La vera fede esclude, non include. La fede afferma: sono così. Chi non condivide ciò è mio nemico. L’ecumenismo è l’invenzione di un clero profondamente stanco e pronto ad accettare tutto. Morselli descrisse la nostra attualità nel suo “Roma senza Papa”.”

  • Secondo Richard Coudenhove-Kalergi (1925) l’introduzione della donna nel lavoro di fabbrica e (quindi la sua inclusione nel mondo del lavoro) avrebbe sul lungo periodo comportato una donna mascolina e un uomo più femminile. Oggi siamo non solo alla competizione uomo/donna indotta dai media, o alla donna manager alla “Sex and the City”, ma ad una inversione dei ruoli e spesso ad un rimescolamento degli stessi, fino ad un annullamento strutturale della famiglia e una riduzione drastica delle nascite. Gli strateghi del caos, allievi di Leo Strauss, non puntano soltanto ad una società senza Stato, ma a individui senza una società. L’Occidente ha ancora gli anticorpi contro la propria dissoluzione?

“La prima industrializzazione ha prodotto più donne morte che mascoline. L’omogeneizzazione dei ruoli è stata provocata soprattutto dalla pace. Un personaggio di Mishima, mi sembra un dottore, afferma: “Un polso femminile e un polso maschile battono alla medesima maniera in tempo di pace”. La stasi imputridisce, riduce la definizione, rimescola. Si perde il senso del pericolo, del rischio, della difesa della comunità; da parte di uomini e donne. Ottant’anni di palude accompagnati dalle trombette della propaganda su diritti eguali per tutti hanno “generato” omarini timorosi e menadi isteriche. Entrambi infelici come bestie in cattività perché è facile mentire per conformismo (si buscano pure dei soldi), ma assai difficile rinnegare i propri ruoli naturali per tanto tempo. Ma la propaganda è totalitaria … i pochi che additano la follia sono presto isolati e lapidati con le consunte pietre dell’antifascismo o dell’ecumenismo “che libera”. Chi oggi ha il coraggio di presidiare trincee così esposte alla fucileria nemica?”

  • Altro tema ricorrente: dal “Forever young”, sempre giovani, degli anni ’80 alla dolce morte delle cliniche svizzere, fino alle recenti norme canadesi. Alceste scrive: “Uno vale l’altro. La morte si fa statistica, si deprezza. L’omicidio ben mirato, quindi, diviene, alla luce dei grafici, un metodo di cura: aborto, eutanasia, buona morte (…) Il suicidio diverrà la moda del 2030”. La vita umana non più dono divino ma mero calcolo superfluo e ingegneria capitalistica, ha perso il suo Senso?

“E quale senso ha la vita oramai? Un esempio banale è la perdita della pietà verso i defunti. Vediamo come anche i grandi cimiteri monumentali si stiano disfacendo nella sciatteria e nella sporcizia. Vuoti, peraltro, poiché la deferenza verso chi ci ha generati si è allentata, così come tutti i vincoli di sangue. Un morto è buono per il concime; o per gli snack del futuro. La banalizzazione della morte implica necessariamente il deprezzamento della vita: uccidere chirurgicamente (per il bene dell’umanità, ovvio) è oggi un’azione non solo tollerata, ma anche incoraggiata; un povero, un infelice, uno psicolabile, un tetraplegico o un feto possono venire eliminati senza rimorsi: in tali casi opera, secondo la vulgata polcorretta, un’ansia di libertà … delle madri, del genitore, della vittima stessa. Del mio corpo faccio quel che mi pare, così gli è stato insegnato … la propaganda gli si è incancrenita dentro sino a formare un valore e così credono di autoaffermarsi, ma son solo lemmings eterodiretti.”

  • Sì, deve, perché andare avanti, a qualsiasi costo, come invasati, è l’unica direzione consentita. Non ve ne sono altre. Into the void (…) Una corsa sfrenata, irrazionale, che si concluderà con l’estinzione”. Escludendo le Superpotenze marittime angloamericane e satelliti vari, vede altri tipi di società, più tradizionali, economicamente emergenti, non immerse ancora nella modernità e nel Grande Reset, quindi ancora lontani da questa “corsa sfrenata” verso l’abisso?

“Le grandi civiltà del passato sono state attaccate brutalmente e ridotte in cenere: la Mesopotamia, la Grecia, l’Italia, i Balcani, la Russia occidentale. Le guerre nel Golfo, gli attacchi usurai verso la Grecia e l’Italia, l’Enduring Freedom; manca la Persia, uno dei tre grandi imperi del passato, e forse la Russia. Queste sono le grandi centrali spirituali dell’umanità. Una volta spente, il resto verrà da sé. Sudamerica e Africa contano meno di niente; il Giappone fu infiltrato e resettato tanto tempo fa. Roma, Atene e Alessandria sono altro da Cardiff o Los Angeles … .

Servirebbe una guerra, quale contrapposizione spirituale … una guerra vera, non solo mimata. Il contributo a essa da parte nostra lo vedo, però, minimo. Solo il vincolo del sangue o della comunità – militare, religiosa, educativa, politica – può costituire milizie in grado di opporre resistenza. Questi vincoli, però, li abbiamo dissolti. Ci rimane la poltiglia.”

  • Osiamo: ogni fenomeno, a qualsiasi livello ontologico, ci parla della verità.” Quale verità e chi la detiene?

“La Verità si disvela, è inoppugnabile, non la detiene nessuno. Ci si arrende di fronte a essa. Il cuore della ben rotonda verità, come affermò Parmenide: a Lei si può arrivare da qualsiasi punto della superficie. Ogni fangoso evento mondano ci riconduce, per vie segrete, alla nuda Verità. Basta seguire il filo.”

  • L’uomo moderno vorrebbe gridare, ma non ha bocca. Gli mancano, perciò, le parole. Il suo abbozzo di grido rimarrà senza eco. Inascoltato” Alceste le parole le ha e sa usarle molto bene: cosa vorrebbe gridare per darci una svegliata?

“Non occorre gridare. Il messaggio, prima o poi, arriva. Tutta questa corsa ai like, ai social, alle condivisioni: a che serve? Gran parte della controinformazione è oggi puro fumo: grafici, interviste, traduzioni, colpi di scena … Cicalare continuamente di cronaca, di attualità, del mostro del giorno o del fatto del giorno alla lunga sfinisce poiché allontana dal colpo d’occhio complessivo residuando quale futilità.

Per svegliarci basta ridiventare ciò che siamo sempre stati e rigettare la paccottiglia che ci viene servita inesauribilmente da decenni. L’orgoglio di essere il centro spirituale della storia … beninteso, senza le goffe impennate autarchiche, spesso di provincialismo desolante.
Questa “Reconquista” sarà difficilissima perché ancora navighiamo nell’autodisprezzo, addirittura compiaciuto. Eppure è necessaria: è la fune nella cruna dell’ago, la nostra porta stretta.

C’è un quadro che, ogni tanto, mi piace riguardare. Non me ne sazio mai. Si tratta di “Amor sacro e amor profano”, di Tiziano. Ciò che turba e confonde, a parte l’enigma delle due figure in primo piano, è lo sfondo. Forse non l’ha dipinto nemmeno lui, Tiziano. La purezza di quel cielo e di quelle nubi, la nitidezza di quel paesaggio … questo riconcilia con la vita: qui troviamo condensata, al sommo, l’Italia, c’è poco da fare. La torre, la chiesa, i cavalieri, la specchiera delle acque. Comprendere questo significa riconquistare l’idea di Patria. Per questo si può combattere.”

Intervista di Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

16.01.2022

Tiziano, L’Amor sacro e Amor profano, olio su tela, 1515 – Roma, Galleria Borghese

 

FONTE: https://comedonchisciotte.org/alceste-litalia-e-il-paese-piu-importante-del-mondo-e-per-questo-e-sotto-attacco/

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Ritmo. 4 mani e due bacchette

Manlio Lo Presti –  3 febbraio 2023

 

Barbara & Claudia sono un duo pianistico di notevole capacità. Nella severa ma attrezzatissima sala dell’istituto Calasanzio dei Padri Scolopi in Roma riescono, con la sapiente energia del raffinato batterista Fabio Balducci, a diffondere sonorità con mano leggerissima regalando ai presenti il Ritmo con tutti i suoi segreti. Non a caso, avevano intenzione di fare del Ritmo la chiave delle loro esecuzioni musicali. Il Ritmo come anima del mondo, come un linguaggio che è compreso da tutti senza aver frequentato scuole di istruzione. Il Ritmo come anima della vita e quindi della Musica che ne è la cifra.

Osservo le loro mani che volano sulla tastiera con una coordinazione che ipnotizza. Nulla è fuori posto, eppure, sembra che tutto sia l’effetto di un gioco casuale di suoni che parte da una montagna sacra. Le due bacchette sono il corridoio che unifica le interpretazioni che si susseguono con agilità. È stato interessante l’effetto di ascoltare brani musicali provenienti da un mondo sonoro che copre i vasti perimetri che vanno dal Jazz al Pop interpretati però da menti che si sono costruite sulla ferrea disciplina della musica classica.

La lista dei brani è accurata. Inizia con la calma sonorità del “Chiaro di luna” e di “Moon River” che vengono suonati con vigore ma riuscendo a conservarne la tenerezza. Il duo vira rapidamente verso altre sonorità più ritmate e sornione come “My favourite Things e “It don’t mean a thing” che vengono rilette in chiave ironica. Il ritmo cresce con “Take five” il lungo pezzo del leggendario Dave Brubeck. Il brano, estremamente iterativo nella sua versione originale, viene riscritto dandogli una inedita e gradevole flessibile leggerezza. Il duo e le due abili bacchette arricchiscono di forza lo scanzonato “Entertainer” a cui siamo abituati come una musichetta senza pretese. Il ciclo di ritmi cinematografici ha il suo giusto posto un pizzico di mistero con le note di “Harry Potter” e si chiude con l’icona sonora pop “Virtual insanity” tradotta dalle tastiere e dalle rapide bacchette in qualcosa di nuovo che tiene viva l’attenzione dei presenti. Con forza e vigore viene rivestito un famoso “Metti una sera a cena” ricordato come un ritmo salottiero e ammiccante.

Il viaggio sonoro entra nel vasto terreno dei sentimenti con il prestigioso brano “All of Me” nella riscrittura ritmata e frizzante del duo e del bravissimo batterista. Cascate di note e di ritmo ci regalano l’esecuzione di “Linus e Lucy” un raffinato pezzo jazz dove esiste un forte dialogo fra la batteria e il pianoforte. Il concerto si chiude con il giocoso umorismo delle pianiste e della batteria che esplode con gli allegri brani “Mambo italiano” e con “Jazzmatic”.

Il concerto ha compiuto il suo percorso lasciandomi una sensazione piacevolmente spiazzante perché è riuscito a suggerire un ascolto diverso di musiche cristallizzate in un codice di lettura che ha finito per banalizzarle e poi per farle dimenticare. Percepisco il grande ed invisibile lavoro preparatorio dietro una esecuzione così elegante e ricca di energia.

A quando un altro cammino musicale realizzato con altri brani?

RITMO! 4 mani e 2 bacchette. Teatro dell’Istituto Calasanzio di Roma il 19 gennaio 2023

FONTE: https://www.dettiescritti.com/cultura/duo-pianistico-barbara-claudia-fabio-balducci-ritmo-4-mani-e-2-bacchette/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Perché “Realismo capitalista” di Mark Fisher è il libro più importante del XXI secolo?

Aaron Bastani – 1 Febbraio 2023

 

IL GIORNALISTA BRITANNICO AARON BASTANI CHIARISCE LE RAGIONI PER CUI IL LIBRO PUBBLICATO DA MARK FISHER NEL 2009 HA ANTICIPATO MOLTE DELLE DINAMICHE ODIERNE, DALL’IMPOTENZA DI FRONTE ALLE CRISI AL DOMINIO DEI SOCIAL MEDIA

Mark Fisher

In vista della sua pubblicazione nel 2009, lo scrittore e accademico Mark Fisher confessava alla sua compagna Zoe che sarebbe stato soddisfatto se il suo prossimo libro avesse venduto 500 copie. Quattordici anni dopo, e con una seconda edizione pubblicata lo scorso novembre da Zer0 Books, Realismo capitalista ha superato le centomila copie vendute soltanto in lingua inglese. Slavoj Žižek, forse il filosofo più famoso al mondo, l’ha descritto come “la miglior diagnosi della situazione in cui ci troviamo”, e Russell Brand ha prestato la sua voce per l’audiolibro. Su Google Scholar, il libro gode di oltre 4mila citazioni accademiche. Non male per uno come Mark Fisher che, mentre lo stava scrivendo, arrancava a trovare lavoro come docente.
Erano i primi mesi del 2010 quando m’imbattei in Realismo capitalista di Mark Fisher per la prima volta. Stavo sfogliando i soliti noti nella Waterstones di Gower Street, quando mi ritrovai tra le mani un libro di eclatante brevità con un titolo provocante. Lessi il libro qualche mese più tardi e l’esperienza fu prossima alla rivelazione. In mezza giornata, qualcuno che non avevo mai visto alla televisione o in stampa aveva non solo descritto lo spirito del nostro tempo ma fornito un registro del tutto nuovo per farlo.
È importante notare come Realismo capitalista fosse stato pubblicato, non a caso, immediatamente dopo la crisi finanziaria globale, proprio quando le premesse fondamentali del neoliberalismo erano state smentite come assolutamente false (un credo che affermava di preferire uno stato più ristretto aveva bisogno che i governi salvassero il sistema finanziario dal collasso). Era in questo vuoto, caratterizzato da una crescente coscienza politica e indisposizione ideologica, che il primo libro di Fisher, scritto all’età di quarantun anni, diventò d’improvviso un bestseller.

Mark Fisher – Realismo capitalista (Nero, Roma 2018)

Nei diciotto mesi successivi, mentre il governo di coalizione era salito al potere e aveva introdotto l’austerity, le idee principali del libro erano diventate sempre più rilevanti. Quando nell’autunno del 2010 un movimento incredibilmente numeroso si era schierato contro la triplicazione delle tasse universitarie, Realismo capitalista rappresentava una guida su come avere la meglio sulle argomentazioni pro-mercato. Per la prima volta, lo slogan “there is no alternative” veniva rifiutato con polso fermo come semplice retorica ideologica. Mi ritorna in mente quando un funzionario di Universities UK, un gruppo di lobby che supportava le riforme governative, era stato rimproverato da uno studente durante un dibattito. “Possiamo lanciare una sonda nell’orbita di Marte, ma cancellare le tasse universitarie a quanto pare è irrealistico. No, non lo è”. Fisher aveva dato a migliaia gli strumenti ideologici per il contrattacco.
Ma oltre a essere una testimonianza storica di vitale importanza, Realismo capitalista porta ancora con sé un’insolita ventata d’aria fresca. A dirla tutta, dopo il fallimento di Jeremy Corbyn e Bernie Sanders da una costa all’altra dell’Atlantico, qualcuno potrebbe affermare che questo testo è ancora più rilevante oggi rispetto a cinque anni fa. Ciò non per negare le vittorie guadagnate dalla sinistra o il fatto che l’aggressione da parte della Russia abbia prodotto il ritorno al centro della scena della geopolitica, ma soltanto per sottolineare che i politici “mainstream” di oggi si sentono, ancora una volta, abbastanza sicuri di sé da liquidare chiunque etichettandolo come un ideologo (il che generalmente significa proporre una soluzione a qualcosa).
Ci sono tre idee in questo libro che rimangono particolarmente pertinenti. La prima è l’idea di “stalinismo di mercato”. L’argomento di Fisher è che il cosiddetto capitalismo di mercato sia comparabile allo stalinismo per via dell’“attaccamento ai simboli dei risultati raggiunti, più che l’effettiva concretezza del risultato in sé” (pensate a quei bambini e ragazzi che studiano per passare gli esami piuttosto che per essere istruiti). Secondo gli stalinisti del mercato le iniziative “contano solo fintantoché possono essere spes[e] in termini di ‘comunicazione’”, dove Fisher suggerisce l’inutile progetto del canale Mar Bianco-Mar Baltico di Stalin come archetipo storico. Questa attitudine è il motivo per cui, ad esempio, il New Labour spesso non riesce a portare a termine grandi progetti d’infrastruttura dopo la tanto chiacchierata Millennium Dome. Il fatto, in questo e casi simili, non è che il governo non ne intravedesse il bisogno ma che non fosse in grado di accettare il lato negativo prodotto in termini di cattive relazioni pubbliche.
Dal 2009, il cosiddetto “stalinismo di mercato” è diventato lo standard del capitalismo contemporaneo. Se Stalin ha progettato un canale talmente basso da essere inutilizzabile al di là di fini turistici, Elon Musk è diventato l’uomo più ricco del mondo grazie alle relazioni pubbliche e la sua autoimprenditorialità. Nel frattempo, personaggi come Sam Bankman-Fried, Elizabeth Holmes e Adam Neumann sono emersi come la personificazione di un modello post-crisi sempre più incentrato sull’aspetto “comunicativo”, in nome del quale capitani d’industria sono spesso giudicati attraverso la propaganda politica, interpretata come risultato tangibile. Per Fisher, questi atteggiamenti hanno il loro analogo in una forma di governo tecnocratico e centrista, interessato in egual misura alla “produzione di ‘relazioni pubbliche’ non meno che dall’imposizione dei meccanismi di mercato”. Inutile dirlo, questo è il contrario della tecnocrazia; un sistema di ordine pubblico razionale, progettato per rispondere a dei problemi, e una particolare ossessione per le “relazioni pubbliche” sono di solito diametralmente opposti.

Mark Fisher – Capitalist Realism (Zero Books, Londra 2009)

 

Un’altra idea è quella di “impotenza riflessiva”. Tale fenomeno pesa in particolar modo sui giovani, i quali riconoscono la gravità dei problemi sociali ed economici con cui hanno a che fare (con gli stipendi paralizzati e la crisi immobiliare, come potrebbe essere altrimenti) ma ciononostante sembrano essere rassegnati al loro destino. Secondo Fisher, questa rassegnazione non è affatto il risultato di apatia o cinismo, ma qualcosa di nuovo. “Sanno che la situazione è brutta”, scriveva in Realismo capitalista, “ma sanno ancor di più che non possono farci niente”. A quanto sembra questo “corrisponde a un’implicita visione del mondo” tra le generazioni più giovani, qualcosa d’inseparabile da un’ondata di depressione e ansia.
Il successo globale dei social media è ancora un altro fattore. Come Fisher scriveva nel 2006 sul suo blog, k-punk: “Non si tratta soltanto del tradizionale torpore adolescenziale, ma dell’inconciliabilità tra una giovane generazione post-alfabetizzata e ‘troppo connessa per riuscire a concentrarsi’, e le logiche limitanti e concentrazionarie di un sistema disciplinare in decadenza”. Queste parole sono state scritte prima dell’iPhone, per non menzionare Instagram e TikTok. Oggi siamo tutti dipendenti dalle tecnologie digitali e dai social media, mentre le problematiche sociali si mischiano e le élite politiche scivolano nella gerontocrazia. In combinazione, tutto questo determina un’impotenza riflessiva e l’impressione che anche un banale ribilanciamento dello status quo sia impossibile.
Intimamente legato a questo è la nozione di “edonia depressa”. Mentre la depressione è una condizione generalmente caratterizzata dall’anedonia (l’inabilità di provare piacere), l’edonia depressa, secondo Fisher, è caratterizzata da un’incapacità di fare altro tranne che attività gratificanti. Una diagnosi di questo genere descrive bene il mondo di oggi, tenendo tra l’altro in conto social media, un’epidemia di scommesse online, pornografia digitale e smartphone ‒con relativa dipendenza inclusa e progettata in prodotti di uso quotidiano. Ancora una volta, Fisher aveva previsto tutto questo con anni d’anticipo. “Essere ‘annoiati’ significa semplicemente venire esiliati dallo stimolo e dall’eccitamento comunicativo degli SMS, di YouTube, del fast food; significa essere costretti a rinunciare, anche solo per un momento, al flusso costante di una zuccherosa gratificazione on demand”. Qualcuno potrebbe leggere questo come un anziano che “sbraita contro una nuvola”, ma questa era un’importante intuizione che precorreva l’arrivo di TikTok, Instagram Stories e YouTube Shorts. L’originalità di Fisher è anche stata quella di collegare le trappole dell’economia dell’attenzione non soltanto con la nostra salute psichica ma, soprattutto, con il nostro più ampio malessere politico.
Oggi, sei anni dopo la sua tragica scomparsa, lo sforzo di Fisher di strappare il soggetto a questi impulsi è ancora più radicato nella nostra cultura ‒ sia che si tratti dell’appello a un “lavoro profondo” di personaggi come Cal Newport che del ritorno dello stoicismo in autori come Ryan Holiday. Al di là di quello che uno pensa su certi temi, rimane comunque il sintomo di una crescente consapevolezza che l’instancabile ricerca di gratificazione ha il potere di farci sentire miserabili. Proprio questo dovrà essere il luogo d’incontro per i socialisti e i più avveduti conservatori negli anni a venire (per quanto insolita possa essere l’ultima categoria). In verità, forse questo è il più grande complimento che si possa fare al libro di Fisher.
Realismo capitalista è il più importante documento che la sinistra inglese ha prodotto nel XXI secolo a oggi. La ragione di questo non è tanto la sua innovazione concettuale o la capacità del suo autore per la sistematizzazione (questa era l’ambizione per un lavoro successivo), ma piuttosto perché questo libro usa un registro popolare per descrivere l’indolenza alla base della nostra vita politica e sociale. Ammettere ciò era, e rimane, il primo passo per ogni azione costruttiva.

Aaron Bastani
traduzione di Alessandro Sbordoni

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Novara Media

FONTE: https://www.artribune.com/editoria/2023/02/realismo-capitalista-mark-fisher-libro-xxi-secolo/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Big tech Usa, 40mila ingegneri a spasso. Li assuma l’Italia, la proposta

ImolaOggi1 Febbraio 2023 ECONOMIANEWS2023Scienza & Tecno

di Antonio Amorosi – www.affaritaliani.it – La proposta di Affaritaliani: creiamo una Silicon Valley italiana attirando gli ingegneri del software licenziati negli USA. Creiamo un internet etico in grado di liberarci dalle tecnologie del controllo
Licenziati con un messaggio di posta elettronica. È questa la fine del sogno USA chiamato Silicon Valley. Dopo migliaia di primi licenziamenti nella Big Tech americana si parla di altri 40.000 esuberi tra Google Alphabet, Microsoft e Facebook.

La maggioranza degli interessati sono giovani iper formati e con competenze tecnologiche avanzate. Non avrebbero mai pensato alla possibilità di restare senza lavoro, vivendo da anni tra benefit e bonus impensabili per i comuni mortali. È la prima vera crisi economica di una generazione.

Ma è contemporaneamente partita una campagna tedesca per attirarli. “Loro licenziano, noi assumiamo”, è stato il motto lanciato da Rainer Zugehoer, Chief People Officer di Cariad, la filiale software della casa automobilistica Volkswagen, “abbiamo diverse centinaia di posizioni aperte negli Stati Uniti, in Europa e in Cina”. Al dirigente ha fatto eco un post su LinkedIn di Judith Gerlach, ministro della Digitalizzazione nella regione più ricca della Germania: “Vorrei invitarvi cordialmente a trasferirvi in Baviera”. Gerlach ha anche accennato alle protezioni sul lavoro tedesche che potrebbero rivelarsi attrattive per questi neo disoccupati altamente qualificati.

Ormai sono le nuove tecnologie e l’Intelligenza Artificiale a muovere il mondo e la crisi USA può essere un’occasione da cogliere per Giorgia Meloni e l’Italia.

Come hanno già fatto in passato diversi Paesi, la Germania sta semplificando le regole sull’immigrazione facendo prospettare la possibilità di una cittadinanza facile per questi speciali immigrati, opzione sulla quale stanno spingendo i Lander (la Germania è una federazioni di Stati). Secondo il gruppo industriale IT Bitkom, ci sarebbero almeno 137.000 primi posti di lavoro vacanti nel settore Information technology.

Perché in Italia non si fa altrettanto e meglio dei tedeschi? Costruendo una nostra Silicon Valley che però abbia la capacità di guardare al futuro: investendo su nostre infrastrutture che guidino una nuova internet fatta di software e applicazioni dalla forte impronta etica, rispetto a quelle USA e a quelle tedesche.

I miliardi di euro che la UE sta investendo sull’elettrico e le strategie connesse mostrano come sia possibile creare ambiti economici che un attimo prima erano totalmente infruttuosi.

L’avvento di Internet ha trasformato alle fondamenta le nostre società, facilitandoci la vita dal punto di vista sociale ed economico ma non sempre questo è stato un bene ed è stato meglio rispetto al passato. Oggi i cittadini sono diventati entità sfruttabili in tempo reale e sul piano globale, fonti di informazioni dati che garantiscono un profitto economico, oltre che essere oggetto del controllo politico dei governi e delle loro burocrazie. In sostanza non sono più soggetti, ma oggetti di profitto e controllo continuo.

Questo è il presente ma le nuove tendenze culturali stanno spingendo gli utenti a pensarsi non più come prodotti, volendo avere il pieno controllo dei propri dati, contenuti e interazioni, preferendo quindi software e App in grado di consentirne la possibilità (vedi l’esplosione economica di App che garantiscono l’anonimato in ogni attività).

Bisognerebbe investire tornando alla libertà e all’etica della prima rete Internet, se si vuole ragionare su una sovranità delle persone e del pubblico. In sostanza andrebbero create le condizioni per facilitare l’apertura in Italia di imprese IT ad alto impatto, semplificando in modo drastico la burocrazia del lavoro ma creando infrastrutture aperte e trasparenti, dove la sovranità e il controllo siano pubblici. Ripensando cioè Internet come spazio degli esseri umani e non lasciandolo alla giungla attuale, dove le persone sono sempre prede, mai al sicuro e i loro dati costantemente forniti a terzi per affari e attività economiche.

Il sistema del lavoro italiano è poco attrattivo, soprattutto per la capacità paralizzante della burocrazia, problema anche tedesco. In più in Italia le paghe sono da fame. Ma con le opportune semplificazioni, senza indebolire le già pessime condizioni di lavoro dei cosiddetti non garantiti, è possibile invertire la tendenza o almeno provarci per avere una ventata di aria nuova nella società italiana, facendo crescere anche la qualità delle paghe.

Di fronte a un mercato come quello della rete che ha capacità di crescere in modo esponenziale la crisi della Silicon Valley USA è un’occasione che non andrebbe persa.

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2023/02/01/big-tech-usa-40mila-ingegneri-a-spasso-li-assuma-litalia-la-proposta/

 

 

SIAMO SUDDITI

Post di Andrea Oddo su facebook 1 02 2023

 

Non ci resta che DISOBBEDIRE A TUTTO ! Perderanno loro!

Ieri c’era l’udienza in cui si sarebbe dovuto rilevare che l’AIFA non era in possesso della documentazione di sicurezza ed efficacia propedeutica per legge al rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei veleni che hanno spacciato per vaccini. Di fronte alla candida affermazione il 2 dicembre (1 udienza) da parte dell’Avvocatura dello Stato che AIFA NON ERA IN POSSESSO DI QUELLA DOCUMENTAZIONE, c’era stata una sospensione ed un rinvio a ieri dell’udienza di fronte al TAR Lazio.

Ecco cos’è successo nelle parole dell’avvocato Oddo.

‘Mai vista un’udienza così: volevano una scusa per rigettare!

Al Prof. Sinagra stava venendo un colpo, a me la gastrite, ed al Collega Petrongolo idem.

L’Avvocatura dello Stato non si è presentata.

Ho fatto presente al Collegio che Aifa ha completamente violato la norma sulla farmacovigilanza, dato che avendo confessato di non avere le certificazioni sulla sicurezza non ha potuto adempiere all’obbligo di effettuare la vigilanza sulle reazioni legate alla somministrazione del farmaco… niente, non gliene fotteva niente, neppure quando ho sottolineato che tanta gente sta male e muore!

Questo è lo Stato di cui i cittadini si sono fidati…

Il Prof. Sinagra ha urlato al Collegio che facendo finta di non vedere, loro sono complici di una strage, e che hanno perso un’occasione per entrare nella storia, ma è stato tutto inutile! A questi della vita di chi si è fidato non frega nulla, nulla, nulla!!!

Col Collega Petrongolo abbiamo pazientemente cercato di spiegare che la mancanza delle relazioni obbligatorie di sicurezza giustificava la richiesta di ritiro dal commercio… quindi ci hanno eccepito che dovevamo impugnare l’autorizzazione alla vendita, ma quando ho fatto presente che se avessimo fatto questo, avrebbero rigettato perchè ai tempi dell’immissione in commercio ancora non potevamo sapere che Aifa non possedesse le relazioni di sicurezza, sono rimasti zitti!

La situazione quindi è questa: adesso un organo dello Stato sa ufficialmente che un altro organo dello Stato ha violato le norme di sicurezza sul monitoraggio farmaceutico, ciò comporta che si ipotizzi il reato di strage, reato di pericolo che è ipotizzabile anche solo quando si metta a rischio la pubblica incolumità. A questo punto tale organo, composto da pubblici ufficiali, avrebbe l’obbligo di denunciare alla Procura della Repubblica tale situazione, ma qualcuno pensa che ciò avverrà?

ASSOLUTAMENTE NO!!!

Perché questa gente conta sul menefreghismo delle masse, e quindi usa tale mancanza di controllo per erodere i diritti dei cittadini.

Il Prof. Sinagra prevedeva che davanti al Tar Lazio sarebbero venuti giornalisti e cittadini desiderosi di assistere all’udienza, quindi aveva previsto di sollevare un’eccezione fondata su alcune sentenze della Corte di Giustizia europea (ed una della Corte Costituzionale) per chiedere la disapplicazione del rito camerale e quindi ottenere la pubblica udienza… ma non si è presentato nessuno, nessuno, nessuno… quindi è stato impossibile sollevare anche tale eccezione.

Allo Stato non frega nulla della vita della gente, ma alla gente frega qualcosa di aver capito di essere stata ingannata? Di essere stata obbligata a fare da cavia per un esperimento che serviva esclusivamente agli interessi di Big Pharma?

Questo certamente non è lo Stato al quale ho giurato fedeltà, ma altresì non riesco a giustificare un popolo che assiste in silenzio alla propria messa a rischio.

Rigetteranno tutto, ma non finirà qui, questo è scontato, è quanto gli ho detto mentre uscivo: “Ci rivedremo!”. Ma mi chiedo: nell’interesse di chi? Di un popolo che accetta l’inaccettabile? Di gente che si accolla il rischio di andare a dormire la sera mettendo in conto che una trombosi nel sonno potrebbe stroncarla?

Noi ripartiremo, ma senza la rabbia della popolazione per gli abusi subiti, saremo sempre sepolti dalla corruzione di uno Stato che dei suoi cittadini si sente padrone di poter fare in qualunque momento carne da cannone… tanto il popolo è bestia!

Per oggi basta, sono troppo schifato…”

 

FONTE: https://www.facebook.com/biancalaura.granato/posts/pfbid09AQmUpUvayDxkZJPa8DNc745tehcQw23novYcvtP5ntQfyNKUW2PJjCppmykUsG6l

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

La sconfitta incombe: la Rand guerrafondaia ora consiglia la pace

Date: 29 Gennaio 2023Author: ilsimplicissimus2 Comments

Ricordate il documento attribuito alla Rand Corporation e che girava per gli uffici dell’amministrazione di Washington e nel quale si diceva che uno degli obiettivi della guerra in Ucraina erano la Germania e l’Europa  che avrebbero dovute essere messe in condizione di non poter  avere sinergie economiche con la Russia? Questo documento riservato, portava la data del  25 gennaio del 2022 e l’amministrazione americana sapeva che avrebbe costretto Mosca a intervenire scatenando i suoi nazisti contro i civili del Donbass. Ciò che la Rand dava per scontato era che le sanzioni draconiane da una parte avrebbero costituito un durissimo colpo per Mosca e certamente per Putin e nel contempo avrebbero lasciato l’Europa in balia  degli altissimi prezzi di gas liquefatto americano, tra l’altro di pessima qualità e con quelli perigliosi del petrolio, il che in sostanza avrebbe portato alla deindustrializzazione del continente. Insomma gli Usa avrebbero preso due piccioni con una fava.

Ma le cose non sono andate nel verso giusto da nessun punto di vista  e ora un nuovo documento della Rand  ammaina le bandiere e dice che a questo punto i vantaggi per gli Usa di continuare indefinitamente la guerra si riducono e anzi presentano maggiori costi e rischi, mentre per Mosca rappresentano un vantaggio . Ma naturalmente poiché la Rand è un think tank della nazione “eccezionale”, quella che da due secoli a questa parte ha prodotto nel pianeta il maggior numero di morti in guerra questo non significa che si vuole davvero la pace, ma che si vuole mano libera per un’altra guerra, quella contro la Cina che è assolutamente necessaria a gli Usa per mantenere la propria egemonia mondiale: “A parte i potenziali guadagni russi e le ricadute economiche per l’Ucraina, l’Europa e il mondo, una guerra prolungata avrebbe anche implicazioni per la politica estera degli Stati Uniti. La capacità degli Stati Uniti di concentrarsi sulle altre priorità globali, in particolare competere con la Cina, rimarrà limitata finché la guerra consumerà il tempo degli alti responsabili delle decisioni e le risorse militari statunitensi. … E sebbene la Russia dipenderà maggiormente dalla Cina indipendentemente da quando la guerra finirà, Washington ha interesse a lungo termine a garantire che Mosca non si sottometta completamente a Pechino. Una guerra prolungata che aumenti la dipendenza della Russia potrebbe dare alla Cina dei vantaggi nella sua competizione con gli Stati Uniti”. Insomma ci voleva un think tank che riceve ogni anno milioni di dollari per dire ciò che questo blog dice gratuitamente da parecchi anni e certo non solo il Simplicissimus ma decine e decine, per non dire centinaia  di siti ben più importanti: queste prospettive  erano infatti abbastanza scontate e solo stupidi e tronfi guerrafondai ci hanno messo anni a capirlo.

Il ragionamento della Rand parte dalla constatazione che la resistenza della Russia alle sanzioni e il suo mancato isolamento mondiale deriva dalla potenza economica della Cina e la scarsa propensione di molti Paesi ad andare contro Pechino. Tuttavia questa “boite a penser”  non si accorge di alcune cose che balzano agli occhi: la prima è che essa stessa ha contribuito alla politica aggressiva nei confronti della Russia, la seconda è che comunque Mosca ha dimostrato di avere capacità militari ed economiche molto superiori a quelle previste dagli ottusangoli dell’amministrazione di Washington , la terza infine è una sorta di autocondanna nel senso che  si ammette tra le righe che gli Usa non sono in grado di combattere Russia e Cina insieme e dunque non possono pretendere di avere la primazia planetaria. Gli avversari ovviamente lo sanno e non si faranno certo dividere per dare soddisfazione a Washington. Ma in ogni caso è stato proprio il golpe ucraino e la minaccia diretta contro la Russia che ha dato avvio concreto ad una integrazione fra chi è nel mirino degli Usa e questo dimostra che le elite nordamericane sono rabbiose, ma talmente confuse da aver creato esse stesse condizioni perché i loro incubi si concretizzassero.

Ora la Rand consiglia a Washington di prendere misure che possano rendere possibile una rapida fine della guerra e dovrebbero fare pressione sull’Ucraina per avviare i negoziati e accettare l’esito negativo minacciando di interrompere il finanziamento della guerra che del resto si sta rivelando insufficiente a riequilibrare la situazione sul campo. Anzi la pace viene ora invocata  prima che la Russia si prenda un’inequivocabile vittoria militare e che la gente possa constatare di essere stata presa in girio per un anno con fantasiose vittorie del regime di Kiev.  Si può  anche incoraggiare la Russia ad avviare negoziati offrendo un significativo allentamento delle sanzioni. E si può inscenare un altro cambio di regime a Kiev in modo relativamente semplice e far concludere la pace da un nuovo presidente. Si è vero, gli Usa potrebbero, ma dovrebbero perdere la faccia perché una delle condizioni di Mosca darebbe quella di smilitarizzare l’Ucraina  e di fare così arretrare la Nato. Siccome nessuno si fida più degli occidentale non potranno ancora una volta barare. Tuttavia questa è l’unica alternativa alla guerra nucleare e alla fine il tutto si tradurrà in meglio sconfitti che vivi. Ma a quel punto non potranno nemmeno più fidarsi di tenere tra le grinfie l’Europa attraverso i governi fantoccio e i pupazzetti dell Ue, visto gli sconvolgimenti economici che in ogni caso non rientrerebbero che in parecchi anni.

FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/01/29/la-sconfitta-incombe-la-rand-guerrafondaia-ora-consiglia-la-pace/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Due modi di percepire la guerra in Ucraina

di Thierry Meyssan

L’intervento militare in Ucraina viene interpretato in Occidente e in Russia in modo completamente differente. È un caso emblematico. La differenza non scaturisce da interessi materiali antagonisti, ma da concezioni diverse di cosa significhi essere Uomo e di che cosa sia la Vita. Per gli Occidentali, il nemico russo vuole restaurare la grandezza dell’impero zarista o dell’Unione Sovietica; per i russi, gli Occidentali sono convinti d’incarnare il Bene.

RETE VOLTAIRE | PARIGI (FRANCIA) | 31 GENNAIO 2023

In tutte le guerre entrambi gli schieramenti soffrono. Questa foto è stata scattata in Ucraina, ma non ha lo stesso significato per chi si trova in Occidente oppure in Novorossia. Non si può né si deve giudicare chi ha ragione osservando la sofferenza delle persone. Durante la seconda guerra mondiale la sofferenza delle vittime dei bombardamenti di Dresda, di Londra, di Tokio o di Le Havre era la stessa. Ma questo non ci diceva chi avesse ragione, se l’Asse o gli Alleati.

In tutte le guerre entrambi gli schieramenti soffrono. Questa foto è stata scattata in Ucraina, ma non ha lo stesso significato per chi si trova in Occidente oppure in Novorossia. Non si può né si deve giudicare chi ha ragione osservando la sofferenza delle persone. Durante la seconda guerra mondiale la sofferenza delle vittime dei bombardamenti di Dresda, di Londra, di Tokio o di Le Havre era la stessa. Ma questo non ci diceva chi avesse ragione, se l’Asse o gli Alleati.

lI conflitto che contrappone i partigiani di «un mondo fondato su regole» e chi auspica un «mondo fondato sul diritto internazionale» va avanti. Si è aperto con l’intervento militare russo in Ucraina e durerà anni.

La situazione militare sul campo è bloccata, come sempre accade in inverno in questa regione del mondo. I partigiani di un «mondo fondato su regole» continuano a rifiutarsi di applicare la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu; dal canto loro i partigiani di «un mondo fondato sul diritto internazionale» portano avanti un’operazione militare speciale per metterla in atto. Ma alla fin fine se ne discostano progressivamente e vogliono stabilizzare la situazione delle popolazioni della Novorussia.

Il passaggio da una guerra di movimento a una guerra di posizione ha permesso a entrambi i campi di riflettere sulle ragioni che li inducono a combattere. Ora lo scontro non è più tra due diverse visioni delle relazioni internazionali, ma tra due concezioni dell’Uomo.

All’interno delle truppe di Kiev vanno distinti i nazionalisti integralisti, sempre pronti a combattere, dai militari di professione e dai cittadini mobilitati per la guerra. I primi sono uomini formati ideologicamente, che ritengono l’uccisione di un russo un dovere sacro da tempo immemorabile. Costoro fanno riferimento agli scritti di Dmytro Dontsov e all’esempio di Stepan Bandera. Il primo fu amministratore dell’Istituto Reinhard Heydrich di Praga e, in quanto tale, uno degli ideatori della «soluzione finale del problema degli ebrei e degli zingari»; il secondo fu il capo dei collaboratori del nazismo contro i sovietici. Il resto dei soldati di Kiev, che all’inizio dell’intervento russo costituivano due terzi dell’esercito, è scoraggiato. Vedono che le armi occidentali sono consegnate ai nazionalisti integralisti, non a loro. Sono considerati carne da cannone e subiscono pesantissime perdite. In rete proliferano messaggi video di unità che protestano contro gli ufficiali. In autunno c’è stata una prima ondata di malcontento. Adesso siamo nella seconda. Se all’inizio credevano di difendere la patria contro l’invasore, ora sanno che il loro Paese è nelle mani di una cricca che ha epurato le biblioteche, assunto il controllo dei media, messo fuori legge 13 partiti politici, nonché la Chiesa ortodossa, ossia instaura un regime autoritario. La scorsa settimana l’ex consigliere per la comunicazione del presidente Zelensky, colonnello Oleksiy Arestovych, ha detto loro che l’Ucraina combatte una guerra sbagliata e, a torto, considera sei milioni di cittadini «agenti russi». Sanno che la maggior parte dei giornalisti è stata arrestata e gran parte degli avvocati è fuggita all’estero. Si sentono certo minacciati dall’esercito russo, ma anche dal loro stesso governo. I tanti scandali di corruzione scoppiati la scorsa settimana li rafforzano nella convinzione di non essere che pedine tra Stati Uniti e Russia.

Dalla parte russa accade il contrario: le truppe di professionisti schierate all’inizio dell’operazione speciale obbedivano senza capire perché il Cremlino le inviasse in Ucraina, la regione che diede i natali alla loro patria. La popolazione temeva il ritorno ai massacri del passato. Poco a poco la situazione si è quietata. I borghesi pseudo anticonformisti si sono autoesiliati. Fui sorpreso di sentire un amico russo commentare: «Che liberazione!». Non sembrava preoccupato, bensì sollevato per non dover più averci a che fare. La popolazione, scioccata dalle misure occidentali contro artisti e antiche glorie russe, ha acquisito consapevolezza che l’Ucraina non è che un pretesto. E si è meravigliata anche di vedere le popolazioni dell’Unione Europea allinearsi a Washington. Ai suoi occhi è una battaglia di civilizzazione, una guerra contro l’eredità di Tolstoj e di Pushkin, non contro il presidente Putin. Questo popolo fiero, sempre disposto a mettersi in gioco per difendere i compatrioti e il proprio onore, osserva con tristezza la boria degli Occidentali, la loro convinzione d’incarnare il Bene, non di esserne al servizio.

Le argomentazioni politiche esposte dal presidente Putin a dicembre 2021, quando pubblicò la proposta di Trattato bilaterale USA/Russia sulle garanzie di sicurezza [1], sono superate. Non è più una guerra per difendere degli interessi. I protagonisti russi sentono che non stanno battendosi per qualcosa, ma per sopravvivere; gli Occidentali invece non interpretano allo stesso modo il conflitto, credono che i russi siano accecati dalla propaganda del regime e che, senza esserne consapevoli, combattano per restaurare la grandezza dell’impero zarista o dell’Unione Sovietica.

È un tipo di conflitto estremamente raro, che fa pensare alla guerra fra Roma e Cartagine, conclusasi con la distruzione di ogni vestigio della civiltà cartaginese, di cui oggi ignoriamo pressoché tutto. Sappiamo che fu costruita da gente di Tiro (attuale Libano, feudo dello Hezbollah) e che, quando fu distrutta, il suo capo, Annibale, cercò invano rifugio a Damasco e in altre città siriane. Sappiamo anche che Cartagine fiorì in buona armonia con vicini e partner; al contrario di Roma che conquistò il proprio impero con la forza. Un raffronto che feci anche in occasione dell’intervento della Russia nella guerra contro la Siria. Il paragone oggi s’impone con più forza. I due blocchi non hanno più niente che li accomuni.

In Occidente quanto accade in Ucraina è vissuto come una guerra tra Stati Uniti e Russia, attraverso gli ucraini. I nazionalisti integralisti sono convinti non già di resistere a un invasore, bensì di battersi per vincerlo, ora oppure nella «battaglia finale». Credono che questo sia il loro destino. Ma, a parte i deliri mistici di Dmytro Dontsov, come si può pensare che 40 milioni di ucraini possano vincere 140 milioni di russi, sapendo che questi ultimi possiedono armamenti di vent’anni più moderni di quelli occidentali?

I membri del Gruppo di Ramstein, in pratica gli Stati Uniti e l’Unione Europea, hanno già speso 250 miliardi di dollari per questa guerra, ossia in un anno quanto speso in dieci anni di guerra contro la Siria. Se vogliamo fare un raffronto tra i due conflitti, sul piano del diritto internazionale la Russia ha ragione in entrambi i casi, nonché dobbiamo prendere atto che gli Stati Uniti sono riusciti a mettere insieme una coalizione contro la Siria più vasta, ma in Ucraina hanno ottenuto un coinvolgimento molto più importante degli alleati.

A differenza di Annibale, il presidente Putin non ha intenzione di conquistare la capitale degli avversari, Washington. È conscio della superiorità militare russa, ma non s’inimicherà le popolazioni occidentali portando la guerra a casa loro, salvo, forse, prendersela con le loro élite, al Pentagono e al Foreign Office.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article218746.html

 

 

 

Prestigioso organo di controllo liberale (CJR) condanna la copertura del Russiagate da parte del New York Times

La Redazione de l’AntiDiplomatico 1 02 2023

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La Columbia Journalism Review (CJR), organo liberale di controllo dei media (watchdog), ha pubblicato un’ampia retrospettiva sulla copertura del Russiagate da parte dei media, che ha esaminato diverse società giornalistiche durante la saga Trump-Russia, rivolgendo le critiche maggiori al New York Times.

“Nessun racconto ha plasmato i rapporti di Trump con la stampa più del Russiagate. La storia, che ha incluso il dossier Steele e il rapporto Mueller tra gli altri momenti totemici, ha portato a premi Pulitzer, ma anche a imbarazzanti ritrattazioni e carriere danneggiate”, ha scritto il direttore esecutivo del CJR Kyle Pope in una nota.

Pope ha spiegato che CJR ha trascorso gli ultimi 18 mesi “esaminando la copertura dei media USA su Trump e la Russia in dettaglio” per determinare cosa significhi per gli statunitensi avvicinarsi alle elezioni del 2024.

Dalla valutazione della copertura mediatica è emerso che il New York Times ha agito in malafede.

Ma non solo questo quotidiano. Le conclusioni della CJR riflettono accuratamente ciò che la maggior parte dei pensatori obiettivi ha sempre saputo: tutti operavano in malafede.

In ogni caso le maggiori critiche vanno al NYT. I risultati sono stati pubblicati in una lunga serie di quattro parti. La prima sezione inizia con la storia della reazione dell’allora direttore esecutivo del New York Times, Dean Baquet, quando scoprì che il consigliere speciale Robert Mueller non aveva intenzione di perseguire la destituzione di Trump, dicendo al suo staff: “Santo cielo, Bob Mueller non lo farà”, riporta Fox News.

Baquet, parlando ai suoi colleghi in una riunione subito dopo la conclusione della testimonianza, ha riconosciuto che il New York Times era stato colto “un po’ alla sprovvista” dall’esito dell’indagine di Mueller”, secondo Jeff Gerth, autore della lunga retrospettiva della Columbia Journalism Review.

“Questo si sarebbe rivelato più che un eufemismo”, prosegue Gerth. “Ma né Baquet né il suo successore, né alcun giornalista del giornale, offrirebbero qualcosa di simile a un esame autoptico della saga Trump-Russia del giornale, a differenza dell’esame che il Times fece della sua copertura prima della guerra in Iraq”.

Secondo Gerth, il New York Times ha distrutto la sua credibilità al di fuori della sua “bolla”.

Inoltre, il NYT è sembrato legittimare l’ex spia britannica Christopher Steele, che è stato indirettamente pagato dalla campagna della Clinton per fabbricare il famigerato “dossier” su cui si è basato gran parte del Russiagate e la finta indagine del Dipartimento di Giustizia.

Il New York Times sembrava legittimare Christopher Steele, l’ex spia britannica del famigerato dossier, affermando che aveva “un curriculum credibile” mentre la cosiddetta fonte “primaria” di Steele diceva all’FBI che Steele aveva “sbagliato o esagerato” nel suo rapporto e che le informazioni provenienti dalla Russia erano “voci e speculazioni”.

La terza parte offre esempi della copertura del Times nei confronti di Trump rispetto ad altre testate ostili. Ad esempio, Trump ha spiegato la sua decisione di licenziare il direttore dell’FBI James Comey, menzionando la “questione Russia” come una “storia inventata” a Lester Holt della NBC, ma ha riconosciuto che il licenziamento avrebbe probabilmente “allungato l’indagine”.

“I media si sono concentrati sulla citazione del ‘Russiagate’; il New York Times ha pubblicato cinque articoli nella settimana successiva citando le osservazioni sul ‘Russiagate’ ma tralasciando il contesto completo. Il Post e la CNN, in confronto, hanno incluso un linguaggio aggiuntivo nel loro racconto”, ha scritto Gerth.

In un altro caso, il NYT ha evitato di trattare alcuni dei testi più compromettenti di Peter Strzok, che scrisse “non c’è un granché” poco dopo la nomina del consigliere speciale Robert Mueller, cosa che Gerth ha notato essere stata trattata dal Wall Street Journal e dal Washington Post.

Gerth ha quindi concluso che “l’erosione delle norme giornalistiche e la mancanza di trasparenza dei media sul loro lavoro” sono responsabili dell’ampia sfiducia nei media.

“Nel gennaio 2018, ad esempio, il New York Times ha ignorato un documento disponibile pubblicamente che mostrava come il principale investigatore dell’FBI non ritenesse, dopo dieci mesi di indagini sui possibili legami Trump-Russia, che ci fosse molto. Questa omissione non ha soddisfatto i lettori del NYT. Il giornale afferma che il suo reportage è stato approfondito e “in linea con i nostri standard editoriali”, ha scritto Gerth. “Un altro assioma del giornalismo che a volte è stato trascurato nella copertura su Russia-Trump è stato l’incapacità di cercare e riportare i commenti di persone che sono oggetto di critiche serie. Le linee guida del New York Times lo definiscono un “obbligo speciale”. Eppure, in storie del NYT che coinvolgevano figure disparate come Joseph Mifsud (l’accademico maltese che avrebbe dato il via all’intera indagine dell’FBI), Christopher Steele (l’ex spia britannica autrice del dossier) e Konstantin Kilimnik (il consulente citato da alcuni come la migliore prova della collusione tra la Russia e Trump), i reporter del giornale non hanno incluso un commento della persona criticata”.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-prestigioso_organo_di_controllo_liberale_cjr_condanna_la_copertura_del_russiagate_da_parte_del_new_york_times/82_48647/

 

 

 

Ex ufficiale Marines, Scott Ritter: La NATO è una pillola suicida per il mondo. Pregate che la Russia vinca

di Strategic-Culture26 Gennaio 2023

 

L’ex ufficiale del Corpo dei Marines Scott Ritter ritiene che l’alleanza militare NATO guidata dagli Stati Uniti stia guidando la guerra in Ucraina con l’obiettivo finale di sconfiggere la Russia.

Il conflitto non riguarda la difesa dell’Ucraina, come ci direbbero i media occidentali, ma riguarda ed è sempre stata la sconfitta della Russia.

La NATO è già ora in una guerra diretta con la Russia e ha tutto il diritto di colpire obiettivi in ??paesi della NATO come la Germania e la Polonia che fungono da centri logistici nella fornitura di munizioni all’Ucraina.

Washington e i suoi alleati della NATO stanno incautamente alzando la posta in gioco della vittoria o della sconfitta militare, piuttosto che cercare di trovare una soluzione diplomatica e politica a un conflitto di lunga data. L’Ucraina viene insensibilmente sfruttata come proxy per la guerra della NATO alla Russia guidata dagli Stati Uniti.

Come sottolinea Ritter, la NATO è una pillola suicida per il mondo. Se il suo obiettivo procede, il risultato sarà una guerra generale a tutto campo con la Russia che diventerà nucleare, il che significa la distruzione del pianeta.

Ecco perché, sostiene Ritter, ogni persona amante della pace, indipendentemente dalla nazionalità, dovrebbe pregare affinché la Russia vinca questo conflitto in Ucraina e sconfigga l’agenda della NATO. I piani di guerra della NATO sono stati seminati anni fa con il colpo di stato a Kiev nel 2014 e l’armamento delle forze neonaziste ucraine. Il massimo comandante ucraino Valery Zaluzhny è un devoto del collaboratore nazista della Seconda guerra mondiale e assassino di massa Stepan Bandera. Questo è quello con cui gli americani e gli europei stanno ora collaborando nel portare avanti i loro piani di guerra contro la Russia.

Fortunatamente, prevede Ritter, la Russia vincerà la guerra. Questo è uno scenario da incubo per le potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti che hanno investito così tanto nella guerra; eppure, rischiano di subire una sconfitta storica.

Ma dovrebbe essere ampiamente compreso che sono gli Stati Uniti ei loro alleati che stanno spingendo il mondo sull’orlo del disastro.

(Traduzione de l’AD)

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ex_ufficiale_marines_scott_ritter_la_nato__una_pillola_suicida_per_il_mondo_pregate_che_la_russia_vinca/45289_48572/

 

 

Stoltenberg: ‘guerra oggi in Europa, domani forse in Asia’

ImolaOggi31 Gennaio 2023 EUROPA UENEWS2023

31 GEN – “Pechino osserva con attenzione cosa sta accadendo oggi in Ucraina e questo potrà influenzare le sue decisioni future: ciò che accade oggi in Europa potrà accadere domani in Asia”. Lo ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg nel corso del suo punto stampa con il premier giapponese Fumio Kishida.

Giappone e Nato concordano che la sicurezza nell’area transatlantica e dell’indopacifico è “interconnessa” e che la guerra in Ucraina non è una sfida “solo europea”. “La Cina non è un nostro avversario ma bullizza i suoi vicini e minaccia Taiwan, dunque, dobbiamo capire e gestire questa sfida”, ha aggiunto. (ANSA).

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2023/01/31/stoltenberg-guerra-oggi-in-europa-domani-forse-in-asia/

 

 

 

Cia e operazioni di sabotaggio in Russia, finanziamenti USA all’Ucraina, Zelensky al WEF, asse Russia-Iran, UE e fertilizzanti russi, Israele e Ucraina

Photo by Markus Winkler on Unsplash

Approfitto di questo periodo festivo per lanciare una nuova rubrica di questa Newsletter, “In pillole”, che intende raccogliere analisi brevi su alcuni fra gli sviluppi più significativi del panorama internazionale. A regime, la speranza è di affiancare questa rubrica alle analisi più lunghe che solitamente pubblico il venerdì, ora temporaneamente sospese durante il periodo natalizio. Buona lettura.

 

  • Operazioni di sabotaggio in territorio russo sotto la guida indiretta della CIA
  • Se l’Ucraina fosse uno stato della federazione americana, si classificherebbe all’11° posto in termini dei finanziamenti federali che riceve
  • Zelensky parteciperà il prossimo gennaio al Forum annuale del WEF a Davos
  • Un inedito asse Russia-Iran, militare ed economico, si consolida fra Europa e Asia
  • Dopo un embargo di 8 mesi, l’UE rimuove gli ostacoli alla fornitura di fertilizzanti russi vitali per i paesi africani
  • Israele rafforza la propria assistenza di intelligence all’Ucraina

 

Operazioni di sabotaggio in territorio russo sotto la guida indiretta della CIA

La CIA starebbe usando i servizi segreti di un alleato europeo per compiere operazioni di sabotaggio sotto copertura in territorio russo, sotto la direzione dell’intelligence americana.

E’ quanto afferma un reportage del giornalista investigativo, ed ex militare americano, Jack Murphy.

La campagna di sabotaggio sarebbe responsabile delle numerose esplosioni e degli altri incidenti che hanno colpito il complesso militare industriale russo dall’inizio del conflitto ucraino.

A testimoniarlo sarebbero ex esponenti dell’intelligence e dell’esercito USA, presumibilmente impegnati in precedenza nella messa a punto di questa campagna, che avrebbe richiesto anni di preparazione.

Ponti ferroviari, depositi di carburante, fabbriche di munizioni e centrali elettriche in Russia sono stati finora danneggiati in incidenti apparentemente privi di spiegazione.

L’impiego di un servizio di intelligence di un paese alleato servirebbe a conferire alla CIA un ulteriore livello di “plausible deniability”. Ciò però fa sì che l’alleato NATO abbia molta voce in capitolo nella selezione delle operazioni da compiere, visto che i loro agenti si assumono i rischi in prima persona.

L’autorizzazione presidenziale per pianificare operazioni sotto copertura in Russia risalirebbe agli ultimi giorni della presidenza Obama, poco prima che egli lasciasse il posto a Trump. E’ possibile che Biden abbia ulteriormente modificato il decreto Obama e ne abbia firmato uno nuovo.

La campagna indirettamente condotta dalla CIA sarebbe solo una fra le diverse operazioni portate avanti dalle nazioni occidentali in Russia. Servizi di intelligence europei, inclusi quelli ucraini, starebbero a loro volta compiendo operazioni di sabotaggio in territorio russo.

L’obiettivo sarebbe quello di seminare il caos e paralizzare per quanto possibile la logistica russa finalizzata alla campagna militare in Ucraina.

Tali operazioni sarebbero però spesso avvenute senza alcun coordinamento, al punto da richiedere successivamente misure di “deconfliction” fra i diversi servizi di intelligence occidentali per scongiurare incidenti tra le varie cellule operative.

Le prime “cellule dormienti” sarebbero state infiltrate in Russia a partire dal 2016. Operazioni di sabotaggio, in particolare alle linee ferroviarie, sarebbero state condotte anche in Bielorussia.

Fin dal 2014, l’intelligence americana ha avviato programmi di addestramento per le forze speciali ucraine, che adesso sarebbero responsabili di alcune delle operazioni di sabotaggio, anche in Crimea.

Se l’Ucraina fosse uno stato della federazione americana, si classificherebbe all’11° posto in termini dei finanziamenti federali che riceve

La tranche di aiuti americani all’Ucraina recentemente approvata dal Congresso, del valore di 45 miliardi di dollari, spinge la spesa totale degli USA in favore di Kiev a circa 113 miliardi dallo scoppio della guerra, avendo Washington in precedenza già assegnato 68 miliardi al governo di Kiev.

Ci sono vari paragoni che possono aiutare a contestualizzare questa enorme cifra sborsata dal contribuente americano.

Per cominciare, essa è più di quanto gli Stati Uniti abbiano mai elargito a qualunque paese, nel corso di un anno, almeno dalla guerra del Vietnam.

Tale cifra è anche molto superiore agli 84 miliardi di dollari che la Russia, secondo le stime, spenderà per le proprie forze armate nel 2023.

L’assistenza USA all’Ucraina (che non è solo militare, ma anche economica) è più di quanto ciascun paese del mondo spenda annualmente per le proprie forze armate, ad eccezione di Stati Uniti e Cina.

 

Questi 113 miliardi sono quasi pari a quanto il disegno di legge omnibus del Congresso stanzia per la spesa di base per il Dipartimento di Stato e il Dipartimento per la sicurezza interna messi insieme, ed è quasi quanto i 118,7 miliardi che gli USA spenderanno per l’assistenza medica per tutti i veterani statunitensi.

Ma forse la cosa più significativa è che, se l’Ucraina fosse uno stato della federazione americana, si classificherebbe all’11° posto in termini dei finanziamenti federali che riceve.

In altre parole, negli ultimi 12 mesi, l’Ucraina ha ricevuto più dollari dal contribuente americano rispetto a ben 40 stati USA.


 

Zelensky parteciperà il prossimo gennaio al Forum annuale del WEF a Davos

Il presidente ucraino Zelensky parteciperà all’incontro annuale del World Economic Forum (WEF) che si terrà a Davos, in Svizzera, nella seconda metà di gennaio.

Zelensky prenderà la parola in un panel che include il segretario generale della NATO Stoltenberg, sebbene l’Ucraina non faccia ufficialmente parte dell’Alleanza Atlantica.

La presenza di Stoltenberg a Davos sembra ormai divenuta abituale, dopo che, a partire dallo scorso anno, il WEF ha assunto un atteggiamento più militante sotto il profilo geopolitico, a fianco del Patto Atlantico.

La partecipazione di Zelensky al Forum di Davos non deve stupire, visto che già prima della guerra l’Ucraina era un “paese pilota” della quarta rivoluzione industriale sponsorizzata dal WEF.

Il governo Zelensky ha già affidato a Blackrock, gigante di Wall Street e membro di spicco del WEF, un ruolo chiave nei piani di ricostruzione del paese.


 

Un inedito asse Russia-Iran, militare ed economico, si consolida fra Europa e Asia

La ventilata fornitura di caccia russi a Teheran confermerebbe il consolidamento di un asse Russia-Iran che può modificare gli equilibri nell’Asia occidentale.

Secondo fonti di intelligence occidentali riportate dai media israeliani, l’Iran potrebbe presto ricevere dalla Russia 24 caccia Sukhoi Su-35. I caccia erano destinati all’Egitto, ma l’accordo è saltato a causa dell’opposizione americana.

Mosca ha pertanto cercato un altro potenziale acquirente, e l’Iran potrebbe essere il cliente ideale avendo urgente bisogno di modernizzare la propria obsoleta aviazione militare. I piloti iraniani si starebbero già addestrando con gli aerei russi.

Teheran, dal canto suo avrebbe già consegnato 1.700 droni offensivi a Mosca, che sono stati impiegati nel conflitto ucraino.

Se convalidata, la notizia della fornitura di caccia russi sarebbe un’ulteriore prova del consolidamento di un asse Russia-Iran, non solo militare ma anche economico, che può avere conseguenze per gli equilibri in Medio Oriente (Siria) e nel Caucaso.

Russia e Iran stanno costruendo una nuova rotta commerciale transcontinentale che si estenderà dalle propaggini orientali dell’Europa all’Oceano Indiano, un passaggio lungo 3.000 km che sarà a prova di sanzioni occidentali.

Questa rotta, nota come International North-South Transport Corridor (INSTC), sarà sotto il loro esclusivo controllo, e a prova di ingerenze esterne. Essa sarà vantaggiosa anche perché molto più breve rispetto alle rotte esistenti attraverso il Mar Rosso e il Mediterraneo.

La rotta INSTC

 

Secondo alcune stime, Russia e Iran investiranno 25 miliardi di dollari nell’INSTC, per rafforzare la rete ferroviaria iraniana, la capacità dei porti sul Caspio, e infine l’importantissima rete di canali russa del Volga e del Don, un asset strategico che consente alle navi mercantili di navigare fra il Caspio, il Mar Nero, Mosca, San Pietroburgo, e il Baltico.

Rete russa di canali dal Volga al Don

 

Il rafforzamento dell’asse Russia-Iran si contrappone alle difficoltà che Teheran continua ad incontrare riguardo alla realizzazione di una vera partnership privilegiata fra Cina e Iran, avendo Pechino appena stretto un rapporto strategico con l’Arabia Saudita.


 

Dopo un embargo di 8 mesi, l’UE rimuove gli ostacoli alla fornitura di fertilizzanti russi vitali per i paesi africani

Secondo alcune stime, quest’anno il raccolto globale di cereali è già crollato del 2,4% a causa della mancanza di fertilizzanti. Esso potrebbe diminuire molto di più il prossimo anno, fino al 20%. Il motivo principale è che, a causa delle sanzioni UE, i fertilizzanti russi non potevano più essere consegnati ai paesi africani.

La Russia è uno dei principali produttori mondiali di fertilizzanti. Sebbene l’UE lo abbia continuamente negato pubblicamente, ora ha implicitamente ammesso le sua responsabilità.

Le sanzioni UE che colpiscono le esportazioni russe di fertilizzanti si basano su due componenti: una è diretta contro il settore nel suo insieme, la seconda è diretta a singoli individui.

In futuro, agli stati dell’UE sarà consentito allentare le misure punitive contro diversi miliardari russi, se ciò faciliterà le forniture di fertilizzanti russi che raggiungono i paesi africani.

La decisione è stata fortemente contrastata dalla Polonia e dagli Stati baltici, che hanno dato priorità alla lotta contro la Russia rispetto alle esigenze dei paesi africani.

Il cambio di rotta voluto dai paesi UE dell’Europa occidentale è determinato dalla consapevolezza che, continuando la sua politica di sanzioni a spese di terzi, l’UE avrebbe rischiato di perdere completamente il continente africano.


 

Israele rafforza la propria assistenza di intelligence all’Ucraina

Israele ha rafforzato la propria assistenza di intelligence all’Ucraina sulle armi iraniane (attraverso la NATO, al fine di mantenere un basso profilo), secondo il quotidiano israeliano Haaretz.

La decisione israeliana sarebbe conseguenza dell’assistenza militare che Teheran ha iniziato a fornire alla Russia nel conflitto. Fonti israeliane hanno definito l’iniziativa iraniana “un errore strategico”, ed anche “la miglior cosa che potesse accadere ai rapporti Israele-NATO”.

Ciò avviene dopo che Israele era stata esclusa dalla conferenza dei paesi donatori a favore dell’Ucraina tenutasi recentemente a Parigi.

Il ministro della difesa israeliano uscente, Benny Gantz, aveva ribadito che Tel Aviv non ha le capacità produttive sufficienti per fornire a Kiev sistemi di difesa aerea. Ma la decisione sarebbe stata influenzata anche dal timore israeliano di inimicarsi Mosca. I russi hanno i mezzi per limitare le continue incursioni aeree compiute da Israele nella vicina Siria, dove aerei israeliani prendono di mira obiettivi siriani e iraniani.

Le pressioni americane e la cooperazione iraniana con la Russia sembrano aver convinto Tel Aviv ad abbandonare la sua politica di neutralità.

Il mese scorso, Israele ha accettato di sottoscrivere l’acquisto di milioni di dollari di “materiale strategico” per l’Ucraina. Il materiale è stato trasferito tramite un paese NATO, e Israele ha accettato di consentire a paesi NATO di trasferire in Ucraina armi che contengono sistemi elettro-ottici e di controllo del fuoco realizzati da aziende israeliane.

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FONTE: https://robertoiannuzzi.substack.com/p/in-pillole-cia-e-operazioni-di-sabotaggio

 

 

 

DIRITTI UMANI IMMIGRAZIONI 

California: immigrati più “smart” degli autoctoni

1 febbraio 2023

Ricordo l’impressione che mi fece all’inizio degli anni ’90 scoprire che molti personaggi della già cosiddetta sinistra mandassero i figli nelle scuole americane nella convinzione che avrebbero ricevuto un’istruzione migliore, nonostante stesse diventando evidente il disastro della scuola pubblica americana e anche di quella privata dove gli alunni e gli scolari erano anche clienti e dunque veniva abbassato continuamente il livello per tenerseli. Se poi il livello di riferimento ovvero quello pubblico precipitava ecco anche la scuola privata quanto meno planava verso il terra terra. Questa conversione a 180 gradi che annunciava la futura piddineria e anche la cieca fiducia riposta in un sistema che le stesse persone  pochi anni prima criticavano, era davvero uno spettacolo di dissoluzione coperta e giustificata in qualche modo dalla necessità di “imparare la lingua” di chi comandava. Del resto il culto di ciò che arriva da da oltre oceano o che in qualche modo suona “inglese “era era ed è tale che ogni cosa viene  accolta a scatola chiusa, senza nemmeno capire cosa effettivamente significhi o assicurarsi che non sia un pacco con dietro solo gli spezzoni di interessi commerciali.  Ed è così che siamo sepolti sono un mare di merda allo stato puro in ogni campo e in ogni settore. Ed è anche così se poi i rampolli di questi adoratori dell’American School sono venuti fuori belli ignorantelli e non raramente hanno dovuto seguire corsi di recupero.

Parlo di questo perché una rilevazione – bomba fatta in California ci dice che il livello di acculturazione degli immigrati dal Centro e Sudamerica, quelli che si accalcano al confine e quelli già da anni residenti, è mediamente superiore a quello degli autoctoni. Un fatto inaspettato, ma che la dice lunga sugli effetti deleteri del neoliberismo.  Così da un punto di vista puramente scolastico sarebbe meglio far studiare i propri figli in Messico o in Guatemala, ma questo non è figo e sa di povertà e di terzo mondo, mentre in ammerriga … vogliamo mettere? Poco importa se poi identifichiamo il college con l’università e non afferriamo che proprio questo sistema di separazione è un derivato dalla vecchia società pre rivoluzione francese, divisa in caste. Uno stampo che in qualche modo meno immediatamente visibile è sopravvissuto  nell’anglosfera. Di fatto molte scuole anglosassoni sono famose non tanto  per la qualità degli studi, ma perché i loro titoli sono dei ambiti lasciapassare per la Upper Class e un’attestato di dura e pura ideologia capitalistica. La London School of economics per esempio svolge questo compito da oltre un secolo: non è che vi insegnino cose sconosciute altrove, ma  chi ha qualche attestato di questo antico monumento del capitalismo è un membro affidabile dell’economia di mercato, uno che non avrà spiacevoli deviazioni verso visioni che includono il pubblico o l’eguaglianza dei cittadini. La stessa funzione in America viene volta principalmente da Harward o da altre università della Ivy League, come Columbia, Cornell, Princeton, Mit

Non ha importanza se poi molte di queste scuole non abbiano niente di straordinario e siano magari inferiori e spesso non di poco a molte università o ventri di studio europei o asiatici o almeno questo è quanto mi viene dalle mie esperienze statunitensi. Del resto è più facile acquistare cervelli già formati in Europa e in Asia per fare il lavoro vero, lasciando ai  locali solo in compito di perpetuare l’ordine sociale costituito e la formula politica ideata per seguirlo o in alcuni casi per tradirlo, come appunto accade in questi anni. Se volete accertarvi di questo potete andare a vedere quali siano stati gli allievi più famosi del Mit e potrete constatare che invece di tecnologi e di scienziali questo Istituto sforna politici, economisti, uomini di potere a vario titolo. Questa situazione è in qualche modo è nascosta dall’ultra specialismo tipico di un cultura miope e pragmatica, ma alla fine balza fuori e  allora si scopre che ragazzi di Paesi poveri possono essere più acculturati degli americani stessi o della media di essi: ci sono infatti etnie come quelle asiatiche in cui le cose vanno diversamente. Ma questo è il modello che dobbiamo seguire per evitare ciò che le elite del medioevo prossimo venturo si trovino a dover combattere contro una scuola che diffonde una reale cultura e non solo un addestramento. Il rifiuto del meglio e l’entusiasmo per il peggio è l’ideale per questi signori.

 

FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/02/01/california-immigrati-piu-smart-dei-autoctoni/

 

 

 

ECONOMIA

L’esproprio neoliberista della casa nell’Europa green delle multinazionali

Ruggiero Capone

Immagine: https://www.teatronaturale.it/

Il problema dell’Unione europea è insito nella filosofia che arma i suoi provvedimenti. Alla cui base c’è il concetto d’una completa privatizzazione dei servizi abbinata all’eliminazione dei limiti alla grande impresa sostitutiva dello Stato: quindi l’eradicazione di ogni costo sociale. In quest’ottica la piccola proprietà privata, sia essa una casa od un laboratorio, un fondo agricolo, un capannone, un ufficio, vengono percepiti come limite al “grande privatizzatore”; quindi come un “costo sociale” perché impegnano lo Stato nel rapporto fiscale con una moltitudine di soggetti. L’efficienza fiscale che sta perseguendo l’Ue è oggi la stessa che caratterizza gli Usa dagli anni della “grande depressione”, ovvero concentrare i beni immobili e le terre nelle mani di pochi soggetti fiscali; in modo che lo Stato possa tagliare i costi della macchina fiscale al punto di privatizzarla completamente, affidandola al sostituto fiscale principe, ovvero la grande banca. Quest’ultima va così a calcolare le tasse su reddito ed immobili per pochissimi ricchi, e ne versa la parte competente allo Stato dopo aver stornato i propri costi di gestione del “conto fiscale”. In questa visione il pulviscolo immobiliare italiano viene visto alla stessa stregua dei vari costi sociali previdenziali e sanitari, che l’Ue ci chiede di privatizzare ed affidare ai grandi gruppi assicurativi privati, controllati dalle banche private che pattuiscono le tasse dei pochi con lo Stato. Ecco perché il grande evasore riesce “saldo e stralcio” a condonare tombalmente le proprie posizioni irregolari: deve per esempio dieci milioni e grazie ai propri “sostituti” (banca e studi legali commerciali) si può accordare per meno della metà, lo Stato accetta ed il “grande evasore” è rispettato dal sistema. Diversamente la moltitudine dei cittadini contribuenti deve al fisco l’intera somma d’un presumibile errore formale e sostanziale, gravata anche di tutte le sanzioni e gli interessi. Questa visione parte dal presupposto che i privati sono più efficienti dello Stato anche nella gestione fiscale: tale concezione venne presentata nel 1929 nell’opera “I fallimenti dello stato interventista” di Ludwing Von Mises, che invitava a sostituire i servizi pubblici con quelli privati.

La riduzione delle spese sociali abbinata alla falcidie della piccola proprietà privata sono i due pilastri della cura neoliberista: Friedman suggeriva di attuare programmi volti ad una riduzione delle spese sociali, tagliando i fondi per il sistema sanitario e pensionistico, accompagnando tali riforme con una riduzione delle tasse per i grandi gruppi che andavano ad acquisire le proprietà private dei cittadini.

Friedman da principio venne ascoltato solo in alcuni stati degli Usa, quelli dove insistevano metropoli come New York e Washington, e negli stati dove avveniva la razzia della piccola proprietà contadina espropriata dai grandi gruppi, come del resto ci racconta Steinbeck (l’autore di Furore).  All’epoca l’economia mondiale provata dalla “grande depressione” del 1929 abbracciava le teorie di Keynes, e le manteneva immutate nelle politiche attive e di programmazione degli Stati fino al 1973. Dal 1929 al 1973 lo Stato occidentale ha promosso politiche di miglioramento delle condizioni sociali, di salvaguardia dei servizi essenziali e della piccola proprietà privata. Ma il 1973 consente un giro di boa in forza d’una crisi petrolifera che ridà forza alle politiche economiche delle multinazionali occidentali, dei grandi privati. Iniziano ad essere eletti in Usa ed Inghilterra i discepoli del “pensiero neoliberista” della Scuola di Chicago, i consiglieri di Margaret Thatcher e Ronald Reagan sono tutti discepoli di Mises e nemici della piccola proprietà privata. Inizia così lentamente a realizzarsi anche nei paesi europei una politica tesa ad espropriare i tanti in favore dei pochi: la semplificazione dei costi fiscali per le multinazionali oggi sta trasformando anche l’Italia.

Basti solo pensare al fatto che Bill Gates ed Elon Musk hanno potuto comprare in Italia grandi strutture alberghiere con la benevolenza del fisco europeo, dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio, e con la clausola che in caso di fallimento dell’Italia i loro beni non verrebbero mai toccati: su tutti gli altri privati in caso di “default” graverebbe l’ipoteca europea paventata in epoca Monti. Da questa visione discendono quelle che in gergo appelliamo come “procedure cautelari”, che prevedono l’ipoteca preventiva sugli immobili che hanno beneficiato dei bonus 110% e 90%. L’ipoteca serve a garantire banche, Agenzia delle Entrate e creditori vari, e rimarrà iscritta fino a che non verrà appurata la congruità della spesa e, soprattutto, se il condominio o il singolo proprietario, ne potevano effettivamente beneficiare. A sindacare su tutta la procedura, come da sentenza della Cassazione, tocca all’Agenzia delle Entrate, che dovrà appurare che i bonus abbiano raggiunto soggetti con immobili privi di abusi, soprattutto persone fisiche in regola col fisco, non segnalate alle centrali rischi bancarie e che non abbiano riportato condanne penali, soprattutto per evasione fiscale. In pratica la Cassazione ha ribadito sui vari bonus i principi che si applicano sul “reddito di cittadinanza” che, ovviamente, non viene elargito a pregiudicati o a soggetti che lavorano a nero. Parimenti, l’Agenzia delle Entrate chiede la restituzione dell’importo del bonus ai proprietari di immobili non meritevoli, come già fa l’Inps per le procedure di restituzione dei soldi a chi ha indebitamente percepito il “reddito di cittadinanza”. Nei casi più sciagurati già è possibile prevedere il pignoramento dell’immobile, e poi la messa all’asta. Ma cosa succederà quando i sindaci che giocano a fare i più bravi della classe (Gualtieri e Sala) faranno partire gli accertamenti sugli immobili non conformi alle regole europee: c’è già chi prevede l’ecatombe sanzionatoria, per importi che andranno dai 10mila euro ai 50mila, a cui andrà comunque ad aggiungersi l’obbligo entro un certa data di “messa a norma nella classe energetica e nelle norme Ue”.

Di fatto è decollato l’esproprio immobiliare europeo, a beneficiarne saranno le multinazionali finanziarie, le stesse che negli Usa posseggono il 90% del patrimonio abitativo delle grandi città (quelle che oggi sondano la situazione immobiliare tramite agenzie di “real estate”). Obiettivo? Quando decideranno di rinnovare un quartiere o di costruirci un centro commerciale, metteranno per strada tutti i condomini (ormai affittuari) con la forza pubblica: è un vecchio libro poi romanzo americano, ed oggi andrà in scena nell’ex nostra Italia.

FONTE: https://www.ilpensieroforte.it/dibattiti/6556-l’esproprio-neoliberista-della-casa-nell-europa-green-delle-multinazionali

 

 

 

PERCHÉ LE CATENE GLOBALI DEL VALORE DOVREBBERO ESSERE CHIAMATE CATENE GLOBALI DELLA POVERTÀ

By Redazione CDC On 02 Febbraio 2023  

Lavoro esternalizzato dai colossi multinazionali

Di Benjamin Selwyn, developingeconomics.org

Secondo la Banca Mondialele catene globali del valore (GVC) “aumentano i redditi, creano posti di lavoro migliori e riducono la povertà”. Dal crollo del blocco orientale nel 1991 e dalla reintegrazione della Cina nell’economia globale, il commercio mondiale è diventato sempre più organizzato attraverso le GVC. Ad esempio, i componenti e gli accessori dell’iPhone della Apple, icona della globalizzazione capitalistica contemporanea, sono prodotti da milioni di lavoratori in oltre cinquanta Paesi.

Le imprese transnazionali (TNC) – definite “imprese leader” nella letteratura accademica – hanno creato le GVC come parte delle loro strategie competitive, esternalizzando il lavoro esistente o avviando nuove attività in Paesi in cui il costo del lavoro era basso. I dirigenti statali del Sud globale hanno rinunciato sempre più a creare industrie nazionali integrate, cercando invece di entrare nelle GVC come fornitori di componenti. Oggi, oltre quattrocentocinquanta milioni di lavoratori sono impiegati nelle GVC.

Molte figure di spicco suggeriscono che questi sistemi di produzione e distribuzione rappresentano opportunità di sviluppo radicalmente nuove. Come ha affermato l’ex segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), Ángel Gurría:

Tutti possono trarre vantaggio dalle catene globali del valore … incoraggiare lo sviluppo e la partecipazione alle catene globali del valore è la strada per ottenere più posti di lavoro e una crescita sostenibile per le nostre economie.

L’accademico Gary Gereffi, padre intellettuale dell’analisi delle GVC, afferma che lo sviluppo del Sud globale richiede che le imprese fornitrici “si colleghino con l’impresa leader più significativa del settore”.

In realtà, le GVC sono una grande manna per alcune delle più grandi aziende del mondo, ma non per i loro lavoratori. Sarebbe più corretto descrivere molte GVC come catene globali della povertà.

Catene della povertà globale

Un recente caso legale ha rivelato come i lavoratori migranti birmani delle fabbriche thailandesi, che producono jeans per il grande rivenditore britannico Tesco, siano stati costretti al lavoro forzato, a paghe inferiori al minimo e a condizioni di lavoro abusive. Tra il 2017 e il 2020, questi lavoratori hanno prodotto jeans, giacche in denim e altri capi di abbigliamento per VK Garment (VKG). Hanno fatto causa all’azienda – il più grande rivenditore del Regno Unito e il nono al mondo per fatturato – per presunta negligenza e arricchimento senza causa.

Gli operai lavoravano in genere dalle 8 alle 23, con un giorno di riposo al mese. A volte erano costretti a lavorare per ventiquattro ore al giorno per evadere grandi ordini. Sebbene il salario minimo tailandese all’epoca fosse di 7 sterline per una giornata di otto ore, la maggior parte dei lavoratori riceveva meno di 4 sterline al giorno. Gli infortuni sul lavoro e gli abusi da parte dei dirigenti erano comuni.

I lavoratori migranti facevano affidamento sulla VKG per il loro status di immigrati, aumentando la loro vulnerabilità alle prepotenze dei dirigenti e al furto di salario. Gli alloggi della VKG erano sporchi e sovraffollati. Quando una donna ha chiesto di essere pagata con il salario minimo thailandese, i dirigenti l’hanno chiamata “cagna” e le hanno detto: “Se non vuoi più lavorare in fabbrica, puoi andartene”. L’80% delle zone di trasformazione per l’esportazione pagava salari inferiori al salario minimo nazionale.

L’esperienza di estremo sfruttamento di questi lavoratori birmani è una pratica comune nelle catene globali del valore. Le GVC sono organizzate da aziende leader come Tesco proprio per poter accaparrarsi la parte del leone del valore creato dai lavoratori, lasciando a questi ultimi quasi nulla.

Strutture di sfruttamento

Le GVC sono sorte nello stesso momento storico in cui il neoliberismo è diventato politicamente dominante in tutto il mondo. Le zone di trasformazione per l’esportazione (EPZ), dove il capitale straniero gode di esenzioni fiscali per l’import-export e di accesso a manodopera a basso costo, spesso non sindacalizzata, hanno alimentato l’ascesa delle GVC. Sono passate da settantanove in venticinque Paesi nel 1975 a oltre trentacinque in centotrenta Paesi nel 2006. A quel punto, le EPZ impiegavano circa sessantasei milioni di lavoratori.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha rilevato che circa l’80% delle EPZ pagava salari inferiori al salario minimo nazionale. Le condizioni di lavoro delle EPZ si sono diffuse in tutte le economie nazionali, offrendo alle imprese profitti enormi a spese dei lavoratori. Come si legge nel Rapporto sul commercio e lo sviluppo 2018 della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD):

L’aumento dei profitti delle principali TNC ha rappresentato più di due terzi del calo della quota di reddito da lavoro globale tra il 1995 e il 2015. Pertanto, sebbene l’aumento dei profitti delle principali TNC sia avvenuto a spese delle imprese più piccole, è stato anche fortemente correlato al calo della quota di reddito da lavoro dall’inizio del nuovo millennio.

Prendiamo l’esempio degli iPhone ad alta tecnologia della Apple. Secondo i sostenitori delle GVC, i lavoratori dovrebbero trarre vantaggio dall’impiego nei settori ad alta tecnologia grazie alla loro elevata produttività. Tuttavia, lungi dal diffondere i vantaggi della globalizzazione basata sulle GVC, la produzione di questi telefoni si basa su salari da miseria e dure condizioni di lavoro. Nel 2010, i profitti di Apple per l’iPhone hanno rappresentato oltre il 58% del prezzo finale di vendita, mentre la quota destinata ai lavoratori cinesi è stata appena dell’1,8% (Figura 1).

Distributiona of Value for the I Phone, 2010

I componenti dell’iPhone sono prodotti da megafabbriche come Foxconn e la meno nota ma altrettanto sfruttata Pegatron. Le condizioni di lavoro in queste fabbriche sono dittatoriali e abusive. Terry Gou, capo di Hon-Hai, la società madre di Foxconn, una volta ha osservato:

“Hon Hai ha una forza lavoro di oltre un milione di persone in tutto il mondo e poiché gli esseri umani sono anche animali, gestire un milione di animali mi fa venire il mal di testa”.

Non sorprende quindi che il regime lavorativo della Foxconn sia caratterizzato da regolari e costanti umiliazioni dei lavoratori: il profitto della Apple per l’iPhone nel 2010 ha rappresentato oltre il 58% del prezzo finale di vendita, mentre la quota destinata ai lavoratori cinesi è stata appena dell’1,8%.

Nelle fabbriche Pegatron di Shanghai, China Labor Watch ha riferito che “i lavoratori devono assemblare 450-500 schede madri all’ora”. Oltre la metà dei dipendenti ha fatto più di novanta ore di straordinario al mese perché “il loro salario di base … non può soddisfare lo standard di vita locale”.

Misure fasulle

I salari in fabbriche come Foxconn, Pegatron o VKG sono così bassi che i lavoratori devono fare straordinari eccessivi e dannosi per la salute per guadagnarsi da vivere. Eppure questi fatti non preoccupano gli apologeti della globalizzazione guidata dalle GVC.

Nel suo best-seller Why Globalization Works, l’editorialista del Financial Times Martin Wolf ha minimizzato le affermazioni secondo cui i lavoratori soffrono in queste fabbriche:

È giusto dire che le imprese transnazionali sfruttano i loro lavoratori cinesi nella speranza di ottenere profitti. È altrettanto giusto dire che i lavoratori cinesi sfruttano le transnazionali nella speranza (quasi universalmente soddisfatta) di ottenere salari più alti, una migliore formazione e maggiori opportunità.

In modo simile, l’ex direttore del progetto Millennio delle Nazioni Unite, Jeffrey Sachs, ha respinto le accuse di sfruttamento delle fabbriche di sudore. Piuttosto, ha sostenuto che sono “il primo gradino della scala per uscire dalla povertà estrema”. Sachs ha persino affermato che i “manifestanti del mondo ricco” contro la globalizzazione neoliberista “dovrebbero sostenere un aumento di questi posti di lavoro”.

Nel formulare tali argomentazioni, Sachs e Wolf si nascondono dietro la misura della povertà estrema della Banca Mondiale, spesso descritta come la soglia di povertà del dollaro al giorno. Secondo questa misura, la povertà mondiale è diminuita in modo significativo negli ultimi quattro decenni.

Il problema di questa misura è che non dice quasi nulla della povertà subita dagli esseri umani reali. È un numero arbitrario, totalmente separato da qualsiasi preoccupazione per i bisogni reali dei poveri. Ad esempio, a metà degli anni Duemila, la soglia di povertà della Banca Mondiale equivaleva a “vivere negli Stati Uniti con appena 1,3 dollari da spendere ogni giorno per soddisfare tutte le esigenze di sopravvivenza”.

Questa misura della povertà non identifica i meccanismi che spingono i lavoratori verso la povertà. Aiuta gli ideologi pro-capitalisti evocando l’immagine di un mondo in cui la povertà è sul punto di scomparire grazie alle strategie occupazionali di aziende come VKG, Foxconn e Pegatron.

La soglia di povertà che Sachs e Wolf utilizzano per giustificare e celebrare il lavoro che induce alla povertà nelle GVC è disumana e contraria ai lavoratori. Se un lavoratore consuma più dell’equivalente di un dollaro al giorno, ma per farlo si impegna in un lavoro dannoso per la salute – lavorando per ore eccessive o in condizioni pericolose – la Banca lo considera non povero. Secondo questa misura, i lavoratori della VKG non sono poveri.

Mettere i lavoratori al primo posto

Piuttosto che prendere per buona questa propaganda, possiamo attingere alla tradizione marxista per comprendere la prevalenza della povertà dei lavoratori nel capitalismo. Marx avvertiva che il capitale “non tiene conto della salute e della durata della vita del lavoratore, a meno che la società non lo costringa a farlo”. Ha anche osservato come i capitalisti tentino, quando possibile, di rafforzare la loro competitività abbassando i salari al di sotto del valore della forza lavoro.

La prevalenza della povertà dei lavoratori nelle GVC suggerisce che esse non sono generatrici di redditi crescenti, posti di lavoro migliori e riduzione della povertà, come vorrebbero la Banca Mondiale e numerosi accademici. Piuttosto, le GVC rappresentano una strategia organizzativa per le imprese transnazionali, progettata per aumentare lo sfruttamento deprimendo i salari al di sotto del valore della forza lavoro. Se da un lato questa strategia ha fatto miracoli per i profitti delle TNC, dall’altro ha sottoposto centinaia di milioni di persone a salari da miseria e a lavori che danneggiano la salute.

Per Marx, la povertà era un fenomeno sociale. In contrasto con la soglia di povertà disumana della Banca Mondiale, egli spiegò come la definizione e il calcolo della povertà fossero radicati nei bisogni fisici dei lavoratori.

In modo cruciale, egli notò che la sua misura includeva un “elemento morale”. Questo elemento è determinato in ultima analisi dalla capacità dei lavoratori di costringere le classi capitaliste a riconoscerli come esseri umani con una serie di bisogni socialmente definiti, piuttosto che come semplici portatori di forza lavoro – o animali, secondo le parole di Terry Gou della Foxconn.

È possibile immaginare e realizzare un mondo in cui le catene della povertà appartengano al passato? Parte di questa lotta consiste nel riconoscere la povertà dei lavoratori laddove esiste e nel sostenere i lavoratori che si battono contro di essa. Per questi motivi, la causa contro Tesco merita il nostro pieno sostegno.

Ci sono state una miriade di lotte dei lavoratori delle GVC per ottenere salari e condizioni migliori, dall’abbandono del posto di lavoro nelle gigantesche fabbriche di elettronica cinesi, alle lotte per il riconoscimento sindacale dei lavoratori agricoli centroamericani, o agli scioperi di massa nelle fabbriche di abbigliamento per l’esportazione in Thailandia. Queste lotte sono la base per una sfida al potere delle TNC e delle loro catene globali della povertà.

Di Benjamin Selwyn, developingeconomics.org

Benjamin Selwyn è professore di relazioni internazionali e sviluppo internazionale presso l’Università del Sussex, Brighton, Regno Unito. Le sue pubblicazioni includono The Struggle for Development (Polity Press: 2017).

13.01.2023

Fonte: https://developingeconomics.org/2023/01/13/why-global-value-chains-should-be-called-global-poverty-chains/

Why global value chains should be called global poverty chains

FONTE: https://comedonchisciotte.org/perche-le-catene-globali-del-valore-dovrebbero-essere-chiamate-catene-globali-della-poverta/

 

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

Stilema
sti-lè-ma

SIGNIFICATO Elemento minimo di stile, caratteristica stilistica

ETIMOLOGIA derivato di stile, dal latino stilus ‘stilo’, ma anche ‘scrittura’ e ‘modo personale di scrivere’ — col suffisso -ema di fonema.

«La ripetizione martellante è uno degli stilemi più vistosi di questo brano.»
Padroneggiare questa parola e saperla usare con disinvoltura, oltre a permettere una certa intelligenza dei fatti del mondo, fa grande impressione: infatti è estremamente comune sentir dire che una persona, come anche un’opera di qualsiasi genere ha stile o un certo stile — magari anche chiamato con un nome più identificativo, minimalista, dark, liberty. Lo stilema si porta oltre a queste considerazioni, che possono essere approssimative e avere una vaghezza disarmante («Mi piace, ha stile!»): ci permette di identificare il singolo elemento che compone lo stile.

Sullo stile dobbiamo riprendere qualche filo che ci porti nella direzione giusta. In latino stilus significa ‘penna’, e indica lo strumento appuntito con cui si scriveva, prima che entrassero in voga le penne d’uccello (nella sua vesta più semplice, una cannuccia). È nome di un oggetto potente, ed è passato a indicare la scrittura e il modo personale di scrivere — già in latino. Tutta l’ampiezza del concetto di ‘stile’ sgorga dall’unicità del nostro modo di scrivere. Ma perché quell’-ema? Che ci dice?

Lo stilema è modellato formalmente sul fonema (anche se così è un pasticcio greco-latino). Letteralmente il greco phonema vale ‘voce, emissione vocale’. A fine Ottocento viene recuperato come termine specialistico della linguistica: il fonema è l’unità di suono di una lingua, unità minima e distintiva. Ad esempio distinguiamo i fonemi /b/ e /s/ (che non possiamo scomporre ulteriormente), e quindi anche le parole bella e sella.

È seguendo questo percorso (tortuosetto ma onesto) che lo stilema si fa elemento di stile, unità minima e distintiva riconoscibile in uno stile — cioè in un modo di scrivere o di declinare in maniera personale qualunque cosa.

Posso parlare di come le inquadrature simmetriche siano uno stilema caratteristico del regista Wes Anderson, di come il barocco giochi nel modo più svariato con lo stilema di opporre curva a contro-curva dalle piante degli edifici fino alle decorazioni, dello stilema del raddoppio della quantità di burro tipica della cucina che fa crescere della nonna, di come gli stilemi di specifiche interiezioni o parolacce fioriscano nei discorsi di conoscenti, o di come indossare un certo occhiale o un certo pantalone sia uno stilema di appartenenza a un certo gruppo (nei contesti giusti, per motivi ineffabili, si usa il singolare anche se nell’italiano normale sono nomi plurali, per motivi ineffabili, e anche questo è uno stilema). In modo ordinario, e secondo l’intuizione prima, lo stilema che anticipavamo di una certa scelta di parole, di un certo modo di strutturare la frase, distingue ogni persona che parli o scriva.

Saper notare uno stile è una capacità importante, per leggere fra le righe del mondo. Lo stilema ci schiude le possibilità di notare i mattoni di cui uno stile, qualunque stile, si compone. E ha anche il vantaggio non dappoco di essere perfettamente comprensibile, almeno nella parte grossa del suo significato: dichiara in modo evidente di star parlando di stile.

Parola pubblicata il 04 Febbraio 2023

FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/stilema

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

La guerra in Ucraina per mantenere l’Unione Europea sotto tutela

di Thierry Meyssan

È difficile ammetterlo, sebbene gli anglosassoni non ne facciano mistero. Parafrasando una celebre citazione del primo segretario generale dell’Alleanza, la Nato è stata creata per «tenere la Russia all’esterno, gli Americani all’interno e l’Unione Europea sotto tutela».
Non c’è altra spiegazione per il prolungamento delle inutili sanzioni contro Mosca e degli altrettanto inutili nonché letali combattimenti in Ucraina.

RETE VOLTAIRE | PARIGI (FRANCIA) | 24 GENNAIO 2023

Perché Josep Borrell, Charles Michel e Ursula von der Leyen, provatamente corrotti e incompetenti, sono diventati leader dell’Unione Europea? Per avallare le imposizioni di Jens Stoltenberg.

È passato quasi un anno dall’ingresso in Ucraina dell’esercito russo per applicare la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza. La Nato rifiuta questa motivazione e ritiene che la Russia abbia invaso l’Ucraina per annetterla. In quattro oblast i referendum per l’adesione alla Federazione di Russia sembrano confermare l’interpretazione della Nato, ma la storia della Novorossia conferma la motivazione della Russia. Le due narrazioni vanno avanti in parallelo, senza mai intersecarsi.

Durante la guerra del Kosovo pubblicavo un notiziario quotidiano [1]. Ricordo che all’epoca la narrazione della Nato era contestata da tutte le agenzie di stampa dei Balcani, ma non avevo possibilità di sapere da che parte stesse la ragione. Due giorni dopo la fine del conflitto i giornalisti dei Paesi membri dell’Alleanza Atlantica poterono recarsi sul posto e constatare di essere stati ingannati: le agenzie di stampa regionali avevano ragione; la Nato non aveva fatto che mentire. Successivamente feci parte del governo libico. Potei costatare in prima persona come la Nato, incaricata dal Consiglio di Sicurezza di proteggere la popolazione, distorse il mandato al fine di rovesciare la Jamahiriya Araba Libica: uccise 120 mila delle persone che avrebbe dovuto proteggere.Sono esperienze che mostrano come l’Occidente menta spudoratamente per coprire le proprie malefatte.

Oggi la Nato ci garantisce di non essere in guerra perché non ha dispiegato truppe in Ucraina. Tuttavia gigantesche quantità di armi vengono mandate in Ucraina affinché i nazionalisti integralisti ucraini [2], formati dalla Nato, resistano a Mosca; inoltre è in corso una guerra economica senza precedenti per distruggere l’economia russa. Tenuto conto dell’entità di questa guerra, per interposizione dell’Ucraina, lo scontro diretto fra Nato e Russia sembra suscettibile di scoppiare in ogni momento.

Una nuova guerra mondiale è tuttavia altamente improbabile, almeno a breve termine: i fatti già contraddicono la narrazione della Nato.

La guerra va avanti e continuerà ancora. Non perché le forze in campo siano paritetiche, ma perché la Nato non vuole affrontare la Russia. Lo abbiamo visto tre mesi fa, durante il G20 a Bali. Con l’accordo della Russia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è intervenuto in videoconferenza da Kiev. Ha chiesto l’esclusione della Russia dal G20, come ne aveva chiesto l’esclusione dal G8 dopo l’adesione della Crimea alla Federazione Russa. Con sua grande sorpresa, nonché dei membri della Nato presenti al vertice, Stati Uniti e Regno Unito non lo hanno sostenuto [3]. Washington e Londra concordavano che esisteva una linea da non superare. E a ragione: le armi moderne russe sono molto superiori a quelle della Nato, la cui tecnologia risale agli anni Novanta. In caso di scontro, la Russia ne subirebbe sicuramente le conseguenze, ma schiaccerebbe gli Occidentali in pochi giorni.

Dobbiamo leggere gli avvenimenti alla luce di quanto accaduto a Bali.

L’afflusso di armi in Ucraina è un espediente: la maggior parte del materiale bellico non arriva su questo campo di battaglia. Rete Voltaire ha scritto che le armi inviate all’Ucraina in realtà servono a scatenare un’altra guerra nel Sahel [4]; il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, lo ha pubblicamente confermato, affermando che molte armi destinate all’Ucraina sono già nelle mani degli jihadisti africani [5]. Del resto, costituire [in Ucraina] un arsenale alla bell’e meglio, aggiungendo armi di epoca e calibro differenti, non serve a nulla. Nessuno possiede la logistica necessaria per fornire ai soldati munizioni così diverse. Bisogna dedurne che queste armi non sono inviate all’Ucraina perché vinca la guerra.

Il New York Times ha lanciato l’allarme sostenendo che le industrie occidentali della Difesa non riescono a produrre armi e munizioni in quantità sufficiente. Le scorte sono già esaurite e gli eserciti occidentali sono costretti a privarsi di materiale militare indispensabile alla propria difesa. Lo ha confermato il segretario Usa alla Marina, Carlos Del Toro, che ha ammonito riguardo al depauperamento delle forze armate statunitensi [6]. Del Toro ha precisato che, se il complesso militare-industriale Usa non riuscisse entro sei mesi a produrre più armi della Russia, le forze armate statunitensi non potrebbero portare a termine la missione.

Il dollaro ha sopraffatto il rublo per due mesi, poi è sceso al valore del periodo 2015-2020, senza causare un indebitamento massiccio della Russia.

Prima osservazione: se politici Usa volessero scatenare l’Armageddon entro i prossimi sei mesi non avrebbero mezzi per farlo e, probabilmente, nemmeno dopo.

Analizziamo ora la guerra economica. Lasciamo perdere che essa venga pudicamente dissimulata sotto il termine “sanzioni”. Ho già affrontato l’argomento sottolineando che non sono sanzioni decise da un tribunale e che dunque sono illegittime, secondo il diritto internazionale. Osserviamo la quotazione delle valute. Il dollaro ha sopraffatto il rublo per due mesi, poi è sceso al valore del periodo 2015-2020, senza causare un indebitamento massiccio della Russia. In altri termini, le cosiddette sanzioni hanno avuto un effetto trascurabile sulla Russia: ne hanno perturbato pesantemente gli scambi per i primi due mesi, ma ora non la intralciano più. Ma, d’altro canto, le sanzioni non hanno avuto un costo nemmeno per gli Stati Uniti, che non ne sono stati affatto colpiti.

Sappiamo che, laddove impediscono agli alleati d’importare idrocarburi russi, gli Stati Uniti ne importano attraverso l’India e ricostituiscono le scorte cui hanno attinto nei primi mesi del conflitto [7].

Osserviamo invece uno sconvolgimento dell’economia europea, costretta a ricorrere massicciamente al prestito per sostenere il regime di Kiev. Non abbiamo dati sull’entità dell’indebitamento né conosciamo l’identità dei creditori. È tuttavia chiaro che i governi europei fanno ricorso a Washington a titolo della legge Usa di prestito-affitto (Ukraine Democracy Defense Lend-Lease Act of 2022). Gli aiuti europei all’Ucraina hanno un costo, che però sarà contabilizzato solo alla fine della guerra. Solo allora verrà calcolato l’ammontare della fattura, che sarà esorbitante. Fino a quel momento tutto va bene.

Il sabotaggio del 26 settembre 2022 dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 non è stato rivendicato immediatamente; è stato annunciato anticipatamente dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden il 7 febbraio 2022, alla Casa Bianca, alla presenza del cancelliere Olaf Scholz. Certamente in quell’occasione Biden ha assunto l’impegno di distruggere il Nord Stream 2 se la Russia avesse invaso l’Ucraina, ma lo ha fatto perché la giornalista che lo stava intervistando vi si era focalizzata, non osando immaginare che avrebbe potuto fare altrettanto con il Nord Stream 1. Con questa dichiarazione, e ancor più con il sabotaggio, Washington ha mostrato il suo disprezzo verso l’alleato tedesco. Non è cambiato nulla da quando il primo segretario generale della Nato, Lord Ismay, dichiarò che il vero scopo dell’Alleanza era «tenere all’esterno l’Unione Sovietica, gli americani all’interno e i tedeschi sotto tutela» («keep the Soviet Union out. The Americans in, and the Germans down») [8]. L’Unione Sovietica non c’è più e la Germania guida l’Unione Europea. Se fosse ancora in vita, Lord Ismay probabilmente direbbe che l’obiettivo della Nato è tenere all’esterno la Russia, gli americani all’interno e l’Unione Europea sotto tutela.

La Germania, per la quale il sabotaggio di questi gasdotti è il più grave colpo dalla fine della seconda guerra mondiale, ha incassato senza fiatare. Contemporaneamente ha ingoiato il piano Biden di salvataggio dell’economia Usa a danno dell’industria automobilistica tedesca. Berlino ha reagito avvicinandosi alla Cina ed evitando di litigare con la Polonia, nuova carta vincente degli Stati Uniti in Europa. La Germania ora si propone di rilanciare la propria industria sviluppando le fabbriche di munizioni per rifornire l’Alleanza.

La sottomissione della Germania alla sovranità Usa è stata di conseguenza condivisa dall’Unione Europea, controllata da Berlino [9].

Seconda osservazione: i tedeschi, nonché l’insieme dei Paesi dell’Unione Europea, hanno preso atto dell’abbassamento del loro tenore di vita. Insieme agli ucraini, gli europei sono le uniche vittime della guerra in corso e vi si adattano.

Nel 1992, quando dalle rovine dell’Unione Sovietica nasceva la Federazione di Russia, Dick Cheney, all’epoca segretario alla Difesa, comandò allo straussiano [10] Paul Wolfowitz un rapporto che ci è giunto censurato, con molte parti occultate. Dagli estratti pubblicati dal New York Times e dallo Washington Post è emerso che Washington non considerava più la Russa una minaccia, ma l’Unione Europea un potenziale rivale [11]. Vi si leggeva: «Benché gli Stati Uniti sostengano il progetto d’integrazione europea, dobbiamo vigilare al fine di prevenire l’emergere di un sistema di sicurezza esclusivamente europeo che minerebbe la Nato, in particolare la sua struttura di comando militare integrato». In altri termini: Washington approva una Difesa europea subordinata alla Nato, ma è pronto a distruggere l’Unione Europea qualora aspiri a diventare una potenza politica in grado di tenergli testa.

L’attuale strategia degli Stati Uniti, che non indebolisce la Russia ma l’Unione Europea con il pretesto di combattere la Russia, è la seconda applicazione concreta della dottrina Wolfowitz. La prima applicazione risale al 2003, quando la Francia di Jacques Chirac e la Germania di Gerhard Schröder furono punite per essersi opposte alla distruzione dell’Iraq da parte della Nato [12].

È esattamente quanto dichiarato il 20 gennaio dal presidente del comitato dei capi di stato-maggiore Usa, generale Mark Milley, durante una conferenza stampa al termine della riunione degli alleati a Ramstein. Pur avendo preteso da ciascun partecipante l’invio di armi a Kiev, davanti ai giornalisti ha ammesso che «sarà molto difficile quest’anno liberare dalle forze russe ogni centimetro quadrato dell’Ucraina occupata» («This year, it would be very, very difficult to military eject the Russian forces from every inch of Russian-occupied Ukraine»). In altri termini, gli Alleati devono dissanguarsi, sebbene non ci sia alcuna speranza di prevalere nel 2023 sulla Russia.

Terza osservazione: l’obiettivo di questa guerra non è la Russia, ma l’indebolimento dell’Unione Europea.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article218710.html

 

 

 

Stoltenberg, segretario generale Nato, lancia l’allarme: Cina minaccia per l’Europa

01 febbraio 2023

 

Cina minaccia anche per l’Europa. Non usa mezze misure Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, di fronte alla minaccia rappresentata dall’alleanza tra Pechino e Mosca. Per questo il capo dell’Alleanza atlantica chiede agli altri Paesi dell’Occidente di agire con più forza e unità per fronteggiare la crisi bellica e finanziaria che abbiamo di fronte. La crescente assertività della Cina e la sua collaborazione con la Russia, infatti, costituiscono una minaccia non solo per l’Asia ma anche per l’Europa. A dirlo il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che ha chiesto una cooperazione più forte e più “amici” per la Nato nella regione indo-pacifica. “Il fatto che la Russia e la Cina si stiano avvicinando e i significativi investimenti cinesi e le nuove capacità militari avanzate sottolineano che la Cina rappresenta una minaccia, una sfida anche per gli alleati della Nato”, ha detto Stoltenberg parlando alla Keio University di Tokyo, aggiungendo che “la sicurezza non è regionale ma globale”. “La Nato deve assicurarsi di avere degli amici” ed “è importante lavorare a più stretto contatto con i nostri partner nell’Indo-Pacifico”, ha detto ancora. Stoltenberg ha detto che la Cina sta investendo sempre più in armi nucleari e missili a lungo raggio senza fornire trasparenza o impegnarsi in un dialogo significativo sul controllo degli armamenti atomici, mentre aumenta la coercizione dei suoi vicini e le minacce contro Taiwan, isola che rivendica come proprio territorio.

Stoltenberg ha dichiarato che la Cina collabora sempre più con la Russia e guida una “spinta autoritaria” contro l’ordine internazionale basato sulle regole, aperto e democratico. La Nato non considera la Cina un avversario né cerca lo scontro, ha tuttavia precisato, garantendo che l’Alleanza continuerà a impegnarsi con la Cina in aree di interesse comune, come il cambiamento climatico. Stoltenberg e il primo ministro giapponese Fumio Kishida hanno avuto un colloquio martedì e hanno concordato di intensificare la loro partnership per la sicurezza nel cyberspazio, nello spazio, nella difesa e in altre aree. Oltre che con il Giappone, la Nato sta rafforzando la “cooperazione pratica” con Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud nella sicurezza informatica marittima e in altri settori, e sta intensificando la partecipazione dei loro leader e ministri alle riunioni della Nato. Martedì Kishida ha annunciato l’intenzione del Giappone di aprire un ufficio di rappresentanza presso la Nato.

Il Giappone, già stretto alleato degli Stati Uniti, negli ultimi anni ha ampliato i suoi legami militari con altre nazioni dell’Indo-Pacifico, oltre che con la Gran Bretagna, l’Europa e la Nato, in seguito alle crescenti minacce alla sicurezza provenienti dalla Cina e dalla Corea del Nord. Tokyo si è subito unita alle sanzioni economiche guidate dagli Stati Uniti contro la guerra della Russia in Ucraina e ha fornito aiuti umanitari e attrezzature di difesa non belliche agli ucraini. Il Giappone teme che l’aggressione russa in Europa possa riflettersi in Asia, dove crescono le preoccupazioni per la crescente assertività cinese e l’escalation delle tensioni per la rivendicazione di Taiwan. Stoltenberg è arrivato in Giappone lunedì tardi dalla Corea del Sud, dove ha chiesto a Seul di fornire un sostegno militare diretto all’Ucraina per aiutarla a contrastare la prolungata invasione russa. La Corea del Nord ha condannato le visite di Stoltenberg in Corea del Sud e Giappone, affermando che la Nato sta cercando di mettere i suoi “stivali militari nella regione” per fare pressione sugli alleati asiatici dell’America affinché forniscano armi all’Ucraina.La Corea del Nord ha anche criticato l’aumento della cooperazione tra la Nato e gli alleati statunitensi in Asia come un processo per creare una “versione asiatica della Nato”, affermando che aumenterebbe le tensioni nella regione.

FONTE: https://www.iltempo.it/esteri/2023/02/01/news/jens-stoltenberg-segretario-generale-nato-cina-minaccia-europa-34725105/

 

 

 

L’intera Europa campo di battaglia

di Manlio Dinucci

RETE VOLTAIRE | ROMA (ITALIA) | 23 GENNAIO 2023

La Federazione degli Scienziati Americani conferma in gennaio la notizia data da Grandangolo nel dicembre 2022 in base a un documento della US Air Force: l’aereo C-17A Globemaster è stato autorizzato a trasportare in Italia e altri paesi europei la bomba nucleare USA B61-12. Poiché funzionari dell’Amministrazione Biden avevano annunciato che l’invio delle B61-12 sarebbe stato anticipato a dicembre, noi riteniamo che le nuove bombe nucleari USA stiano già arrivando in Europa per essere schierate contro la Russia.

USA e NATO stanno riversando in Ucraina enormi quantità di munizioni per l’artiglieria pesante fornita alle forze armate di Kiev. Gli Stati Uniti – secondo i dati ufficiali – hanno finora inviato in Ucraina oltre un milione di munizioni per obici da 155 mm, più decine di migliaia di missili. Circa 300.000 proiettili provengono dai depositi militari USA in Israele. L’invio di armi è gestito da una rete internazionale, in cui svolge un ruolo centrale Camp Darby, il più grande arsenale USA fuori dalla madrepatria, collegato al porto di Livorno e all’aeroporto militare di Pisa. Gran Bretagna, Francia, Polonia e Finlandia stanno fornendo carrarmati a Kiev, e la Polonia sta acquistando dagli USA carrarmati Abrams una parte dei quali può essere destinata all’Ucraina.

Contemporaneamente USA e NATO stanno potenziando lo schieramento delle loro forze in Europa, sempre più a ridosso della Russia. In Romania la NATO ha dislocato aerei AWACS, dotati delle più sofisticate attrezzature elettroniche, tenuti costantemente in volo presso lo spazio aereo russo. Sempre in Romania il Pentagono ha schierato la 101esima Divisione Aviotrasportata, che viene dispiegata in Europa per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale.

La NATO e la UE istituiscono “una task force sulla resilienza e le infrastrutture critiche”. “La NATO – dichiara il Consiglio dell’Unione Europea – rimane il fondamento della nostra difesa collettiva. Riconosciamo il valore di una Difesa europea più forte, che contribuisca alla sicurezza transatlantica e sia complementare e interoperabile con la NATO”

FONTE: https://www.voltairenet.org/article218703.html

 

 

 

POLITICA

Sora Meloni in Zelensky

Date: 30 Gennaio 2023Author: ilsimplicissimus0 Comments

Purtroppo non posso boicottare Sanremo e il suo stupidario di cui farà parte anche un famoso attore ingaggiato da Hollywood per la serie ” Fino all’ultimo ucraino”. Purtroppo non posso perché non ho mai seguito il festival della canzone ancor prima che diventasse un mero strumento di propaganda. Ma immagino che molti milioni di italiani, fedelissimi di questa kermesse,  non vorranno esprimere la propria protesta con un atto così decisivo e impegnativo, così faticoso per la mente critica, ovvero cambiare canale di fronte all’imposizione di un finto rappresentante di un popolo e di un vero e totale pupazzetto di Washington. Del resto a ben pensarci che differenza sostanziale c’è col  nostro presidente del consiglio, così dolorosamente separata da quello che si intuisce come il suo ambiente naturale, ovvero il mercato rionale, nella doppia veste di massaia indignata per i prezzi e di bancarellista avida come è risultato dalle proteste sulle accise e la loro reintegrazione successiva. Lo dico con tutta la simpatia, perché sora Giorgia  non mi sta antipatica anche se è una incoerente nullità che ricorda irresistibilmente la  Cecioni:  ciò che mi riesce impossibile da credere è che ci sia stato qualche milione di italiani che l’ha votata nella convinzione che avrebbe difeso la sovranità del Paese, escludendo dal Parlamento  gli unici che avrebbero avuto la volontà di farlo.

In realtà la Meloni con il suo retroterra missino è i tra più fanatici servitori degli Usa e dei costrutti che Washington ha creato per tenere nelle sue grinfie l’Europa ovvero la Nato e l’Ue. Probabilmente a questo la Meloni non c’è ancora arrivata, ma basterebbe guardare indietro nel tempo per accertarsi di  come la destra italiana di orientamento non liberale sia stata sempre pappa e ciccia con gli Usa che ne aveva permesso e in parte pagato la ricostituzione e che permetteva di spostare sul piano ideologico della lotta al comunismo le colpe di una guerra che aveva  distrutto il Paese: esponendolo di fatto al ludibrio generale di alleati e nemici. Se la massoneria ha fornito i quadri intermedi di controllo dello stato di servaggio, la destra ha offerto la manovalanza oscura tipo Gladio. Ma tutto questo sembra sia completamente sconosciuto agli italiani, fatto sta che adesso siamo i migliori alunni della Nato: è offriamo a Zelensky di tutto cuore la paccottiglia di una industria bellica mantenuta giusto per finanziare il sistema politico e che di fatto produce  armamenti di pessima concezione a prezzi folli a parte i sistemi come il Samp T sviluppati con altri. Abbiamo una sorta di autoblindo su ruote, pomposamente nominata “cacciacarri”  viene venduta a un prezzo superiore di quasi 4 milioni al Leopard 2 A6 ovvero nella versione abbastanza aggiornata. Questa formidabile arma è alta più di un carro armato vero e dunque non ha alcuna speranza di sopravvivenza in un campo di battaglia  Per non parlare di quel totale fallimento che è stato il carro armato nazionale il famigerato Ariete di cui solo una trentina sono funzionanti sui 200 costruiti dagli anni ’90 in poi ( i primi cinquanta esemplari risultarono poi fallati con vistose crepe nella corazzatura): si era puntato su un armamento più leggero e adatto alle guerre coloniali .a cui siamo stati costretti in quanto noi stessi colonia, ma gli scenari sono radicalmente cambiati. E allora invece di comprare carri armati all’altezza della situazione  si è pensato di aggiornare l’Ariete recuperando 125 di questi carri con una spesa spalmata su 12 anni inizialmente stimata in  421,7 milioni di euro, ma destinato a triplicare . M già così ogni vecchio carro di mediocre progetto costerà la metà di un Leopard nuovo e per giunta l’unico punto a favore dell’Ariete, ovvero l’apparato di puntamento parallelo, verrà eliminato.

Questi sono solo alcuni esempi perché i cittadini si rendano conto del rischio di fare una guerra alla Russia, cioè di entrare nel terzo conflitto mondiale  con una preparazione militare infinitamente inferiore a quella già pessima in cui siamo entrati nel secondo. Certo se le mazzette che girano attorno a questo formidabile complesso militare avremmo la vittoria in mano. Ma non posso non notare un fatto curioso: che ancora una volta in questa situazione ci entriamo con alla testa i rappresentato di una certa parte politica, prima nel segno dell’ ultra nazionalismo, poi in quello dell’ultra servilismo, ma sempre in qello della corruzione . Quindi che dire, godetevi Zelensky e il tentativo di questo infame di portare alla guerra nucleare. Tanto per la verità niente potrà essere peggio di questa totale abulia.

FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/01/30/sora-meloni-in-zelensky/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Quando l’intelligenza artificiale scrive favole per bambini

di Theodora Vassilopoulou

 

L’intelligenza artificiale al servizio dell’intelligenza artificiale. Oppure, come ChatGPT, con le istruzioni adeguate, ha realizzato una favola per una bambina di sette anni spiegando nel modo più semplice possibile cos’è l’intelligenza artificiale.

“Uno scudo all’avanzata dell’intelligenza artificiale potrebbe essere una pausa immaginaria fino a quando gli Stati non stabiliranno regole chiare e la nuova generazione sarà meglio preparata per ciò che verrà.”

La mia grande tecno-filia mi spaventa alle volte così tanto da portarmi nella estremità opposta della tecno-fobia. Quello che sta succedendo e quello che verrà sarà al di fuori di ogni nostra immaginazione, in tutti i campi della nostra vita. Avremo a che fare con non-umani, macchine infinitamente più intelligenti di noi, con le quali dialogheremo, impareremo e vivremo. Saranno la nostra guida, la nostra nuova religione? Efstratiadis propone come immunizzazione temporanea “una pausa immaginaria” di riflessione “fino a quando (che) gli Stati non stabiliranno regole chiare e la nuova generazione sarà meglio preparata per tutto ciò che verrà”.

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“Devi fare come uno scrittore. Uno scrittore che scrive storie. Scrivi per piacere una storia che insegni ai bambini l’intelligenza artificiale in modo semplice. Il libro dovrebbe essere breve e avere come protagonista una bambina di 7 anni di nome Electra”. Questo è il “comando” che George Efstratiadis ha digitato nel suo computer, in particolare con il suo account in ChatGPT, in modo da poter spiegare l’IA a sua figlia usando l’IA stessa.

In dieci secondi la struttura del racconto era pronta. Ha continuato chiedendo all’app di sviluppare la trama, descrivendo in dettaglio i personaggi e i mondi in cui si svolgeva. Lo ha anche incaricato di descrivere le immagini di cui avrebbe avuto bisogno per “vestire” la storia.

Si è poi rivolto a un altro modello di intelligenza artificiale chiamato “Midjourney”. Dopo aver inserito con le descrizioni ottenute da ChatGPT, aveva pronte le illustrazioni per poter completare la fiaba, che potete leggere, vedere e scaricare cliccando sul link in seguito: La fiaba è stata completata in circa 45-50 minuti .

Per quanto riguarda il risultato… “le è piaciuto molto. Soprattutto quando le ho spiegato come è stato creato. Tuttavia, mi ha anche fatto notare che “gli occhi della bambina sono uno color verde e uno miele” aggiungendo che “l’intelligenza artificiale probabilmente sta ancora imparando, quindi migliorerà”, il signor Efstratiadis racconta a “K” della reazione di sua figlia alla favola di Electra.

In qualità di laureato in Informatica alla Singularity University nella Silicon Valley, California, che offre programmi di formazione per dirigenti e opera come incubatore di imprese, autore del libro “Metaverse: Avoiding the dark turn” pubblicato da Amazon e co-fondatore di Toroblocks — e attore globale nella protezione e nel monitoraggio dei file digitali con tecnologie web 3.0 come blockchain —, il signor Efstratiadis è ben consapevole degli ultimi sviluppi tecnologici. E non nasconde la sua preoccupazione per tutto ciò che verrà.

“L’AI (intelligenza artificiale) è qualcosa che è presente nelle nostre vite da molti anni. Sui nostri televisori, sui nostri cellulari, nelle nostre macchine. Ma ora stiamo entrando in una nuova fase. L’intelligenza artificiale sta crescendo e si sta espandendo in modo esponenziale. Ciò che verrà sarà rapido, totale e livellante. Presto sarà praticamente impossibile rintracciarlo con mezzi umani. Non stiamo parlando di un’altra “rivoluzione industriale”. Tutto cambierà e rapidamente. E nessuno è preparato per quello che sta arrivando“, spiega.

La sua più grande paura è il fatto che l’informazione sia in pochissime mani e che molto presto non potremo più incrociare nulla, perché anche il concetto di verità cambierà.

“In questo momento, mentre parliamo, l’IA può creare molto rapidamente testi, immagini, suoni e video con qualunque contenuto gli chiediamo. Cosa succede se il primo ministro di un paese appare in un video minacciando un altro paese con la guerra? Sarà reale? Come lo sapremo? E come possiamo essere sicuri che l’altro Paese non si sia inventato solo per usarlo come scusa?” si chiede.

E la parte peggiore è che la maggior parte delle persone non ha idea di cosa stia succedendo.

“Il destino dell’umanità in questo campo è nelle mani di una manciata di grandi aziende, Google, Microsoft, Meta e Apple. La gente non sa che l’80% dei posti di lavoro oggi non esisterà tra 10-15 anni e quali disuguaglianze e sconvolgimenti questo può creare. La crisi economica che abbiamo attraversato negli ultimi anni sarà il paradiso di fronte a tutto questo. Recentemente ChatGPT ha superato l’esame per diventare medico in America. E stiamo parlando della sua versione di prova. Immagina cosa sarà in grado di fare tra 2-3 anni”.

Per Giorgos Efstratiadis, la cosa più preoccupante è che i bambini vengono effettivamente preparati da genitori e insegnanti per un mondo che non esisterà in futuro.

Alcuni degli amici dei nostri figli saranno digitali. Con loro parleranno, con loro condivideranno i loro segreti più profondi e impareranno. Esistono già personaggi digitali con centinaia di migliaia di amici con cui chattano in privato. Non posso fare a meno di pensare al fatto che mandiamo i nostri figli a una scuola che li prepara a un mondo che non esisterà quando si diplomeranno. Ad esempio, le lingue straniere presto non saranno più necessarie, eppure insegniamo ai nostri figli una, due e tre lingue. Impariamo cose che ora possono trovare in un secondo sul loro cellulare. Li stiamo davvero preparando per qualcosa che non esisterà. È spaventoso”.

Uno scudo all’avanzata dell’intelligenza artificiale potrebbe essere una pausa immaginaria fino a quando gli Stati non stabiliranno regole chiare e la nuova generazione sarà meglio preparata per ciò che verrà.

Come sottolinea Efstratiadis, “i nostri figli devono ora essere addestrati alla flessibilità del lavoro, all’empatia, all’intelligenza emotiva e alla facilità di un nuovo apprendimento rapido in una varietà di materie. Abilità in generale che tarderanno ad essere sostituite dall’intelligenza artificiale. Imparare a saper sopportare mentalmente il continuo cambio di orientamento professionale in questo nuovo ambiente fluido. Gli stati rispettivamente dovranno prepararsi, tra le altre cose, alla più grande ondata di disoccupazione che abbiamo mai sperimentato e allo sconvolgimento sociale e psicologico che tutto ciò porterà”.

Fonte: kathimerini.gr, 02-02-2023

 

FONTE: https://www.acro-polis.it/2023/02/02/quando-lintelligenza-artificiale-scrive-favole-per-bambini/

 

 

 

In arrivo 21mila colonnine di ricarica auto elettriche: 713 milioni di euro

ImolaOggi24 Gennaio 2023Ambiente & EnergiaNEWS2023

(Adnkronos) – Il Mase, Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ha comunicato che entro il 2025 saranno installate e operative sul territorio nazionale oltre 21 mila colonnine di ricarica per veicoli elettrici. Le nuove colonnine di ricarica saranno installate soprattutto nei centri urbani e lungo le superstrade grazie a fondi pari a 713 milioni di euro del PRESTITO PNRR. Nello specifico sono previsti due diversi decreti ministeriali che disciplinano le modalità di accesso mediante gare ai fondi per la realizzazione di almeno 7.500 infrastrutture di ricarica super rapida (da 175 kW) lungo le strade extraurbane, escluse le autostrade e di 13.755 infrastrutture di ricarica veloce (da almeno 90 kW) nelle città.

Secondo il Ministro Gilberto Pichetto Fratin: “Questi provvedimenti imprimeranno un’accelerazione all’obiettivo di decarbonizzazione dei trasporti in Italia, dal cui raggiungimento dipende anche la qualità dell’aria e della vita del nostro territorio. Gli uffici ministeriali hanno svolto un lavoro tecnico di alto livello che non lascia indietro nessuna area del Paese e fornisce la possibilità di guardare da vicino i traguardi di sostenibilità della nostra mobilità”.

I provvedimenti del Mase definiscono le tipologie di progetti, le spese ammissibili, le modalità di selezione, le porzioni di territorio ove poter organizzare il servizio, tenendo conto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità, nonché della massima diffusione e capillarità delle infrastrutture. Per la messa a punto dei provvedimenti ci si è avvalsi del modello degli Ambiti territoriali ottimali (ATO) che ha permesso di individuare in ogni Regione, Provincia e Comune il numero di infrastrutture da realizzare per ciascuno dei tre anni di durata del progetto.

Nello specifico, nel primo anno è prevista l’aggiudicazione dei contratti per la realizzazione di 2.500 infrastrutture di ricarica elettrica lungo i tracciati delle superstrade, oltre a 4.000 colonnine nelle aree urbane. Per la fine del 2025 è in programma l’installazione di oltre 21 mila punti di ricarica. I fondi del PNRR serviranno a finanziare fino al 40% dei costi di realizzazione delle colonnine che dovranno essere distribuite in maniera uniforme sul territorio nazionale, utilizzando quanto più possibile stazioni di servizio e aree di sosta già esistenti.

Per la definizione dei requisiti e del fabbisogno nazionale delle infrastrutture il Ministero si è avvalso del supporto tecnico di “Ricerca sul Sistema Energetico” (RSE), società controllata dal Gestore Servizi Energetici.

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2023/01/24/in-arrivo-21mila-colonnine-ricarica-auto-elettriche/

 

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