RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 30 MAGGIO 2022

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 30 MAGGIO 2022

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

“Napoli punto e basta”!

Perché a Napoli “niente”, ma “proprio niente” si sa, e chi pensa di sapere, resta spiazzato, perché la città si muove seguendo “improvvisazioni”: Villa Comunale, una panchina davanti l’Acquario con sopra sei copie di un romanzo dal titolo “Connessioni”. Ogni sabato il libro torna a sedersi là! Ci si domanda: “Ma chi lo ha messo? E’ un’iniziativa del Comune? Della Casa Editrice, o dell’Autore”. Domande senza risposte. E chi vive secondo “ogni lasciato è perso”, allunga una mano e si porta il libro a casa restando con domande senza risposta: perché si tratta sempre di “Napoli punto e basta!”

FRANCESCA SIFOLA, https://www.francescasifola.it/flash

 

 

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SOMMARIO

SEGUITE IL DANARO … DI MPS
PARTE L’ESPROPRIO IMMOBILIARE
Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa
USA ha scelto l’escalation
LA FINE DEL MONDO BUONO
BERGOGLIO: LA PROPRIETA’ E’ UN FURTO
Vaccini, milioni di dosi avanzano. E l’Aifa sposta di 3 mesi la scadenza
Quattro navi NATO attraccano nei porti finlandesi a garanzia del passaggio
Ambiguità e mancanza di chiarezza sull’Ucraina: Biden sotto accusa
S’intensifica l’aggressività turca nei confronti della Grecia: 90 sorvoli in un giorno
I pataccari del pensiero vogliono fare continuare la guerra sine die
Cina, risposta a Biden: manovre militari vicino a Taiwan
Elémire Zolla, il mago bifronte
La fabbrica della “russofobia” in Occidente
Mosca accusa: «Dietro il vaiolo delle scimmie ci sono i laboratori USA in Nigeria»
GLI HACKER ATTACCANO L’ITALIA DOPO AVERE SENTITO LE PERCENTUALI DI COLAO?
Italia, la lunga crescita è finita?
Referendum giustizia, perché dire basta al carcere preventivo
NEOLINGUA: SCONFITTA E RESA DIVENTANO UN’EVACUAZIONE
Posterità
LETTERE DI DISOCCUPATI
Russia e Cina: Il momento peggiore della storia arriverà presto
INDIA SOSPESA
L’OCCIDENTE E L’UCRAINA  SI PREGIANO DI COMBATTERE LA RUSSIA MA ESIGONO CHE PUTIN SBLOCCHI  IL GRANO UCRAINO
ALLONTANARE LA RUSSIA SIGNIFICA AVVICINARE LA TERZA GUERRA MONDIALE
The Washington Post: Biden ha pianificato ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO prima della guerra in Ucraina
Falcone e Borsellino non sono dei santini: buttiamo via la retorica e guardiamo l’abisso
ESTERNO MORO
Killnet Russia contro Anonymous Italia
28 maggio, Strage di Brescia: il silenzio omertoso sulla NATO
Strage di Capaci, 30 anni dopo: un affresco internazionale

 

 

 

EDITORIALE

SEGUITE IL DANARO … DI MPS

Manlio Lo Presti – 30 05 2022

FONTE IMMAGINE: https://www.milanofinanza.it/news/processo-mps-tutti-assolti-su-alexandria-c-202205061337044861

Molto si è detto e si continuerà a discettare sulla sfortuna di D. Rossi. Da tempo, viene da pensare che l’infausto evento sia diventato la foglia di fico utilizzata per continuare a concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’omicidio. Si sono create commissioni parlamentari, interrogazioni parlamentari, relazioni di avvocati Sono stati reclutati criminologi, taxidermisti, notomisti, psichiatri, squadre di analisti, opinionisti. Sono sorti movimenti di popolo, canali d’informazione, canali “social”, ecc. mentre il tempo passa e non si guarda “altrove”!

Concentrati tutti i riflettori sulla vicenda criminosa, nessuno, ripeto nessuno, ha voluto indagare rapidamente, seriamente, direttamente, efficacemente sulla destinazione vera dei miliardi scomparsi, dei miliardi intermediati con centinaia di bonifici. Se ne potrebbero trovare le tracce nelle evidenze contabili della banca. Nessuno lo ha ancora fatto! Perché? Eppure, i dati sono stati doverosamente trasmessi periodicamente agli organi ispettivi apicali di Bankitalia prima durante e dopo la vicenda. Erano in possesso della medesima documentazione Consob, Guardia di Finanza, Corte dei conti, Servizi segreti nazionali, vari Ministeri di competenza, la sequenza dei Governi in carica e quindi l’Eurosistema: tutti zitti!

Nessuno di questi centri di responsabilità ha detto granché. Hanno ben presente che ciò certificherebbe la loro chiamata di responsabilità in ordine al tracollo di MPS. Certificherebbe chiaramente una loro gestione a dir poco insufficiente, con chiamata diretta di tutti coloro che erano ai vertici delle ridette istituzioni all’epoca dei fatti in Italia, nella UE e oltre la UE!

Si può pensare che decine e decine di prestanome si siano accollati la marea di fango su di loro?

Se i giudici hanno lavorato con scienza e coscienza, è lecito avere dubbi, tanti dubbi?

Questa potrebbe, ripeto potrebbe, essere una chiave di lettura in relazione alle recenti assoluzioni, dopo anni di processi, dei vertici di MPS. Non sarebbe ora di ripartire alla ricerca dei veri destinatari del riciclaggio?

Non viene detto nulla sulle conseguenze, a ridosso delle vicende MPS, ai danni di varie banche intermediatrici nazionali ed estere e sull’infausto destino talvolta mortale di vari banchieri coinvolti fuori dall’Italia.

Non si è indagato sulla sorprendente lentezza di reazione della Commissario europeo per la concorrenza sulle indagini riguardanti MPS, ma che ha fatto rapidamente fallire varie banche popolari italiane risultate poi del tutto estranee e senza la conseguente rimozione della stessa Commissario europeo per la concorrenza! Nessuno ha avuto da ridire sulla BCE rapidissima a bacchettare la ex-italia su ogni minima infrazione, della banca d’Italia, tanto lesta a martellare piccole casse di risparmio ma avrebbe fatto molto di più non tacendo per un decennio sul MPS diventato un caso internazionale. MPS è un caso di cui nessuno vuole cercare veramente la soluzione perché implicherebbe il tracollo dell’impalcatura ispettiva dell’Eurosistema e delle sue sussidiarie nazionali. È questa enorme, collosa, impermeabile parete di silenzi e di ferrea omertà che fa sospettare. Ma nessuno si è fatto le domande giuste. Perché? Come in altri casi nella storia della nostra Repubblica, intanto i decenni scorrono, scorrono, scorrono … senza risposte.

Parlare della drammatica fine di Davide Rossi è doveroso ma non basta! I politici della ex-italia devono compiere il loro dovere aprendo finalmente i “cassetti” che contengono le tracce di cosa è realmente accaduto facendo emettere rapidamente decine di mandati di cattura nazionali e internazionali. Il focus del più grande scandalo bancario italiano sarebbe da orientare sugli organi di controllo in capo ai ruoli ispettivi dell’unione europea tempo per tempo in carica allo svolgimento degli atti criminosi! Anche la recente assoluzione degli esponenti di MPS fa sempre più pensare che le responsabilità siano da cercare altrove, che i beneficiari siano “altri”. Tutto questo se la sentenza è corretta. Forse il processone MPS è stato un diversivo che ha preso anni di tempo? Forse gli imputati sono stati usati come paraventi? Forse come prestanome? Forse tutte e due?

La magnitudine della somma svanita e delle successive capitalizzazioni dell’antichissimo e prestigioso istituto bancario dovrebbero sollevare decine di sospetti sullo svolgimento delle indagini nazionali e comunitarie sul problema. A nessuno è sembrato strano che, improvvisamente, i suoi dirigenti siano repentinamente diventati tutti imbecilli e incapaci di erogare correttamente il credito per conto di una banca che esiste – chissà perché – da oltre 540 anni? E, sempre improvvisamente, fino a 15 anni fa, al di fuori dei riflettori e dopo data in pasto alla macchina del fango?

Non sarebbe ora di cercare altrove, di aprire altre piste dedicate alla ricerca della destinazione effettiva della montagna di soldi scavalcando prestanomi, saltimbanchi, nani e ballerine?

Tutto questo accade e continua ad accadere perché è più facile parlare degli effetti che non delle “cause”, bellezza!

 

TEMI TRATTATI

MPS, Davide Rossi, avvocati, criminologi, taxidermisti, notomisti, psichiatri, squadre di analisti, opinionisti, movimenti di popolo, canali d’informazione, canali “social”, miliardi intermediati con centinaia di bonifici, evidenze contabili della banca, Bankitalia, Consob, Guardia di Finanza, Corte dei conti, Servizi segreti nazionali, vari Ministeri di competenza, la sequenza dei Governi in carica e quindi l’Eurosistema, UE, prestanomi, sentenza assolutoria, riciclaggio, Commissario europeo per la concorrenza, banche popolari italiane, casse di risparmio, BCE, ex-italia, domande giuste, aprire i cassetti, organi ispettivi UE, organi di controllo italiani, Mps oltre 540 anni, macchina del fango, destinazione effettiva dei soldi MPS,

 

 

 

IN EVIDENZA

PARTE L’ESPROPRIO IMMOBILIARE

Parte l’esproprio immobiliareDal 2012, con l’arrivo del Governo di Mario Monti, sentiamo costantemente ripetere da blasonati professoroni e supertecnici della finanza (pubblica e privata) che per addrizzare gli italiani necessita bruciare loro i risparmi, perché non sanno adoprarli, soprattutto togliere loro la proprietà di casa, perché immobilizzazione di risorse sottratte ai mercati. Oggi, grazie a Mario Draghi e alla sua capacità di “ricatto”, la porta è bella e sfondata. A luglio Supermario privatizzerà l’acqua italiana, in forza d’un atto d’imperio sul Parlamento, volutamente dimenticando il referendum sull’acqua pubblica. L’ingresso delle multinazionali nella proprietà d’un bene primario, e nella gestione dei servizi idrici, permetterà ai grandi gruppi di condizionare le opere di urbanizzazione e la pianificazione territoriale dei Comuni e di tutti gli Enti locali: mettendo così la proprietà privata in balia di colossi societari che hanno la possibilità d’espropriare terreni ed appartamenti, convincendo le Amministrazioni locali che sarebbe doveroso cambiar faccia alle città, trasformarle buttando giù tutto.

Questo stravolgimento è già stato sperimentato nelle aree terremotate marchigiane, dove in nome del ppp (partenariato pubblico-privato) sono stati ceduti dallo Stato ai colossi privati i diritti sulla proprietà privata dei cittadini. Con l’estensione del partenariato ai diritti fondamentali (acqua, casa, risparmio) la vita stessa dei cittadini è ormai a disposizione della cricca di potere che finanzia il Forum economico mondiale di Davos: da quest’ultimo dipendono le scelte dei governi degli ultimi dieci anni. Il ppp non è una terribile parolaccia (forse lo è) ma l’acronimo di “Partenariato pubblico-privato”: voce che negli stessi libri di diritto presenta aspetti equivoci e motivazioni carenti. Il ppp è una forma di cooperazione tra poteri (pubblici e privati): un accordo plutocratico con l’obiettivo di finanziare, costruire e gestire infrastrutture o fornire servizi di interesse pubblico (come far gestire i soldi statali delle emergenze a multinazionali come BlackRockAmazonMicrosoft). Di fatto, è una cooperazione tra autorevoli comitati d’affari, motivata dallo Stato come “capacità d’attrarre investimenti privati”, e con la clausola di vaselina aggiuntiva delle “competenze non disponibili all’interno della pubblica amministrazione”. Il ppp funziona come la vecchia Fiat: i profitti sono sempre degli investitori privati, ma le perdite sono per contratto spalmate sui cittadini. Il partenariato mette la collettività di fronte all’atto compiuto, e senza nemmeno la possibilità che una “class action” (come nel mondo anglosassone) possa inchiodare il privato alle proprie responsabilità, a pagare gli eventuali danni.

In forza di questo modello, Draghi prima privatizzerà l’acqua e poi aprirà agli stravolgimenti urbanistici: per esempio, obbligo delle cessione di terra o casa da parte dei cittadini ai grandi gruppi. Nel diritto agrario va detto che la prelazione del confinante nell’acquisto d’un terreno esiste da sempre, ma ora questa prelazione (con blocco del mercato immobiliare urbano) potrà essere introdotta in città e paesi, e su ogni bene registrato. In un futuro molto vicino, se un cittadino metterà in vendita casa dovrà prioritariamente accettare l’offerta dei grandi gruppi, che potrebbe essere scartata solo previo giudizio d’un tribunale: come già avviene negli Usa. E questo, secondo i finanziatori del Governo Draghi, permetterebbe a un unico proprietario di rimodernare le città, di stravolgerle. Come già avvenuto ad Amsterdam, Amburgo, New York e San Francisco tra fine Ottocento e i primi del Novecento. Va detto che nemmeno a livello di normative dell’Unione europea esistono definizioni esatte del Ppp. Il testo di “diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni” (Comunicazione Commissione Ue 30 aprile 2004, Com 2004 numero327) chiarisce che “con tale termine ci si riferisce, in generale, a forme di cooperazione tra le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione e la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura oppure la fornitura di un servizio”. Di fatto il partner pubblico dovrebbe vigilare sugli obiettivi da raggiungere, e per il bene della collettività: perché il ppp mette mani a strade, ferrovie, porti, aeroporti, energia, acqua, salute. Quindi lo Stato dovrebbe vigilare sui prezzi che il privato pratica alla comunità (per acqua o per il fitto dei beni espropriati e poi rimessi sul mercato) e se gli indennizzi ed i risarcimenti avvengano per davvero e sono congrui. Il rischio è che decine di milioni d’italiani verrebbero danneggiati e messi in povertà, forse anche trascinati nei tribunali e rovinati attraverso il sistema delle cause civili.

Così, il modello espropriativo del “bene casa” segue a ruota quello del “bene acqua”. Per abolire la micro-proprietà privata (i piccoli proprietari), il metodo parte con l’inasprimento della tassazione (Imu, Tasi, reddito) e l’aumento d’imposizioni normative (messa a norma Ue). E poi s’irrobustisce con la possibilità per i grandi privati d’acquisire a prezzo politico interi quartieri (come avvenne a San Francisco). Così, in pochi anni i proprietari di appartamenti dovrebbero ricevere una comunicazione del Comune che, in caso di messa in vendita dell’immobile, devono prima di tutto proporlo ad un gruppo industriale. Nel momento in cui il gruppo possiederà la maggior parte delle quote millesimali d’un palazzo, potrà procedere coattamente all’esproprio (e per via giudiziale del restante). Con questa trovata del partenariato, ed in nome d’un fumoso progresso, cambierà la vita dei cittadini, meno liberi e al giogo dei gruppi multinazionali.

FONTE: https://www.opinione.it/economia/2022/05/30/ruggiero-capone_acqua-privatizzata-esproprio-immobiliare-draghi-monti/

Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa

di Manlio Dinucci

03 March 2022

La commissaria Ursula von der Leyen ha annunciato che la Ue mette al bando l’agenzia di stampa russa Sputnik e il canale Russia Today così che «non possano più diffondere le loro menzogne per giustificare la guerra di Putin con la loro disinformazione tossica in Europa». La Ue instaura così ufficialmente l’orwelliano Ministero della Verità, che cancellando la memoria riscrive la storia. Viene messo fuorilegge chiunque non ripete la Verità trasmessa dalla Voce dell’America, agenzia ufficiale del governo Usa, che accusa la Russia di «orribile attacco completamente ingiustificato e non provocato contro l’Ucraina». Mettendomi fuorilegge, riporto qui in estrema sintesi la storia degli ultimi trent’anni cancellata dalla memoria.

Nel 1991, mentre terminava la guerra fredda con il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, gli Stati uniti scatenavano nel Golfo la prima guerra del dopo guerra fredda, annunciando al mondo che «non esiste alcun sostituto alla leadership degli Stati uniti, rimasti il solo Stato con una forza e una influenza globali».

Tre anni dopo, nel 1994, la Nato sotto comando Usa effettuava in Bosnia la sua prima azione diretta di guerra e nel 1999 attaccava la Jugoslavia: per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1.100 aerei effettuano 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili che distruggevano in Serbia ponti e industrie, provocando vittime soprattutto tra i civili.

Mentre demoliva con la guerra la Jugoslavia, la Nato, tradendo la promessa fatta alla Russia di «non allargarsi di un pollice ad Est», iniziava la sua espansione ad Est sempre più a ridosso della Russia, che l’avrebbe portata in vent’anni a estendersi da 16 a 30 membri, incorporando paesi dell’ex Patto di Varsavia, dell’ex Urss e della ex Jugoslavia, preparandosi a includere ufficialmente anche Ucraina, Georgia e Bosnia Erzegovina, di fatto già nella Nato (il manifesto, Che cos’è e perché è pericoloso l’allargamento a Est della Nato, 22 febbraio 2022), Passando di guerra in guerra, Usa e Nato attaccavano e invadevano l’Afghanistan nel 2001 e l’Iraq nel 2003, demolivano con la guerra lo Stato libico nel 2011 e iniziavano tramite l’Isis la stessa operazione in Siria, in parte bloccata quattro anni dopo dall’intervento russo. Solo in Iraq, le due guerre e l’embargo uccidevano direttamente circa 2 milioni di persone, tra cui mezzo milione di bambini.

Nel febbraio 2014 la Nato, che dal 1991 si era impadronita di posti chiave in Ucraina, effettuava tramite formazioni neonaziste appositamente addestrate e armate, il colpo di stato che rovesciava il presidente dell’Ucraina regolarmente eletto. Esso era orchestrato in base a una precisa strategia: attaccare le popolazioni russe di Ucraina per provocare la risposta della Russia e aprire così una profonda frattura in Europa. Quando i russi di Crimea decidevano con il referendum di rientrare nella Russia di cui prima facevano parte, e i russi del Donbass (bombardati da Kiev anche col fosforo bianco) si trinceravano nelle due repubbliche, iniziava contro la Russia la escalation bellica della Nato. La sosteneva la Ue, in cui 21 dei 27 paesi membri appartengono alla Nato sotto comando Usa.

In questi otto anni, forze e basi Usa-Nato con capacità di attacco nucleare sono state dislocate in Europa ancora più a ridosso della Russia, ignorando i ripetuti avvertimenti di Mosca. Il 15 dicembre 2021 la Federazione Russa ha consegnato agli Stati Uniti d’America un articolato progetto di Trattato per disinnescare questa esplosiva situazione (il manifesto, «Mossa aggressiva» russa: Mosca propone la pace, 21 dicembre 2021). Non solo è stato anch’esso respinto ma, contemporaneamente, è cominciato lo schieramento di forze ucraine, di fatto sotto comando Usa-Nato, per un attacco su larga scala ai russi del Donbass. Da qui la decisione di Mosca di porre un alt alla escalation aggressiva Usa.Nato con l’operazione militare in Ucraina.

Manifestare contro la guerra cancellando la storia, significa contribuire consapevolmente o no alla frenetica campagna Usa-Nato-Ue che bolla la Russia quale pericoloso nemico, che spacca l’Europa per disegni imperiali di potere, trascinandoci alla catastrofe.

FONTE:

 

 

USA ha scelto l’escalation

“Vogliamo vedere la disfatta strategica della Russia”:  così l’ambasciatrice  americana presso la NATO Julie Smith a  Varsavia,  il 20 maggio. “Vogliamo  vedere la Russia lasciare l’Ucraina”.

 

“Lo stato maggiore [ucraino] ha da tempo un gruppo di consiglieri della NATO che stanno pianificando operazioni militari. Recentemente è iniziato un forte confronto a causa dell’atteggiamento dei generali statunitensi nei confronti delle nostre truppe come carne da cannone, che vengono inviate al massacro sul fronte orientale.  scrive Resident, il canale ucraino di Telegram.

Come affermato in precedenza dal canale telegram  Legitimny , in Ucraina è dispiegato un gruppo di ufficiali delle forze armate statunitensi, che hanno l’autorità di impartire direttamente ordini alle unità e formazioni ucraine, nonché annullare ordini dal comando delle forze armate di Ucraina e Guardia Nazionale. In caso di disobbedienza ai comandi americani, Kiev rischia di rimanere senza il supporto finanziario e militare di Washington. Allo stesso tempo, gli americani richiedono azioni più decisive dalle forze armate ucraine: una controffensiva e non “seduta nelle città”.

http://www.fondsk.ru/news/2022/05/23/ukrainskie-voennye-i-zelenskij-otnoshenija-pod-znakom-voprosa-56255.html

 

Gli Stati Uniti si preparano ad approvare un avanzato sistema missilistico a lungo raggio per l’Ucraina

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un Multiple Launch Rocket System (MLRS) americano. Ha gettata fino a 500 chilometri.

Nelle ultime settimane alti  dirigenti  ucraini, incluso il presidente Volodymyr Zelensky, hanno chiesto agli Stati Uniti e ai loro alleati di fornire il Multiple Launch Rocket System, o MLRS. I sistemi d’arma fabbricati negli Stati Uniti possono sparare una raffica di razzi per centinaia di chilometri – molto più lontano di qualsiasi altro sistema già presente in Ucraina – che secondo gli ucraini potrebbe essere un punto di svolta nella loro guerra contro la Russia .

Un altro sistema richiesto dall’Ucraina è il sistema missilistico di artiglieria ad alta mobilità, noto come HIMARS, un sistema a ruote più leggero in grado di sparare molti degli stessi tipi di munizioni dell’MLRS.  L’MLRS può sparare ancora molto più lontano di qualsiasi altra artiglieria che gli Stati Uniti hanno inviato fino ad oggi.

L’amministrazione Biden ha rinunciato per settimane, tuttavia, all’eventuale invio dei sistemi, tra le preoccupazioni sollevate all’interno del Consiglio di sicurezza nazionale che l’Ucraina potesse utilizzare le nuove armi per effettuare attacchi offensivi all’interno della Russia, hanno affermato i funzionari.

L’ampio raggio d’azione dei sistemi a razzo. L’MLRS e la sua versione più leggera, l’HIMARS, possono lanciare fino a 300 km, o 186 miglia, a seconda del tipo di munizione. Vengono sparati da un veicolo mobile contro obiettivi terrestri, il che consentirebbe agli ucraini di colpire più facilmente obiettivi all’interno della Russia.

Si ritiene che l’Ucraina abbia già effettuato numerosi attacchi transfrontalieri all’interno della Russia , che i funzionari ucraini non confermano né negano. Funzionari russi hanno affermato pubblicamente che qualsiasi minaccia alla loro patria costituirebbe una grande escalation e hanno affermato che i paesi occidentali si stanno rendendo un obiettivo legittimo nella guerra continuando ad armare gli ucraini.

Venerdì, dopo che la CNN ha riportato la notizia per la prima volta, i russi hanno avvertito che gli Stati Uniti “attraverseranno una linea rossa” se forniranno i sistemi all’Ucraina.

Da Avia.Pro:

 

Gli Stati Uniti hanno trasferito all’Ucraina 24.000 sistemi missilistici anticarro e 1.033 sistemi di difesa aerea.

 

Gli Stati Uniti hanno annunciato il trasferimento delle loro armi in Ucraina. Come è noto, dall’inizio dell’operazione speciale militare russa in Ucraina, gli Stati Uniti hanno fornito a Kiev 24.000 sistemi missilistici anticarro, 1.033 sistemi di difesa aerea, 1.468 missili, 90 sistemi di artiglieria, 9 elicotteri, 33 radar, 7.888  piccole armi.

Il trasferimento di un così gran numero di armi non è ovviamente l’ultimo passo da parte di Washington. Allo stesso tempo, le consegne sono state ovviamente effettuate con un ampio margine, poiché anche se teniamo conto che alcune delle armi sono state utilizzate e alcune sono state catturate, le forze armate ucraine hanno ancora diverse migliaia di sistemi missilistici anticarro, centinaia di sistemi di difesa aerea portatili e altre armi.

Date le consegne così grandi di ATGM in Ucraina, gli esperti ritengono che i sistemi missilistici anticarro delle forze armate ucraine non saranno trasferiti nel prossimo futuro. Tuttavia, gli Stati Uniti intendono concentrarsi sul trasferimento di armi offensive pesanti a Kiev. In particolare, si prevede che i primi sistemi HIMARS M-270 e M-142 possano arrivare in Ucraina la prossima settimana – secondo diverse fonti, alcune di queste armi arriveranno dalla vicina Romania, mentre un altro lotto sarà consegnato in Ucraina direttamente dagli USA.

Ad oggi, i maggiori fornitori di armi all’Ucraina sono gli Stati Uniti e la Polonia.
Подробнее на: https://avia.pro/news/ssha-otpravili-na-ukrainu-24-tys-ptrk-i-1033-sistemy-pvo

 

La NATO vuole inviare navi da guerra sulle coste dell’Ucraina,

La NATO vuole inviare navi da guerra sulle coste dell’Ucraina, aggirando la Turchia

I paesi della NATO si offrono di aggirare la Turchia per inviare navi da guerra sulla costa ucraina.

Nonostante il fatto che la Turchia abbia chiuso il Bosforo alle navi da guerra straniere che non hanno un registro nei porti del Mar Nero, è diventato noto che i paesi europei membri della NATO vogliono inviare le loro navi da guerra sulla costa ucraina, aggirando la Turchia. Ciò potrebbe portare a un’escalation molto grave nella regione, soprattutto da quando l’Alleanza è stata avvertita dalla Russia sulle conseguenze di qualsiasi provocazione.

, nei prossimi giorni si terranno discussioni sulla questione del lancio di una missione navale nel Mar Nero. Allo stesso tempo, l’Europa è consapevole che la Turchia non lascerà passare le navi da guerra. Al riguardo, è probabile che le navi delle marine bulgara e rumena siano coinvolte a tali fini, allo stesso tempo, non è escluso che l’UE chieda alla Turchia di inviare le sue navi da guerra sulle coste dell’Ucraina.

“Bruxelles sta ora valutando, secondo fonti comunitarie, di lanciare una missione navale derivante dalla politica di sicurezza e difesa comune per garantire che il grano venga spedito direttamente dalla città ucraina di Odessa. La prima difficoltà di natura diplomatica fu quella di aprire il passaggio per le navi europee al porto di Odessa. Dal 1936 l’ingresso nel Mar Nero di navi da guerra provenienti da paesi non costieri è regolato e limitato dalla Convenzione di Montreux. Questo accordo internazionale fornisce al governo turco la chiave del passaggio ”, riferisce El Pais.

Gli esperti temono che le azioni dei paesi della NATO nel Mar Nero possano portare a un vero conflitto con la Russia.
Подробнее на: https://avia.pro/news/nato-hochet-napravit-boevye-korabli-k-beregam-ukrainy-v-obhod-turcii

Ha perso  l’Europa

 

L’attuale strategia  è quella  disegnata in un rapporto redatto nel marzo 2019 dalla Rand Corporation. Nello studio, intitolato significativamente  “Overextending and Unbalancing Russia”, venivano suggerite varie azioni da intraprendere per costringere una potenza nemica con legami troppo stretti con le nazioni europee come la Russia, ad un intervento militare nel cuore del Vecchio Continente che provocasse lo scioglimento di tali legami, rafforzando ancora di più la dipendenza dell’Ue dagli Stati Uniti e ne minasse l’economia fino a farla implodere, come ai tempi dell’U.R.S.S.

L’interruzione di qualsiasi tipo di rapporto, tanto politico quanto economico, tra Europa e Russia era, come abbiamo visto, proprio uno degli obiettivi cui puntavano gli Stati Uniti ed al momento è stato pienamente raggiunto.

La guerra deve durare più a lungo possibile per dissanguare la Russia e provocarne il fallimento 

A questo punto il dominio USA sull’Europa diventa ancora più stringente, certificato dalla ormai completa identificazione dell’Unione europea con la NATO.

Da “Ha perso l’Europa”  di Mario Porrini

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/usa-ha-scelto-lescalation/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

LA FINE DEL MONDO BUONO

La crisi in atto ci svela la realtà di una società spietata costruita a danno delle giovani generazioni. E quindi contro il nostro futuro

Se almeno potessimo prendercela con qualcuno. Se potessimo credere di servire a qualcosa o di andare da qualche parte. Ma cosa c’hanno lasciato? Un domani felice? Il grande mercato europeo? Non abbiamo niente. Non ci resta che innamorarci come coglioni. E questa è la cosa peggiore

Da “Un monde sans pitié , “Un mondo senza pietà” – un film di Éric Rochant, Francia, 1989

Che i giovani sappiano fin che sono in tempo, e non capiti loro che un nuovo conformismo li privi – come a noi accadde – di una capacità autonoma di giudizio e di orientamento

Ruggero Zangrandi, “Il lungo viaggio attraverso il fascismo”, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1962

Solo i ciechi, o gli egoisti, sono soddisfatti del mondo com’è

Sydney Cook, Garth Lean -“The Black and White Book – A Handbook of Revolution, Blandford Press Ltd, London 1972

La fine del mondo buono

Di Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

Un mondo buono dove non esistono ingiustizie ma soltanto opportunità. È ciò che la nostra generazione sta tramandando alla nuova.

Dove il denaro è la società; è il suo fine e la sua essenza. Una società tanto moderna e avanzata da risultare perfetta, dove

la mano invisibile delle forze di mercato, ossia l’interesse personale, guida l’economia sulla strada dell’efficienza collettiva (1)

Una società aperta, democratica, libera, inclusiva. Individualità materiale e non più spirituale: perchè frenare quando potresti andare molto più forte sull’autostrada del tuo successo?

Una società perfetta non ha bisogno di altro che validi ingranaggi, e l’ingranaggio difettoso, quello cedevole, non conforme, va sostituito. Non è adeguato ai giudizi di qualità, di valore e di merito.

Ci viene insegnato – e aspetto volentieri correzioni se dico il falso – che studiamo per poter lavorare, e non per accrescere la nostra cultura, per poi ritrovarci in un mondo del lavoro che ci chiede di ringraziare per l’opportunità di essere sfruttati, perché “è così che si fa esperienza”, e in cui dobbiamo augurarci di non essere una delle tre morti sul lavoro del giorno (2)

Così Emma Ruzzon, Presidente del Consiglio delle studentesse e degli studenti dell’Università di Padova durante le celebrazioni degli 800 anni dell’Ateneo (il 19 maggio us.) di fronte al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Padova, la studentessa "bacchetta" i grandi della politica su diritti civili e futuro: ecco cosa ha detto
Emma Ruzzon

 

E ha proseguito:

Ci dicono che le opportunità ci sono, che è il merito quello che conta. Sono desolata, ma temo sia un’affermazione che non trova riscontro nella realtà. Mentre i giornali lodano “chi consegue egregi risultati”, nella pagina a fianco riportano storie di studentesse e studenti che durante il loro percorso di studi compiono il gesto estremo, scelgono volontariamente la morte (3)

Troppo facile adesso tirar fuori le cifre dilaganti sulla disoccupazione e la precarietà giovanile, troppo facile parlare dei giovani italiani che emigrano in numero sempre maggiore. Inutile e dannoso continuare a diffondere la diceria – come fanno i grandi media – che i nostri giovani non hanno voglia di lavorare rispetto agli immigrati. Nel mentre, il governo dà un reddito di cittadinanza che rende sconveniente un salario vero, così misero, saltuario ed incerto rispetto ad un sussidio provvisorio ma, al contempo, garantito.

Come di consueto, non è soltanto sui numeri né sui cliché che vorremo concentrarci, ma sulle Persone.

Emma è stata chiara:

Ecco, se ora finalmente voleste chiedere a noi, alla mia generazione, come stiamo, credo che difficilmente potremmo rispondere che ci sentiamo una generazione libera, quantomeno di poter immaginare il futuro (4)

Fermi tutti! Com’è possibile che una gioventù altamente istruita, non riesca ad immaginare il proprio domani?

Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin lo spiega così:

Scuola e università continuano a preparare specialisti disciplinari, mentre l’evoluzione della società e della scienza richiede la capacità di affrontare e comprendere problemi di natura globale e trasversale (5)

Edgar Morin

In sintesi: letterati che pochissimo sanno di economia, ingegneri o medici che non hanno mai letto di filosofia o di storia, se non didascaliche nozioni. Eppure ogni scienza ha implicazioni sociali.

Ancora Morin:

L’indebolimento della percezione globale della realtà attenua il senso della responsabilità, in quanto ognuno tende a rispondere solo del suo compito parcellizzato, così come all’indebolimento della solidarietà, poiché ciascuno percepisce solo il legame organico con la propria città e i propri concittadini (6)

Un ingranaggio deve funzionare, non ragionare. Altrimenti non è funzionale. A cosa? Al mercato, al grande business, ovviamente. Ed, in ultima analisi, a chi comanda.

Aver dislocato altrove la produzione ci ha impoverito economicamente; aver omologato i gusti e la cultura ha significato vendere – a basso costo – gli stessi prodotti in tutto il mondo (o quasi) e ciò ha reso intere generazioni estranee alla propria realtà fattuale.

Perchè la comprensione della realtà, della nostra realtà, si basa su idee, valori, informazioni ed esperienze che, nel tempo, abbiamo assimilato e su cui abbiamo faticosamente costruito identità, modi di pensare, comportamenti e scelte conseguenti.

Come analizzato da Karl Marx Friedrich Engels:

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante.
La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale.

Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio.

Gli individui che compongono la classe dominante posseggono fra l’altro anche la coscienza, e quindi pensano; in quanto dominano come classe e determinano l’intero ambito di un’epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi fra l’altro dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell’epoca (7)

La generazione Erasmus, rappresentata oggi pubblicamente da Emma Ruzzon, a cui è stato dipinto un mondo buono ed inclusivo, pronto a dare infinite opportunità, si trova spiazzata e delusa: sempre più precaria e colpevolizzata.

Eppure è proprio la Fondazione GaragErasmus, il simbolo di ciò che cercavano di spiegarci Marx e Engels: essa propone di introdurre chi ha partecipato al programma di libera circolazione ed istruzione studentesca della UE nel mondo del lavoro.

Consente alle persone di avviare nuovi progetti e unirsi a quelli esistenti e pubblicare eventi. Coordiniamo le nostre attività con la Commissione Europea e gli altri membri dell’Erasmus Students and Alumni Alliance (ESAA)” (8).

E la sua filosofia di fondo è questa:

The best ideas in the world were all born in a garage

Le migliori idee del mondo sono nate tutte in un garage

Tradotto: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft. Tutto è nato dai garage privati di Larry Page e Sergey Brin; Steve Jobs; Mark Zuckerberg; Jeff Bezos e Bill Gates.

L’idea migliore porta la maggior fortuna e con la giusta audacia si riuscirà a vincere la competizione e a macinare soldi. Tanti soldi.

Questo sogno è ormai diventato collettivo ed è alla portata di tutti, per il bene di tutti:

Voi potete aiutare le vite di molte persone nel mondo.

Se sarete in grado di infondere i vostri valori nel lavoro per aziende che servono al bene pubblico, allora riuscirete a creare un mondo migliore rispetto a quello che avete trovato

I profitti di aziende multinazionali sono ormai “bene pubblico”, parola dell’amministrazione delegato Tim Cook, Ceo di Apple, agli studenti della Bocconi (9).

Tim Cook alla Bocconi come una rockstar: gara di selfie fra gli studenti - Corriere.it
“Tim Cook (al centro) alla Bocconi come una rockstar: gara di selfie fra gli studenti” (Foto e titolo – Corriere.it)

 

Se invece usi ancora il tuo garage per piazzarci soltanto l’automobile, sei destinato, in qualche modo, a fallire nella vita.

In un sistema perfetto, se qualcosa non va, il problema sei tu.

Poco importa che laFondazione GaragErasmus sia supportata, oltre che da istituzioni pubbliche (incluse università italiane ed europee), da una moltitudine di multinazionali tra cui Coca Cola, Siemens, Mercedes-Benz, HP e Manpower: quest’ultima, azienda leader nel business del lavoro (precario) in somministrazione.

Le opportunità ci sono: è soltanto il merito ciò che conta. Citando, di nuovo, Emma Ruzzon:

Ci viene insegnato che studiamo per poter lavorare, e non per accrescere la nostra cultura, per poi ritrovarci in un mondo del lavoro che ci chiede di ringraziare per l’opportunità di essere sfruttati, perché “è così che si fa esperienza”, e in cui dobbiamo augurarci di non essere una delle tre morti sul lavoro del giorno (10)

Prima di lei, era intervenuto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:

Ringrazio la Magnifica Rettrice per l’invito a tornare qui, in questo Ateneo, in questa straordinaria ricorrenza. Ottocento anni sono un periodo straordinario, un ordine di grandezza che supera, travalica le abituali categorie temporali con cui ci confrontiamo di solito. Ed è una condizione che induce – vorrei dire quasi provvidamente costringe – a rifuggire da una tentazione diffusa, non soltanto in questo tempo ma sostanzialmente sempre: quella di rinchiudersi in un eterno presente, che fa ignorare l’esperienza del passato e fa trascurare le prospettive del futuro e le conseguenze dei comportamenti di oggi sul futuro. (11)

Mattarella agli studenti di Padova: «La cultura è l'antidoto alla violenza»- Corriere.it
Sergio Mattarella, è al suo secondo mandato

 

E ancora:

Questo Ateneo ha nel suo motto (Universa Universis Patavina Libertas: tutta intera, per tutti, la libertà nell’Università di Padova, ndr), come abbiamo sentito, la libertà. La libertà di insegnare, di approfondire, di ricercare liberamente (…).

La libertà non è divisibile, né socialmente, né territorialmente, perché la libertà in realtà si ottiene pienamente soltanto se ne godono anche gli altri. Perché si realizza insieme a quella degli altri. Non c’è libertà piena se gli altri ne sono privi. (12)

In un contesto civile dove vediamo quotidianamente i nostri diritti economici e sociali andar via via scomparendo trasformati in opportunità, dispensate à la carte secondo il volere di aziende multinazionali, fa strano sentir parlare di libertà individuale, quando essa è stata, e lo è tutt’ora, fortemente compressa.

Centinaia e centinaia di docenti e studenti, in questo ultimo anno, non hanno potuto insegnare, esaminare, studiare, perchè privi di un lasciapassare.

Anche altri milioni di persone, in tutta Italia, non hanno potuto lavorare, tra stipendi sospesi e licenziamenti.

Ancora oggi, alcune categorie del comparto sanitario, sono obbligate al vaccino pena l’impossibilità di esercitare la propria professione.

Nel comparto dell’istruzione ci sono demansionamenti, ossia punizioni politiche, in quanto si è disobbedito a misure governative.

Non è più possibile disporre liberamente del proprio corpo. Chi non è conforme alle regole va sostituito. Non è adeguato ai giudizi di qualità, di valore e di merito.

Peccato che Emma Ruzzon, Presidente del Consiglio delle studentesse e degli studenti dell’Università di Padova, non li abbia menzionati.

Ha chiuso così il suo intervento di fronte all’Ateneo e alla massima carica istituzionale del Paese:

Abbiate il coraggio di ascoltarci (13)

Ma, lei per prima, ha dimostrato di non aver ascoltato neppure quella parte dei suoi colleghi studenti che – proprio in quel momento – stavano manifestando al di fuori della cerimonia ufficiale, svoltasi a porte chiuse.

Queste le loro parole:

Nella storica Aula Magna è andata in scena una pomposa celebrazione della “libertà patavina”, quella stessa libertà che tuttavia negli ultimi due anni è stata violentemente negata a una parte di noi studenti. Noi non dimentichiamo chi, dal 1° settembre 2021, ci ha esclusi da tutti gli ambienti universitari, chi ha ignorato le nostre richieste di dialogo e i nostri appelli affinché l’università si schierasse nettamente contro l’aberrazione del Green Pass.

In questi due anni, siamo stati completamente ignorati e abbandonati da quelle stesse istituzioni che oggi si sono fregiate del titolo di baluardi della libertà. Nell’ultimo anno in particolare, siamo stati discriminati, derisi e insultati per le nostre idee e le nostre scelte in materia di salute personale. Come recita uno dei cartelli che abbiamo voluto esporre: “In università obbligo di lasciapassare, una vergogna da ricordare” (14)

La manifestazione degli studenti fuori dall’Ateneo di Padova

l’Università è morta col Covid

Sentenzia il Prof. Gustavo Piga (Economia politica, Università di Roma Tor Vergata) dalle colonne dell’Avvenire.

Il docente lancia l’allarme: l’uso perpetuo della didattica a distanza farà definitivamente scomparire gli studenti che, “come le lucciole di Pasolini, sono cominciati a scomparire in maniera fulminea e folgorante, divenendo un ricordo, abbastanza straziante, del passato” (15).

Ma quando hanno cominciato a scomparire? Il prof. Piga va a ritroso nel tempo ricordando le riforme, che hanno investito l’insegnamento e la didattica, intraprese dai vari governi negli ultimi decenni. E poi torna sulle modernizzazioni tecnologiche implementate a forza negli ultimi due anni e che non sembra saranno rimosse neppure dal prossimo anno accademico:

la dimostrazione che non sono state introdotte per proteggerci dal Covid ma banalmente per uccidere le ultime lucciole ancora in vita. Non è nemmeno da addebitare ai Rettori, ma ad un potere ben più ‘reale’ di cui, di nuovo parafrasando Pasolini, «noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali ‘forme’ esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l’hanno preso per una semplice ‘modernizzazione’ di tecniche (16)

Il “Potere reale” di cui ci parla il prof. Piga è molto probabilmente nelle mani di chi detiene i mezzi finanziari e di produzione – anche tecnologica: giganti ormai di portata planetaria.

Basta vedere chi “vende” i propri servizi di didattica a distanza; per dirla con Tim Cook, sono proprio quelle “aziende che servono al bene pubblico”. (17)

Se gli individui che compongono la classe dominante sono i produttori delle idee dominanti di ogni epoca, è normale nell’era della tecnica e della tecnologia, dove il business globale occidentalocentrico move il sole e l’altre stelle, essere gestiti ed amministrati da scienziati, ingegneri informatici e commercialisti (più che da veri economisti).

Il buon senso, la logica, la giusta misura: la realtà. Incredibile quanto essa venga sconvolta o capovolta da impalcature culturali artificiali, calate dall’alto e tecnicamente amministrate. Che poi diventano Sapere, senso comune, attraverso il mondo dell’istruzione e dei grandi media.

La propaganda pervade ogni cosa.

Ancora Edgar Morin, sociologo:

C’è un deficit democratico crescente dovuto all’appropriazione da parte degli esperti, degli specialisti, dei tecnici, di un numero crescente di problemi vitali. Il Sapere è divenuto sempre più accessibile ai soli specialisti, la cui competenza in un dominio chiuso si accompagna a un’incompetenza quando questo campo è parassitato da influenze esterne o modificato da un evento nuovo (18)

L’uomo è un essere sociale, un animale politico (19), perchè tende per natura ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società: eppure qualcuno lo vuole apolitico. Forse perchè la Politica è l’arte di governare proprio questa società, e ciò deve essere riservato a pochi, a qualcuno. Magari un tecnico, dei tecnici, per conto di banche e multinazionali. Certo, persone competenti, persone non elette da nessuno.

Conclude Edgar Morin:

In tali condizioni, il cittadino perde il diritto alla conoscenza. Ha il diritto di acquisire un Sapere specializzato compiendo studi ad hoc, ma è spossessato in quanto cittadino di ogni punto di vista inglobante e pertinente. Più la Politica diventa tecnica, più la competenza democratica regredisce (20)

Sarà per questo che ci fanno aspirare ad una vita di trionfi a dispetto degli altri, e allo stesso tempo ci formano ad una visione specialistica, e quindi parziale della realtà e delle scienze?

Ci hanno plasmato all’interesse individuale rispetto ad ogni sorta di responsabilità sociale; coltivato  e conformato ognuno nel proprio campo; allattato a competenza e competizione. La vera sfida, è fra noi stessi e gli altri.

Argomenta il Prof. Gustavo Piga:

Il docente Gustavo Piga

Il rifugiarsi dei tanti giovani, spaventati o annoiati, dietro telecamere spente che assomigliano, ai nostri occhi, a grotte buie senza fine, permette addirittura di attribuire loro la colpa di questa apparente sparizione. Sono loro i pigri, sono loro che desiderano rimanere a casa, evitare di spostarsi, fare domande, partecipare. Sono loro che ci abbandonerebbero se li (udite udite) obbligassimo al ritorno in presenza; non possiamo dunque fare altro che lasciarli rintanati nelle loro grotte. Ma nelle grotte i nostri giovani, Direttore, non studiano. Perché non si concentrano – è impossibile – specie quelli meno abbienti che sono costretti a vivere in ambienti angusti e congestionati da familiari.

Nelle grotte i giovani non si incontrano e non scoprono la diversità, ma la solitudine. Non trovano tutela e protezione, come nel Duecento, ma alienazione e depressione. La didattica del prossimo anno – confermata sempre più come ‘ibrida’ benché non motivata da una pandemia che pare abbiamo imparato a fronteggiare – peggiorerà la qualità dell’insegnamento e aumenterà le probabilità di abbandono e di ritardo nella laurea, fenomeni che ci piazzano già da anni agli ultimi posti nelle classifiche europee. Invece di approfittare di questo tempo per chiederci come rendere gli spazi universitari finalmente vivibili e attraenti, per riportare meglio di prima i nostri giovani ad una vita in comune, fatta di esplorazione e conoscenza reciproca e di lavoro in squadra, pensiamo invece a come migliorare le tecnologie per tenerli più lontani da tutto ciò.

Invece di generare persone che sappiano vivere con entusiasmo e carattere in comunità di diversi dove affinare il dialogo e la comprensione, stiamo ultimando il processo di creazione di persone incapaci di sfidarsi di fronte alle difficoltà inevitabili della vita. Al ‘potere reale’ va evidentemente bene così (21)

Se la guerra in Ucraina rappresenta lo spartiacque per la nascita di un mondo multipolare, gli ultimi due anni in terra italica hanno rappresentato anch’essi un punto di rottura tra una vecchia ed una nuova società.

Il sogno di un mondo buono e di uno Stato giusto e protettivo si è infranto in una realtà di diseguaglianza abissale e di nuove e vastissime povertà; una realtà di libertà fondamentali negate, inclusa la salute, individuale e collettiva, mai così strumentalizzata e tradita. Per non parlare della cultura.

Secondo lo psichiatria Vittorino Andreoli:

Gli intellettuali del nostro tempo giocano con le parole senza preoccuparsi delle idee dalle quali dovrebbero dipendere, semplicemente, le parole sostituiscono le idee mostrando in superficie di esprimerle. Non occorre pensare, basta giustificare le incoerenze del potere, per mantenerlo saldo e sempre più vasto (22)

Se un mondo buono non esiste e non è mai esistito, di fatto esiste un mondo reale fatto anche di persone buone.

Per il filosofo e sociologo Aleksander Dugin:

 

Essere giovani non è una malattia. Tutti lo siamo stati, per poi invecchiare. Ai giovani serve sempre un esempio da seguire. Mancano figure che possano essere d’esempio, sia nella vita privata che in quella pubblica (23)

 

Nelle nostre radici, nella nostra Storia, così come nelle nostre famiglie, nelle nostre amicizie, sicuramente troviamo figure positive, e spesso son proprio quelle – immerse anch’esse nella società liquida dello spettacolo e dell’apparenza, del narcisismo e dell’arroganza – che non fanno quasi mai notizia.

Ci faceva notare il grande Giacomo Leopardi (chissà se oggi avrebbe mai aperto un profilo Instagram):

È curioso vedere che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore. (24)

 

Questo è ciò che la nostra generazione sta tramandando alla nuova: un mondo buono dove non esistono ingiustizie ma soltanto opportunità.

Questo è invece ciò che andrebbe trasmesso ai giovani per poter scorgere il futuro: esiste un mondo reale fatto di ingiustizie e, se non proviamo a cambiarlo assieme, sarà lui – prima o poi – a cambiare noi.

Di Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

NOTE

(1) = Stiglitz Joseph E, Premio Nobel per l’Economia (2001), “La globalizzazione e i suoi oppositori”, Einaudi 2002

(2) =  Ruzzon Emma, Discorso pubblico inaugurazione 800° anno accademico Università degli Studi di Padova, 19 maggio 2022 – https://www.unipd.it/sites/unipd.it/files/2022/Intervento-Presidente-Consiglio-studenti-Emma-Ruzzon.pdf

(3) = Ibidem

(4) = Ibidem

(5) = Morin Edgar , “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero”, Raffaello Cortina, Milano 2000

(6) = Ibidem
(7) = Marx Karl – Engels Friedrich, L’ideologia tedesca, pp.44/45, Marx Engels, Opere complete – Vol. 05 (1845-1846), Editori Riuniti, Roma, 1972

(8) = https://garagerasmus.org/about-us-garagerasmus/
(9) = Cook Tim, Discorso pubblico inaugurazione Anno Accademico 2015/2016 Università Bocconi, Milano – http://www.repubblica.it/tecnologia/2015/11/10/news/apple_tim_cook_alla_bocconi_innovare_rispettando_l_ambiente_-127031333/?refresh_ce
(10) =  Ruzzon Emma, Discorso pubblico inaugurazione 800° anno accademico Università degli Studi di Padova, 19 maggio 2022 – https://www.unipd.it/sites/unipd.it/files/2022/Intervento-Presidente-Consiglio-studenti-Emma-Ruzzon.pdf

(11) = https://www.quirinale.it/elementi/68578
(12) = Ibidem
(13) = Ruzzon Emma , Discorso pubblico inaugurazione 800° anno accademico Università degli Studi di Padova, 19 maggio 2022 – https://www.unipd.it/sites/unipd.it/files/2022/Intervento-Presidente-Consiglio-studenti-Emma-Ruzzon.pdf

(14) = Cascone Massimo A., STUDENTI CONTRO IL GREEN PASS PADOVA: BASTA IPOCRISIA ISTITUZIONALE, 20.05.2022 – https://comedonchisciotte.org/studenti-contro-il-green-pass-padova-basta-ipocrisia-istituzionale/
(15) = https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-didattica-ibrida-alluniversit-spegner-la-luce-degli-studenti
(16) = Ibidem
(17) = Discorso pubblico inaugurazione Anno Accademico 2015/2016 Università Bocconi, Milano – http://www.repubblica.it/tecnologia/2015/11/10/news/apple_tim_cook_alla_bocconi_innovare_rispettando_l_ambiente_-127031333/?refresh_ce

(18) = Morin Edgar,  “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero”, Raffaello Cortina, Milano 2000

(19) =  Aristotele, Politica I, 2, 1252b -1253b
(20) = Morin Edgar, “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero”, Raffaello Cortina, Milano 2000

(21) = https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-didattica-ibrida-alluniversit-spegner-la-luce-degli-studenti
(22) = Vittorino Andreoli , Il denaro in testa, p.104, Rizzoli (2011)

(23) = https://comedonchisciotte.org/aleksandr-dugin-il-grande-reset-e-fallito-e-lora-del-grande-risveglio/
(24) = Leopardi Giacomo, Pensieri, Moralisti greci. A cura di Alessandro Donati. p.64, Bari, Laterza, 1932

 

FONTE: https://comedonchisciotte.org/la-fine-del-mondo-buono/

 

 

BERGOGLIO: LA PROPRIETA’ E’ UN FURTO

 

Non tutti conoscono la storia di Jorge Mario Bergoglio, papa argentino Francesco e il suo coinvolgimento con la politica di sinistra nel suo Paese.

Il canale History trasmette sempre documentari sulla Chiesa cattolica, come nelle serie La Bibbia Proibita e La Chiesa occulta. Il racconto della ricchezza della Chiesa, scandali e polemiche di ogni genere, sessualità, pedofilia, sono gli argomenti che vengono trattati nel programma. E il Papa argentino non è rimasto fuori da questa storia che racconta la sua vita fin dai tempi di quando era parroco, e con la sua partecipazione attiva alla dittatura militare argentina.

Le polemiche intorno all’elezione di Jorge Bergoglio al papato iniziarono ancor prima del conclave che lo portò al soglio di Pietro. La strana rassegnazione del papa tedesco Joseph Aloisius Ratzinger, papa Benedetto XVI, nel 2013, è ancora oggi oggetto di dibattito da parte delle stesse autorità ecclesiastiche.

Per quanto riguarda gli scandali finanziari della Banca Vaticana che proliferano da decenni, Papa Benedetto XVI sembra aver scomodato un’ala importante dell’alta cupola della chiesa nel trattare uno scandalo finanziario durante il suo papato, e per molti sarebbe questo il motivo che lo ha costretto a rinunciare.

Il nome di Jorge Bergoglio era già stato esaminato all’interno del Collegio dei Cardinali qualche tempo fa, ma è stato eletto capo ufficiale della Chiesa nel marzo 2013, in una delle elezioni più veloci della storia cattolica, dopo la rinuncia di Benedetto XVI nel febbraio di quell’anno.

In quanto massima autorità della Chiesa cattolica, il Sommo Pontefice porta il peso maggiore delle accuse di essere legato alla politica sinistra. Il suo silenzio sulla legalizzazione dell’aborto in Argentina (nelle prime 14 settimane di gestazione – omicidio di bambini), nel dicembre 2020, e nessun accenno contro i militanti di sinistra cileni che hanno depredato e dato fuoco alcune chiese, tutto ciò fa molto pensare sul modo di pensare di Bergoglio.

Nel frattempo, i numerosi discorsi contro la sovranità brasiliana in Amazzonia, con critiche infondate sugli incendi e la deforestazione nella regione, il suo silenzio sulle imposizione autoritarie dei governi (soprattutto di sinistra) durante la pandemia, in obbedienza ai grandi gruppi farmaceutici e finanziari, sono tutte prove del suo orientamento politico comunista.

La scorsa settimana, il canale spagnolo Distrito TV ha mandato in onda un’intervista dell’economista spagnolo Roberto Centeno. Jésus Ángel Rojo Pinilla, conduttore del programma El mundo al rojo – Il mondo in rosso, gioco di parole sul suo cognome, nel corso del quale ha commentato una dichiarazione del Papa abbastanza prossima ai principi del socialismo.

Bergoglio ha detto:

    “Sempre, insieme al diritto di proprietà privata, c’è il principio più importante e precedente che consiste nella subordinazione di tutta la proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra. Essendo quindi, la proprietà un bene universale, ognuno ha il diritto di usarlo come vuole. A volte, quando parliamo di proprietà privata, dimentichiamo che è un diritto secondario, che dipende da quel diritto primario che è la destinazione universale dei beni”

Destinazione Universale dei Beni??? Diritto Secondario??? Dove ha preso tutto ciò questo Papa?

Il giornalista, scandalizzato, ha detto:

   “Ma quest’uomo eletto papa è un Montonero, uno stalinista, e quindi sta descrivendo le dottrine dei comunisti e dei Montoneros, perché è semplicemente un Anticristo. E non c’è altro di cui parlare. Cosa aspettarsi dall’anticristo? Difende i comunisti cubani, come ha difeso Chaves in Venezuela che ha espropriato un intero popolo riducendolo in miseria. Questo papa parla apertamente contro la proprietà. Ciò che difende questo miserabile Montonero, che è un anticristo, è l’esproprio e non capisco come sia stato eletto Papa.”

A dire il vero, io non mi meraviglierei così tanto, un papa comunista è la naturale conclusione di un percorso cosiddetto religioso del cristianesimo iniziato in Giudea come movimento politico anti-romano, di sovversione dell’idea politico-religiosa della romanità e della sapienza classica che con i secoli, dopo lo sbarco di Pietro e Paolo a Roma, ha trasformato in cattolicesimo avendo saccheggiato pro domo sua filosofie e spiritualità del mondo mediterraneo. Ai tempi d’oggi la Chiesa riscopre la sua vera anima, quella di un movimento sovversivo peggiore ancora del comunismo militante.

Per concludere, come la millenaria storia della Chiesa Cattolica insegna, preti vescovi papi e cardinali sono stati i maggiori ladri e saccheggiatori di beni spirituali e di beni materiali di interi popoli.

 

https://www.youtube.com/watch?v=h9yK-e-Spmc

FONTE: https://forum.comedonchisciotte.org/notizie/bergoglio-la-proprieta-e-un-furto/

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Vaccini, milioni di dosi avanzano. E l’Aifa sposta di 3 mesi la scadenza

Ci si avvia verso il nuovo richiamo del vaccino anti covid: il decreto avente il tema delle modificazioni delle misure di contenimento dell’infezione, infatti, nonostante la cessazione dello stato d’emergenza, prevede la possibilità fino al 31 dicembre prossimo di permettere ai ministri, della Salute e dell’Economia, di adottare provvedimenti in maniera autonoma recanti restrizioni o decisioni in linea con i contagi.

Se da una parte l’Oms fa sapere che sembrerebbe pronta a una nuova scorta di sieri per ottobre, aggiornati alle nuove varianti del virus, resta il problema dei vaccini inutilizzati che riguarda, da nord a sud, tutte le regioni.

Come afferma anche il Senatore di Fratelli d’Italia Zaffini in un’interrogazione parlamentare al Ministro della Salute, il 90% della popolazione italiana over 12 ha completato il ciclo vaccinale: una percentuale che corrisponde a 51 milioni di persone.

Nonostante i grandi numeri le dosi di vaccino risultano in avanzo: complessivamente, infatti, alle regioni ne erano state consegnate quasi 142 milioni, somministrate poi solo 137 milioni e mezzo.
Ci troviamo, quindi, con un disavanzo di quasi 4 milioni e mezzo di dosi vaccinali che, ad oggi, risultano non aggiornate con le nuove varianti del virus ma soprattutto in corrispondenza alla scadenza. Questo è dovuto, sicuramente, a una mancata corsa alla terza e alla quarta dose che, ultimamente, grazie all’abbassamento dei contagi e alla pericolosità del virus, non è avvenuta.

La data di scadenza delle dosi rimaste risulta tra il mese di giugno e quello d’agosto 2022, motivo per cui le regioni hanno lanciato un allarme. In risposta, l’Aifa, su suggerimento della casa farmaceutica PfizerBiontech, ha deciso di estendere il periodo di validità del farmaco: da sei mesi a nove mesi. La vecchia data di scadenza è stata quindi spostata di tre mesi.

Il governo su ciò è rimasto in silenzio, tanto che non c’è traccia di questa notizia su nessun giornale: lo scopo dell’interrogazione del Sen. Zaffini è proprio in questa direzione, infatti. Come il governo intende collocare le migliaia di dosi di vaccino in scadenza? Quante dosi sono state distrutte in Italia perché scadute prima che potessero essere inoculate? Come verrà quantificato in futuro l’approvvigionamento delle dosi davvero necessario?

FONTE: https://www.nicolaporro.it/vaccini-milioni-di-dosi-avanzano-e-laifa-sposta-di-3-mesi-la-scadenza/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Quattro navi NATO attraccano nei porti finlandesi a garanzia del passaggio

Maggio 30, 2022 posted by Giuseppina Perlasca

Quattro navi da guerra della NATO provenienti da Stati Uniti, Germania e Francia sono arrivate in un porto finlandese questo fine settimana in vista delle esercitazioni congiunte previste nel Mar Baltico.

Le navi hanno attraccato nel porto di Helsinki, ha riferito l’emittente pubblica finlandese YLE. Il comandante della Marina finlandese Jussi Jasmen ha rilasciato una dichiarazione al loro arrivo: “Consideriamo queste visite come un’espressione di solidarietà, e l’interesse per la Finlandia è cresciuto significativamente negli ultimi tempi”.

I funzionari della difesa finlandese descrivono la presenza delle navi come specificamente legata alla controversa candidatura del Paese alla NATO insieme alla Svezia. Entrambi i Paesi hanno abbandonato la loro storica neutralità, citando l’invasione russa dell’Ucraina. Secondo quanto riferito, le esercitazioni navali nella regione del Baltico hanno preso il via sabato.

 

Descrivendo la maggiore presenza della NATO in Finlandia e nelle sue acque, un comandante militare è stato citato dai media nazionali come segue: “Secondo la Marina finlandese, l’interesse per la Finlandia è aumentato. Le visite sono un segno di sostegno alla Finlandia da quando ha chiesto l’adesione alla Nato il 18 maggio, ha detto il comandante di squadriglia Jussi Jämsén”.

“È così che la vediamo. L’interesse per la Finlandia è stato assolutamente enorme. Apprezziamo molto il fatto che queste navi visitino Helsinki”, ha dichiarato Jämsén a YLE.

Inoltre, la Finlandia ha dichiarato che aumenterà la sua partecipazione alle esercitazioni militari della NATO, in un momento in cui Mosca sta avvertendo Helsinki e Stoccolma di risposte “tecniche e militari” se entreranno nell’alleanza militare occidentale. La Finlandia è particolarmente allarmata dal Cremlino, dato che condivide un confine con la Russia lungo 810 miglia. .

Pichi giorni fa si è tenuta un’esercitazione russa con il lancio di missili ipersonici nel Mar Bianco. Ovviamente l’entrata di Helsinki nella NATO aumenta la tensione ai limiti del Circolo Polare Artico. Comunque la Turchia non ha ancora dato il proprio benestare all’entrata di Finlandia e Svezia

FONTE: https://scenarieconomici.it/quattro-navi-nato-attraccano-nei-porti-finlandesi-a-garanzia-del-passaggio/

 

 

 

 

Ambiguità e mancanza di chiarezza sull’Ucraina: Biden sotto accusa

“Qual è esattamente l’obiettivo degli Stati Uniti? Porre fine alla guerra alle migliori condizioni possibili per l’Ucraina? Espellere tutte le forze russe dal territorio ucraino? O è più ambizioso, come indebolire il potere russo a lungo termine?”. Questo tweet di Daniel DePetris (NewsweekThe National Interest), sintetizza il dibattito americano – e occidentale – in corso sui veri obiettivi dell’amministrazione Biden, sempre più stretta fra le pressioni degli alleati europei, che chiedono un maggiore impegno per arrivare a un cessate il fuoco il più rapidamente possibile, e le spinte interne che provengono dal Congresso, dove i “falchi” democratici e repubblicani chiedono invece al presidente Usa di indebolire la Russia in una lunga guerra “fino all’ultimo ucraino”. Quest’ambiguità di fondo dell’amministrazione Biden è stata rilevata, di recente anche dall’illustre Financial Times, che in un’analisi pubblicata nei giorni scorsi si chiede appunto quale sia l’obiettivo di Washington.

La vaghezza dell’amministrazione Biden sull’Ucraina irrita gli alleati

I successi dell’Ucraina sul campo di battaglia, scrive il Ft, “hanno suscitato uno stato d’animo quasi trionfalistico a Washington nelle ultime settimane. In contrasto con il pessimismo dei primi giorni del conflitto, alcuni importanti politici e funzionari ora vedono l’opportunità di sferrare un colpo decisivo alla Russia” osserva. Come ha spiegato senza troppo giri di parole il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Llyod Austin a seguito di un incontro a Kiev con il presidente ucraino Volodymyr Zelenesky, l’obiettivo degli Stati Uniti sembra essere quello di ridurre il potere della Russia a lungo termine. “Vogliamo vedere una Russia indebolita al punto che non possa invadere altri Paesi come ha fatto invadendo l’Ucraina”, configurando una lunga guerra di logoramento. Tuttavia, questa “retorica fiduciosa”, nota il quotidiano finanziario, manca di chiarezza su ciò che Washington crede possa accadere in Ucraina. Ad esempio, non è chiaro quale tipo di accordo territoriale gli Stati Uniti potrebbero supportare per arrivare a un cessate il fuoco.

“Gli europei vogliono conoscere i piani di Washington”

Secondo i punti di discussione interni recentemente redatti dal Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti visionati dal Financial Times, Washington “cerca un’Ucraina democratica, sovrana e indipendente” e mira a garantire che lo sforzo della Russia per dominare l’Ucraina “si concluda con un fallimento strategico”. “Siamo concentrati sul dare all’Ucraina il più possibile supporto sul campo di battaglia per garantire che abbia quanta più influenza possibile al tavolo dei negoziati”, secondo i punti di discussione. Ma cosa s’intenda esattamente per “fallimento” di Mosca non è assolutamente chiaro. “L’obiettivo è garantire che la Russia fallisca nella sua aggressione contro l’Ucraina. Ciò che non è esattamente chiaro è, come si definisca questo fallimento” afferma Steven Pifer, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina e William Perry Fellow alla Stanford University.“Per mantenere un certo grado di flessibilità, non vorranno scendere troppo nei dettagli su questo”.

L’amministrazione Biden gioca dunque su un delicatissimo equilibrio, mentre ha da poco stanziato 40 miliardi di dollari in assistenza militare e umanitaria. Tuttavia, l’ultima cosa che i leader europei vogliono, è una lunga guerra di logoramento, come dimostrano le recenti prese di posizione di Francia, Italia e Germania, che cercano altresì di arrivare a un cessate il fuoco, il prima possibile. “Gli europei vorrebbero sapere qual è il piano dell’America, perché l’idea che la Russia perda – o non vinca – non è stata definita”, dichiara al Ft Stefano Stefanini, ex ambasciatore italiano alla Nato. Non è un mistero, infatti, che i Paesi europei temano che l’incombente crisi alimentare causata dal blocco russo dei porti ucraini – per fermare le esportazioni di grano – possa devastare le nazioni africane, alimentando una nuova ondata migratoria verso l’Europa. Se in un primo momento la risposta dell’Occidente all’invasione russa dell’Ucraina è sembrata compatta ora che la guerra si trascina cominciano ad emergere le prime crepe e dissidi. Per questo motivo Biden non potrà continuare a lungo sulla linea dell’ambiguità.

“L’obiettivo dell’amministrazione si è spostato sulla destabilizzazione di Vladimir Putin o sulla sua rimozione? Gli Stati Uniti intendono ritenere Putin responsabile come criminale di guerra? O l’obiettivo è cercare di evitare una guerra più ampia e, in tal caso, in che modo il vantarsi di fornire l’intelligence statunitense per uccidere i russi e affondare una delle loro navi raggiunge questo obiettivo? Senza chiarezza su queste questioni, la Casa Bianca non solo rischia di perdere l’interesse degli americani nel sostenere gli ucraini – che continuano a subire la perdita di vite umane e mezzi di sussistenza – ma mette anche a rischio la pace e la sicurezza a lungo termine nel continente europeo”. Parola del New York Times, che racchiude tutti i quesiti a cui l’amministrazione Biden, prima o poi, dovrà rispondere.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/ambiguita-e-mancanza-di-chiarezza-sullucraina-biden-sotto-accusa.html

S’intensifica l’aggressività turca nei confronti della Grecia: 90 sorvoli in un giorno

 

 

 

I pataccari del pensiero vogliono fare continuare la guerra sine die

di Fabio Marcelli

Le opposte retoriche dei contendenti che si accusano a vicenda di nazismo costituiscono un ostacolo al raggiungimento di una soluzione negoziata del conflitto ucraino

Forse stanco di parafrasare Heidegger e Jaspers (attività peraltro commendevole e utile) il filosofo Umberto Galimberti si è arruolato anche lui nelle file dei guerrafondai che vogliono vedere Putin mordere la polvere e sconsiglia fortemente, anzi proibisce, di provare a intraprendere ogni negoziato colla Russia. Per giungere a questa apocalittica conclusione Galimberti fa sua la parola d’ordine che viene proclamata a ogni piè sospinto dai combattenti da poltrona che affollano i ranghi di giornalisti, politici e, meno, intellettuali: Putin è il nuovo Hitler e quindi non ha senso perdere tempo colle trattative di pace, il male assoluto va sradicato finché si è in tempo, altrimenti ringalluzzito dai successi il Satana del Cremlino muoverà alla conquista del mondo e, per riprendere la scialba retorica di Enrico Letta, ci ritroveremo i soldati russi dentro casa. I più colti richiamano i precedenti di Danzica, la cui cessione alla Germania avrebbe solleticato gli appetiti del Terzo Reich e più in generale il tentativo fallito di appeasement condotto da Daladier e Chamberlain colla Conferenza di Monaco, che precedette di poco lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

In realtà tutta questa analisi, il cui senso profondo è che occorre continuare la guerra fino alla vittoria dell’Ucraina, e si propone in questo senso di mobilitare le migliori energie intellettuali dell’Occidente per motivare il popolino a correre il rischio dell’Olocausto nucleare pur di eliminare il Belzebù del Cremlino, fa acqua da tutte le parti. Detto per inciso, paradossalmente alla retorica antinazista si aggrappa anche l’altro contendente, e cioè proprio il Belzebù in questione, tra le motivazioni del quale ritroviamo l’intento di denazificare l’Ucraina, riprendendo a suo vantaggio i fasti della Seconda Guerra Mondiale, che i Russi chiamano Grande Guerra Patria e che hanno vinto, sia detto a profitto di ignoranti e smemorati, loro, con un enorme contributo di sangue nell’ordine di varie decine di milioni di morti (del resto, come si vede anche dalla guerra in corso, i Russi quando fanno la guerra non badano a spese).

Sostenere il contrario significherebbe fare un po’ come Benigni, il quale, pur di vincere l’Oscar fece liberare Auschwitz dagli Americani, ma lasciamo perdere. L’analisi abborracciata dei guerrafondai non sta in piedi perché profondamente priva di senso storico e ignara del contesto in cui si è prodotta la guerra, per capire la quale occorre richiamare alcuni precedenti di grande importanza e cioè soprattutto l’accerchiamento della Russia coll’allargamento della Nato in netta violazione degli impegni assunti dalle Potenze occidentali nel momento della riunificazione della Germania, da un lato, e il rovesciamento del legittimo governo di Yanukovich nel febbraio 2014, dall’altro.

La scelta di estendere la Nato verso Est è stata consapevolmente adottata da parte dei presidenti statunitensi nella consapevolezza che fosse un’occasione da non perdere per ridimensionare la Russia e consolidare e puntellare il sempre più traballante potere degli Stati Uniti sulla scena internazionale, arginando lo slittamento verso un governo multipolare degli affari planetari. È cominciata in sordina, colle strizzatine d’occhio a Gorbacev e le garanzie a Eltsin che anche Mosca sarebbe entrata nella Nato, ma è poi diventata una vera ossessione, man mano che Washington perdeva terreno nel confronto colla Cina, in Medio Oriente e Nordafrica coi vari fallimenti registrati in Iraq, Libia e da ultimo Afghanistan, e finanche sul continente americano dove, nonostante i patetici tentativi di Trump e Pompeo di riesumare la Dottrina Monroe, i popoli hanno deciso di scegliere il proprio destino senza chiedere il permesso del presidente yankee di turno.

La scelta di rovesciare Yanukovich ha costituito un passaggio essenziale di questa stategia ed è stata in questo senso fatta a Washington molto prima che a Kiev, come rivelato da molte fonti, alcune delle quali, come Julian Assange, potrebbero pagare colla vita questo e altri contributi alla verità storica. Nonostante l’uso un po’ ridicolo della categoria di “rivoluzione”, sia pure colorata, quello di Piazza Maidan e dintorni è stato piuttosto un colpo di Stato, condotto coll’assistenza puntuale degli Stati Uniti (vedi le urla della signora Noland sull’Unione europea che doveva andare a farsi fottere) e la partecipazione decisiva dei gruppi paramilitari di destra che sono stati in seguito arruolati nel Battaglione Azov per derussificare il Donbass a suon di massacri, torture ed esecuzioni sommarie.

La situazione quindi è molto più complessa ed intricata di come la vorrebbero Galimberti e simili, ansiosi di rispolverare del tutto a sproposito la retorica antinazista pur di continuare la guerra. Beninteso, anche Putin ha violato le norme internazionali aggredendo l’Ucraina ma in una situazione del genere occorre, seguendo l’insegnamento di Papa Francesco, fare di tutto per spegnere l’incendio e non spargere benzina sulle stoppie.

Di fronte a uno scontro fra due imperialismi, perché di questo si tratta, non si vede davvero perché il popolo italiano dovrebbe arruolarsi in massa dalla parte di uno dei due contendenti, accedendo in modo un po’ grossolano e babbeo a una delle due retoriche contrapposte.

Anche perché, e qui veniamo al secondo punto essenziale che i guerrafondai non vedono, l’esistenza delle armi nucleari di cui tutte le Potenze in ballo dispongono in grande quantità costituisce un altro dato di fatto nuovo rispetto a qualsiasi precedente storico si possa invocare. Si tratta di prospettiva che purtroppo viene evocata con sempre maggiore frequenza da entrambi i contendenti e che dobbiamo far di tutto per scongiurare nell’interesse della continuazione della vita sul pianeta.

Da questo punto di vista i giovani hanno tutto l’interesse a mobilitarsi e il diritto di farlo. Se qualche vecchio babbione forse stanco della vita, come ad esempio Violante riciclato ai vertici della Fondazione Leonardo e quindi in evidente conflitto d’interessi colla causa dei nemici della guerra e degli armamenti, evoca la bellezza della morte per la patria e per la democrazia (declinata e interpretata a suo esclusivo piacimento) sono evidentemente affari suoi e avrebbe potuto al momento opportuno arruolarsi nel Battaglione Azov che ora fortunatamente si è arreso. Ma i giovani hanno diritto a vivere e a procreare anche se, sorprendentemente non trovano rappresentanti politici degni di questo nome.

Quella di rappresentanti politici fedeli alle istanze e ai diritti del popolo, che come sappiamo sono un ingrediente fondamentale della democrazia, costituisce in effetti merce più che rara nell’Europa attuale. Per restare ai nostri casi miserandi, Draghi e compagnia si appiattiscono in modo esagerato sulla Nato, eseguendone perinde ac cadaver ogni ordine, come notato dal generale Bartolini, il quale, a differenza dei guastatori da poltrona, la guerra sa cos’è e quindi anche per tale motivo preferirebbe evitarne l’aggravamento. Ma il loro appiattimento sta provocando lo schiacciamento dell’Italia e dell’Europa, per ora solo figurato, a tutto vantaggio degli Stati Uniti e della Nato (sinonimo quest’ultimo dei primi, al di là di qualche nomen omen tipo Stoltenberg). Vediamo di porci rimedio rilanciando le ragioni della pace, anche sul terreno culturale e dell’analisi storica contro i pataccari del pensiero che vorrebbero venderci a caro prezzo un Putin travestito da Hitler pur di giustificare la continuazione ad oltranza di una situazione già ora estremamente pericolosa.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23123-fabio-marcelli-i-pataccari-del-pensiero-vogliono-fare-continuare-la-guerra-sine-die.html

 

 

 

Cina, risposta a Biden: manovre militari vicino a Taiwan

cina pil xi

PECHINO, 25 MAG – La Cina ha organizzato pattuglie di “prontezza al combattimento tra più servizi” ed “esercitazioni di combattimento reali” nel mare e nello spazio aereo attorno a Taiwan in risposta alle “recenti attività di collusione tra Stati Uniti e Taiwan”.

Manovre militari vicino a Taiwan

Il portavoce del Comando orientale dell’Esercito popolare di liberazione (Pla), Shi Yi, in una nota, ha attaccato le parole del presidente Joe Biden sull’intervento Usa a difesa dell’isola in caso di attacco cinese (poi corrette), dicendo che “è ipocrita e futile che gli Usa dicano una cosa e ne facciano un’altra su Taiwan, e spesso incoraggino le forze dell’indipendenza di Taiwan”. (ANSA).

FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/05/25/cina-risposta-a-biden-manovre-militari-vicino-a-taiwan/

 

 

 

CULTURA

Elémire Zolla, il mago bifronte

La Verità (29 maggio 2022)

Vent’anni fa, il 29 maggio del 2002, si spegneva in questo mondo il pensatore più inafferrabile del secolo scorso, Elémire Zolla. Si lasciò morire in casa, a Montepulciano, non volle farsi ricoverare né curare; mentre il cuore lo stava abbandonando bevve una tazza di té, andò incontro alla notte che si fa giorno. Lo ricordo come un bottegaio del mistero.

Il suo sincretismo, la sua capacità di volare da Oriente a Occidente, dalla Tradizione all’ipermodernità digitale, e di sfuggire a tutte le classificazioni intellettuali del suo tempo, lo resero quantomeno un Giano bifronte. Per essere tradizionalista era fin troppo laico e intellettuale, né credeva in Dio, nella patria e nella famiglia, architravi del tradizionalismo comune; per essere orientalista era fin troppo occidentale, insegnava letteratura angloamericana all’università. Per essere un nemico apocalittico della modernità (Umberto Eco dixit) e dell’impegno intellettuale, era fin troppo integrato nel mondo intellettuale, accademico e nei suoi versanti più moderni, come la Scuola di Francoforte. Dialogava con Moravia, fu redattore di Tempo presente, scriveva sul Corriere della sera, pubblicava con Einaudi e con Adelphi. Ma fu avversario implacabile del conformismo progressista, refrattario alle ideologie, lontano da comunisti, fascisti e democristiani, critico radicale del ’68 ma anche dell’industria culturale, la società dello spettacolo di massa, il cinema e la tv in cui pure talvolta si affacciava (partecipò pure al Maurizio Costanzo Show).

Zolla fu lo sciamano occidentale che uscendo dal mondo entrò nel nostro tempo, scoprendo, con gli occhi della tradizione, l’ebbrezza della droga, il demone della finanza “esoterica”, la magia della nuova tecnologia e della nuova fisica. In un suo libro lucidamente visionario, Uscite dal mondo, si aprì con entusiasmo alla realtà virtuale che vide come “vertice e rovesciamento salutare della rivoluzione industriale”. Eppure se leggete le sue opere edite da Marsilio e curate dalla sua ultima compagna, Grazia Marchianò, come l’ultima, uscita in questi giorni – L’umana nostalgia della completezza. L’Androgino e altri testi ritrovati- ritrovate in Zolla il maestro della Tradizione, del Mito, dell’Altrove. Esperienze mistiche e spirituali di un autore che pure non fu mai un credente e preferì, da gnostico, la conoscenza alla fede, la sapienza alla devozione.

Quando dirigeva la casa editrice Borla e poi la Rusconi Alfredo Cattabiani tentò una sintesi impossibile tra Zolla e il filosofo cattolico Augusto Del Noce nel nome della tradizione, ma quella coabitazione dette bei frutti nella collana di cultura moderna da loro diretta. Dobbiamo a Zolla la scoperta nostrana di Tolkien, Alce nero e Padre Florenskj. Non cambiò la sua indole sulfurea nemmeno lo “ strano” ménage con Vittoria Guerrini, alias Cristina Campo, dalla cristallina fede cristiana, cattolica e poi ortodossa. Zolla ha viaggiato anche all’inferno, dal suo romanzo d’esordio, Minuetto all’inferno, alle pagine dedicate ai demoni e al satanismo, alla magia, all’alchemica opera al nero e ad alcuni aspetti “sinistri” delle tradizioni d’oriente e d’occidente. Curioso pensare che sulla sua rivista, Conoscenza religiosa, Zolla, pensatore gnostico e aristocratico, abbia pubblicato con ammirazione uno scritto del santo più popolare, ruvido e miracoloso del novecento, Padre Pio: Breve trattato della notte oscura, che Zolla definì “un capolavoro, nello stile dei mistici del Seicento”.

Zolla attaccò in tre saggi la volgarità della società di massa (in Volgarità e dolore), la miseria dell’intellettuale impegnato (ne L’eclissi dell’intellettuale) e la pericolosa arroganza della Contestazione (in Cos’è la tradizione): quest’ultimo uscì proprio nel 1968. Per Zolla l’assenza di tradizione rischia di consegnarci a nuove tirannidi. Zolla fu estraneo al suo tempo, il Novecento, e al suo luogo, l’Italia. Inseguì i mistici d’occidente e i sapienti d’oriente, ritrasse aure e archetipi, si soffermò sullo stupore infantile e presentò gli hobbit di Tolkien; navigò nell’alchimia, frequentò gli sciamani e le ebbrezze dionisiache, narrò di amanti invisibili e androgini, si spinse a definire cos’è la Filosofia perenne e la Tradizione: civiltà del commento, rispetto alla modernità, che è civiltà della critica; ma per lui la vera critica si fa all’ombra della tradizione; ci vuole un punto fermo e trascendente per giudicare, ci vuole un Canone.

Benché accostato a Evola nel segno della Tradizione, degli studi orientali, di René Guénon e di Mircea Eliade, Zolla fu refrattario nei suoi confronti e se ne tenne lontano per non subire la stessa demonizzazione. Pur abitando entrambi per molti anni a Roma, neanche lontani, non ebbero contatti. Evola lo liquidò con giudizi sprezzanti (definì il suo testo Cos’è la Tradizione “pretenzioso”). Zolla non parlò mai di Evola, salvo ricambiare, en passant, il giudizio sprezzante. Ma anni fa ci capitò di scoprire che Zolla aveva scritto pagine non negative su Evola nella rivista americana Gnosis della Lumen Foundation. Pagine mai tradotte in Italia, a differenza di analoghi scritti e profili. Del resto, per Zolla di alcuni autori, come diceva André Malraux di Guénon, che pure reputava la vera novità del suo tempo, “non bisogna parlarne”… Meglio tacere di alcuni autori per rispetto, di altri per dispetto, di altri ancora per prudenza, per non finire assimilati a loro.

Zolla ha rappresentato nei piani alti e sacri del sapere un bisogno diffuso anche nei piani bassi e profani del nichilismo di massa: la fuoruscita dalla storia e dal proprio tempo, le ebbrezze dionisiache ed esotiche, l’oriente, gli oracoli e gli oroscopi, le tisane e i percorsi emozionali, i segni zodiacali e altre forme superstiziose di esoterismo di massa, che è una contraddizione in termini. Più si allontanava dallo spirito del suo tempo e più ne coglieva il desiderio di altrove. La bottega esoterica di Zolla suscita ancora fascino e mistero.

FONTE: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/elemire-zolla-il-mago-bifronte/

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

La fabbrica della “russofobia” in Occidente

Il nostro paese e l’Occidente sono in preda ad una evidente sindrome di russofobia. Potrebbe apparire tale ma non è una novità. Non lo è sicuramente per le leadership e le società europee e, di conseguenza, neanche per quelle statunitensi.

Colpisce il fatto che la Russia possa essere zarista o socialista, capitalista o nazionalista, ma alla fine in Europa scatta comunque il demone russofobico. Da dove nasce questo pregiudizio che troppo spesso è diventato contrapposizione frontale o guerra?

Prima di arrivare all’isteria a cui stiamo assistendo in queste settimane c’è una lunga storia da conoscere, ragione per cui prendetevi il tempo necessario per conoscerla.

Le radici della russofobia in Europa

C’è un interessante libro di Guy Mettan edito dalla Teti “Russofobia. Mille anni di diffidenza”, che aiuta a capire molte cose.

Per molti aspetti la russofobia ha qualcosa in comune con l’antiebraismo ossia un antico “documento” – ritenuti quasi unanimemente dei falsi storici – che ne dimostrerebbe la intrinseca natura aggressiva e dominatrice. Nel caso delle comunità ebraiche sarebbe il “Protocollo dei Savi di Sion” (tra l’altro si dice elaborato proprio nella Russia zarista). Nel caso della Russia sarebbe addirittura il “Testamento di Pietro il Grande”, fatto arrivare in Europa, e poi pubblicato e utilizzato in Francia durante l’invasione napoleonica della Russia.

Il documento fu consegnato ai francesi da un generale polacco, tal Sokolnicki, già nel 1797, ma fu pubblicato più tardi in appendice al libello “Des progrès de la Puissance russe” di Charles Louis-Lesur, nel quale si asseriva che sin dal XVIII secolo i regnanti russi puntavano ad impadronirsi di Germania, Francia e persino della Spagna dei Borboni.

Delle pubblicazioni successive all’epoca napoleonica, curate da Dominique Georges-Frederic de Pradt, tornarono alla carica indicando l’Impero zarista come una potenza asiatica e dispotica dalla natura libido dominandi con l’ambizione intrinseca di “espandersi verso occidente con la violenza e con l’inganno”.

Contestualmente, un altro autore francese, Saint-Marc Girardin affermava che se la Russia zarista fosse riuscita a sottomettere tutti i popoli slavi, si sarebbe servita di loro per dominare l’Europa, la sua cultura e la sua anima.

Inutile dire che queste pubblicazioni aumentarono la loro fortuna e la loro influenza alla vigilia della “Guerra di Crimea” nel 1856, quando Gran Bretagna, Francia e Italia si schierarono al fianco della Turchia contro la Russia… e l’Italia mandò i bersaglieri.

Ma se la russofobia è stata un arma di combattimento nell’Ottocento nello scontro tra gli imperi in espansione (soprattutto quello britannico e quello zarista), il sentimento russofobo e slavofobo in Europa ha radici ancora più antiche ed ha origine in Germania.

L’espansionismo a est dei Cavalieri Teutoni nel Medioevo, partiva dal presupposto che i popoli slavi erano dei “sotto popoli” da colonizzare e schiavizzare. La loro crociata espansionista fu fermata nel 1242 da Aleksander Nevski, quello che è diventato l’eroe nazionale russo.

Questa logica di annientamento di questo unter meschen slavo, guiderà le spietate azioni della Wermacht tedesca in tutta l’Europa orientale durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli slavi erano popoli da schiavizzare, le minoranze ebraiche tra essi erano da annientare. Questo spiega la ferocia dell’occupazione nazista all’est e l’altissimo numero di vittime civili in quei paesi – e in Urss in particolare – durante il secondo conflitto mondiale.

Occorre ammettere che le eredità nefaste di questa slavofobia tedesca sono riemerse quasi naturalmente durante la disgregazione e la guerra in Jugoslavia, sulle quali le responsabilità della Germania sin dalla fase iniziale sono state enormi. Prima con il riconoscimento destabilizzante della secessione di Croazia e Slovenia nel 1991, poi con la “volenterosa partecipazione” alla propaganda di guerra e ai bombardamenti Nato contro la Federazione Jugoslava e Belgrado nel 1999.

Ma la russofobia e la slavofobia, anche in tempi lontani, non era prerogativa solo della nobiltà e delle èlites tedesche. Alla fine del XVI Secolo, lo studioso britannico Philip Sydeny già scriveva contro “I moscoviti nati-schiavi che godono nel vivere sotto la tirannia e ad opprimere le altre nazioni”.

Russofobia: un’arma dell’Impero Britannico nel Grande Gioco in Asia centrale

Infatti se dovessimo definire il cuore pulsante della moderna russofobia occidentale, dovremmo inevitabilmente spostarci dalla Germania alla Gran Bretagna, in particolare nell’Ottocento.

In molti hanno sentito parlare del “Grande Gioco” ossia lo scontro durato l’intero XIX Secolo in Asia centrale tra due imperi in espansione: quello britannico che dall’India andava verso nord e quello zarista che, al contrario, si espandeva verso sud.

Sulla descrizione di questo scontro secolare tra i due imperi ci sono le interessantissime pagine dell’autore de “Il Grande Gioco”, lo storico inglese Peter Hopkirk. Ben 29 pagine del libro descrivono l’emergere e la violenza della russofobia nelle èlites dell’Impero Britannico impegnato in uno scontro a tutto campo dal Caucaso fino all’Hinduskush, dall’Iran all’Afghanistan contro l’Impero Zarista. In un secolo però l’unico scontro militare diretto fu quello in Crimea nel 1856. Negli altri casi il Grande Gioco si è combattuto con spedizioni geografiche e spionistiche, corruzione e alleanze di khan ed emiri locali, guerre per procura. Insomma una “guerra ibrida” ante litteram nella quale i sospetti e l’alimentazione di sospetti, la creazione e la rottura repentina di alleanze, le attività di spionaggio sono state decisive.

Ma è evidente come un conflitto durato un secolo ed in cui molto spesso la “doppiezza” era all’ordine del giorno per conquistare posizioni, ha alimentato in occidente l’idea che della Russia non ci si può fidare, che mente e inganna per natura. E la Gran Bretagna, o meglio, l’Impero Britannico, pur ricorrendo ampiamente alla medesima “doppiezza”, ha fatto di tutto per influenzare il resto dell’Europa, ma anche gli Stati Uniti, con questo pregiudizio russofobico, funzionale però e soprattutto allo scontro geopolitico.

Anche Marx, nonostante la sua lungimiranza e ampiezza di vedute, in qualche modo sembra condividere questa visione in alcuni suoi scritti.

Per Marx l’autocrazia russa era una metamorfosi della Moscovia, formatasi “alla scuola terribile e abbietta della schiavitù mongolica”; la sua espansione era sorretta da una volontà di potenza illimitata, sino alla conquista del mondo. La modernizzazione dispotica realizzata da Pietro il Grande non ne aveva cambiato la natura, anzi era servita a fornirle la forza materiale per svolgere il suo ruolo di guardiana della reazione”. E sia Marx che Engels si diranno contrari alle istanze nazionaliste dei popoli slavi del sud in quanto strumentalizzati dall’impero zarista con le sue mire di dominio sull’Europa e per la pretesa antistorica e assurda – scrive Engels – “di soggiogare l’occidente civilizzato all’oriente barbaro, la città alla campagna, il commercio, l’industria, l’intelligenza all’agricoltura primitiva dei servi slavi” (“Rivoluzione e controrivoluzione in Germania).

Solo più tardi Marx individuerà nell’arretrato e autocratico impero zarista l’anello debole dell’assetto capitalistico mondiale. La Russia non è più il bastione della controrivoluzione ma è il paese della rivoluzione possibile, e non una rivoluzione borghese, impossibile per la sua composizione sociale, ma una rivoluzione socialista o comunista, che facendo leva sul radicamento delle comunità contadine avrebbe potuto abbreviare i tempi storici, saltare la  fase capitalistica innescando una rivoluzione su scala europea e mondiale.

A realizzare concretamente tale progetto saranno Lenin e i Bolscevichi, ma il socialismo possibile sperimentato per la prima volta in Russia, nonostante i generosi tentativi rivoluzionari in Germania, Austria, Ungheria, non riuscì a penetrare nell’Europa occidentale.

Dunque, e paradossalmente, è stato il marxismo l’elaborazione nata in Occidente che più di altre ha influenzato concretamente la storia e la società russa. Ma era un elaborazione antagonista agli interessi borghesi dominanti in Occidente, ragione per cui non è mai stata riconosciuta come strumento di “modernizzazione” dell’arretrato impero russo. Al contrario, quando con il crollo dell’Impero Zarista, la Russia è diventata uno stato socialista – l’Unione Sovietica – nelle borghesie in Occidente si scatenò la “Grande Paura”.

Dalla russofobia all’antisovietismo

Nelle borghesie occidentali su questa paura sono arrivate a convergere tutte le paure più profonde e materiali. Un impero che crollando diventa invece un progetto di trasformazione sociale radicale apertamente dichiarato – con l’Internazionale comunista – ha decretato la più totale isteria. L’idea che qualcuno puntasse ad espropriare le ricchezze ai ricchi e a socializzarle ai proletari, ha terrorizzato i sogni della borghesia europea per decenni.

Non a caso, tutte le potenze occidentali che fino a due anni prima si erano massacrate reciprocamente nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, invieranno i propri contingenti militari a cercare di schiacciare  la neonata Unione Sovietica. Una sorta di crociata ideologica e politica contro la minaccia russo/sovietica che però – e fortunatamente – uscì con le ossa rotte.

Un ruolo consistente alla diffusione della russofobia tra le popolazioni dell’Europa dell’Est è sempre stato svolto dalla Polonia, sia nelle sue leadership aristocratiche che in quelle più moderne come il governo militare di Pilsudski fin dal 1904. Il suo obiettivo era la sollevazione delle popolazioni “non russe” (ucraini, tatari, caucasici) contro la Russia, prima zarista poi socialista. La stessa operazione che vediamo oggi in Ucraina ma stavolta contro una Russia capitalista e nazionalista.

Il sentimento russofobico pre-esistente, dopo la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, venne dunque coniugato in Occidente e nell’Europa dell’Est sia con la paura dei comunisti che con l’antiebraismo storico (molti dirigenti bolscevichi erano infatti ebrei).

Il nazismo in Germania e le complicità di cui ha potuto disporre da parte dei “liberali” in Europa, hanno attinto a piene mani da tale assioma e costruito su questo una guerra totale, che sarà concepita nell’Europa dell’Est – diversamente dall’Europa dell’Ovest – appunto, come annientamento di sotto popoli slavi per di più “dominati da comunisti e da ebrei”.

L’altissimo numero di vittime civili nell’Urss e all’est e la composizione delle vittime dei campi di concentramento nazisti ci confermano questa visione e questa realtà.

L’alleanza tra le potenze occidentali (Usa e Gran Bretagna) con l’Urss, in funzione antinazista, termina poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. La russofobia-antisovietica era stata messa congiunturalmente da parte ma solo per riemergere con forza alla prima occasione.

Russofobia e anticomunismo nella Guerra Fredda

Con la Russia diventata Unione Sovietica, la russofobia viene così declinata in anticomunismo, e da pregiudizio diventa scontro ideologico, politico e militare totale definito come “Guerra Fredda”.

Questo conflitto, così come nel Grande Gioco, in quarantacinque anni non è mai arrivato allo scontro frontale. Si è combattuto con guerre locali per procura, colpi di stato, spionaggio, campagne mediatiche ed ideologiche, corsa agli armamenti e deterrenza nucleare, organizzazione di alleanze militari (Nato e Patto di Varsavia, Seato in Asia etc.).

Nel 1991 la Guerra Fredda viene dichiarata conclusa. La bandiera dell’Unione Sovietica viene ammainata dal Cremlino, il Muro di Berlino è crollato, la Germania riunificata, i paesi dell’Europa dell’Est sottratti ai vincoli del Patto di Varsavia. Gli Stati Uniti e l’occidente sono vittoriosi e si ritrovano la ex Unione Sovietica (e il resto del mondo) completamente a disposizione della propria egemonia neoliberista.

Mettono un loro presidente-pagliaccio al comando della Russia (Boris Eltsin), cominciano il saccheggio sistematico delle immense risorse della ex Urss, sostengono il “democratico” bombardamento del Parlamento a Mosca nel 1993 da parte di Eltsin, liberalizzano e privatizzano tutto.

Il risultato sarà una catastrofe sociale per la popolazione russa e dei paesi ad essa legati, una diminuzione della popolazione (in tempo di pace) a causa di miseria e peggioramento delle condizioni di salute, una democratizzazione formale funzionale solo al rispetto dei diktat di Usa e potenze europee, allargamento della Nato verso i confini della Russia attraverso l’ingresso di tutti i paesi dell’Europa dell’Est, ma anche tentativi di fare altrettanto con qualche paese ex sovietico come la Georgia e poi l’Ucraina.

Ma nella Russia del dopo Guerra Fredda ormai semi-occidentalizzata, almeno sul piano del sistema economico liberista, in Russia cresce anche un blocco sociale di potere che arraffa le ricchezze del paese che può arraffare e commercia amabilmente con le borghesie occidentali (i famosi oligarchi). I “prenditori” in Russia e in Occidente si riconoscono tra loro come simili ma mai come uguali.

Non c’è mai stato un posto a tavola per la Russia in Occidente

Dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, Putin si mette a disposizione dell’alleanza internazionale contro il terrorismo messa in piedi dagli Usa. Dà via libera e dà anche una mano all’invasione dell’Afghanistan nel 2001. Questo idillio vede nel 2002 il neopresidente russo Vladimir Putin chiedere addirittura di entrare nella Nato, ma l’amministrazione Usa (Clinton) gli sbarra le porte. Insomma, il pregiudizio anti-russo sembra ancora ben presente nelle leadership occidentali.

La slavofobia/russofobia di ritorno vista all’opera con la guerra della Nato contro la Serbia nel 1999, da un lato coincide con il varo della nuova dottrina strategica aggressiva della Nato (giugno 1999), dall’altro vede i paesi dell’Europa dell’Est dover entrare prima nella Nato e solo dopo nell’Unione Europea, ossia le leadership politiche dei paesi slavi cooptati nelle magnifiche sorti dell’Occidente dovranno avere caratteristiche ben precise e non dovranno in alcun caso allontanarsi dai vincoli imposti dall’Occidente sul piano politico, economico, militare…e ideologico. Insomma gli slavi restano  dei sotto popoli che vanno tenuti con la briglia stretta.

Per la Russia sembra non esserci mai stato un vero posto apparecchiato in questo senso alla tavola dell’occidente. L’unica chance è quella di mettere a disposizione le immense materie prime di cui dispone e dare una mano alle operazioni finanziarie più sporche dei capitali occidentali. Inoltre, approfittando della stoltezza dell’ultimo dirigente sovietico – Gorbaciov – gli impegni informali a non allargare la Nato verso i confini della Russia non vengono rispettati.

Quando nel discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio 2007 (cinque anni dopo aver chiesto l’ingresso della Nato) Vladimir Putin reclama o un posto a tavola o la fine dell’appeasament, tutto l’armamentario ideologico, politico e militare russofobico ha ricominciato a scaldare i motori. La prima guerra in Cecenia del 1995 (sotto Eltsin) era passata quasi inosservata. La seconda,iniziata nel 2000 (sotto Putin) aveva invece già visto crescere l’attenzione mediatica e le stigmatizzazioni politiche in Occidente.

Il conflitto in Georgia nel 2008 (scatenato dal dittatorello filo-Usa della Georgia Shakasvili e non dalla Russia, ndr) metterà in seria difficoltà la Nato, divisa tra gli Stati Uniti che vorrebbero intervenire militarmente e gli europei che rispondono picche.

Poi ci sarà il colpo di stato anti-russo nel 2014 in Ucraina, la secessione delle Repubbliche russofone del Donbass, l’annessione della Crimea, la strage nazista e antirussa di Odessa. La Russia viene espulsa dal G8 dove era stata ammessa nel 1997, cominciano le sanzioni occidentali e l’armamentario ideologico russofobico – sopito ma mai effettivamente rimosso – riemerge con forza. L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio è stata solo l’occasione per riportarlo pienamente alla luce.

I guerrafondai occidentali sentono che le loro motivazioni geopolitiche sono strumentali e non convincono le opinioni pubbliche, ragione per cui stanno praticando una crociata ideologica contro il “dispotismo asiatico” che spesso rasenta il ridicolo, mischiando arbitrariamente elementi di verità con elementi di falsità e frullando tutto nella propaganda di guerra.

“Semi-democrazie” occidentali versus “dispotismo asiatico”?

Il resto è storia di oggi, di quello che vediamo nei Tg e nei talk show o leggiamo sui giornali. Una russofobia sdoganata, pervasiva, volgare ogni oltre decenza, a conferma che la Russia può essere zarista, socialista o capitalista ma non sarà mai ammessa alla tavola dell’Occidente. Stupido chi aveva pensato il contrario.

Ma adesso l’Occidente scopre che tanti paesi nel resto del mondo hanno verificato che alla tavola dell’Occidente si mangia male ed hanno deciso di “cambiare ristorante”.

Vengono stigmatizzati come autocratici, dispotici etc etc, con la perdurante pretesa di insegnare e imporre a tutti gli altri una civilizzazione occidentale con un passato “glorioso”, ma con un presente di profonda crisi che ormai fa parlare di “semi-democrazie” o democrature” in Occidente evidente a tutti.

Se non si vuole arrivare alla guerra totale occorre cominciare a pensare già da adesso ad almeno due tavolate separate, e magari senza rompersi più i coglioni a vicenda. Oggi le possibilità di crescita economica del sistema capitalista sono solo a discapito di qualcun altro.

Tra uguali si può mangiare alla stessa tavola, tra simili ci si combatte. Il dramma che stiamo vivendo sta qui.

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FONTE: https://contropiano.org/documenti/2022/05/17/la-fabbrica-della-russofobia-in-occidente-0149043

Mosca accusa: «Dietro il vaiolo delle scimmie ci sono i laboratori USA in Nigeria»

Il Ministero della Difesa russo è venuto a conoscenza di 10 progetti statunitensi in Ucraina – su agenti patogeni di infezioni altamente pericolose – ai quali Washington e Kiev hanno collaborato, secondo quanto rivelato venerdì da Igor Kirillov, capo del Dipartimento della Difesa nucleare, chimica e biologica delle Forze armate russe.

“Ci sono informazioni sull’attuazione di 10 progetti simili (tra cui UP-3, UP-6, UP-8, UP-10), che includevano il lavoro con agenti patogeni di infezioni particolarmente pericolose ed economicamente significative: febbre Congo-Crimea, leptospirosi, encefalite trasmessa da zecche e peste suina africana”, ha detto Kirillov in una conferenza stampa.
Le vite del popolo ucraino ed europeo erano state messe a repentaglio dalla cattiva gestione degli agenti patogeni, dall’incompetenza, dalla corruzione e dalla “distruttiva influenza degli Stati Uniti”.

I laboratori biologici statunitensi operanti nelle zone della Nigeria contagiate dal vaiolo delle scimmie.
Gli Stati Uniti gestiscono in Nigeria almeno quattro laboratori biologici statunitensi da cui è stato diffuso il vaiolo delle scimmie, ha rivelato Kirillov, citando i rapporti dell’Organizzazione mondiale della sanità sull’origine dell’epidemia.

“Secondo il rapporto dell’OMS, il ceppo dell’Africa occidentale dell’agente patogeno del vaiolo delle scimmie è originario della Nigeria, un altro paese in cui gli Stati Uniti hanno dislocato la propria infrastruttura biologica. Secondo le informazioni disponibili, ci sono almeno quattro laboratori biologici controllati da Washington in Nigeria”, ha spiegato Kirillov.
Egli si è anche rivolto all’organismo di controllo sanitario delle Nazioni Unite per indagare sulle attività delle strutture finanziate dagli Stati Uniti in Nigeria.
Kirillov ha affermato che nei laboratori biologici in Ucraina sono stati trovati dei documenti, preparati da esperti statunitensi, che forniscono una formazione dettagliata sulla risposta alle emergenze di epidemie di vaiolo.

“La mancanza di controlli adeguati e le violazioni dei requisiti di biosicurezza negli Stati Uniti possono portare all’uso di questo agente patogeno per scopi terroristici”, ha sottolineato Kirillov.
Il Ministero della Difesa russo ha annunciato che i laboratori biologici ucraini facevano parte di un sistema di monitoraggio globale controllato dal Pentagono, che consentiva agli Stati Uniti di controllare il loro lavoro da remoto.
Mosca ha anche presentato documenti che confermano l’organizzazione del lavoro biologico-militare del Pentagono rappresentato dal Dipartimento per la Riduzione delle Minacce del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

Il capo del Servizio federale di sorveglianza sulla protezione dei diritti dei consumatori e il benessere umano (Rospotrebnadzor), Anna Popova, ha affermato che nel mondo ci sono più di 300 laboratori biologici civili e militari finanziati dagli Stati Uniti, con regioni che hanno alte concentrazioni di laboratori americani sia militari che civili, e il loro numero aumenta di giorno in giorno.
I finanziatori, secondo i documenti forniti dal Ministero della Difesa russo, sono Hunter Biden e il suo fondo di investimento, Rosemont Seneca, e George Soros e la sua famigerata Open Society Foundation.

Fronte della Resistenza al Mondialismo (https://frontedellaresistenza.ir/2022/05/28/laboratori-biologici-statunitensi-nel-mondo/)

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/mosca-accusa-dietro-il-vaiolo-delle-scimmie-ci-sono-i-laboratori-usa-in-nigeria/

GLI HACKER ATTACCANO L’ITALIA DOPO AVERE SENTITO LE PERCENTUALI DI COLAO?

il Ministro della Transizione Digitale ha dichiarato pubblicamente che il 95% dei server della P.A non è sicuro

Quando una qualunque gang criminale decide di “fare il proprio mestiere” cerca prede facili. E’ fin troppo ovvio.

Normalmente prima di affilare le armi per saggiare il livello di protezione di questo o quel target, i banditi procedono ad una ricognizione per individuare le realtà che – vulnerabili più di altre – non richiedano sforzi eccessivi per raggiungere il risultato.

La raccolta di informazioni comincia con la lettura dei comunicati stampa in cui i presumibili obiettivi hanno dichiarato l’avvio dell’implementazione di un certo tipo di soluzione di sicurezza informatica. Il prodotto scelto dall’azienda o dall’ente pubblico, soprattutto in caso di cambio radicale di assetto, è indizio del rimedio ritenuto necessario e quindi della sussistenza di uno o più punti deboli.

La “interrogazione” a distanza di un sistema consente, poi, di acquisire notizie sul sistema operativo in esercizio e sull’installazione di baluardi virtuali: i server vengono “solleticati” e rispondono con sorridenti piccole informazioni che indirizzano involontariamente ad approfondire il reale grado di debolezza dell’ipotetico bersaglio.

Stavolta i pirati non hanno avuto bisogno di fare ricerche folli, sperimentazioni preventive, scandaglio di fonti informative nel deep web o nelle darknet.

A dire loro che siamo un obiettivo senza dubbio appetibile e soprattutto facile ad essere conquistato non sono le chiacchiere di Tizio o di Caio, sedicenti esperti o addirittura autoproclamati “evangelisti” di cybersecurity, ma le dichiarazioni dirette del Ministro della Transizione Digitale, Vittorio Colao.

E’ stato, infatti, il titolare del dicastero che sovrintende il processo di innovazione tecnologica del Paese a “vantarsi” pubblicamente che il 95 per cento dei server della Pubblica Amministrazione non ha i requisiti minimi di sicurezza informatica. Dinanzi ad una simile notizia, difficile che i delinquenti del Terzo Millennio perdano una simile occasione. Non foss’altro per il desiderio di conferire la più elevata attendibilità alle affermazioni del Ministro, gli hacker hanno sentito il dovere di “certificare” la sconsolante percentuale di vulnerabilità dei sistemi della P.A. a dispetto del “Piano Nazionale per la Protezione Cibernetica e la Sicurezza Informatica” presentato oltre cinque anni fa dal Dipartimento per le Informazioni per la Sicurezza (DIS) e redatto dall’allora suo vicedirettore che oggi siede al vertice della Agenzia Cyber.

Le amministrazioni pubbliche si sono guardate bene dal rispettare le prescrizioni e chi doveva sincerarsi del loro corretto adempimento si è guardato bene dall’adottare le necessarie iniziative per richiamare all’ordine quel 95 per cento che – a detta di Colao – è ancora oggi un colabrodo…

Analogamente alla “Strategia Nazionale” recentemente strombazzata, il Piano del 2017 prevedeva la precisa prescrizione di “Misure di potenziamento
della architettura nazionale cibernetica” ed una serie di “indirizzi operativi” (nove per la precisione) in cui erano contemplati il potenziamento delle capacità di intelligence, di polizia e di difesa civile e militare, il potenziamento dell’organizzazione e delle modalità di coordinamento e di interazione a livello nazionale tra soggetti pubblici e privati, la promozione e diffusione della cultura della sicurezza informatica con attività di formazione ed addestramento, la cooperazione internazionale e l’esecuzione di esercitazioni congiunte, l’operatività delle strutture nazionali di incident prevention, response e remediation, gli interventi legislativi e compliance con obblighi internazionali, la necessità di essere conformi a standard e protocolli di sicurezza, il supporto allo sviluppo industriale e tecnologico, la comunicazione strategica e operativa, l’individuazione delle risorse necessario, l’implementazione di un sistema di cyber risk management nazionale. Il lungo elenco è semplicemente la trasposizione dell’indice delle 39 pagine (copertina inclusa) in cui era stato sintetizzato quel da farsi che probabilmente è rimasto disatteso nonostante anche all’epoca i toni trionfalistici ci avessero fatto vibrare d’orgoglio per i buoni propositi manifestati.

L’esternazione del “95 per cento” – fatta in tempi in cui il cittadino era più attento al 90% del “bonus facciate” a al 110% del “superbonus” probabilmente non è stata una buona mossa.

E adesso cosa succederà?

Difficilmente l’aggressione rispetterà le tempistiche immaginate leggendo i messaggi su Telegram dal gruppetto hacker “KillNet”. Ed è commovente vedere che tutti corrono frettolosamente ai ripari per una minaccia conosciuta da sempre ma scoperta al semplice abbaiare di un manipolo di ragazzini pronti a mettere in difficoltà un’intera Nazione.

I criminali non vivono solo di blitz (che l’arte della guerra, e non c’è bisogno di Sun Tzu per saperlo, non suggerisce certo di annunciare), ma amano anche la guerra di logoramento. Non attaccheranNo certo quando sono tutti sui bastioni a lanciare olio bollente sugli assalitori, ma aspetteranno il momento in cui le vedette cominceranno ad assopirsi…

Se non succede nulla in queste ore non vorrà certo dire che siamo stati bravi a difenderci o che abbiamo spaventato le moderne orde barbariche.

Non muoveranno sul fronte del Distributed Denial of Service cercando in intralciare la regolare raggiungibilità dei siti web che, comunque, torneranno a galla dopo poche ore e che, soprattutto, funzionano malamente anche nelle loro normali condizioni di esercizio (c’è rischio che gli hacker, cercando di fare danno, ne migliorino le prestazioni…).

Se non sono cretini (e non sono certamente cretini i registi dell’offensiva) andranno a minare le infrastrutture e ad inquinare i database. Il silenzioso progressivo avvelenamento degli archivi elettronici vanificherà persino i back-up, perché anche le copie di salvataggio porteranno i segni della micidiale aggressione semantica. Ma sono cose cui danno peso solo i “reduci” della cyberwar e quindi perché preoccuparsi?

FONTE: https://www.infosec.news/2022/05/30/editoriale/gli-hacker-attaccano-litalia-dopo-avere-sentito-le-percentuali-di-colao/

 

 

 

ECONOMIA

Italia, la lunga crescita è finita?

di Mauro Gallegati, Pier Giorgio Ardeni

Centocinquant’anni di economia italiana riesaminati con nuovi dati e con uno sguardo che non si ferma al PIL, esplorando la complessità dello sviluppo, dei divari, degli squilibri e dell’attuale stagnazione del paese. Un’anticipazione dal libro di Ardeni e Gallegati ‘Alla ricerca dello sviluppo’

money 549161 960 720L’Italia – come recita il felice titolo di un saggio di Vera Zamagni – nei centocinquant’anni tra il 1861 e il 2011 è passata «dalla periferia al centro». Il Paese è cresciuto: si è arricchito, istruito, ha visto un generale e vistoso miglioramento del tenore di vita della sua popolazione, la quale è aumentata per raggiungere un «plateau», dato l’aumento dell’invecchiamento e la diminuzione della natalità. Questo sviluppo, tuttavia, è avvenuto per fasi e negli ultimi decenni è sostanzialmente rallentato: poiché nulla è per sempre, esso può ancora tornare indietro, e questo libro investiga perché. Oggi il Paese sembra fermo, la sua economia non cresce, le sue prospettive paiono incerte, l’orizzonte vago: è questa la «fine» di una parabola, oppure è già iniziata una nuova fase? Eppure, dall’Unità d’Italia ad oggi, molta strada è stata percorsa, in termini di ricchezza prodotta, di qualità e tenore di vita, di benessere.

Reddito e ricchezza, com’è ovvio, influiscono profondamente sul tenore di vita, sui consumi e, quindi, sul benessere. Questo, tuttavia, non dipende solo dal reddito ed è il risultato di un insieme di fattori in cui istruzione, salute e condizioni di vita giocano un ruolo fondamentale, così come le infrastrutture – le scuole, gli ospedali, le strade, le reti idriche, elettriche e telefoniche, gli esercizi commerciali, insomma il «contesto» socio-economico – e le istituzioni, lo Stato e le politiche pubblici, nonché il capitale sociale e culturale. Come questi siano cambiati nel corso dell’ultimo secolo e mezzo e come abbiano influenzato l’evolversi dell’economia e della popolazione è l’oggetto di questo libro.

Quando si guarda allo sviluppo economico di un Paese nel lungo periodo si predilige, solitamente, un indicatore – il prodotto interno lordo, PIL – che è ad un tempo una misura della ricchezza generata, della disponibilità di risorse utilizzabili per soddisfare i bisogni e, solo indirettamente, del «tenore di vita» della popolazione, ovvero quell’insieme che compone stili di vita, benessere e qualità del vivere. Guarderemo al reddito nazionale e alle sue misure, dunque, a come esso è variato negli anni, ma anche alle sue componenti, a come questo si è formato, di qua e oltre il PIL, a quegli indicatori che ne vanno al di là, per capire a che punto ci troviamo oggi e dove stiamo andando. Tuttavia, per fare questo, dobbiamo prima chiederci a quali numeri fare riferimento, in quanto anche i dati statistici disponibili – e le tecniche per produrli – sono cambiati nel tempo.

La disponibilità di nuovi dati offre agli studiosi l’opportunità di esaminare vecchi fatti, interpretarli in modi nuovi e di rispondere alla domanda: in che misura queste nuove stime forniscono risultati contrastanti sulla crescita – specialmente nel periodo fino al 1945 – rispetto a quelli presentati nella letteratura precedente. In questo lavoro, dunque, vogliamo rivisitare la crescita e le sue determinanti lungo i centocinquanta anni e passa che sono trascorsi dall’Unità. Partendo dai dati di Baffigi, guarderemo, in primo luogo, se le stime rivedute forniscono prove sulla presenza di cambiamenti strutturali nell’aumento del PIL che possono suggerire una lettura alternativa delle fasi della crescita economica di lungo periodo dell’Italia, specialmente per quanto riguarda l’interpretazione che vede iniziare lo sviluppo economico dell’Italia in quel preciso momento attorno all’ultimo decennio del XIX secolo. Il riferimento, qui, è alla questione del «decollo» che, in parte, pareva risultare dai dati allora disponibili. Inoltre, poiché il nuovo set di dati, insieme alla serie rivista del PIL pro capite, fornisce anche nuove stime della domanda e dell’offerta aggregata, sarà anche possibile valutare il contributo di queste alla crescita del prodotto e del reddito nazionale. Il PIL è certamente la statistica di maggior successo nella pubblicistica economica, ma è non esente da pesanti limitazioni. Non tanto perché le sue relazioni col benessere e il «tenore di vita» sono vaghe – in fondo il PIL misura per costruzione solo quei beni e servizi che passano per i mercati (escludendo così tutto ciò che viene autoprodotto o è frutto di liberalità) e non il buen vivir – quanto per l’impossibilità di tener conto di nuovi prodotti, di usare un paniere dei prezzi dei beni che non cambia né con l’inflazione, né con le variazioni di prezzo di un bene rispetto all’altro, né valuta ciò che prima della rivoluzione informatica veniva prodotto con un costo che ora è quasi nullo (si pensi alle telefonate, alla posta o alla musica). La misurazione non può che essere imprecisa – come chi voglia quantificare la cultura a litri o lo spazio-tempo a chili.

Quando si valuta il PIL si fa riferimento al valore pro capite (il valore del PIL di un territorio diviso il numero dei suoi abitanti) tralasciando la sua distribuzione – ovvero come quel prodotto viene suddiviso e utilizzato dai suoi percettori – come, ad esempio, quella tra poveri e ricchi. Se ad esempio, il PIL aumentasse del 5% da un anno all’altro e questo andasse tutto ad una fascia della popolazione già ricca o fosse distribuito tra tutti, le due situazioni non sarebbero socialmente equivalenti. La distribuzione del reddito e del prodotto – tra individui e tra aree – è importante per valutare la crescita e i suoi effetti, quanto questa sia diffusa o concentrata, chi ne beneficia e chi no. E come si misura quella distribuzione è dunque cruciale. Gli economisti tendono ad usare indicatori quali, ad esempio, l’indice di concentrazione di Gini che misura la distanza tra la distribuzione personale effettiva del reddito e quella in cui ciascuno riceve la stessa quota di reddito. Questa, però, ignora la distribuzione interna alle classi di reddito.

La distribuzione funzionale del reddito – quanto va ai fattori della produzione, lavoro e capitale – è un indicatore altresì importante, così come lo è la sua distribuzione territoriale (quanto ciascuna area contribuisce e ne riceve). Vi sono indicatori e punti di vista che vengono spesso e volentieri tralasciati, nell’analisi. Non è la sede qui, di chiedersi perché; possiamo limitarci a ricordare, ad esempio, che nonostante sia conclamata l’impossibilità di misurare il capitale nella teoria economica dominante, gli economisti ortodossi continuano a fingere che il problema non esista e a impiegarlo nei loro modelli. Non si tratta tanto del problema del «pollo di Trilussa» e della imprecisione dei dati aggregati medi. È che, da un lato, i moltiplicatori della spesa sono fortemente influenzati dalla distribuzione del reddito per cui una distribuzione a favore dei ricchi – che in proporzione spendono meno dei poveri – ne farà diminuire il valore. Mentre, dall’altro, famiglie, imprese e banche interagiscono tra loro anche al di fuori del sistema dei prezzi – cioè del mercato – producendo ciò che le scienze dure (la fisica, la chimica, la biologia, ma non l’economia) chiamano emergenza, letteralmente: ciò che emerge. Si perde, quando il tutto è più della somma, quel rapporto causa-effetto che sembrava una certezza nella fisica di Newton.

L’impostazione prevalente, incapace di anticipare la crisi del 2008 come tutte quelle che l’han preceduta, è stata negli ultimi decenni messa in discussione e una nuova prospettiva è disponibile, secondo cui i mercati si evolvono spontaneamente verso una situazione instabile, anche se ogni singolo agente agisce nel proprio interesse. In questo caso, l’evento di attivazione diventa irrilevante, mentre il punto chiave è identificare gli elementi di instabilità. E questo ci porta anche a rivedere le misure statistiche. Il PIL, ad esempio, se disconnesso da altre misure riguardanti la sua distribuzione tra famiglie o aziende, non è molto informativo, in particolare circa la resilienza e la robustezza del sistema. Nel trattare di PIL, quindi, si dovrebbe tenere conto della sua distribuzione personale, funzionale e territoriale. Purtroppo, tanto ricostruire il PIL di 150 anni fa è operazione – come la definiva Fuà – di «archeologia statistica», quanto voler ottenere ex-post valori affidabili per distribuzione e luoghi è perlomeno azzardato. Nonostante tali limiti, l’analisi dell’economia di un Paese non può prescindere dal PIL e dalla sua dimensione: in questo libro proveremo ad individuare i momenti di espansione e di riduzione, le loro varie «cause», la loro diffusione territoriale, per comprendere come tutto ciò abbia influito sullo sviluppo. Di questo ci occuperemo nel capitolo 2 – ove guarderemo alla dinamica del PIL nel corso degli ultimi 150 anni e più – e nella seconda Parte del libro, in cui studieremo le componenti del PIL – quelle settoriali, dal lato dell’offerta, come quelle dal lato della domanda – e l’andamento della sua distribuzione. Nella terza Parte estenderemo l’analisi oltre il PIL per investigare il «benessere» dell’Italia e delle sue regioni, per guardare poi allo stato recente del PIL e dell’economia italiana e delle ragioni del suo sviluppo «bloccato».

Cosa misura il PIL e come andare oltre Il PIL di un Paese è solo un indice della ricchezza prodotta oppure esso è in grado di dirci qualcosa, se pur rozzamente, sul benessere? Prima ancora di definire cosa si intenda per benessere, sappiamo che la nostra risposta è negativa: se vogliamo «vivere bene», non dobbiamo guardare, se non in parte, al PIL. In questo senso dobbiamo liberarci dal mito della crescita economica e concedere che il benessere è un concetto olistico, non un valore di mercato espresso dal PIL. L’idea stessa di PIL come indicatore di benessere presuppone che ci si trovi, di fatto, di fronte a una varietà infinita di bisogni. La produzione di beni e servizi aumenta la quantità (ma anche la varietà) di prodotto disponibile per soddisfare un numero crescente di esigenze. I bisogni cambiano nel tempo poiché nuovi bisogni vengono «indotti», creati ex novo. Ma se c’è un aumento dei «bisogni indotti», per soddisfarli bisogna produrre di più o diversamente; allo stesso tempo, con il mutare della tecnologia, può diminuire o cambiare l’occupazione – si può produrre di più con la stessa quantità di lavoro – e con essa il reddito generato e quindi la domanda aggregata, dato che le macchine non consumano. In questo modo, tuttavia, si crea un circolo vizioso. Se non vengono inventati nuovi bisogni, non ci saranno nuove richieste di prodotti o servizi per soddisfarli e, di conseguenza, nuove attività di produzione e nuovi posti di lavoro. Dal momento che, tuttavia, le risorse sono limitate, questa è una barriera alla crescita infinita – se la popolazione continua a crescere – che ci costringe a immaginare produzioni possibili senza passare la nostra vita nella ricerca di un PIL sempre maggiore per una sempre maggiore prosperità.

Accanto alla revisione dell’idea del PIL come misura della qualità delle nostre vite, siamo accompagnati dalla ricerca di soddisfacenti misure di benessere. Il PIL – il valore di beni e servizi prodotti e scambiati – descrive solo in parte la nostra vita. Le motivazioni di coloro che credono che il PIL sia una misura, per quanto approssimativa, di benessere sono in un certo senso circolari. Se ipotizziamo l’esistenza di un certo numero di bisogni e che il benessere dipende dalla capacità di soddisfarli attraverso la produzione di beni e servizi, allora più si produce – più cresce il PIL – più i bisogni sono soddisfatti. Naturalmente, c’è molto di più oltre questa visione del mondo semplicistica. Sebbene esista un insieme di beni primari, che soddisfano bisogni «essenziali», nuovi bisogni vengono costantemente creati e aggiunti. In breve, il PIL è un numero, ma non è neutro e valido per ogni stagione, poiché diverso in base al Paese e al momento storico. Il PIL pro capite viene solitamente utilizzato come indicatore del tenore di vita di un Paese e il suo aumento come indicatore del suo miglioramento. È prassi comune giudicare se la vita in un Paese è migliore della vita in un altro in base al livello di reddito (prodotto) pro capite. In questo senso, il tasso di crescita del PIL viene considerato come un indice della «salute economica» e della prosperità di una nazione, mentre andrebbe inteso come uno degli indicatori dell’economia di un Paese. Quando usiamo il PIL come misura delle nostre vite, commettiamo una serie di errori, per i diversi problemi relativi a ciò che il PIL misura. Visti questi problemi, da molti anni si stanno cercando indicatori che consentano di andare «oltre il PIL». Organizzazioni internazionali e nazionali e commissioni di studio hanno proposto indicatori alternativi. Da noi, ISTAT e CNEL dal 2013 utilizzano un indice composto da domini «oggettivi» e «soggettivi», il BES, Benessere Equo Sostenibile. Di questo si occupa, come detto, la terza Parte del libro, ove due capitoli illustrano un esercizio di applicazione del BES all’Italia dal 1861 e alle sue regioni dal 1871.

C’è poi il tema della produttività e, latu sensu, dell’innovazione – a ottenere di più con meno – e di come questa abbia contribuito e stia (o meno) contribuendo alla crescita del reddito nazionale. L’Italia di oggi, è stato rilevato, ha un «problema di crescita» e la spiegazione è solitamente attribuita all’asfittica produttività. Se la produttività aumentasse, i fattori sarebbero più produttivi e, di conseguenza, aumenterebbero sia il PIL totale che quello pro capite. Sarebbe pure vero se ad un aumento della produttività fisica e in valore corrispondesse una crescita delle vendite, ma questo può accadere se, cioè, tutto ciò che viene prodotto è venduto. Come già scriveva a suo tempo Marx, il capitalismo deve affrontare il problema di vendere ciò che produce. Trasformare le merci in denaro assomiglia ad un «salto mortale» più che ad una passeggiata. Come vedremo, l’Italia nel complesso sembra resistere bene sulle posizioni conquistate nel secondo dopoguerra.

A ben vedere, quando si procede all’analisi per territori la rete si frammenta in varie «zone», in cui emerge una zona «arretrata», simile ai Paesi a sviluppo recente europei, una zona «di mezzo», e una «potenzialmente avanzata». Il tema è non tanto quello di produrre maggiori quantità di beni e servizi, quanto di produrne di «nuovi» – ibridando tecnologie, reti e conoscenza – sapendo che il nuovo nasce dal vecchio per cui più prodotti siamo in grado di ottenere più facilmente ne produrremo di nuovi, aumentando in tal modo la domanda di lavoro che diffonde così il «benessere». Il che ci porta a una domanda: come si sta preparando l’economia italiana alla rivoluzione 4.0? Come vedremo, l’economia italiana è in forte sofferenza per molte ragioni, tutte superabili seppur con tempi lunghi. Ma il basso aumento della produttività «in valore» rischia di essere il fattore decisivo, senza dimenticare la scomparsa della grande impresa e l’asfittica spesa in ricerca del nostro sistema. Un tallone d’Achille dell’economia italiana è infatti quello delle poche risorse dedicate alla ricerca – le nostre aziende investono poco – e la difficoltà di lasciarsi indietro per sempre lo stigma iniziale di paese a sviluppo tardivo – da cui dualismo, assenza di grandi imprese e un ruolo passivo dello Stato, non innovatore, ma neanche regolatore (mafie, corruzione ed evasione fiscale) – insieme alla scarsa educazione civica dei suoi cittadini (come ebbero a rimarcare Einaudi e Ciampi, la natura della crisi si deve tanto ai fattori economici che a quelli culturali e spirituali) cui si aggiunge una realtà distributiva (di genere, generazioni e luoghi) che è un conflitto permanente. Si consideri poi che l’innovazione nasce sì dalla ricerca e dalle sue ricadute, ma diventa effettiva solo se c’è domanda, ovvero se la si usa. L’occupazione non è data dall’equilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro, ma da quanta offerta aggregata verrà resa effettiva dalla domanda.

Senza settori di alta tecnologia e uno Stato spesso latitante, come possiamo fronteggiare la rivoluzione tecnologica, la jobless economy, la rottura del legame tra crescita ed occupazione? Che fare? La sezione conclusiva di questo libro suggerisce alcune indicazioni.


Pier Giorgio Ardeni, Mauro Gallegati. Alla Ricerca dello Sviluppo. Un viaggio nell’economia dell’Italia unita, con prefazione di P.L.Ciocca, 308 pp., Il Mulino.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/politica-economica/23121-mauro-gallegati-pier-giorgio-ardeni-italia-la-lunga-crescita-e-finita.html

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Referendum giustizia, perché dire basta al carcere preventivo

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

Il 12 giugno si avvicina e il dibattito in merito ai referendum sulla giustizia stenta ancora a partire. Non se ne parla a sufficienza. Sarà anche vero che gli italiani hanno altre preoccupazioni: il lavoro, le bollette e l’affitto da pagare, e sullo sfondo la paura degli effetti della guerra e di nuove pandemie. Eppure, questo è l’ultimo treno per cercare di cambiare la giustizia e sarebbe un peccato perderlo.

Ci siamo occupati di questo referendum con diversi nostri articoli e speciali, da ultimo con un libretto dal titolo “Referendum Giustizia: tutte le ragioni per votare Sì”, sostenendo in modo convinto la necessità di votare Sì a tutti e cinque i quesiti referendari. In un precedente post abbiamo analizzato il quesito più controverso, quello sulla “Legge Severino”, oggi vogliamo porre l’attenzione su quello che riguarda i “limiti agli abusi della custodia cautelare”. Prima però vogliamo fare due passi indietro…

Il tintinnio delle manette

Era il 31 dicembre 1997 quando l’allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, denunciò a reti unificate nel suo discorso di fine anno l’uso sconsiderato della custodia cautelare in carcere: “Il tintinnare le manette in faccia a uno che viene interrogato da qualche collaboratore, questo è un sistema abietto, perché è di offesa. Anche l’imputato di imputazioni peggiori ha diritto al rispetto”. Scalfaro si riferiva alla stagione di Mani Pulite, quando era solito, quasi quotidiano, sbattere gli indagati in cella perché rivelassero ciò che gli inquirenti cercavano. Tanto per rendere l’idea dell’uso distorto che è stato fatto della misura cautelare carceraria, in merito alla stagione di Tangentopoli Francesco Saverio Borrelli ebbe modo di dire: “Ma in fin dei conti, è proprio così scandaloso chiedersi se lo choc della carcerazione preventiva non abbia prodotto dei risultati positivi nella ricerca della verità?”. Lo scandalo, in realtà, sono le idee inquisitorie che si nascondono dietro queste parole.

Il supplizio di Enzo Tortora

Il caso più clamoroso, tuttavia, è più risalente nel tempo. Giugno 1983, viene arrestato Enzo Tortora, il noto presentatore televisivo accusato da alcuni collaboratori di giustizia di trafficare droga per conto della Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo. Gli inquirenti di Napoli si fidarono delle rivelazioni di uno psicopatico, tale Giovanni Pandico (detto ‘o pazzo), che leggendo sull’agendina di un’amica del camorrista Giuseppe Puca il nome di un tale Enzo Tortona (con la n), rivelò si trattasse di Enzo Tortora, “quello del pappagallo”. I giudici istruttori ritennero credibile una tale ricostruzione, avallata da altri pentiti del calibro di ‘o animale (Pasquale Barra) e cha-cha-cha (Gianni Melluso). Fatto sta che Tortora, completamente estraneo ai fatti, passerà in totale 271 giorni in carcere, per poi essere condannato a 10 anni di reclusione in primo grado per associazione a delinquere di stampo camorristico e traffico di stupefacenti. L’assoluzione con formula piena arriva in appello solo nel 1986, confermata in Cassazione un anno più tardi. Pm, giudici istruttori e giudici del tribunale di Napoli, nonostante i gravi errori commessi, furono tutti promossi.

Cosa prevede il quesito referendario?

L’oggetto del referendum è chiaro. Si tratta di limitare gli abusi della custodia cautelare. Vediamo come funziona. Quando sussiste almeno una delle esigenze cautelari previste dal codice di procedura penale (pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato), e solo quando il pericolo è concreto ed attuale, il Pm può chiedere al Gip l’applicazione di una misura cautelare nei confronti della persona sottoposta ad indagini. La difesa non può nulla, se non presentare (dopo che la misura è stata eseguita) istanza al tribunale del riesame oppure depositare allo stesso Gip istanze di revoca o di sostituzione della misura (in quest’ultimo caso solo se sussistono elementi nuovi ai sensi dell’art. 299 c.p.p.). Il quesito referendario intende abrogare l’art. 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale (d.p.r. n. 447/1988), limitatamente alla parte in cui consente l’applicazione della misura cautelare per i delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni e, per la custodia cautelare in carcere, per i delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti.

Cosa accade se vincono i Sì?

In pratica, nel caso in cui i cittadini decidessero di abrogare la norma oggetto del quesito referendario, le misure cautelari sarebbero applicabili soltanto nei casi stabiliti dal primo periodo della lettera c) dell’art. 274, comma I c.p.p., vale a dire solo per “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”. Il quesito mira, dunque, a limitare in modo decisivo il ricorso alle misure cautelari, in primis la custodia cautelare in carcere che resterebbe in vigore solo per quei reati particolarmente gravi che giustificano un’attenzione sensibilmente alta da parte dello Stato.

Non è vero che assassini, rapinatori o stupratori non finirebbero più in galera: per questi reati, e per quelli di mafia o di sovversione dell’ordine democratico, la custodia cautelare in carcere resterebbe una misura ancora applicabile. In tutti gli altri casi, se il popolo votasse per l’abrogazione, si finirebbe in galera o in detenzione domiciliare solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, cancellando definitivamente la barbarie dell’anticipazione della pena. Il quesito mira anche ad abrogare il ricorso alle misure cautelari in ordine al reato di finanziamento illecito dei partiti, con trent’anni di ritardo rispetto a quanto accaduto nella stagione 1992-93. Ci aveva già provato il Governo Amato col “decreto-legge Conso” nel 1993 con cui depenalizzava il reato di finanziamento illecito ai partiti, ma Scalfaro allora si rifiutò di firmarlo sotto una forte pressione mediatica e della Procura di Milano. Solo qualche anno dopo di rese conto dell’errore che aveva fatto.

In un Paese civile chi sbaglia paga, ma solo dopo un regolare processo che conduca – esperiti tutti i gradi di giudizio previsti dalla legge – a sentenza definitiva.

FONTE: https://www.nicolaporro.it/referendum-giustizia-perche-dire-basta-al-carcere-preventivo/

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

NEOLINGUA: SCONFITTA E RESA DIVENTANO UN’EVACUAZIONE
Rosanna Spadini 20 05 2022
“L’Ucraina ha bisogno di eroi ucraini vivi”, ha detto il presidente ucraino #Volodymyr_Zelensky, ringraziando l’esercito e i negoziatori ucraini, le Nazioni Unite e la Croce Rossa per aver facilitato l’#evacuazione.
“Il lavoro per riportare i #ragazzi a casa continua, e richiede delicatezza e tempo”. Si ritiene che centinaia di combattenti ucraini rimangano all’interno dello stabilimento di Azovstal e anche l’Ucraina sta lavorando per #salvarli, ha detto Maliar. “I difensori di Mariupol hanno portato a termine tutte le missioni assegnate dal comando.”
Le forze ucraine hanno completato la loro “missione di #combattimento” a Mariupol e hanno ricevuto l’ordine di “salvare la vita del loro personale”, ha detto lunedì il comando militare ucraino.
Grazie alle settimane trascorse a Mariupol tra pesanti bombardamenti e il peggioramento delle condizioni, “abbiamo avuto il tempo necessario per costruire riserve, raggruppare le forze e ottenere aiuto dai partner”, mentre la Russia non è stata in grado di schierare “fino a 17 gruppi tattici di battaglione verso altre direzioni”, hanno detto i capi militari .
“I difensori Mariupol sono #eroi del nostro tempo”.
FONTE: https://www.facebook.com/100000545483769/posts/5751178248243634/

 

 

 

Posterità
Leopardi spiega parole
po-ste-ri-tà

SIGNIFICATO L’insieme di coloro che vivranno nei tempi futuri; i discendenti di una stirpe, di una famiglia, di un personaggio; più raramente, le epoche future, gli anni e i secoli a venire

ETIMOLOGIA dal latino posteritas che vale sia come ‘l’avvenire, il futuro’ che come ‘i discendenti, i posteri’, sostantivo formatosi dall’aggettivo posterus ‘seguente, successivo, futuro’.

«Cosa ti piacerebbe fosse trasmesso alla posterità?»
Carpe diem, quam minimum credula postero.

Orazio, Ode 11

Così si chiude la poesia che ha reso celebre l’espressione – divenuta ormai un vero e proprio motto – “cogli l’attimo!”. Ma di cosa parla il resto del testo? Orazio si rivolge alla fanciulla Leuconoe invitandola a godere del tempo presente senza cercare di prevedere cosa avverrà nel futuro ed evitando di affidarsi eccessivamente alla speranza, che corre molto più veloce del tempo stesso. Nel verso di chiusura, insieme all’invito a vivere “il qui ed ora” — diremmo oggi —, si aggiunge il consiglio di essere “fiduciosa il meno possibile nel futuro”.

Posterus infatti, formato sull’avverbio latino post, è letteralmente ‘seguente, successivo’ e dunque, in senso temporale, ‘futuro’. Da qui, il sostantivo posteritas ha assunto sia il significato stretto di ‘il futuro, l’avvenire’ che quello più esteso di ‘i discendenti’, cioè le generazioni che questo avvenire lo vivranno in prima persona.
Nel suo approdo all’italiano il termine posterità, che con questa sonorità finale così aperta sembra già proteso verso il futuro, ha infine conservato dal latino principalmente la seconda accezione: un certo e indistinto numero di persone che abiteranno un domani più o meno lontano, le “generazioni future”, come si suol dire.

Al giorno d’oggi, parlare di posterità significa per lo più riflettere, con un certo nodo alla gola, su ciò che gli uomini di oggi stanno lasciando a quelli di domani, principalmente dal punto di vista dell’ambiente e delle risorse. Possiamo allora ritrovarcela — questa parola così intrisa di aspettative ma offesa da una certa ipocrisia — citata in dichiarazioni pubbliche, articoli di giornale, testi di diritto, possiamo udirne il nome in conferenze stampa o servizi televisivi. Se solo avesse più peso nei fatti che nelle parole!

In passato, quando il pensiero della posterità aveva a che fare piuttosto con la speranza e il desiderio che non con la preoccupazione, ad appellarsi ad essa erano eroi, artisti, poeti, coloro che ambivano ad essere ricordati oltre il limite della loro vita terrena, che nella memoria presso i posteri riconoscevano il dono dell’immortalità.

Cicerone, spiegando il motivo che lo spingeva a sostenere la grande fatica e impegno che richiedeva la sua opera scrittoria, affermava:

Non era molto più da eleggere un vivere ozioso e tranquillo, senza alcuna fatica o sollecitudine? Ma l’animo mio, non so come, quasi levato alto il capo, mirava di continuo alla posterità in modo, come se egli, passato che fosse di vita, allora finalmente fosse per vivere.

Cicerone, Cato Maior de senectute

Per gli eroi omerici garantirsi un posto nella memoria della posterità era vitale, sprone ad ogni battaglia, fonte di ardimento, un simbolo che sembra essersi cristallizzato lungo i secoli se ancora oggi, nelle lastre marmoree in onore dei caduti di guerra, leggiamo invocata a caratteri cubitali la speranza che “la posterità li ricordi e li benedica nella successione dei secoli”.

È ironico pensare che questa posterità, già scomodata prima di esistere, chiamata alla gratitudine, al ricordo, al perdono, al ruolo di giudice (come non pensare al Manzoni e a quell’ardua sentenza delegata ai posteri), sia poi quanto di più inconoscibile possiamo pensare, avendo a che fare con quell’insondabile e impenetrabile mistero che è il futuro.

Come scrive Leopardi, questa poeticissima e nobile parola, nel suo essere così generica e nel suo parlare dell’ignoto, è in certo modo la reginetta del vasto, dell’incerto, dell’indefinito, proprio perché di questa posterità non abbiamo e non potremo mai avere conoscenza alcuna.

Posteri, posterità sono parole poeticissime ecc. perché contengono un’idea 1. vasta, 2. indefinita ed incerta, massime posterità della quale non sappiamo nulla.

Leopardi, Zibaldone

È suggestivo pensare che quella che era allora una così ignota e inconoscibile posterità siamo proprio noi, attori del presente. Avendo dunque tra le mani la possibilità di guardarci indietro e di vedere ciò che è stato fatto, ciò che è stato detto e a cosa esso ha portato, dovremmo forse chiederci quale sia la direzione migliore da intraprendere oggi, quella che avremmo voluto fosse stata scelta a suo tempo per noi.
A noi, oggi, l’ardua sentenza.

Parola pubblicata il 30 Maggio 2022
FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/posterita

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

LETTERE DI DISOCCUPATI

di Saverio Tommasi
Voi non avete idea di quante lettere la redazione di Fanpage.it stia ricevendo in questi giorni. Ve lo dico io: valanghe di storie e parole di persone che non riescono a trovare un lavoro.
Avrei voglia di stamparle queste lettere, e poi rincorrere Briatore e Renzi fino sotto casa e leggerle loro ad altissima voce nelle orecchie. Oppure andare da tutti quei piccoli imprenditori che si sentono Olivetti ma somigliano invece agli schiavisti della Virginia, e dire loro: davvero volete abolire il reddito di cittadinanza?
Davvero qualcuno può pensare che se la gente non mangia, vada tutto bene?
In queste lettere che riceviamo leggo tristezza ma non sconforto, se non una briciola o due.
Leggo scoraggiamento dopo ogni colloquio di lavoro fallito, dopo ogni lavoro da sfruttato, dopo ogni contratto non fatto perché “non mi conviene assumere: o al nero o niente”.
Cola smarrimento da certe parole di certe lettere. Smarrimento per avere avuto ancora una volta la necessità di un aiuto da parte dei genitori, invece di essere in grado di darne uno loro, a due persone anziane.
Per voi – moltitudine senza lavoro – che ci avete inondato di sentimenti e parole, io non ho nessun consiglio. Più ci penso e meno ne trovo.
Sono incompatibile con i consigli di chi ha il dubbio su dove andare in vacanza, e non se ci andrà.
Ritengo irricevibili i consigli di chi ogni sbaglio l’ha coperto con i soldi del papy, e poi l’ha chiamata gavetta.
E dunque no, sfruttati, disoccupati e perdenti alla lotteria dell’impiego: non ho nessun consiglio per voi. Però non accettatene neanche da altri, soprattutto da quella classe imprenditoriale che con pochissime eccezioni è pronta a insegnare come si reagisce a una sconfitta senza essere mai rimasta senza soldi dopo una battaglia.
Voi che avete raschiato il barile delle leggi e continuato a scavare, per riuscire a risparmiare due centesimi all’ora per un vostro dipendente?
Prendete le vostre idee imprenditoriali e appallottolatele lontano, che nessuno possa contagiarsi con la credenza “sfamare chi ha fame è sbagliato, dategli una canna da pesca”. Avete prosciugato i fiumi, rubato i mulinelli, imposto la proprietà privata sulle rive e vi siete mangiati finanche i vermi delle esche, e ora pensate di lasciarci affamati e con un pezzo di bambù in mano?
Avete visto la serie di Zerocalcare, dove lei torna a vivere dai genitori, e poi s’ammazza? Vi svelo un segreto: non era una serie. Per questo ci siamo riconosciuti così tanto dentro quella storia, anche se può non essere la nostra storia.
Abbiamo il diritto a non essere brillanti, entusiasti e raggianti, dopo tre anni senza lavoro o cinque.
Possiamo dirlo che il mercato del lavoro non esiste – oppure è pagato male e al nero – ma la colpa non è delle persone che “non hanno voglia di rimboccarsi le maniche”? Perché l’ultima frase solleva dalle responsabilità politiche e di controllo della regolarità delle collaborazioni, che invece dovrebbero essere i due grimaldelli della ricostruzione.
Dopo aver ricattato, licenziato, messo ai margini e pagato operai e collaboratori 6,5 euro lordi l’ora, non date ai senza diritti anche la colpa per la loro condizione. Almeno questo, vi prego, risparmiatecelo. Abbiate ritegno. Siete voi che in Parlamento avete le lobby e i conflitti di interesse. Gli altri vorrebbero soltanto un lavoro, onesto e onestamente pagato.
Cit. di Marina A. Rossi
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10226101018901663&id=1523315397

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Russia e Cina: Il momento peggiore della storia arriverà presto

 

 

 

INDIA SOSPESA

Foto e testo di Marino Da Costa

Questo reportage è tra i vincitori del corso di fotografia della Newsroom Academy con Ivo Saglietti

Ho pensato che visitare l’India mi avrebbe offerto un punto di vista diverso, un modello culturale nuovo con regole nuove. Nel cercare il senso, l’ordine delle cose, ho scoperto che solo perdendolo potevo capirlo più profondamente. Ho trovato nelle parole di Fabrizio De André il sottotitolo del mio progetto prima ancora di averlo realizzato: “Essere anarchici significa darsi delle regole prima che te le diano gli altri”. Del resto, sono state proprio le fotografie del mio viaggio a farmi comprendere a pieno il significato di quella frase. L’India è un luogo che ha stravolto il mio modo di fare fotografia: il tempo, il diaframma e la composizione hanno preso forma nell’istante dell’intuizione, sgretolando lunghe riflessioni, calcoli e programmi troppo lenti per cogliere l’essenziale. Ho scoperto con sorpresa che la più importante abilità era quella di tenere le antenne dritte, di vedere e fermare al volo tutto quello che cambia in un attimo. In India mi è capitato perlopiù di fotografare l’imprevedibile, mettendo da parte le aspettative.

Il Giardino che circonda il Taj Mahal. Agra, India

L’imprevedibilità dell’India è qualcosa che non si capisce finché non si sperimenta direttamente. Accanto a scatti studiati e persone talvolta in posa, ci sono le pause. Quelle che in altri contesti sono delle attese di un avvenimento, divengono in un istante l’evento stesso. Un caldo e monotono pomeriggio si può animare non appena alcuni ragazzi iniziano a volteggiare sopra le teste dei turisti. Ma non è solo il tempo ad essere inaspettato, spesso lo sono anche i luoghi. Ne è un esempio uno dei monumenti simbolo dell’India, il Taj Mahal: grazie alla sua perfetta simmetria architettonica, ognuno dei quattro lati propone una visione identica a quella della facciata principale. I numerosi templi riescono di frequente ad unire sacro e profano. Come nei pressi di Jaipur, dove il tempio di Galta Jil cede la sacralità delle sue vasche, per l’istante di uno scatto, a qualcuno che va in cerca di un bagno fresco. Ma non è escluso che la tradizione della preghiera coesista qualche volta con la moderna vanità.

Ragazzo in posa nel tempio delle scimmie di Galta Jil. Jaipur, India

È sorprendente realizzare con quanta facilità si possa passare da un vicolo quasi deserto a una strada piena di persone, veicoli e spesso anche animali. L’affollamento, a volte, è anche relativo alle idee delle persone e non è strano vedere degli elettricisti improvvisati che, di punto in bianco, si mettono all’opera senza prestare attenzione alle modalità, ai possibili rischi o pericoli.  

Un gruppo di persone prova a riparare un cavo elettrico. Vrindavan, India

Se gli umani appaiono spesso incuranti della folla o del traffico, gli animali mostrano spesso comportamenti che si potrebbero definire innaturali, se si trovassero in natura. Avendo a che fare con un ambiente molto caotico, sia come affollamento che come rumori, cercano la quiete in un modo bizzarro; non si allontanano dai mezzi di trasporto che quella stessa quiete la rendono spesso impossibile, ma semplicemente cambiano prospettiva.

Un cane è seduto sopra il tetto di una macchina. Jaipur, India

Questo talvolta ispira anche gli uomini. I cani, molto numerosi sia nelle città sia nelle zone di periferia, sono molto poco addomesticati. Spesso sono liberi. Anche in questo caso può accadere qualcosa di inaspettato: il rapporto tra l’uomo e il cane non è quello più comune, vale a dire l’animale che viene istruito dal padrone. Viceversa, può capitare che sia l’uomo ad imitare il comportamento dell’animale e scoprirne il senso.

D’altra parte, l’uomo fa spesso azioni il cui senso non appare immediatamente. Come trasformare in pochi istanti il pozzo del centro città in una gara di tuffi. Ne è un esempio il pozzo di Jodhpur, costruito in modo da poter raggiungere l’acqua con le scale, indipendentemente dall’altezza del livello dell’acqua. Nonostante questa organizzazione della struttura in più livelli, ci sono molti ragazzi che decidono di tuffarsi lanciandosi da diversi metri di altezza. Molti restano feriti a causa di un salto sbagliato.

Alcuni ragazzi si tuffano in un pozzo di acqua potabile. Jodhpur, India

Le acrobazie sono qualcosa che intrattiene fin da piccoli: non serve avere un’attrezzatura particolare, si possono fare da soli o in compagnia e, soprattutto, si possono fare improvvisando. Questo è infatti uno dei giochi che i bambini fanno nei parchi e nelle piazze. In quelle stesse piazze un mercato può prendere improvvisamente vita, anche di notte. E il gioco dei bambini lascia spazio al gioco degli adulti, fatto di trattative, compravendite, persuasione.

 

 

 

L’OCCIDENTE E L’UCRAINA  SI PREGIANO DI COMBATTERE LA RUSSIA MA ESIGONO CHE PUTIN SBLOCCHI  IL GRANO UCRAINO
Tonio de Pascali  27 05 2022
Dunque:
guerra senza confini contro Putin
– sanzioni a go-go contro la Russia (impoverire i russi per spingerli a detronizzare Putin)
– i contendenti se la stanno dando nel Don bass 
– l’Ucraina, con gli aiuti occidentali, dice, “ha ucciso 30mila russi, ha abbattuto 204 superbombardieri russi, ha distrutto oltre 1000 carri armati russi, ha abbattuto 750 elicotteri russi”
– centinaia di miliardi di dollari dei conti russi sono stati sequestrati nelle banche occidentali
E poi?
E poi Putin dovrebbe consentire al grano ucraino di uscire da Odessa?
Ma sono in guerra o stanno giocando?
E se sono in guerra e l’Occidente sta effettuando sanzioni alla Russia perché poi la Russia dovrebbe calare il capo?
FONTE: https://www.facebook.com/100015824534248/posts/1220210198516453/

 

 

 

ALLONTANARE LA RUSSIA SIGNIFICA AVVICINARE LA TERZA GUERRA MONDIALE

Allontanare la Russia significa avvicinare la terza guerra mondialeLa Russia è stata per quattrocento anni una nazione fondamentale per l’Europa, parte integrante di essa, nonché una garanzia per il bilanciamento dei poteri in Europa nei momenti più delicati. Il ruolo svolto in entrambi i conflitti mondiali è un esempio eclatante della strategica funzione che la Russia ha svolto in Europa, infatti, non si può non ricordare principalmente l’intervento russo nella liberazione di Berlino dai nazisti, nel 1945. Le relazioni con la Russia da parte degli europei non dovrebbero essere compromesse sia da un punto di vista economico-commerciale e sia da un punto di vista politico-diplomatico, anche e soprattutto per evitare che la Russia vada verso la deriva orientale, stringendo ulteriormente un’alleanza con la Cina, la quale rappresenterebbe un nefasto danno per gli interessi economici e di approvvigionamento energetico e alimentare dell’Europa e dell’Occidente, oltre che un grave pericolo politico e militare.

L’Unione europea dovrebbe adoperarsi per impedire questo allontanamento della Russia e dovrebbe iniziare ad affrontare in modo non fazioso e manicheo la crisi in Ucraina, agendo con una lungimirante visione realpolitik di ampio raggio. Tutta questa melassa demagogica, con due pesi e due misure, secondo la quale la Russia rappresenta il male assoluto e la Nato invece la paladina della giustizia e della libertà non solo rappresenta una diegesi non rispettosa della storia e dei suoi antefatti, ma soprattutto rischia di essere una squallida propaganda irrimediabilmente autolesionista per gli europei e il loro benessere.

Al riguardo, potrebbe risultare utile riportare una significativa frase citata nel Vangelo, “chi è senza peccato scagli la prima pietra” e credo che tanto per la Russia, quanto per la Nato non possa esistere alcun diritto di prelazione nell’afferrare la pietra da lanciare. La classe dirigenziale politica dell’Unione europea dovrebbe tenere bene a mente queste considerazioni sopra esposte, a cominciare dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che in ogni suo intervento pubblico non smentisce se stessa, non perdendo mai l’occasione per manifestare tutta la sua miopia politica e diplomatica, evidenziando una visione guerrafondaia, anziché moderata e lungimirante, non esercitando in tal modo al meglio la funzione per cui è preposta, ossia tutelare gli interessi dell’Unione europea e dei Paesi membri.

Al di là di ogni retorica e di ogni propaganda faziosa e partigiana, stile “crociata” o “Guerra Santa”, una propaganda divenuta alquanto incisiva grazie al mainstream, affinché si possano tutelare i rapporti con la Russia e salvaguardare l’esistenza della nazione ucraina, si dovrebbe insistere sul fatto che l’Ucraina deve diventare e rimanere uno stato cuscinetto rigorosamente neutrale e non di influenza atlantica, come indirettamente e in modo occulto ha cercato di rendere la stessa Nato da prima del 2014 fino ad oggi , affinché essa si consolidi come un ponte tra la Russia e l’Occidente e quindi anche e soprattutto l’Unione europea.

La suddetta proposta di risoluzione dell’attuale conflitto in Ucraina non nasce da una considerazione cinica e spietata a danno del mondo ucraino da parte del sottoscritto, ma dalla consapevolezza che se non si attua questa realpolitik non si otterrà alcun vantaggio per nessun contendente, ma solo distruzione e carestia dai risvolti inimmaginabili per tutto il mondo. Lo stesso illuminato mentore della politica internazionale degli Stati Uniti d’America, nonché ex consigliere per la sicurezza nazionale statunitense ed ex segretario di stato sia per il Governo democratico che per quello repubblicano, ha recentemente confermato l’importanza di questa strategia, affermando nello specifico che: “I negoziati di pace devono iniziare entro i prossimi due mesi, prima che si creino sconvolgimenti e tensioni che non potranno essere superate facilmente. La soluzione ideale sarebbe il ritorno allo status quo ante (Henry Kissinger intende che la Crimea debba restare russa e che il Donbass insieme a Luhansk debbano rimanere sotto l’influenza della Russia). Proseguire la guerra oltre questo punto non sarebbe difendere la libertà dell’Ucraina, ma una nuova guerra contro la Russia”.

Kissinger si riferisce al pericolo di una guerra economica dagli sviluppi devastanti e di una guerra militare dagli sviluppi esiziali, per tutta l’umanità, dal momento che la Russia detiene una grande quantità di testate atomiche. Il fatto che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non si renda conto di questi imminenti pericoli e di questa degenerazione militare non mi meraviglia, visto che la sua posizione è cristallizzata nel voler combattere senza alcuna soluzione di continuità, salvo ottenere ciò che ormai è diventato impossibile solo pensare di raggiungere, ovvero il riappropriarsi della Crimea e il non riconoscimento dell’influenza russa nella zona del Donbass, ma che questa posizione venga avallata in modo irresponsabile e miope dalle istituzioni politiche dell’Unione europea e dalla sua classe dirigente lo trovo sconcertante.

Ciò dimostra quanto i rappresentanti delle Istituzioni europee siano o in malafede o inetti nel loro “nanismo” politico o forse sono entrambi, a riprova del fatto che una delle ragioni del fallimento dell’integrazione politica e culturale dell’Unione europea, derivi sia dall’assenza di statisti, come invece furono i padri costituenti e sia dalla dilagante diffusione di burocrati sedicenti dirigenti, che invece di esercitare le loro funzioni nell’interesse dei cittadini dell’Unione europea dimostrano di rappresentare altri interessi di occulta matrice, eseguendo come soldatini quanto viene loro imposto di compiere. Per quanto riguarda l’inettitudine della classe politica italiana credo che non ci sia bisogno di nessuna ulteriore considerazione per quanto ormai sia apodittica in ogni sua declinazione partitica, a causa della sua sconcertante omologazione, che mortifica e nega grottescamente qualsiasi differenza assiologica e di schieramento politico e parlamentare.

FONTE: https://www.opinione.it/cerca?q=BONANNI+SARACENO

 

 

 

 

The Washington Post: Biden ha pianificato ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO prima della guerra in Ucraina

L’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO ha cominciato a essere discussa con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, già prima dell’inizio dell’operazione militare speciale russa in Ucraina, ha rivelato l’analista politico David Ignatius in un articolo sul Washington Post.

Il giornalista sostiene che il Segretario di Stato, Antony Blinken, e altri alti funzionari dell’amministrazione statunitense gli hanno fornito questa settimana i dettagli che nell’aprile 2021 è iniziata una serie di incontri dietro le quinte sulla creazione di una coalizione internazionale per gli aiuti a Ucraina, nel caso in cui la Russia fosse riuscita a inviare truppe nel paese vicino.

“Molto presto, Biden è giunto alla conclusione che il modo migliore per contrastare la speranza del [presidente russo Vladimir] Putin di rompere la NATO sarebbe stato l’adesione di due nuovi membri forti, Finlandia e Svezia”, ??ha spiegato Ignatius.

Biden ha cercato di corteggiare il presidente finlandese Sauli Niinisto chiamandola a dicembre e poi a gennaio per discutere della minaccia russa, ha detto Blinken. Il presidente degli Stati Uniti ha quindi invitato Niinisto a visitare la Casa Bianca a marzo e, mentre sedevano nello Studio Ovale, Biden ha proposto di chiamare il primo ministro svedese Magdalena Andersson, contattandola a tarda notte. A maggio, i due leader europei hanno visitato insieme la Casa Bianca per discutere i piani dei loro paesi per aderire alla NATO.

Ignatius ha osservato, citando Blinken, che grazie a una pianificazione così anticipata della Casa Bianca, una fondazione per le forniture di armi e il sostegno finanziario collettivo all’Ucraina era già in atto poco dopo l’inizio dell’operazione russa in Ucraina il 24 febbraio.

Le due nazioni nordiche hanno formalmente presentato domanda di adesione alla NATO la scorsa settimana, secondo quanto riferito dallo sviluppo del conflitto in Ucraina. Da allora, la Turchia ha imposto ostacoli alle loro candidature, denunciando che Helsinki e Stoccolma tollerano o sostengono i gruppi curdi, ritenuti terroristi.

Da parte sua, il presidente russo Vladimir Putin ha commentato che il suo Paese “non ha problemi” con Finlandia e Svezia, ma “un’espansione delle infrastrutture militari [della NATO] in quei territori susciterebbe sicuramente una risposta” da parte di Mosca.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-the_washington_post_biden_ha_pianificato_ingresso_di_svezia_e_finlandia_nella_nato_prima_della_guerra_in_ucraina/45289_46435/

 

 

 

POLITICA

Falcone e Borsellino non sono dei santini: buttiamo via la retorica e guardiamo l’abisso

Domenico Valter Rizzo – 23 MAGGIO 2022

Falcone e Borsellino non sono dei santini: buttiamo via la retorica e guardiamo l’abisso

In epoca non sospetta, diciamo più di dieci anni fa, l’avevo chiamata “l’antimafia di carta”. Un termine volutamente edulcorato per non trascendere usando termini forse più consoni. Una carta straccia che cominciò a pigliare forma e sostanza proprio all’indomani di quell’estate bastarda del ’92

che ci cambiò la vita. Che ci fece diventare in poche ore adulti. Il cratere di Capaci e lo scenario libanese di via D’Amelio per molti di noi furono il passaggio spaventoso dentro un buco nero che sembra pronto ad inghiottirci tutti. Ma l’orizzonte degli eventi non conteneva solo quell’angoscia spaventosa che ci faceva sentire tutti appesi ad un filo sottile. Conteneva anche splendide occasioni per tanti che ne capire subito la potenzialità.

A farglielo capire fu l’ondata emotiva, il popolo incazzato, i lenzuoli appesi ai balconi di Palermo. Capirono che bisognava diventare surfisti e cavalcarla quell’onda anomala. Capirono che un popolo incazzato, stordito, emotivamente destabilizzato, era pronto a bersi qualsiasi cosa. Il primo passaggio era quello di rendere innocui Falcone e Borsellino. Le bombe li avevano ammazzati. Adesso bisognava trasformarli in qualcosa di profondamente inutile. Due santini, avvolti nella carta velina della retorica. Gli “eroi antimafia” diventavano qualcosa di avulso dalla realtà. Si parlava del loro sacrificio, ma sempre meno del loro lavoro e si cominciava a trattare sempre con più sufficienza chi faceva e si faceva domanda sul perché erano morti. Complice una cultura da strapaese e una folta schiera di giornalisti innocui, che sostituivano l’analisi con l’aneddotica.

Falcone e Borsellino trovarono da morti una schiera di amici che se si fosse palesata da vivi forse avrebbe impedito, non dico la loro fine, ma almeno un non indifferente cumolo di amarezze ed isolamento che entrambi patirono in vita.

E così comincia il grande mascariamento. Li abbiamo visti sfilare certi paladini dell’antimafia. Una schiera che incarnava, dandogli plastica fisicità, l’assunto, allora mal calibrato sull’obiettivo, di Leonardo Sciascia quando parlava di professionisti dell’antimafia. Eppure in questi trent’anni persino l’analisi di Sciascia non basta da sola a decifrare ciò che è accaduto. Sciascia indicava come obiettivo la carriera. Questo è valso per alcuni soggetti: poliziotti, giornalisti con passato ambiguo, qualche politicante, ma non può bastare a descrivere ciò che è avvenuto dietro i cartoni con l’effige di Falcone e Borsellino. L’antimafia che diventa sistema di potere con metodologia mafiosa. Che non usa i killer per ammazzare a colpi di pistola chi non si piega; tiene invece i fili di tanti burattini istituzionali, di magistrati, di poliziotti di uomini dell’intelligence che, più o meno ingenuamente, diventano gli strumenti per assestare colpi pesantissimi a chi osava opporsi al sistema di potere. Al centro ritroviamo Confindustria, l’associazione degli imprenditori siciliani guidata prima da Ivan Lo Bello e quindi da Antonello Montante. Quest’ultimo condannato poi a quattordici anni di carcere.

Il sistema controllava tutto: i grandi affari a cominciare dai rifiuti, e chi era stato cacciato dalla porta, finiva per rientrare dalle innumerevoli finestre. Un cerchio magico che controllava la politica, imponendo assessori di sua fiducia ai governi dell’Isola. Chi alzava la testa e non era ricattabile, finiva nel tritacarne mediatico, come accadde all’ex presidente di Confindustria Catania, Fabio Scaccia, un galantuomo che ebbe la pessima idea di opporsi ai due dioscuri dell’antimafia confindustriale. Venne rimosso e quindi massacrato sui grandi giornali dalle raffinate penne al servizio della Confindustria della legalità. Tutti zitti per anni, tutti ossequiosi, fino a quando, una volta scoppiato lo scandalo, come tanti topi da stiva, si precipitano a lasciare la nave che affonda, tentando di far dimenticare l’ossequio elargito fino a pochi giorni prima.

“La mafia è una montagna di merda”, diceva Peppino Impastato. Ma dirlo a Cinisi, sul finire degli anni Settanta significava morire. Dirlo al crepuscolo dei Novanta e sull’alba del nuovo secolo era uno sport assolutamente innocuo ed era anzi il viatico per ricucirsi l’imene, dopo aver frequentato i peggiori postriboli.

Persino Totò Cuffaro, condannato per mafia ci prova con un certo successo a ripulirsi con un “la mafia fa schifo” scritto sui manifesti. Bastano pochi anni di prudente silenzio per ripresentarsi riverniciati, applauditi e rispettabili. Cuffaro ad esempio viene impudentemente chiamato, fresco di patria galera, a far da relatore ad un paio di corsi deontologici per i giornalisti siciliani, senza che nessuno, tranne un collega che, schifato, abbandonerà la sala, abbia avuto niente da ridire e ad oggi, insieme a Marcello Dell’Utri, altro ex galeotto, indagato a Firenze per le stragi del ’93, è uno dei grandi architetti del centrodestra in Sicilia

Tre decenni, trenta estati messe in fila. I ragazzi di allora che sono invecchiati, molti con amarezza e disillusione. Ma molti ancora con dentro tanta rabbia. Perché bisogna essere incazzati. Esserlo non è un limite.

Una persona un giorno mi rimproverò, con stizza, perché quando parlavo di quella stagione ci mettevo “troppo”. Questa persona, fa il mio stesso mestiere, appartiene ad un’altra generazione e rappresenta forse il sentire diffuso nella società a trent’anni dalle stragi. Un sentire che punta alla superficialità dell’approccio. A semplificare, a banalizzare. Entrare dentro diventa pesante per trova la sua confort zone restando in superficie, facendo finta di non sapere che sotto la superficie placida gli squali non hanno mai smesso di nuotare

Bisogna ricordarsi di quell’estate bastarda e di tutte quelle che sono seguite e ridare umanità, concretezza, realtà a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Questo povero, sventurato Paese non ha bisogno di altri santi e santini. Non ha bisogno di eroi inarrivabili. Ha bisogno di far propria la dignità che ha perso. Le icone lavano la coscienza, deresponsabilizzano: è accaduto con la Resistenza con la quale il Paese si è lavato la coscienza dal servile ed entusiasta consenso al fascismo ed è accaduto con l’uso iconico ed innocuo delle sagome di cartone di Falcone e Borsellino. Basta una bella parata una volta l’anno e siamo autorizzati a voltarci sempre dall’altra parte.

Allora buttiamole via le foto, le scritte, le frasi. Buttiamo via la retorica e guardiamo l’abisso, perché se non lo guardiamo l’abisso, non troveremo mai la forza per combattere il mostro che si annida dentro quell’abisso e dentro noi stessi.

FONTE: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/05/23/falcone-e-borsellino-non-sono-dei-santini-buttiamo-via-la-retorica-e-guardiamo-labisso/6600913/

 

 

 

 

 

ESTERNO MORO
di Marco Travaglio – FQ 29 maggio
Non c’è parola se non capolavoro per descrivere Esterno notte, la serie-film di Marco Bellocchio sul sequestro Moro che è già nelle sale con la prima parte (la seconda uscirà il 9 giugno) e che Rai 1 trasmetterà a settembre in tre serate.
Dovrebbero vederla tutti per il livello artistico, degno dei migliori Rosi e Volonté. Ma anche per il valore storico, civile e politico: era difficile raccontare la tragedia greca che segnò l’Italia del 1978 e di molti anni a seguire riuscendo a mantenere l’equilibrio fra commozione e melodramma, retorica e cinismo, misteri e complottismi, senza mai cadere in nessuno di quegli opposti.
Merito del regista, dei produttori, degli sceneggiatori e di un casting che non sbaglia un colpo: Fabrizio Gifuni (Moro: non lo fa, lo è), Margherita Buy (la moglie Eleonora), Toni Servillo (Papa Paolo VI), Fausto Russo Alesi (Cossiga), Fabrizio Contri (Andreotti), Gigio Alberti (Zaccagnini), Daniela Marra, Gabriel Montesi e Davide Mancini (i brigatisti Faranda, Morucci e Moretti). E poi Paolo Pierobon nei panni di don Cesare Curioni, il capo dei cappellani carcerari che tratta sottobanco mentre il Papa raccoglie 22 miliardi di lire di riscatto che resteranno ammucchiati sul suo tavolo.
Tutto intorno, un formicaio di macchiette, ridicole e inquietanti, come il presidente da operetta Leone, il consulente americano Pieczenik e gli altri acchiappafantasmi del Viminale, il sottobosco di diccì mollicci, untuosi e inadeguati alla gravità dell’ora. Ogni tanto Bellocchio solleva lo sguardo dal crudo realismo e si concede licenze poetiche, visionarie ma mai pretestuose. Moro schiacciato dalla croce di Cristo nella Via Crucis, la Faranda che sogna i cadaveri di Moro e dei cinque agenti di scorta trascinati da un fiume, Eleonora incatenata alla sede Dc. E poi il secondo finale che apre e chiude: Moro liberato e subito sigillato in una clinica, secondo il “piano Mike” di Cossiga e Pieczenik per evitare che divulghi i segreti di Stato già svelati alle Br (che inspiegabilmente li ignorarono), che dal letto scandisce un lento e feroce j’accuse al suo ormai ex partito davanti a Cossiga, Andreotti e Zaccagnini lividi e impietriti.
I 55 giorni del sequestro Moro sfilano via in cinque ore di Via Crucis cinematografica che ci leva il fiato e ci restituisce un’Italia che, per fortuna ma anche purtroppo, non c’è più. Un’Italia già immersa da nove anni (dalle stragi nere al terrorismo rosso) nel sangue dei delitti politici e ora costretta pure a scegliere fra la vita di un uomo (sulla pelle dei cinque agenti della scorta assassinati in via Fani) e quella dello Stato (che non può riconoscere le Br) dal doppio ricatto dello statista con le sue lettere imploranti e dei terroristi con i loro comunicati deliranti.
Nei sei episodi del film, Bellocchio infila la telecamera negli occhi di ogni protagonista della tragedia per mostrarla da ogni prospettiva. C’è il potente Moro che convince con un emolliente discorso la Dc riottosa ad accettare i voti degli odiati comunisti al primo governo Andreotti di solidarietà nazionale, poi nottetempo vede Berlinguer nella sua auto, poi rincasa, si frigge un uovo, controlla maniacalmente che le manopole del gas siano chiuse, raccomanda alla figlia Agnese di lavarsi le mani, raggiunge Eleonora in camera per l’ennesima notte insonne e l’indomani si ritrova addosso il sangue della scorta per finire in un loculo di cartongesso: uniche compagnie una branda, una Bibbia, una biro, qualche foglio e drappo rosso con la stella a cinque punte, finché non arriva un prete incappucciato per l’ultima confessione e comunione.
Poi Cossiga che si macera nell’impotenza, preso tra amicizia e ragion di Stato, mentre giorno dopo giorno perde l’amico (che gli scrivere lettere di fuoco), la fiducia (sa di aver intorno piduisti e depistatori, ma anche di non poterli sostituire), il sonno (ascolta inutili intercettazioni e parla con i colleghi radioamatori), la salute (già compromessa dalla ciclotimia e dal dramma coniugale), perfino il colore della pelle (la vitiligine).
A suo modo è una maschera tragica anche Andreotti: mai un’emozione su quel volto di cera, mai un gesto per liberare Moro se non il fioretto di rinunciare al gelato, la notte riesce a dormire perché tiene tutto dentro (ma lì dentro succede di tutto, tant’è che si vomita addosso alla notizia del sequestro). Poi ci sono i brigatisti, divisi fra la lotta armata, lo scetticismo sulla rivoluzione proletaria, gli affetti familiari, i barlumi di pietà e l’intransigenza sanguinaria.
C’è la famiglia Moro: moglie e figli sempre con la tv accesa ad attendere novità dalle voci di Vespa e Fede, increduli e poi furiosi per i depistaggi dozzinali (le ricerche del cadavere nel lago ghiacciato della Duchessa quando Moro è ancora vivo) e il partito cristiano che al Vangelo preferisce la ragion di Stato, al punto di dichiarare pazzo l’”amico Aldo” per screditare qualunque cosa dirà.
E infine papa Montini: diccì anche lui, li conosce tutti dall’Azione Cattolica, già malato consuma gli ultimi respiri torturandosi con cilicio, trattative segrete e appelli pubblici, tenta di trascinarsi all’ultima Via Crucis cercando un crocifisso abbastanza leggero da poterlo sollevare, infine celebra i funerali di Stato dell’amico con tutta la Dc ma senza il feretro e tre mesi dopo muore.
Squarci di un’Italia in bianco e nero e di una politica davvero orrenda, che nessuno può rimpiangere se non per un aspetto: che il lutto e la paura costringevano tutti a un minimo di rigore e serietà.
FONTE: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/05/29/esterno-moro/6608556/

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Killnet Russia contro Anonymous Italia

Come la cyberguerra per procura ha travolto il Paese

di Francesco Galofaro

La decisione del Governo italiano di prendere parte come Paese co-belligerante al conflitto ucraino ha messo tutti noi nel mirino della cyberguerra, raccontata come un videogioco dalla propaganda filogovernativa. Nelle ultime due settimane abbiamo scoperto di essere andati in guerra del tutto impreparati e indifesi, contro un avversario che ha i mezzi per paralizzare la nostra infrastruttura delle comunicazioni. Ricapitolerò in breve le tappe del conflitto per mostrarne le possibili drammatiche conseguenze e per richiamare tutte e tutti al dovere di costruire attivamente e subito iniziative di pace.

Il primo colpo_ l’11 maggio sono stati attaccati i siti del Senato, della Difesa, l’Istituto di studi avanzati di Lucca, l’Istituto superiore di Sanità, l’Automobile Club italiano, oltre a una società di servizi alle aziende sanitarie e un portale che raccoglie informazioni societarie. In alcuni casi l’attacco è stato smentito (il ministero della Difesa ha sostenuto che il proprio sito fosse in manutenzione ordinaria). L’azione è stata rivendicata su Telegram dal collettivo filorusso “Killnet”.

L’attacco a Eurovision_ Il 15 maggio la stampa ha raccontato, coi toni epici dei romanzi di Salgari, un attacco hacker al festival musicale Eurovision, fortunatamente sventato. Si è trattato di una vittoria della Polizia postale, come hanno sostenuto i mezzi di informazione? Per nulla: per tutta risposta il 16 maggio il sito della polizia ha smesso di funzionare. Killnet ha rivendicato l’attacco con toni sarcastici: “il tuo sito ha smesso di funzionare: perché non è stato fronteggiato l’attacco come per l’Eurovision?”. Nello stesso comunicato, Killnet ha peraltro negato il proprio coinvolgimento nella vicenda del festival canoro, annunciando al tempo stesso un attacco a dieci Paesi, tra cui l’Italia.

A che ora arrivano i nostri?_ Il 16 maggio scendono in campo i “buoni”: Anonymous Italia, frazione italiana della sigla Anonymous, rivela i nomi e le attività degli hacker di killnet. Si è trattato di una collaborazione con AgainstTheWest, gruppo di hackers ucraini coinvolto, nel recente passato, in operazioni contro la Cina. Pronta anche la ritorsione italiana per l’attacco alle forze dell’ordine: il 17 maggio Anonymous Italia dichiara di aver bloccato il sito della polizia di Mosca. È “scaccomatto”, “Killnet è affondato”, come ha titolato qualche psicolabile? Si direbbe di no: puntualmente, dalle 22 del 19 maggio, Killnet ha iniziato un attacco annunciato (in corso mentre scrivo) a 50 siti italiani, tra cui il Consiglio Superiore della Magistratura, l’Agenzia delle Dogane e i ministeri di Esteri, Istruzione e Beni Culturali. Dalla lista dei bersagli Killnet ha intenzionalmente escluso l’infrastruttura sanitaria. Nelle intenzioni degli attaccanti, il tutto si protrarrà per 48 ore e dovrebbe concludersi domenica 22, in tempo per la pubblicazione di questo mio editoriale. A parte l’ironia, pare evidente la natura dimostrativa dell’azione.

I cattivi_ Nella narrazione giornalistica, le identità di Killnet e Anonymous vengono costruite per opposizione. Killnet è descritto come un gruppo di hacker strutturato militarmente con una sorta di accademia, un vivaio di giovani talenti nota come Legion. Alla sua identità è associata una connotazione negativa: la rete di oltre 500.000 computer che impiega per i propri attacchi sarebbe stata assemblata, in origine, per attacchi mercenari a prezzi piuttosto contenuti. Killnet utilizza attacchi del tipo Distributed Denial of Services (DDoS) il cui principio è molto semplice: se tutte le macchine che compongono la sua rete tentano di connettersi contemporaneamente a una pagina, a un server, a un servizio web, tale server non è in grado di far fronte alla richiesta e si blocca, impedendo così l’accesso a chiunque altro. Stando a quanto dichiara, inoltre, tra le sue cyberarmi impiega Mirai, un malware in grado di reclutare dispositivi di ogni genere connessi a internet, dal televisore al router di casa. Così, mentre guardiamo una bella serie televisiva col nostro partner, il decoder potrebbe essere impegnato nel tentativo di compromettere la sicurezza di una centrale nucleare o di tagliare la corrente elettrica a un ospedale.

I buoni_ Poiché è sempre la violenza a causare altra violenza, è obbligatorio sottolineare che l’intervento di Killnet nel conflitto è avvenuto in reazione all’attacco di Anonymous, organizzazione che aveva “dichiarato guerra a Putin” già il 24 febbraio. Anonymous è un caso interessante di attività hacker in franchising. Individui e sigle possono “arruolarsi” in una campagna utilizzando strumenti a disposizione sulla piattaforma dell’organizzazione1. Ha un proprio logo: l’onnipresente maschera di Guy Fawkes, cospiratore cattolico che tentò di far esplodere la camera dei Lord nel 1605. Popolarizzata dal film hollywoodiano V for vendetta, la maschera ha trasformato Anonymous nel collettivo di hacktivisti per antonomasia. Oggi Anonymous è descritto come un gruppo di paladini della giustizia; in passato, quando era sceso in guerra contro l’ISIS, era stato bersaglio di svariate polemiche. Anonymous spinge giovani idealisti a intraprendere azioni illegali senza preoccuparsi delle conseguenze2. Nel “rivelare i nomi” degli appartenenti a organizzazioni segrete accusa di terrorismo persone innocenti3 oppure infiltrati, compromettendo così azioni di intelligence4.

L’impreparazione italiana_ Nonostante i tentativi dei media di raccontare il cyberconflitto come un videogioco, si tratta di una questione seria che può danneggiarci. Secondo gli esperti di sicurezza Trend Micro, l’Italia in gennaio è divenuta il terzo Paese al mondo per richieste di riscatto cibernetico ransomware. Inoltre, il 13 maggio, il Csirt (il team di risposta dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale) ha individuato ben 71 vulnerabilità, sfruttate dagli Hacker, da risolvere “con urgenza e in via prioritaria”. L’invito del Csirt è rivolto ad operatori esposti “inclusi i gestori di infrastrutture critiche”. Dunque, il Governo si è baldanzosamente avviato alla cyberguerra in un Paese decisamente impreparato. Prima attacchiamo, poi ci preoccupiamo di trovare le armi?

Rischi per la pace globale_ Qualunque organizzazione può affiliarsi ad Anonymous (e, più di recente, a Killnet). I confusi proclami di Anonymous si richiamino a una sorta di paradossale anarchismo militarista, prepolitico e megalomane: “la banda Anonymous è un’avanguardia combattente del popolo5”. Proprio l’orizzontalità dell’organizzazione la rende facilmente strumentalizzabile. Secondo fonti russe ufficiali, tra i 17.500 indirizzi IP e 174 domini internet da cui sono partiti gli attacchi di Anonymous compaiono anche FBI e CIA6. Nell’informalità dei rapporti tra gruppi hacker è relativamente semplice coprire un attacco militare pilotato da un governo sotto il manto romantico della rivoluzione, come avveniva già nel XIX secolo con le società segrete. Alcune iniziative degli affiliati di Anonymous (GhostSec, CyberPartisan, NB56) necessitano di una preparazione militare e non possono essere state improvvisate sull’onda dell’indignazione delle prime ore del conflitto: divulgazione di istruzioni per intercettare le truppe russe; divulgazione dei dati personali dei soldati russi sul campo; blocco del traffico ferroviario in Bielorussia; perfino un tentativo di attacco a un centro di controllo di satelliti russi. I rischi sono terribili: come reagirebbe la Russia alla minaccia di guerre stellari operata da un’organizzazione segreta? E se dietro la maschera sorridente di Anonymous si nascondessero il Pentagono e lo zio Sam? Naturalmente, rischi analoghi si profilano per Killnet, nel momento in cui questa organizzazione dovesse compiere un salto di qualità dalle azioni dimostrative e propagandistiche al tentativo di paralizzare l’infrastruttura militare della NATO.

Apologia del terrorismo_ Quando a farsi la guerra sono due nazioni come la Russia e l’Ucraina, nonostante la difficoltà, è pensabile un lavoro alla costruzione della pace attraverso la diplomazia, la mediazione, il dialogo e l’attivismo di quella parte dell’opinione pubblica (in Italia maggioritaria) che non si è lasciata contagiare dalla psicosi della guerra. Quando si opera una cyberguerra per procura, portata avanti da gruppuscoli anonimi fuori da ogni regola o controllo, come è possibile sperare di riportare al buon senso le parti in conflitto? Dove sono gli hacker pacifici, dotati di senso comune e sufficientemente consapevoli da comprendere che i nobili ideali e le tecnologie avanzate celano a malapena gli istinti più bestiali? La domanda è molto seria, dato che un’azione come l’hackeraggio dei satelliti russi rischia di far esplodere un conflitto nucleare. Per questo, l’uso propagandistico del conflitto tra hackers, come quello condotto fin qui dai media italiani, non è solo eticamente discutibile, ma è anche una pericolosa forma di apologia del terrorismo. Da un punto di vista geopolitico, internet trasforma ogni luogo in porto di mare, raggiungibile in un istante dalle tecno-cannoniere del nemico, e l’Italia è senza dubbio impreparata a questo nuovo genere di guerra da corsa. Infine, non sono chiare le conseguenze psicosociali della diffusione di questo nuovo genere di odio. Come mostra il caso di Anonymous, le cyber-reclute sono pedoni sacrificabili in azioni illegali per le quali mettono a disposizione il proprio computer; l’organizzazione in cambio gratifica i propri simpatizzanti attraverso i grandi ideali che propone, assimilandoli agli eroi del mito. In realtà, non fa che catalizzare e strumentalizzare la frustrazione e l’odio diffuso, giustificando la violenza con obiettivi estremamente nobili, per scopi occulti. Cosa sarà dei cyber-reduci, degli assuefatti videogiocatori della guerra contemporanea? Contro chi rivolgeranno le proprie cyber-armi?

A fronte di questo, occorrerebbe un’organizzazione di hacker diversi, giovani volontari in grado di assumere su di sé il grave fardello di venire additati da tutti come illusi, ipocriti, quinte colonne del nemico, che oppongano la ragionevolezza alla prevaricazione, allo scopo di costruire effettivamente la pace e rieducare al dialogo una società sempre più preda della violenza e della piscosi guerrafondaia.


Note:
1 https://anonymousworldwide.com/2022/02/26/anonymous-tools-for-oprussia-ukraineunderattack/ (consultato il 28 aprile 2022)
2 https://www.wired.it/gadget/computer/2015/11/23/guida-per-hacker-principianti-anonymous/ (consultato il 28 aprile 2022).
3 https://www.independent.co.uk/tech/anonymous-operation-isis-accused-of-wrongly-naming-innocent-people-after-paris-attacks-a6739291.html (consultato il 28 aprile 2022).
4 https://www.lettera43.it/anonymous-isis-lex-hacker-ghioni-guerra-idiota/ (consultato il 28 aprile 2022).
5 https://anonymousworldwide.com/2022/02/26/anonymous-tools-for-oprussia-ukraineunderattack/ (consultato il 28 aprile 2022)
6 https://safe-surf.ru/specialists/news/676114/ (consultato il 28 aprile 2022).

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23104-francesco-galofaro-killnet-russia-contro-anonymous-italia.html

 

 

 

STORIA

28 maggio, Strage di Brescia: il silenzio omertoso sulla NATO

La strage di Piazza della Loggia a Brescia, 28 maggio 1974, oltre che fascista per la manovalanza, di stato per le complicità e le coperture, fu anche NATO per i mandanti di terzo livello.

Tutta la faticosissima ricerca della verità, tra insabbiamenti e depistaggi che per decenni hanno tentato di nasconderla, alla fine porta a servizi segreti e a comandi militari NATO, in questo caso il comando di Verona.
Per decenni gli USA, da soli prima e con la NATO poi, hanno condotto in Italia ed in alcuni paesi di Europa una guerra a bassa intensità contro le sinistre e tutto ciò che era considerato vicino al nemico sovietico.
Il Portogallo con un regime fascista fino al 1974 e la Spagna con lo stesso regime fino al 1978, erano colonne portanti della guerra della NATO al comunismo, e non lo facevano gratis. Una vera e propria internazionale nera eversiva era alimentata da questi stati e dalle strutture di supporto e collegamento dell’Alleanza Atlantica. Il golpe che nel 1967 instaurò in Grecia la feroce dittatura dei collonnelli fu realizzato grazie al sostegno operativo della NATO e del fascismo europeo, da essa finanziato e anche militarmente istruito.
In Italia gli USA prima e la NATO poi non solo hanno sempre fatto pieno uso delle forze eversive fasciste, ma anche della mafia. La prima delle lunga serie delle stragi politiche che hanno insanguinato il paese, quella del 1 maggio 1947 a Portella della Ginestra in Sicilia, fu compiuta contro lavoratori inermi dalla banda di Salvatore Giuliano, che però era stato coperto ed aiutato, prima di essere scaricato e ucciso, da servizi segreti italiani e stutunitensi. Tutta la lunga trama di sangue che percorre la storia italiana del dopoguerra vede comparire sempre tre livelli, quello della manovalanza fascista o mafiosa, quello di settori dello stato, quello della NATO.
La strage di Piazza Fontana, quella di Brescia, quella di Bologna, l’assassinio di Falcone e Borsellino, hanno un brodo di coltura e forse ben altre cose in comune.
Quando fu scoperta la P2 del fascista di Salò Licio Gelli, si scoperchiò solo una piccola parte del verminaio politico ed istituzionale coinvolto con il mandante del massacro alla stazione di Bologna del 1980. E poi bisogna ricordare quell’altro strumento clandestino delle operazioni speciali NATO in Italia: l’organizzazione Gladio.
A differenza dei giornalisti di Repubblica che esprimono stupore, noi non siamo per niente sorpresi che le indagini sulla Strage di Brescia alla fine abbiano portato negli uffici della NATO.
La NATO in Italia e in Europa non è stata uno strumento di libertà, ma di condizionamento, inquinamento, compromissione della democrazia. Partendo dalla nostra storia proprio noi dovremmo dire a finlandesi e svedesi: attenti a ciò che vi portate in casa.
Il 28 maggio 1974 a Brescia una bomba colpiva una manifestazione sindacale antifascista uccidendo otto compagne e compagni e ferendone gravemente più di cento. Ricordare significa non dimenticare che la strage fu fascista, di stato e della NATO.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-28_maggio_strage_di_brescia_il_silenzio_omertoso_sulla_nato/6121_46427/

 

 

Strage di Capaci, 30 anni dopo: un affresco internazionale

di Federico Dezzani

Il 23 maggio 2022 corrono trent’anni dalla strage di Capaci, in cui fu assassinato il giudice anti-mafia Giovanni Falcone. La strage segnò la fine della Prima Repubblica e l’inizio di una trentennale fase di “disfacimento” delle istituzioni e dell’economia italiana, fase che sta toccando lo zenit proprio in questi mesi. Per capire la stagione del 1992, bisogna inquadrarla nella geopolitica del passato e del presente.

 

Andreotti e Gorbacev, Italia e Russia, destini uniti

Tra pochi giorni si celebrerà il trentennale della strage di Capaci, forse l’evento più significativo, dopo l’assassinio di Aldo Moro, della storia repubblicana italiana. Un evento che segnò e sta segnando tuttora il corso degli eventi in Italia e che sancì l’inizio di un’epoca di “disfacimento” dell’economia e delle istituzioni italiane che si concluderà quasi certamente in un prossimo futuro col dissesto delle finanze pubbliche: Mario Draghi, il giovane funzionario di Bankitalia che salì sul panfilo Britannia nel giugno 1992 e che ora siede a Palazzo Chigi, incarna fisicamente l’inizio e la fine di questo ciclo di decadenza.

Un processo di decadenza, certamente, allargato all’Occidente nel suo complesso, ma concentrato sopratutto sull’Italia, coll’obiettivo di eliminare, decennio dopo decennio, una pedina giudicata inutile e persino dannosa nello scacchiere internazionale formatosi dopo il collasso dell’URSS. Entra così in campo la geopolitica, fondamentale per capire le ragioni dell’accanimento delle potenze uscite vittoriose dalla Guerra Fredda contro l’Italia. Riunificata la Germania e ricreata quindi nel cuore dell’Europa una grande potenza sbilanciata a Oriente e incline a cercare rapporti privilegiati con Russia e Cina, occorreva quantomeno eliminare il complemento geopolitico della Germania stessa, l’Italia appunto, per scongiurare la rinascita di un “asse europeo” piantato nel cuore del Mediterraneo e sbilanciato verso Oriente, asse che avrebbe potuto realizzare molte di quelle iniziative poi sfumate in questi ultimi anni (Nord Stream 2, South Stream, Via della Seta, cooperazione in Nord Africa, etc.)

A distanza di 30 anni dalla strage di Capaci, è dunque il momento di ricostruire il quadro internazionale del 1992, con un particolare focus su Italia, Libia, Germania e Russia, e vedere come questo scacchiera sia mutata nel corso di un trentennio. Sulla strage di Capaci, sulla regia angloamericana dietro Tangentopoli, sul ruolo ruolo dei servizi segreti nelle stragi “mafiose” del 1992-1993 e sulle figure coinvolte nello smantellamento dell’IRI, abbiamo già scritto due bellissimi e dettagliatissimi articoli che si possono rileggere con grande piacere. In questa sede basta solo ricordare che il 23 maggio 1992, Falcone è ucciso da un ordino confezionato da un ex-ordonovista con la complicità dei servizi segreti facenti capo agli USA ed in particolare all’Inghilterra; il 27 maggio 1992, quasi a rivendicare la strage, il panfilo Britannia attracca a Palermo e la regina Elisabetta col consorte visitano il luogo della strage: la Sicilia, occupata nel 1943, è e rimarrà cosa britannica. Il 2 giugno 1992, lo stesso Britannia attracca al porto di Civitavecchia: durante un sontuoso banchetto, i vertici della City londinese e gli ambienti anglofili italiani concordano le privatizzazione e lo smantellamento dell’IRI che, retaggio del periodo fascista, costituisce la spina dorsale dell’economia e della potenza italiana. Sul panfilo, come è noto, sale anche un 45enne Mario Draghi, pupillo di Beniamino Andretta e ben inserito negli ambienti “illuminati” di Guido Carli.

La strage di Capaci ha un effetto decisivo sulle elezioni del nono presidente della Repubblica italiana e, quindi, sull’intero trentennio successivo. Uno dei nomi più accreditati per il Quirinale è quello di Giulio Andreotti: statista di livello internazionale, politico dalla pluriennale esperienza, nome noto in tutte le cancellerie europee e mondiali. Andreotti, però, appartiene a quella ristretta cerchia di papaveri della DC (tutti a loro modo iniziati alla “geopolitica”) che non possono e non devono accedere alla presidenza della Repubblica, poiché fautori di una politica mediterranea intrinsecamente anti-anglosassone e filo-russa. Gli altri nomi, per soddisfare la curiosità di molti, erano quelli di Aldo Moro e Amintore Fanfani. La corsa di Andreotti verso il Quirinale era già stata indebolita nel marzo 1992 con l’assassinio di Salvo Lima, “referente” del Divo Giulio in Sicilia. La bomba di Capaci raggiunge il Parlamento riunito in seduta comune: le quotazioni di Andreotti affondano, mentre prende vigore la candidatura di Oscar Luigi Scalfaro, eletto presidente della repubblica il 25 maggio 1992. La nomina del “giustizialista” Scalfaro è fondamentale, perché sancisce l’inizio di quell’ondata giacobina-populista che culminerà nel 2009 con la nascita del Movimento 5 Stelle: l’inchiesta di Tangentopoli, supervisionata da USA ed UK, non ha più alcun ostacolo davanti a sé. Gli ambienti ebraico-radicali-romani, gli stessi che nel 1976 avevano fondato La Repubblica e combattuto in ogni modo la DC “statalista e fascista”, prendono il sopravvento ed indicono, nell’aprile 1993, il referendum “populista” per l’abrogazione del Ministero delle Partecipazioni statali.

La caduta in disgrazia di Andreotti (che nel marzo 1993 avrebbe ricevuto l’avviso di garanzia per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso) deve essere inquadrata nel quadro internazionale. Si è lungo parlato di tendenze “anti-tedesche” di Andreotti, che sarebbe stato ostile alla riunificazione tedesca e che avrebbe preferito la sopravvivenza a tempo indefinito delle due Germanie. Posto che Andreotti non ostacolò minimamente il processo di riunificazione della Germania durante la sua presidenza del consiglio tra l’estate del 1989 e la primavera del 1992, le sue ipotetiche resistenze alla rinascita di una Germania unita devono essere inquadrate nel pensiero “geopolitico” della DC ostile all’egemonia anglosassone. Ostili alla riunificazione tedesca erano realmente solo Margaret Thatcher e François Mitterand, due noti avversari anche dell’Italia in tema di politica estera e lotta al terrorismo. Alla base del pensiero di Andreotti non c’era nessuna concenzione anti-tedesca, bensì un fermo impegno alla difesa dello status quo e dell’equilibrio tra i due blocchi. Andreotti intendeva la sopravvivenza dell’URSS come garanzia di sopravvivenza per l’Italia stessa. Mentre infatti il “filo-britannico e filo-israeliano” Cossiga sognava il disfacimento dell’Unione Sovietica, “Andreottov”, noto per la sua incessante attività diplomatica tra Roma e Mosca, scommetteva sul processo di modernizzazione dell’URSS e sulla sopravvivenza della medesima, cosicché l’Italia non fosse schiacciata dagli anglosassoni e potesse giocare ancora un ruolo nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La caduta in disgrazia di Andreotti è quindi una diretta conseguenza del fallimento di Gorbacev, della dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991 e della scomparsa del blocco sovietico che teneva a freno le potenze anglosassoni.

La debolezza della Russia e le crescenti difficoltà in cui si trova di riflesso l’Italia, producono gli immediati effetti là dove le due potenze avevano collaborato in funzione anti-anglosassone. Nel 1991 la Somalia è spinta da Londra e dalle solite ong inglesi verso quel caos in cui si trova tuttora. Nel 1992, la Libia del colonnello Muammur Gheddafi, che angloamericani e francesi avevano tentato ciclicamente di rovesciare sin dal suo avvento al potere, è posta sotto embargo e le sanzioni sarebbero rimaste in vigore sino al 2004. Nel panorama disastrato della politica italiana, emerge la figura di Silvio Berlusconi, magnate televisivo sceso in politica per combattere un’anacronistica battaglia contro il “comunismo” appena dissoltosi. L’Italia, che di fatto era stata in regime mono-partitico sin dal 1945, scivola così verso un estenuante, velenoso e inconcludente bipolarismo, che dissipa ogni energia costruttiva e permette alla finanza anglosassone e francese di saccheggiare indisturbata le industrie e le ricchezze italiane. Il clima di paralizzante “guerra civile” che imperversa per un ventennio è alimentato da testate anglosassoni come The Economist o Financial Times e da movimenti di esplicita origine inglese come “i Girotondi”. Berlusconi ed il suo “alter ego” Prodi conducono una politica estera che rispecchierebbe gli interessi italiani, ma è costruita sulla sabbia e manca di qualsiasi solidità per resistere agli assalti avversari. I “capolavori” di Berlusconi (il trattato d’amicizia italo-libico del 2009 e l’accordo con Russia e Turchia, sempre del 2009, per la costruzione del South Stream), sono destinati ad essere travolti dal corso degli eventi e a sparire senza rumore.

Il 2011 costituisce uno anno chiave nel processo di disfacimento della potenza italiana. Grazie alla speculazione che si accanisce contro i Btp e alla “lettera” inviata da Mario Draghi, presidente in pectore della BCE, Berlusconi è defenestrato da Palazzo Chigi e, al suo posto, subentra una figura degli ambienti anglofili del Britannia: Mario Monti. Si noti che l’intera operazione è presentata dalla stampa come una manovra tedesca e di Deutsche Bank, così da seminare discordia tra Italia e Germania, quando invece la regia è tutta anglosassone e francese. In Libia, oggetto di un attacco della NATO sull’onda delle “Primavere Arabe”, Gheddafi è ucciso ed il governo centrale distrutto, senza alcuna intenzione di sostituirlo con uno nuovo. Il triangolo Italia-Libia-Russia è infine spezzato e, ad un’attenta analisi, è una perdita anche per la Germania che, al consiglio di sicurezza dell’ONU, ha rotto il fronte occidentale, astenendosi dal voto sull’intervento militare contro Tripoli. La naturale convergenza geopolitica tra Italia e Germania è testimoniata dalle iniziative speculari che i due Paesi portano avanti: al South Stream italiano (mai realizzato) corrisponde il North Stream tedesco che Berlino, sfidando gli anglosassoni, conta addirittura di raddoppiare. Ai legami sempre più stretti tra Germania e Cina, corrisponde l’adesione formale dell’Italia, nel 2017, alla Nuova Via della Seta.

Attorno al 2020, lo scenario internazionale, le cui radici affondano nel 1992, è ormai maturato secondo le linee geopolitiche in gran parte previdibili e previste. La Cina è emersa come la principale “minaccia” alla civiltà anglosassone (come calcolato da qualsiasi scenarista o stratega anglosassone già sul finire degli anni ‘80); la Russia ha evitato la dissoluzione auspicata dagli anglosassoni tra il 1998 ed il 2001 e, in quanto potenza “revisionista”, umiliata in ogni modo dall’Occidente (avanzamento della NATO sino alle sue porte, aggressioni occidentali in Libia e Siria, rivoluzione colorata in Ucraina del 2014) cerca la cooperazione con la Cina in funzione anti-anglosassone. La Germania riunificata, come temuto da Londra che ne avrebbe infatti impedito volentieri la riunificazione, ha ripreso la sua “Drang nach Osten” stringendo legami sempre più forti con Russia e Cina. L’Italia, potesse condurre la propria politica estera senza restrizioni, seguirebbe il percorso tedesco. Insieme alla Turchia, che si sta sempre più allontanando dalla NATO, Germania e Italia costituirebbero così una pericolosissima fascia nel Rimland euroasiatico, in grado di espellere gli anglosassoni attraverso la collaborazione con Russia e Cina. Una potenziale alleanza tra “revisionisti” in grado di ribaltare l’ordine mondiale.

Il mondo, in sostanza, è ormai maturo per una nuova guerra mondiale. Nei primi mesi del 2020 divampa l’epidemia di Coronavirus, che accelera la decadenza della globalizzazione già visibile da anni, scardina intere filiere e catene logistiche, provoca un’impennata dei debiti pubblici a livello mondiale. L’Italia è ed è a lungo rappresentata come uno dei principali focolai a livello mondiale dell’epidemia. In questo quadro, si consuma l’ultimo atto della collaborazione russo-italiana: nella primavera del 2020 i russi, che conosco l’origine anglosassone del virus e ne avrebbero avuto conferma nei laboratori batteriologici americani rinvenuti in Ucraina, inviano una missione militare in Nord Italia per studiare l’epidemia. Nel frattempo il debito pubblico italiano macina nuovi record e la situazione politica si fa sempre più instabile: nel gennaio 2021, Mario Draghi è chiamato alla presidenza del consiglio. Sono passati quasi trent’anni dalla sua gita sul Britannia, e nel frattempo l’ex-protetto di Beniamino Andreatta ha ricoperto la carica di vice-presidente di Goldman Sachs Europe e di direttore della Banca Centrale Europea. I media presentano Draghi come “l’uomo della provvidenza”, l’unico in grado di salvare l’Italia dalla peggior crisi del dopoguerra. In realtà, la funzione di Draghi è proprio quella di portare a termine il processo di disfacimento dell’Italia iniziato nel 1992.

Come prima mossa, Draghi allontana l’Italia dalla Germania e l’avvicina alla Francia, facilitando l’operazione di conquista economica-finanziaria-militare da parte di Parigi insita nel processo di indebolimento del Paese e sancita dal Trattato del Quirinale siglato da Macron e dello stesso Draghi nel novembre 2021. Quindi, quando nei primi del 2022 gli anglosassoni scatenano la guerra russo-ucraina dopo anni di provocazioni ai danni di Mosca, Draghi compie il passo successivo: l’Italia rompe i suoi tradizionali canali di collaborazione con la Russia, adotta la stessa retorica bellicista degli anglosassoni ed invia armi per alimentare il conflitto. Così facendo, Draghi scava la fossa all’Italia stessa, che perde un mercato, vede schizzare alle stelle la propria bolletta energetica e rischia, insieme alla Germania, una crisi energetica dagli effetti devastanti. La guerra russo-ucraina alimenta poi quell’inflazione che, attraverso la stretta monetaria ed il rialzo dei tassi, si rivelerà presto letale per le finanze italiane e l’eurozona nel suo complesso.

Sono passati trent’anni esatti dal 1992: l’analisi di Andreotti sulla strettissima interconnessione tra Russia e Italia si è rivelata corretta. La prima è impegnata in una dura guerra per procura con gli anglosassoni in Ucraina mentre la seconda, non appena Draghi avrà lasciato Palazzo Chigi dopo aver portato il debito pubblico italiano oltre i livelli di guardia, sarà spinta alla bancarotta. In Libia, dove gli inglesi alimentano la divisione tra Cirenaica e Tripolitania, imperversa ancora l’anarchia a distanza di undici anni dalla morte di Gheddafi. Non più felice è il quadro della Germania, che subisce attacchi sempre più espliciti per il suo scarso ardore anti-russo, rischia di pagare a carissimo prezzo l’interruzione delle forniture di gas russo e inizia a percepire i rischi di un nuovo accerchiamento anglo-franco-polacco. Sullo sfondo, infine, si staglia minacciosa la guerra nel Pacifico tra anglosassoni e cinesi: è facile intuire quale sarebbe oggi la posizione di socialisti come Bettino Craxi e Gianni De Michelis, che intrattenevano rapporti privilegiati con Pechino.

Il 23 maggio 1992, esplodeva a Capaci la bomba che uccideva Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di scorta. Chi avrebbe detto che, esattamente trent’anni dopo, l’Italia sarebbe stata alla vigilia di una gravissima crisi finanziaria ed il mondo sull’orlo di una nuova guerra egemonica? Eppure è tutto logico, consequenziale, quasi evidente. La persona di Mario Draghi segna l’inizio e la fine di questo ciclo di “disfacimento” dell’Italia, che è comprensibile solo analizzando il quadro internazionale nel suo complesso.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23116-federico-dezzani-strage-di-capaci-30-anni-dopo-un-affresco-internazionale.html

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