RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 4 FEBBRAIO 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

4 FEBBRAIO 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

L’inadeguatezza resiste, più di quanto si potrebbe pensare, alla capacità

J.W. GOETHE, Aforismi sulla natura, SE, 1994, pag. 17

 

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SOMMARIO

Il crollo USA
Il taglio delle forniture Pfizer: perché il vaccino è “politico”
La Quadriennale riapre: parola ai curatori
NOTA A MARGINE: IL LILLISMO
Il commissariamento dell’Italia
La “dottrina Draghi” contro la crisi del Covid-19
DIEGO FUSARO: Mario Draghi beatificato da tutti. Cosa c’è dietro e cosa accadrà ora all’Italia
Bombardieri cinesi simulano un attacco a portaerei statunitensi presso Taiwan
Quando le transnazionali coltivano la guerra: il caso Venezuela-Guyana
La destra di Maurras
L’INFERMIERA TIFFANY DOVER È MORTA!
Regeni: la verità dietro il martirio. Intervista a Fulvio Grimaldi
Daniel ALFIN: agente veterano dell’FBI
Janet Yellen prese 810 mila dollari da Citadel (proprietaria di Robinhood)
Recovery Fund: un’ipoteca sulla politica economica
DIEGO FUSARO: In arrivo un nuovo DPCM? Sentite bene, qualcosa non torna…
La Svezia rientra nell’ovile COVID-NATO?
La stampa estera su Draghi: “L’Italia si rivolge a Super Mario per la gioia degli europeisti”
Il “partito di Draghi”: chi lo sponsorizza tra Usa, Europa e Vaticano
Eterogenesi dei fini della vaccinazione anticovid?
La massoneria e i gerarchi rivali dietro gli attentati a Mussolini
Mussolini: i segreti del regime fascista dall’ascesa alla morte del Duce | Webinar con Marco Pizzuti

 

 

 

EDITORIALE

Il crollo USA

Manlio Lo Presti – 4 febbraio 2021

Il crollo USA,  incoraggiato dalla ondata Dem neomaccartista antifa buonista ecologista/green quadrisex, farà muovere la Cina che cercherà di approfittarne per allargare la sua influenza planetaria.

L’espansionismo cinese aggressivo e armato militaremente oltre che economicamente e finanziariamente, provocherà la reazione armata congiunta di India, Russia, Taiwan, Giappone e Corea del sud. Le Filippine e Indonesia si aggiungeranno poi.

Senza il controllo USA, la Germania cercherà di  prendere il potere assoluto in Europa aiutata dalla ruota di scorta della Francia.  Reazione di Spagna, forse della ex-italia, della Grecia, della servile Olanda spaventata per la sua estinzione.

SI avvertiranno contraccolpi sanguinosi nei Balcani dove i conti non si sono mai chiusi.

Ci sarà una reazione pesante della Russia che dilagherebbe comodamente in Polonia  Ucraina,  paesi baltici ed ex patto di Varsavia.

QUESTA REAZIONE A  CATENA avrà effetti che andranno a totale vantaggio della aristocrazia venale mondiale il cui proposito è quello di demolire ogni regolamento che ostacoli le proprie azioni e libertà di manovra.

Una distruzione e rimozione sistematica di ogni regolamentazione nazionale spacciata per liberismo.

La dissoluzione degli USA, come la conosciamo oggi, evidenzia un radicale cambio di strategia intrapresa dalla aristocrazia venale planetaria composta da 600.000 proprietari universali. Le mire di questa élite piccolissima ma molto coesa è la iperfinanziarizzazione del pianeta mediante creazione infinita di denaro dal nulla, come teorizzato dal caposcuola monetarista Milton Friedman. Denaro che non ha alcun rapporto con atti economici, nessun atto di produzione di beni e di servizi come sottostante. Denaro che deve circolare rapidissimamente senza alcun ostacolo sociale, nazionale, economico, regolamentare di qualsiasi natura e provenienza. La rimozione di eventi atti a rallentare la fluidità degli spostamenti va persguita anche con attentati, primavere politiche, ingegnerizzaione dei disastri climatici spacciati per inquinamento da parte delle popolazioni, spread, devastazioni di armate mercenarie  finanziate dai riciclaggi effettuati dalle mafie ufficialmente da traffici di droga, ecc. ecc. ecc.

TUTTO QUESTO È UN ROMANZO DI SPIE, NON È FANTAPOLITICA?

Noooooo?  Non lo è???

Allora siamo veramente in guai seri …

 

 

 

IN EVIDENZA

Il taglio delle forniture Pfizer: perché il vaccino è “politico”

La decurtazione del numero dei vaccini forniti dalla Pfizer all’Italia non insegna nulla di nuovo a chi osserva la metafisica del potere in Italia.

In termini di politica internazionale è il solito sgambetto fatto ai danni dell’ingenua Italia, grazie alla sprovvedutezza e allo spaesamento del ceto politico nostrano, la cui unica linea è l’affidamento, ovvero il più grave errore che si possa commettere.

Una parte ulteriore della produzione di vaccini della multinazionale farmaceutica di New York, che oltre i limiti degli impianti industriali non può andare, è stata preferenzialmente dirottata verso il mercato interno, al fine di sollevarsi prima dalla pandemia da Covid-19.

Quel che viene prima è l’interesse del bene comune della Nazione di produzione. Sembrerebbe un’ovvietà, ma in Italia si fatica a comprenderlo.

Non è stata una decisione autonoma del più o meno sconosciuto CEO della Pfizer a rallentare la somministrazione dei quantitativi di vaccini forniti all’Italia, senza che vi sia stata una preventiva intesa con la politica di Washington, ovvero con il Segretariato al Commercio, luogo noto alle cronache italiane per la trade war con l’Unione Europea a guida franco-tedesca, ma che dazia i prodotti nostrani.

L’errore consueto dell’Italia è stato quello di aver firmato alla cieca il documento preparato da altri, senza averne negoziato virgola per virgola la stesura, senza chiedersi dove si cela il machiavello, dove sarà l’inganno che legherà mani e piedi. Addirittura nel caso di specie il contratto tra l’Italia e la Pfizer non è neppure pubblicizzato, manco fosse relativo a sofisticati sistemi di armamento, o forse i vaccini, in fase di epidemia, sono diventati altrettanto strategici. Alla parte italiana è sfuggito il valore e il contenuto altamente politico di quel che si andava a sottoscrivere, quasi fosse una semplice questione aziendale, neppure questa però compresa.

Non è l’amministrazione ad essere deficitaria di expertise, ma è la politica che scandalosamente non conosce quel che gli altri sanno fare bene altrove. Stranamente la questione in Italia viene affrontata in termini di giurisdizione, ma è un vicolo senza uscita.

È bene dire chiaramente che non c’è nessuna Corte che possa sindacare la Politica che si traduce in alta amministrazione.

Potrà sembrare scandaloso, ma la Pfizer si sta attenendo all’ordine esecutivo firmato da Trump l’8 dicembre per il vaccino contro il coronavirus, dando priorità agli americani rispetto alle nazioni straniere, il c.d.  Covid-19 Vaccine Executive Order Prioritizing Americans.

Più scandaloso è che di fronte alla prevedibilissima diminuzione delle dosi vaccinali, dalla politica italiana non si siano state prese contromisure urgenti. I vaccini saranno copiosamente esportati all’estero quando vi sarà sovraproduzione rispetto alle esigenze interne soddisfatte dalla Pfizer.

La carenza di vaccini dimostra quanto sia debole l’impalcatura ideale dell’ultra liberismo applicato al commercio mondiale. Si vagheggia che siano le multinazionali a dettare legge agli Stati. Si vorrebbe che tutto, anche il contrasto alle pandemie, fosse affidato agli equilibri di mercato, salvo poi scoprire che il mercato non è il Leviatano che si vorrebbe far credere, ma è un meccanismo che non può prescindere dall’esistenza dell’autorità politica istituzionalizzata, in grado di regolarlo, controllarlo, direzionarlo e, fosse necessario, chiuderlo.

Potrebbe la Pfizer impunemente disobbedire all’ordine di Trump? No.

Tutto ciò insegna che anche nell’iperliberista (a parole) America di Trump, la filiera della sanità non può che essere sotto la direzione pubblica.

Terminata la crisi pandemica, bisognerà rivedere i dogmi economici iperliberisti che hanno dominato la cultura negli ultimi decenni.

Il primato è della Politica che non abdica a favore dell’impotenza per carenza di strumenti[1].


[1] Sulle criticità degli sviluppi del sistema economico italiano, per tutti v.d. N. Perrone, Economia pubblica rimossa. Le partecipazioni statali dalla teoria degli oneri impropri alla privatizzazione, Milano, Giuffrè, 2002 (in Studi in onore di Luca Buttaro, vol. V, pp. 241–289)

FONTE: http://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/il-taglio-delle-forniture-pfizer-perche-il-vaccino-e-politico/

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

La Quadriennale riapre: parola ai curatori

di 

Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol raccontano FUORI, la loro Quadriennale a Palazzo delle Esposizioni di Roma, che riaprirà dopodomani
Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol, Foto Alessandro Cantarini

Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol raccontano la loro Quadriennale a Palazzo delle Esposizioni, inaugurata lo scorso 30 Ottobre e rimasta aperta al pubblico una sola settimana a causa delle recenti restrizioni anti-Covid. Contenuti, visioni e scelte strategiche spiegate in attesa di poter, finalmente, godere di una mostra tanto attesa che riaprirà dopodomani.

Stefano, tu hai definito questa Quadriennale come una mostra “visionaria”. Partiamo da qui?
S.C.C.: Con Sarah abbiamo voluto pensare a una mostra che potesse essere alla portata dei pubblici più differenti e che battesse sentieri ancora poco conosciuti dell’arte contemporanea. Secondo questo punto di vista per noi è stato molto importante indagare la storia delle diverse discipline con le quali ci siamo confrontati – dal teatro alla moda, dal design all’architettura – che promuovono una visionarietà alternativa, attraverso le quali le arti visive si sono, contaminandosi, arricchite di immaginari che non sempre appartengono alla tradizione storico-artistica. Abbiamo voluto presentare opere e artisti che non solo erano stati poco riconosciuti, ma i cui immaginari ci risuonavano in maniera forte con le domande poste dal presente.

Quadriennale d’arte 2020 FUORI, veduta dell’allestimento. In primo piano, Micol Assaël; alla parete, Irma Blank, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio

C’è questo titolo, FUORI, che si ripete come un mantra in tutti i canali della mostra e si presta a tantissime interpretazioni. Quali sono le vostre?
S.C.: FUORI per noi è appunto l’intento uscire dalle categorie che nell’arte italiana sono state predominanti e hanno talvolta limitato la conoscenza di artisti importanti ma difficilmente richiudibili all’interno di classificazioni precise. Questo aspetto emerge nel lavoro degli artisti pionieri in mostra. Inoltre c’è stato anche il voler uscire dalle categorie di genere: ci interessava il femminile – quindi non necessariamente legato a un discorso femminista o politico – ma anche gli immaginari queer, nella convinzione che l’identità di genere e il desiderio, anche quello erotico, siano pulsioni fondamentali nella creazione dell’opera. FUORI ha voluto poi rendere omaggio all’associazione FUORI! che negli anni Settanta ha contribuito all’emancipazione dei diritti degli omosessuali nella società italiana. Volevamo anche giocare con il titolo in senso allargato: fuori gioco, fuori di testa, fuori schema, fuori luogo…

Giochiamo allora! FUORI dall’autoreferenzialità dell’arte contemporanea? FUORI come desiderio di uscire dalle nostre case?
S.C.: L’arte contemporanea tende ad essere considerata spesso di difficile lettura dal grande pubblico: anche per questo abbiamo cercato di mostrare la volontà dell’istituzione di andar FUORI da una visione dell’arte più elitaria. FUORI dal museo verso la città e il pubblico: ne è un esempio il lavoro di Norma Jeane, che abita l’edificio di notte, quando l’arcata di Palazzo delle Esposizioni pulsa di luce a seconda della frequenza del respiro dell’artista; un’opera particolarmente rilevante in relazione ai tempi in cui viviamo, dal Covid al Black Lives Matter. In mostra ci sono altre due opere che oggi possono essere rilette attraverso l’idea del respiro: le pennellate gestuali sulle tele di Irma Blank, che ne riflettono la durata, e l’ambiente spaziale di Cloti Ricciardi, una sala che respira attraverso l’interazione con il visitatore. Certamente poi FUORI si lega anche al desiderio di uscire durante il lockdown, quando era ciò che tutti noi desideravamo fare.

Michele Rizzo, veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio

Abbiamo chiarito il denominatore comune. Ci sono altre tematiche che connettono i lavori tra di loro?
S.C.C.: Abbiamo individuato nel glam la modalità di leggere gli artisti – da Salvo a Maurizio Vetrugno, fino alle giovanissime Lorenza Longhi e Caterina De Nicola. È una linea presente nell’arte italiana che non è stata finora molto approfondita, quando invece secondo noi è una riflessione estremamente precisa nel voler selezionare un certo tipo di estetica. Ci ha permesso di portare alla luce queste individualità separate che da sessant’anni hanno toccato, senza magari neanche conoscersi, dei punti molto simili. La dimensione progettuale e quella dell’incommensurabile (oltre la misura rinascimentale) sono insieme alla linea del desiderio altre tre aree di forte attrazione per le pratiche artistiche sviluppate in Italia.

Anche l’allestimento della mostra sembra avere un linguaggio tutto suo. Un percorso diverso dal solito.
S.C.: Abbiamo invitato l’architetto Alessandro Bava a elaborare un percorso che riflettesse l’importanza che insieme a Stefano volevamo dare al display, anche in relazione alla storia del palazzo. Alessandro ha compiuto una ricerca sulle passate Quadriennali e sulla storia dell’edificio che ha ospitato mostre importanti in passato e che negli anni Trenta è stato sede di esposizioni di propaganda fascista. Il palazzo è stato trasformato da un allestimento che ha risposto alle esigenze di presentazione dell’opera degli artisti ma che, al tempo stesso, guida il visitatore attraverso un percorso nuovo e incalzante nello spazio.
Parliamo dei veri protagonisti. Guardando ai numeri, abbiamo 43 artisti totali, di cui 14 under 35 e 29 alla loro prima volta in questa manifestazione. C’è una presenza di giovani e giovanissimi importante.

S.C.C.: La Quadriennale è sempre stata un’istituzione a supporto dell’arte italiana con uno sguardo speciale ai giovani. Noi abbiamo voluto inserirci all’interno di questa vocazione dedicando i primi due anni della nostra attività ai workshop di Q-Rated, pensati per artisti e curatori tra i 23 e i 35 anni, che hanno potuto incontrarsi tra di loro e conoscere esperti internazionali. Questa Quadriennale ha anche il minor numero di artisti totali, perché abbiamo voluto che si potesse veramente immergersi dentro ai loro immaginari. Tra i nostri record c’è anche il fatto che abbiamo dato maggiore visibilità alle artiste: abbiamo il maggior numero di donne nella storia dell’istituzione, che in passato è stata parca di presenza femminile. I giovani sono comunque la maggioranza, per dare risalto alle loro posizioni di ricerca e mostrare che non sono totalmente fluttuanti nel vuoto del presentismo, ma si ricollegano a determinati punti preesistenti nell’arte italiana.

Sylvano Bussotti, veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio

Questo anche in ottica di aiutare questi giovani artisti ad essere notati dal panorama internazionale?
S.C.: Infatti. La lettura dell’arte italiana a livello internazionale sembra quasi procedere per blocchi: ci sono gli artisti italiani storicizzati, conosciuti e venerati; poi ci sono artisti italiani contemporanei molto noti come CattelanStingelVezzoli e pochi altri…. C’è però un totale vuoto rispetto alla conoscenza dei giovani, che invece all’estero non hanno visibilità, come se non esistesse un seguito o una continuità nell’arte italiana. Sembra quasi che per un artista italiano essere contemporaneo significhi non rientrare nella categoria dell’arte italiana, che ha un’immagine predefinita e immobile. Al di fuori dei nostri confini, esiste un reale problema di visibilità e di promozione dei nostri artisti, dei giovani in particolare.

Chiudiamo parlando di quello che succederà, per quanto possibile. C’è qualche appuntamento collaterale da segnalare ai lettori?
S.C.: La mostra avrebbe doluto essere accompagnata da un public program, che però è venuto a mancare a causa delle circostanze in cui ci troviamo e delle nuove restrizioni. Anche la parte performativa ha subito dei compromessi, basti pensare al progetto del coreografo artista Michele RizzoRest, un’installazione scultorea accompagnata da una performance che siamo riusciti a realizzare solo parzialmente. Siamo però riusciti a portare avanti il progetto commissionato allo storyteller Luca Scarlini sull’archivio della Quadriennale: abbiamo invitato Scarlini a “performare” l’archivio e lui lo ha interpretato liberamente, mettendo in relazione documenti e materiali della storia dell’arte italiana di questo secolo con gli artisti in mostra. Sarebbe dovuto essere un evento performativo, ma sarà proposto su video online, una risorsa fondamentale anche per i periodi di forzata interruzione della mostra.

FONTE: https://www.exibart.com/arte-contemporanea/la-quadriennale-riapre-parola-ai-curatori/

 

 

 

ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME

NOTA A MARGINE: IL LILLISMO

Nota a margine: il lillismoIl “lillismo”, inteso come filosofia politica e catodica di Lilli Gruber, costituisce il progressismo al tempo del Coronavirus. Costituisce? Sostituisce, forse. Il progressismo è in rotta, essendogli venuto meno il propellente ideologico della sinistra classica a base di lotta di classe, socialismo, sfruttamento capitalistico, eccetera. Lilli è alla moda, come il commercio equo e solidale. Il lillismo è femminismo allo stato puro. Il sinistrismo post-sinistra connatura il lillismo, che va accreditandosi come il pensiero-guida dell’élite mediatica. Ci avete fatto caso? Per trovare un comunista all’antica dovete cercarlo fra vecchi nostalgici del bolscevismo e la giovane intellighenzia che rumina Karl Marx come una giovenca.

Invece il lillismo è sincretistico. Sperimentati reazionari vengono esibiti da Lilli in vetrina, a riprova che la sua trasmissione è anche rigenerante. Occultati sotto maglioni dolcevita e gel per capelli, Lilli schiera disinvoltamente i suoi adepti contro questo e contro quello, indirizzandoli con spunti che ha concordato tra sé e sé, con il massimo dell’apertura mentale. Sbaglierebbe chi pretendesse di scorgere nel lillismo venature di politicamente corretto e di stantio modernismo. Il lillismo somiglia alle bolle di sapone. Fluttua nell’aria perché inconsistente. Bello da vedere. Cattura l’attenzione del pubblico, purché arcobaleno. Il lillismo vuol dire pure garantismo ma non troppo, giustizialismo salvo eccezioni, interventismo quanto basta, assistenzialismo ad occhi aperti, finanza pubblica senza frugalità, dirittismo a tutto spiano. Il lillismo è un surrogato. Perciò, come miscela sostitutiva, piace nel tempo in cui manca il prodotto principale.

FONTE: http://www.opinione.it/editoriali/2021/02/02/pietro-di-muccio-de-quattro_lilli-gruber-coronavirus-sinistra-femminismo-marx-politicamente-corretto-giustizialismo-garantismo/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Il commissariamento dell’Italia

E modesta proposta al centrodestra

Matteo Salvini – a nome del centrodestra – ha dichiarato di “andare ad ascoltare” le proposte di Mario Draghi, il presidente incaricato, che ha accettato con riserva. Ora, Giorgia Meloni propone una “mediazione”, dice (rispetto alla posizione di Forza Italia, evidentemente): l’astensione dell’intero centrodestra.

Salvini – con il centrodestra – “va ad ascoltare” chi:

– da Direttore generale del Ministero del Tesoro, dove resta in carica fino al 2001 e da Presidente del Comitato Privatizzazioni (1993-2001) si fa promotore della più grande campagna di privatizzazione di tutte le più importanti aziende statali italiane (Telecom, Enel, Eni, Iri, ecc.);

– dal 2002 al 2005 è stato vicepresidente e membro del Management Committee Worldwide di Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari del mondo;

– da Presidente della BCE è stato il maggiore protagonista della disastrosa politica monetaria europea (gestendo il fallimento del progetto dell’euro), difendendo tutti gli “assetti” europei, per poi dichiarare, una volta dimessosi, da libero cittadino (al Meeting di Rimini, dell’agosto 2020): “E in Europa, abbiamo avuto critiche alla stessa costruzione europea, alle quali si accompagnava un crescente scetticismo, soprattutto dopo la crisi del debito sovrano e dell’euro, nei confronti di alcune regole, ritenute fino ad allora essenziali per il funzionamento dell’Europa e dell’euro. Questa regole erano sostanzialmente, ricordate: il patto di stabilità, la disciplina del mercato unico, della concorrenza e degli aiuti di stato. Queste regole sono state successivamente sospese o attenuate, a seguito dell’emergenza causata dall’esplosione della pandemia. L’inadeguatezza di alcuni di questi assetti era divenuta da tempo evidente. Ma, piuttosto che procedere celermente a una loro correzione, cosa che fu fatta, parzialmente, solo per il settore finanziario, si lasciò, per inerzia, per timidezza e per interesse, che questa critica precisa e giustificata divenisse, nel messaggio populista, una critica contro tutto l’ordine esistente”. Per poi aggiungere che esiste un “debito buono” (che promuove lo sviluppo, denaro che s’investe sul capitale umano) e un “debito cattivo” (scelte economiche di carattere assistenzialista o di “finanza virtuale”). In sostanza, sei mesi fa Draghi ha detto le stesse cose che da anni dicono Bagnai e Borghi della Lega. Ah, se l’avesse detto e se avesse operato in questa direzione quando rivestiva la carica di Presidente della BCE. Quante cose in Italia sarebbero cambiate dal punto di vista economico e sociale.

Si potrebbe continuare a lungo su Mario Draghi (vedi il suo curriculum pubblicato da Wall Street Italia wallstreetitalia.com/…curriculum-del-futuro-premier/ ). Tutti sapevano che c’era lui “dietro” l’iniziativa di Renzi e lo sapevano da un pezzo. E’ lui che “serve” per ri-assettare la politica italiana, anche all’interno dei singoli partiti (vedi la posizione più volte espressa da Giancarlo Giorgetti per quanto riguarda la Lega).

Perchè, all’interno dei partiti – di tutti i partiti – sono enormi gli interessi in gioco, sia per quanto riguarda il mandato parlamentare da difendere sia perchè si vuole partecipare ai progetti dei 209 miliardi del Recovery Found, senza dire – perchè nessuno lo dice – che questo denaro non è beneficenza: tanti soldi arrivano (se arrivano) e molti più soldi devono essere restituiti all’Europa.

L’Italia, con Mario Draghi, è commissariata. Diciamo che Draghi è Monti all’ennesima potenza. La “prova” l’abbiamo proprio in queste ore: con la borsa che sale, lo spread che scende, con tutti gli organi d’informazione, televisivi e della carta stampata, che fanno la “gran cassa” di consenso al Presidente incaricato.

Le elezioni sono l’unica soluzione politica – la strada costituzionale “maestra”, come tutti i costituzionalisti, non quelli di oggi, ma quelli d’un tempo, direbbero e chi non opererà politicamente perchè le elezioni vi siano – come accade in tutti i Paesi del mondo e come accadrà anche in Italia in aprile, quando milioni di italiani voteranno per le amministrative – concorrerà al commissariamento del nostro Paese.

Nessuna scusa è accettabile. Tranne una, a mio avviso: chiedete a Draghi, Voi, esponenti del centrodestra, se la maggioranza di Governo che andrà a formare sarebbe disponibile ad istituire una Commissione d’Inchiesta Parlamentare sulle responsabilità gigantesche del Governo Conte sulla gestione della pandemia, sia dal punto di vista sanitario, sia da quello economico. Se la risposta fosse positiva, astenetevi pure.

Sarebbe un piccolo “segno” della Vostra esistenza politica. Perchè non ci si può limitare a dire – come ha fatto Salvini – che senza Conte, Azzolina e i comunicati di Casalino “si respira”.

La politica richiede scelte difficili, come quella che non avete fatto per 18 mesi per “sbarazzarvi” del Governo catto-comunista + cinquestelle: le dimissioni in massa di tutti i vostri parlamentari. Il Presidente della Repubblica, in questo caso, non avrebbe potuto che prendere atto e sciogliere le Camere.

Ora, che farete? Collaborerete con uno dei maggiori esponenti dell’elite economico-finanziaria mondialista?

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-commissariamento-dellitalia-danilo-quinto/

La “dottrina Draghi” contro la crisi del Covid-19

Dalla sua uscita dall’Eurotower nell’ottobre 2019, celebrata come se la Banca centrale europea salutasse un monarca piuttosto che un presidente, Mario Draghi ha limitato dichiarazioni, uscite e interventi pubblici a una ristretta, ma significativa serie di prese di posizioni importanti che non hanno mancato di suscitare accese discussioni, specie dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19 in Europa a febbraio-marzo dell’anno scorso. Quasi a voler rispondere alle critiche di chi, come l’economista Giulio Sapelli, durante la sua tenuta alla Bce lo aveva accusato di parlare troppo spesso in pubblico e riscoprendo il profilo ieratico, al tempo stesso contemplativo e operativo, associato storicamente alle figure dei grandi banchieri centrali (come in Italia Guido Carli), Draghi ha limitato apparizioni e dichiarazioni, senza tuttavia perdere nulla in termini di autorevolezza.

A testimonianza del valore assunto nell’ultimo decennio dai banchieri centrali come punti di riferimento dell’elaborazione politica, Draghi ha parlato per la prima volta sulla crisi pandemica nel marzo scorso firmando un editoriale sul prestigioso Financial Times in cui invitava i Paesi più avanzati, quelli europei in primis, a una decisa azione di risposta alle conseguenze economiche della pandemia. Draghi ha definito la sfida posta dal Covid-19 alle economie del pianeta come paragonabile all’effetto di “una guerra” e posto in campo le sue priorità strategiche: un rilancio dell’intervento pubblico degli Stati a sostegno delle economie, della produzione industriale, dei redditi; un aumento delle garanzie bancarie a famiglie e imprese; un abbattimento dei tassi di interesse delle banche centrali a zero per favorire il circuito del credito; una riduzione degli oneri burocratici per l’attività delle imprese; la difesa di presidi fondamentali per la tutela del reddito e dell’occupazione nei sistemi di welfare.

Parliamo di un’articolata agenda politica che testimonia la proiezione di un uomo che, per otto anni, alla guida della Bce è risultato la figura-chiave per l’evoluzione dell’Eurozona oltre i più ristretti sentieri dell’austerità di matrice germanica e ha trasformato l’Eurotower, parafrasando Carl Schmitt, nell’istituzione “commissaria”, cioè politicamente decisiva, dell’Unione. E che, bisogna sottolinearlo, intervenendo a alta voce nel dibattito sulla risposta al Covid-19 su un quotidiano a lungo risultato portavoce dell’ortodossia neoliberista ha anche ammesso di fatto alcuni limiti della sua azione da governatore: Draghi, nel 2015, ha avviato l’espansione monetaria dell’Europa inserendo l’Unione nella corsa a quel Quantitative easing globale è forse andato troppo oltre, creando un’eccessiva accumulazione debitoria tra gli operatori privati e non venendo in alcun modo dirottato verso una sana politica per l’economia reale, restando confinato nelle gore morte della finanza speculativa. Una linea su cui Draghi, alla guida di un’autorità puramente “tecnica”, non ha chiaramente avuto modo di intervenire direttamente, per quanto siano state a lungo trascurate le voci di chi chiedeva per la Bce una svolta “giapponese” e la transizione dell’Eurotower a prestatore di ultima istanza e finanziatrice dei deficit nazionali.

Draghi sul Ft ha rivisto molte sue posizioni coniugando politica monetaria e necessarie azioni fiscali, presentando un’analisi di scenario realistica per il terremoto economico-finanziario che la pandemia stava scatenando e che nei mesi successivi avrebbe squassato l’intero pianeta. L’invito a “un cambio di mentalità” per l’economia e il paragone tra il finanziamento delle politiche anti-crisi odierne e quello di una guerra (“Nella Grande Guerra l’Austria-Ungheria, la Russia o la Francia non avrebbero mai pagato la guerra alzando le tasse”) hanno rappresentato due stimoli fondamentali per avviare in Europa e nel resto del mondo, tra le classi dirigenti, una svolta politica a favore di maggiori allentamenti al controllo della spesa e al ritorno in campo del ruolo strategico degli Stati a sostegno delle economie.

Alcuni mesi dopo, il 18 agosto, Draghi ha raffinato ulteriormente la sua visione in un intervento al Meeting di Rimini che nelle sue intenzioni è stato inteso non come una lezione di politica economica ma piuttosto come un “messaggio più di natura etica per affrontare insieme le sfide che ci pone la ricostruzione e insieme affermare i valori e gli obiettivi su cui vogliamo ricostruire le nostre società, le nostre economie in Italia e in Europa”. Draghi cita John Maynard Keynes e la necessità di cambiare le proprie idee e convinzioni di fronte a cambiamenti repentini delle priorità e delle problematiche sociali; invoca una crescita più equilibrata, al servizio dello sviluppo umano e dell’ambiente, ricorda l’emergenza ha richiesto maggiore discrezionalità nella risposta dei governi che non nei tempi ordinari e che i governi saranno chiamati alla massima trasparenza nella risposta alla pandemia e alla crisi negli anni a venire.

Il richiamo all’economia come disciplina da leggere sotto la chiave dell’etica non è nuovo in Draghi. Dopo lo scoppio della Grande Recessione, nel 2009, l’allora governatore della Banca d’Italia firmò un approfondito editoriale sull’Osservatore Romano in cui commentava il pensiero socio-economico di Papa Benedetto XVI, dimostrando il suo sostegno alle proposte di moderazione degli eccessi della globalizzazione prospettate nell’enciclica Caritas in Veritate: “se l’autonomia della disciplina economica implica l’indifferenza all’etica, si spinge l’uomo ad abusare dello strumento economico; se non è più mezzo per il raggiungimento del fine ultimo – il bene comune – il profitto rischia di generare povertà”, notava Draghi, sottolineando che “ogni decisione economica ha conseguenze di carattere morale”. Oltre dieci anni dopo, mentre il mondo affronta una crisi che ha mostrato i rischi dell’iper-globalizzazione la critica di Benedetto XVI non perde di attualità e profondità.

E proprio a questi principi ora bisogna vedere quanto Draghi saprà conformarsi, se accettando l’incarico da Sergio Mattarella riuscirà a formare un esecutivo di alto livello per il rilancio del Paese. Le priorità su cui l’Italia deve puntare per riprendere la marcia interrotta e invertire i trend del declino in atto sono precise: una seria campagna vaccinale, una politica economica all’altezza del rilancio del Paese, una crescita più inclusiva, il rafforzamento della coesione territoriale Nord-Sud, la conquista di una voce più autorevole ai tavoli internazionali. Di fronte alla sua precisa “dottrina”, e alle conseguenze che ha provocato, e all’impegno etico-politico da lui rivendicato per i governi viene difficile pensare alla figura di Draghi come a quella di un tecnico neutrale.

Fermo restando che anche la tecnica non è mai, veramente, neutrale, è bene sottolineare che se chiamato alla guida governo Draghi porterà con sé una precisa visione sul futuro corroborata da una lunga esperienza nelle istituzioni, dallo scontro con crisi decisive per l’Europa e, inevitabilmente, anche da errori di percezione e di azione che segnano inevitabilmente il cammino di qualsiasi decisore. Draghi sarà un inquilino ingombrante per qualsiasi maggioranza che potrà, in futuro, sostenerlo. I singoli uomini non salvano mai le nazioni, la buona politica collettiva può riuscirsi: in un certo senso, il “tecnico” Draghi appare come lo stimolo di Sergio Mattarella alla classe dirigente del Paese perché prenda in mano le redini del dibattito e crei vera dialettica, vera visione per il futuro, vere strategie. In una parola, vera politica.

FONTE: https://it.insideover.com/economia/la-dottrina-draghi-contro-la-crisi-del-covid-19.html

 

 

DIEGO FUSARO: Mario Draghi beatificato da tutti. Cosa c’è dietro e cosa accadrà ora all’Italia

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4 feb 2021
VIDEO QUI: https://youtu.be/I1yGhAgLRyQ
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=I1yGhAgLRyQ&feature=push-sd&attr_tag=fROCuzmEbbDJnbtF%3A6

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Bombardieri cinesi simulano un attacco a portaerei statunitensi presso Taiwan

Military Watch, 30 gennaio 2021

In mezzo alle forti tensioni tra Stati Uniti e Cina, e in seguito all’invio del primo gruppo di portaerei statunitensi dell’amministrazione Joe Biden vicino le acque dichiarate cinesi, l’Esercito di Liberazione Popolare cinese (PLA) avrebbe inviato bombardieri H-6 con scorta per simulare attacchi sugli obiettivi nordamericani. Taiwan è stato un potenziale focolaio di tensioni tra le due potenze e, sebbene riconosciuta da Nazioni Unite e tutti gli Stati membri come parte della Cina, la crescente presenza di forze statunitensi sul territorio è motivo di notevole preoccupazione a Pechino. Il rapporto di attacchi simulati da aerei cinesi arrivava dal Financial Times e citava fonti di intelligence anonime. Affermava che questi avvennero nell’arco di due giorni dal 23 gennaio e il secondo giorno coinvolsero decine di aerei. Il gruppo d’attacco della portaerei entrò nel Mar Cinese Meridionale guidato dalla superportaerei classe Nimitz USS Theodore Roosevelt nella Marina degli Stati Uniti dal 1986.
La Marina e l’Aeronautica Militare cinesi equipaggiavano i bombardieri H-6 con una gamma di armi anti-nave avanzate progettate specificamente per penetrare le difese dei gruppi d’attacco delle portaerei nordamericane, inclusi non solo missili da crociera YJ-12 ma anche una nuova classe di missili balistici anti-nave ipersonici. La traiettoria da pelo sul mare dell’YJ-12 e l’elevata velocità da Mach 4 rendono molto difficile l’intercettazione, e le ultime versioni dell’H-6 possono trasportare una decina di questi missili. Non è chiaro se i bombardieri volassero per la Marina o l’Aeronautica, e i caccia che ne formavano la scorta a lungo raggio, essendo Su-35 e J-11B utilizzati per missioni di scorta. Questa dimostrazione di forza invia un segnale forte alla nuova amministrazione Biden sualla posizione di Pechino sull’interferenza degli Stati Uniti a Taiwan, con la precedente amministrazione Trump che approvò contratti per oltre 10 miliardi di dollari in armi al governo di Taiwan non riconosciuto da Nazioni Unite e stragrande maggioranza degli Stati membri, e la vendita di armi ad esso fu equiparata ad armare un attore non statale.

FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=15204

Quando le transnazionali coltivano la guerra: il caso Venezuela-Guyana

http://aurorasito.altervista.org/?p=15189

Misión Verdad, Internationalist 360°, 30 gennaio 2021La disputa venezuelano-guyanese è aumentata di volume e frequenza, i media cartellizzati e globalizzati si aggirano intorno la questione con lo schema tipico che precede gli attacchi occidentali agli “Stati falliti” per imporre “pace e democrazia” che, alla lunga, non arrivano mai. In precedenti occasioni, la loro ripetuta “informazione” ha ammorbidito il pubblico fin quando, attraverso falsità, innescarono azioni come quelle in Iraq, Libia o Afghanistan. Considerare questo problema non significa prevedere che si verificherà un’aggressione militare, ma piuttosto val notato l’interesse aziendale e l’escalation delle informazioni incentrate sull’intensificazione di un confronto politico e persino militare.

Crocevia di azioni e reazioni recenti
Il 23 gennaio, le navi Lady Navera e Sea Wolf furono intercettate dal pattugliatore Comandante Eterno Hugo Chávez (GC-24) mentre operavano al largo di Waini Point, nella Zone di Reclamo o Essequibo Guyana. Secondo la stampa della Guyana, le navi erano nelle sue acque. Da parte sua, il Ministero degli Esteri venezuelano riferiva che la nave da guerra operava “in acque di indiscussa sovranità venezuelana” e che i due pescherecci erano “impegnati nella pesca illegale in flagrante violazione delle acque di piena sovranità e giurisdizione venezuelana, senza una qualsiasi documentazione legale”, per questo motivo sono furono costretti a prendere la rotta per il porto di Güiria e i 12 membri d’equipaggio processati. Georgetown bollava come “aggressione” il sequestro dei pescherecci che, secondo la sua versione, avvenne nella zona economica esclusiva della Guyana, e chiese l’immediata liberazione degli equipaggi. La controversia entrava in una fase critica dopo che la Corte internazionale di giustizia (ICJ) decise a dicembre, con 12 voti contro 4, di essere competente ad analizzare “la validità del lodo arbitrale del 3 ottobre 1899 e la questione della composizione definitiva del confine terrestre” tra i due Paesi. Il suddetto lodo fu considerato nullo e non valido nel 1966 quando Venezuela e Guyana sottoscrissero l’Accordo di Ginevra, a cui il governo venezuelano rispose il 7 gennaio con diverse misure. Una delle azioni fu comunicare per iscritto al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres il rifiuto dell’interferenza dell’ICJ nel risolvere tale controversia. Con la sua decisione, la corte avrebbe annullato i colloqui diretti tra i due Paesi “per avanzare verso un’intesa pacifica e vantaggiosa per entrambe le parti”, come dichiarato dal Presidente Nicolás Maduro alla televisione nazionale. Lo stesso giorno, il Presidente decretò la creazione della Zona di Sviluppo Strategico del Fronte Atlantico, al fine di fornire protezione e salvaguardare la giurisdizione del Venezuela nei suoi spazi continentali; aree marine interne, zone di confine storiche e vitali del Paese. Un’unica autorità sarà responsabile dell’amministrazione del nuovo territorio nazionale.
Il presidente della Guyana, Irfaan Ali, respinse il decreto come “profondamente inquietante” a cio , l’11 gennaio il Ministro degli Esteri venezuelano, Jorge Arreaza, risposte che le dichiarazioni di Irfaan Ali erano un riflesso della “supremazia imperiale che incita al confronto col Venezuel, e sottende pretese sconosciute e pericolose per nulla conformi al diritto pubblico internazionale e in conformità con il buon vicinato”. La posizione venezuelana respinse l’interferenza di Georgetown negli affari interni del Venezuela mettendo in discussione il decreto del nuovo territorio marittimo e denunciò gli interessi della transnazionale petrolifera ExxonMobil (Exxon).

L’interferenza egoistica di Stati Uniti e burattini
Lo stesso 11 gennaio, il Ministro della Difesa venezuelano, Vladimir Padrino López, annunciò che le Forze Armate Nazionali Bolivariane, tramite la Marina, disponeva il pattugliamento nelle acque del territorio di Essequibo dopo l’inizio delle esercitazioni militari tra Comando Meridionale degli Stati Uniti e Guyana nella zona. Accompagnato dalla Vicepresidentessa esecutiva della Repubblica, Delcy Rodríguez, il generale in capo dichiarò che “siamo preparati a tali aggressioni che, tra l’altro, non sono una novità dalla Guyana e dall’impero statunitense”. La reazione del governo venezuelano arrivò quando il capo del comando meridionale degli Stati Uniti, Craig Faller, giunse in Guyana per guidare manovre marittime congiunte volte, tra le altre cose, ad intercettare il traffico di droga vicino al confine venezuelano. L’intercettazione dei due pescherecci fu un’opportunità per gli Stati Uniti per dimostrare la solita interferenza egoistica. In una riunione sulla controversia Guyana-Venezuela, il suo rappresentante presso il Consiglio permanente dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS) dichiarò che “gli Stati Uniti condannano la cattura di due pescherecci della Guyana da parte della Marina del Governo di Maduro, e chiediamo l’immediato rilascio di queste navi e dei loro equipaggi. Gli Stati Uniti sostengono una risoluzione pacifica della disputa territoriale tra Venezuela e Guyana”. Il Venezuela non appartiene all’OAS, ma il suo segretario generale chiese il rilascio dei 12 cittadini della Guyana, nonché delle due navi trattenute. Anche propose che “la disputa territoriale tra Venezuela e Guyana sull’Essequibo non sia risolta con azioni unilaterali”. Nessuno disse ad Almagro che, nel 2011, Georgetown decise di apportare modifiche alla sua piattaforma continentale marittima per lo sfruttamento del petrolio senza preavviso al Ministero degli Esteri venezuelano. Né che, nel 2012, il Paese confinante consegnò il “Blocco Roraima” alla compagnia transnazionale “Anadarko” per l’esplorazione petrolifera, col segreto sul luogo della concessione, paralizzato dopo la protesta venezuelana nel 1999-2000. Fu solo nel 2013 che il governo venezuelano scoprì la posizione nella costa atlantica venezuelana dove la Guyana applicò la linea di demarcazione col Venezuela con un’inclinazione di 30 gradi. mentre la Marina bolivariana afferma che dal 1996 il Venezuela indica l’inclinazione di questa linea a 70 gradi esercitando sovranità sull’area. Questa delimitazione interessò non solo la costa atlantica della Guayana di Esequiba, ma anche dello Stato venezuelano del Delta Amacuro.
Alla consegna del blocco di Roraima, oltre che al blocco fu aggiunta la riattivazione dei lavori di esplorazione petrolifera nel blocco Stabroek (28000 kmq), concessi dalla Guyana al largo della costa atlantica venezuelana. Il capo dell’esercito della Guyana dichiarò nel novembre 2020 che le forze straniere non saranno mai più autorizzate a “prendere di mira” le operazioni di esplorazione e produzione petrolifera del Paese. L’esercito della Guyana aveva ordinato elicotteri statunitensi da utilizzare “per rafforzare la difesa nazionale”, dichiarava ad ottobre l’agenzia di cooperazione per la sicurezza statunitense DSCA. La defunta amministrazione Trump aveva raddoppiato il sostegno alla Guyana nella disputa territoriale col Venezuela, usandolo come altro fianco nella sua campagna per costringere il Presidente Maduro a dimettersi. Ciò fu dimostrato dalle suddette dichiarazioni all’OAS e dalla visita di Mike Pompeo, allora segretario di Stato nordamericano, nel settembre 2020. In quel contatto cercò sostegno per gli sforzi dell’amministrazione Trump per rovesciare il presidente e rafforzare investimenti e cooperazione statunitensi in “energia e infrastrutture”, impegnandosi al contempo ad approfondire la cooperazione in materia di sicurezza marittima e interdizione della droga. Pompeo elogiò il sostegno di Alí al Lima Group, l’ente regionale screditato dei governi satellite degli Stati Uniti che guidano e sostengono le aggressioni contro la politica interna venezuelana.

Quale sarebbe l’interesse degli Stati Uniti e dei loro proprietari nella controversia?
Quando Pompeo visitò la Guyana, lo fece non solo nel quadro del piano golpista clamorosamente fallito contro il Venezuela, ma in combinazione con altre due motivazioni. Uno fu descritto da Geoff Ramsey del Washington Office on Latin America (WOLA), che commentò: “La realtà è che siamo in campagna elettorale interna, e questa è una Casa Bianca che vede la politica del Venezuela come indissolubilmente legata alla sua elezione nella campagna in Florida”. L’altra, più pesante è legata alla presenza della multinazionale Exxon nella crescente attività petrolifera del Paese confinante; il gigante petrolifero fece la prima scoperta petrolifera nel blocco di Stabroek (26800 chilometri quadrati) nel maggio 2015. Nel 2018 la società ha sospese le indagini sismiche di una parte di Stabroek a seguito di un incidente navale con la Ramform Tethys. La nave appartenente alla compagnia norvegese Petroleum Geo-Services (PGS), che conduceva un’indagine sismica per conto di Exxon, interruppe i lavori di esplorazione e si diresse ad est quando una nave della marina bolivariana l’annordò. Exxon disse che l’incidente non avrebbe interrotto le operazioni di perforazione e sviluppo. dato che al tempo prevedeva 750mila barili al giorno di produzione di petrolio per conto della Guyana, nel 2026. Nel dicembre 2019, la società avviò la produzione del giacimento petrolifero di Liza, con la capacità di pompare 120mila barili al giorno e continuava ad esplorare la superficie vicina. Una parte del blocco Stabroek, che comprende Liza, si trova nel territorio conteso. Oggi l’azienda transnazionale è sottoposta a forti pressioni a causa delle grandi ripercussioni della pandemia globale, del forte calo dei prezzi del petrolio e della minaccia del picco della domanda di petrolio. Gli analisti temono che Exxon, a causa dell’enorme di debito, diventerà una “società zombie”, il che significa che non genererà reddito operativo sufficiente per coprire le spese degli interessi. Nella lotta per sopravvivere nel prolungato crollo dei prezzi del petrolio, registrava una perdita di 2,4 miliardi di dollari nei primi mesi del 2020 e un deterioramento del flusso di cassa. Tuttavia, analisti come Matthew Smith affermano che non è ancora una società zombie perché può ancora aumentare redditività e flusso di cassa se le prospettive per i prezzi del petrolio migliorano insieme a un portafoglio diversificato a livello globale da asset energetici di qualità. Nel settembre 2020, Exxon fece la diciottesima scoperta petrolifera nel blocco di Stabroek e aumentò la stima delle risorse petrolifere recuperabili ad oltre 8 miliardi di barili. Questo è il motivo per cui annunciò a novembre l’intenzione di dare priorità alla spesa in conto capitale per attività di alto valore, come le operazioni nel bacino Guyana-Suriname, ed annunciò che avrebbe proceduto allo sviluppo del giacimento petrolifero Payara nel blocco Stabroek, che verrà attivato nel 2024 e avrà la capacità di pompare 220000 barili al giorno. Nel dicembre 2020, Exxon aveva raggiunto l’obiettivo della produzione del campo Liza. I ricavi per la Guyana potrebbero generare 168 miliardi di dollari, 120 volte il budget annuale del Paese. Nel frattempo, lo scorso 17 gennaio, il deputato dell’opposizione all’Assemblea nazionale venezuelana (AN) e il presidente della Commissione permanente di politica estera, Timoteo Zambrano, annunciava che “Exxon ha pagato 15 milioni di dollari perché loro (il governo della Guyana) facessero causa al Venezuela in un tribunale che non riconoscono come nemmeno noi”.

Reclutamento di un Paese satellite
Il rapporto subordinato della Guyana cogli Stati Uniti è in fase di macerazione e l’influenza di Exxon fu la chiave nella formazione della colonia. Anche quando la mega-azienda e il suo quartier generale cercarono d’intrecciare rapidamente interessi politici e finanziari, ci furono sfumature, come quando l’ex-presidente David Granger si lamentò pubblicamente delle pressioni fatte per consentire a Voice of America di installare una stazione radio nel suo territorio e trasmettere propaganda nel Venezuela. Prima della visita di Pompeo, l’Associazione Guyana per i diritti umani espresse la preoccupazione che la nazione di 740000 persone finisse nella disputa Venezuela-USA affermando che: “Allineare la Guyana con chi cerca il cambio di regime non solo minaccia i negoziati legali della Guyana oltre confine, ma sarebbe anche politicamente assurdo”.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=15189

 

 

 

CULTURA

La destra di Maurras

Danilo Breschi – 3 Febbraio

L’ultimo libro su Maurras, scrittore e agitatore politico francese, può insegnarci molto sulla situazione politica attuale. A patto di liberarci da scomodi pregiudizi tipicamente italiani

Come ogni buon libro di saggistica, anche quello che Domenico Fisichella dedicò anni fa allo studio del pensiero politico di Charles Maurras (La democrazia contro la realtà. Il pensiero politico di Charles Maurras, Roma, Carocci, 2006) offre molto più di quanto si possa intuire dal titolo e aiuta ad indagare l’attualità. Merita riproporlo alla vostra attenzione.

La scelta del personaggio, vissuto tra 1868 e 1952, sotto molti aspetti cruciale nella storia politica di Francia tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, consente infatti a Fisichella di affrontare la più ampia tematica della cultura politica controrivoluzionaria che nella nazione transalpina ha ovviamente il suo luogo di origine e di maggiore sviluppo. Noto è poi come correnti storiografiche più recenti abbiano ravvisato proprio in quell’ambiente politico-culturale la prima matrice del pensiero rivoluzionario-conservatore novecentesco e persino dell’ideologia fascista. Estremamente cauto su quest’ultimo punto, Fisichella preferisce concentrarsi sul concetto di destra contestualizzandone genesi e contenuti, secondo un approccio insieme storico e analitico. 

Dicevamo del ruolo “cruciale” del pensiero e dell’opera di Maurras. Egli è in effetti l’autore che forse più di altri può aiutare lo studioso a cogliere la dimensione plurale della destra francese, collocandosi «alla convergenza dilemmatica tra molte destre». Si è soliti infatti riflettere e discutere a proposito della travagliata storia delle sinistre, molteplici e tra loro confliggenti, spesso generatesi da scissioni interne secondo un costante e periodico processo di scavalcamento “a sinistra”, in nome di una rivoluzione che si pretende “presa più sul serio” di quanto abbiano fino a quel momento fatto gli altri compagni, rinnegati proprio a causa di questa presunta moderazione. 

Un’analoga pluralità polemica e rissosa caratterizza la storia della destra europea, e in Francia molto più che altrove. Il volume si apre così con una rapida ma efficace rassegna delle varie destre transalpine che si sono succedute nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, senza esser mai riuscite a fondersi insieme, se non per un breve momento attorno ai primi anni Trenta in virtù dell’attrazione esercitata dal fascismo italiano e dal desiderio di emularlo. Quanto accadde a Vichy, secondo molti studiosi, apparterrebbe invece alla sfera della contingenza e della costrizione imposta da eventi bellici, piuttosto che ad una logica di convergenza ed amalgama ideologica o di volontaria aggregazione politico-elettorale. 

Le destre che si manifestarono in Francia dopo la Rivoluzione del 1789 risentirono del disorientamento di una monarchia scossa nelle sue fondamenta di legittimità ed effettività, e costituirono altrettanti tentativi di risposta alla ricerca di un’identità monarchica perduta o alterata. Il primo grande filone della destra francese fu l’oltranzismo monarchico (ultra-royalisme, o ultracisme) che a sua volta germinò quasi subito il legittimismo. Il passaggio fu nel segno dell’ammorbidimento di alcune intransigenze, dal momento che la Restaurazione non fu, non poté, essere completa e un residuo parlamentaristico permase. Il successo che arrise agli ultra-royalistes nelle prime elezioni dell’agosto 1815 della Camera della monarchia restaurata di Luigi XVIII (ben 350 deputati su 392 seggi da attribuire) fu motivo di lento ma irreversibile attaccamento, o quanto meno di crescente attenzione, verso i meccanismi e le opportunità dell’azione parlamentare. Tra 1816 e 1820 il regime parlamentare penetrò così gradualmente nei costumi politici nazionali, destra legittimista compresa. Questa si costruì attorno al concetto di “ordine naturale” contrapposto a quello di rivoluzione, perché il primo era sinonimo di stabilità mentre il secondo foriero di disordine e anarchia. In questo ordine naturale rientravano il cattolicesimo, talora innervato di aspirazioni gallicane, le istituzioni temprate e collaudate dalla durata storica, a partire dalla monarchia, e quindi la famiglia, cellula fondamentale della società e prima istituzione capace di garantire stabilità e prosperità. Forte l’avversione del movimento legittimista nei confronti del centralismo statale, in quanto eredità del periodo rivoluzionario. 

Le alterne fortune dell’istituto monarchico francese post-rivoluzionario determinarono la nascita dell’orleanismo, movimento sorto dalla cosiddetta Rivoluzione di Luglio e dal conseguente avvicendamento tra i Borbone e il ramo cadetto degli Orléans. Peculiarità dell’orleanismo, debitore in ciò dell’elaborazione dei dottrinari costituzionali dell’età della Restaurazione, è il sostegno ad un sistema stabilmente incardinato sull’equilibrio fra due istituzioni: monarchia e parlamento. «Il re non è più l’unto del Signore ma il primo magistrato dello Stato», e il parlamento è il luogo deputato alla composizione dei conflitti tra i gruppi sociali e le opposte tesi politiche, secondo il principio-guida del juste milieu. Fisichella sottolinea a ragione le forti analogie fra l’orleanismo e il gruppo dei cosiddetti monarchiens all’Assemblea Nazionale nell’estate del 1789. Comune è il disegno di mantenere l’istituto monarchico attraverso l’innesto di una costituzione di tipo inglese, in modo da prevenire modifiche più radicali grazie ad un’affermazione costituzionale del primato regio all’interno di un regime di equilibrio fra poteri di diversa composizione sociale e legittimazione politica. Fisichella definisce perciò l’orleanismo una «destra liberale, destra moderata, sollecita della libertà politica», che aveva nella grossa borghesia della proprietà fondiaria e immobiliare il proprio gruppo sociale di riferimento.

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

L’INFERMIERA TIFFANY DOVER È MORTA!
Simone Santini – 21 12 2020
Anzi, no, è viva, però è morta lo stesso.
Aveva fatto il vaccino anti-covid da dieci minuti.
È svenuta in diretta tv, poi è morta.
È risorta per dire in diretta tv che stava bene.
Subito dopo è morta di nuovo, ma non per il vaccino.
Pare (sottolineo pare) che uscita dall’ospedale sia stata travolta da un TIR.
La sua giovane vita è stata stroncata brutalmente.
Soffriva di un disturbo per cui, quando provava dolore, sveniva.
Ma rassicuriamo tutti: la morte è stata improvvisa e non ha provato dolore.
Non ha sofferto. È morta senza svenire.
Ora è stata conteggiata tra i morti per covid.
Avrei potuto (e anche voluto) chiudere così questo post. Fare uno sberleffo e basta. Invece mi rendo conto che di questi tempi non basta. Da quel paternalista quale sono, sento il dovere di ergermi in piedi ed elargire qualche insegnamento a voi, popolo!
Ecco, ora mi faccio serio e vi propongo un paio di riflessioni.
Trovo lo stato in cui versa la controinformazione davvero pietoso. C’è chi non crede più a nulla di quello che arriva dal mainstream ma, al contempo, è pronto a dare credito a qualsivoglia sciocchezza, anche la più assurda, che circola in rete purché confermi i suoi pre-giudizi.
Mi sono occupato a lungo di controinformazione, o informazione alternativa, o pensiero critico (lo si chiami come si vuole) e sento di fare ancora parte di questo “mondo” e trovo davvero preoccupante questa situazione. Sembra che anni di impegno siano stati buttati via inutilmente, senza migliorare di una virgola la nostra comune condizione.
Per una quindicina d’anni mi sono occupato prevalentemente di analisi delle fonti informative. Non pretendo di aver capito chissà che, ma alcune cosette di base penso di sì.
La prima di queste è che il mainstream informativo NON mente quasi mai e, quando lo fa, tende a farlo in maniera impercettibile. Poi ci sono i casi di sciatteria giornalistica, di clamore e di enfasi artificiali, ma questo è un altro piano del discorso di cui non intendo occuparmi qui.
Se Mentana dice che domani il sole sorgerà e noi siamo tentati dal riflesso condizionato di pensare che allora il sole domani NON sorgerà, vuol dire che il manistream ha vinto, ha stravinto, ha completamente occupato il terreno di gioco e noi non abbiamo più armi per difernderci.
Lo scopo del mainstream non è mentire ma creare “frame”, creare categorie dentro cui incasellarci. Lo scopo del mainstream è cancellare il pensiero laterale, libero, scacciare la logica ed il ragionamento indipendente.
Se tu credi che è vero a prescindere perché l’ha detto Mentana, il manistream ha vinto.
Se tu credi che è falso a prescindere perché l’ha detto Mentana, il mainstream ha stravinto.
Obiettivo della controinformazione non è ricreare uno schema di gioco opposto a quello del mainstream ma perfettamente speculare ad esso, con le stesse categorie di pensiero.
Il nostro obiettivo è cambiare terreno di gioco. Finché rimaniamo sul loro, saremo perdenti.
Lo scopo è riportare la logica dove la logica salta. È quello di portare accuratezza dove c’è sciatteria. È quello di porre e porsi le domande giuste, non inseguire risposte già preconfezionate.
Le risposte preconfezionate sono create da chi butta in pasto al mainstream la polpetta avvelenata che esso trangugia e poi ci restituisce. Ma non credete che tali polpette non siano confezionate anche per la controinformazione? Se esiste un potere celato che crea una operazione come quella dell’11 settembre non credete che disseminerà tutto intorno polpette informative che profumano irresistibilmente di “verità che non c’è le dikono” ma sono avvelenate?
Ogni volta che postiamo su facebook un post non verificato, non corretto, solo perché profuma di buono, nutriamo la loro vittoria e la nostra sconfitta. Se non abbiamo strumenti per verificare, per incapacità, per mancanza di tempo o di voglia, meglio non fare nulla. Meglio osservare, meditare, ragionare, ricordare, riconsiderare. Non aggiungiamo voci stridule laddove è già pieno di un chiasso insopportabile.

FONTE: https://www.facebook.com/simone.santini.92/posts/10221748745780484

 

 

Regeni: la verità dietro il martirio. Intervista a Fulvio Grimaldi

Come Don Chisciotte vi presenta la prima puntata di “Sancho. Settimanale d’attualità” con ospite fisso Fulvio Grimaldi, mostro sacro del giornalismo indipendente. Questa settimana, parliamo un po’ della crisi di governo in anteprima.

Tema della puntata #1 è Giulio Regeni: chi era veramente? Per chi lavorava? Chi ha avuto interesse a ucciderlo ed esporne il cadavere martoriato? A chi giova la retorica del suo martirio? Fulvio Grimaldi ha le idee molto chiare, e le sue rivelazioni aprono per la prima volta uno scenario inedito, chiaro e razionale. Ma quando la verità vien fuori dal pozzo, non tutti sono contenti.

Finita l’intervista a Fulvio Grimaldi, è arrivata la notizia della nomina di Mario Draghi a capo del governo. Di chi è Draghi e cosa ci sia da aspettarsi dal nuovo governo tecnico parleremo diffusamente con Fulvio nella puntata di mercoledì prossimo.

Conduce Massimo Cascone, produzione di Bagony Snikett.

Buona visione!

VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=hXjv_rL4ecs

FONTE: https://comedonchisciotte.org/sancho1-regeni-la-verita-dietro-il-martirio-intervista-a-fulvio-grimaldi/

 

 

 

DIRITTI UMANI

Daniel ALFIN: agente veterano dell’FBI ha condotto una delle più grandi indagini sulla pornografia infantile della storia

Daniel ALFIN, uno degli agenti dell’FBI uccisi martedì mattina a Sunrise, era un agente veterano specializzato in CRIMINI CONTRO I BAMBINI.
Ha condotto un’indagine su un sito web chiamato Playpen, ritenuto il più grande sito web di pornografia infantile sul dark web. Dopo aver sequestrato i server del sito, gli investigatori dell’FBI lo hanno tenuto in funzione per due settimane, dopo aver allegato un software per rilevare le identità degli utenti.
Sebbene si sia rivelata una decisione controversa, l’indagine ha prodotto un numero enorme di arresti. 

Secondo l’FBI, circa 900 persone sono state arrestate in tutto il mondo e 55 bambini negli Stati Uniti sono stati identificati o salvati.

“Membri della sua impresa che violentavano bambini, che producevano pornografia infantile in tutto il mondo – quei casi continuano ad essere incriminati e perseguiti”, ha detto Alfin in un comunicato stampa dell’FBI del 2017 che annunciava la condanna del fondatore del sito a 30 anni di carcere .

“È un gioco del gatto e del topo, tranne che non è un gioco”, ha detto. “I bambini subiscono abusi ed è nostro compito fermarli.”
2/2

FONTE: https://t.me/TheStormQ17/8517

 

 

 

ECONOMIA

Janet Yellen prese 810 mila dollari da Citadel (proprietaria di Robinhood) ed ora valuta Gamestoped ora

 

Febbraio 4, 2021 posted by Guido da Landriano

Stati Uniti, terra dei liberi e dei conflitti d’interesse dei potenti.. Bisogna affrontare dal punto di vista regolamentare ed istituzionale tutto quello che è successo con Robinhood, i piccoli trader, Wallstreetbet e Gamestop. Quello che è successo necessità di apportare delle modifiche di carattere regolamentare, anche per far fronte a tanti altri fenomeni di carattere speculativi, come gli high frequency trade, o gli ordini in anticipo etc. tutte cose fatte dai grandi hedge fund, di cui uno splendido esempio è il fondo Citadel che, tra l’altro è il proprietario di Robinhood, la società di trading che è al centro delle polemiche perchè prima è stato lo strumento speculativo per milioni di piccoli trader, poi è stato il suo peggior nemico limitando gli acquisti dei titoli stessi.

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OpenShift: Estendi le applicazioni premendo un pulsanteIBM

Janet Yellen, neo nominata segretario del tesoro, avrebbe dovuto presiedere il comitato per i regolamenti sulla borsa che doveva proprio occuparsi di Robinhood e dei recenti casi simili, ma si è scoperto che ha incassato, come premi per conferenze pagate, ben 810 mila dollari proprio da Citadel, le ultime delle quali ancora ad ottobre.

Tutti si aspettavano che, avendo lei preso cifre importanti da un hedge fund la Yellen si ricusasse, o fosse ricusata, dal dirigere un comitato in cui parte in causa, in modo indiretto, fosse il fondo stesso, ma vi sbagliavate. Il portavoce della Casa Bianca ha affermato che non c’è nulla di strano, che va tutto bene e che, essendo lei un’esperta, è stata pagata giustamente e che  ora, allo stesso modo, lei può occuparsi direttamente dei problemi di regolaamentazione legati al caso Gamestop.

 

tutte bene, non ci sono conflitti di interesse e Janet Yellen sicuramente sarà imparziale e farà gli interessi del piccoli investitori. Basta crederci.

FONTE: https://scenarieconomici.it/janet-yellen-prese-810-mila-dollari-da-citadel-proprietaria-di-robinhood-ed-ora-valuta-gamestoped-ora/

 

 

Recovery Fund: un’ipoteca sulla politica economica

di coniarerivolta – 02 February 2021

Sul banco degli imputati, come capro espiatorio della crisi del governo Conte-bis, è piombata la gestione del Recovery Fund approntata dall’esecutivo. La crisi è infatti iniziata subito dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri dell’ultima versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il 12 gennaio 2021, che ha innescato una serie di critiche serrate da parte delle istituzioni europee, tra cui quelle del Commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni e del vice presidente della Commissione Dombrovskis. L’argomento è scottante perché riguarda il programma di politica economica dei prossimi sei anni, anni in cui i vincoli di bilancio torneranno ad essere stringenti e dunque le uniche risorse spendibili rischiano di essere quelle previste da PNRR. Una evidenza questa, scritta nera su bianco nello stesso Piano di Ripresa.

Abbiamo già discusso le ragioni dei severi richiami all’Italia da parte dell’UE e dei suoi più attenti portavoce nostrani, che coincidono con l’inizio della campagna politica e mediatica per il ritorno alla disciplina di bilancio e all’austerità.

Abbiamo anche già visto come la portata del Piano che, come detto, si spalma su sei anni, sia insufficiente rispetto alla drammatica situazione che si è creata (e aggravata). Tuttavia, rispetto alle ristrettezze fiscali a cui siamo stati abituati nel corso degli anni, ci sembra importante provare a capire come verranno spesi i (pochi) soldi che si potranno spendere in futuro.

Il PNRR italiano si articola in sei missioni o aree tematiche: digitalizzazione-innovazione-competitività-cultura, transizione ecologica, infrastrutture per una mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione e coesione e, in ultimo, salute. Queste missioni a loro volta si compongono di 16 componenti e 47 linee d’intervento (come da tabella seguente).

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La prima cosa che salta all’occhio è l’ammontare complessivo del NGEU che sembra salire dai tanto sbandierati 209 miliardi di euro fino a circa 224 miliardi. A un rapido controllo, tuttavia, l’aumento delle risorse si rivela solo un’illusione ottica conseguente all’inclusione di una quota di risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC 2021-2026), pari a 21,2 miliardi, all’interno del saldo finanziario dedicato ai nuovi progetti (la colonna “b” in tabella). Tali risorse erano già previste, sebbene non ancora programmate: “Il DEF 2021 prevede i profili temporali di reintegro delle risorse dell’FSC anticipate nel PNRR, nell’ambito del ciclo di programmazione 2021-2027”. Se è positivo l’esborso anticipato di tali risorse durante una fase di profonda recessione economica, queste rientrano tuttavia tra i prestiti del Recovery and Resilience Facility (RFF) (p. 37 del PNRR) e andranno restituite, concorrendo tra l’altro ad aumentare l’ammontare del debito; lo spauracchio delle regole europee.

In definitiva, le risorse totali del NGEU si fermano sempre ai soliti 210 miliardi, tra cui prestiti (127,6) e sovvenzioni (68,9) all’interno del Recovery and Resilience FacilityReact EU (13) e Just Transition Fund (0,5). Si tratta, inoltre, ed è utile ripeterlo, di somme che si riferiscono non a un solo esercizio ma andranno spalmante su un arco di sei anni(2021-2026). Data questa caratteristica e dato il carattere meramente sostitutivo di una quota cospicua delle risorse in esame, il programma appare del tutto insufficiente. Se escludiamo quelle del Fondo di Sviluppo e Coesione, circa un terzo (33-34%) delle risorse andrà infatti a finanziare capitoli di spesa già previsti – che sarebbero stati finanziati tramite nuovo debito pubblico o da un incremento del prelievo fiscale – e avranno dunque un impatto aggiuntivo nullo sull’economia. In sostanza, sono solo circa 145 i miliardi destinati a nuovi progetti. Per capire l’entità della somma, basti pensare che i vari interventi messi in campo dal Governo, dopo l’ultimo scostamento di Bilancio approvato a gennaio, ammontano a circa 165 miliardi.

Come se non bastasse, la programmazione legata al NGEU e al PNRR comporta l’istituzionalizzazione definitiva delle condizionalità europee in materia di fiscalità e riformeTutte cose che avevamo già largamente anticipato e che sono state confermate dalle nuove linee guida europee sui Piani di Ripresa nazionali, dove si afferma che gli Stati membri devono rispettare le raccomandazioni specifiche per Paese rivolte loro nell’ambito del Semestre europeo del 2019 e 2020 per avere accesso ai fondi. Riappare, anzi, alla faccia delle tronfie trombe della propaganda sul fiume di soldi che starebbe inondando l’Italia, lo spettro dell’austerità. Il testo diffuso dal governo, infatti, fa esplicitamente riferimento alla necessità di trovare il giusto equilibrio tra misure di stimolo e una gestione prudente delle finanze pubbliche e di programmare la spesa corrente al fine di perseguire un significativo avanzo del saldo primario di bilancio (p.38).

Una lettura attenta del PNRR spegne dunque qualsiasi forma di entusiasmo: non siamo di fronte ad alcun cambio di passo radicale nella politica economica. Se in astratto la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, la transizione energetica e il potenziamento della sanità pubblica sono tutti obiettivi più che condivisibili, le modalità con cui queste sono perseguite sono fondamentali, anche per comprendere quali saranno i risultati raggiunti e chi beneficerà maggiormente delle risorse messe in campo. Il diavolo sta nei dettagli.

Non è possibile qui considerare ciascuna delle componenti del PNRR, procederemo dunque con dei semplici esempi. Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, si prevedono nuovi progetti pari a circa 6 miliardi di euro, dei quali 2,3 dedicati alla digitalizzazione (investimenti in infrastrutture digitali, cyber security e servizi di cittadinanza digitale), 1,5 alla modernizzazione (assunzioni e valorizzazione delle competenze dei dipendenti pubblici) e altri 2,3 all’innovazione organizzativa della giustizia. Difficile tuttavia comprendere come si intenda ringiovanire la Pubblica Amministrazione più anziana d’Europa – il 45% dei dipendenti pubblici ha un’età pari o superiore ai 55 anni – ed ampliare il numero dei dipendenti pubblici, asfittico (3,2 milioni) dopo anni di blocco del turnover, con lo stanziamento di soli 210 milioni di euro (p. 52) in sei anni.

Se prendiamo invece la transizione energetica, cui sono destinati 37 miliardi di nuovi progetti, viene da chiedersi come saranno strutturati gli investimenti pubblici. Quando si tratta di politiche industriali dedicate alle filiere strategiche – si pensi ai 2 miliardi dedicati all’idrogeno verde – il PNRR prevede infatti “l’utilizzo di strumenti finanziari che consentano di attivare un positivo effetto leva sui fondi di NGEU per facilitare l’ingresso di capitali privati (equity o debito), di altri fondi pubblici o anche di una combinazione di entrambi (blending) a supporto delle iniziative di investimento”. Le risorse del Recovery Fund potranno dunque essere utilizzate come “una garanzia su finanziamenti privati, […] una copertura della prima perdita oppure […] un investimento azionario, con l’obiettivo della realizzazione di specifici progetti” (p. 36). Se da un lato questa previsione è finalizzata ad aumentare il volume complessivo degli investimenti rispetto alle sole risorse stanziate dal NGEU, attraendo investimenti privati, dall’altro la programmazione pubblica è messa qui esplicitamente al servizio dei profitti, piuttosto che della collettività, peraltro in un settore ritenuto essenziale per il futuro energetico del Paese.

Ma l’elenco degli esempi sarebbe molto lungo. Si potrebbe menzionare il capitolo dedicato alla “riforma” del settore idrico, che configura un vero e proprio rilancio della strategia di privatizzazione, attraverso l’estensione su scala nazionale e in particolare nel Meridione del modello gestionale delle multiutility quotate in borsa e mosse da una logica esclusivamente privatistica, che poco dovrebbe avere a che fare con un bene pubblico prezioso come l’acqua. Oppure il capitolo salute, che inizia con l’autocelebrazione del Servizio Sanitario Nazionale, non perché questo sia riuscito a garantire servizi adeguati ai tempi della pandemia, ma piuttosto perché consente all’Italia di registrare una spesa sanitaria (6,5% del Pil) inferiore alla Germania (9,6%), alla Francia (9,4%) e alla media europea (7,8%). In barba ai tagli alla sanità pubblica che hanno caratterizzato i decenni dell’austerità, resta lo sforzo esiguo per porvi rimedio: meno di 12 miliardi in sei anni, meno, dunque, di 2 miliari all’anno. Inoltre, e come se non bastasse, al netto dei proclami va sottolineato come la finanziaria del 2021 in realtà non faccia altro che stanziare per il Servizio Sanitario Nazionale una cifra praticamente identica a quella stanziata nel 2020: meno di un miliardo in più. Altro che investimenti in sanità.

Vi è, inoltre, una considerazione generale che sentiamo il dovere di fare: tanto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza quanto il dibattito pubblico ospitato dai media, si caratterizzano per lo schiacciamento acritico sul ruolo del privato nella ripresa economica nazionale. Non vi è spazio, nonostante siano ancora sotto gli occhi le difficoltà di approvvigionamento di mascherine e respiratori di un anno fa, per il rilancio di un ruolo attivo dello Stato nell’ economia, al fine di sottrarre la produzione dei beni e dei servizi “strategici” alle logiche del profitto. Quello che emerge, in sostanza, è l’assenza di una politica industriale volta ad indirizzare non solo la produzione, ma più in generale lo sviluppo e la crescita del Paese. Il ruolo dello Stato continua ad essere marginale, minimalista, a sola garanzia del funzionamento del mercato e dei profitti privati.

In conclusione, dietro alla retorica da libro dei sogni che caratterizza tutto il PNRR approvato dal Governo, si cela una sostanziale continuità con le politiche degli ultimi anni, le stesse che ci hanno condotto sin qui. Nessun cambio di paradigma è in vista, né può consolidarsi a meno che non si imponga nuovamente una dinamica conflittuale, entro la quale possano trovare espressione le esigenze e i bisogni di tutti coloro che hanno subito più duramente gli effetti delle sempre più ricorrenti crisi degli ultimi anni.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/19682-coniarerivolta-recovery-fund-un-ipoteca-sulla-politica-economica.html

 

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

DIEGO FUSARO: In arrivo un nuovo DPCM? Sentite bene, qualcosa non torna…

VIDEO QUI: https://youtu.be/KSp06ve1sb0

FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=KSp06ve1sb0&feature=push-sd&attr_tag=rbu4q7T93tuJq6EZ%3A6

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

La Svezia rientra nell’ovile COVID-NATO?

 

Covid, NATO, Great Reset: chi è il vero responsabile di questa inversione di rotta della Svezia? Il re? Il Parlamento? O lobby meno scoperte?…

Intervista a Ivan Catalano, già Deputato della XVII Legislatura (2013-18); oggi tecnico e politico che lavora fuori dalle istituzioni e segue cosa fa la Svezia ma domani è pronto a ritornare a lavorare per il suo paese.

 

D: Il primo anno della cosiddetta pandemia in Svezia è stato gestito dai tecnici (con a capo Anders Tegnell) e non dai politici. Si può dire che Tegnell è un tecnico capace e, soprattutto, che nel 2020 ha applicato fedelmente il mandato assegnatogli non solo dalla legge ma anche dalla consuetudine svedese, e senza discostarsi dalle linee guida dell’ OMS?

R: La pandemia in Svezia è stata affrontata in modo differente rispetto agli altri paesi europei, questo ormai è noto. In Svezia è l’autorità della sanità (FHM) che gestisce le raccomandazioni in caso di epidemia e, in questo caso, di pandemia. Pertanto la parola è sempre stata sua, almeno fino a quando la politica non ha deciso di intromettersi. Tegnell ha sempre detto che il suo obbiettivo era raggiungere l’immunità di gregge naturale al virus (1), il che l’avrebbe portata ad essere immune da seconde o terze ondate, rispetto alla mortalità. L’immunità di gregge non impedisce il contagio, ma rende la popolazione meno soggetta ai casi gravi della malattia. Con questa strategia Tegnell è riuscito ad evitare il lockdown della Svezia (2, 3). Si può trovare una buona analisi dei dati sul funzionamento della strategia svedese qui (4): “Nessuno sta discutendo l’ovvia spiegazione: che così tante persone ora hanno avuto covid e hanno sviluppato l’immunità, che il virus ha difficoltà a trovare nuovi ospiti. In altre parole, la stranamente controversa strategia svedese di ‘immunità di gregge’ ha funzionato”. Quindi Tegnell, a mio avviso e senza ombra di dubbio, è stato il tecnico più preparato ad affrontare la pandemia in tutta Europa.

FONTE: https://comedonchisciotte.org/la-svezia-rientra-nellovile-covid-nato/

 

La stampa estera su Draghi: “L’Italia si rivolge a Super Mario per la gioia degli europeisti”

Dal ‘Wall Street Journal’, allo ‘Spiegel’ fino al ‘Ny Times’ commentano l’ipotesi di Draghi al governo: “Super Mario dove la politica ha fallito”

globalist3 febbraio 2021

La stampa estera sia europea che internazionale commenta lo scenario politico italiano, sul quale è piombato il nome di Mario Draghi come possibile futuro premier.

“Mario Draghi salvò l’euro, ma riuscirà a salvare l’Italia dalla confusione politica?”: esordisce il Wall Street Journal, registra l’arrivo di Draghi per tentare di uscire dalla crisi e scommette sull’ex capo della Bce nel compito nel quale la politica ha fallito. La situazione è “lungi dall’essere chiara”, aggiunge l’autorevole quotidiano finanziario, ma “Draghi si presenta al tavolo come uno degli uomini di più alto profilo internazionale in Italia e un accanito difensore dell’Unione”.

Del resto, fa notare Der Spiegel, “il 73enne economista da settimane era evocato come possibile capo del governo a Roma; e un  tale governo sarebbe probabilmente la soluzione nelle prossime settimane e mesi per guidare l’Italia attraverso i suoi problemi più urgenti nella pandemia da coronavirus”.

“L’Italia si rivolge a Mario Draghi, per la gioia degli europeisti”, scrive il New York Times, “una svolta notevole” dopo i complicati negoziati per risolvere la crisi politica. “Se diventerà premier”, prosegue il Wall Street Journal, si troverà di fronte alla duplice sfida del Covid-19 e di una crisi economica profonda.

Ma l’Italia “sembra pronta a tornare a un modello di governo tecnocratico per salvare il Paese dopo che le forze politiche hanno fallito”, aggiunge il New York Times.

Anche Euronews ricorda “SuperMario e il suo ruolo cruciale nel salvare la moneta unica europea”, quando era alla guida della Bce. “Il suo nome veniva spesso richiamato come ‘la più importante riserva della Repubblica italiana’ e come il ‘potenziale salvatore della Patria’”, ricorda les Echos, il più autorevole quotidiano finanziario francese.

“Rinomato per la sua discrezione, la sua serietà e la sua determinazione, rappresenta la persona più adatta per far uscire l’Italia dalla crisi e per completare la stesura del Recovery Plan da 222,9 miliardi che è ancora in cantiere”.

“Nove anni dopo che allo stimato banchiere battezzato ‘Super Mario’ venne riconosciuto di aver salvato l’euro, gli sarà affidato il compito di portare l’Italia fuori dalla sua peggiore recessione economica dalla Seconda Guerra mondiale”, osserva The Times, che poi sintetizza gli ultimi mesi di politica italiana: “Conte si è dimostrato un abile navigatore ma alla fine non è riuscito a sopravvivere alle eterne macchinazioni politiche a Roma.

La mossa di Renzi è stata giudicata da tutti come un cinico tentativo per ottenere più potere nella coalizione dominata dal Partito Democratico e dai Cinque Stelle. Il presidente Mattarella avrebbe potuto scegliere il voto anticipato, che probabilmente favorirebbe una coalizione di destra guidata da Matteo Salvini, ma ha rilevato che l’Italia non può permettersi di essere distratta da una campagna elettorale di due mesi”, anche perchè “i comizi prima delle elezioni in altri Paesi hanno portato a ‘pesanti’ aumenti del contagio”.

Ora tocca a Draghi: “Come capo della Bce nel 2012, Draghi contribuì a calmare i mercati e ad evitare un crollo dell’euro sostenendo che avrebbe fatto ‘tutto il necessario’ per salvare la valuta. Ora deve ottenere il sostegno della miriade di partiti politici italiani”.

Tagesschau, il principale notiziario di Das Erste, primo canale televisivo dell’emittente tedesca Ard, racconta la svolta, ricordando che “da mesi l’ex presidente della Bce era considerato un possibile candidato in Italia. Ma lo stesso Draghi era rimasto in silenzio e non aveva mai fatto cenno ad alcuna ambizione politica”.

E guardando al possibile incarico da parte del capo dello Stato, osserva che “più che un mandato governativo, sarebbe una richiesta a Draghi di liberare l’Italia da una situazione politicamente confusa: perché nel bel mezzo della seconda ondata della pandemia da coronavirus, il Paese è ancora senza un governo pienamente capace”.

Anche i giornali spagnoli guardano con attenzione alla tumultuosa crisi della politica italiana e registrano le mosse del Quirinale. “Il presidente Sergio Mattarella convoca Mario Draghi per affidargli un governo di emergenza in Italia”, registra El Mundo, dopo che “i negoziati tra i partiti della coalizione di governo per trovare una soluzione alla crisi politica sono falliti”.

Mentre El Pais, osserva che “l’Italia torna a un passo dal baratro istituzionale e politico dopo una lunga e inutile crisi durata quasi due mesi. Il leader di Italia Viva ha attivato il trituratore e non ha lasciato scappatoie a un accordo”.

Rimangono dunque solo due strade: “Le elezioni anticipate oppure un esecutivo istituzionale sostenuto da tutte le forze politiche fino al termine della crisi”; “e il prescelto è uno degli uomini con maggiore sostegno e prestigio oggi in Italia. Draghi è una delle poche figure capace di coalizzare un ampio consenso tra i partiti e la sua scelta porterebbe un enorme sollievo al settore economico e finanziario del Paese”.

Stamane Draghi è atteso al Quirinale: “Whatever it takes”, quel che ci vuole: quelle tre parole pronunciate nel luglio 2012, che prima definirono e poi cementarono l’eredità di Draghi sulla scena internazionale, potrebbero servirgli anche stavolta.

FONTE: https://www.globalist.it/media/2021/02/03/la-stampa-estera-su-draghi-l-italia-si-rivolge-a-super-mario-per-la-gioia-degli-europeisti-2073522.html

 

 

 

POLITICA

Il “partito di Draghi”: chi lo sponsorizza tra Usa, Europa e Vaticano

Mario Draghi ha accettato l’offerta di Sergio Mattarella per formare un esecutivo di alto profilo capace di dare al Paese le risposte alle crisi lasciate aperte dal governo Conte II sul fronte politico, economico, sanitario, Una mossa, quella del presidente della Repubblica, che può essere letta sotto diverse prospettive. In primo luogo come l’iniziativa personale che ai sensi della Costituzione gli è garantita una volta esauritasi la fase di consultazione tra le forze politiche che ha mostrato l’incapacità di M5S, Pd, LeU e Italia Viva di confermare la loro alleanza. In secondo luogo, come una presa di posizione discrezionale rispetto alla possibilità di elezioni anticipate, che il Quirinale intende riservarsi come extrema ratio. In terzo luogo, poi, come la speranza che Draghi, prendendo il posto di Conte, possa garantire la leadership necessaria a federare un programma comune.

C’è però un aspetto fondamentale del processo di nomina di Draghi che è legato a dinamiche non completamente connesse al contesto italiano, ma che richiamano importanti scenari internazionali. Scenari che, è bene ricordarlo, Mattarella nell’analisi delle sue scelte a disposizione tiene profondamente in considerazione, complice il ruolo di referente principale delle cancellerie internazionali assunto negli ultimi tempi dal Quirinale e un fondamentale caposaldo della dottrina presidenziale: la garanzia che ogni governo mantenga un saldo ancoraggio a Stati Uniti e Unione Europea. E questo movente appare estremamente solido come giustificazione della nomina di una figura dello standing di Draghi.

Due centri di potere, in particolar modo, guardano con grande interesse a Draghi: Bruxelles e Washington. L’Unione Europea, secondo Tpi, vede nell’ex governatore Bce la personalità adatta ad evitare che un flop dell’Italia faccia di fatto tramontare le prospettive di successo del Recovery Fund. Ed è probabile che le cancellerie europee e la Commissione abbiano di fatto bocciato “Giuseppi” proprio per il piano “insufficiente e lacunoso” presentato dai giallorossi: “il piano italiano era molto criticato nei palazzi del potere internazionale: il governo uscente veniva ritenuto non in grado di gestire adeguatamente tutti quei soldi”. Leader come Angela Merkel e Emmanuel Macron hanno da tempo relegato Conte in seconda fila; Ursula von der Leyen di recente ha scatenato il “falco” Valdis Dombrovskis contro le strategie giallorosse. Il difficile tentativo di accreditare in senso europeista l’operazione “responsabili” e il suo fallimento hanno sbriciolato la residuale utilità di Conte per l’establishment comunitario.

Ma Draghi è una figura in grado di ottenere forti consensi anche nella nuova amministrazione americana. In primo luogo, è tra le figure maggiormente tenute d’occhio dall’establishment a stelle e strisce sin dai tempi della Bce. “Vorrei avere Draghi al suo posto”. Con questa semplice frase Donald Trump nel giugno 2019 stigmatizzò il comportamento politico del governatore della Fed Jerome Powell. Joseph LaPalombara, decano dei politologi americani e vicino ai democratici, lo ha citato come uno dei premier ideali per ottenere credito agli occhi di Joe Biden e dei suoi. Per Washington, inoltre, Draghi rappresenta una garanzia anche in virtù delle sue conoscenze oltre Atlantico, maturate ai tempi di Goldman Sachs, e della fiducia accordatagli da Barack Obama dopo la sua nomina alla guida della Bce, che vide gli Usa sponsor del banchiere romano come utile antemurale all’ottuso rigore di Angela Merkel che deprimeva la ripresa dell’economia globale.

In un editoriale su Formiche l’economista Giulio Sapelli ricorda anche che Draghi fu nominato alla Bce con la forte pressione a suo favore degli americani. Per Sapelli, inoltre, Ue e Usa vogliono fare affidamento su Draghi perché ritenuto l’uomo adatto a far sì che l’Italia promuova un’agenda espansiva capace di far corrispondere all’aumento del debito pubblico e delle passività accumulate dalla pandemia e dalla crisi economica una crescita produttiva e industriale. “Solo la generazione di valore capitalistico può compensare la necessità dell’aumento del debito pubblico europeo necessario per sostenere socialmente la ripresa del dopo pandemia”, sottolinea il navigato accademico torinese. “Una politica possibile se coordinata tra gli Stati firmatari dei trattati europei”, prosegue Sapelli e diretta a procedere nella continuità della centralizzazione capitalistica e quindi della catene di fornitura dei nodi produttivi europei e mondiali che hanno nell’ Italia un punto di snodo delicatissimo tra Est e Ovest, tra Sud e Nord del mondo”.

In entrambi i casi parliamo di apparati internazionali che hanno, in passato, cercato di trasformare Conte in un uomo dei loro e, giocoforza, durante la pandemia ci hanno interloquito approfonditamente. Salvo poi delegittimarlo mano a mano che la sua coalizione si sfaldava.

A dicembre, commentando l’ipotesi di un governo Draghi per il 2021, sottolineavamo che un’ulteriore cancelleria che, a suo tempo, aveva visto in Conte un interlocutore interessante e da tempo, invece, guardava con interesse a Draghi: il Vaticano. Draghi, fresco membro della Pontifica Accademia delle Scienze Sociali e ospite all’ultimo meeting di Comunione e Liberazione, non manca di solidi appoggi anche dentro le Mura Leonine.

Mattarella ha sicuramente tenuto in conto queste dinamiche nel valutare se giocare e in che modo la carta Draghi. Una mossa che da un lato spiazza i partiti che componevano la maggioranza giallorossa, “commissariandoli” con la chiamata di un Papa straniero a guidare un governo istituzionale e dall’altro certifica il ruolo del Quirinale come cuore pulsante delle strategie nazionali italiane. Cui Draghi, implicitamente e con la sua sola presenza in qualità di “riserva della Repubblica”, partecipava da tempo.

Il “tecnico” Draghi è sotto certi punti di vista ben più abituato a fare alta politica di molti esponenti dell’esecutivo uscente, Conte incluso, per la complessità delle cariche apicali ricoperte e in questo senso offre a Mattarella una garanzia di un completo rispetto dei due presupposti della sua dottrina (diga contro crisi “al buio” e affidabile garanzia dell’ancoraggio euroatlantico) che lo hanno guidato alle scelte anti-crisi. Ma la vera sfida di Draghi non sarà senz’altro quella di apparire l’ideale recettore degli interessi del mondo nei confronti dell’Italia, ma di costruire un’agenda politica incisiva per rilanciare un Paese scosso alle fondamenta dalla crisi e dalla pandemia. Vaste programme, potrebbe dire il generale De Gaulle. Un programma che impone ragionamenti discrezionali e di ordini politico. La cui attuazione avrà il terminale decisivo nel banchiere più celebre del pianeta, chiamato a ricoprire un ruolo per lui inedito come guida di un ente politico.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/il-partito-di-draghi-chi-lo-sponsorizza-tra-usa-europa-e-vaticano.html

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Eterogenesi dei fini della vaccinazione anticovid? Da impossibile immunità di troppi greggi diversi e interdipendenti a rapido passo verso la cura della malattia  

“ L’ espressione eterogenesi dei fini, in tedesco Heterogonie der Zwecke, fu coniata dal filosofo e psicologo empirico Wilhelm Wundt. Con essa si fa riferimento a un campo di fenomeni i cui contorni e caratteri trovano più chiara descrizione nell’espressione «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali».”

Come a molti italiani che negli ultimi decenni hanno letto più giornali che libri,

 l’ espressione “ eterogenesi dei fini” mi ricorda soprattutto un giudizio di Vittorio Foa sulla sinistra rivoluzionaria.

Vittorio Foa fu sindacalista della CGIL, membro del Psiup, se non ricordo male, e del Pdup per il comunismo, dove era riferimento per chi proveniva dal Psiup, la componente principale del  Pdup dopo quella proveniente dall’ esperienza del  “il manifesto”

LECORVETTEDELLELBA.BLOGSPOT.COM “http://lecorvettedellelba.blogspot.com/2021/02/eterogenesi-dei-fini-della-vaccinazione.html”
Le corvette dell’ Isola d’ Elba: Eterogenesi dei fini della vaccinazione anticovid ? Da impossibile immunità di troppi greggi diversi e interdipendenti a rapido passo verso la cura della malattia.

Da ormai quasi due mesi in alcuni paesi del mondo è stata lanciata la campagna di vaccinazione che dovrebbe fermare la pandemia di Covid 19 che ormai da un anno ha stravolto pesantemente la vita dell’ intero pianeta.

“ Entro l’ estate immunità di gregge “

Questa è la previsione più ottimista che qualcuno ha avuto il coraggio di diffondere, confidando soprattutto sul fenomeno ormai noto che fa sì che opinioni sballate anche di persone molto in vista scompaiano presto dai media e dalle memoria di tutti, anche da quella di persone colte e intelligenti.

I più prudenti parlano di immunità di gregge nel 2022. Il gregge considerato  spesso  è solo quello composto dai residenti dello stato in cui risiede il profeta della futura immunità.

In realtà la vaccinazione “cancella Covid 19” ha molti punti critici, qualcuno è già emerso sui media, altri emergono nei nostri pensieri appena ragioniamo con un po’ di attenzione su alcuni aspetti del processo di vaccinazione.

Il primo interrogativo è:

i vaccini proteggono dalla malattia, ma proteggono anche dal semplice contagio ?

L’ incertezza su questo sembra dipendere in gran parte dal semplice fatto che le migliaia di persone su cui è stato testato il vaccino non sono state monitorate con tamponi periodici per scoprire il solo contagio asintomatico. Sembra che sia stato registrato solo il numero delle persone che, assunto il vaccino, hanno contratto la malattia.

 Per il vaccino Pfizer, nella ultima fase di sperimentazione su 22.000 vaccinati, 8 si sono ammalati, mentre dei 22.000 che hanno assunto un placebo si sono ammalati 162. Da qui la celebre percentuale della protezione del 95%. Se si ammalano 8 vaccinati ogni 160 non vaccinati, si ammala 1 vaccinato ogni 20 non vaccinati, cioè il 5%. Quindi è protetto il 95% dei vaccinati.

Non ci sono invece stime sul semplice contagio, probabilmente solo perché non sono stati fatti test su quello. La cosa può sembrare assurda ma sembra sia avvenuto proprio questo. Ne ha parlato Report in una delle ultime puntate.

L’ altro grande interrogativo è: quanto dura l’ immunità dopo il vaccino ?

Per esempio, se l’ immunità durasse un anno, ogni 12 mesi la grande vaccinazione di massa si dovrebbe ripetere … impresa davvero enorme.

L’ altra grande incognita che non viene mai affrontata sui media è:

ma è sufficiente una eventuale immunità di gregge di un solo paese ?

Negli  anni 2.000 ormai gli spostamenti da paese a paese sono frequentissimi, la pandemia nel 2020 ha dato un grosso colpo alla “globalizzazione” ma certo non l’  ha fermata. Nella sola Unione Europea ci sono 27 paesi diversi,

Quindi la vaccinazione sarà un fallimento ?

Penso di no, e qui arriva “ l’ eterogenesi dei fini del vaccino “.

In realtà la vera e propria malattia, la malattia grave, la malattia letale, avviene su insieme di popolazione molto limitato.

Ogni uomo ha gli stessi diritti, e trovo criminale non ricoverare gli anziani malati. Questo è avvenuto nelle RSA lombarde, e denunciato da Amnesty International, e nella seconda ondata nelle RSA e Case di Riposo del Friuli Venezia Giulia, cosa completamente ignorata da tutti e da segnalare immediatamente ad Amnesty.

Però, vaccinando in modo totale l’ insieme della popolazione a rischio, si potrebbe ottenere rapidamente un crollo dei ricoveri, dei ricoveri in terapia intensiva, dei decessi.

I contagi saranno sempre numerosi, i malati gravi diventerebbero però pochissimi. Tutto questo secondo me potrebbe verificarsi con una rapidità sorprendente

L’ attenzione allora si focalizzerebbe sulla cura della malattia e non sulla ricerca costosissima e gigantesca di una difficile immunità di gregge.

Credo di non aver spiegato bene quello che volevo dire, ma “ verba volant, scripta manent” e quindi ho voluto mettere per iscritto la mia impressione, convinto che ci sia un fondo di verità importante.

La discussione è aperta, ma soprattutto dobbiamo aprire l’ osservazione sui processi di vaccinazione nei vari paesi del mondo.

 

Marco

FONTE: https://comedonchisciotte.org/forum/notizie-dallitalia/eterogenesi-dei-fini-della-vaccinazione-anticovid-da-impossibile-immunita-di-troppi-greggi-diversi-e-interdipendenti-a-rapido-passo-verso-la-cura-della-malattia/

 

 

 

STORIA

La massoneria e i gerarchi rivali dietro gli attentati a Mussolini

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La massoneria e i gerarchi rivali dietro gli attentati a Mussolini

Come noto, sia prima che dopo la sua ascesa al potere, Benito Mussolini si fece molti nemici.

Alcuni lo sfidarono apertamente a duello con la sciabola ma persero e rimasero feriti mentre altri preferirono tentare di ucciderlo con degli attentati ma fallirono.

Pochi sanno però che Mussolini era un dittatore atipico e molto diverso da “colleghi” come Hitler e Stalin perché invece di trucidare i cospiratori e gli oppositori, non solo non li condannava a morte ma gli concedeva anche la grazia.

Tra i suoi più acerrimi nemici, c’era senza dubbio anche la massoneria che Mussolini allontanò dal regime subito dopo averla utilizzata per arrivare al potere (finanziò persino il suo giornale e la marcia su Roma).

Non a caso, tra il 1924 e il 1932 subì ben 5 attentati e almeno due di essi furono organizzati dalla massoneria che intendeva così vendicarsi del “tradimento” del suo ex pupillo ingrato.

Come fallì il primo attentato

Il primo e anche il meno conosciuto, avvenne nell’autunno 1924 e fu architettato da una associazione monarchico-massonica sovversiva, chiamata gli “Amici del popolo” legata all’Obbedienza di Palazzo Giustiniani (diretta dal Gran Maestro Domizio Torregiani) che aveva stretti legami anche con i servizi segreti del regime.

Tra i suoi membri spiccavano i nomi di antifascisti, anarchici, socialisti, comunisti. L’attentato venne progettato da Riccardo Bellini con il coinvolgimento dell’operaio edile Luigi Celli a cui diede l’incarico di procurare l’acido prussico da usare per avvelenare Mussolini con una bevanda.

La persona che avrebbe dovuto offrire materialmente la bevanda avvelenata al duce era la Contessa Martini (Martin de Viry) divenuta sua amante grazie alla sua amica Noli da Costa che era ben introdotta nell’entourage privato di Mussolini.

La contessa Martini aveva aderito al complotto a in cambio di una grossa somma di denaro che le serviva per coprire i debiti di famiglia ma il piano fallì perché Celli invece di acquistare il veleno si intascò tutti i soldi che gli erano stati affidati.

La congiura quindi non venne mai scoperta e gli “Amici del popolo” non furono individuati.

Il discorso del Duce il Piazza Colonna

Il secondo attentato venne organizzato dal massone Tito Zaniboni (ex deputato socialista, in foto) e si verificò il 4 novembre 1925.

Per tale data infatti, si commemorava per la settima volta la vittoria dell’Italia nella Prima guerra mondiale, ed era previsto a Roma un discorso del Duce, alle ore 11, in piazza Colonna, dal balcone di Palazzo Chigi.

Zaniboni alle 8 della stessa mattina, dopo aver lasciato la sua auto nella vicina Piazza San Claudio (per proteggersi la fuga dopo l’attentato), si recò nella camera n.90 dell’Albergo Dragoni in alta uniforme da maggiore degli alpini con Carlo Quaglia.

La finestra della camera che era stata prenotata due giorni prima proprio per la sua posizione ideale, aveva una perfetta visuale sul balcone di Palazzo Chigi dal quale avrebbe dovuto affacciarsi il duce.

Zaniboni aveva portato con sé un fucile di precisione ma fu sorpreso e arrestato dai carabinieri insieme al complice del piano Luigi Cappello (generale in pensione) prima che potesse agire perché Quaglia in realtà era un informatore della polizia.

I due complici furono condannati per alto tradimento rispettivamente alla reclusione di 30 e 25 anni ma vennero graziati da Mussolini dopo averne scontati nove.

Terzo tentativo: la donna che sparò a Mussolini

Circa un anno dopo fallì anche il terzo attentato progettato da Violet Gibson (in foto), figlia di Edward, Lord Cancelliere d’Irlanda con l’appoggio della Società Teosofica indipendente legata ai circoli massonici.

Il 7 aprile 1926, si nascose armata di pistola tra la folla che, in piazza Campidoglio, attendeva il Duce all’uscita dall’omonimo palazzo dove aveva tenuto la prolusione al Congresso internazionale di chirurgia.

Appena vide Mussolini, la Gibson miro alla testa e gli sparò un proiettile ma l’improvvisa elevazione del braccio del duce nel saluto romano e il conseguente spostamento del capo all’indietro, fece sì che la pallottola gli sfiorasse soltanto il naso, producendogli una lieve ferita.

Prontamente soccorso dai chirurghi presenti, Mussolini continuò il suo cammino e la sua guardia del corpo catturò l’attentatrice.

Arrestata, processata dal Tribunale speciale fascista, venne giudicata in stato di “paranoia cronica” e fu assolta in istruttoria.

Successivamente fu rinchiusa in una clinica psichiatrica dove rimase sette mesi sino a che, ottenuto il perdono dal duce venne estradata nel suo paese d’origine.

Il duca Colonna e i suoi amici della Società teosofica non vennero coinvolti processo.

Il quarto attentato che lasciò illeso il Duce

Il quarto attentato fu compiuto ad opera di Gino Lucetti, un marmista anarchico antifascista che era fuggito in Francia.

Nel settembre del 1926, rientrò in Italia sotto il falso nome per uccidere Mussolini e il giorno 11 dello stesso mese, all’età di 26 anni, si nascose dietro un chiosco di giornali sito sul piazzale di Porta Pia di Roma e appena vide l’auto del duce, gli scagliò contro una bomba a mano SIPE.

L’ordigno rimbalzò sul tetto dell’auto ed esplose a terra provocando il ferimento di otto persone. Mussolini rimase completamente illeso.

Lucetti fu subito individuato da due carabinieri che gli trovarono indosso una pistola e un caricatore di pallottole dum-dum cosparse di acido prussico per incrementarne l’effetto letale.

Fu arrestato e condannato a 30 anni di reclusione ma venne liberato nel settembre del 1943 con l’arrivo degli alleati.

 

Il mistero dell’ultimo attentato

L’ultimo attentato e anche il più misterioso, fu compiuto a Bologna il 31 ottobre 1926 da Anteo Zamboni, un ragazzo di appena 15 anni. Il giovane sparò un colpo di pistola a Mussolini mentre era nascosto tra la folla che attendeva il suo passaggio per l’inaugurazione dello Stadio del Littorio.

La pallottola non colpì il bersaglio perché la traiettoria di mira del suo braccio fu prontamente deviata da un carabiniere.

Anteo invece fu immediatamente neutralizzato dagli squadristi che gli spararono un colpo di pistola e gli inflissero 14 coltellate come se volessero impedirgli di parlare in un interrogatorio.

mussoliniMussolini condannò il barbaro linciaggio di Zamboni con queste parole: “Degli attentati da me subiti, quello di Bologna non fu mai completamente chiarito. Certo che me la cavai per miracolo. L’esecutore, o presunto tale, fu invece linciato dalla folla. Con questo atto barbarico, che deprecai, l’Italia non dette certo prova di civiltà”.

Come mandanti furono individuati alcuni parenti e i contatti antifascisti dell’attentatore che furono arrestati, processati e condannati a 30 anni di reclusione e inviati al carcere dell’isola di Lipari: vennero poi graziati da Mussolini dopo sei anni e liberati.

Tuttora però permangono forti dubbi sui veri mandanti dell’attentato che alcune ricostruzioni riconducono invece ad un complotto di potere interno al fascismo, organizzato dall’ala del fascismo intransigente legata a Roberto Farinacci.

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VIDEO QUI: https://youtu.be/U8mbs6Pnrqo

FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=U8mbs6Pnrqo&feature=emb_title

 

 

 

 

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25 gen 2021

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FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=U8mbs6Pnrqo

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