RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 31 MAGGIO 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

31 MAGGIO 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Lode all’Inviolato
Ne abbiamo attraversate di tempeste
E quante prove antiche e dure
Ed un aiuto chiaro da un’invisibile carezza
Di un custode.
Degna è la vita di colui che é sveglio
Ma ancor di più di chi diventa saggio
E alla Sua gioia poi si ricongiunge
Sia Lode, Lode all’Inviolato.
E quanti personaggi inutili ho indossato
Io e la mia persona quanti ne ha subiti
Arido è l’inferno
Sterile la sua via.
Quanti miracoli, disegni e ispirazioni…
E poi la sofferenza che ti rende cieco
Nelle cadute c’è il perché della Sua Assenza
Le nuvole non possono annientare il Sole
E lo sapeva bene Paganini
Che il diavolo è mancino e subdolo
E suona il violino.
FRANCO BATTIATO

 

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SOMMARIO

NELLA NUOVA ECONOMIA MONDIALE ORMAI GOVERNA SOLO LA LOGISTICA
Il piano globale per il 2021. Una strana lettera dal Canada
La Fase 2 sarà peggio della Fase 1
Il nostro futuro prossimo?
Il calendario è razzista
PER ROMA CAPITALE (VIDEO)
Gimbe, l’oracolo catastrofista è pagato da Big Pharma
“Transizione ecologica” nuovo scempio italiano
Il Pentagono ha creato un esercito segreto
“IO SONO IL POTERE: CONFESSIONI DI UN CAPO DI GABINETTO”
Greene, che si giocò vita e letteratura alla “Roulette russa”
Soul: L’etica del corpo e l’anima neoliberale
Il governo “screma” le statistiche sulle morti legate al vaccino
DA ALMENO TRENTA ANNI NEL NOSTRO PAESE ESISTE SOLO UN DICASTERO QUELLO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
VERGOGNA EUROPA? NO, VERGOGNA SCAFISTI DAL VOLTO UMANO
Non volare per i vaccinati
In principio fu il governo dei “migliori”
Mons. Viganò al summit di Venezia: “Chi presiede la Chiesa è marionetta nelle mani del burattinaio”
Germania e Francia hanno boicotatto le elezioni in Siria (la UE tiene per l’ISIS)
Barnard e l’Antico Ordine Mondiale, oggi ormai evidente
Borsa, il Vaticano ha scommesso e lucrato sul Covid
IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E DI RESILIENZA NON È UN PIANO MA UN CONTRATTO DRAGHI CE LO HA FATTO CAPIRE
Dragocrazia
Quelle relazioni pericolose tra la sinistra e l’islam
Quantum dots, gli africani usati come cavie dalla Fondazione Gates

 

 

IN EVIDENZA

NELLA NUOVA ECONOMIA MONDIALE ORMAI GOVERNA SOLO LA LOGISTICA

PUBBLICATO IL 2 APRILE 2021 BY STANZEDIERCOLE

Non ce ne vogliamo rendere conto, non siamo ancora disposti a capire, una volta per tutte, che nell’economia mondiale la logistica, ed in modo particolare la fluidità degli scambi, la fluidità della movimentazione delle merci, è la chiave che può garantire o bloccare la crescita.

Il 24 marzo 1999 un incendio bloccò il tunnel del Monte Bianco provocando ingenti danni e la morte di 39 persone; per riaprire il transito furono necessari lavori che durarono tre anni e l’assenza di tale segmento essenziale impose il trasferimento del traffico su altri itinerari. Si stima che tra la ricostruzione e l’allungamento degli itinerari il valore del danno abbia superato i 3 miliardi di euro. Un danno, però, che pur se rilevante non pesò sulla intera economia mondiale, ma solo su quella dei due Paesi della Unione Europea confinanti e di alcuni dell’intero sistema comunitario, invece quello che è successo il 23 marzo scorso, dopo praticamente 22 anni esatti, nel Canale di Suez ci ha fatto capire ed al tempo stesso misurare quanto sia pericoloso sottovalutare la sudditanza della economia mondiale dalle strozzature, dai nodi presenti nel tessuto connettivo che disegna i processi di scambio delle varie filiere merceologiche. In realtà la crisi petrolifera del 1973 ed il conseguente blocco della economia mondiale fu causata dalla mancata disponibilità sui mercati del petrolio, oggi invece il blocco della economia mondiale è legato ad una emergenza logistica. Una portacontainer lunga 400 metri incagliatasi nel canale di Suez. Un bestione leggermente più alto dell’Empire State Building  che trasporta a pieno carico 20 mila TEU (twenty-foot equivalent unit, cioè ha a bordo 20 mila container da 20 piedi, o 10 mila da quaranta), ed è arenato di traverso, probabilmente per via di una raffica di vento, in un canale largo 200 metri, toccando entrambe le sponde e bloccando soltanto il passaggio di più di trecento mercantili e rallentando, ogni giorno che passa, il flusso marittimo commerciale che dall’Asia passa nel Mediterraneo e va in Nord Europa. Penso siano utili solo due dati per capire il danno provocato da un simile incidente:

– l’ingorgo di Suez costa agli armatori 500 mila euro al giorno  per nave.

– nel caso in cui il blocco raggiunga le due settimane sono previsti circa un milione di tonnellate di gas mancanti verso l’Europa,

Nel lontano 1985 la Segreteria del Piano Generale dei Trasporti, presso il Ministero dei Trasporti, ritenne opportuno effettuare uno studio di fattibilità sulla possibilità di ampliare il Canale di Suez, io ero Capo della Segreteria del Piano e insieme all’ingegner Massimo Perotti e alla SNAM Progetti (la Società che supportava il Piano per le reti di trasporto in condotta) redigemmo tale studio di fattibilità convinti che la vita del Mediterraneo e quindi dei nostri impianti portuali era legata proprio alla efficienza ed alla funzionalità di tale Canale.

La proposta progettuale fu condivisa pienamente dall’Egitto e fu sottoscritto un apposito accordo bilaterale tra il Governo italiano e quello egiziano, accordo mirato a dare avvio concreto alla realizzazione dell’opera; ricordo, però, che nella nostra proposta veniva indicato un raddoppio con due canali indipendenti e non un semplice allargamento proprio per evitare che un blocco di una nave potesse incrinare la funzionalità e la efficienza dei transiti e, sempre in tale proposta progettuale, ribadimmo che il Canale di Suez incideva direttamente non solo sulla economia dell’Egitto (nel 1985 i proventi dai pedaggi rappresentavano il 60% dell’entrate del Paese), non solo sulla economia dei Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo, ma sulla intera economia mondiale. Attraverso Suez infatti transitavano e transitano il 30% dei container dell’intero pianeta, il 12% delle merci e circa il 7% del petrolio, Ma per evitare di legarci a percentuali poco significative riporto i valori assoluti attuali: nel 2020 sono transitate nel canale di Suez oltre un miliardo di tonnellate di merci, pari a 18,829 transiti navali, di cui un quinto di queste per la prima volta, incentivati dai forti sconti sul pedaggio introdotti dal governo di Egitto con l’inizio della pandemia. Il 2019 è stato uno degli anni migliori della sua storia per i ricavi, pari a 5,8 miliardi di dollari, mentre nell’anno del Covid gli introiti sono stati solo 200 mila dollari inferiori.

Per l’Italia il canale di Suez è fondamentale per l’interscambio marittimo con l’Asia, che nel 2020 è valso 82,8 miliardi di euro, il 40 per cento del commercio marittimo complessivo del Paese.

Appare evidente che con il blocco del Canale entrano in seria difficoltà filiere merceologiche come quelle dell’auto, dei telefonini, della plastica ed in genere della componentistica; il gruppo danese Maersk ha dichiarato che è pronto a dirottare via aerea e via terra le spedizioni bloccate, il gruppo tedesco Hapag Lloyd deciderà subito se rinunci a passare da Suez e circumnavigare l’Africa.

Questa evidente coscienza della criticità dei transiti ha portato ancora il nostro Paese, prima ancora della proposta cinese con il progetto La Via della Seta che affronterò dopo, a prospettare, in occasione della redazione del Piano dei Trasporti irakeno (redatto nel 2003 dalle Ferrovie dello Stato, dell’ANAS, dell’ENAC e dell’ENAV e coordinato da me e dal professor Giuseppe Moesch), la realizzazione di un corridoio stradale e ferroviario che dal porto di Bassora attraversava l’intero Iraq, raggiungeva Mosul e poi un asse attraversava la Turchia entrando nel Mediterraneo ed un asse si agganciava al Corridoio 10 delle Reti TEN – T e raggiungeva il Nord Europa.

Indipendentemente dalle aspirazioni espansionistiche la Cina con la iniziativa One Belt One Road (la Via della Seta) ha in realtà affrontato questa pericolosa emergenza, questo grave ricatto posto dalla unicità delle reti, dalla non ridondanza della offerta di trasporto, identificando due alternative al Canale:

– una meno nota che dal porto di Mombasa (costruito dai cinesi) con un asse autostradale, in corso di realizzazione sempre da parte dei cinesi, raggiunge Lagos e quindi anche se con due rotture di carico consente alle merci di evitare Suez e

– una con la realizzazione di un asse ferroviario che consente un collegamento sistematico di treni merci da Pechino ad Amburgo e da due anni anche con alcune piastre logistiche del nostro Paese.

Senza dubbio partendo dallo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e logistica, la strategia cinese mira a promuovere il ruolo della Cina nelle relazioni globali, favorendo i flussi di investimenti internazionali e gli sbocchi commerciali per le produzioni cinesi, ma questa scelta, a mio avviso mette in crisi la portualità dell’intero Mediterraneo.

Nessuno, infatti, pensava che la Cina, cercando di rendere ridondante e ricca di alternative la offerta trasportistica, decidesse di pianificare al nostro posto un terzo del mondo; la Cina, in realtà ha identificato, a titolo di esempio, sei grandi HUB: Mombasa, il Pireo, Genova, Rotterdam, Pechino e Singapore; tutti gli scambi e tutte le evoluzioni del mercato delle grandi filiere merceologiche avranno come riferimento questi punti topici di una realtà che rappresenta oltre il 50% dell’economia trasportistica mondiale. In tale visione strategica, rimane solo il porto di Genova e scompare la intera offerta di HUB strategici del Mezzogiorno.

Forse questo grave incidente nel Canale di Suez è stato utile per ricordare a noi stessi, alla nostra assenza per molti anni da questo teatro mondiale della logistica che non si vive più di “rendite di posizione” specialmente se non si è in grado di produrre proposte strategiche di ampio respiro, se non si è in grado di costruire alleanze corrette e utili davvero alla crescita del nostro Paese.

FONTE: https://stanzediercole.com/2021/04/02/nella-nuova-economia-mondiale-ormai-governa-solo-la-logistica/

 

 

Il piano globale per il 2021. Una strana lettera dal Canada

23 OTTOBRE 2020

Il sito Canadian Report ha pubblicato negli scorsi giorni questa strana lettera, vergata – a quanto scrivono – da un anonimo membro del Partito Liberale canadese. Il politico nordamericano si sente di far trapelare, via Protonmail, quanto sta apprendendo nelle commissioni del governo; si tratta di cambiamenti spaventosi di tutta la società, innescati con la salda inerzia dell’emergenza pandemica. Non abbiamo contezza dell’attendibilità del sito, e al contempo abbiamo visto che la lettera è apparsa anche su altri siti e su Facebook e perfino in forma di un documento Google Doc distribuito con link.

In questo momento tutto ciò rileva assai poco, invitiamo quindi a concentrarsi sul contenuto della lettera, che in vari passaggi assume tinte forti, financo apocalittiche.

Renovatio 21 non è in grado di verificare la veridicità di quanto vi si dice, e ci mancherebbe, visto che la confessione tocca abissi insondabili per chiunque. Tuttavia, non abbiamo troppa difficoltà a credere a molte cose che vi sono scritte, in quanto già contenute in piani precedenti sviluppati da enti privati e/o pubblici, Fondazioni, e formazioni transnazionale come l’ONU: basti pensare ad Agenda 21, spaventoso programma ONU ora ribattezzato Agenda 2030. 

Il Canada aveva già sviluppato negli scorsi decenni programmi di tracciamento via braccialetto e di confinamento forzato – i lager per i contagiati – come riportano diversi articoli apparsi su Renovatio 21.

La tempistica dei blocchi e dell’implementazioni di altri sistemi di biosorveglianza è, oggi come oggi, assai credibile: tutto sembra accelerato, perché motus in fine velocior.

Se alcune cose vi sembrano fantascienza, fermatevi a pensare cosa abbiamo visto in questo 2020. E minga è finito.

 

Fw: Comitato strategico LPC LeakInboxLPC leaker < LPC_leaker@protonmail.com > 13:47 (7 ore fa)

Messaggio originale ‐‐‐‐‐‐‐‐
Sabato 10 ottobre 2020 13:38, RIMOSSO <RIMOSSO> ha scritto:

 

Gentile RIMOSSO,

Voglio fornirti alcune informazioni molto importanti. Sono un membro del comitato all’interno del Partito Liberale del Canada. Faccio parte di diversi gruppi di commissione, ma le informazioni che sto fornendo provengono dal comitato di pianificazione strategica (che è guidato dal PMO) [Il PMO è in Canada l’abbreviazione per Prime Minister Office, «Ufficio del Primo Ministro,», ndr].

Devo iniziare dicendo che non sono felice di farlo, ma devo farlo. Come canadese e, cosa più importante, come genitore che desidera un futuro migliore non solo per i miei figli ma anche per altri bambini. L’altro motivo per cui lo sto facendo è perché circa il 30% dei membri del comitato non è soddisfatto della direzione che prenderà il Canada, ma le nostre opinioni sono state ignorate e hanno intenzione di andare avanti verso i loro obiettivi. Hanno anche messo in chiaro che nulla fermerà i risultati pianificati.

La roadmap e l’obiettivo sono stati stabiliti dal PMO ed è il seguente:

– Introdurre gradualmente restrizioni di blocco secondarie, iniziando con le principali aree metropolitane e espandendosi verso l’esterno. Previsto entro novembre 2020.

– Affrontare l’acquisizione di (o la costruzione di) strutture di isolamento in ogni provincia e territorio. Previsto entro dicembre 2020.

– I nuovi casi giornalieri di COVID-19 aumenteranno oltre la capacità di test, inclusi gli aumenti dei decessi correlati a COVID seguendo le stesse curve di crescita. Previsto entro la fine di novembre 2020.

– Blocco secondario completo e totale (molto più rigoroso delle restrizioni della prima e della seconda fase di rotazione). Previsto entro la fine di dicembre 2020 / inizio gennaio 2021

– La riforma e l’espansione del programma di disoccupazione saranno trasferite al programma di reddito di base universale. Previsto entro il primo trimestre del 2021.

– Proiezione della mutazione COVID-19 e / o coinfezione con virus secondario (indicata come COVID-21) che porta a una terza ondata con un tasso di mortalità molto più elevato e un più alto tasso di infezione. Previsto per febbraio 2021.

– Nuovi casi giornalieri di ricoveri per COVID-21 e decessi correlati a COVID-19 e COVID-21 supereranno la capacità delle strutture di assistenza medica. Previsto Q1 – Q2 2021.

– Saranno implementate restrizioni di blocco avanzate (denominate terzo blocco). Saranno imposte restrizioni di viaggio complete (comprese le inter-province e le inter-città). Previsto Q2 2021.

– Transizione degli individui al programma di reddito di base universale. Previsto per la metà del secondo trimestre del 2021.

– Interruzioni della catena di approvvigionamento previste, carenza di scorte, grande instabilità economica. Previsto per la fine del secondo trimestre del 2021.

– Impiego di personale militare nelle principali aree metropolitane e in tutte le strade principali per stabilire punti di controllo di viaggio. Limitare viaggi e movimenti. Fornire supporto logistico all’area. Previsto entro il terzo trimestre del 2021.

Insieme a quella tabella di marcia fornita, al comitato di pianificazione strategica è stato chiesto di progettare un modo efficace per la transizione dei canadesi per soddisfare uno sforzo economico senza precedenti. Uno che cambierebbe il volto del Canada e cambierebbe per sempre le vite dei canadesi. Quello che ci è stato detto è che per compensare quello che era essenzialmente un collasso economico su scala internazionale, il governo federale avrebbe offerto ai canadesi una riduzione totale del debito.

Funziona così: il governo federale si offrirà di eliminare tutti i debiti delle persone (mutui, prestiti, carte di credito, ecc.) a cui verranno forniti tutti i finanziamenti in Canada dal FMI nell’ambito di quello che diventerà noto come il programma World Debt Reset.

In cambio dell’accettazione di questo perdono totale del debito, l’individuo perderà per sempre la proprietà di qualsiasi proprietà e bene.

L’individuo dovrebbe anche accettare di prendere parte al programma di vaccinazione COVID-19 e COVID-21, che fornirebbe all’individuo viaggi senza restrizioni e vita senza restrizioni anche in condizioni di massima sicurezza (attraverso l’uso di un documento d’identità con foto denominato HealthPass canadese ).

I membri del comitato hanno chiesto chi sarebbe diventato il proprietario della proprietà e dei beni incamerati in quello scenario e cosa sarebbe successo a istituti di credito o istituzioni finanziarie, ci è stato semplicemente detto che «il programma World Debt Reset gestirà tutti i dettagli»

Diversi membri del comitato hanno anche chiesto cosa sarebbe successo alle persone se si rifiutassero di partecipare al programma World Debt Reset, o all’HealthPass, o al programma di vaccinazione, e la risposta che abbiamo ottenuto è stata molto preoccupante.

In sostanza ci è stato detto che era nostro dovere assicurarci di elaborare un piano per garantire che non sarebbe mai accaduto. Ci è stato detto che era nell’interesse delle persone partecipare.

Quando diversi membri del comitato hanno insistito incessantemente per ottenere una risposta, ci è stato detto che coloro che si fossero rifiutati avrebbero vissuto prima a tempo indeterminato sotto le restrizioni. E che in un breve periodo di tempo, poiché più canadesi sono passati al programma di cancellazione del debito, quelli che si rifiutano di partecipare sarebbero considerati un rischio per la sicurezza pubblica e sarebbero trasferiti in strutture di isolamento.

Una volta in quelle strutture avrebbero avuto due opzioni, avranno due opzioni,  parteciperanno al programma di cancellazione del debito e saranno stati rilasciati, o rimarranno  indefinitamente nella struttura di isolamento secondo la classificazione di un grave rischio per la salute pubblica e avranno sequestrato tutti i loro beni.

Quindi, come puoi immaginare, dopo aver sentito tutto questo si è trasformato in una discussione piuttosto accesa e si è intensificato al di là di qualsiasi cosa io abbia mai visto prima.

Alla fine è stato implicito dal PMO che l’intera agenda andrà avanti indipendentemente da chi è d’accordo o meno.

Che non sarà solo il Canada, ma in realtà tutte le nazioni avranno roadmap e programmi simili.

Che dobbiamo trarre vantaggio dalle situazioni davanti a noi per promuovere il cambiamento su una scala più ampia per il miglioramento di tutti.

I membri che si erano opposti e quelli che avevano sollevato questioni chiave che sarebbero derivate da una cosa del genere sono stati completamente ignorati. Le nostre opinioni e preoccupazioni sono state ignorate. Ci è stato semplicemente detto di farlo.

Tutto quello che so è che non mi piace e penso che porterà i canadesi in un futuro oscuro.

Vancouver, Canada

FONTE: https://www.renovatio21.com/il-piano-globale-per-il-2021-una-strana-lettera-dal-canada/

 

 

La Fase 2 sarà peggio della Fase 1

21 Aprile 2020 – Sebastiano Caputo                       RILETTURA
Lo stato d’emergenza è quasi superato, dicono, ma nessuno ha fatto i conti con lo stato di depressione in un neo-puritanesimo di sorveglianza, dove tutto è vietato e tracciato.

Fonte Immagine: https://www.lintellettualedissidente.it/editoriale/la-fase-2-sara-peggio-della-fase-1/

A Palazzo Chigi si riuniscono i membri della task force diretta da Vittorio Colao per preparare la seconda fase, che sarà ancora più violenta della prima. A giudicare dalle misure ipotizzate per il futuro, nella convivenza col Covid-19, già si intravede un vero e proprio suicidio sociale collettivo. Che significa rimozione delle passioni, soffocamento della carne, morte delle libertà più autentiche. Si parla di mascherine obbligatorie e app da scaricare su base volontaria per tracciare i movimenti delle persone. Mentre nei luoghi pubblici, bar, ristoranti, stadi, teatri, cinema, spiagge, quando e se riapriranno, sarà vietato sedersi troppo vicini. Né non-luoghi (Augé) né iper-luoghi (Lussault), ma oltre-luoghi, in cui gli spazi di socialità saranno separati, sigillati, circoscritti, e c’è chi addirittura, nel nome del “buon senso”, esalta le strutture in plexiglas (sic) che circolano tra le proposte “creative” di contenimento del contagio.

“Per me, non v’è alcun dubbio: fra tutte le delle anomalie esistenti nella civiltà contemporanea la più evidente, quella che occupa il posto predominante, è proprio questa letteratura giornalistica, per l’azione demoralizzante e perniciosa che esercita sullo psichismo degli uomini”

Georges Gurdjieff 

Queste regole anti-virus non sono sbagliate, tantomeno anomale rispetto a quelle adottate in passato per affrontare le pandemie, ma sono insopportabili per qualsiasi comune mortale. In fondo chi ha studiato l’evoluzione delle paure e delle malattie come Giorgio Cosmacini, ci insegna che nella storia pestilenziale dell’umanità, sono sempre esistite epidemie e sono sempre state gestite allo stesso modo. Tra il Trecento e il Seicento, negli anni della peste, c’erano “patenti” o “bollette” di sanità per fermare i sospetti che provenivano dai luoghi infetti, insieme alle misure sanitarie da parte di tutti gli strati sociali, dalla nobiltà al clero, dalla classe media imprenditoriale alla gente comune. Eppure, dopo una prima fase di panico diffuso, la seconda sfuggiva il più delle volte alle autorità perché la popolazione reagiva alla coattiva gestione dell’emergenza con la rassegnazione e il fatalismo. E tramite la riattivazione dei circuiti dello scambio umano e commerciale si cercava di rendere la paura della morte (civile, fisica, morale, sessuale), legata più ai sentimenti che agli eventi, sopportabile e superabilni momento di responsabilità sociale (Fase 1) richiede una risposta sociale. Non si tratta dunque di “decenza comune” perché in realtà si sta diffondendo un clima di paura generalizzata, amministrato da regole e auto-certificazioni, che non consente né fatalismo né socialità. Veniamo proiettati in una Fase 2 che sembra una sorta di neo-puritanesimo della sorveglianza, dove tutto è vietato e tracciato, dal contatto fisico agli spostamenti, con un controllo sempre più verticale tramite app per smartphone che orizzontale secondo il principio di delazioneÈ la conseguenza naturale della psicosi, il regno della diffidenza, il punto di rottura sociale.

Non si vuole negare la contagiosità del Covid-19, bensì sottolineare la percezione paranoica del Covid-19 connessa alla globalizzazione e alla velocità di diffusione. Insomma, queste ipotetiche misure anti-epidemiche forse fermeranno il virus, tuttavia accelereranno, di pari passo con la crisi economica, quella che è già stata definita la “malattia del secolo” o “malattia della civiltà”: la depressione. Definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “la più umana delle affezioni” e che occupa tra i primi posti nella scala delle cause di morbilità. Tutto può cambiare, o forse no.

FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/editoriale/la-fase-2-sara-peggio-della-fase-1/

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Il nostro futuro prossimo?

Da

Il piano globale per il 2021. Una strana lettera dal Canada

… Diversi membri del comitato hanno anche chiesto cosa sarebbe successo alle persone se si rifiutassero di partecipare al programma World Debt Reset, o all’HealthPass, o al programma di vaccinazione, e la risposta che abbiamo ottenuto è stata molto preoccupante.

In sostanza ci è stato detto che era nostro dovere assicurarci di elaborare un piano per garantire che non sarebbe mai accaduto. Ci è stato detto che era nell’interesse delle persone partecipare.

… ci è stato detto che coloro che si fossero rifiutati avrebbero vissuto prima a tempo indeterminato sotto le restrizioni. E che in un breve periodo di tempo, poiché più canadesi sono passati al programma di cancellazione del debito, quelli che si rifiutano di partecipare sarebbero considerati un rischio per la sicurezza pubblica e sarebbero trasferiti in strutture di isolamento.

Una volta in quelle strutture avrebbero avuto due opzioni, avranno due opzioni, parteciperanno al programma di cancellazione del debito e saranno stati rilasciati, o rimarranno indefinitamente nella struttura di isolamento secondo la classificazione di un grave rischio per la salute pubblica e avranno sequestrato tutti i loro beni. […]

https://twitter.com/MinutemanItaly/status/1398382228988743680

I clandestini invece, in crociera:

https://twitter.com/liliaragnar/status/1398316213156130821

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-nostro-futuro-prossimo/

 

 

 

FONTE: https://blog.ilgiornale.it/legoista/2021/05/29/il-calendario-e-razzista/

 

 

 

 

PER ROMA CAPITALE (VIDEO)

Per Roma Capitale” segue l’approdo nella Prima Commissione permanente (Affari costituzionali) della modifica dell’articolo 114 della Costituzione in materia di ordinamento e poteri della città di Roma Capitale della Repubblica. Il ruolo di Virgilio, nel nostro seguire l’iter della legge per Roma Capitale, lo svolge Pier Ernesto Irmici, coordinatore di Forza Italia nella “Consulta per Roma Capitale”. Ospite di questa puntata è l’onorevole Paolo Barelli, deputato di Forza Italia, e primo firmatario di questa legge che permetterà a Roma di avere uno statuto come Parigi, Berlino, Londra e tutte le capitali del pianeta. Una speciale autonomia statuaria, amministrativa e finanziaria, ma nei limiti stabiliti dalla Costituzione.

VIDEO QUI: https://youtu.be/FKYjOAXBGVA

FONTE: http://opinione.it/politica/2021/03/15/ruggiero-capone_roma-capitale-modica-articolo-114-costituzione-irmici-barelli-prima-commissione-poteri-urbe/

 

 

 

Gimbe, l’oracolo catastrofista è pagato da Big Pharma

Come si fa a reputare sempre attendibile e indipendente una fondazione come la Gimbe, di Nino Cartabellotta, che riceve finanziamenti pubblici e si fa pagare da Big Pharma, inclusi i produttori di vaccini-Covid? Se lo domanda Martina Piumatti, che – come documenta in un reportage sul “Giornale” – ha cercato, per ora inutilmente, di “stanare” quello che viene definito “l’oracolo catastrofista” più rispettato d’Italia. «Citata dai media, ascoltata dalla politica e plaudita dagli stessi scienziati e virologi che poi premia (come Ricciardi o Burioni)», la Fondazione Gimbe – Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze – sforna ogni settimana il suo monitoraggio “indipendente” dell’andamento della curva epidemiologica, dichiarando di essere «al servizio del paese» e garantire «una tempestiva e costante informazione indipendente sull’emergenza Covid-19», analizzando ogni 24 ore «i dati della pandemia e della campagna vaccinale». Non solo: Gimbe propone (anche a enti pubblici) un seminario online, a pagamento, per illustrare i dati del suo monitoraggio. Ma a stilare analisi ed elaborare quelle previsioni, «molto citate e spesso accompagnate da un’aura quasi oracolare», avverte Martina Piumatti, non sono virologi o epidemiologi.

Nel “dream team” della dataroom della fondazione sono in sette, premette la giornalista. Due sono esperti di strategie digitali, due si occupano di relazioni esterne e con la stampa, mentre il responsabile e direttore operativo è Marco Mosti: ingegnere gestionale esperto in Cartabellottafund raising. A seguire l’analisi “tempestiva e costante” dei dati epidemiologici è Renata Gilli, un’igienista di 35 anni, con trascorsi all’Oms, al ministero della salute e in Sierra Leone per la “missione Ebola”, già collaboratrice della rivista online “Medical Facts” diretta da Burioni, tra i premiati da Gimbe. Infine a dirigere i lavori c’è lui: il presidente, direttore scientifico e fondatore Antonino Cartabellotta, detto Nino, gastroenterologo. Nel curriculum vitae si definisce «riconosciuto tra i più autorevoli metodologi italiani, grazie a competenze trasversali che interessano tutte le professioni sanitarie e tutti i livelli organizzativi del sistema sanitario». Eppure – sottolinea Martina Piumatti – Cartabellotta è più noto per le comparsate televisive, con relativi “interventi a gamba tesa” come le accuse alla Regione Lombardia di aggiustare i dati sui contagi o di fare pochi tamponi.

La giornalista poi segnala che il suo h-index (il coefficiente di attendibilità dei ricercatori) è fermo a quota 7: un po’ pochino. «E non va meglio con il comitato scientifico e la “faculty” della fondazione». Spulciando tra i curriculum, «si trovano igienisti con ruoli più manageriali che operativi», e poi «farmacisti, fisioterapisti, gastroenterologi, infermieri, esperti di riabilitazione psichiatrica, otorini». Tra loro, solo uno a tema ‘pandemico’: Claudio Beltramello. «Anche lui igienista, con un master in gestione d’impresa e un’esperienza all’Oms nell’eradicazione delle malattie infettive nei paesi africani». Bene: questa task-force “al servizio del paese” si definisce «un’organizzazione indipendente senza scopo di lucro». Quindi una Onlus? Assolutamente no, spiega Stefania Boffano, docente all’università Bocconi ed esperta Stefania Boffanoproprio in diritto tributario delle Onlus: per godere di quel regime speciale, spiega, «la mancanza di scopo di lucro deve essere giustificata e determinati parametri soddisfatti».

La Fondazione Gimbe, che infatti non dichiara di essere una Onlus, «non si finanzia solo attraverso donazioni, ma vendendo legittimamente servizi formativi e di consulenza», tra cui corsi online che superano i mille euro, «e ricavando utili che si impegna a non ridistribuire». Per la professoressa Boffano, quindi, «la definizione ‘organizzazione senza scopo di lucro’, seppur legittima, risulta di fatto ambigua e fuorviante per i più». Da statuto, la fondazione di Cartabellotta si impegna a migliorare «l’etica, l’integrità e il valore sociale della ricerca». Ma gli interrogativi sul suo ruolo non mancano: secondo il deputato leghista Claudio Borghi, che ha sollevato la questione in un tweet, ci sarebbe una coincidenza “sospetta” da chiarire: un contributo pubblico, datato 2018, di 39.500 euro («giusto appena sotto il limite dei 40.000 euro, consentito per l’affidamento diretto») concesso a Gimbe dall’Istituto Superiore di Sanità per una collaborazione scientifica e firmato da Walter Ricciardi.

Si tratta dello stesso Ricciardi che nel 2016 aveva ricevuto da Gimbe un premio per il sostegno in favore del sistema sanitario nazionale. Gimbe risulta quindi vicinissima all’uomo che, dall’inizio della pandemia, ha il ruolo di consigliere del ministro della salute Roberto Speranza. Quanto può dirsi indipendente, una fondazione che sostiene di erogare servizi e formazione ai principali enti sanitari nazionali e locali (Iss, Agenas), oltre che a diverse case farmaceutiche tra cui AstraZeneca, Pfizer e Janssen, note per la produzione di vaccini anti-Covid? Insiste Martina Piumatti: si può essere completamente indipendenti, nell’analisi dei dati, quando questi vengono forniti da chi già in Ricciardi e Speranzapassato ti ha ingaggiato, come appunto l’Iss? E ancora: quanto si può essere obiettivi, nel fare previsioni che impattano sulle scelte di un potenziale cliente? Ma soprattutto: c’è o non c’è un ingaggio retribuito da parte di ministero e Iss per servizi che fanno già gli stessi enti pubblici?

È il dubbio sollevato in un’interrogazione rivolta al ministero della salute dallo stesso Borghi: «Vorrei sapere se un ente che spara previsioni apodittiche sulla pandemia partecipi, e con che titolo, ai processi decisionali della politica sull’emergenza Covid». Dato il precedente del contributo del 2018, secondo il deputato leghista «resta ancora da chiarire quali siano i rapporti con il ministero della salute, con l’Iss e le istituzioni sanitarie locali». Quindi: «La fondazione riceve o no finanziamenti pubblici? Se sì, da chi? E a fronte di quali servizi?». Tutte domande a cui Gimbe non ha voluto rispondere, sottolinea la reporter del “Giornale”, che scrive: Roberto Luceri, direttore dell’ufficio stampa della fondazione, prima ha chiesto «una scadenza e un elenco di massimo 4-5 domande da sottoporre al presidente», ma poi ha cambiato idea, invitando la giornalista a «reperire tutte le informazioni sul sito web». Ma allora a che serve, un’ufficio stampa, se non è in grado di parlare a nome del presidente? E perché tanta preoccupazione, di fronte alla richiesta di rispondere in piena trasparenza?

«Peccato che Cartabellotta sia sempre troppo impegnato per concederci l’intervista», si lamenta Martina Piumatti. «Un trattamento non certo conforme a chi si loda di “promuovere misure per l’integrità e la trasparenza”». Il punto, però, è un altro anora: se Gimbe viene ingaggiata – osserva ancora Claudio Borghi – è per fare cose che già fanno o potrebbero benissimo fare le amministrazioni sanitarie pubbliche. In effetti, a monitorare settimanalmente gli stessi dati (che poi passa a Gimbe) ci sarebbe l’Iss, mentre fornire attività di ricerca e formazione alle aziende sanitarie locali spetterebbe all’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. «Entrambi enti pubblici già pagati dai contribuenti per garantire quei servizi». Non è che Gimbe – con la sua terzietà formale – è perfetta, per accreditare (come “indipendenti”) valutazioni in realtà fortemente condizionate da politici, burocrati e scienziati “televisivi” che, in questi mesi, hanno regolarmente raccomandato i lockdown, enfatizzando il rischio pandemico? E che dire, di una fondazione “indipendente” che si pronuncia sul Covid, intascando soldi da Pfizer e AstraZeneca, suoi clienti?

FONTE: https://www.libreidee.org/2021/05/gimbe-loracolo-catastrofista-e-pagato-da-big-pharma/

 

 

 

“Transizione ecologica” nuovo scempio italiano

Parchi eolici e pannelli fotovoltaici minacciano ora la Tuscia. E i falsi ambientalisti esultano

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Il Pentagono ha creato un esercito segreto

60mila uomini, un bugdet annuale di 900 milioni di dollari. Quello che è un vero e proprio esercito segreto, che impiega 10 volte gli uomini che la Cia usa per le sue operazioni clandestine, è stato recentemente svelato da un reportage di Newsweek.

Il programma del Pentagono si chiama signature reduction, che possiamo tradurre letteralmente come “riduzione della firma”, e, facendo un parallelismo aeronautico, possiamo intenderlo come la cancellazione della propria reale presenza come si fa con la traccia radar e Ir dei velivoli dalle caratteristiche stealth.

Nessuno conosce le effettive dimensioni del programma, né quali siano esattamente le agenzie federali coinvolte. Del resto, è bene ricordarlo, quando si lasciano trapelare certe informazioni significa che la realtà è andata già oltre, oppure si tratta di un ennesimo modo di effettuare disinformazione mescolando mezze verità a finzione.

L’indagine di Newsweek, durata due anni e che si è avvalsa di fonti anonime, ha però permesso di inquadrare a livello generale scopi e architettura di questa organizzazione parallela alle agenzie di raccolta informazioni e spionaggio statunitensi: questo piccolo esercito svolge incarichi nazionali e stranieri, sia “in divisa” che sotto copertura civile, nella vita reale e online, a volte nascondendosi in aziende private e società di consulenza, alcune delle quali a nome familiare. Il cambiamento senza precedenti dato dall’ingresso di nuove forme di guerra, come la Cyber Warfare, e di nuove metodologie di controllo di flussi di denaro e persone direttamente correlate alla maggiore pervasività di un mondo globalmente interconnesso, ha posto la necessità di ripensare al modo in cui si compiono operazioni di spionaggio e di intervento di forze speciali. Proprio la letterale esplosione della guerra cibernetica ha fatto sì che le moderne “spie” necessitino di un grado di verosimiglianza altissimo per le proprie identità contraffatte.

Per questo lavoro, il programma signature reduction si avvale dell’attività di circa 130 aziende private, che hanno il compito di amministrare il nuovo mondo clandestino. Dozzine di organizzazioni governative statunitensi poco conosciute e segrete supportano questo sistema, supervisionando operazioni non riconosciute pubblicamente. Questo enorme meccanismo, in cui nessun settore sa esattamente cosa fa l’altro, si occupa di tutto: dalla creazione di documenti falsi e il pagamento delle bollette (e delle tasse) di individui che operano sotto falsi nomi, alla produzione di travestimenti e altri dispositivi di occultamento, sino alla costruzione dispositivi invisibili per fotografare e ascoltare le attività di interesse negli angoli più remoti del Medio Oriente, dell’Africa, della Russia o dell’Asia.

Le operazioni delle forze speciali costituiscono comunque oltre la metà dell’intera forza di signature reduction: si tratta di personale che dà la caccia a terroristi nelle zone di guerra che vanno dal Pakistan all’Africa occidentale, e che lavorano in punti caldi poco noti, anche dietro le linee nemiche in luoghi come la Corea del Nord e l’Iran.

Gli specialisti dell’intelligence militare – analisti, agenti del controspionaggio, persino linguisti – costituiscono il secondo elemento più grande: migliaia di persone utilizzate alla bisogna che beneficiano di un certo grado di copertura per proteggere la loro vera identità.

Il gruppo più nuovo e in più rapida crescita è quello dedito al mondo cibernetico. Questi sono “cyber combattenti” e analisti di intelligence che creano false identità online, impiegando tecniche di “non attribuzione” e “errata attribuzione” per nascondere la loro presenza mentre cercano obiettivi di alto valore e raccolgono quelle che vengono chiamate “informazioni pubblicamente accessibili”, i famosi “big data” affidati ai social o a qualsiasi sito richieda la compilazione di un profilo personale.

Esattamente quello che fa anche la Cina: recentemente vi abbiamo raccontato del caso Zhenhua Leaks e di come Pechino abbia raccolto informazioni riguardanti 650mila associazioni e 2,4 milioni di persone in tutto il mondo, tra cui quelle di 4mila italiani del mondo della politica, imprenditoria e criminalità.

La parte “cyber” del programma signature reduction è impegnata anche in campagne volte a influenzare e manipolare i social media: una metodologia di influenza dell’opinione pubblica di una nazione avversaria ormai comunemente usata da tutti i grandi attori della geopolitica globale, dagli Usa alla Russia (i famosi “hacker russi”) passando per la Cina. In particolare questo modus operandi è diventato così importante che negli ultimi cinque anni ogni unità di intelligence militare e di operazioni speciali ha sviluppato una sorta di cellula operativa “web” che raccoglie informazioni, si occupa della sicurezza operativa delle proprie operazioni e opera attivamente per interferire nelle reti avversarie.

Del resto l’abbondanza di informazioni online riguardanti ogni singolo individuo ha consentito ai servizi di intelligence stranieri di smascherare meglio le false identità delle spie americane: nel momento in cui strisciamo una carta di credito la nostra posizione viene rilevata, oppure quando usiamo una app di uno smartphone che si appoggia al sistema Gps, si possono perfino ricostruire le caratteristiche di una installazione militare segreta.

Un’altra minaccia potenzialmente molto è rappresentata infatti dalla Information Leakage – la “perdita” di informazioni – che copre una vasta gamma di sistemi in modo più o meno volontario. Il caso più emblematico di quanto possa essere pericolosa questa minaccia a livello militare o di sicurezza nazionale è rappresentato da quanto avvenuto a gennaio del 2018 quando le informazioni raccolte da una semplice app di monitoraggio per il fitness hanno permesso di geolocalizzare installazioni segrete in Russia, Regno Unito e basi militari negli Stati Uniti, Siria o Afghanistan.

Eliminare le “tracce”, di qualsiasi natura esse siano, diventa quindi fondamentale per lo spionaggio e per la sicurezza interna. Parimenti, come dicevamo, in un mondo dove è possibile sapere praticamente tutto di una persona grazie a un Pc e a una connessione internet, per poter creare un’identità falsa non basta più un semplice documento contraffatto. Occorre creare una vera e propria vita “telematica” falsa: anche di questo si occupa il programma signature reduction. La “conformità” ad una vita normale, per una spia moderna, è importante: va lasciata traccia dei pagamenti delle tasse, dei visti in ingresso in uno Stato, perfino della carriera scolastica. Tutto falso, tutto creato ad arte per avere la “massima copertura”.

Parimenti non va dimenticata la vera vita di una spia, e il programma prevede anche che si continui, ad esempio, a versare i contributi per l’attività “dormiente” di un operatore.

Si tratta quindi solo di una guerra telematica? No. Proprio perché il mondo ha virato verso l’utilizzo di strumenti ad alta tecnologia per il riconoscimento biometrico, è necessario tornare a “vecchi sistemi” per ingannarli. Qui il programma sembra tingersi di un velo di romanticismo ricordando la “Sezione Q” della saga di 007 partorita dalla mente di Ian Fleming. Vengono infatti usate maschere facciali complete in silicone che modificano i lineamenti, l’etnia e l’età, si creano guanti che sembrano mani da indossare per avere nuove impronte digitali che rilasciano esattamente gli stessi olii naturali prodotti dalla pelle umana. Per non parlare dei sistemi di comunicazione: trasmittenti intessute nei vestiti che si attivano automaticamente quando passano davanti a dei punti predeterminati, oppure celate dentro rocce finte o ancora in altri oggetti di uso quotidiano insospettabili, magari perfino obsoleti come vecchi telefoni cellulari.

Uno di questi programmi di contraffazione fisica dell’identità era emerso, un po’ in sordina, nel 2017 quando Wikileaks ha pubblicato un’enorme mole di materiale riservato della Cia. Una parte di essi, chiamata “Year Zero”, comprendeva 8761 documenti inerenti la cyber sicurezza di Langley, che seguiva una prima serie di carte riguardanti l’ingerenza degli Stati Uniti nelle elezioni presidenziali francesi del 2012. Quella diffusione di documenti riservati, denominata Vault 7, riguardava principalmente tutto l’impianto di Cyber Warfare e spionaggio elettronico e telematico partorito da un organismo interno alla stessa Cia, una divisione di hackeraggio nata già nel 2001 e che alla fine del 2016 contava più di 5mila dipendenti formalmente inquadrati nel Center for Cyber Intelligence (Cci) che ha prodotto migliaia di virus, trojan, sistemi di hacking e altre “armi” in forma di malware. Nel 2001 infatti la Cia ha potuto godere di uno stanziamento di fondi per la raccolta di informazioni telematiche maggiore di quelli destinati al Nsa, tanto da essere stata in grado di creare la propria “Nsa” interna, liberandosi dal monopolio di raccolta dati di quest’ultima.

Nell’inchiesta di Newsweek compare anche un altro elemento particolarmente interessante per i suoi possibili risvolti in ambito militare. Veniamo a sapere che l’ammiraglio John Richardson, ex capo delle operazioni navali, aveva avvertito il personale in servizio e le loro famiglie di smettere di usare kit di test del Dna “fai da te” per cercare di rintracciare i propri avi – una vera e propria ossessione per gli statunitensi. “Fai attenzione a chi invii il tuo Dna”, aveva detto Richardson, avvertendo che i progressi scientifici sarebbero in grado di sfruttare le informazioni fornite con la finalità, in futuro, di creare armi biologiche mirate.

Non deve affatto stupire la scoperta di questo “esercito parallelo” statunitense: viviamo in un’era dove la guerra ibrida, la Hybrid Warfare, rappresenta una delle dottrine fondamentali dello scontro tra potenze – di ogni rango – e viene pertanto messa in pratica da tutte e con le stesse metodologie. Essa implica il ricorrere ad assetti militari e civili, a enti pubblici e a società private, e utilizza ogni dominio che caratterizza il mondo in cui viviamo: da quello cibernetico a quello spaziale passando per i gli scenari militari classici sino alla raccolta di dati di intelligence da fonti “umane” (Humint).

Una guerra che, come si legge ancora nel reportage, gli Stati Uniti starebbero vincendo anche se la segretezza su ciò che stanno facendo fa sembrare – di nuovo – la rappresentazione mediatica dei russi “come se fossero alti tre metri”.

FONTE: https://it.insideover.com/difesa/il-pentagono-ha-creato-un-esercito-segreto.html#google_vignette

 

 

 

CULTURA

“IO SONO IL POTERE: CONFESSIONI DI UN CAPO DI GABINETTO”

Il libro, edito con una veste accurata da Feltrinelli, contiene un numero di insegnamenti e di riflessioni nettamente superiore al contenuto di decine di volumi di scienza politica, di diritto pubblico e privato, di ingegneria costituzionale. La narrazione ha una chiarezza che oltrepassa di gran lunga molte delle cosiddette “lectio magistralis” rifilate in carta patinata dalle solite note università statali e quelle private sovvenzionate, disinteressatamente, da potentissimi cartelli planetari finanziari e dal raggruppamento montante dei lobbisti dell’economia verde, dell’elettrico.

L’Autore Incognito ha dettato il libro ad un giornalista abile e professionale Ma fa pensare alla scena di Marco Polo che narra le sue avventure al solerte scrivano Rustichello. Con le dovute differenze, l’effetto sorpresa è lo stesso.

L’Autore Incognito apre la Decima Porta. Ci introduce con coinvolgente piglio narrativo, ai segreti della politica vera, quella praticata dietro le quinte, nella Sala macchine dello Stato che egli spesso individua nella Ragioneria dello Stato che deve autorizzare (bollinare) le previsioni di spesa e nella Corte dei conti. Conviene sempre avere ottimi rapporti con gli esponenti di questi due apparati perché sono capaci di bloccare tutto in caso di contrarietà.

All’interno di queste sale del Potere si muovono con felina esperienza i Capi di gabinetto, cioè coloro-che-restano-mentre-i-politici-cambiano. Costoro gestiscono di fatto i difficilissimi equilibri fra opposte fazioni, fra esigenze inconciliabili. Sono coloro che evitano il crollo e il disfacimento delle impalcature che sostengono la complicata macchina pubblica nazional

Nel libro ci sono molti aneddoti che evidenziano la pochezza, la capricciosità, l’imprevedibilità, l’ignoranza dei politici che rapidamente si avvicendano. L’Autore incognito non dimentica di elogiare le pochissime eccezioni di uomini capaci, corretti, di grande cultura in grado di interpretare il proprio ruolo istituzionale senza difficoltà e correttamente. Molto interessante l’esposizione del criterio di reclutamento di Capi di gabinetto e, soprattutto, la loro provenienza da precisi organismi apicali: Avvocatura dello Stato, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Corte suprema di Cassazione, Direttori generali. Il libro fa capire che il nostro Stato non funziona né è guidato dal voto popolare. Il voto elegge candidati nuovi (moltissimi) e conferma i veterani (pochi) che passano tutti dalla porta girevole della politica e per una durata sempre più breve. Il Capo di gabinetto deve guidare queste comparse e consigliare quelli di lungo corso, proteggendoli da loro stessi per proteggere, infine, la propria reputazione la cui integrità sarà utile per la propria nomina molto lucrosa dai politici della giostra successiva.

Insomma, le 288 pagine dimostrano che l’Italia è sorretta e guidata da 50/60 mandarini di lungo corso e di notevole abilità manovriera che lavorano nei felpatissimi corridoi che contano. Cercano tenacemente di far combaciare interessi impossibili. Un esempio per tutti quelli contenuti nel libro è la straordinaria chiarezza espositiva che illustra il processo di formazione della mitica Legge Finanziaria di fine anno descrivendo numerosi retroscena fuori dalla percezione di un normale cittadino.

Il testo è corredato da un utilissimo glossario che spiega le funzioni degli Apparati apicali del nostro Stato e da un accuratissimo indice analitico dei nomi citati utile per successive riletture di parti del testo. Un libro da leggere e da tenere vicino per consultarlo tutte le volte che sarà necessario.

(*) “Io sono il potere. Confessioni di un capo di Gabinetto”, Feltrinelli, pagine 288

FONTE: https://www.opinione.it/cultura/2021/05/28/manlio-lo-presti_libro-potere-capodigabinetto-feltrinelli-lobbisti-gestione-statale-avvocatura-consiglio-di-stato-corte-dei-conti/

 

 

 

Greene, che si giocò vita e letteratura alla “Roulette russa”

Spia e scrittore, viveur e cattolico, si sentiva “un esiliato”, ma i (suoi) libri lo salvarono

Greene, che si giocò vita e letteratura alla "Roulette russa"

Uno dei giudizi più interessanti su Graham Greene lo ha dato John Le Carré, il romanziere che più gli somiglia quanto a tematiche, atmosfere, personaggi, oltre ad aver avuto la sua stessa, come dire, militanza spionistica, attività che nell’Italia intellettuale suona come una parolaccia, ma in Inghilterra è sempre stata considerata una pratica onorevole, da Christopher Marlowe a Noël Coward… «Anche quando era oppositivo, pensava di stare cambiando la storia del mondo», osserva in proposito Le Carré. Era il risultato di un connubio perfetto, perché il lavoro di intelligence, «la sorveglianza, la segretezza delle tue percezioni (che tieni per te) e la sensazione di alienazione, di essere un osservatore più che un membro della società», una volta trasferite nel lavoro di scrittore davano vita «a un tipo di pensiero al rovescio che non ti lascia mai. Ha a che fare con il manipolare la gente e con l’autoesame». In sostanza, il compito di carpire informazioni si trasformava, dal punto di vista narrativo, in una continua analisi introspettiva e conferiva a chi era «in questa modalità un potere superiore che è assolutamente morboso», fino ad arrivare al punto da cui siamo partiti, una preminenza dello scrittore che era tutt’uno con una reputazione politica. Dal Messico di Il potere e la gloria all’Haiti di I commedianti, passando per l’Argentina del Console onorario, la Cuba pre-castrista di Il nostro agente all’Avana, l’Indocina ancora francese di L’americano tranquillo, Greene non si limitava a scrivere romanzi, ma assumeva un ruolo pubblico, di coscienza critica, se si vuole. Il rovescio della medaglia era che nel portare sul banco degli imputati il cattivo del momento, era difficile constatare, a una successiva verifica, che al suo posto si fosse insediato il buono di turno… Una fatica di Sisifo, insomma, che in parte spiega il cattolicesimo tormentato di Greene, l’idea di un male insito nella natura umana, il peccato come condizione irredimibile su questa terra. Ciò che alla fine nobilmente restava è che «lo scrittore dovrebbe essere sempre pronto a cambiare opinione seduta stante. Si batte per le vittime, e le vittime cambiano».

Il giudizio di Le Carré lo si può trovare in Roulette russa. La vita e il tempo di Graham Greene (Sellerio, traduzione di Chiara Rizzuto, pagg. 871, euro 24), la biografia di Richard Greene, un omonimo e non un parente dello scrittore, imponente, ben scritta, documentatissima e tuttavia un po’ sfiancante, come spesso accade nella tradizione anglosassone del genere, dove la pretesa di voler rivelare tutto finisce con il dare al superfluo lo stesso peso dell’essenziale, e quella di volere tutto spiegare a volte coincide con lo spiegare poco o niente. Si veda, per esempio, il complicato rapporto di Greene con il denaro, da un lato visto come un incentivo al creare, dall’altro avvertito come un fattore di rischio, la sicurezza economica che porta all’inaridimento… Il Greene biografo ne dà conto, ma resta difficile vedere nei rovesci finanziari causati negli anni Sessanta dai pasticci e dalle truffe del suo agente editoriale «un servizio alla letteratura» e legarli con il fatto che «all’epoca in cui le diverse frodi furono scoperte, le sue energie creative erano rinate»…

Uno dei temi di Roulette russa è Greenelandia, ovvero il territorio e/o l’universo geografico-umano di Graham Greene. Al diretto interessato il termine non piaceva, lo considerava riduttivo e dal suo punto di vista aveva ragione, ma noi semplici lettori non siamo nel torto quando ce ne appropriamo: ci aiuta a semplificare, ci consente di capire meglio. Il suo principale abitante è naturalmente Greene stesso, perché anche Greene è un personaggio da romanzo di Greene, adultero e cattolico inquieto, amante del rischio, dell’alcol e con pulsioni distruttive, cavaliere delle cause perse e però uomo di mondo, generoso e insieme calcolatore, sempre e comunque insicuro, diffidente nelle amicizie per un complesso di colpa infantile, l’essere stato lo studente di un istituto di cui suo padre era il direttore, e quindi «un giuda» potenziale per i suoi compagni, un «esiliato», in casa e a scuola, per sua stessa ammissione. Questo spiega anche, nonostante la sua capacità nel descriverla, la sua poca attenzione alla natura: «La natura non mi interessa, se non nella misura in cui può contenere un’imboscata, cioè qualcosa di umano». E infatti Greenelandia è un territorio pericoloso non per l’asprezza del clima o la durezza del suolo o il suo essere popolato da animali feroci, quanto per la presenza del fattore umano…

Al suo interno, un posto d’onore, «un colpo di fulmine» è scritto in Roulette russa, lo merita quell’Indocina non ancora Vietnam che Greene frequentò e poi raccontò in L’americano tranquillo e dove l’intreccio anche carnale fra Oriente e Occidente, nonché «l’atmosfera di gaiezza nonostante le granate», era un qualcosa che gli risultava comprensibile non solo nel suo corteggiare il rischio, ma anche dal punto di vista religioso. Era la terra del Caodai, con la sua complicata serie di numi tutelari che vedeva insieme Gesù Cristo, Maometto, Budda, Sun Yat-Sen, La Rochefoucauld e Victor Hugo… Quando Greene ne fece conoscenza era la religione più praticata del Delta del Mekong, dotata di una struttura gerarchica con un Papa al suo vertice, un sacerdozio maschile e femminile con tanto di donne cardinali, forte di un proprio esercito, con un’idea di indipendenza politica antifrancese e insieme anticomunista. Greene ne rimarrà a lungo sedotto e c’è un suo bellissimo resoconto dell’incontro con uno dei signori della guerra al servizio del Caodai, il colonnello Leroy: viveva su un’isola, citava Montesquieu, leggeva Tocqueville, si muoveva a dorso di elefante, lo accolse mettendo sul grammofono il tema conduttore del film Il terzo uomo…

Fu lì che per la prima volta Greene sperimentò una sorta di «senso di colpa». Era «nelle vesti di turista in abiti civili nelle regioni della morte». Era già stato prima in luoghi cosiddetti caldi, in Africa come in Centroamerica, ma il Vietnam francese si elevava al di là delle semplici repressioni, dei tribalismi, della miseria, persino delle catastrofi umanitarie. Era la prova generale di ciò che la decolonizzazione da un lato, la teoria americana del domino in funzione anticomunista dall’altro, avrebbe significato per tutta la seconda metà del Novecento e ancora oggi continua a significare in termini geopolitici: neocolonialismi economici, populismi dittatoriali più o meno eterodiretti, sradicamenti identitari, interventi militari umanitari, esportazione della democrazia con le armi eccetera. Molto dell’antiamericanismo di Greene proviene da qui.

La scrittura fu la salvezza di Greene in Greenelandia. Senza mai essere stato un teppista, era stato però un ragazzo la cui insicurezza aveva bisogno di sensazioni forti come antidoto, e non a caso il titolo della biografia rimanda a una delle tentazioni adolescenziali di Greene. La scrittura si rivelò per lui «una forma di terapia. A volte mi domando come riescano, tutti coloro che non scrivono, non compongono musica o non dipingono, a sottrarsi alla follia, alla malinconia, al timore panico che sono inerenti alla situazione umana». Il pericolo in Greenelandia non veniva dall’esterno…

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/greene-che-si-gioc-vita-e-letteratura-roulette-russa-1949906.html

 

 

Soul: L’etica del corpo e l’anima neoliberale

Soul-spiegazione

«Costui era morto in guerra e quando dopo dieci giorni si raccolsero i cadaveri già putrefatti, venne raccolto ancora incorrotto. Portato a casa, nel dodicesimo giorno, stava per essere sepolto. Già era deposto sulla pira quando risuscitò e, risuscitato, prese a raccontare quello che aveva veduto nell’al di là. Ed ecco il suo racconto»1. Così comincia il mito di Er nella Repubblica di Platone, e da qui riprende la storia di Joe Gardner.

Soul, l’ultimo film Pixar, è un saggio filosofico in forma di arte visiva che usa il martello contro i manuali di autostima e autoimprenditorialità neoliberali. Anche realizzando il proprio sogno, non è così scontato vivere nel mondo della musica facendo solo il musicista. Immaginatevi in questo periodo, in cui il musicista, semplicemente, non lo puoi fare. Non è un caso che Joe, potendo legittimamente aspirare ad essere un esecutore professionista in una grande band, debba comunque fare il maestro di musica. Già l’inizio del film ci dice dunque della mediazione con cui è necessario tarare l’immediatezza del sogno di una vita, in attesa che esso si realizzi, o forse, più semplicemente, nel suo pieno dispiegarsi mondano. È il titolo del film a fare da ponte tra l’incipit musicale dell’ambiente jazz newyorkese e ciò che sembra essere l’altro lato della medaglia: l’altro mondo2 che è qui ante-mondo. Se l’altro mondo designa l’alterità e quindi il trascendente (cioè che è al di là, ma che è causa di ciò che è al di qua), il punto di origine e la creazione, l’ante-mondo ribalta la prospettiva religiosa mettendo in scena la fabbrica della riproduzione sociale che agisce come moto perpetuo attraverso il proprio apparato simbolico, trasformando il film in un meta-racconto sulla stessa produzione cinematografica.

Come sottolinea magnificamente Ilaria Feole3, sono le stesse opere di formazione a trasmettere quasi sempre l’idea di una specialità dell’individuo che, partendo da una situazione di svantaggio, infine emerge in ogni caso grazie al proprio talento o alla propria particolarità, alla scintilla che finalmente è divenuta fiamma viva. Ebbene qui si dice che questa specialità non esiste, che le anime altro non sono che personalità forgiate sempre allo stesso modo, one-dimensional-man di marcusiana memoria senza coscienza critica, alle quali dopo una formazione permanente accompagnata da workshop e alternanza scuola-lavoro, è solamente concesso un ultimo tassello del codice sorgente dell’algoritmo perché sia possibile distinguerle l’una dall’altra. Una distinzione formale e non ontologica, quindi, anche se è chiaro che quel tassello mancante è ciò su cui gioca la possibilità di trovare la differenza nella ripetizione. Intendo qui la riproduzione sociale come la tratteggia Alisa Del Re: «Riproduzione sociale contrapposta a individuale, pubblica contrapposta a privata, comandata e sottoposta a regole piuttosto che libera nelle scelte, produttrice di solitudini e frustrazioni al posto di gioiose cooperazioni. Nelle società occidentali la riproduzione degli individui è sottoposta ad un’oscillazione costante tra il sociale e il privato, con il sociale che si presenta sotto forma di comando diretto, organizzato da leggi, dalla spesa pubblica, da costumi, da regole morali, che appiattiscono i desideri e un privato volgarmente idealizzato come spazio di libertà, ma che si svela essere nella gran parte dei casi abbandono, miseria, frustrazione, impotenza, solitudine»4. Sono proprio queste le contraddizioni in cui Joe si immerge fin dall’inizio del suo percorso.

L’ante-mondo riproduttivo è guidato da architetti-demiurgo chiamati Jerry che hanno come contraltare un contabile, Terry, il quale deve «far tornare i conti», cioè far quadrare il bilancio o, volendo prendere il lato fisico della questione, vigilare sul mantenimento corretto del primo principio della termodinamica o legge di conservazione dell’energia. Come sappiamo, le leggi dell’economia guerreggiano contro la legge di conservazione immaginando la crescita infinita, mentre in verità a tale crescita corrisponde la decrescita delle risorse ambientali in cui essa si cala. È per questo che l’ante-mondo svela la sua stessa fallacia, è la creazione convertita in immagine della produzione industriale o, se vogliamo, con Feuerbach, Dio a immagine e somiglianza dell’uomo, che, immerso nel rapporto costante con la potenza naturale, immagina la propria creazione attribuendo un significato mistico all’agire delle forze in campo in esso. Ma è anche l’iperuranio platonico (dove l’anima risiedeva prima della nascita contemplando le idee perfette e universali) svelato come catena di montaggio, in cui le idee universali non hanno affatto perfezione ma sono assemblaggio e marxiana sovrastruttura (per la precisione una scuola che deve guardare all’impresa e alla spendibilità sul mercato del lavoro), riproduzione sociale, fabbrica del sapere. In essa lavorano da tempo immemore i mentori, le anime defunte dei grandi personaggi della storia umana, che hanno il compito di educare le anime alla ricerca di ciò che manca loro per poter incarnare l’idea particolare e discendere alla vita terrena, come è nel platonico mito di Er: le anime scelgono il proprio demone che le accompagnerà come un destino ineluttabile e, dopo aver bevuto dal fiume Lete, non ricorderanno nulla di tutto ciò. «Parole della vergine Lachesi figlia di Ananke. Anime dall’effimera esistenza corporea, incomincia per voi un altro periodo di generazione mortale, preludio a nuova morte. Non sarà un demone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliervi un demone […] la vita cui sarà poi irrevocabilmente legato. La virtù non ha padrone; secondo che la onori o la spregi, ciascuno ne avrà più o meno. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile»5.

Anche questi mentori, in cui si avverte l’eco del sistema formativo criticato da Bourdieu nel suo riprodurre le gerarchie e le disuguaglianze sociali, sono assolutamente impotenti rispetto alla decisione sovrana delle anime. Nella loro impresa filosofica non hanno fatto altro che costruire l’ante-mondo stesso, immaginando un senso mentre lo cercavano, attribuendo un significato mentre lo inseguivano, inventando uno scopo mentre lo desideravano. Essi altro non sono che la storia della filosofia occidentale, la quale ha per Nietzsche eternamente costruito il senso sull’abisso, erigendo quella fabbrica della produzione sociale che finisce col manifestarsi nel nichilismo di 22. Ella è l’anima che non è riuscita ad accendere la propria scintilla e si abbandona al cinismo, svelando a Joe, nel rapporto rovesciato maestro-allievo, quello che ancora perfettamente Ilaria Feole ritrova: scordiamoci di immaginare la scintilla come un senso che ci rende speciali, tipico prodotto del sogno americano, rivendichiamo invece il diritto ad essere una persona qualunque, o anche nessuno6. Altrimenti rischiamo di caratterizzare quella ricerca incessante del proprio demone come un interesse speciale di chi è portatore di un disturbo dello spettro autistico: qualcosa che cattura costantemente la nostra attenzione. Se però per le persone con autismo gli interessi speciali possono essere occasione di sollievo e rilassamento di fronte alle tensioni provocate dalla sovrastimolazione esterna, al contrario per i neurotipici pensati e pensantisi operai sociali, come la madre del musicista, la passione di Joe è vista come un’ossessione che provoca disagio.

Lo stesso Pete Docter, regista e sceneggiatore di Soul, esplicita il suo tentativo: «Ho fatto molta ricerca. Ho pensato all’essenzialismo che, in occidente, è un’idea che proviene da Platone e Aristotele: che tu sia nato con una tua personale essenza e che il tuo lavoro nella vita sia scoprire chi sei. E poi c’è il nichilismo e Nietzsche a dirci che non esiste una cosa del genere, è tutto insensato e assurdo. E poi ci sono Kierkegaard, Sartre e l’esistenzialismo con l’idea che tu debba decidere da solo quale sia il tuo senso. Nel nuovo film possiamo mettere queste cose nei personaggi»7. L’etica esistenzialista di Sartre chiude il discorso sulla riproduzione sociale: la libertà è assoluta e inderogabile ed è quindi responsabilità soggettiva la decisione sulla propria identità e sul proprio agire, che si articola anche nell’impegno sociale. Ma bisogna andare oltre. Io credo infatti che qui non ci sia solamente il pur sempre importante «diritto ad essere un generico ed appagato nessuno», ma anche il superamento del diritto stesso che, nel suo lato costituito, distribuisce patenti e documenti d’identità, divide, semplifica, designa, distingue, definisce e determina – e l’affermazione della vita in tutta la sua indeterminatezza che apre alle molteplici possibilità in divenire, un diritto in espansione.

È nel rapporto conflittuale, contraddittorio e clandestino (il protagonista non è autorizzato a trovarsi lì) tra Joe e 22, ognuno con i propri fini particolari, che, invece, una scintilla si produce, e permetterà all’anima oscura e persa nel nichilismo reattivo e divoratore di superarsi nel pensiero critico. È l’ante-mondo a rovesciarsi su sé stesso affermando che la scintilla non ha nulla a che fare con uno scopo, né con un senso. È sempre all’insegna di Nietzsche che i due co-protagonisti si evolvono nella loro nuova natura, nel solco di un’amicizia stellare:

Amicizia stellare. Eravamo amici e siamo diventati estranei. Ma è giusto così, e non vogliamo né dissimularcelo né tenercelo oscuro, come se dovessimo vergognarcene. Siamo due navi, ciascuna delle quali ha la sua meta e la sua traiettoria; potremmo certo incrociarci e celebrare una festa insieme, come abbiamo fatto, – e poi le due brave navi potrebbero starsene tranquillamente in uno stesso porto e sotto uno stesso sole, cosicché si potrebbe pensare che siano giunte alla meta e che avessero una meta comune. Ma poi l’onnipotente violenza dei nostri compiti ci separerebbe ancora, spingendoci in mari e sotto soli diversi, e forse non ci rivedremmo mai più: oppure ci rivedremmo, – ma senza riconoscerci, perché mari e soli diversi ci avrebbero cambiato! Il fatto che dobbiamo divenire estranei è la legge sopra di noi: ma proprio per questo dobbiamo divenire anche più degni di noi! Proprio per questo il pensiero della nostra amicizia di un tempo si fa più sacro! Esiste, probabilmente, una curva, una traiettoria stellare immensa e invisibile di cui le nostre strade e mete tanto diverse possono costituire piccoli tratti: eleviamoci a questo pensiero! Ma la nostra vita è troppo breve e la nostra vista troppo scarsa perché possiamo essere più che amici nel senso di quella sublime possibilità. Crediamo dunque nella nostra amicizia stellare anche se, sulla terra, dovessimo essere nemici8

22 trova la strada non nella fabbrica del sapere, né nelle (in)finite scelte riproduttive dell’universo simbolico-culturale dell’ante-mondo, ma nel rapporto con l’altro e nel rapporto con un corpo. 22 nel corpo di Joe, Joe nel corpo di un gatto. La carne vivente non è più la particolare determinazione in una forma di una sostanza-concetto, ma essa stessa l’origine simultanea di entrambe, rompendone il dualismo. Jerry e Terry altro non fanno che astrarre l’incontro e lo scontro dei corpi in un conto aleatorio, come mostra la scena in cui Terry viene beffato nel calcolo sull’abaco, senza che questo causi alcuna catastrofe, ma formalizzi piuttosto l’eccedenza di vita attraverso il concatenamento tra 22 e Joe. L’ante-mondo, certo, è anche luogo dell’esodo, in cui si può navigare come pirati dell’essere perdendosi nell’edonismo anarchico del proprio talento e, per un attimo, sovvertire la regola, come fa Spartivento. Ma, beninteso, egli ammonisce sul pericolo di un tale utilizzo dell’industria culturale come l’Odisseo della Dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno, che di fronte alle Sirene per suggellare il trionfo del logos deve tappare le orecchie ai propri operai, indegni di un tale spettacolo, e incatenarsi all’albero maestro rendendosi schiavo egli stesso. Tuttavia è nel bios, nella vita stessa, che sta la fantasia generatrice, e non è un caso che in Soul la vita inizi uscendo dalla fabbrica e gettandosi nell’abisso (la Terra, sta là sotto), e che finisca nella maniera più leggera possibile, cadendo in un tombino o abbracciando un cavallo.

NOTE

1. Platone, La Repubblica, Laterza 2013
2. The Great Before – il grande prima è tradotto in italiano con ante-mondo, The Great Beyond – il grande oltre con l’altro-mondo: più coerentemente sarebbe il post-mondo, quello in cui tutte le anime si (con)fondono tra loro.
3. https://www.spietati.it/soul/
4. Alisa Del Re, Alcuni appunti sulla riproduzione sociale, in  EuroNomade, 21.01.2016
5. Platone, La Repubblica, Laterza 2003
6. SOUL – Spietati – Recensioni e Novità sui Film
7. Tara Brady, Essentialism, nihilism and existentalism: Pixar makes a different sort of family film, in The Irish Times, 12.12.2020
8. F. Nietzsche, La gaia scienza, Newton&Compton, 1993

FONTE: https://operavivamagazine.org/soul-letica-del-corpo-e-lanima-neoliberale/

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Il governo “screma” le statistiche sulle morti legate al vaccino

 

 

 

 

ECONOMIA

DA ALMENO TRENTA ANNI NEL NOSTRO PAESE ESISTE SOLO UN DICASTERO QUELLO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

PUBBLICATO IL 28 MAGGIO 2021 BY STANZEDIERCOLE

Non è più la mia persona che, in modo davvero assillante, racconta e descrive il blocco quasi totale che ha caratterizzato l’intero Paese e in modo particolare il Mezzogiorno del Paese; finalmente il Sole 24 Ore, in modo trasparente, con un articolo di Michela Finizio ha ultimamente precisato: “IL 40% dei progetti avviati grazie ai fondi europei nel Mezzogiorno ha avuto problemi. Blocchi, ritardi, contenziosi e scarso coordinamento tra gli Enti gestori che generano annosi rimpalli di competenze. È questo uno dei dati che emerge da sei anni di attività di Monithon, il team indipendente di monitoraggio civico dei finanziamenti pubblici che oggi sul suo sito internet mappa oltre 7620 progetti finanziati dalle politiche di coesione e controlla investimenti per oltre 10 miliardi di euro sul territorio. Con l’arrivo dei 191,5 miliardi del Next Generation UE (248 quelli complessivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) saper monitorare la “messa a terra” dei progetti diventa cruciale per evitare sprechi e spingere davvero la ripresa economica”.

Sempre nell’articolo si ricorda che il Ministero dell’Economia e delle Finanze entro il mese di maggio attiverà la piattaforma informatica per il monitoraggio dell’attuazione del PNRR. In tal modo conosceremo i dati di attuazione finanziaria e l’avanzamento degli indicatori di realizzazione fisica e procedurale. In proposito è utile ricordare che il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Ragioneria Generale dello Stato già gestiscono una piattaforma dove è possibile monitorare l’avanzamento delle opere pubbliche. Il Governo, tra l’altro, si è impegnato a definire un set di indicatori e a rafforzare la Pubblica Amministrazione e gli uffici che alimenteranno la banca dati. In una mia nota di pochi giorni fa ho ricordato che il PNRR tutto è fuorché un Piano ma è, a tutti gli effetti, un Contratto; il PNRR è un vero rogito notarile in cui solo al verificarsi di determinati eventi scattano reali coperture da parte della Unione Europea.

Questa vera rivoluzione concettuale, una rivoluzione che eviterà quanto già successo nell’utilizzo del Fondo di Sviluppo e Coesione 2014 – 2020 dove su 54 miliardi di euro in sei anni abbiamo speso solo 6 miliardi di euro, eleggerà in modo inequivocabile un notaio, un garante dell’intera operazione, e tale soggetto sarà il Ministero dell’Economia e delle Finanze; sarà in realtà l’unico riferimento programmatico, l’unico garante dell’avanzamento dell’intero PNRR.

Nel nostro Paese, dopo la riforma che aveva ricondotto in un unico Dicastero i Ministeri del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica e delle Finanze, il ruolo degli altri Dicasteri rimaneva e rimane solo tecnico e anche le possibili intuizioni programmatiche, le possibili proposte normative si spengono immediatamente di fronte all’unico organismo di Via XX Settembre. Una simile singolarità programmatica e gestionale non è venuta meno neppure quando le competenze del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) furono trasferite dal Ministero dell’Economia e delle Finanze alla Presidenza del Consiglio.

Questa singolarità gestionale forse sarebbe bene esplicitarla e convincersi che:

– è inutile che il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile continui a seguire i Contratti di programma di Rete Ferroviaria Italiana del Gruppo Ferrovie dello Stato o dell’ANAS;

– è inutile produrre proposte programmatiche o indirizzi gestionali di supporto al Documento di Economia e Finanza (DEF);

– è inutile redigere piani supportati da coperture finanziarie presenti nelle Leggi di Stabilità ma non avallate, per quanto concerne la “cassa”, dalla Ragioneria Generale dello Stato;

– è inutile sottoporre all’esame del CIPE proposte progettuali se non avallate finanziariamente e strategicamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;

– è inutile sottoscrivere accordi, assumere impegni con gli Enti locali (Regioni, Aree metropolitana, Comuni) senza la preventiva approvazione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

– è inutile approvare le varie fasi concessorie del comparto autostradale e di quello aeroportuale senza averne prima ottenuto la piena convalida da parte del Ministero della Economia e delle Finanze.

Potrei continuare nell’elenco dei passaggi obbligati, presso il Ministero dell’Economia, del Dicastero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili e, soprattutto, potrei ripetere lo stesso approfondimento anche per gli altri Dicasteri. Il Recovery Plan, quindi, ci ha fatto scoprire un codice comportamentale che tutti i Dicasteri vivevano da almeno trenta anni e ogni Dicastero si era illuso di disporre di una sostanziale autonomia. Ora però, dopo aver scoperto questo ormai consolidato comportamento, in una fase come l’attuale in cui necessariamente bisognerà dare corso ad una obbligata serie di riforme potrebbe diventare davvero innovativa la istituzione di uno Steering Committee, cioè di un Comitato di Delegati dei vari Dicasteri. Tale Comitato dovrebbe esercitare il controllo strategico sulle proposte tramite riunioni periodiche nelle quali i responsabili della realizzazione delle proposte stesse ragguaglino il Comitato sullo stato avanzamento lavori, sulle eventuali criticità emerse e sulle eventuali azioni da intraprendere.

Ma allora che senso ha mantenere i Dicasteri e, in particolare il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile; forse all’interno di tale Dicastero potrebbero avere senso solo alcune Direzioni, alcuni organismi come: il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per la approvazione dei progetti e la contestuale Verifica di Impatto Ambientale; la Direzione preposta alla autorizzazione ed alla gestione delle concessioni autostradali ed aeroportuali; la Direzione per la sicurezza nelle varie modalità di trasporto; la Direzione per il controllo della qualità dei servizi di trasporto pubblico locale

Molti si chiederanno come mai in questo elenco di strutture non compaia una Direzione preposta al controllo delle attività legate alla logistica e alla portualità; la risposta è semplice e al tempo stesso banale: la logistica e la portualità devono essere gestiti in modo autonomo ed organico dal privato. A tale proposito ricordo che la riforma delle Autorità portuali prevede che le stesse godano di autonomia di bilancio e finanziaria nei limiti previsti dalla legge, leggendo attentamente il provvedimento scopriamo che tale autonomia è valida “eccetto per la vigilanza dell’approvazione del bilancio di previsione, delle eventuali note di variazione e del conto consuntivo esercitata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro del tesoro” e quindi questa non è affatto una  “autonomia”.

È un tentativo di riforma da rivedere integralmente ma almeno, se si riuscisse ad attuare un simile provvedimento, renderemo “leggero” un Dicastero che sulla carta appare come Dicastero “pesante e con portafoglio” ma che nei fatti è già da almeno trenta anni “leggero”.

FONTE: https://stanzediercole.com/2021/05/28/da-almeno-trenta-anni-nel-nostro-paese-esiste-solo-un-dicastero-quello-delleconomia-e-delle-finanze/

 

 

 

IMMIGRAZIONI

VERGOGNA EUROPA? NO, VERGOGNA SCAFISTI DAL VOLTO UMANO

Vergogna Europa? No, vergogna scafisti dal volto umano

Le immagini dei tre piccoli migranti morti abbandonati su una spiaggia libica stanno facendo il giro del mondo da ormai tre giorni, e vanno ad aggiungersi ad una lista divenuta ormai – secondo il parere di molti – decisamente troppo lunga. Come è evidente stanno suscitando ovunque indignazione e profondo dispiacere. A pubblicarle su Twitter (e già questo dovrebbe spingere le rette coscienze a porsi delle domande) è stato il fondatore dell’Organizzazione non Governativa “Opern arms”, Oscar Camps. Si vede un neonato col viso riverso a terra, in mezzo alla sabbia; un altro con le braccia aperte e uno coperto di stracci. Per certi versi, ricordano le immagini del bambino siriano di tre anni trovato senza vita sulla spiaggia di Bodrum, nel settembre 2015, dopo il naufragio dello scafo sul quale viaggiava insieme alla sua famiglia alla volta dell’Europa.

Il fondatore della Ong in questione scrive: “Sono ancora sotto shock per l’orrore della situazione, bambini piccoli e donne che avevano soltanto sogni e ambizioni sono abbandonati da tre giorni su una spiaggia di Zuwara in Libia. Non interessa a nessuno. Corpi abbandonati. Vite dimenticate. L’orrore tenuto lontano perché scompaia. Vergogna Europa!”.

Confesso di detestare profondamente questo genere di moralismo da due soldi. Confesso di essere intollerante nei confronti di questo umanitarismo spicciolo e semplicistico che si limita a considerare i principi astratti senza preoccuparsi della loro applicazione pratica e delle conseguenze che la stessa potrebbe comportare. Confesso di non sopportare chi si straccia le vesti come Caifa – simbolo evangelico di ipocrisia e di moralismo ottuso, per l’appunto – avendo come unico obbiettivo quello di formulare sentenze ed elargire condanne.

Caro signor Camps, chi le scrive è un italiano – e quindi un europeo – fiero di esserlo e che non prova la benché minima vergogna, che non si sente affatto responsabile per il dramma che vivono i migranti, per le morti in mare. Dico questo a costo di sembrare cinico e insensibile, e lo dico perché i veri responsabili di simili tragedie non sono quelli che sostengono la necessità di limitare i flussi migratori, ma i tifosi del “c’è posto per tutti”.

La vergogna non è dell’Europa, caro signor Camps: in nessun modo possiamo essere accusati di essere noi la causa di tragedie come quelle che lei – probabilmente animato dal desiderio di pubblicizzare il suo nome, la sua attività e le sue credenze ideologiche lucrando sulla disgrazia di quei piccoli – ha ritenuto opportuno sbattere in faccia al mondo intero. Non è una colpa non poter accogliere tutti coloro che pensano di venire a cercare fortuna da queste parti. Non è una colpa non disporre delle infrastrutture necessarie per farlo. Non è una colpa non voler chiedere ai nostri cittadini un sacrificio che non sono disposti e che non potrebbero sostenere. Non è una colpa rispettare il loro diritto di vivere in realtà sicure.

Non è una colpa non voler calpestare il loro diritto di proprietà obbligandoli a versare una quota ancora più alta delle loro entrate e a dover condividere i loro spazi con individui che in nessun modo hanno acconsentito ad ospitare o ad accogliere. Che lei ci creda o no, caro signor Camps, i governi non sono fatti per obbligare la popolazione a subire passivamente le scelte prese da qualche politico o burocrate rinchiuso nelle stanze dei palazzi. I governi non sono padroni dei cittadini. I governi esistono per proteggere quei cittadini dalle minacce esterne ed interne: ciò vuol dire che esistono per servirli, per subire la loro volontà e adeguare ad essa le loro scelte politiche. Non il contrario.

E la maggior parte di quei cittadini – con buona pace per lei, che probabilmente non ha la minima idea di cosa voglia dire convivere con immigrati poco disposti ad integrarsi, a lavorare e a contribuire al benessere della società – non è disposta ad accogliere altri migranti. E quei pochi che lo sono dovrebbero provvedere ad accoglierli coi loro soldi e con le loro risorse: la beneficenza, infatti, oltre a dover essere liberamente scelta (e non imposta coattivamente), si fa coi mezzi propri (non coi soldi degli altri che non intendono affatto contribuire per quel fine). Dunque, caro signor Camps, a dover provare vergogna non sono i cittadini europei o i relativi governi che, conformemente al fine per cui esistono, cercano di interpretarne gli orientamenti, la sensibilità, la volontà e di difenderne gli interessi.

A dover provare vergogna sono gli scafisti dal volto umano come lei e i suoi compari. Siete voi che create illusioni e false speranze a dovervi vergognare. Sono le vostre mani ad essere sporche di sangue. Sono le vostre coscienze ad essere gravate dalla responsabilità per quelle morti. Tutti coloro che hanno perso la vita tentando la traversata del Mediterraneo a quest’ora sarebbero ancora vivi, se non fossero stati incoraggiati dalla prospettiva di essere salvati da voi, specie di novelli corsari, banditi del mare, pirati del XXI secolo. Se quelli come lei, caro signor Camps, si decidessero – una buona volta – a diventare membri produttivi e utili della società, invece di ostinarsi a perseguire fini umanitari con i mezzi altrui, le posso garantire che molti migranti si asterrebbero dal tentare un viaggio che li porterebbe a morte certa.

Se ciò non avviene è perché sono sicuri che, in caso di naufragio, qualcuno li metterà in salvo. Questo li spinge a correre il rischio e a morire numerosi. Rifletta su questo, caro signor Camps. Si assuma le sue responsabilità, invece di scaricarle su altri. E soprattutto la smetta di tormentarci con questi toni da pulpito: non riuscirà – come usano fare quelli come lei – a farci sentire in colpa e a spingerci così ad accettare un simile ricatto morale.

FONTE: https://www.opinione.it/esteri/2021/05/27/gabriele-minotti_vergogna-europa-scafisti-migranti-morti-abbandonati-open-arms-camps/

 

 

NOTIZIE DAI SOCIAL WEB

Non volare per i vaccinati

Rosanna Ruscito  – 29 05 2021

Mamma mia, mamma mia!!!

FONTE: https://www.facebook.com/rosanna.ruscito/posts/10220494525205973

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

In principio fu il governo dei “migliori”
Avv. Rosanna Ruscito –  29 05 2021
Poi arrivò la Cabina di regia.
A seguire la Segreteria tecnica a tempo indeterminato;
Vi sembra normale, democratico che si istituiscano e nominino strutture tecniche, che avranno una durata superiore al governo che le istituisce e che lavoreranno anche per il prossimo governo nella prossima legislatura?
Significa che il nostro voto è diventato inutile quanto il parlamento?
FONTE: https://www.facebook.com/1017751441/posts/10220497594242697/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Mons. Viganò al summit di Venezia: “Chi presiede la Chiesa è marionetta nelle mani del burattinaio”

Mons. Carlo Maria Viganò, riferimento certo per tutti quelli che in ogni angolo del mondo colgono gli aspetti demoniaci della situazione in atto, parla alle coscienze libere e coraggiose al fine di coagulare intorno ad una parola di verità tutti gli uomini che non intendono arrendersi di fronte al dilagare dell’iniquità che avvolge adesso tutti gli angoli della Terra dopo avere infiltrato in profondità i vertici ecclesiastici

VIDEO QUI: https://youtu.be/0jMgMwF36A8

FONTE: https://youtu.be/0jMgMwF36A8

Germania e Francia hanno boicotatto le elezioni in Siria (la UE tiene per l’ISIS)

Bashar al Assad ha vinto le elezioni presidenziali con il 95,1% dei voti e si appresta ad iniziare il suo quarto mandato come vincitore della guerra contro i terroristi.

Si sono recati alle urne il 78% degli elettori, ma fra questi mancano all’appello centinaia di migliaia di cittadini siriani fuggiti all’estero negli anni più terribili del conflitto.

Le autorità di Germania, Francia e altri paesi hanno infatti vietato lo svolgimento delle elezioni presso le ambasciate siriane sul proprio territorio. Perché impedire ai siriani residenti all’estero di partecipare al voto?

Perché si temeva che anche loro avrebbero votato in massa per Assad, facendo crollare il castello di carte della propaganda sul “consenso imposto” con la forza. Gli imperialisti hanno paura della verità e sono pronti a tutto per non farla emergere.

Ma poco importa, la Siria ha vinto, né le rivoluzioni colorate né il terrorismo, né le sanzioni né i missili sono riusciti a piegarla. La “democrazia” occidentale, con i suoi doppi standard e la codardia del suo sabotaggio, giace fra la spazzatura della storia.

Francesco A. della Scala

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/germania-e-francia-hanno-boicotatto-le-elezioni-in-siria/

 

 

 

Barnard e l’Antico Ordine Mondiale, oggi ormai evidente

Chiedetevi come mai la politica fallisce sempre, i partiti fanno cilecca e i leader finiscono per deludere. Oggi la risposta è sulla bocca di tutti quelli che hanno smesso di dormire; ma una decina di anni fa era un giornalista come Paolo Barnard, in solitudine, a proporre la domanda: chi comanda davvero, lassù, al di là dei piccoli esecutori locali, fabbricati in serie con i sondaggi e destinati invariabilmente a sgonfiarsi, dopo aver assolto al piccolo compito che era stato loro assegnato? Da qualche decennio, il copione è invariato: da una parte i paracarri, i pretoriani ufficiali del sommo contabile, e dall’altra gli outsider professionali, con traiettoria pilotata. L’outsider spunta come un fungo e un giorno esplode, viene osteggiato ma poi conquista i suoi spazi, varca la soglia sacra della televisione e infine accede al governo, da cui poi abbandonerà – uno ad uno – tutti i suoi cavalli di battaglia, lasciando senza parole gli elettori che gli avevano dato fiducia nel solito modo, e cioè religiosamente. Sempre così: show must go on, avanti un altro.

Tra il saggio “Il più grande crimine” e i Dpcm inaugurati con la cosiddetta pandemia da coronavirus è possibile tracciare una linea retta, addirittura imbarazzante, che porta dritti al distanziamento e alle mascherine, ai lockdown, al delirio orwelliano del coprifuoco basato Paolo Barnardsull’evocazione del senso di colpa, del contagio come imprudenza e come maledizione, in un orizzonte cupo in cui riecheggia una specie di peccato originale: l’essere nati, l’aver aspirato a essere liberi e dotati di diritti umani. Siamo diventati il paese della Dad, dello smart working e delle Regioni colorate, dove la semilibertà (concessa col contagocce) bisogna meritarsela, stando lontani dal prossimo come se fosse appestato. L’incubo si prolunga, per via sanitaria (o meglio, fanta-farmaceutica) con l’incombente obbligo vaccinale sostanziale, propiziato da un assedio anche fisico, geografico, come quello del lasciapassare neo-medievale per poter varcare il Rubicone, il Piave, il Tevere, l’Isonzo.

L’avvocato Erich Grimaldi, uno dei tanti eroi di questa Italia in rottamazione, quasi supplica il suo pubblico affinché accorra in piazza a Roma, l’8 maggio, indossando magliette con sopra scritto “voglio essere curato con le terapie domiciliari”, oppure “sono guarito grazie alle cure precoci a domicilio”. Quei trattamenti terapeutici tempestivi rappresentano la soluzione, l’uscita dall’allucinazione collettiva: ma il Ministero della Paura ha osato opporvisi, ancora, nonostante l’auspicio unanime espresso dal Senato e i colloqui in corso tra lo stesso Grimaldi e il sottosegretario Sileri, per arrivare finalmente a un protocollo che metta i medici nelle condizioni di curare gli italiani, senza più costringerli a ricorrere all’ospedale quando ormai faticano a respirare. E’ come se qualcuno si ostinasse a sparare cannonate, sull’allevamento umano, forte di una certezza granitica: le mansuete bestiole non si ribelleranno nemmeno stavolta, resteranno al loro posto in attesa di essere decimate, dalle cure negate e dal martirio economico che il 1° Maggio 2021 costringe anche la grande stampa ad ammettere che, intanto, si sono perduti 900.000 posti di lavoro.

Non deve stupire il silenzio agghiacciante dei sindacati, che anzi – per bocca dei loro burocrati coalizzati (Cgil, Cisl e Uil, in primis il Landini che contestò Marchionne) – hanno addirittura firmato una petizione a sostegno di Roberto Speranza, il burattino incaricato di infliggere il massimo danno possibile al sistema-paese, senza riguardo per i morti né per le vittime della catastrofe economica. Non deve stupire nemmeno il mormorio sommesso dei partiti meno allineati alla filosofia della strage, celebrata in omaggio alla religione epidemica: se non hanno mai invaso le piazze per protestare contro la quasi-dittatura in atto, né preteso fin dall’estate 2020 le misure sanitarie adeguate, Landiniinvocate da centinaia di medici, significa che rispondono a poteri superiori, a sollecitazioni e consigli, magari ad oscuri avvertimenti come quelli che persuasero Boris Johnson, l’uomo che voleva evitare il lockdown puntando all’immunità naturale, senza neppure il poco rassicurante doping dei “vaccini genici” sperimentali.

Nell’ultimo decennio, il superlclan denunciato da Paolo Barnard è assurto agli onori delle cronache con moltissimi nomi: una specie di foto di famiglia, a volte sfocata e a volte meno, che include cenacoli del grande business, poteri finanziari e massonerie, cluster industriali, cupole omertose, caste sacerdotali, dinastie e fantomatiche organizzazioni-ombra. Spesso il cosiddetto complottismo si rassegna a rincorrere spettri, perdendo di vista il complotto (meglio, il progetto) che ormai è sotto gli occhi di tutti, dentro una globalizzazione policentrica e smisuratamente ingovernabile se non in modo sommario e anche feroce. Un caos epocale, dal quale emerge l’Antico Ordine Mondiale delle dominazioni pure, a cui sembra opporsi – in modo non sempre leggibile – un rilevante segmento della leadership di ieri, in precario equilibrio tra compromesso e battaglia aperta, in ordine al tono da conferire al Grande Reset che nel frattempo avanza in modo inesorabile, sia pure a geometria variabile nelle sue infinite declinazioni tecnocratiche e geopolitiche.

Mentre lo stupidario nazionale italiota prolunga imperterrito il suo show affollato di tamponi e indici Rt, terribili “varianti” alle porte e simpatici banchi a rotelle, i cadaveri politici dei partiti dall’encelalogramma piatto fingono che scorra ancora un po’ di sangue nelle loro vene, ai margini di una trattativa – tra la vita e la morte civile del paese – che viene condotta da sapientissimi mandarini, nell’alto dei cieli in cui (non da oggi) ci si giocano a dadi le percentuali di felicità o di angoscia da elargire o comminare a milioni di persone. L’Antico Ordine Mondiale è quello di cui parla a chiarissime lettere Paolo Rumor nell’esemplare libro “L’altra Europa“, che evoca – da carte riservate – la possibile esistenza di una linea pressoché dinastica, risalente addirittura a 12.000 anni fa, incaricata di governare la zootecnia umana con Paolo Rumorogni sorta di espediente strumentale: imperi e regni, teocrazie ierocratiche, dittature e democrazie, ideologie e teologie, fino al recente aggregato euro-atlantico e vaticano.

Gli scritti di Rumor – perfettamente consonanti con le recenti acquisizioni della cosiddetta “archeologia non autorizzata”, che parlano di tecnologie avanzatissime in tempi antichi – sembrano invitare a guardare con nuovi occhi alle continue, stranamente inarrestabili rivelazioni ufficiali sull’annosa “questione aliena”, sulla quale le stesse voci dell’establishment hanno smesso di scherzare, di negare l’evidenza. E’ la scala di grandezza, in questo caso, ad appaiare certe presunte leggende alla dimensione planetaria del catastrofico presente, in cui teoricamente si pretende ancora che un piccolo partito, in un minuscolo paese, possa davvero dire la sua in una dimensione letteralmente incommensurabile, in cui tre soli fondi d’investimento, soci l’uno dell’altro (Vanguard, State Street e BlackRock) sono azionisti di qualunque cosa rappresenti il minimo interesse economico, in ogni campo: banche e petrolio, informazione e web, armamenti e trasporti, aerospaziale, alta tecnologia e intelligenza artificiale, edilizia e farmaceutica, grande industria, agroalimentare e grande distribuzione, spettacolo e cultura, telecomunicazioni e ricerca scientifica.

L’aspetto tragicomico del made in Italy pandemico è garantito dalla ritualità scadente di un paese sottomesso alla religione del virus, che riesce a irridere la Festa del Lavoro massacrando centinaia di migliaia di piccole aziende, e a dissacrare persino la Festa della Liberazione celebrando il 25 Aprile dei partigiani nei giorni del coprifuoco, in una sorta di squallida farsa, vagamente spettrale, che ricorda le note di Virginia RaggiRosamunda inflitte ogni mattina ai prigionieri di Auschwitz. E’ la stessa Italia dei coatti che nella primavera 2020 cantavano Bella Ciao dai balconi, pavesati a festa con lo slogan religioso “andrà tutto bene”. L’altra Italia – quella “bannata” ogni giorno da Facebook e da YouTube – resiste davvero, a modo suo, veicolando informazioni. Ai più scoraggiati, c’è chi propone un pensiero semplice: tanto accanimento contro i dissidenti non può che confermare indirettamente il timore che incutono, nonostante tutto, ai gestori dell’Antico Ordine Mondiale.

Non profonderebbero tante energie, fino a trasformare giornali e televisioni in barzellette, se non avessero paura di un possibile, ipotetico risveglio collettivo. Considerate se questo è un uomo: davvero vogliamo continuare a vivere così? E soprattutto: c’è qualcosa che possiamo fare, per cambiare il corso degli eventi, sia pure in un pianeta palesemente dominato dall’alto, come oggi appare vistosamente evidente? C’è qualcosa che dovremmo sapere, e che i dominatori conoscono benissimo? Cosa nasconde, in realtà, l’ossessione nazistoide per il distanziamento interpersonale, imposto per alimentare la diffidenza reciproca e spezzare ogni forma di solidarietà, isolando l’individuo e lasciandolo in compagnia delle sue paure? L’apocalisse in corso (il famoso bicchiere mezzo pieno) porta in regalo la rivelazione di un’enormità patente, indigeribile, e fino a ieri impensabile. A meno che non si fosse letto Paolo Barnard, ovvero la descrizione minuziosa del sadismo di cui è capace, all’occorrenza, l’Antico Ordine Mondiale.

(Giorgio Cattaneo, 1° maggio 2021).

Borsa, il Vaticano ha scommesso e lucrato sul Covid

E’ ufficiale: il Vaticano ha incassato un bel po’ di soldi, dalla pandemia, speculando in Borsa e giocando d’anticipo sugli eventi. «Abbiamo investito in un fondo che prevedeva dei rischi ambientali, di guerra: non avremmo mai pensato a una pandemia», dice il broker Enrico Crasso, nell’intervista video rilasciata a “Report” nella puntata in onda il 17 maggio e anticipata sul profilo twitter del programma televisivo di RaiTre. «Abbiamo investito circa l’8% del patrimonio, cioè 4 milioni, proprio in uno strumento di questo genere, e credo veramente che sia stata un’ottima strategia», spiega Crasso. «Poi purtroppo è scoppiata la pandemia, e questo fondo ha cominciato a salire tantissimo». Con le sue dichiarazioni, Crasso spiega come avrebbe investito alcuni capitali della Segreteria di Stato vaticana che – secondo la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci – negli anni si sarebbero stati affidati proprio a lui e al suo fondo d’investimenti “Centurion”, che avrebbe ricevuto circa 400 milioni di euro da gestire.

Dalla sua villa sul lago di Lugano, in Svizzera, rispondendo alla domanda se tutti gli investimenti siano stati fatti d’accordo con la Segreteria di Stato vaticana, Crasso non ha esitazioni: «Nulla è stato fatto di nascosto». Il fondo in questione, che garantiva profitti altissimi in caso di Enrico Crassocrisi geopolitiche o pandemiche grazie alla speculazione sulle valute internazionali – ricorda “La Nuova Padania” – è il Geo-Risk gestito dalla banca d’affari Merrill Lynch, che dopo i primi mesi di pandemia (con i rendimenti schizzati alle stelle) ha poi dovuto addirittura chiuderlo. «Dovranno rispondere di questo – protesta Crasso – perché a febbraio, quando la pandemia scoppiò, il fondo fece un salto, facendo quasi il 20% in un solo giorno». Aggiunge il manager finanziario di fiducia del Vaticano: «Nel periodo successivo, non dico che avrebbe triplicato il valore, ma lo avrebbe almeno raddoppiato».

Enrico Crasso – con il suo fondo “Centurion” – era già approdato agli onori delle cronache quando emerse che alcuni capitali, provenienti dall’Obolo di San Pietro (le elemosine dei fedeli, raccolte durante la messa domenicale nelle chiese) erano serviti a finanziare svariate iniziative, anche in collaborazione con Lapo Elkann, tra cui il film autobiografico di Elton John. Quanto alla pandemia, che avrebbe regalato soldoni al Vaticano tramite “Centurion”, non si può non notare l’atteggiamento – perfettamente allineato alle autorità – dello stesso Papa Francesco, che ha avallato integralmente i lockdown, senza intervenire neppure quando sono stati sanzionati alcuni parroci, decisi a violare le restrizioni pur di non rinunciare a celebrare la messa. Non solo: Bergoglio si è fatto anche attivo propagandista della campagna vaccinale, sostenendo il “dovere morale” di sottoporsi all’inoculo dei farmaci genici sperimentali anti-Covid, impropriamente chiamati “vaccini”.

FONTE: https://www.libreidee.org/2021/05/borsa-il-vaticano-ha-scommesso-e-lucrato-sul-covid/

 

 

 

POLITICA

IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E DI RESILIENZA NON È UN PIANO MA UN CONTRATTO DRAGHI CE LO HA FATTO CAPIRE

PUBBLICATO IL 25 MAGGIO 2021 BY STANZEDIERCOLE

L’impianto pianificatorio e l’impianto contrattuale sono due strumenti completamente diversi ed è fondamentale evitare di confondere le funzioni e le finalità perché altrimenti illudiamo tutti coloro che pensano di assistere ad un disegno programmatico, ad un processo pianificatorio ed avere già certezze procedurali, avere articolazioni autorizzative sicure e quindi essere di fronte a certezze realizzative. Invece la programmazione è solo un disegno di volontà anche misurabili, anche riconoscibili nelle componenti più minute e più insignificanti ma questa ricchezza di caratteristiche, questa ricchezza di “certezze disegnate” non assicura nessuna certezza realizzativa. Nasce così spontaneo un interrogativo: perché usiamo e spesso invochiamo e riteniamo indispensabile un atto programmatico, un atto pianificatorio se poi non siamo in grado, contestualmente, di poterne attuare impegni e certezze realizzative. La risposta non è semplice: in realtà la pianificazione o, più correttamente, l’atto programmatico in fondo è solo una banale anticipazione di “tranquillità”; è come se vedessimo in anticipo la realizzazione di una nostra intuizione, la possibile attivazione di una spesa, l’avvio di un servizio coerente a precise nostre esigenze.

E, quindi, in fondo, la pianificazione è strettamente legata all’ottimismo non della speranza, non della volontà ma della ragione, dell’ottimismo della ragione di chi, in buona fede, ha disegnato, ha immaginato un atto programmatico. La pianificazione, la programmazione, quindi, non sono legati a degli impegni incontrovertibili.

Un fallimento pianificatorio produce, al massimo, una responsabilità politica, produce solo il mancato rispetto di impegni assunti da determinati soggetti o organismi istituzionali ma, in fondo, non c’è un incontro tra le parti ma solo un rapporto tra un soggetto, un organismo che, come detto prima, produce una articolazione programmatica e i diretti fruitori di una simile scelta; ma, come accennavo prima, nessuno potrà costruire ed avanzare una denuncia di responsabilità per la mancata attuazione di un piano. Molti diranno: ma un fallimento programmatico, una mancata correlazione tra quanto prospettato in un determinato arco temporale e quanto concretamente attuato, produce senza dubbio anche un danno economico tuttavia la mancata fruizione di determinati servizi, di determinate offerte funzionali contenute nel piano non genera contenziosi, non genera possibili rivendicazioni infatti i piani non hanno mai una forza cogente.

L’impianto contrattuale invece è, a tutti gli effetti, un istituto giuridico che vincola due o più parti tra di loro; in merito esistono più tipologie contrattuali, quali in particolare: contratti tipici e contratti atipici, contratti ad effetti reali e contratti ad effetti obbligatori, contratti consensuali e contratti reali, contratti con prestazioni a carico di una sola parte o contratti unilaterali e contratti a prestazioni corrispettive, contratti a titolo onerosocontratti a titolo gratuitocontratti associativi e contratti di scambio ed infine contratti di durata e contratti istantanei. Soffermiamoci su una specifica caratteristica in particolare quella relativa a prestazioni corrispettive quelli in cui entrambe le parti hanno diritti ed obblighi. Ad esempio, nel contratto di compravendita, il venditore deve trasferire un bene e il compratore deve pagare il prezzo. Ricordo infine che l’impianto contrattuale scaturisce sempre dallo scambio del consenso: due o più soggetti si accordano sul contenuto del contratto che debbono concludere e si impegnano a vicenda.

Ho voluto soffermarmi a lungo sulla distinzione sostanziale tra un atto painificatorio ed un atto contrattuale perché per un banale errore semantico continuiamo a definire “piano” il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il Recovery Plan, quando in realtà trattasi di “contratto”, trattasi cioè di un chiaro impegno di due distinti soggetti a rispettare uno concretamente specifici impegni, specifiche scadenze e l’altro ad erogare determinate risorse.

In tal modo termina la pluriennale esperienza del passato governo Conte caratterizzata da una campagna annunci e da una imperdonabile produzione di atti programmatici come, solo a titolo di esempio, quello del Sud e quello della ex Ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti De Micheli relativa al piano Italia Veloce di 200 miliardi di euro. Due tipici documenti carichi di impegni, ricchi di promesse e povere di risorse e rimasti, ripeto, gratuiti annunci programmatici.

Ma se il Recovery Plan è un “contratto” prende corpo automaticamente una motivata preoccupazione: mentre per le opere del Nord tutte quasi in corso di realizzazione, mi riferisco in particolare alle opere dell’alta velocità ferroviaria Genova – Milano (Terzo Valico dei Giovi) e Verona – Vicenza – Padova o di prossimo avvio come l’asse Verona – Fortezza, per gli altri interventi come l’asse ferroviario Roma – Pescara, Salerno – Reggio Calabria, l’asse Taranto – Metaponto – Potenza – Battipaglia e le tratte ad alta velocità Palermo – Messina – Catania, siamo in presenza, allo stato, di idee progettuali e, nel migliore dei casi, disporremo, come da me già più volte anticipato, di progetti pronti per essere cantierati solo nel 2024 e solo per lotti modesti. Quindi se non si aprono i cantieri e non cominciano ad essere erogati i SAL (Stati Avanzamento Lavori) il Paese non può utilizzare le risorse del Recovery Fund. Vorrei essere più chiaro: non ci troviamo di fronte ai PON (Piani Operativi Nazionali) o ai POR (Piani Operativi Regionali) che venivano onorati dalla Unione Europea attraverso anticipi una volta attivati gli impegni sulle relative opere, non ci troviamo di fronte a proposte che se non mantenute diventavano occasione di possibili accordi come quello che ci ha consentito di poter ancora disporre di circa 30 miliardi di euro non spesi del Fondo di Sviluppo e Coesione 2014 – 2020, no! in questo caso siamo in presenza, lo ripeto fino alla noia, di un chiaro strumento contrattuale.

A differenza dei passati Presidenti del Consiglio Mario Draghi conosce benissimo la forza dell’atto contrattuale con la Unione Europea, sa benissimo che non paga assolutamente la logica dell’annuncio quando ogni passaggio non è monitorato solo dagli Uffici della Unione europea ma da tutti gli altri Paesi che saranno attentissimi al corretto rispetto del nostro Paese ai vincoli imposti per l’utilizzo del Recovery Fund. Questa mia preoccupazione non è legata alla capacità delle nostre grandi aziende di spesa del comparto infrastrutture come le Ferrovie dello Stato o l’ANAS quanto all’impegno degli Enti locali nel dare il massimo sostegno all’attuazione del non facile processo autorizzativo. Spero che il Ministero della Transizione Ecologica e quello dei Beni Culturali, almeno per le opere inserite nel Recovery Plan, assicurino corsie preferenziali, quello che temo è proprio l’attenzione degli Enti locali (Regioni, Aree metropolitane e Comuni) nell’assecondare le procedure legate alla cosiddetta “pubblica utilità”.

Se ci si rendesse conto, davvero, della peculiarità di un simile rapporto contrattuale sono convinto che, non una singola Regione del Mezzogiorno ma tutte le Regioni del Mezzogiorno, darebbero vita ad un organismo unitario catalizzatore di tutte le azioni, di tutte le procedure necessarie per rendere concreto ed efficiente l’atto contrattuale che caratterizza il Recovery Plan.

FONTE: https://stanzediercole.com/2021/05/25/il-piano-nazionale-di-ripresa-e-di-resilienza-non-e-un-piano-ma-un-contratto-draghi-ce-lo-ha-fatto-capire/

 

 

 

Dragocrazia

29 Maggio 2021 Lorenzo Giardinetti

Con le nomine nelle partecipate Mario Draghi annichilisce i partiti per incarnare l’uomo solo al comando. Altro che privatizzazioni, premier ci ha preso gusto con la macchina dello Stato.

Il momento di rinnovare i consigli di amministrazione delle aziende partecipate dallo Stato corrisponde, da sempre, alla più attesa orgia della politica. É l’apice dionisiaco del gioco del potere. Il momento in cui si contratta, si mercanteggia e si fanno carte false pur di distribuire la propria influenza fra gli apparati economici dello Stato. Mario Draghi, dopo aver già privato i partiti politici del diritto di contare nelle questioni di pubblica sicurezza e negli apparati diplomatici, ha messo la parola fine anche sul valzer delle nomine. In ballo questa volta c’è il progetto di rifondazione totale del Sistema-Paese, povero di funzionari dediti alla più pura Ragion di Stato e recentemente incappato in troppe “sgrammaticature geopolitiche”, come i tentativi di legarsi alla Cina, il principale avversario del dominus della sfera d’influenza di cui l’Italia fa parte: gli Stati Uniti d’America.

Il mandato di Draghi è infatti orientato fondamentalmente nel riallineare i binari della geopolitica nazionale al contesto euro-atlantico e per farlo agisce anche sull’economia. Agli occhi di Washington infatti la mossa dell’Unione Europea – leggasi Germania – di garantire le risorse del Recovery Fund suonano come una spregiudicatezza imperiale tedesca, fin troppo fuori dal perimetro di sicurezza nel quale è disposta a tollerare la supremazia europea di Berlino. Che la gestione di questi fondi sia ineccepibile e non renda l’Italia eccessivamente dipendente dalla Germania è perciò fondamentale. Proprio in tema Recovery quindi la necessità di blindare alcune importanti aziende partecipate dal Ministero dell’Economia risulta fondamentale. Cassa Depositi e Prestiti e Ferrovie dello Stato saranno i principali canali con cui immettere in circolo le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, da qui la svolta solitaria di Draghi, che si è assicurato di tenere i due colossi lontano dalle influenze dei partiti politici. In Ferrovie, che dovrà gestire un cospicuo tesoretto volto al rinnovamento infrastrutturale, arriva Luigi Ferraris, mentre in CDP approda Dario Scannapieco. La banca di Via Goito, nell’ottica del premier, sarà il vero centro d’irraggiamento delle risorse in arrivo e dovrà fungere da braccio armato del Ministero dell’Economia nel gestire il processo di rilancio industriale del Paese. A fare le valigie è Fabrizio Palermo, che fino all’ultimo ha sperato di essere riconfermato, difeso a spada tratta da un’ampia schiera di esponenti del Movimento 5 Stelle. L’ex-AD di Cassa, salito al vertice nel 2018, paga il ritardo su alcuni dossier fondamentali, come l’acquisizione di Autostrade, ma soprattutto l’eccessivo protagonismo nei giorni in cui il Governo Conte flirtava pesantemente con Pechino, arrivando a firmare importanti accordi economici d’investimento con la Cina. Al suo posto Draghi ha richiamato l’ormai vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti, Scannapieco, che è inoltre amministratore del Fondo Europeo per gli Investimenti, e così si ricongiunge con il premier, dopo averne condiviso l’operato già negli anni passati. La carriera del nuovo AD di Cassa Depositi e Prestiti, formatosi fra la Luiss e Harvard, nasce proprio sotto il segno dell’attuale Presidente del Consiglio, della cui cerchia – i cosiddetti Draghi boys – faceva parte quando il premier era Direttore del Tesoro e si occupava proprio della liberalizzazione delle aziende di Stato. La scelta va ben oltre il ricongiungimento amichevole, ma entra nel tentativo di Draghi di moltiplicare le risorse in arrivo dall’Europa, costruendo un ulteriore tesoretto per l’Italia. Come amministratore del Fondo Europeo per gli Investimenti, il nuovo vertice di CDP infatti aveva già palesato la volontà di co-finanziare il piano di ripresa italiano.

https://twitter.com/intdissidente/status/1350129510486781952?s=21

La gerarchia del Recovery è così blindata: da una parte il Ministero dell’Economia, guidato da Franco e dal Direttore Rivera, dall’altra Scannapieco. La riedizione del cerchio magico del premier è ancora una volta alle prese con una fase monumentale nella storia industriale del Paese, dopo aver già trattato la stagione di privatizzazioni, che oggi, in questa fase in cui lo Stato è nuovamente centrale, sembra lontana anni luce. Le forze politiche, che già in fase di formazione del governo avevano dovuto salutare i Ministeri deputati ad avere voce sul Recovery, rimangono così fuori anche dal giro delle partecipate. Alessandro Profumo, AD di Leonardo, rischiava di dover lasciare il posto a causa di una dura battaglia legale, scatenata da alcuni azionisti di minoranza, che ne chiedevano le dimissioni perché collegato al caso Monte Paschi di Siena. Gli avvocati hanno però appena chiesto l’archiviazione spingendo sull’insussistenza del fatto. Il colosso tecnologico-militare era l’ultima speranza delle forze politiche di poter piazzare un proprio uomo (lo stesso Palermo nei sogni di alcuni pentastellati, una volta silurato in CDP, sarebbe stato dirottato a Leonardo). Ma se la causa legale dovesse chiudersi con un nulla di fatto, il vertice dell’azienda sembra blindato. Che questa volta le possibilità di influenza sulle nomine fossero irrisorie in molti lo avevano già capito da qualche settimana.

A Palazzo Chigi infatti, durante gli ultimi tempi, qualsiasi persona si presentasse per parlare dei vertici delle partecipate – spingere per una riconferma o per una nuova candidatura – ha trovato quasi sempre chiusa la porta dell’ufficio del premier e si è trovata dirottata presso il suo consigliere economico. Francesco Giavazzi, 72 anni, professore di Economia alla Bocconi è stato fra le figure fondamentali nel processo che ha portato al rinnovamento dei CDA delle aziende controllate dal Ministero dell’Economia. Il rapporto con Draghi è segnato da una profonda amicizia, nata nei corridoi del MIT di Boston e cementatasi nel tempo. Dopo aver professato per anni cieca fiducia nel liberalismo economico di stampo anglosassone, intervenendo spesso come editorialista sul Corriere della Sera, il professore ha accettato la chiamata dell’amico a Palazzo Chigi, calandosi con estremo pragmatismo – caratteristica particolarmente apprezzata dal premier – nella giungla delle partecipazioni statali. Se a Via XX settembre Franco e Rivera si sono occupati dei dossier tecnici sul tema nomine e di indicare una prima lista di papabili, è stato Giavazzi a compiere il vaglio definitivo dei profili dei nuovi manager di Stato.

Nelle scorse settimane l’agenda del bocconiano ha visti segnati innumerevoli nomi, tutti costretti a rimettersi alla sua analisi. Lo stesso Palermo ha capito probabilmente la sua sorte quando non gli è stata concessa udienza presso l’ufficio di Draghi ed è rimasto costretto a rimanere nell’anticamera del consigliere economico del premier. La posizione di Giavazzi è in netta crescita, ne è testimonianza anche il trasloco interno a Palazzo Chigi, da una prima postazione molto defilata, ad un ufficio di distanza da quello dell’amico e Presidente del Consiglio. Nel mezzo delle due stanze resiste, nella sua posizione privilegiata, quella del capo di gabinetto del premier. Antonio Funiciello, presentatosi come veterano dello stato profondo e machiavellico esperto del potere, oggi ha soltanto la posizione architettonica del suo studio a mantenerlo vicino a Draghi, che secondo alcune indiscrezioni sarebbe alquanto piccato da un’eccessiva libertà politica che il suo capo di gabinetto sembra arrogarsi. Persino Roberto Garofoli, l’altro numero due di Palazzo Chigi, non sembra particolarmente nelle grazie del Presidente, che continua a preferire l’amico di vecchio data e consigliere economico per quanto riguarda la ricerca di un parere terzo. Il sottosegretario, nonostante rivesta un ruolo di assoluto rilievo nelle gerarchie istituzionali, è rimasto molto eclissato nelle ultime vicende, soprattutto ora che il suo sponsor Enrico Letta è di nuovo sceso politicamente in campo e rende inquieto l’esecutivo con le proposte relative alle politiche di tassazione. Nonostante ciò Garofoli, riconosciuto da tutti come un buon tattico, pur non toccando palla può gustare l’avverarsi del suo desiderio: veder crollare, pezzo dopo pezzo, il precedente sistema di potere. La gestione Conte non è stata infatti benevola nei confronti dell’attuale sottosegretario, che venne allontanato da Palazzo Chigi proprio per volontà precisa dell’avvocato del popolo.

Quelle relazioni pericolose tra la sinistra e l’islam

Sull’onda delle manifestazioni del ’68, negli anni settanta la sinistra sembrava in ulteriore espansione. L’islam, al contrario, appariva una religione in crisi, identificata come la principale causa dell’arretratezza dei paesi del mondo arabo. Chi sperava di farli progredire diede vita a esperienze politiche di socialismo islamico: il nasserismo, prima e sopra le altre; il baathismo in Iraq e in Siria; ma anche la Libia di Gheddafi, quantomeno all’inizio. Vi fu persino un caso di comunismo arabo reale, lo Yemen del Sud: un comunismo senza ateismo di stato, coabitante con l’islam. Non sono passati secoli, ma poco più di quattro decenni. Eppure, ci sembra proprio un altro mondo.

Era un mondo pre-Thatcher e pre-Reagan, i due liberisti che mandarono al tappeto la sinistra

Era un mondo pre-Thatcher e pre-Reagan, i due liberisti che mandarono al tappeto la sinistra. Un mondo pre-Khomeini: colui che cambiò non soltanto la storia del suo paese, ma anche quello della sua religione. La rivoluzione iraniana scoppiò contro un alleato delle potenze occidentali, lo scià, e diversi intellettuali occidentali cominciarono a fare il tifo per essa. Ma alcuni si spinsero oltre, e sostennero anche gli ayatollah: un esempio illustre di casa nostra Carlo Panella, allora in Lotta Continua, oggi invece berlusconiano (e anti-islamista). Non fu certo l’unico: la stessa posizione fu assunta anche da tanti esponenti della sinistra iraniana. Khomeini usò intelligentemente le loro aspirazioni per conquistare il potere, far nascere la repubblica islamica e silenziare ogni oppositore.

Colpo di grazia, nel 1989 crollarono anche il muro di Berlino, l’Unione Sovietica e i regimi che le erano alleati. A posteriori, si può dire che crollò anche la sinistra classica così come la conoscevamo. Nel comprensibile vuoto ideale che si creò negli anni seguenti, i dirigenti seguirono in massa la moderatissima terza via di Tony Blair; altri, molto meno numerosi, si raccolsero invece intorno ai centri sociali e nei network nati grazie a internet, dando vita a una nuova sinistra extraparlamentare. Più che nella società, avrebbe attecchito negli ambienti intellettuali. Uno dei pensatori che avrebbe conosciuto un considerevole successo sarebbe stato Michel Foucault, che qualche anno prima era tra coloro che inneggiava a Khomeini, e il cui pensiero è stato fatto proprio non soltanto a sinistra.

Nel giro di pochi anni, dunque, il panorama era completamente cambiato. I processi avviati allora sono giunti adesso a completa maturazione. E certi nodi cominciano a venire al pettine.

Soprattutto in Francia. Dove una sinistra divisa e litigiosa non ha al momento alcuna seria possibilità di arrivare al ballottaggio delle presidenziali 2022, dopo esserne già stata esclusa nel 2017. E dove il governo centrista comincia ad affrontare in maniera risoluta – forse anche troppo risoluta – la sempre più sfrontata sfida islamista. Macron si sta infatti rivelando una specie di estremista popperiano, energicamente deciso a non essere in alcun modo «tollerante con gli intolleranti» (sta infatti mettendo fuorilegge il movimento di estrema destra Génération Identitaire). Sulla stessa lunghezza d’onda, la ministra dell’insegnamento superiore, Frédérique Vidal ha voluto cogliere due piccioni con una fava e ha annunciato l’avvio di un’indagine per accertare quanto il mondo accademico sia “complice” di tale sfida. Senza dar luogo a fraintendimenti: «l’islamo-gauchisme è una cancrena della società nel suo insieme e l’università non ne è immune».

L’espressione ‘islamo-gauchisme’ non è ovviamente molto usata né a sinistra, né nelle comunità islamiche, perché evidenzia una congiunzione tra i due ambienti e ne sottintende l’alleanza. Non è certo adeguata a definirne il perimetro: tutto l’islam? tutta la sinistra? Dove si colloca, secondo la ministra, il confine tra l’empatia per i musulmani e il collaborazionismo con i jihadisti? Domande senza risposta, al momento. In ogni caso, rettori, docenti e ricercatori francesi sono immediatamente intervenuti per contestarla. Il Centro nazionale della ricerca scientifica ha sostenuto che l’islamo-gauchisme non è altro che «uno slogan politico che non corrisponde ad alcuna realtà scientifica»: affermazione a sua volta incoerente, perché l’essere uno slogan costituisce già di per sé una realtà scientificamente verificabile. Secondo un sondaggio, esiste ed è molto diffuso per il 59% dei francesi.

Nel mondo anglosassone non si usa ovviamente parlare di ‘islamo-gauchisme’, ma ‘regressive left

Nel mondo anglosassone non si usa ovviamente parlare di ‘islamo-gauchisme’, ma ‘regressive left’ occupa lo stesso campo semantico. Sarà un caso, ma pressoché contemporaneamente Boris Johnson ha presentato un’iniziativa legislativa per la libertà di espressione nelle università. Anche i rapporti tra politica e islam sono controversi, oltremanica, come ha ampiamente mostrato negli stessi giorni un episodio che ha suscitato un discreto scalpore. Nel programma radiofonico della Bbc Woman’s Hour la giornalista Emma Barnett, nota per il suo approccio molto diretto, ha intervistato Zara Mohammed, neo-eletta alla guida del Consiglio musulmano della Gran Bretagna. Le ha chiesto ripetutamente quante imam vi fossero nella nazione, senza però ottenere risposta – che probabilmente avrebbe dovuto essere «zero».

La trasmissione ha dato origine a una lettera di protesta alla Bbc sottoscritta da circa duecento personaggi pubblici, musulmani e no (numerosi i politici), in cui si sostiene che l’intervista è stata «sorprendentemente ostile». Il documento stigmatizza i pregiudizi anti-islamici e chiede maggior impegno a favore dei musulmani inglesi. La Bbc si è presa tempo per riflettere e rispondere, ma intanto ha già rimosso il tweet originale che conteneva un estratto dell’intervista. Scatenando ulteriori contestazioni dalla parte opposta.

Il problema sussiste quindi in paesi abbastanza diversi fra loro quali Francia e Regno Unito. Anche in Italia, in passato, ci sono stati eventi che hanno fatto altrettanto discutere. Lasciando da parte la recente e tristissima esibizione saudita di Matteo Renzi (che rientra semmai nel business as usual), Nadia Desdemona Lioce, una delle ultime terroriste di sinistra, affermò nel 2003 che gli islamici dovevano essere considerati «alleati naturali delle Brigate Rosse». Davide Piccardo, contiguo ai Fratelli musulmani, fu candidato con Sel alle elezioni comunali milanesi del 2011; nel 2016 Sumaya Abdel Qader, a sua volta vicina al movimento integralista, fu invece eletta con il Pd.

È dunque quantomeno accertato che vi sono politici di sinistra che intervengono a favore dei musulmani e musulmani che entrano in politica a sinistra. Del resto, difficilmente possono farlo nella destra, diventata ormai un deserto nazionalista-cristiano. E il mondo accademico non è certo immune da tale meccanismo. Anzi: ha (giustamente) l’ulteriore vantaggio di non essere sottoposto al vaglio degli elettori.

Che esista una sintonia tra ambienti culturali della sinistra e l’islam radicale è peraltro un dato di fatto, come denuncia da tempo chi in Francia si definisce di «sinistra repubblicana», «universalista». L’esempio più illustre è rappresentato dal giornalista Edwy Plenel, fondatore del sito internet Mediapart, che nel 2014 ha scritto un libro intitolato Pour les musulmans e che dieci giorni dopo la strage del Charlie Hebdo partecipò a un evento insieme al controverso teologo Tariq Ramadan (la cui cattedra a Oxford era stata pagata dal Qatar). Plenel, che tra l’altro dirige un master di giornalismo all’università di Montpellier, è uno dei più infaticabili denunciatori dell’islamofobia contro i musulmani.

Un altro rappresentante, conosciuto anche da noi per i contributi pubblicati da Internazionale, è il sociologo franco-iraniano Farhad Khosrokhavar. Che va oltre Plenel, denunciando frequentemente anche il «fondamentalismo laico» di chi critica l’islam e «l’oppressione» di cui sarebbero vittime i musulmani francesi, che a suo dire accelererebbero la diffusione delle idee islamiste. Un suo articolo, pubblicato da Politico subito dopo l’assassinio di Samuel Paty, attaccava fin dal titolo La pericolosa religione francese della laicità: è stato poi sommerso dalle critiche (anche dello stesso Macron) e quindi ritirato dalla testata perché, ha scritto il direttore, «non assicurava i nostri standard editoriali».

Anche in questo caso, quanto accade in Inghilterra è sorprendentemente simile

L’accusa di ‘islamofobia’ può comportare la cancellazione di eventi universitari, come è capitato all’esperto di radicalizzazioni Mohamed Sifaoui. La presentazione del libro di Charb, il direttore del Charlie Hebdo che fu ucciso nella strage, è stata vietata a Lille e si è svolta sotto protezione della polizia a ParigiAnche in questo caso, quanto accade in Inghilterra è sorprendentemente simile. Maryam Namazie, leader degli ex musulmani britannici, è stata inizialmente censurata all’ateneo di Warwick, ed è stata aggredita e minacciata di morte durante una conferenza in un’università a Londra.

Si capisce quindi perché siano i rispettivi governi, non certo progressisti, e non i vertici degli atenei a battersi (quantomeno a parole) per la libertà di espressione. I docenti e gli studenti non devono certo essere censurati, ma lo stesso non deve capitare a chi critica l’islam (o qualunque altra religione), né si devono diffondere l’autocensura e l’omertà, né si deve pensare che vi sono programmi di ricerca esenti da critica (magari finanziati da stati esteri interessati e ben poco democratici). Le università devono insegnare e praticare il pluralismo, e devono farlo alla luce del sole.

Peraltro, l’accusa di ‘islamofobia’ è spesso arbitrariamente appaiata a quella di razzismo. Ma Sifaoui e Namazie non possono certo essere accusati di razzismo, così come altri critici britannici dell’islamismo quali Trevor Phillips e Majid Nawaz, che per soprammercato è a sua volta musulmano. In quanto riformista è però finito comunque nelle blacklist dei killer jihadisti. La critica dovrebbe rappresentare un prerequisito per qualunque riforma dell’islam: negarla, significa dunque non volerla. Ma, come ha scritto Kacem El Ghazzali, chi da posizioni liberal o progressiste lancia accuse di ‘islamofobia’ contro chi denuncia gli integralisti islamici, si guarda bene dall’adottare la stessa posizione nei confronti degli integralisti cristiani. E dire che l’accusa di ‘islamofobia’, a differenza di quelle di ‘islamo-gauchisme’ o di ‘sinistra regressiva’, è decisamente più pericolosa.

Curiosamente ma non tanto, i due fronti brandiscono un’espressione ma rifiutano l’altra. Capita, nell’epoca delle identità sbandierate. Il problema è che gli esseri umani (e le organizzazioni in cui si uniscono) hanno molte identità, e assumere certe posizioni anziché altre finisce quindi per definire quale delle diverse identità è ritenuta prioritaria. Per la deputata inglese Naz Shah, per esempio, è sicuramente quella musulmana. Favorevole ai tribunali islamici, qualche anno fa propose di ricollocare Israele negli Stati Uniti. Ciononostante, in seguito fu nominata ministro-ombra laburista alle pari opportunità. Sorprende che abbia sottoscritto la lettera di protesta alla Bbc? No. Sorprende semmai che sia ancora una leader laburista. Anzi, forse nemmeno questo sorprende più.

Eppure, non dovrebbe essere così strano che, in un programma dedicato alle donne, si domandi quante donne svolgono (se lo possono svolgere) un certo incarico. A bocce ferme, se non conoscessimo di quale incarico si tratta, lo definiremmo persino un atteggiamento progressista. Come ha sottolineato Kenan Malik, sostenere che «i leader musulmani non devono essere sottoposti alle stesse crude domande di chiunque altro è difficilmente un buon argomento in favore delle pari opportunità». Ma una corrente consistente della sinistra non si riconosce più in tale scopo, se coinvolge una religione di minoranza. Non è più per l’emancipazione di tutte le donne ma per il sostegno all’hijiabizzazione di quelle musulmane, che fu il provvedimento centrale della politica khomeinista e che ovunque è l’obbiettivo numero uno di tutti gli islamisti, sciiti o sunniti che siano. Non più per la libertà di espressione, ma per il politicamente corretto. Non più per la laicità, ma per la deroga al principio di uguaglianza e per la concessione di privilegi comunitaristi. L’incondizionato sostegno alla causa palestinese la porta a sostenere gli estremisti di Hamas, e pazienza se i laici palestinesi sono costretti al silenzio o all’esilio.

Scale di priorità, appunto. C’è una scala di priorità anche quando si decide di non attaccare l’islam per non fare il gioco dell’estrema destra, anche se così facendo si rischia di cadere dalla padella fascista alla brace islamista – perché entrambe sono ideologie di estrema destra. Non sono caratteristiche ristrette alla sinistra alternativa: sono ormai tipiche anche di quella parlamentare e persino degli stessi liberal, se è più facile entrare nel Congresso Usa da musulmani che da atei. È una sinistra nuova, diversa da quella a cui eravamo abituati negli anni settanta. A occhio e croce, sta vincendo a mani basse contro quella “vecchia”. Ma soltanto contro di essa.

Se la priorità è la laicità, non fai sconti a nessun politico e a nessuna religione. Se è la politica, è comprensibile che per raggiungere i tuoi fini preferisci accantonarla, facendo piazza pulita della tua storia. Resta il fatto che la rimozione di un problema non è mai la soluzione del problema: al contrario, rappresenta un ulteriore problema da risolvere. La storia insegna che, se scegli questa strada, stai sottovalutando gli effetti collaterali. Come la sinistra iraniana ha tragicamente sperimentato sulla propria pelle.

Raffaele Carcano

FONTE: https://blog.uaar.it/2021/02/26/quelle-relazioni-pericolose-tra-sinistra-islam/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Quantum dots, gli africani usati come cavie dalla Fondazione Gates per testare l’iniezione di nanoparticelle che marcano i vaccinati

 

La notizia molto difficilmente potrebbe essere qualificata come «teoria del complotto» poiché è oggetto di un dispaccio dell’Agence France Presse (AFP) diffuso a suo tempo dal quotidiano Le Monde, il principale giornale francese impegnato nel mantenere viva la narrazione universale sul COVID.

«Gli ingegneri del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno inventato nanoparticelle iniettabili sottocutanee che emettono luce fluorescente invisibile ad occhio nudo ma visibile a uno smartphone, e che un giorno potrebbero essere utilizzate per confermare che la persona è stata vaccinata».

«La Gates Foundation, che finanzia il progetto, ha anche lanciato sondaggi d’opinione in Kenya, Malawi e Bangladesh per determinare se le persone saranno pronte ad abbracciare questi microscopici punti quantici o preferiranno restare con le vecchie carte di vaccinazione (…) L’idea è di scrivere la prova del vaccino sul corpo stesso (…) Il sistema, descritto  sulla rivista Science Translational Medicine, ha finora solo stato testato su topi, ma i ricercatori, finanziato dalla Bill e Melinda Gates Foundation (partner del Mondo Africa), nella speranza di metterli alla prova sugli esseri umani in Africa nel corso del prossimo due anni, ha detto all’AFP la coautrice Ana Jaklenec, ingegnere biomedico al MIT».

Nel comunicato vi era spazio anche per i dettagli tecnici. «La ricetta finale è composta da nanocristalli a base di rame, chiamati punti quantici, di 3,7 nanometri (nm) di diametro e incapsulati in microparticelle di 16 micrometri (μm, 1 μm equivale a un milionesimo di metro e 1 nm equivale a uno miliardesimo). Il tutto viene iniettato da un patch di microaghi di 1,5 mm di lunghezza. Dopo essere stati applicati sulla pelle per due minuti, i microaghi si sciolgono e lasciano i piccoli puntini sotto la pelle, distribuiti ad esempio a forma di cerchio o croce. Questi piccoli punti sono eccitati da una parte dello spettro luminoso a noi invisibile, vicino all’infrarosso».

Il dispositivo per il riconoscimento di queste tracce «luminose» sistemate sui vaccini ce lo abbiamo già tutti, in tasca.

«I ricercatori vorrebbero che potessimo iniettare il vaccino contro il morbillo contemporaneamente a questi piccoli punti. Anni dopo, un medico potrebbe puntare uno smartphone per verificare se la persona è stata vaccinata»

«Uno smartphone modificato, puntato sulla pelle, permette al cerchio o alla croce di apparire fluorescenti sullo schermo. I ricercatori vorrebbero che potessimo iniettare il vaccino contro il morbillo contemporaneamente a questi piccoli punti. Anni dopo, un medico potrebbe puntare uno smartphone per verificare se la persona è stata vaccinata».

L’idea è di scrivere la prova del vaccino sul corpo stesso

La Gates Foundation sta continuando il progetto e finanziando sondaggi di opinione in Kenya, Malawi e Bangladesh per determinare se le persone saranno pronte ad abbracciare questi microscopici Quantum Dots («punti quantici») o preferiranno restare con le vecchie carte di vaccinazione.

FONTE: https://www.renovatio21.com/quantum-dots-gli-africani-usati-come-cavie-dalla-fondazione-gates-per-testare-liniezione-di-nanoparticelle-che-marcano-i-vaccinati/

 

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