RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 29 MARZO 2023

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 29 MARZO 2023

 

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Tutti mutano nel tentativo di simulare se stessi.

ANDREA EMO, Aforismi per vivere, Mimesis,2007, pag. 109

 

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SOMMARIO

LUCI ED OMBRE DEL TERZO SETTORE IN ITALIA
Le aziende israeliane hanno trasferito 1 miliardo di dollari dalla Silicon Valley Bank a Israele appena prima del sequestro della Fed
TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE / PERCHE’ NON HA MAI INDAGATO SUI MAXI CRIMINI DEI PRESIDENTI USA?
Quando gli USA minacciarono di arrestare i giudici della Corte penale internazionale se avessero processato i soldati in Afghanistan
Cosa faceva il drone americano precipitato sul mar Nero? Questa è la vera domanda
La preparazione della guerra mondiale
La Cina spara raggi laser nel cielo delle Hawaii e si prepara alla guerra
POTERE OCCULTO
Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina
Anglo: la Russia sta vincendo; dobbiamo entrare in guerra noi?
SEYMOUR HERSH: “COME L’AMERICA HA FATTO FUORI IL GASDOTTO NORDSTREAM”
SEYMOUR HERSH: “IL COVER-UP”
LA NATO E LA OCEAN-FRONT STRATEGY STATUNITENSE
BADA CATERINA
Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina
Il portafoglio digitale adottato senza dibattito al Parlamento europeo
ARRESTI PIÙ O MENO REALI DI KHAN, TRUMP E PUTIN : LA DISPERAZIONE DELLO STATO PROFONDO
Il Net Zero ora schiavizza i bambini e domani noi stessi
CAPITALISMO SOSTENIBILE: IL PROGETTO GREEN ESPROPRIA LE CASE E I POTERI FINANZIARI BRUCIANO I RISPARMI
USA: le grandi banche depositano 30 miliardi nella First Republic per salvaarla. Come si faceva in Italia prima della BCE
La Cina abbassa il quoziente di riserva obbligatoria delle banche per rilanciare credito ed economia. L’opposto della BCE
Annullate multe over50: la prima sentenza
Disney inizia a licenziare 7000 dipendenti. Essere woke porta al fallimento
TRATTATO SULLE PANDEMIE: QUELLA BOZZA ZERO SCRITTA CON LA PENNA DI SCHWAB
Chi sono i nazionalisti integralisti ucraini?
Ridateci Trump
LIBERAZIONE DI AUSCHWITZ. FACCIAMO CHIAREZZA

 

EDITORIALE

LUCI ED OMBRE DEL TERZO SETTORE IN ITALIA

di Manlio Lo Presti (scrittore esperto di sistemi finanziari)

 

“La legge è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale degli altri”, sosteneva George Orwell. Il terzo settore italiano ha raggiunto dimensioni eccessive. Ha coperto gli spazi volutamente abbandonati dallo Stato che ha ridotto le sue funzioni sull’ondata di liberismo ossessivo e distruttivo. L’eccessiva crescita fa aumentare il sospetto che dietro a queste strutture ci sia la presenza di operazioni di riciclaggio di somme devolute fiduciosamente dai cittadini e delle quali quasi nessuna di queste strutture rende conto e ragione in modo analitico. Non esiste infatti, una normativa contabile severa sui bilanci di queste organizzazioni lasciando così il varco ad abusi e malversazioni. La regolamentazione esistente è partita male comprendendo le solite “eccezioni” che ne azzoppano subito l’efficacia. Mi riferisco all’esenzione del bilancio per rendicontazioni inferiori ai 220.000 euro. Perché questa esclusione? Faccio notare che sono pochi gli ETS (Enti del Terzo Settore) con movimenti considerevoli di denaro. Il resto è costituito da una marea pulviscolare di piccole entità con cifre inferiori al limite sopra accennato. Accanto a strutture di ispirazione laica e di provenienza internazionale, abbiamo una forte presenza di strutture cattoliche, fra le quali primeggia una ben nota Comunità che muove miliardi di euro. Per queste piccole entità basta una “rendicontazione”. Lascio immaginare la vastità di arbitrio che esiste. Non basta emanare una normativa scarna

(https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/04/18/20A02158/sg ), ma è necessario attivare efficaci organi di controllo. Come al solito, la formulazione di testi legislativi è caotica e contraddittoria per la presenza di numerose eccezioni alla sua applicazione generale.
L’art. 30 del d.lgs. n. 117/2017 prevede un controllo, ma elenca altresì una nutrita lista di eccezioni o restrizioni che inficiano clamorosamente l’efficacia del provvedimento. È necessaria e opportuna la certezza della pena per coloro che agiscono scorrettamente. Sarebbe interessante sapere la percentuale delle ETS che superano il limite di 220.000 euro e per le quali scattano gli obblighi contabili di bilancio. Sarebbe interessante conoscere il totale degli importi che circolano fra gli ETS rispettivamente sotto e sopra il limite. Va aggiunto che gran parte delle donazioni della popolazione sono destinate a “spese di amministrazione” che comprendono gli stipendi dei responsabili di vertice e le spese di gestione. Dalla risultante di numerose analisi, l’incidenza di questi costi “amministrativi” rappresenta oltre il sessanta percento degli incassi. Ai volontari va poco e niente, mascherando di fatto un sistema di lavoro gratis neoschiavista. Insomma, sarebbe necessaria una buona dose di prudenza e di sospettosità nell’analizzare questo settore che amministra importi sempre più rilevanti. Per questi motivi, sarebbe interessante leggere con attenzione la composizione dei consigli di amministrazione dai certificati camerali. Uscirebbero fuori moltissime sorprese sui nomi riportati, spesso in legame parentale con politici, banchieri, nobildonne, industriali e/o componenti del corpo diplomatico, ecc. ecc. ecc. Molti aspetti negativi e nascosti di questo magma dai confini poco chiari sono stati analizzati accuratamente dal libro “L’INDUSTRIA DELLA CARITA’. IL VOLTO NASCOSTO DELLA BENEFICENZA”, Chiarelettere Edizioni.
Una svolta sarà possibile in termini di certezza del diritto e di certezza della pena quando il testo unico e le normative satelliti escluderanno qualsiasi eccezione, nel rispetto della uguaglianza di tutti di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione della Repubblica Italiana).

Questa disarmonia rispetto al dettato costituzionale rende illegittimo almeno il settanta percento delle leggi italiane, costruite e vanificate sul nascere dall’inserimento nei testi di una sequenza infernale di eccezioni che rendono difficile, se non impossibile, il controllo sulla loro corretta applicazione; generando una enorme quantità di contenziosi che intasano e bloccano l’operatività della macchina giudiziaria.

FONTE: https://www.lapekoranera.it/2023/02/03/luci-ed-ombre-del-terzo-settore-in-italia/

 

 

 

IN EVIDENZA

Le aziende israeliane hanno trasferito 1 miliardo di dollari dalla Silicon Valley Bank a Israele appena prima del sequestro della Fed

Di Se gli americani lo sapessero

Il Times of Israel  riporta che le aziende israeliane sono state in grado di trasferire 1 miliardo di dollari dalla Silicon Valley Bank (SVB) a conti israeliani poco prima che la banca fosse sequestrata:

“Le due maggiori banche israeliane, Bank Leumi e Bank Hapoalim, hanno istituito una stanza operativa che ha operato 24 ore su 24 per aiutare le aziende a trasferire i loro soldi da SVB – prima che venissero sequestrati – a conti in Israele. Negli ultimi giorni, i team di LeumiTech, il ramo bancario high-tech di Bank Leumi, sono stati in grado di aiutare i loro clienti israeliani a trasferire circa 1 miliardo di dollari in Israele, ha affermato la banca.

SVB, il “prestatore di riferimento per le startup tecnologiche in Israele e negli Stati Uniti”, ha fallito “dopo che i depositanti si sono affrettati a ritirare denaro la scorsa settimana tra l’ansia per la sua salute”.

È stato il secondo più grande fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti. Maggiori informazioni qui.

Il quotidiano israeliano Ha’aretz riferisce che “molte società israeliane sono riuscite a ritirare i loro soldi in tempo, ma chiaramente non è stato così per tutti” e che “le società i cui depositi sono ora bloccati cercheranno di nasconderlo, preoccupato che eventuali voci possano allontanare clienti, fornitori e dipendenti”.

La FDIC ha annunciato un programma di salvataggio di emergenza che pagherà ai depositanti il ​​100% del denaro che avevano in banca. Non è chiaro se questo denaro americano andrà alle compagnie israeliane. Israele riceve già oltre 10 milioni di dollari al giorno  dai contribuenti americani.

Il Washington Post  riporta: “Mentre il fondo destinato ai depositanti viene versato dalle banche statunitensi, alla fine viene sostenuto dal Dipartimento del Tesoro – e quindi dai contribuenti statunitensi”.
Israele ospita una vivace industria high-tech e domenica i media locali hanno affermato che centinaia di aziende locali potrebbero essere esposte al crollo della Silicon Valley Bank.

Il quotidiano economico israeliano Globes ha affermato che la banca era considerata “il principale ente finanziatore per le società israeliane” e che la sua caduta stava “chiudendo il tubo dell’ossigeno” per il settore.

Del resto, la banca investiva in startup israeliane e nelle loro invenzioni come questa:

abolire-uomo

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/le-aziende-israeliane-hanno-trasferito-1-miliardo-di-dollari-dalla-silicon-valley-bank-a-israele-appena-prima-del-sequestro-della-fed/

 

 

 

 

TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE / PERCHE’ NON HA MAI INDAGATO SUI MAXI CRIMINI DEI PRESIDENTI USA?

 di: Andrea Cinquegrani
Vladimir Putin è un criminale di guerra.

Lo ha sentenziato il ‘Tribunale Penale Internazionale’ (TPI) dell’Aja che ha spiccato un mandato di cattura per il ‘macellaio’ del Cremlino, come ama definirlo l’immacolato presidente degli Usa, Joe Biden.

Nato sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, il TPI si occupa di genocidi, crimini contro l’umanità e di guerra e, ultimamente, anche di ‘crimini di aggressione’.

Dal 2015 ne è presidente il polacco Piotr Jofez Hofmansky, ma la vera ‘anima’ della Corte è rappresentata dal procuratore capo, carica che da quasi due anni è ricoperta dall’avvocato scozzese (è nato ad Edimburgo) Karim Ahmad Khan, di evidenti origini arabe.

S’è dato molto da fare, Khan, istruendo processi per crimini commessi in Ruanda, Cambogia, ex Jugoslavia, Sierra Leone. Nel 2022 ha aperto la ‘pratica Ucraina’, visitando i luoghi del conflitto, in particolare Bucha. Ultimamente ha svolto indagini sui trafficanti di migranti dalla Libia.

Non è molto chiaro il meccanismo in base al quale partono le inchieste. Su input dell’Onu? Dei singoli Paesi? Di associazioni o parenti delle vittime? Boh.

 

IL MEGA REPORTAGE DI ‘GLOBAL RESEARCH’

Di seguito potere cliccare sul link in basso per leggere un interessante reportage (vi avvertiamo che è lunghissimo, quindi farete bene a ‘centellinarlo’ nell’arco di qualche giorno) firmato dallo storico e scrittore James A. Lucas, pubblicato sul sito ‘Global Research’, un cult per chi si interessa di geopolitica, fondato e animato da Michel Chossudowsky, un grande economista canadese. E’ titolato “Te U.S. Has Killed More Than 20 Million People in 37 ‘Victim Nations’ Since World War II”, che significa: “Gli Stati Uniti hanno ucciso oltre 20 milioni di persone di 37 ‘Paesi vittima’ dopo la Seconda Guerra Mondiale”.

Il testo, ovviamente, è in lingua originale: quindi potrete ricorrere al traduttore automatico per leggerlo. L’articolo, avverte Chossudovsky, analizza dati e situazioni fino a tutto il 2015, ma lo stesso economista canadese scrive oggi un significativo preambolo.

La cifra di 20 milioni, quindi, è di certo per difetto, visto che dal 2015 in poi gli Stati Uniti si sono resi protagonisti di svariate carneficine in mezzo mondo.

Sorge ora spontaneo l’interrogativo: ha mai aperto un fascicolo, un’inchiesta, l’oggi solerte Tribunale Penale Internazionale su quanto descritto nel reportage? Qualche rigoroso procuratore capo che si è succeduto negli anni ha mai effettuato indagini su qualcuno dei tanti episodi criminali citati nel saggio?

E gradiremmo sapere: un capo della Casa Bianca è stato mai incriminato per qualcuno dei crimini commessi in tempo di guerra e in tempo di pace?

Per un presidente Usa è stato mai spiccato un mandato d’arresto?

Tutti viole mammole? Tutti gigli candidi?

 

LE ULTIME PERFORMANCE CRIMINALI

Nel 2014 è cominciato il conflitto in Ucraina (non il 24 febbraio 2022, come affermano gli storici – sic – e gli analisti tanto al saggio), che ha causato, fino appunto al 2022, circa 15 mila morti nella popolazione del Donbass, sterminata delle milizie ucraine perché voleva la sua autonomia e simpatizzava per i russi.

Come mai il solerte ‘TPI’ non ha mosso un dito, allora? Forse quei 15 mila morti sono vittime di seconda classe?

Karim Ahmad Khan

Passiamo al 2015 e il copione non cambia. Comincia l’aggressione dell’Arabia Saudita, spalleggiata dal solito gendarme americano, contro la popolazione yemenita: da allora ad oggi si contano 14 mila morti. Anche in questo caso vanno catalogati come cittadini di serie B o C?

Ed anche in questo caso la Corte dell’Aja non ha mosso un dito. Affetti da cecità i procuratori capo che si sono succeduti dal 2014-2015 ad oggi?

Poco più di un anno fa l’Afghanistan, martoriato dagli Usa, è stato poi abbandonato al suo destino. Non contenti, gli americani hanno applicato le solite ‘sanzioni’ che usano come strumento di guerra: ed infatti sono morti migliaia di afghani, per quelle sanzioni che hanno significato mancanza di alimenti e, soprattutto, di medicinali. Il tasso maggiore di mortalità si registra tra i bambini, i più indifesi.

E allora: i bambini ‘rapiti’ da Putin valgono un’incriminazione mentre quelli yemeniti sono una medaglia al merito per Joe Biden?

 

Solo alcuni tra i tanti possibili esempi di attuali crimini degli Usa (il primo in combutta con i golpisti ucraini di EuroMaidan): del tutto impuniti, neanche sfiorati dallo straccio di un’indagine del Tribunale Penale Internazionale.Possibile?

E allora, ha ragione o no il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, Dmitrij Medvedev, a definire ‘carta igienica’ i provvedimenti della eccellentissima Corte dell’Aja?

 

I CRIMINI CONTRO LA SALUTE PUBBLICA

Passiamo su tutt’altro terreno, quello della salute pubblica. Verranno mai indagati e processati i vertici di ‘Pfizer’ ‘Moderna’ che hanno venduto al mondo vaccini che ben sapevano essere totalmente ‘inefficaci’ e soprattutto ‘insicuri’?

Causando decine milioni di ‘effetti avversi’ in tutto il mondo che significano milioni di morti, soprattutto per ictus, trombosi e infarti?

Nessuno processo per chi specula sulla salute della gente, di cittadini costretti a farsi inoculare prodotti ‘non sicuri’, vaccini che hanno però generato profitti arcimiliardari per le regine di Big Pharma?

Nessuno straccio di indagine per la presidente della Commissione UEUrsula von der Leyen, che in combutta con il Ceo di PfizerAlbert Bourla, ha comprato vaccini per 71 miliardi di euro ‘insicuri’?

E addirittura truffando sui contratti di acquisto, visto che non esiste neanche un pezzo di carta igienica – è proprio il caso di dire – per il contratto più grosso (da 31 miliardi di euro), ma solo uno scambio di sms, addirittura ‘spariti’, ‘volatilizzati’?

Nessuna indagine aperta “sul più grande scandalo nella storia dell’Unione Europea”, come lo ha definito il componente olandese della ‘Commissione d’inchiesta sui vaccini’ varata a settembre 2022 e davanti alla quale sia Bourla che von der Leyen hanno avuto la faccia di bronzo, non presentandosi davanti alla Commissione per essere interrogati?

Negli Usa? Peggio che andar di notte. Due procuratori generali,  Jeffry Landry della Louisiana ed Erich Schmitt del Missouri, nonché un neo costituto ‘Comitato ristretto’ alla Camera, stanno cercando di far luce soprattutto sulle connection tra il Super Virologo (appena andato in pensione a 81 anni) Anthony Fauci e l’Istituto di Virologia di Wuhan, dal quale si è con ogni probabilità   verificata la fuga del virus ‘artificiale’. Il ‘National Institute for Allergy and Infectious Deseases’ (NIAID)presieduto a vita (dal 1984 al 2022) da Fauci ha infatti finanziato a mani base i laboratori di Wuhan per le ricerche sul ‘gain of function’, alla base del passaggio letale del virus dall’animale all’uomo e terreno base per le ‘biologic wars’ del presente e del futuro. Così è nata, in soldoni, la pandemia.

Il tutto con l’avallo, of course, dei vertici della Casa Bianca, oggi sotto inchiesta (ma i media lo nascondono, oscurano la notizia), Fauci ben compreso, interrogato due mesi fa per circa 7 ore.

Non si tratta di crimini contro l’umanità?

E non farebbe bene l’eccellentissima Corte dell’Aja a darci una sbirciatina?

Come del resto successe tanti anni fa – passando all’Italia ma non solo – per la “strage del sangue infetto”, orchestrata sempre dalle regine di Big Pharma a livello internazionale, e che ha causato decine di migliaia di vittime in mezzo mondo.

Se ne è mai interessato il Tribunale dell’Aja?

Se ne è mai fregato di tante vite anche allora sacrificate in nome del dio Denaro, del Profitto, degli utili alle stelle?

Eppure in Francia cadde il governo Juppè per la vergognosa storia del sangue infetto. In Inghilterra venne costituita una commissione parlamentare d’inchiesta che non approdò a molto. Da noi nessuna commissione parlamentare, ma solo un processo penale durato vent’anni esatti, cominciato a Trento, passato a Roma, quindi smistato a Napoli dove si è concluso con una assoluzione plenaria per tutti gli imputati, da Diulio Poggiolini (l’allora Re Mida della sanità ministeriale) agli ex dirigenti delle aziende del gruppo Marcucci: “il fatto non sussiste”, ha sentenziato il giudice dopo tre anni di processo.

Di tutta evidenza si è trattato di un ‘suicidio di massa’, perché le vittime totali della ‘strage del sangue infetto’ in Italia sono state oltre 5 mila (anche se al processo partenopeo c’erano solo 9 parti civili): pochi e miseri i risarcimenti danni ai familiari, ma resta l’obbligo morale e civile di conservare, tutelare e tramandare la MEMORIA STORICA di quell’eccidio rimasto impunito.

Vero, eccellentissima Corte dell’Aja?

 

IL MISTERO DEL DOSSIER IMPOSIMATO PER L’AJA   

Vogliamo chiudere con un episodio che abbiamo raccontato pochi giorni fa, scrivendo un pezzo in occasione della costituzione dell’Archivio Imposimato, dedicato alla catalogazione e digitalizzazione dell’immenso patrimonio di giustizia (quella vera, non taroccata come succede all’Aja) prodotto nella sua vita dal grande Ferdinando Imposimato, tra l’altro una colonna storica della ‘Voce’, come sottolineiamo nell’articolo.

In cui ricordiamo un episodio che ci è rimasto scolpito nella memoria.

Una decina d’anni fa, infatti, proprio il Tribunale penale dell’Aja chiese ad Imposimato una importante consulenza sulla tragedia delle Twin Towers. Ne uscì fuori, dopo mesi di grosso impegno investigativo, un lavoro eccezionale che inchiodava gli Usa a delle colossali responsabilità. Ferdinando, infatti, consultando archivi e carte appena declassificate, focalizzò la sua attenzione soprattutto su un personaggio, il capo commando, Mohamed Atta. E scoprì che, pur essendo ben conosciuto e ‘segnalato’ da CIA ed FBI, entrò facilmente negli Usa dieci mesi prima dell’attacco; prese addirittura il brevetto di pilota; viaggiò di continuo, da uno Stato all’altro, per incontrare personaggi che dovevano aiutarlo nell’operazione. Insomma, libero come un fringuello di fare di tutto e di più, fino a quel tragico 11 settembre 2001.

Sembra un po’ il copione del caso Moro, con gli Stati Uniti che hanno fatto di tutto (attraverso l’agente speciale della CIA Steve Pieczenik) perché lo statista Dc non venisse liberato: Moro infatti ‘Doveva Morire’, come magistralmente ricostruirono con un libro choc uscito nel 2008 (15 anni fa esatti, e nell’anniversario del rapimento tutti gli italiani dovrebbero leggerlo) Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato.

E così ‘dovevano cadere le Torri Gemelle’, come ricostruiva Ferdinando nella sua super consulenza.

Oggi capiamo perché quel lavoro così prezioso è di certo finito ad ammuffire in un cassetto polveroso dell’allora procuratore capo al Tribunale Penale Internazionale. Che a tutto serve fuor che a trovar e far Giustizia; a portare alla sbarra i criminali veri.

Una finzione, anzi una presa per il culo davanti ai milioni di vittime del Potere, che oggi trova il suo emblema nella politica imperialista, neo coloniale, e soprattutto criminale degli Usa.

E la Corte dell’Aja è del tutto ‘organica’ nel progetto: insabbiare i veri CRIMINI, perseguire che si oppone al Moloch a stelle e strisce.

E’ arrivato il momento di passare al link che vi porterà all’istruttivo, lungo e documentatissimo reportage storico firmato da James A. Lucas. Buona lettura: un po’ per giorno.

 

LINK

The U.S. Has Killed More Than 20 Million People in 37 “Victim Nations” Since World War II

https://www.globalresearch.ca/us-has-killed-more-than-20-million-people-in-37-victim-nations-since-world-war-ii/5492051

Sullo stesso argomento potete leggere un interessante articolo di Piccole Note:

Il mandato di arresto per Putin, forse quello per Trump e la visita di Xi a Mosca

 

FONTE: http://www.lavocedellevoci.it/2023/03/18/tribunale-penale-internazionale-perche-non-ha-mai-indagato-sui-maxi-crimini-dei-presidenti-usa/

 

Quando gli USA minacciarono di arrestare i giudici della Corte penale internazionale se avessero processato i soldati in Afghanistan

 
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In questi giorni si parla molto della Corte internazionale di giustizia penale e del mandato di arresto a carico di Vladimir Putin per crimini di guerra collegati al presunto rapimento di minori ucraini e al loro trasferimento forzato in Russia.

Mosca non aderisce al trattato istitutivo della Corte, per cui Putin non rischia nulla né in Russia né in quel mezzo mondo che non fa parte dell’istituzione. Però come agirono altre superpotenze, come ad esempio gli USA, quando vi fu il rischio di una condanna da parte di questa istituzione?

Nel novembre  2017 sembrava che la Corte  dovesse mettere sotto accusa per crimini di guerra dei militari americani per gli abusi (leggi torture) su prigionieri afgani. Washington non prese la cosa molto bene e minacciò di arrestare i giudici e i funzionari della corte se questa avesse mosso accuse di crimini di guerra verso militari USA.  Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, definì l’organismo per la tutela dei diritti con sede all’Aia  “assolutamente pericoloso” per gli Stati Uniti, Israele e altri alleati, e ha affermato che qualsiasi indagine su membri del servizio americano sarebbe “un’indagine del tutto infondata e ingiustificabile”. “Se il tribunale si scaglia contro di noi, Israele o altri alleati degli Stati Uniti, non ce ne staremo con le mani in mano”. Quindi disse: “Vieteremo a giudici e procuratori di entrare negli Stati Uniti. Sanzioneremo i loro fondi nel sistema finanziario statunitense e li perseguiremo nel sistema penale degli Stati Uniti”. “Faremo lo stesso con qualsiasi azienda o Stato che assista un’indagine della Corte penale internazionale contro gli americani”.

Ma non è finita. Bolton, notando che i palestinesi cercavano di far incriminare dei soldati israeliani, disse: “Gli Stati Uniti useranno tutti i mezzi necessari per proteggere i nostri cittadini e quelli dei nostri alleati da procedimenti ingiusti da parte di questo tribunale illegittimo”. “Non collaboreremo con la Corte penale internazionale. Non forniremo alcuna assistenza alla CPI. Di certo non ci uniremo alla CPI. Lasceremo che la CPI muoia da sola”.

Quindi la CPI ha un valore solo quando attacca i nemici degli USA, che non ne fanno parte, ma se minaccia gli USA allora diventa un nemico da combattere con mezzi anche estremi. A questo punto pensate a quanto interessi quest’inchiesta a Putin. La corte morde solo poteri decaduti o limitati, come accadde alla repubblica serba separatista della Bosnia o alla Serbia. Può poco contro un vero stato….

FONTE: https://scenarieconomici.it/quando-gli-usa-minacciarono-di-arrestare-i-giudici-della-corte-penale-internazionale-se-avessero-processato-i-soldati-in-afghanistan/

 

 

Cosa faceva il drone americano precipitato sul mar Nero? Questa è la vera domanda

16 03 2023

(di Giorgia Audiello – lindipendente.online) – Dopo l’incidente avvenuto ieri sul mar Nero in cui un drone americano MQ 9 Reaper è precipitato entrando in collisione con la superficie dell’acqua, l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, è stato convocato alla Casa Bianca e ha accusato Washington di utilizzare i dati raccolti attraverso le ricognizioni aeree per aiutare Kiev sul campo di battaglia. Il drone «sorvolava il Mar Nero vicino alla penisola di Crimea in direzione del confine di stato della Federazione Russa», ed era stato avvistato dai mezzi di controllo dello spazio aereo russo, ha detto il ministero della Difesa spiegando altresì che «il drone ha volato con i suoi transponder spenti, violando i confini del regime di spazio aereo temporaneo stabilito per l’operazione militare speciale, comunicato a tutti gli utenti dello spazio aereo internazionale e pubblicato secondo gli standard internazionali». Sono ancora da chiarire le dinamiche dell’incidente di cui Russia e Stati Uniti forniscono due versioni diverse: tuttavia, al netto delle speculazioni sulle cause dell’accaduto, resta da chiarire perché un drone americano si trovasse a ridosso dei confini della Federazione russa e quali conseguenze avrà l’episodio nelle relazioni già tese tra Washington e Mosca. Questa, infatti, è la domanda importante da porsi, riflettendo anche su cosa sarebbe successo a parti invertite, ossia se un drone russo fosse stato avvistato ai confini del territorio statunitense.

Il comando europeo degli Stati Uniti ha affermato che uno dei due aerei da guerra Su-27 russi ha colpito l’elica del drone facendolo schiantare nel Mar Nero; mentre il ministero della Difesa russo ha spiegato che «L’aereo russo non ha utilizzato armi a bordo, non è entrato in contatto con il velivolo senza pilota ed è tornato sano e salvo alla base». Dunque, a seguito di «brusche manovre», il drone avrebbe perso il controllo scendendo di quota ed entrando in collisione con la superficie dell’acqua. La stampa occidentale ha diffuso univocamente come ufficiale la versione riferita da Washington e dal comando europeo degli Stati Uniti secondo il quale «intorno alle 7:03 (CET), uno degli aerei russi Su-27 ha colpito l’elica dell’MQ-9, costringendo le forze statunitensi ad abbattere l’MQ-9 in acque internazionali». Il comando americano ha comunicato inoltre che «diverse volte prima della collisione, i Su-27 hanno scaricato carburante e sono volati davanti all’MQ-9 in modo sconsiderato, poco sano dal punto di vista ambientale e poco professionale».

La Difesa statunitense ha accusato i piloti russi di azioni poco professionali, sostenendo che «questo atto pericoloso e poco professionale da parte dei russi ha quasi causato la caduta di entrambi gli aerei». Tuttavia, l’ambasciatore russo in America, convocato dal Dipartimento di Stato americano, ha risposto che la missione di ricognizione del veicolo aereo senza pilota (UAV) MQ-9 degli Stati Uniti sopra il Mar Nero è stata una provocazione: «Ci hanno provocato a intraprendere una certa azione, che consentirebbe loro di accusare la Russia e l’esercito russo di non essere professionali», ha detto, aggiungendo anche che «non c’è stato alcun contatto, nessun uso di armi da parte dei nostri aerei da combattimento».

È stato lo stesso ambasciatore russo, del resto, a fornire una risposta verosimile alla domanda più importante che non è stata minimamente presa in considerazione dalla stampa occidentale, ossia perché un drone americano si trovasse a sorvolare il Mar Nero: mentre la parte americana sostiene che si trattasse di normali «operazioni di routine nello spazio aereo internazionale», Antonov ha accusato le forze statunitensi di raccogliere dati di ricognizione che potranno essere impiegati dall’esercito di Kiev per futuri attacchi sul territorio e sulle truppe russe: «Cosa fanno a migliaia di chilometri di distanza dagli Stati Uniti? La risposta è ovvia: raccolgono informazioni che vengono successivamente utilizzate dal regime di Kiev per attaccare le nostre forze armate e il nostro territorio». «Facciamo una domanda retorica – ha proseguito l’ambasciatore – se, ad esempio, un drone d’attacco russo apparisse vicino a New York o San Francisco, come reagirebbero l’aeronautica e la marina americana? Sono abbastanza fiducioso che l’esercito americano agirebbe in modo intransigente e non permetterebbe che il suo spazio aereo o le sue acque territoriali venissero violate». Lo stesso ha quindi invitato Washington a fermare i voli ostili vicino al confine con la Russia: «Consideriamo qualsiasi azione con l’uso di armi statunitensi apertamente ostile», ha dichiarato.

Un invito, tuttavia, non colto dalla controparte americana: «se il messaggio è che vogliono spaventarci o dissuaderci dal volare e operare nello spazio aereo internazionale, sopra il Mar Nero, allora quel messaggio fallirà, perché ciò non accadrà», ha dichiarato il portavoce del Consiglio per la sicurezza USA, John Kirby, che ha proseguito asserendo che «continueremo a volare e ad operare nello spazio aereo internazionale su acque internazionali». Si tratta, dunque, dell’ennesimo confronto tra Russia e Stati Uniti che se fino ad ora è avvenuto “per procura”, ora sta pericolosamente virando verso una collisione diretta, a riprova del fatto che quello ucraino è un teatro bellico che vede gli USA coinvolti in prima linea nell’intento di perseguire il contenimento della Russia e mantenere il primato di prima potenza internazionale. Al momento né Washington né Mosca propendono per uno scontro diretto, ma il susseguirsi di eventi simili potrebbe comportare conseguenze imprevedibili, ma evitabili se entrambe le parti operassero più vicino ai propri confini.

FONTE: https://infosannio.com/2023/03/16/cosa-faceva-il-drone-americano-precipitato-sul-mar-nero-questa-e-la-vera-domanda/

 

 

La preparazione della guerra mondiale

Gli Stati Uniti spingono gli alleati dell’Unione Europea a prepararsi alla terza guerra mondiale. Non hanno scelta se vogliono uscire vincitori dalla “trappola di Tucidide”. A meno che tutto questo trambusto sia una messinscena per mantenere gli alleati nel proprio campo, allorché in America Latina, Africa e Asia molti Stati si dichiarano «neutrali». Nel frattempo al rimbombo di stivali rispondono i militaristi giapponesi che riemergono, come accaduto in Ucraina con i nazionalisti radicali.

Di fronte ai progressi dei paladini di un mondo multipolare, i difensori dell’“imperialismo americano” hanno reagito con prontezza. Qui analizziamo due operazioni: la trasformazione del mercato comune europeo in struttura militare; la ricostituzione dell’Asse della seconda guerra mondiale, grazie all’ingresso di un nuovo protagonista, il Giappone.

Charles De Gaulle si alleò con i comunisti per far fallire la Comunità Europea di Difesa (CED).

LA TRASFORMAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA

Nel 1949 gli Stati Uniti e il Regno Unito fondano l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato). Vi fanno entrare il Canada e gli Stati dell’Europa occidentale liberati. Lo scopo non è la difesa, ma preparare un attacco all’Unione Sovietica, che a sua volta risponde creando il Patto di Varsavia.

Nel 1950, quando fanno scoppiare la guerra di Corea, gli Stati Uniti valutano l’opportunità di estendere il conflitto alla Repubblica Democratica Tedesca (la cosiddetta Germania Est). Per attuare il piano devono però riarmare la Repubblica Federale Tedesca (la cosiddetta Germania Ovest), vincendo la contrarietà di Francia, Belgio e Lussemburgo. A questo fine propongono di fondare una Comunità Europea di Difesa (CED), ma il progetto fallisce per la resistenza dei gollisti e dei comunisti francesi.

Parallelamente gli Stati Uniti aiutano la ricostruzione dell’Europa occidentale con il piano Marshall, che però include molte clausole segrete, tra cui la formazione di un mercato comune europeo. La finalità di Washington è dominare economicamente l’Europa occidentale e al tempo stesso sottrarla politicamente all’influenza comunista e all’imperialismo sovietico. Le Comunità Economiche Europee, nonché la successiva Unione Europea, sono il lato civile dell’offensiva degli Usa, di cui la Nato è il lato militare. La Commissione Europea non è l’organismo dei capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione, ma l’interfaccia tra questi Paesi e l’Alleanza Atlantica. Le norme europee – non solo in materia di armamenti e costruzioni, ma anche di equipaggiamenti, di abbigliamento, di alimentazione e via dicendo – sono stabilite dai servizi della Nato, prima in Lussemburgo, poi in Belgio, infine trasmesse alla Commissione e approvate dal Parlamento Europeo.

Nel 1989, con l’implosione dell’Unione Sovietica, il presidente francese François Mitterrand e il cancelliere tedesco Helmut Kohl immaginano di liberare l’Europa occidentale dalla tutela statunitense, così da competere con Washington. Le negoziazioni, che sfoceranno nel Trattato di Maastricht, avvengono contemporaneamente alla fine dell’occupazione quadripartita della Germania (12 settembre 1990), alla riunificazione delle due Germanie (3 ottobre 1990) infine allo scioglimento del Patto di Varsavia (1° luglio 1991). Washington accetta il Trattato di Maastricht a condizione che venga riconosciuta l’egemonia militare statunitense. L’Europa occidentale accetta.

Ma Washington diffida della coppia Mitterrand-Khol e all’ultimo momento pretende che l’Unione Europea integri tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, nonché i nuovi Stati indipendenti nati dallo scioglimento dell’Unione Sovietica. Questi Paesi non condividono le aspirazioni dei negoziatori di Maastricht, anzi ne diffidano: aspirano a liberarsi sia dell’influenza tedesca sia dell’influenza russa e per difendersi vogliono affidarsi esclusivamente all’“ombrello americano”.

Nel 2003 Washington approfitta della presidenza spagnola della UE (il socialista Felipe Gonzales) e dell’alto rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune, Javier Solana, per far adottare dalla UE la Strategia Europea di Sicurezza, ricalcata sulla National Security Strategy del presidente statunitense George W. Bush. Questo documento viene rimaneggiato nel 2016 dall’alta rappresentante Federica Mogherini.

Emmanuel Macron ha dedicato il periodo francese di presidenza dell’Unione a ricostituire la CED, sotto le mentite spoglie della Bussola Strategica della UE.

Con la guerra d’Ucraina iniziata nel 2022 gli Stati Uniti ritengono necessario, come già accadde con la guerra di Corea, riarmare la Germania contro la Russia, erede dell’URSS. Questa volta però gli USA trasformano l’UE con precauzione. Durante la presidenza francese, propongono a Emmanuel Macron una “Bussola Strategica”, adottata appena un mese dopo l’intervento russo in Ucraina. I membri dell’Unione Europea sono tanto più bloccati in quanto continuano a non sapere esattamente se stanno insieme per cooperare o per integrarsi (l’«ambiguità costruttiva», secondo l’espressione di Henry Kissinger).

A marzo 2023 l’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell, organizza il primo Forum Robert Schumann sulla Sicurezza e la Difesa. Vi partecipano molti ministri della Difesa e degli Esteri degli Stati membri dell’Unione, nonché Stati europei non membri UE, ma filo-Usa. Sono rappresentati a livello ministeriale anche molti altri Stati come Angola, Ghana, Mozambico, Niger, Nigeria, Rwanda, Senegal, Somalia, Egitto, Cile, Perù Georgia, Indonesia e Giappone. Oltre alla Nato vi partecipano rappresentanze dell’ASEAN [Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico], del Consiglio di Cooperazione del Golfo, nonché l’Unione Africana. Ma soprattutto la Lega Araba invia il proprio segretario generale.

Il Forum ha per scopo esplicito la difesa del «multilateralismo e di un ordine internazionale basato sulle regole»; un modo elegante per contrapporsi al progetto russo-cinese di «mondo multipolare fondato sul Diritto Internazionale».

Grazie all’epidemia di Covid, l’Unione Europea ha già potuto attribuirsi in campo sanitario poteri non previsti dai Trattati. All’inizio dell’epidemia spiegai che l’imposizione dell’isolamento a persone sane non aveva precedenti nella storia. Su richiesta di Donald Rumsfeld, ex direttore del laboratorio Gilead Science, nonché ex segretario alla Difesa, la misura fu inventata dal dottor Richard Hatchett, diventato direttore del CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations), nonché caposcuola del provvedimento adottato dal mondo intero [1]. Secondo un rapporto secretato del 2005, che sfortunatamente conosciamo solo attraverso le reazioni suscitate, l’isolamento di civili sani doveva permettere di determinare i posti di lavoro delocalizzabili, di chiudere industrie di beni di consumo in Occidente per concentrare la forza lavoro nell’industria della Difesa. Non siamo ancora a questo punto, ma l’Unione Europea, che si è appropriata di poteri di sanità pubblica non previsti dai Trattati senza sollevare indignazione, ora interpreta questi testi per trasformarsi in potenza militare.

Josep Borrell durante il Forum Robert Schumann sulla Sicurezza e la Difesa.

La scorsa settimana, nel corso del Forum Robert Schumann, Josep Borrell ha presentato il primo rapporto sulla messa in atto della Bussola Strategica, ossia sul coordinamento per la messa in comune delle forze armate nazionali – comprese quelle d’intelligence – in uno spirito d’integrazione e non più di coordinamento. Il progetto di Macron seppellisce definitivamente quello di De Gaulle e dei comunisti francesi. L’«Europa della Difesa» è ormai uno slogan finalizzato non soltanto a porre sotto il controllo del Comando Supremo delle Forze Alleate in Europa (SACEUR) – oggi guidato dal generale statunitense Christopher G. Cavoli – le forze operative degli Stati membri della UE, ma anche ad assumere il controllo delle decisioni di finanziamento, finora di competenza dei parlamenti nazionali, nonché delle decisioni sugli armamenti e organizzative, finora di competenza dei governi degli Stati membri. L’Unione sta organizzando forze armate comuni senza sapere chi ne avrà il comando.

LA RICOSTITUZIONE DELL’ASSE NAZI-NIPPONICO

Quando in Europa si pensa all’inizio e alla fine della seconda guerra mondiale in Europa vengono in mente due date: 1939 e 1945. È falso. L’inizio risale al 1931, con l’attacco in Manciuria di generali giapponesi a soldati cinesi. Fu la prima insidia al potere civile da parte della fazione militarista nipponica, che alcuni mesi dopo culminò nell’assassinio del primo ministro a opera di un gruppo di militari. In pochi anni il Giappone si trasformò in potenza militarista ed espansionista. La fine del conflitto mondiale non coincide con la liberazione della Manciuria da parte dell’Armata Rossa nel 1945. Gli Stati Uniti sganciarono due bombe atomiche per impedire al Giappone di arrendersi all’URSS, costringendolo a capitolare solo ai propri generali. Ma gli Stati Uniti continuarono a combattere fino al 1946 perché molti giapponesi si rifiutavano di arrendersi agli Stati Uniti, che fino a quel momento non avevano combattuto nel Pacifico. La seconda guerra mondiale è durata quindi dal 1931 al 1946. Se in occidente sbagliamo le date è perché la guerra divenne mondiale con l’Asse Roma-Berlino-Tokyo (il Patto Tripartito), cui presto si unirono Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Romania.

L’Asse si fondava non sui disparati interessi dei suoi membri, ma sul culto della Forza. Per ricostituirlo basta unire coloro che oggi condividono questo culto.

Yoshio Kodama, primo padrino della yakuza, svolse un ruolo importante nel militarismo giapponese. Dopo la seconda guerra mondiale fu messo in prigione, ma in seguito beneficiò del cambiamento di politica degli Stati Uniti. Fondò il Partito Liberale, da cui provengono Shinzo Abe e Fumio Kishida. Kodama diresse di nascosto numerose operazioni della CIA in Giappone. Fu membro della Lega Anticomunista Mondiale quando era presieduta da Slava Stetsko (redattrice dell’art. 16 della Costituzione ucraina).

Quando nel 1946 gli Stati Uniti occuparono il Giappone, pensarono innanzitutto a epurarlo dagli elementi militaristi. Ma allo scoppio la guerra di Corea decisero di appoggiarsi al Giappone per lottare contro il comunismo. Posero fine ai processi in corso e riabilitarono 55 mila alti funzionari. Attuarono il piano Dodge, corrispondente al piano Marshall per l’Europa. Hayato Ikeda, uno dei fortunati beneficiari del cambiamento di politica statunitense, divenne primo ministro e rimise in sesto l’economia del Paese. Con l’aiuto della CIA fondò il Partito Liberal-Democratico. Dalla corrente di Ikeda provengono Shinzo Abe, primo ministro dal 2012 al 2020, nonché il suo successore, Fumio Kishida.

Kishida ha fatto a sorpresa una visita in Ucraina: è il primo capo di governo asiatico a recarvisi dall’inizio della guerra. Ha visitato un carnaio a Bucha e presentato le condoglianze per le vittime dei «soprusi russi». La maggior parte degli analisti interpretano il viaggio come preparazione del prossimo G7, che si svolgerà in Giappone. La visita però potrebbe preludere a ben altro.

Il 21 marzo 2023 Fumio Kishida e Volodymyr Zelensky stringono un’alleanza contro la Russia e la Cina: un prolungamento dei legami a suo tempo stretti da Yoshio Kodama e Slava Stetsko.

Nel comunicato finale congiunto, Kishida e Zelensky sottolineano «l’inscindibilità della sicurezza euro-atlantica e indo-pacifica», nonché «l’importanza della pace e della stabilità nello stretto di Taiwan». Si tratta cioè di difendere non solo l’Ucraina contro la Russia, ma anche il Giappone dalla Cina. Il comunicato pone le basi di una nuova alleanza tra gli eredi dei nazisti, ossia i nazionalisti integralisti ucraini [2] e gli eredi del nazionalismo Shōwa. L’Ucraina è l’unico Stato al mondo ad avere una Costituzione esplicitamente nazista. Adottata nel 1996 e modificata nel 2020, all’art. 16 stabilisce che «preservare il patrimonio genetico del popolo ucraino è responsabilità dello Stato». Questo articolo è stato redatto dalla vedova del primo ministro ucraino nazista, Iaroslav Stetsko.

All’art. 9 la Costituzione giapponese invece rinuncia alla guerra. Abe e Kishida hanno però già iniziato la battaglia per modificare le norma. La Costituzione giapponese inoltre non consente di fornire attrezzature di difesa letali. Tokyo però ha già inviato a Kiev aiuti umanitari e finanziari per 7,1 miliardi di dollari. Riguardo all’invio di materiale militare non letale, durante la visita a Kiev Kishida ne ha tuttavia annunciato la fornitura, ancorché limitata al valore di 30 milioni di dollari.

Washington sostiene la rimilitarizzazione del Giappone, che appunto ha già cambiato campo appoggiando l’Ucraina. L’ambasciatore degli Stati Uniti a Tokyo, Rahm Emmanuel, ha twittato: «Il primo ministro Kishida fa una visita di portata storica in Ucraina per proteggere il popolo ucraino e promuovere i valori universali inscritti nella Carta delle Nazioni Unite (…) A circa 900 chilometri di distanza, a Mosca, si delinea un partenariato ben diverso e più nefasto» (allusione al vertice Putin-Xi).

A proposito del viaggio in Ucraina del primo ministro giapponese, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Weibin ha invece dichiarato che «spera che il Giappone prema per una distensione della situazione, non per il contrario». Da parte sua, la Russia ha inviato due bombardieri strategici a sorvolare per quasi sette ore il Mar del Giappone.

Questo articolo è il seguito di
1. «Il Medio Oriente si svincola dall’Occidente», 14 marzo 2023.

 

FONTE: https://www.voltairenet.org/article219083.html

La Cina spara raggi laser nel cielo delle Hawaii e si prepara alla guerra

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Copertina di POTERE OCCULTO
 Categoria: Mafia
 A cura di : Stefania Limiti
 Editore: Chiarelettere
Pagine: 804
Prezzo: € 25.00
ISBN: 9788832965636
 Anno: 2022

Recensione

“È sempre tempo di insidie per le democrazie

Un lavoro di ricostruzione durato decenni. Le prove della sotterranea opera di manipolazione esercitata da una struttura occulta e parallela sulle sorti della nostra fragile Repubblica, fin dalla sua nascita.
Un’indagine resa possibile in seguito all’emersione di testimonianze dirette, preziosi documenti rimasti a lungo sepolti negli archivi del Viminale, piste disperse nell’immensa mole di atti giudiziari riguardanti gli attentati e le stragi che per oltre mezzo secolo hanno insanguinato il paese. Chi furono i protagonisti di quel potere invisibile e violento che ha manipolato la storia e camuffato e coperto con “false bandiere” il reale corso degli avvenimenti? Tre libri (L’Anello della Repubblica, Doppio livello, La strategia dell’inganno) pubblicati tra il 2009 e il 2017, e ora raccolti in un unico volume con il raccordo di una nuova introduzione, rivelano protagonisti e trame sotterranee di quell’opera di destabilizzazione che ha interessato la nostra nazione da Portella della Ginestra fino ai delitti eccellenti di Falcone e Borsellino e la nascita della Seconda repubblica, passando per piazza Fontana, l’Italicus, piazza della Loggia, l’uccisione di Aldo Moro, la P2, Gladio.
Ne emerge il profilo di una struttura occulta, nata in continuità con il fascismo e sotto il controllo degli americani, che ha avuto dapprima il compito di ostacolare le sinistre e poi condizionare il sistema politico con l’appoggio della malavita e della mafia, e la connivenza di alcune delle nostre stesse istituzioni.
Un doppio livello di potere che ha tenuto l’Italia sotto scacco per decenni. Una minaccia costante che dovremmo imparare a riconoscere per saper sventare.

L’Anello della RepubblicaDoppio livelloLa strategia dell’inganno:
tre libri fondamentali che a partire da documenti, fonti primarie e anni di ricerca sul campo raccontano un’unica grande storia.
L’azione di destabilizzazione che, dal 1945 al 1992, poteri invisibili e non elettivi hanno esercitato sullo Stato italiano per manovrarne le sorti. I depistaggi, le stragi, i tentati golpe letti alla luce dell’opera sotterranea esercitata da strutture occulte e parallele sul potere democratico.

FONTE: https://www.antimafiaduemila.com/libri/1591-potere-occulto.html

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina

15 03 2023

(Matteo Bortolon – lafionda.org) – Il breve e sintetico testo di Benjamin Abelow (Come l’Occidente ha provocato la guerra in UcrainaFazi 2023) si aggiunge alla serie di libri che propongono una analisi della crisi in termini urticanti e provocatori per chi si è abituato agli slogan dei media dominanti: “c’è un aggressore e un aggredito”, “la crisi è dovuta al rigurgito di imperialismo russo”, “tutta colpa di Putin” e simili.

Nonostante l’insistente tartassamento dei poteri dominanti, se nei primi mesi di guerra la cappa di omologazione e conformismo delle opinioni è stata pesantissima, nell’anno seguente si sono susseguite delle analisi che restituiscono una complessità alla situazione meno incline al manicheismo. Fra queste spunta il testo di Abelow, che può essere utile accostare al libro di Noam Chomsky 11 settembre. Le ragioni di chi? , pubblicato a ridosso dell’attentato alle Torri Gemelle. Anche allora un evento traumatico tendeva ad addossare tutte le colpe su dei “cattivi” – ieri gli islamisti di Al-Qaeda, oggi i vertici della Federazione Russa – e si cercava di costruire un consenso mobilitante dell’opinione pubblica. Anche vent’anni fa un breve testo ci diceva che no, le cose non erano affatto così semplici come ce le raccontano e senza una comprensione più articolata una soluzione vera non si sarebbe trovata. E infatti il bilancio della War on Terror, basata su friabili basi analitiche, è catastrofico. Se vent’anni fa si fossero adottate politiche diverse, meno inclini al suprematismo occidentalista, ci saremmo risparmiati guerre, centinaia di migliaia di morti e un restringimento delle libertà inedita dai tempi più cupi della guerra fredda.

Oggi sempre di essere tornati ai tempi oscuri del confronto con l’URSS, con la infamante accusa di “putiani” riversata contro tutti coloro che non si assimilano al pensiero dominante.

Va detto chiaramente che tale etichettatura è una scempiaggine propagandistica al livello della stigmatizzazione come “comunisti” dei vertici del centro-sinistra ai tempi d’oro di Berlusconi. Una roba di una stupidità stomachevole incommentabile. I gruppi ed i movimenti che avevano una simpatia politica per il presidente Putin e per il suo conservatorismo oggi o tacciono o sostengono Kiev. Mentre molti di coloro che mettono in discussione la narrativa dei governi e del cocuzzaro di opinionisti al seguito (personaggi dimenticabili come Tocci e Ottaviani) in passato hanno espresso tutta la loro opposizione al leader russo. Abelow è uno storico con un forte interesse religioso che ai tempi della guerra fredda si era impegnato sui temi degli armamenti nucleari in senso antimilitarista e pacifista, per cui è da escludersi se possa avere una simpatia politica per i vertici della Russia.

Il testo si distingue per una brevità che lo rende facilmente accessibile, la semplicità di linguaggio e la logica stringente che lo innerva. Si compone di otto capitoli: nei primi due si elencano tutte le provocazioni della NATO e degli USA verso la Russia dal 1990 ad oggi. Nel terzo si chiede cosa succederebbe se gli Stati Uniti fossero al posto dei russi e di come reagirebbero a loro volta. Nel successivo si argomenta che il ritiro unilaterale degli USA dal trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio spaventi la leadership russa e l’abbia spinta verso un atteggiamento più duro. Nella quinta sezioni si citano diversi esperti di politica estera, affatto pacifisti e meno che mai filo russi, su come l’allargamento della NATO (un “dettaglio” che i blasonati commentatori più disagiati preferiscono non menzionare) abbia danneggiato la cooperazione con la Russia e su come tutto ciò fosse largamente prevedibile dagli anni Novanta. Nel capitolo seguente si argomenta come il perpetuarsi di tale errore diventi una “profezia che si autoavvera”: l’allargamento della NATO avrebbe irrigidito le relazioni con Mosca, e quando ciò fosse avvenuto si sarebbe dato la colpa al militarismo russo, dandosi una (illusoria) giustificazione a posteriori. La citazione è nientemeno di George Kennan, figura chiave della guerra fredda i cui scritti hanno direttamente influenzato le politiche antisovietiche del “contenimento” dell’URSS. L’argomento vene riproposto nel capitolo seguente come una narrativa paranoide in contraddizione con i dati di realtà. Nelle conclusioni si rileva come l’attuale linea del blocco euro-atlantico (molto atlantico e molto poco “euro” in verità) rischiano di portarci al disastro nucleare. En passant si nota come la proposta di mediazione del governo tedesco poco prima dello scoppio del conflitto (il 19 febbraio 2022) sia fallita per il rifiuto di Zelensky di dichiarare la propria neutralità rinunciando all’ingresso nella NATO. Sarebbe stato possibile senza che gli USA lo sostenessero in questa scelta? Ovviamente – ci sentiamo di aggiungere – non c’è una certezza assoluta che la guerra sarebbe state evitata; in fondo Kiev in pratica è già molto legata al militarismo occidentale, e si può ipotizzare che il presidente Putin avrebbe potuto avanzare ulteriori richieste. Ma si sarebbe trattato di una base negoziale da cui partire, e invece evidentemente è mancata ogni volontà politica di trattativa. In tal modo si vede come il titolo, così lontano dalla narrativa che va in scena all’apertura di ogni tg, non sia discorde dai fatti. 

Il testo di cui parliamo più che uno studio asettico e pacato è un pamphlet militante, nello stile di critica radical al militarismo americano proprio di autori di Chomsky o Howard Zinn. Quanti di coloro che nell’anno che ci sta alle spalle hanno lavorato per demistificare la propaganda avrebbero voluto scriverlo anziché leggerlo: mettere giù un testo non tanto difficile da arrivare ad un gran pubblico è un vero e proprio talento divulgativo, prezioso per chi vuole dare strumenti alla base popolare per farsi un’idea autonoma.

Diversi autori citati sono più vicini al realismo o al conservatorismo che all’idealismo liberal; una figura che giganteggia è il politologo John Mearsheimer, di scuola schiettamente realista. La cosa va sottolineata per due ragioni: primo, è importante partire da una descrizione accurata della realtà e non vedere solo ciò che è conforme alle proprie convinzioni e simpatie; secondo, fa effetto come molti commentatori che si erano fatti una reputazione di progressisti e “di sinistra” (qualsiasi senso si voglia dare a tale espressione) siano caduti nella trappola di una visione semplicistica e manichea. Paradossalmente echeggiando in salsa progressista la stessa distorsione di destre e conservatori di vent’anni fa: di traslare una valutazione di assetto interno sugli atti di politica estera, il che è errato: una specchiata democrazia è perfettamente capace di atti non democratici e veri e propri crimini di guerra nella sua politica estera e di difesa. Quindi rispunta la mistica del “mondo libero” contro le autocrazie (russa, cinese, e simili), per cui lo status interno irrora e determina la politica estera. 

Ma questa visione non è realistica, è astratta dalla realtà e non funziona per cercare soluzioni che comportino una de-escalazione della violenza. A meno che la “soluzione” ricercata non sia la sconfitta della Russia costi quello che costi, facendo trionfare gli interessi strategici USA lasciandosi dietro una area di instabilità proprio accanto all’Europa i cui vertici politici preferiscono un indegno scodinzolare di fronte a Biden che cercare una autonomia politica. 

Vista l’opposizione di una fetta assai vasta di opinione pubblica al bellicismo pro-NATO, per cui l’unica opzione sia la totale disfatta dell’esercito russo, rimpinzando Zelensky di armi, si può dire che un’area di pensiero critico è assai più sintonizzata su bisogni, paure e aspirazioni popolari del mainstream dominante, i cui maîtres à penser preferiscono non leggerlo nemmeno Abelow.

FONTE: https://infosannio.com/2023/03/15/come-loccidente-ha-provocato-la-guerra-in-ucraina/

Anglo: la Russia sta vincendo; dobbiamo entrare in guerra noi?

Questo è il tono, fra ansia, desiderio e paura e ammissioni, dei grandi media americani.

riporta il Washington Post :

L’Ucraina a corto di truppe qualificate e munizioni man mano che le perdite crescono, il pessimismo cresce

Il paragrafo di apertura:

La qualità della forza militare ucraina, un tempo considerata un vantaggio sostanziale rispetto alla Russia, è stata degradata da un anno di vittime che hanno tolto dal campo di battaglia molti dei combattenti più esperti , portando alcuni funzionari ucraini a dubitare della disponibilità di Kiev a organizzare un tanto atteso offensiva di primavera.

Quell’offensiva di primavera è probabile che si verifichi quanto l’annunciata campagna di soccorso per sbloccare Bakhmut. Quest’ultimo è impantanato nel fango che non farà che peggiorare nelle prossime settimane.

La campagna primaverile sarà composta da reclute verdi che useranno un folle mix di armi con cui non hanno familiarità. A meno che non ci siano sorprese “occidentali”, non vedo come possa sopraffare le linee di difesa russe ben preparate.

Torniamo al pezzo:

[Á] L’afflusso di coscritti inesperti, introdotti per colmare le perdite, ha cambiato il profilo delle forze ucraine, che soffrono anche di una fondamentale carenza di munizioni, inclusi proiettili di artiglieria e bombe di mortaio, secondo il personale militare sul campo.

“La cosa più preziosa in guerra è l’esperienza di combattimento”, ha detto un comandante di battaglione della 46a brigata d’assalto aereo, identificato solo dal suo segnale di chiamata, Kupol, in linea con il protocollo militare ucraino. “Un soldato sopravvissuto a sei mesi di combattimento e un soldato uscito da un poligono di tiro sono due soldati diversi. È il cielo e la terra.

“E ci sono solo pochi soldati con esperienza di combattimento”, ha aggiunto Kupol. “Purtroppo sono già tutti morti o feriti”.

Tali cupe valutazioni hanno diffuso un pessimismo palpabile, anche se per lo più tacito, dalle linee del fronte ai corridoi del potere a Kiev, la capitale.

Le perdite ucraine, stimate più vicine a 200.000 che a 100.000 morti con ancora più feriti, sono particolarmente sentite al livello di comando inferiore. Non si può semplicemente prendere un venditore o un insegnante dalla strada e metterli in un ruolo di comando minore.

Kupol ha detto che stava parlando nella speranza di garantire un migliore addestramento per le forze ucraine da Washington e che spera che le truppe ucraine trattenute per un’imminente controffensiva abbiano più successo dei soldati inesperti che ora presidiano il fronte sotto il suo comando.

“C’è sempre fede in un miracolo”, ha detto. “O sarà un massacro e cadaveri o sarà una controffensiva professionale. Ci sono due opzioni. In entrambi i casi ci sarà una controffensiva”.

Ci vorrà infatti un miracolo perché la controffensiva diventi nient’altro che un massacro.

Un alto funzionario del governo ucraino, che ha parlato a condizione di anonimato per essere sincero, ha definito il numero di carri armati promesso dall’Occidente un importo “simbolico”. Altri hanno espresso in privato il pessimismo che prometteva che i rifornimenti avrebbero persino raggiunto il campo di battaglia in tempo.

“Se hai più risorse, attacchi più attivamente”, ha detto l’alto funzionario. “Se hai meno risorse, difendi di più. Ci difenderemo. Ecco perché se me lo chiedi personalmente, non credo in una grande controffensiva per noi. Mi piacerebbe crederci, ma guardo le risorse e chiedo: ‘Con cosa?’ Forse avremo alcune scoperte localizzate.

“Non abbiamo le persone o le armi”, ha aggiunto l’alto funzionario. “E conosci il rapporto: quando sei all’attacco, perdi il doppio o il triplo delle persone. Non possiamo permetterci di perdere così tante persone”.

Gli Stati Uniti non chiederanno se “l’Ucraina può permettersi le perdite”. Spingerà per un grande attacco che avrà poche possibilità di uscire anche dalla sua fase di preparazione.

Kupol, che ha acconsentito a farsi fotografare e ha detto di aver capito che avrebbe potuto affrontare un contraccolpo personale per aver dato una valutazione franca, ha descritto di andare in battaglia con soldati appena arruolati che non avevano mai lanciato una granata, che hanno prontamente abbandonato le loro posizioni sotto il fuoco e che mancavano di fiducia nel maneggiare le armi da fuoco.

La sua unità si è ritirata da Soledar nell’Ucraina orientale in inverno dopo essere stata circondata dalle forze russe che in seguito hanno catturato la città. Kupol ha ricordato come centinaia di soldati ucraini in unità che combattevano al fianco del suo battaglione abbiano semplicemente abbandonato le loro posizioni, anche se i combattenti del gruppo mercenario russo Wagner andavano avanti.

Dopo un anno di guerra, Kupol, un tenente colonnello, ha dichiarato che il suo battaglione è irriconoscibile. Dei circa 500 soldati, circa 100 sono stati uccisi in azione e altri 400 feriti, portando al completo turnover. Kupol ha detto di essere l’unico professionista militare del battaglione e ha descritto la lotta per guidare un’unità composta interamente da truppe inesperte.

“Ottengo 100 nuovi soldati”, ha detto Kupol. “Non mi danno il tempo di prepararli. Dicono: “Portali in battaglia”. Lasciano perdere tutto e scappano. Questo è tutto. Capisci perché? Perché il soldato non spara. Gli chiedo perché, e lui dice: “Ho paura del suono dello sparo”. E per qualche ragione, non ha mai lanciato una granata. … Abbiamo bisogno di istruttori NATO in tutti i nostri centri di addestramento, e i nostri istruttori devono essere mandati laggiù nelle trincee. Perché hanno fallito nel loro compito.

Ha descritto gravi carenze di munizioni, inclusa la mancanza di semplici bombe di mortaio e granate per gli MK 19 di fabbricazione statunitense.

“Sei in prima linea”, ha detto Kupol. “Stanno venendo verso di te e non c’è niente con cui sparare.”

Kupol ha affermato che Kiev deve concentrarsi su una migliore preparazione delle nuove truppe in modo sistematico. “È come se tutto ciò che facciamo fosse rilasciare interviste e dire alla gente che abbiamo già vinto, solo un po’ più lontano, due settimane, e vinceremo”, ha detto.

Sì, Kiev, aiutata dai media ‘occidentali’, parla di una vittoria che difficilmente arriverà mai. La vista dal campo è molto diversa:

Dmytro, un soldato ucraino che The Post sta identificando solo per nome per motivi di sicurezza, ha descritto molte delle stesse condizioni. Alcune delle truppe meno esperte che prestano servizio nella sua posizione con la 36a brigata marina nella regione di Donetsk “hanno paura di lasciare le trincee”, ha detto. A volte i bombardamenti sono così intensi, ha detto, che un soldato avrà un attacco di panico, poi “gli altri lo prendono”.

La prima volta che ha visto i commilitoni molto scossi, ha detto Dmytro, ha cercato di parlare loro della realtà dei rischi. La volta successiva, ha detto, “sono semplicemente scappati dalla posizione”.

“Non li biasimo”, ha detto. “Erano così confusi.”

Sì, lo shock da proiettile è reale. Essere sotto il fuoco dell’artiglieria è terrificante. Soprattutto quando sei un principiante, seduto in un fosso senza armatura e senza modo di rispondere.

La supremazia dell’artiglieria russa è il motivo per cui le perdite ucraine sono un multiplo di quelle della parte russa. Ma anche se i fanti sono disponibili e ben addestrati, non c’è nulla che possa compensare la perdita della spina dorsale di un esercito :

L’Ucraina ha perso molti dei suoi giovani ufficiali che hanno ricevuto l’addestramento statunitense negli ultimi nove anni, erodendo un corpo di leader che hanno contribuito a distinguere gli ucraini dai loro nemici russi all’inizio dell’invasione, ha detto il funzionario ucraino. Ora, ha detto il funzionario, quelle forze devono essere sostituite. “Molti di loro vengono uccisi”, ha detto il funzionario.

Sostituito con cosa? Ci vogliono anni per addestrare un sergente maggiore o un capitano. Queste posizioni richiedono esperienza nel settore. Nessun addestramento civile può sostituirlo. Corsi di tre settimane, tenuti da ufficiali “occidentali” privi di una reale esperienza di guerra, non potranno sopperire a questo:

Anche con nuove attrezzature e addestramento, i funzionari militari statunitensi considerano la forza dell’Ucraina insufficiente per attaccare lungo tutto il fronte gigante, dove la Russia ha eretto difese sostanziali, quindi le truppe vengono addestrate per sondare punti deboli che consentano loro di sfondare con carri armati e veicoli corazzati .

Non ci saranno punti deboli. O forse ce ne saranno alcuni, volutamente lasciati aperti dai russi, per attrarre il ‘contrattacco’ ucraino per poi intrappolarlo in un unico grande calderone.

È finita per l’Ucraina. Le forze russe stanno avvolgendo le unità ucraine in diversi piccoli calderoni. Bakhmut è solo uno di loro. A sud c’è l’agglomerato di New York che ne diventerà un altro. Anche Anviivka, più a sud, è in grossi guai e potrebbe addirittura diventare la prima delle tre a cadere.

Anche il New York Times ha iniziato a notarlo :

Da Kupiansk nel nord ad Avdiivka nel sud, attraverso Bakhmut, Lyman e dozzine di città intermedie, le forze russe stanno attaccando lungo un arco di 160 miglia nell’Ucraina orientale in una lotta sempre più intensa per il vantaggio tattico prima di possibili offensive primaverili. Lunedì sono stati segnalati pesanti combattimenti ad Avdiivka e dintorni, una città che è stata in prima linea per gran parte dell’anno scorso e che negli ultimi giorni è tornata ad essere un punto focale del combattimento.

A Bakhmut, dove la compagnia militare privata Wagner ha preso il controllo della parte orientale della città, si stanno svolgendo brutali combattimenti nelle strade, tra i resti distrutti degli edifici e nelle profondità del sottosuolo nei meandri delle mine, secondo l’esercito russo blogger.

A Kupiansk e nei villaggi circostanti, la Russia ha intensificato i bombardamenti e gli assalti di terra e l’Ucraina ha ordinato ai civili di andarsene. I bombardamenti russi si sono intensificati anche a Lyman e in altre città. Secondo l’esercito ucraino, le forze russe effettuano più di 100 tentativi al giorno per sfondare le loro linee.

Con poche persone o edifici intatti, i luoghi più contesi hanno poco da offrire oltre al controllo di strade e ferrovie che il Cremlino considera importanti per il suo obiettivo di impadronirsi dell’intera regione orientale nota come Donbass. Gli assalti possono anche fornire un migliore posizionamento per il prossimo attacco, informazioni sulle posizioni dell’altra parte e valore propagandistico.

Non menzionato dal NYT, ma la cosa più importante è che le forze russe in tutti questi attacchi stanno distruggendo l’esercito ucraino.

Tra poche settimane, dopo che quei tre calderoni saranno crollati, l’esercito ucraino sarà in fuga. Ormai sarà estate e il fango si sarà prosciugato. Le forze russe diventeranno quindi più mobili, il che potrebbe persino consentire movimenti più ampi della “grande freccia”.

L’unico modo per l’esercito ucraino di contrastare queste mosse sarà l’uso delle forze che attualmente prepara per una “controffensiva” come formazioni di difesa.

Ma anche questo gli darà solo altri tre mesi circa prima che arrivi l’inevitabile collasso.

L’Australia si porta avanti:

https://twitter.com/mtracey/status/1635489799627849730

L’Australia è in “allarme rosso” che la guerra con la Cina è imminente, ma proprio oggi sono stati svelati i dettagli dell’alleanza militare “AUKUS”. Presumibilmente, questa nuova alleanza statunitense ha lo scopo di rafforzare una “posizione di deterrenza combinata”. Ma se la guerra è imminente, è “scoraggiante” o “provocatoria”?

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/anglo-la-russia-sta-vincendo-dobbiamo-entrare-in-guerra-noi/

 

 

 

SEYMOUR HERSH: “COME L’AMERICA HA FATTO FUORI IL GASDOTTO NORDSTREAM”

  

Il New York Times lo ha definito un “mistero”, ma gli Stati Uniti hanno eseguito un’operazione marittima segreta che è stata tenuta segreta, fino ad ora. “La decisione di Biden di sabotare i gasdotti è arrivata dopo più di nove mesi di dibattiti altamente segreti all’interno della comunità della sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio tale obiettivo. Per gran parte di quel tempo, il problema non era se portare a termine la missione, ma come portarla a termine senza avere la minima idea di chi fosse il responsabile”. Decisivo il supporto della marina e dell’intelligence norvegese.

“La decisione di Biden di sabotare i gasdotti è arrivata dopo più di nove mesi di dibattiti altamente segreti all’interno della comunità della sicurezza nazionale di Washington”.

Articolo originale: How America Took Out The Nord Stream Pipeline, Substack, 8 febbraio 2023

Seymour Hersh è un giornalista e scrittore statunitense. Ha vinto il Premio Pulitzer per le sue numerose inchieste giornalistiche in ambito militare. È attualmente giornalista e autore per The New Yorker, per il quale si occupa di temi geopolitici, di sicurezza e militari, in particolare riguardo l’operato dei servizi segreti e di intelligence.

NORD STREAM

Il Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro come il suo nome, lungo quella che una volta era una strada di campagna nella rurale Panama City, una città turistica ora in forte espansione nella striscia di terra sud-occidentale della Florida, 70 miglia a sud del confine dell’Alabama. Il complesso del centro è anonimo quanto la sua ubicazione: una squallida struttura in cemento del secondo dopoguerra che ha l’aspetto di un liceo professionale nella parte ovest di Chicago. Una lavanderia a gettoni e una scuola di danza si trovano dall’altra parte di quella che oggi è una strada a quattro corsie. 

Il centro ha addestrato per decenni subacquei altamente qualificati che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare il bene, utilizzando esplosivi C4 per ripulire porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi, oppure il male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, intasare le valvole di aspirazione di centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse su canali marittimi cruciali. Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, è stato il luogo perfetto per reclutare i migliori e i più taciturni diplomati della scuola di sub, che l’estate scorsa hanno svolto con successo quello che erano stati autorizzati a fare a 260 piedi sotto la superficie del Mar Baltico. 

Lo scorso giugno, i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di mezza estate, ampiamente pubblicizzata e nota come BALTOPS 22, hanno piazzato esplosivi a distanza che, tre mesi dopo, hanno distrutto tre dei quattro gasdotti Nord Stream, secondo una fonte con conoscenza diretta della programmazione operativa. 

Due dei gasdotti, noti collettivamente come Nord Stream 1, fornivano alla Germania e a gran parte dell’Europa occidentale gas naturale russo a buon mercato da oltre un decennio. Una seconda coppia di gasdotti, chiamata Nord Stream 2, era stata costruita, ma non era ancora operativa. Ora, con le truppe russe che si ammassavano sul confine ucraino e la guerra più sanguinosa in Europa dal 1945  che incombeva, il presidente Joseph Biden vedeva i gasdotti come un modo da parte di Vladimir Putin di utilizzare il gas naturale come un’ arma per le proprie ambizioni politiche e territoriali. 

A una richiesta di commento, Adrienne Watson, portavoce della Casa Bianca, ha dichiarato in una e-mail: “Questa è un’affermazione completamente falsa”. Analogamente, Tammy Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency, ha scritto: “Questa affermazione è completamente e assolutamente falsa”

La decisione di Biden di sabotare i gasdotti è arrivata dopo più di nove mesi di dibattiti altamente segreti all’interno della comunità della sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio tale obiettivo. Per gran parte di quel tempo, il problema non era se portare a termine la missione, ma come portarla a termine senza avere la minima idea di chi fosse il responsabile. 

C’era un motivo burocratico fondamentale per affidarsi ai diplomati della scuola di immersioni speciali di Panama City. I sommozzatori erano solo della Marina, e non membri del comando delle forze speciali americane, le cui operazioni segrete dovevano essere riferite al Congresso e notificate in anticipo alla leadership del Senato e della Camera, la cosiddetta Banda degli Otto. L’amministrazione Biden stava facendo tutto il possibile per evitare fughe di notizie, poiché la pianificazione è avvenuta alla fine del 2021 e nei primi mesi del 2022. 

Il presidente Biden e il suo team di politica estera – il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, il sottosegretario di Stato per la politica – erano stati espliciti e coerenti nella loro ostilità nei confronti dei due gasdotti, che correvano fianco a fianco per 750 miglia sotto il Mar Baltico da due diversi porti nella Russia nord-orientale vicino al confine estone, passando vicino all’isola danese di Bornholm prima di terminare nel nord della Germania. 

La rotta diretta, che aggirava qualsiasi necessità di transito in Ucraina, era stata un vantaggio per l’economia tedesca, che godeva di un’abbondanza di gas naturale russo a buon mercato, sufficiente per far funzionare le sue fabbriche e riscaldare le sue case, consentendo ai distributori tedeschi di vendere il gas in eccesso, con un profitto, in tutta l’Europa occidentale. Un’azione riconducibile all’amministrazione avrebbe violato le promesse degli Stati Uniti di ridurre al minimo il conflitto diretto con la Russia. La segretezza era essenziale. 

Fin dai suoi primi giorni, il Nord Stream 1 è stato visto da Washington e dai suoi partner anti-russi della NATO come una minaccia al dominio occidentale. La holding dietro di esso, la Nord Stream AG, è stata costituita in Svizzera nel 2005 in collaborazione con Gazprom, una società russa quotata in borsa che produce enormi profitti per gli azionisti, dominata da oligarchi noti per essere alla mercé di Putin. Gazprom controllava il 51% della società, con quattro società energetiche europee – una in Francia, una nei Paesi Bassi e due in Germania – che condividevano il restante 49% delle azioni e avevano il diritto di controllare le vendite a valle del gas naturale a basso costo ai distributori locali in Germania e in Europa occidentale. I profitti di Gazprom sono stati condivisi con il governo russo e le entrate statali di gas e petrolio sono state stimate in alcuni anni fino al 45% del budget annuale della Russia. 

I timori politici dell’America erano reali: Putin avrebbe avuto a disposizione un’ulteriore e altamente necessaria fonte di reddito e la Germania e il resto dell’Europa occidentale sarebbero divenuti dipendenti dal gas naturale a basso costo fornito dalla Russia, riducendo al contempo la dipendenza europea dall’America. In effetti, è esattamente quello che è successo. Molti tedeschi vedevano il Nord Stream 1 come parte dell’affrancamento nazionale riconducibile alla famosa teoria della Ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt, che avrebbe consentito alla Germania del dopoguerra di riabilitare se stessa e altre nazioni europee distrutte durante la seconda guerra mondiale, tra le altre cose, utilizzando gas russo a buon mercato per alimentare un prospero mercato e commercio nell’Europa occidentale.

Il Nord Stream 1 era abbastanza pericoloso, secondo la NATO e Washington, ma il Nord Stream 2, la cui costruzione è stata completata nel settembre del 2021, se approvato dai regolatori tedeschi, avrebbe raddoppiato la quantità di gas a basso costo che sarebbe stata disponibile per la Germania e l’Europa occidentale. Il secondo gasdotto avrebbe fornito anche gas sufficiente per oltre il 50% del consumo annuo della Germania. Le tensioni tra Russia e NATO erano in costante aumento, sostenute dall’aggressiva politica estera dell’amministrazione Biden.

L’opposizione al Nord Stream 2 è divampata alla vigilia dell’insediamento di Biden nel gennaio 2021, quando i repubblicani al Senato, guidati da Ted Cruz del Texas, hanno ripetutamente sollevato la minaccia politica del gas naturale russo a buon mercato durante l’udienza di conferma di Blinken come Segretario di Stato. A quel punto un Senato unificato aveva approvato con successo una legge che, come disse Cruz a Blinken, “bloccò [il gasdotto] sul suo percorso”. Ci sarebbero state enormi pressioni politiche ed economiche da parte del governo tedesco, allora guidato da Angela Merkel, per mettere in funzione il secondo gasdotto.

Biden avrebbe resistito ai tedeschi? Blinken disse di sì, ma aggiunse di non aver discusso i dettagli delle opinioni del presidente entrante. “Conosco la sua forte convinzione che questa sia una cattiva idea, il Nord Stream 2”, disse. “So che vorrebbe che usiamo ogni strumento persuasivo che abbiamo a disposizione per convincere i nostri amici e partner, compresa la Germania, a non andare avanti”.

Pochi mesi dopo, mentre la costruzione del secondo gasdotto si avvicinava al completamento, Biden sbatté le palpebre. Quel maggio, con una sorprendente inversione di tendenza, l’amministrazione rinunciò alle sanzioni contro Nord Stream AG. Un funzionario del Dipartimento di Stato ammise che il tentativo di fermare il gasdotto attraverso sanzioni e la diplomazia era “sempre stato un azzardo”. Dietro le quinte, secondo quanto riferito, i funzionari dell’amministrazione esortarono il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, a quel punto minacciato di invasione russa, a non criticare la mossa.

Ci furono conseguenze immediate. I repubblicani al Senato, guidati da Cruz, annunciarono un blocco immediato di tutti i candidati alla politica estera di Biden e ritardarono l’approvazione del disegno di legge annuale sulla difesa per mesi, fino all’autunno. Politico in seguito descrisse l’inversione di rotta di Biden sul secondo gasdotto russo come “l’unica decisione, probabilmente più del caotico ritiro militare dall’Afghanistan, che ha messo in pericolo l’agenda di Biden”.

L’amministrazione stava vacillando, nonostante avesse ottenuto una tregua dalla crisi a metà novembre, quando le autorità di regolamentazione dell’energia tedesche sospesero l’approvazione del secondo gasdotto Nord Stream. I prezzi del gas naturale aumentarono dell’8% in pochi giorni, tra i crescenti timori in Germania e in Europa che la sospensione del gasdotto e la crescente possibilità di una guerra tra Russia e Ucraina portassero a un inverno freddo davvero indesiderato. A Washington non era chiaro quale fosse la posizione di Olaf Scholz, il nuovo cancelliere della Germania. Mesi prima, dopo la caduta dell’Afghanistan, Scholz aveva pubblicamente appoggiato l’appello del presidente francese Emmanuel Macron per una politica estera europea più autonoma in un discorso a Praga, suggerendo chiaramente una minore dipendenza da Washington e dalle sue azioni mutevoli.

Nel frattempo, le truppe russe si erano costantemente e minacciosamente accumulate ai confini dell’Ucraina, e alla fine di dicembre più di 100.000 soldati erano in posizione per colpire dalla Bielorussia e dalla Crimea. L’allarme a Washington stava crescendo, inclusa una valutazione di Blinken secondo cui quel numero di truppe poteva essere “raddoppiato in breve tempo”.

L’attenzione dell’amministrazione si è concentrata ancora una volta sul Nord Stream. Finché l’Europa rimaneva dipendente dai gasdotti per il gas naturale a buon mercato, Washington temeva che paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi di cui aveva bisogno per sconfiggere la Russia.

È stato in questo momento instabile che Biden ha autorizzato Jake Sullivan a riunire un gruppo interagenzia per elaborare un piano.

Tutte le opzioni dovevano essere sul tavolo. Ma uno solo ne sarebbe emerso.

LA PIANIFICAZIONE

Nel dicembre del 2021, due mesi prima che i primi carri armati russi entrassero in Ucraina, Jake Sullivan convocò una riunione di una nuova task force composta da uomini e donne del Joint Chiefs of Staff, della CIA e dei dipartimenti di Stato e del Tesoro e chiese raccomandazioni su come rispondere all’imminente invasione di Putin.

Sarebbe stato il primo di una serie di incontri top secret, in una stanza sicura all’ultimo piano dell’Old Executive Office Building, adiacente alla Casa Bianca, che era anche la sede del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB) . Ci furono le solite chiacchiere avanti e indietro che alla fine portarono a una domanda preliminare cruciale: la raccomandazione inoltrata dal gruppo al presidente sarebbe stata reversibile – come un altro strato di sanzioni e restrizioni valutarie – o irreversibile – cioè azioni cinetiche, che non poteva essere annullata?

Ciò che è diventato chiaro ai partecipanti, secondo la fonte con conoscenza diretta del processo, è che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream e che stava realizzando i desideri del Presidente.

Da sinistra a destra: Victoria Nuland, Anthony Blinken e Jake Sullivan.

Nel corso dei successivi numerosi incontri, i partecipanti hanno discusso le opzioni per un attacco. La Marina ha proposto di utilizzare un sottomarino appena commissionato per assaltare direttamente il gasdotto. L’Air Force ha discusso di lanciare bombe con micce ritardate attivabili a distanza. La CIA ha sostenuto che qualunque cosa fosse stata fatta, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i soggetti coinvolti hanno compreso la posta in gioco. “Questa non è roba da bambini”, ha detto la fonte. Se l’attacco fosse riconducibile agli Stati Uniti, “sarebbe un atto di guerra”.

A quel tempo, la CIA era diretta da William Burns, un mite ex ambasciatore in Russia che aveva servito come vice segretario di stato nell’amministrazione Obama. Burns autorizzò rapidamente un gruppo di lavoro dell’Agenzia i cui membri ad hoc includevano, per caso, qualcuno che conosceva le capacità dei sommozzatori della Marina a Panama City. Nelle settimane successive, i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare un piano per un’operazione segreta che avrebbe utilizzato sommozzatori per innescare un’esplosione lungo il gasdotto.

Qualcosa del genere era già stato fatto. Nel 1971, la comunità dell’intelligence americana apprese da fonti ancora sconosciute che due importanti unità della Marina russa stavano comunicando tramite un cavo sottomarino sepolto nel Mare di Okhotsk, sulla costa orientale della Russia. Il cavo collegava un comando della marina regionale al quartier generale sulla terraferma a Vladivostok.

Una squadra selezionata di agenti della Central Intelligence Agency e della National Security Agency è stata riunita da qualche parte nell’area di Washington, sotto copertura profonda, ed ha elaborato un piano, utilizzando sommozzatori della Marina, sottomarini modificati e un veicolo di salvataggio sottomarino, che è riuscito, dopo molti tentativi ed errori, a localizzare il cavo russo. I sommozzatori hanno installato sul cavo un sofisticato dispositivo di ascolto che ha intercettato con successo il traffico russo e lo ha registrato su un sistema di registrazione.

La NSA ha appreso che alti ufficiali della marina russa, convinti della sicurezza del loro collegamento di comunicazione, chiacchieravano con i loro colleghi senza crittografia. Il dispositivo di registrazione e il suo nastro dovevano essere sostituiti mensilmente e il progetto andò avanti allegramente per un decennio finché non fu compromesso da un tecnico civile della NSA di quarantaquattro anni di nome Ronald Pelton, che parlava correntemente il russo. Pelton è stato tradito da un disertore russo nel 1985 e condannato al carcere. È stato pagato solo $ 5.000 dai russi per le sue rivelazioni sull’operazione, insieme a $ 35.000 per altri dati operativi russi che ha fornito e che non sono mai stati resi pubblici.

Quel successo subacqueo, nome in codice Ivy Bells, fu innovativo e rischioso e produsse preziose informazioni sulle intenzioni e sulla pianificazione della Marina russa.

Tuttavia, il gruppo interagenzia era inizialmente scettico sull’entusiasmo della CIA per un attacco segreto in acque profonde. C’erano troppe domande senza risposta. Le acque del Mar Baltico erano pesantemente pattugliate dalla marina russa e non c’erano piattaforme petrolifere che potessero essere utilizzate come copertura per un’operazione di immersione. I sommozzatori sarebbero dovuti andare in Estonia, proprio oltre il confine delle banchine di carico del gas naturale della Russia, per addestrarsi per la missione? “Sarebbe stato un fiasco sicuro”, è stato detto all’Agenzia.

Durante “tutti questi intrighi”, ha detto la fonte, “alcuni ragazzi della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano:” Non farlo. È stupido e, se andrà male, sarà un incubo politico”.

Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA ha riferito al gruppo interagenzia di Sullivan: “Abbiamo un modo per far saltare in aria i gasdotti”.

Quello che è successo dopo è stato sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden ha incontrato nel suo ufficio della Casa Bianca il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che, dopo qualche esitazione, era ormai saldamente nella squadra americana. Alla conferenza stampa che seguì, Biden disse con aria di sfida: “Se la Russia invade . . . non ci sarà più un Nord Stream 2. Porremo fine a tutto ciò”.

Venti giorni prima, il sottosegretario Nuland aveva dato essenzialmente lo stesso messaggio a un briefing del Dipartimento di Stato, con poca copertura da parte della stampa. “Voglio essere molto chiara con te oggi”, ha detto in risposta a una domanda. “Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti”.

Molti di coloro che sono stati coinvolti nella pianificazione della missione del gasdotto sono rimasti costernati da quelli che consideravano riferimenti indiretti all’attacco.

“È stato come mettere una bomba atomica a terra a Tokyo e dire ai giapponesi che l’avremo fatta esplodere”, ha detto la fonte. “Il piano prevedeva che le opzioni venissero eseguite dopo l’invasione e non pubblicizzate pubblicamente. Biden semplicemente non l’ha capito o l’ha ignorato”.

L’indiscrezione di Biden e Nuland, se di questo si trattava, potrebbe aver frustrato alcuni dei pianificatori. Ma ha anche creato un’opportunità. Secondo la fonte, alcuni degli alti funzionari della CIA hanno stabilito che far saltare in aria il gasdotto “non poteva più essere considerata un’opzione segreta perché il presidente ha appena annunciato che sapevamo come farlo”.

Il piano per far saltare in aria Nord Stream 1 e 2 è stato improvvisamente declassato da operazione segreta, che richiedeva che il Congresso fosse informato, a operazione considerata di intelligence, altamente riservata, con il supporto militare degli Stati Uniti. Secondo la legge, ha spiegato la fonte, “non c’era più l’obbligo legale di riferire l’operazione al Congresso. Tutto quello che dovevano fare ora era semplicemente farlo, ma doveva ancora essere segreto. I russi hanno una sorveglianza superlativa del Mar Baltico”.

I membri del gruppo di lavoro dell’Agenzia non avevano contatti diretti con la Casa Bianca ed erano ansiosi di scoprire se il presidente intendeva quello che aveva detto, cioè se la missione era ormai avviata. La fonte ha ricordato: “Bill Burns torna e dice: ‘Fallo’”.

“La marina norvegese è stata veloce a trovare il posto giusto, in acque poco profonde a poche miglia dall’isola danese di Bornholm”.

L’OPERAZIONE

La Norvegia era il luogo perfetto come base della missione.

Negli ultimi anni di crisi Est-Ovest, l’esercito degli Stati Uniti ha notevolmente ampliato la sua presenza all’interno della Norvegia, il cui confine occidentale corre per 1.400 miglia lungo l’Oceano Atlantico settentrionale e si fonde sopra il circolo polare artico con la Russia. Il Pentagono ha creato posti di lavoro e contratti ben pagati, tra alcune controversie locali, investendo centinaia di milioni di dollari per aggiornare ed espandere le strutture della Marina e dell’Aeronautica americana in Norvegia. I nuovi lavori includevano, soprattutto, un avanzato radar ad apertura sintetica molto a nord che era in grado di penetrare in profondità nella Russia ed è entrato in linea proprio quando la comunità dell’intelligence americana ha perso l’accesso a una serie di siti di ascolto a lungo raggio all’interno della Cina.

Una base sottomarina americana recentemente rinnovata, che era in costruzione da anni, era diventata operativa e più sottomarini americani erano ora in grado di lavorare a stretto contatto con i loro colleghi norvegesi per monitorare e spiare un’importante ridotta nucleare russa a 250 miglia a est, nella Penisola di Kola. L’America ha anche ampliato notevolmente una base aerea norvegese nel nord e consegnato all’aeronautica norvegese una flotta di aerei da pattuglia P8 Poseidon costruiti da Boeing per rafforzare il suo spionaggio a lungo raggio su tutto ciò che riguarda la Russia.

In cambio, lo scorso novembre il governo norvegese ha fatto arrabbiare i liberali e alcuni moderati nel suo parlamento approvando l’accordo supplementare di cooperazione per la difesa (SDCA). In base al nuovo accordo, il sistema legale statunitense avrebbe avuto giurisdizione in alcune “aree concordate” nel Nord sui soldati americani accusati di crimini fuori base, nonché su quei cittadini norvegesi sospettati di interferire con il lavoro alla base.

La Norvegia è stata uno dei primi firmatari del Trattato NATO nel 1949, nei primi giorni della Guerra Fredda. Oggi, il comandante supremo della NATO è Jens Stoltenberg, un convinto anticomunista, che è stato primo ministro norvegese per otto anni prima di passare al suo alto incarico NATO, con il sostegno americano, nel 2014. Intransigente su tutto ciò che riguarda Putin e la Russia, ha collaborato con la comunità dell’intelligence americana sin dalla guerra del Vietnam. Da allora è stato considerato completamente affidabile. “È il guanto che si adatta alla mano americana”, ha detto la fonte.

Tornati a Washington, i pianificatori sapevano che dovevano andare in Norvegia. “Odiavano i russi e la marina norvegese era piena di superbi marinai e sommozzatori che avevano generazioni di esperienza nell’esplorazione altamente redditizia di petrolio e gas in acque profonde”, ha detto la fonte. Ci si poteva anche fidare di loro per mantenere segreta la missione. (I norvegesi potrebbero aver avuto anche altri interessi. La distruzione del Nord Stream, se gli americani ce l’avessero fatta, avrebbe consentito alla Norvegia di vendere molto di più del proprio gas naturale all’Europa.)

A marzo, alcuni membri della squadra sono volati in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la marina norvegesi. Una delle domande chiave era dove esattamente nel Mar Baltico fosse il posto migliore per piazzare gli esplosivi. Il Nord Stream 1 e 2, ciascuno con due serie di gasdotti, erano separati per gran parte del percorso da poco più di un miglio mentre si dirigevano verso il porto di Greifswald nell’estremo nord-est della Germania.

La marina norvegese si affrettò a trovare il posto giusto, nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza lungo un fondale marino profondo solo 260 piedi. Ciò sarebbe stato perfettamente alla portata dei subacquei, che, operando da un cacciatore di mine norvegese di classe Alta, si sarebbero immersi con una miscela di ossigeno, azoto ed elio in uscita dai loro serbatoi e cariche di C4 a forma di impianto sulle quattro condutture con protezione in cemento. Sarebbe stato un lavoro complesso, dispendioso in termini di tempo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm avevano un altro vantaggio: non c’erano grandi correnti di marea, che avrebbero reso molto più difficile il compito di immergersi.

Dopo un po’ di ricerche, gli americani erano tutti d’accordo.

A questo punto, entrò di nuovo in gioco l’oscuro gruppo di immersioni profonde della Marina a Panama City. Le scuole d’altura di Panama City, i cui apprendisti hanno partecipato a Ivy Bells, sono viste come un ristagno indesiderato dai diplomati d’élite dell’Accademia navale di Annapolis, che in genere cercano la gloria di essere assegnati come Seal, pilota di caccia o sommergibilista. Se uno deve diventare “scarpa nera”, cioè membro del meno desiderabile comando delle navi di superficie, c’è sempre almeno un servizio su un cacciatorpediniere, un incrociatore o una nave anfibia. Il meno affascinante di tutti è la guerra contro le mine. I suoi sommozzatori non compaiono mai nei film di Hollywood o sulle copertine delle riviste popolari.

“I migliori subacquei con qualifiche di immersione profonda sono una comunità ristretta, e solo i migliori vengono reclutati per l’operazione e gli viene detto di essere pronti per essere convocati alla CIA a Washington”, ha detto la fonte.

I norvegesi e gli americani avevano una posizione e gli operativi, ma c’era un’altra preoccupazione: qualsiasi attività subacquea insolita nelle acque al largo di Bornholm avrebbe potuto attirare l’attenzione delle marine svedesi o danesi, che avrebbero potuto segnalarla.

Anche la Danimarca è stata uno dei primi firmatari della NATO ed è nota nella comunità dell’intelligence per i suoi legami speciali con il Regno Unito. La Svezia ha presentato domanda di adesione alla NATO e ha dimostrato la sua grande abilità nella gestione dei suoi sistemi di sensori magnetici e sonori sottomarini che seguivano con successo i sottomarini russi, che occasionalmente si presentavano nelle acque remote dell’arcipelago svedese e venivano costretti a risalire in superficie.

I norvegesi si unirono agli americani e insistettero affinché alcuni alti funzionari in Danimarca e Svezia venissero informati in termini generali sulla possibile attività subacquea nell’area. In tal modo, qualcuno più in alto sarebbe potuto intervenire e mantenere un rapporto fuori dalla catena di comando, isolando così il funzionamento del gasdotto. “Ciò che è stato detto loro e ciò che sapevano era volutamente diverso”, mi ha detto la fonte. (L’ambasciata norvegese, invitata a commentare questa storia, non ha risposto.)

I norvegesi sono stati fondamentali per risolvere altri ostacoli. La marina russa era nota per possedere una tecnologia di sorveglianza in grado di individuare e innescare mine sottomarine. Gli ordigni esplosivi americani dovevano essere camuffati in modo da farli apparire al sistema russo come parte dello sfondo naturale, cosa che richiedeva un adattamento alla specifica salinità dell’acqua. I norvegesi avevano una soluzione.

I norvegesi avevano anche una soluzione alla questione cruciale di quando l’operazione avrebbe dovuto aver luogo. Ogni giugno, negli ultimi 21 anni, la sesta flotta americana, la cui nave ammiraglia ha sede a Gaeta, in Italia, a sud di Roma, ha sponsorizzato un’importante esercitazione NATO nel Mar Baltico coinvolgendo decine di navi alleate in tutta la regione. La prossima esercitazione si sarebbe tenuta in giugno e sarebbe stata nota come Baltic Operations 22, o BALTOPS 22. I norvegesi hanno proposto che questa sarebbe stata la copertura ideale per piantare le mine.

Gli americani hanno fornito un elemento fondamentale: hanno convinto i pianificatori della sesta flotta ad aggiungere al programma un esercizio di ricerca e sviluppo. L’esercitazione, come reso noto dalla Marina Militare, ha coinvolto la Sesta Flotta in collaborazione con i “centri di ricerca e guerra” della Marina. L’evento in mare si sarebbe tenuto al largo della costa dell’isola di Bornholm e avrebbe coinvolto squadre NATO di sommozzatori che avrebbero piantato mine, con squadre in competizione che utilizzano la più recente tecnologia subacquea per trovarle e distruggerle.

Era sia un esercizio utile che una copertura geniale. I ragazzi di Panama City avrebbero fatto le loro cose e gli esplosivi C4 sarebbero stati posizionati entro la fine di BALTOPS22, con un timer di 48 ore collegato.  Alla prima esplosione tutti gli americani e i norvegesi si sarebbero già allontanati da tempo.

Il conto alla rovescia dei giorni era iniziato. “Il tempo stringeva e ci stavamo avvicinando alla missione compiuta”, ha detto la fonte.

E poi: Washington ci ha ripensato. Le bombe sarebbero state ancora piazzate durante BALTOPS, ma la Casa Bianca temeva che una finestra di due giorni per la loro detonazione sarebbe stata troppo vicina alla fine dell’esercitazione e sarebbe stato ovvio che l’America era coinvolta.

Piuttosto, la Casa Bianca ha avanzato una nuova richiesta: “I ragazzi sul campo possono trovare un modo per far saltare le condutture a comando?”

Alcuni membri del team di pianificazione erano irritati e frustrati dall’apparente indecisione del presidente. I sommozzatori di Panama City si erano ripetutamente esercitati a piantare il C4 sui gasdotti, come avrebbero fatto durante BALTOPS, ma ora il team in Norvegia doveva escogitare un modo per dare a Biden ciò che voleva: la possibilità di emettere un ordine di esecuzione in un momento a sua scelta.

Essere incaricati di un cambiamento arbitrario all’ultimo momento è un qualcosa che alla CIA sono abituati a gestire. Ma ha anche rinnovato le preoccupazioni, da alcuni condivise, sulla necessità, e sulla legittimità, dell’intera operazione.

Gli ordini segreti del presidente evocarono anche il dilemma della CIA nei giorni della guerra del Vietnam, quando il presidente Johnson, di fronte al crescente sentimento contro la guerra del Vietnam, ordinò all’Agenzia di violare il suo statuto – che le vietava specificamente di operare all’interno degli Stati Uniti – spiando i leader politici che osteggiavano la guerra per determinare se fossero controllati dalla Russia comunista.

L’agenzia alla fine acconsentì e per tutti gli anni ’70 divenne chiaro fino a che punto fosse stata disposta a spingersi. Ci furono successive rivelazioni sui giornali all’indomani degli scandali Watergate sullo spionaggio dell’Agenzia sui cittadini americani, il suo coinvolgimento nell’assassinio di leader stranieri e il suo ruolo nella caduta del governo socialista di Salvador Allende.

Quelle rivelazioni portarono a una drammatica serie di udienze al Senato a metà degli anni ’70, guidate da Frank Church dell’Idaho, che resero chiaro che Richard Helms, all’epoca direttore dell’Agenzia, accettò di avere l’obbligo di fare ciò che chiedeva il presidente, anche se ciò significava violare la legge.

In una testimonianza inedita a porte chiuse, Helms ha mestamente spiegato che “hai quasi un’Immacolata Concezione quando fai qualcosa” sotto gli ordini segreti di un presidente. “Giusto o sbagliato che sia, [la CIA] lavora secondo regole e regole di base diverse rispetto a qualsiasi altra parte del governo”. Stava essenzialmente dicendo ai senatori che lui, come capo della CIA, aveva capito di aver lavorato per la Corona e non per la Costituzione.

Gli americani al lavoro in Norvegia hanno operato con la stessa dinamica e hanno diligentemente iniziato a lavorare sul nuovo problema: come far esplodere a distanza gli esplosivi C4 su ordine di Biden. Era un incarico molto più impegnativo di quanto capissero quelli di Washington. Non c’era modo per la squadra in Norvegia di sapere quando il presidente avrebbe premuto il pulsante. Tra poche settimane, tra molti mesi o tra sei mesi o più?

Il C4 collegato alle condutture sarebbe stato attivato da una boa sonar lanciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura prevedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione del segnale. Una volta installati, i dispositivi di temporizzazione ritardata collegati a una qualsiasi delle quattro condutture avrebbero potuto essere attivati accidentalmente dal complesso mix di rumori di fondo dell’oceano in tutto il Mar Baltico pesantemente trafficato: navi vicine e lontane, trivellazioni sottomarine, eventi sismici, onde e persino creature marine. Per evitare ciò, la boa del sonar, una volta posizionata, avrebbe emesso una sequenza di suoni tonali unici a bassa frequenza, molto simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte, che sarebbero stati riconosciuti dal dispositivo di cronometraggio e, dopo un’ora prestabilita di ritardo, avrebbero innescato gli esplosivi. (“Vuoi un segnale sufficientemente robusto in modo che nessun altro segnale possa inviare accidentalmente un impulso che fa esplodere gli esplosivi”, mi è stato detto dal dottor Theodore Postol, professore emerito di scienze, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al MIT. Postol, che ha lavorato come consigliere scientifico del capo delle operazioni navali del Pentagono, ha affermato che il problema che il gruppo ha dovuto affrontare in Norvegia a causa del ritardo di Biden è stato un caso: “Quanto più a lungo gli esplosivi rimangono in acqua, tanto maggiore è il rischio di un segnale che lanci le bombe.”)

Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese ha effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar. Il segnale si è diffuso sott’acqua, inizialmente al Nord Stream 2 e poi al Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza sono stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori servizio. Nel giro di pochi minuti, pozze di gas metano rimaste nelle condutture otturate potevano essere viste diffondersi sulla superficie dell’acqua e il mondo apprendeva che era accaduto qualcosa di irreversibile.

RIPERCUSSIONI

Subito dopo il sabotaggio del gasdotto, i media americani hanno iniziato a trattarlo come un mistero irrisolto. La Russia è stata ripetutamente citata come probabile colpevole, spronata da fughe di notizie calcolate dalla Casa Bianca, ma senza mai stabilire un motivo chiaro per un simile atto di autosabotaggio, al di là della semplice punizione. Pochi mesi dopo, quando è emerso che le autorità russe stavano silenziosamente stimando i costi per riparare i gasdotti, il New York Times ha parlato di “teorie complicate su chi c’era dietro” l’attacco. Nessun grande quotidiano americano ha approfondito le precedenti minacce ai gasdotti fatte da Biden e dal sottosegretario di Stato Nuland.

Sebbene non sia mai stato chiaro il motivo per cui la Russia avrebbe cercato di distruggere il proprio redditizio gasdotto, una motivazione più eloquente per l’azione del presidente è venuta dal Segretario di Stato Blinken.

Rispondendo a una domanda in una conferenza stampa lo scorso settembre sulle conseguenze del peggioramento della crisi energetica nell’Europa occidentale, Blinken ha descritto il momento come potenzialmente positivo:

“È una straordinaria opportunità per rimuovere una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e, quindi, togliere a Vladimir Putin l’uso dell’energia come arma per portare avanti i suoi piani imperiali. Questo è molto significativo e offre enormi opportunità strategiche per gli anni a venire, ma nel frattempo siamo determinati a fare tutto il possibile per assicurarci che le conseguenze di tutto ciò non siano a carico dei cittadini dei nostri paesi o, del resto, Intorno al mondo”.

Più di recente, Victoria Nuland ha espresso soddisfazione per la chiusura del più nuovo dei gasdotti. Testimoniando a un’udienza della commissione per le relazioni estere del Senato alla fine di gennaio, ha detto al senatore Ted Cruz: “Come te, lo sono, e penso che l’amministrazione sia molto felice di sapere che il Nord Stream 2 è ora, come ti piace dire, un fusto di metallo in fondo al mare”.

La fonte aveva una visione molto più saggia della decisione di Biden di sabotare più di 1500 miglia di gasdotto Gazprom con l’avvicinarsi dell’inverno. “Bene”, disse, parlando del presidente, “devo ammettere che il ragazzo ha un paio di palle. Ha detto che lo avrebbe fatto, e lo ha fatto”.

Alla domanda sul motivo per cui pensava che i russi non avessero risposto, ha detto cinicamente: “Forse vogliono avere la possibilità di fare le stesse cose degli Stati Uniti”.

“Era una bellissima storia di copertina”, ha continuato. “Dietro c’era un’operazione segreta che ha messo esperti nel campo e apparecchiature che operavano su un segnale segreto.

L’unico problema è stato decidere di farlo”.

FONTE: https://giubberosse.news/2023/02/08/seymour-hersh-come-lamerica-ha-fatto-fuori-il-gasdotto-nordstream/

 

 

SEYMOUR HERSH: “IL COVER-UP”

  

Seymour Hersh sostiene che l’amministrazione Biden continua a nascondere la sua reale responsabilità nel sabotaggio dei gasdotti Nordstream e che gli articoli del New York Times e Die Zeit (in cui si suggerisce il coinvolgimento di un non meglio identificato gruppo filo-ucraino) è solo un goffo tentativo di depistaggio ispirato dalla CIA. En passant, Hersh aggiunge che il governo Scholz ha contribuito alla copertura dell’operazione americana, anche se per il momento non fornisce ulteriori dettagli.

Articolo originale: THE COVER-UP. The Biden Administration continues to conceal its responsibility for the destruction of the Nord Stream pipelines, Substack, 22 marzo 2023

Seymour Hersh è un giornalista e scrittore statunitense. Ha vinto il Premio Pulitzer per le sue numerose inchieste giornalistiche in ambito militare. È attualmente giornalista e autore per The New Yorker, per il quale si occupa di temi geopolitici, di sicurezza e militari, in particolare riguardo l’operato dei servizi segreti e di intelligence.

Il presidente Joe Biden si incontra con il cancelliere tedesco Olaf Scholz alla Sala Ovale, 3 marzo 2023. (Foto ufficiale della Casa Bianca di Adam Schultz)

Sono passate sei settimane da quando ho pubblicato un articolo, basato su fonti anonime, che definisce il presidente Joe Biden come il funzionario che ha ordinato la misteriosa distruzione lo scorso settembre del Nord Stream 2, un nuovo gasdotto da 11 miliardi di dollari che avrebbe dovuto raddoppiare il volume di gas naturale consegnato dalla Russia alla Germania. La storia ha preso piede in Germania e nell’Europa occidentale, ma è stata soggetta a un quasi blackout dei media negli Stati Uniti. Due settimane fa, dopo una visita del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Washington, le agenzie di intelligence statunitensi e tedesche hanno tentato di aggravare il blackout fornendo al New York Times e al settimanale tedesco Die Zeit false storie di copertura per contrastare il rapporto secondo cui Biden e agenti statunitensi sarebbero responsabili della distruzione degli oleodotti.

Gli assistenti stampa della Casa Bianca e della Central Intelligence Agency hanno costantemente negato che l’America fosse responsabile dell’esplosione dei gasdotti e quelle smentite pro forma sono state più che sufficienti per il corpo della stampa della Casa Bianca. Non ci sono prove che un giornalista assegnato lì abbia ancora chiesto all’addetto stampa della Casa Bianca se Biden abbia fatto ciò che qualsiasi leader serio avrebbe fatto al suo posto:  “incaricare” formalmente la comunità dell’intelligence americana di condurre un’indagine approfondita, con tutte le sue risorse, e scoprire solo chi aveva compiuto l’atto nel Mar Baltico. Secondo una fonte all’interno della comunità dell’intelligence, il presidente non lo ha fatto né lo farà. Perché no? Perché conosce la risposta.

Sarah Miller, un’esperta di energia e redattrice di Energy Intelligence, che pubblica le principali riviste di settore, mi ha spiegato in un’intervista perché la storia del gasdotto è stata una grande notizia in Germania e nell’Europa occidentale. “La distruzione dei gasdotti Nord Stream a settembre ha portato a un’ulteriore impennata dei prezzi del gas naturale che erano già sei o più volte i livelli pre-crisi“, ha affermato. “Nord Stream è stato fatto saltare in aria alla fine di settembre. Le importazioni tedesche di gas hanno raggiunto il picco un mese dopo, in ottobre, a 10 volte i livelli pre-crisi. I prezzi dell’elettricità in tutta Europa sono aumentati e, secondo alcune stime, i governi hanno speso fino a 800 miliardi di euro, proteggendo le famiglie e le imprese dall’impatto. I prezzi del gas, che riflettono l’inverno mite in Europa, sono ora scesi a circa un quarto rispetto al picco di ottobre, ma sono ancora tra due e tre volte i livelli pre-crisi e sono più di tre volte i tassi attuali degli Stati Uniti. Nell’ultimo anno, i produttori tedeschi e altri produttori europei hanno chiuso le loro attività a più alta intensità energetica, come la produzione di fertilizzanti e vetro, e non è chiaro quando quegli impianti riapriranno, se mai lo faranno. L’Europa sta lottando per mettere in atto la capacità solare ed eolica, ma potrebbe non arrivare abbastanza presto per salvare grandi pezzi dell’industria tedesca”. (La Miller ha un blog su Medium.)

All’inizio di marzo, il presidente Biden ha ospitato a Washington il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il viaggio includeva solo due eventi pubblici: un breve scambio di complimenti pro forma tra Biden e Scholz davanti al corpo della stampa della Casa Bianca, senza domande consentite; e un’intervista alla CNN con Scholz di Fareed Zakaria, che non ha trattato le accuse sul gasdotto. Il cancelliere era volato a Washington senza membri della stampa tedesca a bordo, senza cena formale in programma, e i due leader mondiali non avevano in programma di tenere una conferenza stampa, come accade abitualmente in riunioni di così alto profilo. Invece, è stato successivamente riferito che Biden e Scholz hanno avuto un incontro di 80 minuti, senza assistenti presenti per la maggior parte del tempo. Da allora non ci sono state dichiarazioni o intese scritte rese pubbliche da nessuno dei due governi, ma mi è stato detto da qualcuno con accesso all’intelligence diplomatica che c’è stata una discussione sulla denuncia del gasdotto e, in conseguenza di ciò, ad alcuni elementi della Central Intelligence Agency è stato chiesto di preparare una storia di copertura in collaborazione con l’intelligence tedesca che fornisse alla stampa americana e tedesca una versione alternativa per la distruzione del Nord Stream 2. Nelle parole della comunità dell’intelligence, l’agenzia doveva “inviare impulsi al sistema” nel tentativo di soffocare la teoria secondo cui Biden avrebbe ordinato la distruzione degli oleodotti.

A questo proposito, va notato che il cancelliere Scholz, indipendentemente dal fatto che fosse stato avvisato o meno avvisato in anticipo della distruzione del gasdotto (che è una questione ancora aperta), è stato in ogni caso chiaramente complice dallo scorso autunno dell’insabbiamento dell’operazione nel Mar Baltico  da parte dell’amministrazione Biden.

L’agenzia ha fatto il suo lavoro e, con l’aiuto dell’intelligence tedesca, ha inventato e piantato storie su un’operazione ad hoc eseguita non in via ufficiale che aveva portato alla distruzione dei gasdotti. Una bufala basata su due elementi: un articolo del 7 marzo sul New York Times, in cui si citava un anonimo funzionario americano che affermava che “[nuove] informazioni di intelligence… suggeriscono” che “un gruppo filo-ucraino” potrebbe essere stato coinvolto nella distruzione del gasdotto; e un articolo dello stesso giorno pubblicato su Der Zeit, il settimanale tedesco più letto, in cui si affermava che funzionari investigativi tedeschi avevano rintracciato uno yacht a vela di lusso noleggiato, noto per essere salpato il 6 settembre dal porto tedesco di Rostock oltre l’isola di Bornholm al largo della costa danese. L’isola si trova a poche miglia dalla zona in cui le condutture sono state distrutte il 26 settembre. Lo yacht era stato affittato da proprietari ucraini e presidiato da un gruppo di sei persone: un capitano, due sommozzatori, due assistenti subacquei e un medico. Cinque erano uomini e uno una donna. Il gruppo avrebbe usato passaporti falsi.

Le due pubblicazioni erano accompagnate da avvertimenti. Per usare le parole del Times, “c’erano molte cose che ancora non si sapevano”. Tuttavia, si diceva anche che le nuove informazioni avrebbero dato ai funzionari “un maggiore . . . ottimismo” circa il fatto che sarebbe stata raggiunta una conclusione definitiva sugli autori. Ma ci sarebbe voluto molto tempo, secondo vari alti funzionari a Washington e in Germania. Il messaggio era che la stampa e il pubblico dovevano smetterla di fare domande e lasciare che gli investigatori svelassero la verità. Cosa che, ovviamente, non è mai arrivata. Holger Stark, l’autore dell’articolo su Die Zeit, è andato oltre osservando che alcuni “nei servizi di sicurezza internazionale” non avevano escluso la possibilità che la storia dello yacht “fosse un’operazione di false flag”. E infatti lo era.

“È stata una totale invenzione dell’intelligence americana che è stata trasmessa ai tedeschi e mirava a screditare il tuo articolo”, mi è stato detto da una fonte all’interno della comunità dell’intelligence americana. I professionisti della disinformazione all’interno della CIA comprendono che una mossa propagandistica può funzionare solo se coloro che la ricevono sono alla disperata ricerca di una storia che possa sminuire o sostituire una verità indesiderata. E la verità in questione è che il presidente Joe Biden ha autorizzato la distruzione dei gasdotti e avrà difficoltà a spiegare la sua azione mentre la Germania e i suoi vicini dell’Europa occidentale soffrono, con le loro imprese che vengono chiuse a causa degli alti costi energetici quotidiani.

Ironia della sorte, la prova più eloquente sulla debolezza dell’articolo del New York Times è venuta da uno dei tre giornalisti che vi hanno messo la firma. Pochi giorni dopo la pubblicazione della storia, questo giornalista, Julian Barnes, è stato intervistato sul popolare podcast del Times The Daily dal conduttore Michael Barbaro. Ecco la trascrizione:

CONDUTTORE: Chi è stato esattamente il responsabile di questo attacco? E come avete fatto voi e i nostri colleghi a capirlo?

GIORNALISTA: Penso che chiedere chi sia stato è troppo per l’indagine, non stavamo ponendo esattamente le domande giuste.

CONDUTTORE: Hmm. E quali erano le domande giuste?

GIORNALISTA: Beh, logicamente ci siamo concentrati sui paesi.

CONDUTTORE: Mm-hmm.

GIORNALISTA: Tutti gli stati che abbiamo sospettato. È stata la Russia? È stato lo stato ucraino? Così facendo, ci ritrovavamo solo in un vicolo cieco dopo l’altro. Non stavamo trovando funzionari che ci fornissero prove credibili, che indicassero un governo. E così, i miei colleghi Adam Entous, Adam Goldman e io abbiamo iniziato a fare una domanda diversa. I responsabili non avrebbero potuto essere da attori non statali?

CONDUTTORE: Hmm.

GIORNALISTA: Potrebbe essere stato fatto da un gruppo di individui che non lavoravano per un governo?

CONDUTTORE: Un po’ come i sabotatori freelance. Allora dove hai preso questa nuova domanda?

GIORNALISTA: Bene, abbiamo iniziato a chiederci, chi potrebbero essere questi sabotatori? O, nel caso in cui non fossimo stati in grado di rispondere, con chi potrebbero essere allineati? Potrebbero essere sabotatori filo-russi? Potrebbero essere altri sabotatori? E più parliamo con funzionari che hanno avuto accesso all’intelligence, più vediamo che questa teoria prende piede.

CONDUTTORE: Mm-hmm.

GIORNALISTA: E il mio pensiero iniziale che si trattasse di sabotatori filo-russi si è rivelato sbagliato. E abbiamo appreso che molto probabilmente si trattava di un gruppo filo-ucraino.

CONDUTTORE: Hmm. Quindi, in altre parole, un gruppo di persone che ha fatto questo per conto dell’Ucraina. Che cosa hai appreso per arrivare a pensare che sia quello che è successo?

GIORNALISTA: Michael, voglio essere molto chiaro sul fatto che sappiamo davvero molto poco, ok? Questo gruppo rimane misterioso. E rimane misterioso non solo per noi, ma anche per i funzionari del governo degli Stati Uniti con cui abbiamo parlato. Sanno che le persone coinvolte erano ucraine, o russe, o un misto. Sanno che non erano affiliati al governo ucraino. Ma sanno che erano anti-Putin e filo-Ucraina.

CONDUTTORE: Quindi, dopo tutto questo rapporto investigativo, quello che scopri è che il colpevole qui è un gruppo di persone che vogliono la stessa cosa dell’Ucraina, ma non sono ufficialmente legate al governo dell’Ucraina. Ma sono curioso di sapere quanto sei sicuro che queste persone non siano collegate al governo ucraino?

GIORNALISTA: Beh, l’intelligence in questo momento dice che non lo sono. E mentre i funzionari ci dicono che il presidente dell’Ucraina e i suoi consiglieri chiave non lo sapevano, non possiamo essere certi che sia vero o che qualcun altro non lo sapesse.

I giornalisti del Times a Washington erano alla mercé dei funzionari della Casa Bianca “che avevano accesso all’intelligence”. Ma le informazioni che hanno ricevuto hanno avuto origine da un gruppo di esperti della CIA con intento di inganno e propaganda e la loro missione era quella di fornire al giornale una storia di copertura e proteggere un presidente che ha preso una decisione poco saggia e ora sta mentendo al riguardo.

FONTE: https://giubberosse.news/2023/03/22/seymour-hersh-come-lamerica-ha-fatto-fuori-il-gasdotto-nordstream-copy/

 

 

 

LA NATO E LA OCEAN-FRONT STRATEGY STATUNITENSE

  

Attraverso tre oceani – l’Atlantico, l’Indiano e il Pacifico – e due fronti – la Prima Catena Insulare con epicentro a Taiwan e il Cordone Baltico-Mar Nero incentrato sull’Ucraina – gli Stati Uniti cercano di riconquistare il loro dominio militare globale e la loro preminenza politica fin da quando l’ex presidente americano George W. Bush ha lanciato la disastrosa “Guerra al Terrore” nel 2001 col pretesto di combattere il terrorismo globale. La strategia di Washington per contrastare qualsiasi potenza che abbia il potenziale per diventare leader regionale e minacciare il primato globale degli Stati Uniti si concentra sul super-continente eurasiatico, nell’Europa orientale per contrastare la Russia e nel Pacifico occidentale per contrastare la Cina.

Articolo originale: NATO part of US ocean-front strategy – Chinadaily.com.cn
Digby James Wren è un analista politico, consigliere speciale senior dell’Istituto per le relazioni internazionali dell’Accademia Reale di Cambogia.


L’India vacillante nella strategia dell’Indo-Pacifico

Nel 1972, riconoscendo nel Comunicato di Shanghai che “tutti i cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan sostengono che esiste una sola Cina e che Taiwan è una parte della Cina”, Washington ha soddisfatto la sua necessità di stabilire una distensione con la Cina in modo da potersi disimpegnare dal Sud-Est asiatico (guerra del Vietnam) per concentrare gli sforzi nel contrastare l’Unione Sovietica. Tuttavia, la strategia “Indo-Pacifica” statunitense del 2016 dimostra che gli USA vogliono disperatamente frenare l’ascesa della Cina, e che non possono farlo senza l’aiuto del Giappone e dell’India (o di altri importanti alleati). Il Dialogo Quadrilaterale (o Quad, che comprende Stati Uniti, Australia, India e Giappone) e l’alleanza AUKUS (Australia, Regno Unito e Stati Uniti) testimoniano che, a differenza dell’Australia e del Regno Unito, il Giappone e l’India non sono semplici ausiliari degli Stati Uniti nell’attuazione della strategia nell’Indo-Pacifico.

Nonostante gli incentivi e la coercizione degli Stati Uniti, l’India ha promosso il multipolarismo e la de-dollarizzazione. Oltre ad aver mantenuto, se non rafforzato, il commercio di energia e armi con la Russia nonostante il conflitto russo-ucraino, l’India è diventata più influente a livello globale grazie alla sua partecipazione al Quad, all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Mentre la partecipazione dell’India è limitata al Quadro economico indo-pacifico guidato dagli Stati Uniti, il Paese non ha aderito ad accordi commerciali multilaterali regionali come il Partenariato economico globale regionale guidato dall’ASEAN o l’Accordo globale e progressivo per il Partenariato trans-pacifico guidato dal Giappone.

Il Giappone deve affrontare profonde sfide strutturali

Il Giappone ha molto da guadagnare dalla promozione del commercio e degli investimenti con l’India e vede vantaggi per la sicurezza reciproca nella promozione delle linee di comunicazione marittime attraverso l’Oceano Indiano. Tuttavia, il Giappone deve affrontare profonde sfide strutturali, tra cui il deprezzamento della valuta, l’aumento dei costi delle importazioni di prodotti alimentari, energia e fattori produttivi industriali, il calo delle esportazioni, l’aumento del deficit delle partite correnti e l’ingente debito pubblico. Ad esempio, l’industria giapponese delle esportazioni di veicoli è in ritardo rispetto alla cinese BYD e alla statunitense Tesla nella produzione e nell’esportazione di veicoli elettrici. Inoltre, le esportazioni di veicoli con motore a combustione interna sono diminuite e Toyota è diventata l’azienda automobilistica più indebitata al mondo. Ed è altresì vero che la “Abenomics” non è riuscita a risollevare l’economia giapponese. Tuttavia, il tentativo dell’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe di eliminare l’articolo 9 dalla Costituzione pacifista del Giappone e di intraprendere il riarmo totale sta procedendo piuttosto bene con il tacito sostegno degli Stati Uniti.

Inoltre, il rifiuto del Giappone di firmare un trattato di pace con l’Unione Sovietica in passato, e il suo sostegno al regime di sanzioni guidato dagli Stati Uniti, indicano che il Giappone spera da tempo di avere la meglio nella disputa con la Russia sulle isole note come Curili meridionali e sui territori settentrionali, che hanno tutti importanti vantaggi in termini di sicurezza e significative risorse economiche.

Proseguimento della politica di allargamento della NATO

Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e il collasso della campagna in Asia centrale hanno spinto la NATO a spostare la propria linea operativa verso la periferia occidentale della Russia, lungo una linea di Stati NATO che va dal Mar Baltico al Mar Nero e che coinvolge Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia e Turchia. Nonostante la reticenza di Ungheria e Turchia, la guerra per procura della NATO in Ucraina – dipinta dalla NATO come un atto di “autodifesa” e dalla Russia come una continuazione della politica di allargamento della NATO – è sostenuta dal sangue ucraino e dalla fornitura di denaro, materiali, armi, intelligence, mercenari e addestramento da parte degli Stati Uniti e di altri membri e alleati della NATO. Tra l’altro, l’approvvigionamento di denaro e materiali è favorito dalla più severa campagna di sanzioni e dal furto delle riserve estere russe da parte degli Stati Uniti.

Tuttavia, il conflitto Russia-Ucraina può essere visto anche come un’azione di retroguardia della NATO per contrastare la crescente vicinanza e influenza degli otto Stati membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, India e Pakistan. Particolarmente preoccupante per gli Stati Uniti e la NATO è la continua importazione di energia dalla Russia e l’aumento delle forniture di manufatti e apparecchiature di telecomunicazione avanzate dalla Cina. Ma a preoccupare Washington è anche l’espansione della connettività infrastrutturale grazie allo sviluppo dell’Iniziativa Belt and Road, che collega gli Stati membri della SCO con le loro controparti dell’UE e sostiene volumi crescenti di commercio e investimenti est-ovest.

Inoltre, il crescente desiderio degli Stati dell’UE – sotto la guida prima dell’ex cancelliere tedesco Angela Merkel, e poi del presidente francese Emmanuel Macron – di ottenere una “autonomia strategica” dopo che Bush aveva lanciato la “guerra al terrorismo”, è stato visto da Washington come una seria minaccia alla coesione della NATO e alla capacità degli Stati Uniti di contrastare la crescente influenza di Russia e Cina. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno ampliato la portata delle loro campagne politiche nell’UE per reimporre la propria centralità nella NATO, rafforzare l’alleanza militare e promuovere la vendita di energia statunitense. Quanto alla Brexit, che Washington ha apertamente sostenuto, essa ha accelerato il declino economico del Regno Unito, pur garantendogli il mantenimento del seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma il sacrificio dei più ampi interessi nazionali dei 27 Stati membri dell’UE a vantaggio degli Stati Uniti non è coerente con la politica inclusiva e reciprocamente vantaggiosa dell’UE. Di fatto, la Brexit ha contribuito a espandere l’influenza degli Stati Uniti nell’UE e nella NATO, minando l’UE e aumentando la dipendenza del Regno Unito dagli Stati Uniti. Da parte loro, gli USA hanno sostenuto l’espansione dell’UE sempre a condizione che il blocco europeo sostenesse l’espansione della NATO.

La propaganda statunitense sull’eccessiva dipendenza della Germania dall’energia russa e sull’importanza della NATO è stata lanciata prima delle dimissioni della Merkel da cancelliere tedesco, e del cambiamento che ha visto l’Unione Cristiano-Democratica sostituita da una debole coalizione “a semaforo” – Partito Socialdemocratico, Partito Democratico Liberale e Partito Verde – ossia dal primo governo di coalizione a tre partiti in Germania dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa nuova coalizione ha acconsentito alle richieste degli Stati Uniti e ha revocato la propria decisione sia sul Nord Stream 2 che sul coinvolgimento della NATO in Ucraina.

Il Nord Stream 2 si estende per 1.200 chilometri da Vyborg in Russia attraverso il Mar Baltico fino a Lubmin in Germania, aggirando Ucraina e Polonia. Si prevedeva che la linea Nord Stream I sarebbe stata ampliata e avrebbe raddoppiato la fornitura annuale di gas russo a 110 miliardi di metri cubi. Tuttavia, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha resistito per un po’ di tempo alle pressioni degli Stati Uniti e alle richieste di sempre più armi tedesche e denaro per l’Ucraina, ma ha aumentato la spesa per la difesa della Germania, soprattutto per i caccia F-35, minando il settore della difesa/aerospaziale dell’UE e creando una dipendenza a lungo termine dall’industria della difesa statunitense e dal Pentagono. L’economia tedesca rimane certo solida, nonostante l’aumento dei costi energetici e l’inasprimento della concorrenza globale.

Tuttavia, come il Giappone, il settore automobilistico tedesco è in ritardo rispetto a BYD e Tesla. In effetti, il settore automobilistico dell’UE potrebbe subire un’ondata di fallimenti e ristrutturazioni, senza contare che Volkswagen è diventata la seconda azienda più indebitata al mondo, dopo Toyota. Molte delle maggiori case automobilistiche tedesche hanno stretto accordi con la Cina per la produzione e la fornitura di auto, parti di auto e sistemi per auto. Scholz ha visitato la Cina prima del vertice del G20 a Bali del 2022 con l’obiettivo di rafforzare i legami commerciali sino-tedeschi. Più di recente, con il sostegno dei francesi, Scholz si è aspramente lamentato degli enormi sussidi che l’amministrazione statunitense versa alle case automobilistiche e dei prezzi gonfiati dell’energia negli Stati Uniti, affermando che essi minano gli sforzi di ristrutturazione dell’UE e la ripresa post-pandemia.

Il forte sostegno di Macron all’autonomia strategica dell’UE e l’opposizione alla politica degli Stati Uniti sulla NATO e sulla Russia sono stati presi di mira da una campagna statunitense per indebolire le sue possibilità di essere rieletto presidente francese nel 2022. Gli Stati Uniti hanno anche favorito la cancellazione di due contratti di difesa multimiliardari: l’Australia ha annullato l’accordo con la Francia per la costruzione di sottomarini da 90 miliardi di dollari australiani (63,48 miliardi di dollari) e ha costituito l’AUKUS con il Regno Unito e gli Stati Uniti, in base al quale questi ultimi due paesi assisteranno l’Australia nell’acquisizione di sottomarini a propulsione nucleare entro la metà degli anni ’30. Inoltre, l’Australia ha sostituito gli Airbus MRH90 Taipan, attualmente in dotazione alle forze armate australiane, con gli elicotteri Blackhawk di fabbricazione statunitense.

Gli Stati Uniti hanno anche cercato di costringere la Grecia ad annullare un accordo da 3 miliardi di euro (3,25 miliardi di dollari) per l’acquisto di fregate francesi e di fregate da combattimento di produzione statunitense, che i greci hanno infine rifiutato.

Tutto ciò ha costretto Macron a recarsi alle urne nonostante la perdita di entrate per decine di miliardi e di migliaia di posti di lavoro, nonché le violente manifestazioni dei Gilet Gialli contro l’aumento della tassa sulla benzina. E sebbene lui abbia vinto le elezioni presidenziali al secondo turno, il suo partito non è riuscito a ottenere la maggioranza alle elezioni parlamentari, in uno scenario in cui – per la prima volta dal 1988 – nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta o semplice, il che ha limitato il suo programma politico durante il secondo mandato ma ha ampliato l’influenza degli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti cercano di spingere i cunei tra Cina e ASEAN

Anche nell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico gli Stati Uniti hanno cercato di occupare il centro della scena, inducendo, coercendo e/o convincendo sei Stati membri dell’ASEAN (Singapore, Brunei, Vietnam, Filippine, Thailandia e Malesia) a influenzare il blocco verso l’isolamento di Myanmar, Cambogia e Laos. Gli sforzi degli Stati Uniti per creare un cuneo tra l’ASEAN e altre economie, e per dividere l’ASEAN, hanno spinto alcuni Stati membri dell’ASEAN a ritardare o a rifiutare di firmare il codice di condotta per il Mar Cinese Meridionale, sponsorizzato dalla Cina, e a sviluppare legami diplomatici e commerciali più stretti con la cinese Taiwan.

L’Indonesia, che avrà la presidenza dell’ASEAN nel 2023, si oppone fermamente all’AUKUS e alla proliferazione nucleare. In effetti, il piano degli Stati Uniti di fornire capacità nucleari all’Australia ha scatenato forze pro-nucleari in Indonesia, Vietnam, Giappone e Repubblica di Corea.

Mentre la Cina e l’ASEAN sono i maggiori partner commerciali, gli Stati Uniti sostengono di essere i maggiori investitori (reinvestitori) della regione. Per contrastare la Cina e consolidare la propria presenza nella regione, gli Stati Uniti hanno costruito una rete di programmi politici che si rivolgono ai giovani dell’ASEAN, diffondono informazioni negative su Cina, Russia e Myanmar attraverso i mass media e le campagne sui social media, sostengono apertamente i partiti e i candidati dell’opposizione e usano selettivamente i diritti umani per giustificare restrizioni e sanzioni con cui costringere all’uniformità.

Non c’è da stupirsi che le élite politiche di tutta la regione siano preoccupate che la narrazione degli Stati Uniti sulla democrazia, coperta da discorsi sui diritti umani e sull’ordine basato sulle regole, minacci la stabilità politica della regione. Si dice anche che si tratti di un tentativo degli Stati Uniti di acquisire centralità nell’ASEAN e di controllare il dinamico sviluppo economico della Cina. La semplicistica narrazione statunitense di una lotta hobbesiana tra Stati democratici e Stati autoritari copre in realtà la grande strategia statunitense del divide et impera, utilizzata con un certo successo per coinvolgere se stessi e l’Europa in una guerra per procura con la Russia in Ucraina. La guerra per procura USA-NATO è progettata per indebolire e/o sottomettere la Russia, in modo che gli Stati Uniti possano concentrare le loro ancora formidabili risorse per frenare l’ascesa della Cina e infine sottometterla.

Tuttavia, la marea della storia non sostiene la tesi che gli Stati Uniti, nonostante la loro potenza, possano superare ogni opposizione nel tentativo di consolidare la propria egemonia. Il declino politico, economico e sociale degli Stati Uniti deve fare i conti con la diminuzione della ricchezza e del potere dei suoi alleati e con la rapida espansione delle forze politiche ed economiche del Sud globale.

Gli Stati Uniti rimarranno un polo chiave dell’ordine globale, ma potrebbero essere privati dell’esorbitante privilegio di controllare la valuta di riserva globale. In ultima analisi, la grande strategia degli Stati Uniti “tre oceani e due fronti” è come l’ultimo ma flebile ruggito di una tigre di carta, mentre il secolo del dominio globale USA volge al termine e il mondo passa al multipolarismo e a un’equa distribuzione delle risorse globali.

FONTE: https://giubberosse.news/2023/02/18/la-nato-e-la-ocean-front-strategy-statunitense/

 

 

 

CULTURA

Bada Caterina In realtà non dovemmo neanche parlarne perché, oltre a fare pubblicità gratuita, la “novità” non è neanche tale, poiché da tempo altri studiosi hanno ritenuto possibile che “Caterina”, la madre di Leonardo da Vinci, fosse una schiava di origine orientale, così chiamata in quanto proveniente dal remoto “Catai”, ovvero quello che all’epoca era la terra semi favolosa della Cina, poco più in là “che Abruzzi” a “Bellinzona”, dov’era situato il mito regno del Presbitero Giovanni, nestoriano.

Apprendiamo, dunque, dal sito di RaiNews che ad esser tale lo proverebbe un documento scoperto nell’Archivio di Stato di Firenze, e su tali carte sarebbe poi stato romanzato, non si sa sino a quale punto – perché non è sempre facile, soprattutto in quel tempo, stabilire dove termini la storia e dove cominci l’immaginazione – che tale donna fosse in realtà nientepopodimeno che una principessa circassa, figlia del principe Yakob del Caucaso settentrionale. La giovane, rapita e fatta schiava probabilmente dai tartari, venne rivenduta attraverso vari passaggi mercantili ai veneziani che, notoriamente levantini, l’hanno poi rifilata ai toscani, in provincia di Firenze, secoli prima che vi giungessero a frotte tutti gli attuali cinesi.

Fu veramente una principessa caduta in schiavitù, come sembrerebbe dai reperti ritrovati nell’archivio? Ma anche se non lo fosse, è romanzesco pensarlo già allora. È sempre meglio essere figlio di re che dell’ultimo dei contadini di una remota regione ai confini della Tartaria. La scoperta va attribuita al professor Carlo Vecce, filologo e storico del Rinascimento, docente all’Università di Napoli “L’Orientale” ed è stata resa nota a Firenze, nella sede di Giunti Editore, il cui direttore editoriale, Antonio Franchini, avrebbe detto “siamo di fronte a una scoperta storica di rivoluzionaria importanza” presentando in anteprima alla stampa internazionale il primo romanzo di Vecce, Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo, ovviamente edito da Giunti. Scoperta, questa, sostenuta anche dallo storico Paolo Galluzzi, accademico dei Lincei. Nell’Archivio fiorentino, di ser Piero da Vinci, padre di Leonardo e notaro, lo studioso avrebbe rinvenuto l’atto di liberazione di Caterina “filia Jacobi eius schiava seu serva de partibus Circassie” in data 2 novembre 1452.

Dandoci un brivido erotico, Vecce ipotizza anche che ser Piero fece all’amore con Caterina a Palazzo Castellani, attualmente adibito al Museo Galileo, allora come oggi sullo splendido Lungarno che indubbiamente un po’ galeotto lo è da sempre. Il che dimostrerebbe, inoltre, come già a quell’epoca non esistesse alcuna forma di razzismo e, anzi, l’“inclusività” era già molto praticata.

Tutto è sempre possibile, dunque. Ricordiamo che gli studi storici sono fatti di continue scoperte e revisioni, quindi tra le tante stranezze dette, scritte e attribuite al “genio di Vinci” questa non sarebbe la peggiore. E non sarà certamente l’ultima. Tuttavia, anche basandoci semplicemente sulla voce relativa a “Caterina di Meo Lippi” che compare in Wikipedia, va altresì detto che Caterina di Meo Lippi o Caterina Buti del Vacca (1431– 1493) fu la presunta madre di Leonardo da Vinci, ed era indubbiamente di umili origini. Già per Alessandro Vezzosi, direttore del “Museo ideale Leonardo da Vinci”, Caterina poteva essere una schiava appartenente a ser Piero, in quanto Caterina era un nome solitamente attribuito alle schiave di origine orientale. Un ulteriore studio dattiloscopico del 2006, effettuato sulla base di una impronta di Leonardo, digitale presumiamo, ipotizzò che Caterina potesse essere in effetti d’origine mediorientale.

Ciononostante, perché il bello della ricerca è proprio questo, tale ipotesi è smentita da Simon Cole, professore associato di criminologia, diritto e società all’“Università della California”, a Irvine, perché sostiene che non si possa stabilire l’origine etnica di una persona con questo tipo di studi dattiloscopici. Del medesimo avviso è Martin Kemp, professore emerito alla “University of Oxford” e uno dei più grandi studiosi di Leonardo del nostro tempo. Per lui, non esisterebbe alcuna prova che Caterina fosse una schiava mediorientale. Anzi, lui e il ricercatore italiano Giuseppe Pallanti, dopo lunghi e approfonditi studi in archivi e documenti a lungo trascurati in Italia, nel 2017 avrebbero trovato in tali antiche carte proprio la prova che la madre di Leonardo fosse, invece, una giovane donna locale di nome Caterina di Meo Lippi, di circa sedici anni e di umile famiglia, che verrà conosciuta come Caterina Buti del Vacca dopo il matrimonio contratto con Antonio di Pietro Buti del Vacca, avvenuto in seguito alla nascita di Leonardo. Quid est Veritas?

Ma poi, sinceramente, di là dall’operazione di lancio e quindi di marketing del romanzo che ha per tema Caterina, madre di Leonardo da Vinci, siamo così sicuri che sapere che tale donna fosse o meno cinese, mongola, ugro-altaica, finnica o di Carate Brianza, cambi qualcosa alla ancora oggi misteriosa e straordinaria vita di Leonardo? Leonardo da Vinci, da Vinci, dunque italiano anche se morto con i sacramenti, in Francia… Leonardo il presunto “ateo” in realtà cristianamente neoplatonico e ficiniano… Leonardo il contradditorio uomo che odiava la guerra e progettava armi terribili per i più grandi Signori del suo tempo, Leonardo il Mago che spregiava i bagatti da strada e si accompagnava a Zoroastro da Peretola… Leonardo che amò platonicamente e non fu mai “omosessuale” ma “oltresessuale”… sarebbe meno o più di tutto ciò che egli fu ed è, se sua madre fosse una schiava circassa? Cambierebbe qualcosa se Caterina, che egli nomina così una sola volta in occasione del suo funerale a Milano, fosse una principessa caucasica o cinese e non una contadina, figlia di contadini delle colline fiesolane?

Tesi, ipotesi, antitesi, sintesi… va tutto bene. Ogni studioso ha diritto di lasciar traccia di sé, del proprio percorso e delle proprie aspirazioni. Quindi, prendiamo ogni cosa come va presa, sapendo che è transitoria e nulla vi è di definitivo nella storia. E che domani, quello stesso vento che fece volare per qualche centinaio di piedi un ornitottero sulle colline fiorentine, cinquecento anni fa circa, un giorno soffierà altrove. E Caterina, sepolta a Milano, resterà sempre, orientale o toscana, la madre di uno dei più grandi uomini che l’umanità abbia avuto. Questo solo conta.

FONTE: https://www.opinione.it/cultura/2023/03/16/dalmazio-frau_madre-leonardo-da-vinci-schiava-studi/

Benjamin Abelow

Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina

Titolo originale:
How the West brought war to Ukraine. Understanding how U.S. and NATO policies led to crisis, war, and the risk of nuclear catastrophe
Collana:
Numero collana:
268
Pagine:
100
Codice ISBN:
9791259674265
Prezzo cartaceo:
€ 10
Codice ISBN ePub:
9791259674289
Prezzo eBook:
€ 5.99
Data pubblicazione:
28-02-2023

Prefazione di Luciano Canfora
Traduzione di Valentina Nicolì

«Molto ben fatto… Presenta analisi che dovrebbero essere decisamente più conosciute».
Noam Chomsky

Chi è il vero responsabile del ritorno della guerra in Europa? Secondo il mantra della narrazione occidentale dominante, c’è un solo e unico colpevole: Vladimir Putin, novello Hitler, che avrebbe invaso l’Ucraina senza alcuna motivazione, se non quella di un violento e sfrenato espansionismo.
Ma è lecito porsi ulteriori dubbi. In realtà, secondo lo storico americano Benjamin Abelow, sono gli Stati Uniti e la NATO a essere i principali responsabili della crisi ucraina. Attraverso una storia trentennale di decisioni politiche sbagliate e di provocazioni, iniziate durante la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Washington e i suoi alleati europei hanno posto la Russia in una situazione considerata insostenibile da Putin e dal suo staff militare.
Senza giustificare l’aggressione di Mosca o scagionare i leader russi, in questo libro agile ed estremamente leggibile Abelow dà voce ad autorevoli analisti politici, militari e funzionari governativi degli Stati Uniti – tra questi John J. Mearsheimer, Stephen F. Cohen, George F. Kennan, Douglas Macgregor – per mostrare in modo chiaro e convincente come l’Occidente abbia innescato il conflitto ucraino, mettendo i propri cittadini e il resto del mondo di fronte al rischio reale di una guerra nucleare.
Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina guarda con lucidità sotto la superficie degli eventi recenti, permettendo ai lettori di comprendere le ragioni più profonde, ma troppo spesso mistificate e taciute, della tragedia in corso, e fornisce nuove intuizioni su come il conflitto potrebbe essere risolto.

«Il mio obiettivo non è difendere l’invasione, ma spiegare perché è avvenuta. La maggior parte dei cittadini occidentali ha sentito una spiegazione unilaterale e semplicistica di come è nata questa guerra. Ovvero che l’Occidente è tutto buono e la Russia è tutta malvagia. Cerco di pareggiare quel conto. La verità può essere dolorosa, ma è comunque essenziale, perché se non diagnostichi correttamente un problema, non sarai in grado di trovare una soluzione».

«La materia di cui si tratta in queste pagine è diventata talvolta oggetto di rissa mediatica e di sbuffi di intolleranza. Ben vengano dunque studi fondati essenzialmente su documenti, come è il caso di questo notevole saggio di Abelow».
Luciano Canfora

«Una lettura indispensabile per comprendere le vere cause del disastro in Ucraina».
John J. Mearsheimer

«Uno splendido libro, convincente e facile da leggere».
Chas Freeman, ex vicesegretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale degli Stati Uniti

«Una spiegazione brillante del pericolo creato dal coinvolgimento militare degli Stati Uniti e della NATO in Ucraina».
Jack F. Matlock Jr, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Unione Sovietica

«Una lettura essenziale per chi ha a cuore la pace in Europa».
Douglas Macgregor, colonnello in pensione dell’Esercito degli Stati Uniti

«Abelow dimostra che la crisi in Ucraina era prevedibile, prevista ed evitabile».
Richard Sakwa, professore emerito di Politica russa ed europea all’Università del Kent

FONTE: https://fazieditore.it/catalogo-libri/come-loccidente-ha-provocato-la-guerra-in-ucraina/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Il portafoglio digitale adottato senza dibattito al Parlamento europeo

Valigiate di contanti? O lo fanno gratis?

 

Il portafoglio di identità digitale europeo ha superato senza difficoltà la fase di validazione da parte del Parlamento europeo ed è rinviato senza discussione al negoziato tra Commissione europea e Consiglio europeo. Con 418 voti contro 103, i deputati approvano il portafoglio europeo di identità digitali senza cercare di discuterne o modificare nulla. Sono passati diversi mesi da quando l’unica commissione parlamentare competente per l’industria, la ricerca e l’energia, la commissione ITRE, ha assunto i poteri per modificare il testo sull’identità digitale europea. All’inizio di marzo, la commissione ITRE aveva votato a favore di un mandato che le consentisse di passare questa legge alla fase successiva dei negoziati tra la Commissione e il Consiglio europeo. Pertanto, il testo non sarà presentato all’assemblea plenaria e il suo contenuto non sarà soggetto a modifiche.

L’eurodeputata del gruppo Identità e Democrazia Virginie Joron deplora “una procedura antidemocratica” a fronte di un regolamento che suscita “sincera preoccupazione” e apre la strada alla “sorveglianza generalizzata” dell’uso dei dati personali. La scorsa settimana Virginie Joron aveva firmato un appello lanciato dal deputato conservatore olandese Rob Roos affinché il testo fosse discusso in assemblea plenaria. Senza successo.

Wikistrike

Questa euro-deputata ha detto l’estate scorsa:

Con il pretesto della lotta alla pandemia, veniamo gradualmente inseriti in un sistema di controllo, tracciamento, confini interni e persino esclusione, che è contrario al sacrosanto principio di Bruxelles della libertà di movimento. Ricordiamo che la libertà di circolazione e di soggiorno delle persone nell’Unione è stata stabilita dall’articolo 48 del Trattato di Roma nel 1957. Da 70 anni è un caposaldo della cittadinanza dell’Unione.

Abbiamo scoperto, con il Vaccination Pass e il suo QR code legato al fondo di previdenza sociale, che le autorità potevano vietarci ristoranti, discoteche, cinema, palazzetti dello sport. Peggio: a medici, infermieri e vigili del fuoco è stato vietato di esercitare la loro professione. Professionisti eppure di pubblica utilità.

Questa deriva autoritaria è stata inaspettata ed eccessiva vista l’evoluzione della pandemia. Era/è il suo unico scopo esclusivamente la vaccinazione di massa? Sicuramente Machiavelli avrebbe incorporato questa esperienza nei suoi scritti se fosse vissuto nel nostro tempo.

Questo è il motivo per cui alcuni mettono in dubbio la portata di questa deriva nella condotta statale. Stiamo assistendo a un test a grandezza naturale per testare la nostra capacità di sottometterci a un sistema di controllo sotto la copertura di un’emergenza pandemica?

A Bruxelles, questa esperienza è vista come un cavallo di troia per farci accettare questo portafoglio europeo di identità digitale. Scomparsa temporaneamente la pandemia, si voterà la proroga del Certificato Covid europeo fino a giugno 2023 con il pretesto di una nuova pandemia o di nuove varianti. La scorsa settimana si è svolta la votazione in commissione LIBE (libertà civili) al Parlamento europeo. La votazione finale avrà luogo a giugno e ovviamente voterò contro.

Di recente ho visitato, insieme ad altri deputati europei, professionisti del settore della tecnologia biometrica. Il progresso di queste tecnologie è davvero impressionante. Tutto è pronto, come il QR associato alla foto e al vaccino. Non resta che scegliere il mezzo: impianto di chip sottocutaneo o applicazione per smartphone?

Abbiamo avuto grandi dimostrazioni di riconoscimento facciale e riconoscimento vocale e questi esperti volevano essere rassicuranti. Ma chi gestirà i nostri dati? Microsoft? Chi deciderà su queste esclusioni? Mc Kinsey? Ancora oggi, nonostante una comunicazione su una necessità di sovranità digitale, nessuna azienda europea ottiene i favori della Commissione negli appalti pubblici. Al contrario, per vent’anni la Commissione ha deciso, per tre volte, di autorizzare il trasferimento di dati dagli europei agli Stati Uniti, contrariamente alla giurisprudenza della Corte di giustizia”.

Milano  si prepara a  questo (obbedendo all’Agenda 2030,)  e la “città 15 minuti”

Cos’è lo scanner laser che sta girando a Milano sul tetto di un’auto

“Scatta fotografie ad alta frequenza per produrre una ricostruzione digitale del territorio”, spiegano da Palazzo Marino

Scanner laser (foto Wikipedia)

Per Milano si aggira un’auto con un laser sul tetto che scatta foto a tutto spiano. Il mezzo circolerà dal 27 marzo fino al 7 aprile in alcune zone della città. Ma di cosa si tratta? A spiegarlo è il Comune che lo ha predisposto per creare una ricostruzione digitale del territorio attraverso immagini ad alta frequenza.

Lo scanner fotograferà soprattutto le aree interessate dai grandi cantieri (ad esempio quelli degli ex scali ferroviari e di Mind), registrando spazi e oggetti urbani. Si tratta della fase di test di un nuovo strumento, lo Street hive, che potrebbe dare un ulteriore contributo alla costruzione del ‘gemello digitale’ di Milano avviata da Palazzo Marino. L’obiettivo è ottenere un’immagine ricca di informazioni dettagliate e sempre aggiornate del tessuto urbano che possa indirizzare al meglio le scelte per la città, in tema di servizi, gestione dello spazio pubblico o interventi manutentivi.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-portafoglio-digitale-adottato-senza-dibattito-al-parlamento-europeo/

 

 

ARRESTI PIÙ O MENO REALI DI KHAN, TRUMP E PUTIN : LA DISPERAZIONE DELLO STATO PROFONDO

Arresti più o meno reali di khan, trump e putin : la disperazione dello stato profondo

La fine della scorsa settimana si è chiusa con un annuncio che aveva il sapore del surreale. L’annuncio del mandato di arresto contro Putin emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) che ha sede a L’Aia, in Olanda.

Ora per chi non avesse famigliarità con la CPI, si tratta di un organo giuridico internazionale che non ha giurisdizione alcuna sulla Russia dal momento che la Russia non è nemmeno firmataria dell’atto di istituzione di questo tribunale.

La CPI, tra le altre cose, non gode affatto di una buona reputazione perché è il tribunale che stava processando l’ex presidente serbo Slobodan Milosevic che stava riuscendo a dimostrare tutta la propria innocenza di fronte alle accuse di “genocidio” che gli venivano mosse da tale organo.

Fino a quando Milosevic non morì in circostanze misteriose mai realmente appurate e c’è anche chi pensa che sia stata proprio la CPI a toglierlo di mezzo perché il rischio che Milosevic potesse essere assolto quando era ancora in vita, sbugiardando così anni di calunnie scritte nel copione della NATO, contro il leader serbo era piuttosto alto.

Nonostante questo, Karim Khan, procuratore del tribunale in questione, con fare alquanto tracotante si è presentato davanti ai microfoni della stampa mondiale come se il suo atto di accusa avesse un qualche reale valore giuridico.

Si resta ancora più sgomenti quando si leggono i “capi d’imputazione” mossi contro Putin accusato di aver trafficato bambini dall’Ucraina alla Russia. Per chi non avesse seguito con attenzione le vicende dell’Ucraina, forse non è noto che in realtà la Russia ha recuperato e messo in salvo letteralmente migliaia di bambini.

L’Ucraina era un vero e proprio supermercato di bambini. Bambini che venivano spediti in giro per il mondo e che finivano preda della rete pedofila internazionale. In altri casi, i bambini venivano uccisi per prelevarne gli organi che finivano spesso nei corpi di ricchi potenti che hanno ampi mezzi per comprarsi gli organi di altre persone e curarsi anche a costo di uccidere bambini innocenti.

E questa situazione di orrendo mercimonio e genocidio dei bambini era sotto il naso di tutti, ma questi tutti facevano finta di nulla. A volte, era costretto a parlarne persino il mainstream ma nessun organo ufficiale si muoveva per dire che era ora di mettere in salvo i bambini ucraini da questo aberrante sfruttamento.

Tantomeno nulla disse a tal proposito la CPI che per il suo manifesto silenzio su tutto questo forse dovrebbe indagarsi e arrestarsi da sola piuttosto che accusare altri di immaginari crimini.

La manovra in questione non ha comunque un movente giuridico ma piuttosto politico ed è strettamente correlata ad altri due tentativi di arresto, più o meno presunti, nei confronti di altri due leader politici: Donald Trump e l’ex primo ministro pakistano Imran Khan.

Il primo lo scorso venerdì ha annunciato su Truth Social che martedì 21 marzo avrebbe potuto essere raggiunto da un mandato d’arresto nei suoi confronti emesso dal procuratore distrettuale di New York, Alvin Bragg.

Bragg è notoriamente un uomo appartenente al circolo dei democratici americani e la sua campagna elettorale è stata finanziata da George Soros. Negli Stati Uniti infatti i magistrati non sono tali. Sono avvocati dell’accusa e vengono eletti direttamente alle elezioni candidandosi con il partito repubblicano o democratico.

Le loro campagne elettorali sono dunque finanziate spesso da personaggi come Soros nel caso dei democratici, e da tutti quei centri di potere che hanno interesse che la giustizia divenga il braccio armato dello stato profondo internazionale e della sua agenda.

Chi si ritrova a vivere a New York, Chicago o Los Angeles ed è impegnato in attività politiche considerate scomode da tali poteri può ritrovarsi facilmente coinvolto in inchieste giudiziarie completamente fabbricate dal nulla per mere ragioni di carattere politico.

La montatura giudiziaria contro Trump

È questo certamente il caso di Donald Trump che ha lasciato da qualche anno a questa parte la Grande Mela per trasferirsi in Florida, stato nella quale la mano democratica è molto meno pesante e molto meno potente.

Ciò nonostante la procura distrettuale di New York è all’opera per fabbricare appunto il caso immaginario per portare in qualche modo il presidente americano alla sbarra.

E per farlo sta mettendo insieme i pezzi di una storia che fa acqua da tutte le parti. Bragg sostiene che Trump abbia pagato una pornostar, Stormy Daniels, con la quale Trump stesso avrebbe avuto un rapporto intimo in cambio del suo silenzio durante la campagna elettorale del 2016.

La domanda più ovvia che ci si può porre al riguardo è: dove diavolo sarebbe il crimine se mai questo fosse stato realmente commesso?

Bragg sostiene che il pagamento sarebbe stato fatto figurare illegalmente come una spesa legale a carico dell’ex avvocato di Trump, Michael Cohen, che avrebbe assolto alla funzione di intermediario nella transazione.

Adesso in questi giorni è emersa una lettera firmata dallo stesso Cohen anni prima nella quale il legale smentisce categoricamente che Trump gli abbia mai dato del denaro per pagare Stormy Daniels, e che anzi sarebbe stato lui a pagare quest’ultima di tasca sua.

Nel gergo legale americano questa si chiama “exculpatory evidence” ovvero quelle prove che scagionano completamente un indagato dai crimini per i quali è indagato.

E queste prove sono state omesse dal procuratore distrettuale di Soros al Gran Giurì che dovrebbe riunirsi per decidere se procedere o meno con un rinvio a giudizio.

Dunque in questa situazione è Bragg che rischia un’inchiesta a suo carico per aver omesso delle prove fondamentali che fanno crollare tutto il suo precario impianto accusatorio.

Adesso però il Gran Giurì la cui riunione era prevista per ieri è stato rinviato alla settimana successiva, forse, perché l’inchiesta del procuratore democratico si sta completamente sbriciolando.

L’arresto di Trump, se mai è esistita questa possibilità, si allontana sempre di più ed è probabile che il presidente americano sappia già come andrà a finire. L’annuncio dello scorso venerdì è servito più che altro a denunciare gli strampalati e disperati piani di un sistema che non sa più cosa fare per sbarrare la strada a Donald Trump.

Sono almeno sette anni che i vari poteri paralleli di Washington hanno fatto di tutto per rovesciare Donald Trump.

Prima hanno provato con il famigerato caso dello Spygate, o Russiagate, nel quale sono apparentemente coinvolti anche i servizi italiani e l’ex governo Renzi.

Poi successivamente risultano esserci stati almeno due attentati alla vita di Trump nell’agosto del 2020 e un altro nel gennaio 2021 mai finito sulle pagine dei media mainstream. C’è stata poi la frode elettorale del novembre 2020, la più grossa della storia, e le proteste del 6 gennaio al Campidoglio nelle quali l’FBI ebbe un ruolo decisivo.

Senza contare almeno due messe in stato di accusa (impeachment) mai accaduti nella storia dei presidenti americani.

È stata giocata ogni carta possibile ma lo stato profondo non è riuscito a togliere di mezzo Donald Trump anche per le protezioni di cui gode negli ambienti militari americani più fedeli alla nazione e non asserviti invece alla lobby del Pentagono, a sua volta legata a doppio filo ad Israele.

Adesso si sta per chiudere il cerchio di un progetto iniziato nel 2016 che prevedeva e prevede che l’America si liberi una volta per tutte dalla morsa di questi poteri transnazionali e lo stato profondo gioca la sua carta più disperata: quella del fantomatico e surreale arresto di Trump.

Khan: l’uomo che lo stato profondo vuole morto

A rischiare più di tutti la detenzione in quella che è una partita a scacchi tra l’apparato del globalismo e l’alleanza patriottica internazionale è invece certamente Imran Khan. Khan è stato primo ministro pakistano e già l’anno scorso denunciò una manovra ai suoi danni concepita da ambienti angloamericani per mettere fine al suo governo.

Khan aveva e ha uno scopo molto preciso. Portare via il Pakistan dalla zona dell’anglosfera che ha sempre saldamente controllato questo Paese per avvicinarlo alla sfera dei BRICS, laddove non esiste il principio di un impero che domina i suoi vassalli, ma piuttosto quello di nazioni libere e sovrane che rispettano reciprocamente la sovranità e l’indipendenza altrui.

Ecco perché in Pakistan si è messo in moto un meccanismo simile a quello visto negli USA con Trump. Khan ha già subito un attentato contro la sua vita dal quale si è salvato solo per miracolo. La giustizia pakistana poi, emanazione dell’euro-atlantismo, non gli sta dando tregua e ha provato a spiccare un mandato di arresto nei suoi confronti lo scorso sabato.

Presso il tribunale di Islamabad è in corso un processo dove l’ex premier pakistano è accusato di aver venduto orologi di lusso ricevuti in dono durante il suo mandato da primo ministro. Non è dato sapere quali siano le prove di tale “crimine” ma da questa traballante accusa se ne deduce che lo stato profondo internazionale ha molto poco in mano, da un punto di vista legale, per togliere di mezzo Khan e impedirgli così di partecipare alle prossime elezioni previste per l’ottobre di quest’anno.

Elezioni alle quali se Khan dovesse partecipare vincerebbe probabilmente con larghissimo consenso vista la sua enorme popolarità presso il popolo pakistano.

Ora il leader pakistano ha invitato i suoi sostenitori a non cedere ad alcuna provocazione a Zaman Park, nella città di Lahore, laddove è attesa una manifestazione a suo sostegno. Khan teme che la polizia possa infiltrare la manifestazione con alcuni agenti provocatori che poi tenteranno di uccidere altri poliziotti.

In questo modo, le autorità pakistane avrebbero il pretesto che cercano per poter accusare Khan di aver istigato le violenze e ucciderlo in una maniera simile a quella accaduta anni prima ad un altro politico pakistano scomodo, Murtaza Bhutto.

Khan sembra essere estremamente lucido e consapevole delle mosse degli avversari e sta preparando in maniera molto accorta i suoi sostenitori alle trappole che l’attuale primo ministro, Sharif, gli sta tendendo.

Non sarà affatto facile eliminarlo e il tempo per l’anglosfera in Pakistan è agli sgoccioli considerate le elezioni di ottobre.

Quanto accaduto negli ultimi sette giorni è dunque l’ennesimo capitolo della lotta che vede contrapposte queste due forze. Da un lato, coloro che tre anni gettarono il mondo nella psicosi di massa attraverso una farsa pandemica, e dall’altro, coloro che invece stanno lottando per impedire che il mondo cada preda di una morsa globale autoritaria.

Ed è la parte dei leader patriottici che sta continuando a macinare colpi su colpi mentre il campo globalista perde sempre più terreno.

Solamente questa settimana, la Russia ha gettato le basi per l’Africa post-coloniale in un incontro tra 40 leader africani e Putin sul mondo multipolare in Africa.

Mentre Putin incontrava i leader africani, riceveva anche il presidente cinese Xi Jinping con il quale gettava le basi di una cooperazione rafforzata tra Russia e Cina che sta certamente portando il mondo lontano dall’epoca dell’anglosfera e del suo impero post-1945.

Persino l’Arabia Saudita, stato creato per espressa volontà del cartello sionista, ha compreso la malaparata e ha riallacciato i rapporti con l’Iran, storico avversario della lobby israeliana, presentando già domanda di ingresso nei BRICS.

Sullo sfondo intanto prosegue la crisi delle banche sistemiche globali che sono il cuore pulsante della finanza di Wall Street e della City di Londra.

Si sta vivendo un periodo unico, probabilmente senza precedenti. Equilibri che duravano da quasi 80 anni si stanno smantellando nel giro di pochissimi mesi.

È alquanto probabile che adesso sia iniziata l’ultima fase di demolizione di tutto l’apparato globalista e dei suoi tentacoli.

E l’accelerazione definitiva si avrà con la chiusura della crisi in Ucraina che esperti militari sul posto sostengono non possa proseguire oltre la primavera o l’estate di quest’anno.

L’Ucraina nazista di Zelensky è dissanguata di uomini e mezzi e non potrà reggere a lungo una situazione già pesantissima.

Dopo la caduta di Kiev, si sarà superato il giro di boa definitivo. Quello che cambia la storia per sempre. E dopo questo giro di boa, la NATO, per come la si è conosciuta, è destinata probabilmente ad essere archiviata dalla storia.

Un cambiamento storico che non potrà non interessare l’Europa e l’Italia. Il prossimo piano dello scontro sarà proprio quello europeo. Dopo la fine della crisi ucraina, sarà l’Unione europea il prossimo bersaglio del mondo multipolare.

A quel punto, l’accerchiamento del globalismo sarà totale. Se si pensa a tre anni fa, si è tutto capovolto. Nel 2020, il mondo sembrava essere sul baratro di una dittatura globale.

Nel 2023, la prospettiva di un mondo governato da nazioni libere e sovrane è sempre più concreta. Ed è tale prospettiva che sta tormentando le notti di molti uomini dello stato profondo, soprattutto di quelli italiani che tre anni eseguivano tutti gli ordini di Davos convinti di ritrovarsi dalla parte dei vincitori e tre anni dopo si sono risvegliati scoprendo di essere dalla parte dei perdenti.

FONTE: https://www.lacrunadellago.net/arresti-piu-o-meno-reali-di-khan-trump-e-putin-la-disperazione-dello-stato-profondo/

 

 

 

DIRITTI UMANI IMMIGRAZIONI 

Il Net Zero ora schiavizza i bambini e domani noi stessi

Le politiche di Net Zero tutte basate su una falsa scienza e a quanto pare anche su un’ incredibile carenza di cognizioni tecniche, verrà effettuata a scapito del lavoro minorile e schiavistico che specie in Africa viene utilizzato per ricavare i preziosi materiali per le pale eoliche e per le batterie.

L’ossessione climatica dell’occidente ci porta a dover affrontare nell’immediato sia una vera e propria crisi umanitaria, sia una speculazione selvaggia che finirà per ridurre sul lastrico le popolazioni occidentali. Coloro che spingono Net Zero,  a livello politico così come le élite dell’energia verde che traggono profitto da mandati e sussidi, sanno che il lavoro minorile e schiavistico o viene utilizzato per produrre i minerali richiesti dalle loro tecnologie.  Affermano di preoccuparsene, ma le loro azioni smentiscono le loro parole. Così come del resto è abbastanza facile smentire la sensatezza dei progetti.

Cerchiamo di inquadrare il problema nella sua realtà: anni di implacabili segnalazioni di virtù ecologi e di isterici allarmismi climatici hanno posto le basi per far pensare all’uomo della strada e certamente  anche a molti politici di mezza tacca o senza tacca del tutto  che sia possibile abbandonare l’80% le nostra attuali fonti energetiche, economiche ed efficienti, per sostituirle in meno di 30 anni da mulini a vento e pannelli solari generando per l’intanto enormi speculazioni e illusioni che si riveleranno dolorose. Illusioni che stiano già in qualche modo già vivendo se teniamo conto che turbine e parchi eolici già oggi vivono grazie non tanto all’energia prodotta, quanto a una lunga catena di sovvenzioni nascoste- Ma il futuro è davvero molto più inquietante: secondo l’Agenzia internazionale per l’energia ‘eolico richiede più minerali scarsi, elementi delle terre rare e altri metalli critici per chilowattora di energia prodotta rispetto a qualsiasi altra fonte di generazione di energia elettrica, rinnovabile o meno. Senza prendere nemmeno in considerazione i vari impianti in mare che hanno costi assolutamente proibitivi basti pensare che una singola turbina eolica su terra  richiede fino a tre tonnellate di rame, cobalto e magneti a fronte del fatto che molte tonnellate di minerale devono essere estratte per ricavare un  solo mezzo chilo di terre rare, mentre tra le 100 e le 750 tonnellate di terra debbono essere spostate per produrre il litio, il cobalto, il rame, il nichel e altri elementi necessari per produrre un pacco batteria per un singola auto elettrica. Dunque per  produrre gli impianti di grandi batterie su larga scala  per fornire energia di riserva quando l’eolico e il solare non danno energia, cosa peraltro assolutamente necessaria se si vogliono eliminare le centrali termiche, bisogna scavare triliardi di tonnellate di terra. Ma tutti accumulatori che non si sa ancora come smaltire per evitare li avvelenare il pianeta e il cui riciclaggio è altamente energivoro non sono eterni:  ben che vada dovranno essere sostituite mediamente ogni dieci anni. In pratica gran parte dell’energia prodotta da questi sistemi servirebbe a mantenere in efficienza i sistemi usati per produrla. Ma i più sono troppo disorientati, oppure ottusi, svagati, incapaci di ragionare in proprio, oppure troppo collusi con gli speculatori per cominciare a sfidare seriamente la lunga serie di equivoci e bugie di Net Zero.

Intanto si dovrà fin da subito accelerare al massino l’estrazione dei materiali necessari, molti dei quali vengono raccolti grazie al lavoro minorile i piccole e orribili miniere, come avviene per esempio in Congo da dove si estrae la maggior parte del cobalto. Dal momento che questo sistema è pienamente utilizzato  dalle multinazionali occidentali senza alcuna remora non ci sarà altra strada che vedere aumentare gli schiavi bambini , mentre qualche ragazzino idiota in occidente manifesterò per Net. Ma la vendetta non si farà attendere perché presto toccheranno anche ai ragazzini occidentali vivere dentro un sistema schiavistico. Anche se etichettate come rispettose dell’ambiente, queste politiche stravaganti e assurde negano oggi  la crescita economica a coloro che ne hanno più bisogno, ma dopodomani la negheranno a tutti  vista l’impossibilità materiale di imboccare questa strada almeno con gli attuali livelli di tecnologia . L’ossessione climatica dell’occidente inoculata da sociopatici

FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/03/13/il-net-zero-ora-schiavizza-i-bambini-e-domani-noi-stessi/

 

 

 

ECONOMIA

CAPITALISMO SOSTENIBILE: IL PROGETTO GREEN ESPROPRIA LE CASE E I POTERI FINANZIARI BRUCIANO I RISPARMI

di Ruggiero Capone

Siamo costretti a tornare sul problema cardine dell’Unione europea, ovvero la filosofia che arma i suoi provvedimenti. Alla cui base c’è il concetto d’una completa privatizzazione dei servizi abbinata all’eliminazione di ogni limite alla grande impresa che si sostituisce allo Stato: quindi l’eradicazione di ogni costo sociale, ma anche di ogni bene nella piena disponibilità (proprietà) dell’uomo di strada. In quest’ottica la piccola proprietà privata, sia essa casa o laboratorio, fondo agricolo, capannone, ufficio, vengono percepiti come limite al “grande privatizzatore”; quindi un “costo sociale” perché impegnano lo Stato nel rapporto fiscale con una moltitudine di soggetti. L’efficienza fiscale che sta perseguendo l’Ue è oggi la stessa che caratterizza gli Usa dagli anni della “grande depressione”, ovvero concentrare i beni immobili e le terre nelle mani di pochi soggetti fiscali; in modo che lo Stato possa tagliare i costi della macchina fiscale al punto di privatizzarla completamente, affidandola al sostituto fiscale principe, ovvero la grande banca. Quest’ultima va così a calcolare le tasse su reddito ed immobili per pochissimi ricchi, e ne versa parte competente allo Stato dopo aver stornato i propri costi di gestione del “conto fiscale”. In questa visione il pulviscolo immobiliare italiano viene visto alla stessa stregua dei vari costi sociali previdenziali e sanitari, che l’Ue ci chiede di privatizzare ed affidare ai grandi gruppi assicurativi privati, controllati dalle banche private che pattuiscono le tasse dei pochi con lo Stato. Ecco perché il grande evasore (multinazionali e dintorni) riesce “saldo e stralcio” a condonare tombalmente le proprie posizioni irregolari: deve per esempio dieci milioni e grazie ai propri “sostituti” (banca e studi legali commerciali) si può accordare per meno della metà, lo Stato accetta ed il “grande evasore” è rispettato dal sistema. Diversamente la moltitudine dei cittadini contribuenti deve al fisco l’intera somma d’un presumibile errore formale e sostanziale, gravata anche di tutte le sanzioni e gli interessi. Questa visione parte dal presupposto che i privati sono più efficienti dello Stato anche nella gestione fiscale: tale concezione venne presentata nel 1929 nell’opera “I fallimenti dello stato interventista” di Ludwing Von Mises, che invitava a sostituire i servizi pubblici con quelli privati.

LE RIFORME EUROPEISTE

La riduzione delle spese sociali abbinata alla falcidie della piccola proprietà privata sono i due pilastri della cura neoliberista: Friedman suggeriva di attuare programmi volti ad una riduzione delle spese sociali, tagliando i fondi per il sistema sanitario e pensionistico, accompagnando tali riforme con una riduzione delle tasse per i grandi gruppi che andavano ad acquisire le proprietà private dei cittadini.
Friedman da principio venne ascoltato solo in alcuni stati degli Usa, quelli dove insistevano metropoli come New York e Washington, e negli stati dove avveniva la razzia della piccola proprietà contadina espropriata dai grandi gruppi, come del resto ci racconta Steinbeck (l’autore di Furore). All’epoca l’economia mondiale provata dalla “grande depressione” del 1929 abbracciava le teorie di Keynes, e le manteneva immutate nelle politiche attive e di programmazione degli Stati fino al 1973. Dal 1929 al 1973 lo Stato occidentale ha promosso politiche di miglioramento delle condizioni sociali, di salvaguardia dei servizi essenziali e della piccola proprietà privata. Ma il 1973 consente un giro di boa in forza d’una crisi petrolifera che ridà forza alle politiche economiche delle multinazionali occidentali, dei grandi privati. Iniziano ad essere eletti in Usa ed Inghilterra i discepoli del “pensiero neoliberista” della Scuola di Chicago, i consiglieri Margaret Thatcher e Ronald Reagan sono tutti discepoli di Mises e nemici della piccola proprietà privata. Inizia così lentamente a realizzarsi anche nei paesi europei una politica tesa ad espropriare i tanti in favore dei pochi: la semplificazione dei costi fiscali per le multinazionali oggi sta trasformando anche l’Italia. Basti solo pensare al fatto che Bill Gates ed Elon Musk hanno potuto comprare in Italia grandi strutture alberghiere con la benevolenza del fisco europeo, dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio, e con la clausola che in caso di fallimento dell’Italia i loro beni non verrebbero mai toccati: su tutti gli altri privati in caso di “default” graverebbe l’ipoteca europea paventata in epoca Monti. Da questa visione discendono quelle che in gergo appelliamo come “procedure cautelari”, che prevedono l’ ipoteca preventiva sugli immobili che hanno beneficiato dei bonus 110% e 90%. L’ipoteca serve a garantire banche, Agenzia delle Entrate e creditori vari, e rimarrà iscritta fino a che non verrà appurata la congruità della spesa e, soprattutto, se il condominio o il singolo proprietario, ne potevano effettivamente beneficiare. A sindacare su tutta la procedura, come da sentenza della Cassazione, tocca all’Agenzia delle Entrate, che dovrà appurare che i bonus abbiano raggiunto soggetti con immobili privi di abusi, soprattutto persone fisiche in regola col fisco, non segnalate alle centrali rischi bancarie e che non abbiano riportato condanne penali, soprattutto per evasione fiscale. In pratica la Cassazione ha ribadito sui vari bonus i principi che si applicano sul “reddito di cittadinanza” che, ovviamente, non viene elargito a pregiudicati o a soggetti che lavorano a nero. Parimenti, l’Agenzia delle Entrate chiede la restituzione dell’importo del bonus ai proprietari di immobili non meritevoli, come già fa l’Inps per le procedure di restituzione dei soldi a chi ha indebitamente percepito il “reddito di cittazinanza”. Nei casi più sciagurati già è possibile prevedere il pignoramento dell’immobile, e poi la messa all’asta. Ma cosa succederà quando i sindaci che giocano a fare i più bravi della classe (Gualtieri e Sala) faranno partire gli accertamenti sugli immobili non conformi alle regole europee? C’è già chi prevede l’ecatombe sanzionatoria, per importi che andranno dai 10mila euro e 50mila, a cui s’andrà comunque ad aggiungersi l’obbligo entro un certa data di “messa a norma nella classe energetica e nelle norme Ue”. Di fatto è decollato l’esproprio immobiliare europeo, a beneficiarne saranno le multinazionali finanziarie, le stesse che negli Usa posseggono il 90% del patrimonio abitativo delle grandi città (quelle che oggi sondano la situazione immobiliare tramite agenzie di “real estate”). Obiettivo? Quando decideranno di rinnovare un quartiere o di costruirci un centro commerciale, metteranno per strada tutti i condomini (ormai affittuari) con la forza pubblica: è un vecchio libro poi romanzo americano, ed oggi andrà in scena nell’ex nostra Italia.

LA FEDERAL RESERVE CI BRUCERA’ I SOLDI

Con la scusa “lo dice l’Ue” verrà sottratta casa ai meno dotati economicamente: ovvero coloro non in grado di mettere l’alloggio a “norma green”. Invece il risparmio degli italiani (circa 4500 miliardi di euro) verrà stroncato con il metodo del prelievo diretto dai conti: le scuse andranno dal pagamento di vecchi costi pandemici agli impegni bellici italiani internazionali. Il presidente del Consiglio verrà convocato in un conciliabolo, che si svolgerà in seguito al summit tra banca Mondiale e G20 delle banche: il quella sede verrà chiesto il falò dei risparmi italiani. Con Monti nel 2012 avevamo sfiorato il gran furto del salvadanaio. Già nel 2008 l’Europa (soprattutto l’Italia) ha pagato il prezzo salato della crisi di liquidità e di solvibilità seguita alla bolla immobiliare costruita nell’economia americana: una recessione che veniva progettata dai signori della finanza per assumere un carattere globale, quei meccanismi finanziari di contagio utili a generare una spirale recessiva grave negli stati collegati al cordone ombelicale dei grandi investitori Usa. Utile a generare la crisi del debito sovrano dei soli Paesi europei, infatti Cina e India non venivano sfiorati e la Russia denunciava solo qualche scottatura. Se nel 2008 avessimo avuto la prontezza d’usare i “social network” come sotto “crisi pandemica” del 2020, parecchi potenti della politica speculativa finanziaria avrebbero temuto tumulti e rivolte. Invece nel 2008 le notizie non giravano così velocemente, mentre nel 2020 i poteri finanziari hanno per la prima volta temuto le rivolte della gente: ecco che il mainstream si vedeva costretto ad inventare la fandonia che “sotto pandemia sono aumentate le fake news contro i poteri bancari europei”; un modo per dire alle masse “non credere che vi bruceranno i risparmi…tutto andrà bene e i cittadini non pagheranno i danni economici da pandemia”. Oggi la situazione è chiara e smentisce il mainstream, infatti gli stati risultato indebitati con le multinazionali farmaceutiche.
Oggi, per scongiurare il cittadino fugga con i propri risparmi (investendo in terreni, oro e magazzini) i poteri finanziari hanno ovattato la notizia del fallimento delle banche americane, scongiurando i risparmiatori si dimostrino più lesti dell’effetto domino che presto si rivelerà utile ad imporre il falò dei risparmi europei.
Le banche appena fallite negli Usa, ovvero la Silicon Valley Bank, la Signature Bank e la Silvergate Bank, non sono che l’inizio della valanga, che servirà a bruciare le scorte di capitale della classe media: infatti le banche servivano le aree tecnologiche dove si sono sviluppate le aziende piccole e medie d’informatica e robotica per la grande industria. Ora che i colossi non hanno più bisogno dei servigi dell’indotto, hanno azionato la leva finanziaria per mandare fallito il medio credito californiano con piccoli investitori e risparmiatori: tutta gente con non più di 300mila dollari sul conto, aziende con una ventina di dipendenti e mutui per qualche centinaio di migliaia di dollari per innovare i macchinari.
Oggi il sistema (il deep state) non ha più bisogno degli artigiani della Silicon Valley della California del Nord e nemmeno della “Route 128” nell’area di Boston. Ovviamente queste crisi si generano in Usa e si estendono nell’Occidente con governi bancariamente ricattabili, e perché il progetto è “generare il problema sistemico”.
Ovvero bruciare i risparmi dei pesci di media grandezza, quelli che in Occidente sono ancorati al “business tradizionale” ed al prestito per l’impresa familiare. La domanda che in molti si fanno è “quando Biden chiederà alla Meloni di obbedire ai diktat della Fed?”. Lecito credere la gente chiederà coralmente d’uscire da queste trappole quando avrà perso tutto.

FONTE: https://www.lapekoranera.it/2023/03/15/capitalismo-sostenibile-il-progetto-green-espropria-le-case-e-i-poteri-finanziari-bruciano-i-risparmi/

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

USA: le grandi banche depositano 30 miliardi nella First Republic per salvarla. Come si faceva in Italia prima della BCE

 

Bank of America, Citigroup,. JPMorgan Chase, Wells Fargo, Goldman Sachs, Morgan Stanley, BNY-Mellon, PNC Bank, State Street, Truist e U.S. Bank  si sono accordate per versare un totale di 30 miliardi di dollari nella First Republic Bank, una baanca di medio piccole dimensioni in difficoltà, sotto forma di depositi non garantiti. Ecco il comunicato: 

L’azione delle maggiori banche statunitensi riflette la loro fiducia nel sistema bancario del Paese e contribuisce a garantire alla First Republic la liquidità necessaria per continuare a servire i propri clienti. Bank of America, Citigroup, JPMorgan Chase e Wells Fargo hanno annunciato oggi di aver effettuato un deposito non assicurato di 5 miliardi di dollari ciascuno a favore di First Republic Bank.
Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno effettuato un deposito non assicurato di 2,5 miliardi di dollari ciascuna.
BNY-Mellon, PNC Bank, State Street, Truist e U.S. Bank hanno effettuato un deposito non assicurato di 1 miliardo di dollari ciascuna, per un totale di 30 miliardi di dollari depositati dalle undici banche.
Questa azione delle maggiori banche americane riflette la loro fiducia nella First Republic e nelle banche di tutte le dimensioni, e dimostra il loro impegno generale nell’aiutare le banche a servire i loro clienti e le comunità. Le banche regionali, medie e piccole sono fondamentali per la salute e il funzionamento del nostro sistema finanziario.In seguito all’amministrazione controllata della Silicon Valley Bank e della Signature Bank, si sono verificati deflussi di depositi non assicurati in un piccolo numero di banche. Il sistema finanziario americano è tra i migliori al mondo e le banche americane – grandi, medie e comunitarie – svolgono un lavoro straordinario nel soddisfare le esigenze bancarie dei loro clienti e delle loro comunità. Il sistema bancario dispone di un forte credito, di molta liquidità, di un forte capitale e di una forte redditività. Gli eventi recenti non hanno cambiato nulla di tutto ciò.

Le azioni delle maggiori banche americane riflettono la loro fiducia nel sistema bancario del Paese. Insieme, stiamo impiegando la nostra forza finanziaria e la nostra liquidità nel sistema più ampio, dove è più necessario. Le banche di piccole e medie dimensioni sostengono i loro clienti e le loro imprese locali, creano milioni di posti di lavoro e contribuiscono alla crescita delle comunità. Le grandi banche americane sono unite a tutte le banche per sostenere la nostra economia e tutti coloro che ci circondano.

Questo tipo di salvataggio è simile a quello dim LTCM degli anni 90, ma LTCM era un hedge fund non una banca. Gli istituti di credito si rifiutarono di salvare Bear Sterns nel 2008, perché era un concorrente. In questo caso, con la regia esterna di FED e FDIC, sono intervenute per salvare una banca parte della rete delle medio-piccole banche regionali. Il sistema si è reso conto che o si vive assieme, o si muore e quindi è intervenuto. Un tipo di azione che si sarebbe visto frequentemente nell’Italia degli anni ottanta e novanta, molto più raro ora, eppure si tratta della mossa a minor costo per il sistema.

FONTE: https://scenarieconomici.it/usa-le-grandi-banche-depositano-30-miliardi-nella-first-republic-per-salvaarla-come-si-faceva-in-italia-prima-della-bce/

La Cina abbassa il quoziente di riserva obbligatoria delle banche per rilanciare credito ed economia. L’opposto della BCE

 

La banca centrale cinese ha annunciato venerdì una riduzione di 25 punti base dell’importo che le banche accantonano per i depositi, promettendo di mantenere un’ampia liquidità nel sistema interbancario e di finanziare meglio l’economia reale.
La decisione della People’s Bank of China (PBOC) di ridurre il coefficiente di riserva obbligatoria (RRR) arriva pochi giorni dopo l’insediamento del nuovo governo cinese e l’impegno del premier Li Qiang, appena insediato, di raggiungere un obiettivo di crescita economica annuale di circa il 5% quest’anno.
Il taglio, che entrerà in vigore il 27 marzo, dovrebbe iniettare 500 miliardi di yuan (72,6 miliardi di dollari) di liquidità nel mercato, mentre il coefficiente medio di riserva obbligatoria delle istituzioni finanziarie cinesi sarà abbassato al 7,6%.
“La PBOC manterrà una politica monetaria mirata e potente”, ha dichiarato la banca centrale in un comunicato.
“Forniremo un migliore sostegno alle aree chiave e agli anelli deboli, ci asterremo da un grande stimolo… e ci concentreremo sulla promozione di uno sviluppo di alta qualità”.
Il taglio precedente risale a dicembre – una delle due riduzioni, di 25 punti base ciascuna, registrate per tutto lo scorso anno.
Il taglio del RRR è stato utilizzato spesso durante il mandato di Yi Gang come governatore della banca centrale. La PBOC ha effettuato 15 revisioni al ribasso dal 2018, abbassando significativamente il rapporto medio da circa il 15%.
L’autorità monetaria cinese, che l’anno scorso ha avuto un approccio divergente rispetto agli aggressivi rialzi dei tassi della Federal Reserve statunitense e della BCE, è concentrata sul rilancio dell’economia colpita dal coronavirus.

Nonostante ci siano stati dei segnali positivi, i mercati nutrono forti dubbi anche sui consumi interni, mentre le esportazioni stanno vacillando, con un calo del 6,8% nel periodo gennaio-febbraio rispetto all’anno precedente.
“La ripresa economica cinese non è solida”, ha dichiarato Wen Bin, capo economista della China Minsheng Bank di Pechino.
“Questo taglio giocherà un ruolo positivo nel guidare un maggiore sostegno finanziario all’economia reale e nel ridurre i costi di raccolta dei fondi”.
Lu Ting, capo economista per la Cina di Nomura, ha espresso le sue preoccupazioni per i consumi, il mercato immobiliare e le esportazioni durante un forum a Guangzhou giovedì.
“Non sopravvalutate il rimbalzo dei consumi di quest’anno… alcuni di essi non sono sostenibili”, ha affermato. “È molto probabile che le esportazioni cinesi diminuiscano quest’anno”.

Quindi mentre la BCE aumenta i tassi e applica una politica di restrizione monetaria, la Cina decide di privilegiare crescita e occupazione e lascia le redini monetarie. Tra l’altro Pechino comunque sta controllando l’inflazione molto meglio di quanto riesca a fare la BCE, con le mani legate dalla propria ideologia. Presto ci accorgeremo del costo enorme delle decisioni imposte dalla signora Lagarde

FONTE: https://scenarieconomici.it/la-cina-abbassa-il-quoziente-di-riserva-obbligatoria-delle-banche-per-rilanciare-credito-ed-economia-lopposto-della-bce/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Annullate multe over50: la prima sentenza

Il Giudice di pace di Velletri ha annullato la sanzione amministrativa di 100 euro prevista per gli over50 non vaccinati per difetto di legittimazione sostanziale dell’ADER

Annullamento multa over 50 non vaccinati

Addio multe agli over 50 non vaccinati? Sembra questa la strada intrapresa dalla giurisprudenza in questa prima sentenza “pilota” del giudice di pace di Velletri n. 721/2023 (sotto allegata) che ha annullato la sanzione amministrativa di 100 euro prevista dall’art. 4-sexies del dl n. 44/2021 per tutti coloro che, compiuti i 50 anni di età alla data del 15.6.2022, non avevano iniziato o concluso il ciclo vaccinale anti-Covid. Per il Gdp si verte in difetto di legittimazione sostanziale dell’Agenzia delle Entrate e Riscossione nell’accertamento della sanzione per l’inadempimento all’obbligo di vaccinazione.

Nell’attesa di capire se sarà la prima di una lunga serie di pronunciamenti giurisprudenziali in materia, vediamo di capire le ragioni giuridiche alla base della decisione.

Difetto di legittimazione sostanziale ADER nell’accertamento della sanzione per inadempimento all’obbligo vaccinale

L’art. 4-sexies del decreto-legge n. 44 del 2021, convertito con legge n. 76/2021 s.m.i. commina la sanzione amministrativa di € 100,00 (cento euro) ai cittadini italiani ed agli stranieri residenti nel territorio dello Stato che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età alla data del 15/06/2022 senza aver iniziato o concluso il ciclo vaccinale primario (tre dosi) anti covid-19.

Si tratta di una norma – e di una violazione – molto controversa, giuridicamente discutibile e socialmente avvertita come discriminatoria per una categoria anagrafica che si è dimostrata ritrosa a pagare la somma di centro euro dopo aver – presumibilmente – subito aggressioni molto più invasive ai propri diritti personalissimi.

Per tali ragioni buona parte della comunità forense socialmente impegnata nel contrasto alla distopia della normativa pandemica ha tentato di fornire una risposta alla crescente domanda di tutela di una platea enorme di soggetti, tenuti a fare i conti con la normativa in questione, vuoi perché convinti della illegittimità della disciplina, vuoi perchè interessati solo a giustificare l’inesistenza dell’obbligo nei propri confronti essendo in possesso di una certificazione di differimento o di esenzione dall’obbligo vaccinale, ovvero di altra ragione di assoluta e oggettiva impossibilità all’adempimento.

Per tutte queste persone Avvocati Liberi ha predisposto un modello di ricorso editabile, corredato dalla nota di iscrizione a ruolo e da un apposito vademecum esplicativo per fornire gli strumenti in maniera diffusa e gratuita a chiunque volesse impugnare l’avviso di addebito in autonomia ed economia.
Le soluzioni offerte da giuristi e giureconsulti che si sono interessati alla materia sono delle più varie, la cui diversità e pluralità è stata favorita da una tecnica di descrizione normativa basilare ed impropria e da una serie di interventi legislativi che hanno manipolato l’operatività della riscossione accentuandone i problemi interpretativi, di trasparenza e certezza applicativa.
Il riferimento è all’articolo 7 della legge 30 dicembre 2022 n. 199, che ha stabilito che “dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino al 30 giugno 2023 sono sospese le attività e i procedimenti di irrogazione della sanzione previsti dall’articolo 4 -sexies, commi 3, 4 e 6, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76”.
Tale norma ha generato un acceso dibattito in ordine alla “sospensione” delle attività di riscossione, che qualcuno ha erroneamente esteso anche alla “sospensione” dei termini di impugnazione degli avvisi di addebito nelle more ricevuti dai cittadini in costanza del rinvio della riscossione. In altri termini l’Agenzia delle Entrate si “è portata avanti”, ha notificato gli addebiti e sospeso la loro riscossione sino al 30 giugno, predisponendo però in tal modo un meccanismo subdolo di maturazione della definitività del titolo che, a decorrere dal 1° luglio, avrà fatto decadere dall’impugnazione coloro che avranno ricevuto l’avviso di addebito in precedenza senza impugnare nei termini al proprio Giudice territorialmente competente.

Questioni non di poco conto, non c’è dubbio, ma per non dilungarci oltremodo rispetto al tema oggetto del presente commento, sarebbe possibile riassumere i motivi di impugnazione in due macro aree di ricorso:

– Motivi di carattere sostanziale per una sanzione fondata sulla discriminazione del trattamento, obbligato per gli over 50 in ragione semplicemente dell’età e, quindi, di una condizione personale di cui all’art. 3 Cost. e senza alcun altro motivo logico, scientifico o prudenziale che possa in qualche modo giustificare l’obbligo vaccinale covid19.

– Motivi di carattere processuale e, soprattutto procedimentale, relativamente al rispetto delle condizioni e dei principi tipici del sistema degli illeciti e delle sanzioni amministrative, e del loro accertamento, delineato dalla legge.

I primi, quelli di carattere sostanziale, costituiscono l’aspetto più stimolante della discussione di questa tipologia di ricorsi, dal valore economico irrisorio ma certamente portatori di un valore giuridico, etico e sociale senza prezzo, in quanto sottendono a questioni che involvono diritti fondamentali universali inviolabili.

Tra questi il ricorso di ALI ha dato risalto ai motivi relativi all’insussistenza dell’obbligo di sottoporsi al ciclo vaccinale primario per la palese violazione delle norme sulla Convenzione dei diritti e delle libertà fondamentali dell’Uomo (CEDU); per la scriminante di cui all’art. 4 Legge 689/1981 dell’esercizio di un diritto o della legittima difesa o stato di necessità dovuta dall’insorgenza di reazioni avverse; per la violazione del divieto di non discriminazione di cui al Considerando 36 del Reg. 953/2021; per la violazione dell’art. 5 codice civile, a mente del quale “gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica”; per l’insussistenza dell’obbligo di sottoporsi al ciclo vaccinale primario per tutti i soggetti guariti e, dunque, portatori della c.d. immunità naturale; per la violazione del diritto alla riservatezza dei dati personali ed, infine, per le violazioni dei diritti costituzionali di cui agli articoli 2,3,27, 32 e 97 Cost.

Anche i motivi di carattere procedimentale/processuale sono altrettanto degni di rilevanza, ed il più delle volte costituiscono la via d’uscita per il Giudice per rispondere alla domanda di giustizia senza entrare nella disamina delle questioni meritali, limitandosi alla fase preliminare delle illegittimità evidenti e assorbenti.

La comunità forense più attenta ha sollevato molte questioni preliminari e pregiudiziali, tra le quali le più importanti consistono nella nullità dell’avviso di addebito per omessa indicazione dei termini e delle modalità di impugnazione; nella nullità della sanzione per omesso invio della comunicazione ex art. 4-sexies, co. 4, del decreto-legge 1° aprile 2021; nella tardività della notifica dell’avviso di addebito (in particolari casi) ma, in questo commento, ci soffermiamo sull’eccezione di nullità dell’addebito per carenza di potere e di funzioni (legittimazione sostanziale) dell’Agenzia delle Entrate e Riscossione (Ader) all’accertamento della violazione di cui all’art. 4 sexies cit. accolta dal Giudice di Pace di Velletri con sentenza n. 721 del 21 marzo 2023.

La constatazione degli illeciti amministrativi è affidata agli organi amministrativi che svolgono attività di polizia amministrativa i quali, ai sensi dell’art. 13 legge n. 689/1981, sono “organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro”.

L’ordine viene dall’alto, direttamente dall’art. 97 Cost. che. prevede al secondo comma come “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari“.

L’imparzialità dell’amministrazione e il suo buon andamento – che nella specie coincide con l’esercizio del potere amministrativo di accertamento del fatto illecito, di irrogazione della sanzione e, in ultimo, della riscossione coattiva in caso di mancato pagamento della sanzione – è rimesso agli organi di vigilanza indicati nelle singole leggi speciali, agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria ex art. 57 c.p.p. , agli enti locali ex art. 7 bis del D. Lgs. n. 267/2000, nonché ai singoli uffici e ai singoli organi deputati all’esercizio del potere amministrativo cui è la legge stessa a determinarne le rispettive sfere di competenza e di attribuzione.

I pubblici uffici, pertanto, sono organizzati secondo le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari come previsti dalla legge, che determina l’esercizio del potere amministrativo in maniera “tipica”, ossia predeterminato, in ossequio al principio di legalità, massima espressione della garanzia di tutte le situazioni giuridiche in capo agli stessi soggetti privati.

Pertanto per l’applicazione di una sanzione, anche amministrativa, vige il principio di legalità (art.1 legge n. 689/1981) in base al quale solo con una legge è possibile fissare e stabilire delle sanzioni.

Premesso ciò, l’art. 4 sexies comma 3 D.L. 44/2021, in deroga all’art. 13 della Legge 689/1981 stabilisce che “l‘irrogazione della sanzione è effettuata dal Ministero della salute per il tramite dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, che vi provvede sulla base degli elenchi dei soggetti inadempienti all’obbligo vaccinale periodicamente predisposti e trasmessi dal medesimo Ministero…”.

È evidente sin da subito il trasferimento di fatto all’Ader della competenza materiale di “irrogare” la sanzione amministrativa per la violazione che però sia stata “accertata” in precedenza mediante un atto dell’organo titolare e funzionalmente competente all’accertamento, ossia il Ministero della Salute, come espressamente previsto dall’art. 4sexies D.L. 44/21.

Tale atto di accertamento, secondo la sfocata e ambigua struttura normativa, sarebbe costituito da quegli “elenchi dei soggetti inadempienti all’obbligo vaccinale” che il Ministero trasmette periodicamente all’Ader, ed ai quali quest’ultima dovrà irrogare la sanzione per conto del Ministero.

Dunque accertamento e irrogazione sono due segmenti diversi del processo di accertamento di una violazione amministrativa, possono coincidere certamente (si pensi alle contestazioni immediate) ma possono anche aversi in momenti successivi (si pensi alle sanzioni per “autovelox”) e non v’è dubbio che all’Ader nel caso di specie sia stata delegata dalla legge solo la funzione di irrogare (e comunicare) ai soggetti inadempienti, per conto del Ministero Titolare, l’avvio del procedimento sanzionatorio, nei cui confronti ciascuno tenetur se detergere, comunicando entro dieci 10 dalla ricezione dell’avviso direttamente al Ministero della Salute titolare del trattamento una causa di esenzione o giustificazione.

In questa prospettiva l’art. 4sexies D.L. 44/21 non ha delegato l’attribuzione del potere di “accertamento” all’Ente Riscossione che, istituzionalmente (ai sensi del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225, nonché dallo Statuto e dal Regolamento dell’Agenzia delle Entrate – Riscossioni) esercita esclusivamente le funzioni di riscossione, ma solamente quelle accessorie e strumentali alla stessa secondo gli indirizzi dettati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Sul punto la sentenza del Consiglio di Stato rileva come “Il potere di delega, poiché altera l’ordine delle competenze degli organi abilitati ad emettere atti con efficacia esterna, necessita di un supporto normativo di valore almeno pari a quello attributivo della competenza ordinaria, in quanto diversamente si renderebbe l’amministrazione arbitra di spostare, caso per caso, e senza alcuna previsione di limiti oggettivi e soggettivi, le competenze precostituite, con l’effetto di privare l’amministrato delle garanzie che sono insite nelle attribuzioni di uno specifico organo” – rif. C.d.S., Sez. VI, sent. 20/1979).

La motivazione del Giudice di pace di Velletri nella sentenza del 21 marzo 2023

Sebbene la motivazione della sentenza n. 721/2023 del Giudice di Pace di Velletri (sez. distaccata di Albano Laziale) del 21 marzo 2023 sia estremamente “asciutta”, si comprende bene per quale motivo abbia annullato l’avviso di addebito comunicato alla ricorrente come atto di accertamento “atteso che l’irrogazione della sanzione ex art. 4 comma 3 D.L. 44/2021 è effettuato dal Ministero della Salute per tramite l’Agenzia delle Entrate“.

L’Ader è un semplice tramite privo di una legittimazione propria o “attiva”, nel senso sostanziale e funzionale dell’esercizio di attività delegate – e non certo processuale sol per l’evidente constatazione che è la convenuta in giudizio – che non le consentono di accertare la violazione mediante la formazione di atti sostitutivi degli elenchi ricevuti dal Ministero contenenti i nominativi dei soggetti “verificati e accertati”.

La migrazione di tali elenchi negli “avvisi di addebito” che l’Ader notifica ai sensi del comma 6 dell’art. 4sexies cit. costituisce un eccesso di potere ed una grave violazione dei diritti difensivi dei sanzionati, che non sarebbero in nessun modo posti a conoscenza dell’atto di accertamento originario e per i quali non vi sarebbe alcuna prova di trasmissione o possibilità di accesso, innescando ulteriori problematiche relative all’avveramento delle condizioni previste ex art. 29, 32 e 39 del GDPR.

Sovrapponendo la funzione di accertamento della violazione con quello della irrogazione della sanzione si opera un automatico (e non consentito) trattamento dei dati personali e profilazione automatizzata di condizioni sanitarie personali sensibilissime in palese violazione del diritto previsto ex art. 22 GDPR nonché in violazione dell’art. 5 GDPR che impone la liceità e correttezza del trattamento dei dati personali in ossequio al principio di trasparenza che tenga conto della necessità di salvaguardare il diritto di accesso nonché la tutela e stabilità delle situazioni giuridiche nei rapporti con la pubblica amministrazione (interesse alla riservatezza dei terzi; tutela del segreto) (cfr. Cons. Stato, A.P., 18 aprile 2006, n. 6).

Ad ogni buon conto l’illegittimità dell’operato dell’Ader risiede, in parte qua, nella mancanza di notifica del presupposto atto di accertamento di inadempimento della sottoposizione all’obbligo vaccinale, atto prodromico essenziale, affinché venga successivamente emesso l’avviso di addebito.

Per analogia basta richiamare ciò che accade a seguito di accertamento effettuato dall’Agenzia delle Entrate che riscontri un “maggior reddito” prodotto dal contribuente, quando l’INPS richieda i contributi sull’eccedenza riscontrata. Al riguardo, la pacifica e consolidata giurisprudenza ritiene illegittimo l’avviso di addebito per crediti previdenziali notificato dall’Inps al contribuente qualora esso tragga le sue origini soltanto da un precedente accertamento eseguito dall’Agenzia delle Entrate, il quale risulti a sua volta passibile di autonoma impugnazione dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale.

Si è ritenuto difatti che l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate rappresenti solo una circostanza pregiudiziale, diversamente dall’esito della verifica fiscale che rappresenta il presupposto in forza del quale il convenuto può rideterminare i contributi dovuti. Tuttavia, la definizione fiscale della lite tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate non rende definitivo l’accertamento e, pertanto, l’INPS non può limitarsi a dedurre l’intervenuta definitività dell’avviso di accertamento in sede giudiziale, in quanto ha l’onere di dare prova della propria pretesa contributiva (v. Tribunale di Siracusa, sez. lav. 23/09/2021; Tribunale Ferrara, sez. lav., 14/11/2019, n. 170; Tribunale Arezzo, sez. lav., 16/05/2014, n. 203; Tribunale Milano, sez. lav., 24/06/2013, n. 5304).

Anche la Corte Suprema si è pronunciata sulla tematica, rilevando che “in tema di iscrizione a ruolo di crediti degli enti previdenziali, l’art. 24, co. 3 del D.Lgs. n. 46/1999, che prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia il provvedimento esecutivo del giudice, qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’Agenzia delle Entrate, né è necessario, ai fini della non iscrivibilità a ruolo, che, in quest’ultima ipotesi, l’INPS sia messo a conoscenza dell’impugnazione dell’accertamento innanzi al giudice tributario” (Cass. Civ. sez. lav., 17/06/2016, n. 12333; Cass. Civ., sez. lav., 27.01.2015, n. 1483).

Nessuna legittimazione attiva

Ne discende che nel caso deciso dal Giudice di Pace di Velletri con la sentenza 21 marzo 2023 è stato accertato come l’Ader non avesse alcuna legittimazione “attiva” a sostituirsi al Ministero nell’accertamento e come avrebbe dovuto, in quanto delegato ex lege, notificare con l’avviso di avvio del procedimento ex art 4sexies comma 4 cit. oppure, al più, con l’avviso di addebito di cui al successivo comma 6, l’atto di accertamento redatto dal Ministero della Salute ai sensi e per gli effetti del comma 3 dell’art. 4 sexies D.L. 44/21.

E sebbene la sentenza valga inter partes, non v’è dubbio che il carattere pubblicistico del procedimento amministrativo in discussione abbia portata erga omnes, per cui l’illegittimità del caso velletrano sarà applicabile per analogia a tutti quei casi in cui all’addebito notificato all’istante non si sia provveduto preliminarmente con alla notifica dell’atto prodromico di accertamento dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, essendo stata comminata de plano la sanzione in spregio alla normativa su indicata.

* A cura dell’Avv. Angelo Di Lorenzo, Avv. Roberto Martina, Avv. Bruno Botta e Avv. Chiara Guglielmetto, del gruppo di lavoro tematico degli Avvocati Liberi, United Lawyers for Freedom – ALI

Scarica pdf Gdp Velletri n. 721/2023

FONTE: https://www.studiocataldi.it/articoli/45691-annullate-multe-over50-la-prima-sentenza.asp

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Disney inizia a licenziare 7000 dipendenti. Essere woke porta al fallimento

 

Dopo una lunga serie di fallimenti nelle sale cinematografiche e nei servizi di streaming, la Disney ha finalmente toccato il fondo finanziario: il mese scorso la società si è impegnata a tagliare almeno 7000 posti di lavoro per contribuire a coprire un obiettivo di risparmio totale di 5,5 miliardi di dollari. La mossa ha fatto seguito alla brusca sostituzione dell’ex amministratore delegato Bob Chapek e al ritorno di Bob Iger, ed è stata imputata a “venti contrari macroeconomici”.

Le prime lettere sono state consegnate a marzo, ma il grosso verrà consegnato ad aprile, quando emergeranno nuovi dettagli sui licenziamenti di massa. La direttrice dei VFX dei Marvel Studios e nota promotrice dell’ideologia woke Victoria Alonzo ha già lasciato bruscamente l’azienda, indicando che i licenziamenti potrebbero estendersi alla dirigenza.

La Disney non ha menzionato il ruolo che la sua metodologia di “diversità e inclusione” potrebbe aver avuto nel crollo del numero di spettatori sia per le uscite nelle sale che per gli abbonamenti allo streaming. Disney+ ha perso oltre 2,4 milioni di abbonati a febbraio, mentre film come Lightyear, Strange Worlds, Pinocchio e Ant Man 3 hanno tutti fatto fiasco al botteghino nell’ultimo anno. I film in uscita, tra cui gli adattamenti in live action della Sirenetta e di Peter Pan, sono pesantemente infarciti di politiche identitarie e le reazioni del pubblico ai trailer sono finora estremamente negative, lasciando intendere che anche questi film avranno un risultato negativo.

Al di là del disinteresse per i film e i media di Woke, la compagnia sembra essere reduce dal catastrofico tentativo di usare la leva economica per intimidire lo Stato della Florida, che ha approvato il “Parental Rights In Education Act”, progettato per bloccare le lezioni sessualizzate nelle scuole pubbliche per i bambini di età compresa tra i tre anni. La legge è stata motivata specificamente dalla proliferazione dell’ideologia dell’identità di genere nelle aule scolastiche della Florida ed è stata attaccata dagli oppositori democratici che l’hanno definita “legge sul non dire gay”.

È ormai chiaro che la Disney ha appoggiato il cavallo sbagliato in questa battaglia. Ora hanno perso la loro speciale autonomia nell’ambito del Reedy Creek Improvement District e il governo della Florida ha assunto la gestione dell’area dove sorgono i parchi Disney della Florida, un tempo governata direttamente dal colosso del divertimento. La maggior parte delle principali società di media negli Stati Uniti sta lottando per sopravvivere alla diminuzione dei profitti e al crollo del pubblico, ma nel caso di Disney molti affermano che siano state proprio le scelte gestionali e di programmazione del colosso a causarne la profonda decadenza.

Le azioni Disney hanno registrato un leggero rialzo alla notizia dell’inizio dei licenziamenti, con gli investitori felici di vedere una riduzione dei costi. Però se non si cambierà rotta e non si attrarrà nuovamente il pubblico questa misura non sarà sufficiente.

FONTE: https://scenarieconomici.it/disney-inizia-a-licenziare-7000-dipendenti-essere-woke-porta-al-fallimento/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

TRATTATO SULLE PANDEMIE: QUELLA BOZZA ZERO SCRITTA CON LA PENNA DI SCHWAB

  

Tutto è pronto per trasformare l’OMS in un pezzo del nuovo governo mondiale. Nella bozza zero del nuovo Trattato Internazionale sulle Pandemie, combinata alle proposte di revisione del Regolamento Sanitario Internazionale del 2005, c’è tutto: il nuovo ruolo dell’organizzazione più controversa e fallimentare del momento, nuove misure contro la “disinformazione”, una rete logistica permanente per la distribuzione di vaccini, la condivisione con il privato della sfera decisionale pubblica. E c’è l’idea che la fase in cui viviamo è solo un momento inter-pandemico: il definitivo affermarsi del criterio tecnosanitario per misurare la storia. Così, alla scuola di Davos, l’OMS si avvia a diventare un presidio del futuro regime globale.

di Gavino Piga (Redazione Giubbe Rosse)


In settimana cominceranno i negoziati sulla “bozza zero” del Trattato sulle Pandemie: lo ha annunciato Tedros Ghebreyesus in data 22 febbraio, ma i media per ora non spingono troppo sul pedale: l’importante è che tutto vada secondo i piani, almeno per quanto concerne la lunga marcia digital-sanitaria verso il “new normal”, che in questa fase procede più spedita se in modalità silenziosa.

Del resto, che la cupola finanziaria (quella che ogni anno bivacca a Davos) non avesse intenzione di deflettere dalla propria agenda era cosa nota. Lo spettacolino svizzero dello scorso gennaio – fra finti scoop, first ladies, palchi scintillanti, manipoli di gretini in fervorosa protesta e resilienze varie – qualche messaggio lo aveva fatto filtrare. Ad esempio Tony Blair, ormai in veste di attivista per i diritti umani, aveva tenuto un illuminante discorsetto nella sessione intitolata “100 giorni per affrontare la prossima pandemia”. Un titolo che non a caso riproduceva esattamente lo slogan dell’ultrafinanziata CEPI, fiore all’occhiello della galassia “filantropica” gatesiana, la cui attività dal 2020 ruota intorno a domande come«Che cosa sarebbe accaduto se la revisione degli studi da parte degli enti regolatori fosse avvenuta con 7 mesi di anticipo? Che cosa sarebbe successo, cioè, se anziché avviare le iniezioni l’8 dicembre 2020 – quando erano stati confermati 67 milioni di casi di contagio – la campagna vaccinale fosse partita l’8 maggio 2020, quando erano stati registrati meno di 3,8 milioni di casi?». Domande che, man mano che la finestra di Overton si spalanca, suonano grossomodo così: possiamo davvero continuare a farci imbrigliare da una burocrazia lenta e inutile anziché lasciare libera la Scienza di salvare il mondo? E soprattutto, perché aspettare che un virus si diffonda quando si potrebbe agire prima ancora che compaia, ad esempio vaccinando preventivamente?

D’altronde, dopo la guerra preventiva o la dottrina del nucleare preventivo, nulla impedisce che un aggettivo transiti serenamente da una trincea all’altra. E comunque, che questo sia il nodo vero lo ha dimostrato appunto l’ex premier britannico – sotto gli sguardi compiaciuti di Albert Bourla – di fronte agli applauditori scelti di Davos. Blair ha ricordato che le sfide pandemiche prossime venture dovranno trovarci pronti, ossia già dotati di un’infrastruttura industriale e digitale per la produzione veloce di vaccini mRNA con richiamo ciclico, l’altrettanto veloce somministrazione massiva e l’immancabile verifica dell’avvenuto inoculo via QR Code. Una catena di montaggio permanente e pronta a partire in ogni momento, non solo al palesarsi della minaccia, ma addirittura prima, qualora la Scienza – cioè, fuor di metafora, gli stessi produttori di vaccini – ritenga anche solo probabile il ricomparire all’orizzonte di un virus. Cioè praticamente sempre: lo straordinario può finalmente diventare ordinario, strutturale, normale. Sarà un caso, ma quando Charles Michel e Tedros Ghebreyesus formalizzarono, nel 2021, l’idea di un nuovo Trattato sulle Pandemie, lo fecero con un documento che recitava: «Ci saranno altre pandemie e altre gravi emergenze sanitarie. La domanda non è se, ma quando. Insieme, dobbiamo essere meglio preparati a prevedere, prevenire, individuare, valutare e rispondere efficacemente alle pandemie in modo altamente coordinato».

Tutto si tiene, insomma: dalla partnership ormai collaudata fra Microsoft e Accenture (quest’ultima impegnata già nel progetto Good Health Pass Collaborative e ora anche nella costruzione del meta-villaggio davosiano, subdolo candidato a sostituire i Parlamenti), al progetto di vaccino universale targato Bill & Melinda Gates, annunciato già a margine del WEF 2022. E alla settimana che si apre.

La vita in tempi interpandemici

La bozza zero «concettuale» del WHO CA+ (Who convention, agreement or other international instrument on pandemic prevention, preparedness and response), presentata lo scorso novembre, parlava già piuttosto chiaro. Talmente chiaro che perfino una testata come Il Manifesto, ben lontana dall’avversare la narrazione ufficiale sul Covid, si permetteva un certo sgomento sul “soluzionismo farmaceutico” che permeava il documento: «Nella macedonia di proposte c’è di tutto sulla sola declinazione di salute che l’Oms e la comunità sanitaria internazionale sanno interpretare da decenni a questa parte: quella della sua medicalizzazione. Una agenda tecnologica occidentale decisamente egemonica, che piace alle case farmaceutiche perché conferisce loro sconfinato potere» scriveva Nicoletta Dentico. E nulla è cambiato nella bozza successiva, licenziata il 1° febbraio, cioè quella su cui si apriranno ora i negoziati. Circa questo punto, e non solo.

Tanto per cominciare, il documento chiarisce ancora una volta – se mai fossero rimasti dubbi – che ci troviamo a vivere in una fase non “post-pandemica” bensì “inter-pandemica”, adottando un criterio di periodizzazione della storia umana che non lascia spazio alle speranze. Ma questo era nelle premesse. Il punto è ora un altro: assodato che dopo una pandemia l’unica cosa da fare è prepararsi alla successiva, resta da definire il come. E qui – oltre alla costruzione della rete permanente in stile blairiano – emerge il concetto-chiave, a cui si dedica un intero articolo: la necessità di una stabile partnership pubblico-privato. L’articolo 1 di ogni strategia globalista – che tende a destrutturare i processi decisionali democratici dislocandoli in tavoli compositi o ambienti virtuali in stile Agile Nations – viene alleggerito rispetto alla precedente stesura, ma resta a chiare lettere: se prima si chiedeva in maniera perfino ridondante di «collaborare, anche con gli attori non statali, il settore privato e la società civile, attraverso un approccio onnicomprensivo, multigovernativo, multistakeholder, multidisciplinare e multilivello», ora, più discretamente, si invita a «promuovere la collaborazione con attori non statali, il settore privato e la società civile». Questa la formula ultrainclusiva attraverso cui passa, dietro un paravento partecipativo, l’espropriazione mondiale della salute. Del resto Tedros non fa che mettere a partito le indicazioni recentemente fornite proprio dal WEF, nel paper Public-Private Partnerships for Health Access: Best Practices, dove si sottolinea come in ambito sanitario il settore pubblico (reso inefficiente da risorse limitate, dipendenza da istanze politiche e da criteri burocratico-assistenziali) debba imparare a «condividere la propria autorità decisionale» col privato, ove gli investimenti in healthcare sono immaginabili solo dentro un modello di business sostenibile e se producono ritorni economici positivi. Per trovarne un esempio non si dovrà cercare troppo lontano: nel paper rincontriamo infatti il CEPI, l’«inspiring example» felicemente dominato dai soliti “filantropi” ai cui miliardi si assommano i grati tributi dei fedeli governi nazionali. Sappiamo bene com’è andata per doverci dilungare oltre.

Politica agile e scomparsa del cittadino

Ma non sarà inutile, per capirci meglio, tornare un attimo all’ultima edizione del WEF, inaugurata da Schwab sotto lo slogan «Cooperazione in un mondo frammentato», dove la lamentata frammentazione non era tanto un riferimento alle tensioni geopolitiche in corso: piuttosto si chiedeva di sanare la pericolosa “dispersione di poteri” – politico, economico etc. – interna al fronte occidentale, ossia virare verso un modello decisionale ancor più centripeto e totale. “Collaborativo”, come è di moda dire in quegli ambienti. E qualcuno ricorderà quanto lo stesso Schwab scriveva nel 2017: «Nella Quarta Rivoluzione Industriale, le politiche devono tenere conto dei sistemi industriali globali, regionali e intersettoriali che stanno plasmando il nostro mondo, e tutte le parti interessate – siano esse espressioni del governo, degli affari o della società civile – non hanno altra scelta che agire insieme, attraverso inedite forme innovative di collaborazione». Già allora questo era il preludio per una riforma della politica in senso “agile”. O, meglio, per la fondazione di una politica «tecnica e creativa» che emulasse le start-up e si ricreasse sulla lezione del settore tecnologico. Ecco: la declinazione di tali princìpi in termini sanitari è esattamente ciò di cui si discuterà (o si fingerà di discutere) nei prossimi giorni.

Per inciso, se mai qualcuno si chiedesse dove stia, in tutto questo, il popolo, sappia che ovviamente non c’è (o al limite è dall’altra parte della barriera algoritmica). Anzi, a detta nientemeno che di Antonio Guterres, segretario generale ONU (sempre al WEF di gennaio), la lezione del Covid è stata proprio questa: «I politici devono capire che a volte ci troviamo di fronte a questo tipo di sfide. È meglio prendere oggi decisioni che alla fine non saranno popolari ma sono essenziali, in grado di plasmare la stessa opinione pubblica». Tanto per fugare ogni ombra da questo folgorante brillare di collaborazioni e d’inclusioni.

Infatti, nella bozza del Trattato, la tanto decantata collaboratività si traduce in quel che, come dicevamo, esattamente è nel pensiero di Schwab e dei suoi apostoli: concentrazione di poteri a fini “agili”. All’art. 15 del documento si legge: «Le parti dovranno permettere all’Oms un rapido accesso alle aree colpite da pandemie con dispiegamento conseguente di team di esperti”. E ancora “dovranno riconoscere il ruolo centrale dell’Oms nel dirigere e coordinare il lavoro sanitario internazionale. Il direttore generale dell’Oms sarà colui che potrà dichiarare lo scoppio di pandemie». Non che i governi nazionali restino senza lavoro, per carità: a loro (art. 5) spetterà il compito di «accelerare il processo di approvazione di prodotti legati alla pandemia per utilizzo d’emergenza» (riducendo definitivamente gli Enti preposti a certificatori d’ufficio) e di «legiferare contro prodotti legati alla pandemia che non siano conformi» (ricordate lo Sputnik?). In maniera del tutto autonoma, è da immaginare.

I dibattiti fanno male alla salute (dell’industria farmaceutica)

Altro punto che gli estensori della Bozza Zero non potevano trascurare è quello dell’informazione, che del resto assilla lorsignori fin dai tempi di Atlantic Storm. Le proposte non sono particolarmente originali: «gestire le infodemie attraverso canali efficaci, compresi i social media; condurre regolari analisi per identificare la prevalenza e i profili della disinformazione; promuovere e facilitare lo sviluppo e l’attuazione di programmi educativi e di sensibilizzazione del pubblico sulle pandemie e i loro effetti». E poi addirittura «contribuire alla ricerca sui fattori [nella versione precedente: barriere comportamentali] che ostacolano l’adesione alle misure sociali e sanitarie pubbliche, l’adozione dei vaccini, l’uso di terapie appropriate, la fiducia nella scienza e nelle istituzioni governative». In breve, a parte la morality pill, il repertorio è integrale: dalle catechesi nelle scuole e sui media alla censura in stile Twitter Files fino sostanzialmente alla profilazione psicologica dei renitenti. Di nuovo sembra di poter dire che gli estensori della bozza avessero ancora nelle orecchie le melodie dell’ultimo festival davosiano, dove Stephan Bancel, CEO di Moderna, elogiava i «i Paesi in cui tutti i partiti dicevano: questi vaccini sono stati approvati dalle autorità di regolamentazione, gli studi clinici sono stati fatti, dovreste farli» rispetto a quelli in cui invece si sono avuti «dibattiti scientifici, dibattiti politici e [dibattiti sui] social media», tre cose che hanno rovinosamente reso «il tasso di vaccinazione molto, molto basso». Gli aveva fatto eco anche il carissimo nemico Albert Bourla (che, inseguito da due eroici attivisti, se l’era filata quasi gli dovessero consegnare una convocazione al Parlamento Europeo) lagnandosi dell’eccessiva “politicizzazione” dei vaccini, stizzito per aver dovuto costantemente fronteggiare domande sulla loro efficacia (visti gli esiti, del resto, erano davvero interrogativi oziosi). Senza dimenticare la preoccupazione espressa da Erik Brynjolfsson, dello Stanford Institute for Human-Centered AI, per il flusso delle cosiddette “informazioni polarizzanti“: troppo libero, a suo dire, in una società in cui è importante “comunicare la verità alle persone giuste”. Per classificare le quali, distinguendole da quelle sbagliate, speriamo possa presto avvalersi dei profili comportamentali previsti dalla bozza di Trattato sulle Pandemie. Così sarà sicuro di non sbagliare.

Tecnosalutismo green

Infine, i temi più cari ai vaccinisti di sinistra. L’ala progressista delle moderne borghesie vaccinali non può certo ottenere molto sul nodo dei brevetti e dell’accesso universale ai sieri (la foglia di fico egualitaria con cui s’era tentato di coprire un sostanziale conformismo), dopo i compromessi tentati a luglio in sede WTO e già ampiamente criticati da Ong e analoghi: la bozza resta giocoforza ancorata lì, all’idea della sospensione temporanea dei brevetti – oltretutto con forme assai timide, che improvvisamente passano dal “dovrà/dovranno” a “incoraggia” o “richiederà se del caso” – e agli angusti spazi di flessibilità del contestatissimo TRIPS, sia pure nel formato post-Doha. Più soddisfatti, invece, potranno dirsi sul fronte dell’approccio One Health, che del resto è ormai nel codice genetico della finanza green. Sì, perché dopo l’avvilente sequenza di certezze scientifiche e cicliche smentite circa l’origine del Covid, oggi i futuri firmatari del Trattato sono chiamati a riconoscere che «e la maggior parte delle malattie infettive e delle pandemie emergenti è causata da agenti patogeni zoonotici», come premessa essenziale perché la futurologia epidemica, combinata ai dogmi di Ultima Generazione, possa mantenersi in piedi. La miscela esplosiva di salutismo per decreto e radicalismo verde viene fuori infatti, in tutto il suo splendore, al comma 3 dell’art. 18: «Le parti identificheranno e integreranno nei pertinenti piani di prevenzione e preparazione alle pandemie interventi che affrontino i fattori che determinano l’insorgenza e la ricomparsa di malattie all’interfaccia uomo-animale, inclusi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, il cambiamento climatico, il cambiamento dell’uso del suolo, il commercio di fauna selvatica, la desertificazione e la resistenza antimicrobica».

Altro inciso: che la salute sia connessa anche alle condizioni ambientali in cui un individuo vive è la scoperta dell’acqua calda. C’era chi provava a evidenziarlo già quarant’anni fa, per non dire dei movimenti sviluppatisi negli anni contro i termovalorizzatori, i ripetitori a due passi dai centri abitati, i poligoni militari e via dicendo: tutti zittiti, ovviamente, con studi indiscutibili in nome della Scienza. La quale ora pare svegliarsi d’un tratto: il perché lo immaginiamo, e dove s’andrà a finire lo sappiamo. Ma se qualcuno ha bisogno di ulteriori didascalie, torni ancora una volta a Davos e ascolti le illuminanti considerazioni di Frédéric Thomas (CNRS) al meeting del 2022, circa l’urgenza di «creare sinergie fra salute pubblica e protezione naturale». Integrandole magari con le risultanze del Global Risk Report 2023 – sempre a cura del WEF – sulla priorità assoluta del clima nello spettro policritico gentilmente messo a punto dall’élite della filantropia globale. E con i picchi di fanatismo green di casa a Bruxelles.

E ora?

All’inizio di questa vicenda c’era ancora chi si domandava a cosa servisse un Trattato sulle Pandemie, essendo già esistenti e sempre perfettibili i Regolamenti Sanitari Internazionali del 2005, la cui inefficacia nella vicenda Covid è parsa, ad esser buoni, un pretesto piuttosto opaco. Ora si spera che la questione sia per tutti più chiara. E mentre quei Regolamenti vengono revisionati ad hoc (ossia adattati a farsi compatibili con il nuovo strumento e con la nuova prospettiva agil-verticistica: qui un’analisi puntuale delle proposte di revisione) comincia una partita negoziale che è essenzialmente geopolitica, ma in cui i rapporti di forza si annunciano già gravemente sbilanciati. L’obiettivo europeo e britannico (oltre che degli USA post-Trump, con buona pace del pur battagliero Ron Johnson) è ritrovare nell’OMS – ormai succedaneo del WEF – l’indiscusso centro di gravità permanente del potere sanitario mondiale. E pochi sono i dubbi che il ristretto ma solerte Intergovernmental Negotiating Body, messo in piedi per l’occasione, si spenderà per portare a casa risultati concreti.

Né vi sono dubbi che da qui si dovrà aprire una nuova, vigorosa stagione di lotte dal basso.

FONTE: https://giubberosse.news/2023/02/27/trattato-sulle-pandemie-quella-bozza-zero-scritta-con-la-penna-di-schwab/

 

 

Chi sono i nazionalisti integralisti ucraini?

Chi conosce la storia dei nazionalisti integralisti ucraini, i “nazisti” secondo la terminologia del Cremlino? Ha inizio durante la prima guerra mondiale, prosegue nella seconda guerra mondiale, poi durante la guerra fredda e, oggi, con l’operazione militare russa. Molti documenti sono stati distrutti e l’Ucraina moderna vieta, pena la reclusione, di menzionarne i crimini. Ma la storia non si cancella: queste persone hanno massacrato almeno quattro milioni di compatrioti e hanno concepito l’architettura della soluzione finale, ossia dell’uccisione di milioni di persone per l’appartenenza, reale o presunta, alle comunità ebraiche o zingare d’Europa.

L’agente tedesco, teorico del nazionalismo integralista ucraino, nonché criminale contro l’umanità, Dmytro Dontsov (Metipol 1883, Montreal 1973).

Come maggior parte degli analisti e commentatori politici occidentali, anch’io fino al 2014 ignoravo l’esistenza dei neonazisti ucraini. Quando fu rovesciato il presidente eletto vivevo in Siria; credetti si trattasse di gruppuscoli violenti che avevano fatto irruzione sulla scena politica per dare manforte agli elementi filoeuropei. Dopo l’intervento russo ho via via scoperto molti documenti e informazioni su questo movimento politico, che nel 2021 rappresentava un terzo delle forze armate ucraine. In questo articolo presento una sintesi delle mie ricerche.

Nei primissimi anni in cui ha avuto inizio questa storia, ossia anteriormente alla prima guerra mondiale, l’Ucraina era una vasta pianura da sempre contesa fra l’influenza tedesca e quella russa. All’epoca non era uno Stato indipendente, ma una provincia dell’impero zarista. Era abitata da tedeschi, bulgari, greci, polacchi, rumeni, russi, cechi, tatari e da una forte minoranza ebraica, supposta discendere dall’antico popolo Cazaro.

Un giovane poeta, Dmytro Dontsov, si appassionò ai movimenti dell’avanguardia artistica, ritenendo che avrebbero potuto far uscire il Paese dall’arretratezza sociale. All’impero zarista, immobile dalla morte della grande Caterina, Dontsov preferì l’impero tedesco, fulcro scientifico dell’Occidente.

Allo scoppio della Grande Guerra, Dontsov si trasformò in agente dei servizi segreti tedeschi. Emigrò in Svizzera, dove per loro conto pubblicò in diverse lingue il Bollettino delle nazionalità di Russia, incitandovi all’insurrezione le minoranze etniche dell’impero zarista per provocarne il crollo. I servizi segreti occidentali ne adottarono il modello per organizzare, l’estate scorsa a Praga, il Forum dei Popoli Liberi di Russia [1].

Nel 1917 la rivoluzione bolscevica rovesciò la situazione. Gli amici di Dontsov si schierarono con la Rivoluzione russa, mentre lui rimase filotedesco. Nel periodo di anarchia che seguì, l’Ucraina fu divisa di fatto in tre distinti regimi: i nazionalisti di Symon Petliura (che s’imposero nella zona oggi controllata dall’amministrazione Zelensky); gli anarchici di Nestro Makhno (che si organizzarono in Novorossia, territorio che mai conobbe la servitù della gleba, sviluppato dal principe Potemkin); infine i bolscevichi (presenti soprattutto in Donbass). Il grido di battaglia dei sostenitori di Petliura era «Morte agli ebrei e ai bolscevichi!». Moltissimi i pogrom sanguinari da loro perpetrati.

Dmytro Dontsov tornò in Ucraina prima della disfatta tedesca e divenne il protetto di Symon Petliura. Dopo una fugace partecipazione alla Conferenza di pace di Parigi, abbandonò la delegazione ucraina, senza che se ne conosca la ragione. In Ucraina aiutò Petliura ad allearsi con la Polonia per schiacciare gli anarchici e i bolscevichi. Dopo la presa di Kiev da parte dei bolscevichi, Petliura e Dontsov negoziarono il Trattato di Varsavia (22 aprile 1920): le forze armate polacche s’impegnavano a respingere i bolscevichi e a liberare l’Ucraina in cambio della Galizia e della Volinia (proprio come oggi l’amministrazione Zelensky negozia l’entrata in guerra della Polonia in cambio degli stessi territori [2]). La guerra fu un disastro.

Vladimir Jabotinsky, nato a Odessa, teorico del sionismo revisionista. Secondo lui Israele era una terra senza popolo per un Popolo senza terra.

Per rafforzare il proprio campo, Petliura negoziò in segreto con il fondatore dei battaglioni ebraici dell’esercito britannico (la Legione Ebraica), nonché amministratore dell’Organizzazione Sionista Mondiale (OSM), Vladimir Jabotinsky. A settembre 1921 i due concordarono di fare fronte comune contro i bolscevichi, in cambio dell’impegno di Petliura a imporre alle proprie truppe il divieto di continuare i pogrom. La Legione Ebraica doveva diventare la “Gendarmeria ebraica”. Ma, nonostante gli sforzi, Petliura non riuscì a tenere a bada i suoi, tanto più che il suo stretto collaboratore, Dontsov, continuava a incitare al massacro degli ebrei. Alla fine, dopo la rivelazione dell’Accordo, l’Organizzazione Sionista Mondiale avversò il regime di Petliura. Il 17 gennaio 1923 l’OSM istituì una commissione d’inchiesta sulle attività di Jabotinsky. Costui si rifiutò di giustificare il proprio operato e diede le dimissioni.

Symon Petliura s’impadronì del nord dell’Ucraina. Protettore dei nazionalisti integralisti, sacrificò Galizia e Volinia per combattere i russi.

Petliura fuggì prima in Polonia e poi in Francia, dove fu ucciso da un ebreo anarchico di Bessarabia (attuale Transnistria), che durante il processo assunse la piena responsabilità dell’assassinio, dichiarando di averlo commesso per vendicare le centinaia di migliaia di ebrei ammazzati dalle truppe di Petliura e Dontsov. Il processo ebbe grande risonanza. Il tribunale rimise in libertà l’omicida. In quest’occasione fu fondata la Lega contro i Pogrom, la futura LICRA (Lega Internazionale Contro il Razzismo e l’Antisemitismo).

I bolscevichi sconfissero non soltanto i nazionalisti, ma anche gli anarchici. S’imposero ovunque e decisero, non senza dibatterne, di unirsi all’Unione Sovietica.

Dontsov pubblicò riviste letterarie che esercitarono grande fascino sui giovani. Seguitò ad auspicare un’Europa centrale dominata dalla Germania e si avvicinò al nazismo via via che il movimento si affermava. Ben presto battezzò la propria dottrina «nazionalismo integralista ucraino», in riferimento al poeta francese Charles Maurras. Dontsov e Maurras partono dal medesimo assunto: cercare nella propria cultura gli elementi per l’affermazione di un nazionalismo moderno. Ma Maurras era germanofobo, Dontsov invece germanofilo. L’espressione «nazionalismo integralista» è tuttora rivendicata dagli adepti di Dontsov, che dalla caduta del terzo Reich stanno attenti a ricusare il termine “nazismo”, con cui i russi, non senza motivo, li definiscono.

Secondo Dontsov, il nazionalismo ucraino si caratterizza per:
– «l’affermazione della volontà di vivere, di potenza e di espansione» (promuove «Il diritto delle razze forti di organizzare popoli e nazioni per rafforzare la cultura e la civiltà esistenti»);
– «il desiderio di combattere e la consapevolezza di doverlo fare fino alle estreme conseguenze» (tesse le lodi della «violenza creatrice della minoranza capace d’iniziativa»).

Le sue peculiarità sono:
– «il fanatismo»;
– «l’immoralità».

Voltando le spalle al proprio passato, Dontsov divenne un ammiratore incondizionato del Führer. I suoi discepoli avevano fondato nel 1929 l’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), la cui figura centrale era il colonnello Yevhen Konovalets, che definì Dontsov «dittatore spirituale della gioventù della Galizia». Mentre nasceva una disputa con un altro intellettuale a proposito dell’estremismo di Dontsov, in guerra perenne contro tutti, Konovalets fu assassinato. L’OUN, finanziato dai servizi segreti tedeschi, si divise in due fazioni. L’organizzazione dei nazionalisti integralisti si chiamò OUN-B, dal nome del discepolo prediletto di Dontsov, Stepan Bandera.

Negli anni 1932-33 i commissari politici sovietici, per la maggior parte ebrei, istituirono, in Ucraina e in tutte le altre regioni dell’URSS, un’imposta sui raccolti. Questa politica, combinata a importanti e imprevedibili eventi climatici, provocò in molte regioni dell’Unione Sovietica, fra cui l’Ucraina, una gigantesca carestia, conosciuta con il nome di Holodomor. Al contrario di quanto afferma lo storico nazionalista integralista Lev Dobrianski, non si trattò di un piano dei russi per sterminare gli ucraini, dal momento che ne furono colpite anche altre regioni, ma di una gestione inadeguata delle risorse pubbliche in un momento di cambiamento climatico. La figlia di Dobrianski, Paula, divenne una delle collaboratrici del presidente George W. Bush; si batté senza esclusione di colpi per negare le università occidentali agli storici che non aderivano alla propaganda del padre [3].

Nel 1934 Bandera, in quanto membro dei servizi segreti nazisti, nonché capo dell’OUN-B, organizzò l’assassinio del ministro dell’Interno polacco, Bronislaw Pieracki.

Dal 1939 i membri dell’OUN-B, organizzati in una formazione militare, l’UPA, furono addestrati in Germania dell’esercito tedesco, poi, sempre in Germania, dagli alleati giapponesi. Bandera propose a Dontsov di mettersi a capo dell’organizzazione, ma l’intellettuale rifiutò, preferendo il ruolo di leader a quello di comandante operativo.

I nazionalisti integralisti riconobbero l’invasione della Polonia, frutto del patto tedesco-sovietico. Come ha dimostrato Henry Kissinger, che certamente non può essere tacciato di simpatie sovietiche, l’URSS non voleva annettere la Polonia, ma neutralizzarne una parte per prepararsi allo scontro con il Reich. Lo scopo del cancelliere Hitler era invece avviare la conquista di uno «spazio vitale» in Europa centrale.

Sin dall’inizio della seconda guerra mondiale l’OUN-B si batté, su indicazione di Dontsov, a fianco dei nazisti, contro ebrei e sovietici.

La collaborazione tra nazionalisti integralisti ucraini e nazisti proseguì con continui massacri della maggioranza della popolazione ucraina ritenuta ebrea o comunista. Nell’estate del 1941 l’Ucraina fu “liberata” dal III Reich, al motto «Slava Ukraïni!» (Gloria all’Ucraina), grido di battaglia oggi utilizzato dall’amministrazione Zelensky e dai Democratici Usa. A Leopoli, non a Kiev, i nazionalisti integralisti proclamarono l’«indipendenza» dell’Ucraina dall’Unione Sovietica, alla presenza di rappresentanti nazisti e del clero greco-ortodosso, sull’esempio della Guardia di Hlinka in Slovacchia e degli Ustascia in Croazia. Formarono un governo sotto la leadership del Providnyk (guida) Bandera, di cui primo ministro fu l’amico Yaroslav Stetsko. Si stima che i loro sostenitori in Ucraina fossero 1,5 milioni. Dunque i nazionalisti integralisti sono sempre stati esigua minoranza.

Celebrazione con dignitari nazisti dell’Ucraina indipendente. I tre ritratti alle spalle degli oratori sono di Stepan Bandera, Adolf Hitler e Yevhen Konovalets.

I nazisti si divisero tra la fazione guidata dal commissario del Reich per l’Ucraina, Erich Koch, per il quale gli ucraini erano sub-umani, e quella del ministro dei Territori occupati di Oriente, Alfred Rosenberg, per il quale i nazionalisti integralisti erano validi alleati. Alla fine, il 5 luglio 1941 Bandera fu deportato a Berlino e messo in Ehrenhaft (“onorevole detenzione”), ossia sottoposto a obbligo di residenza con rango elevato. Tuttavia, il 13 settembre 1941, poiché membri dell’OUN-B avevano assassinato i capi della fazione rivale, l’OUN-M, i nazisti sanzionarono Bandera e la sua organizzazione. 48 dirigenti dell’OUN-B furono rinchiusi in un campo di prigionia, ad Auschwitz (all’epoca non ancora campo di sterminio, ma semplice prigione). L’OUN-B fu riorganizzata sotto comando tedesco. Tutti i nazionalisti ucraini prestarono allora il seguente giuramento: «Figlio fedele della mia Patria, mi unisco volontariamente ai ranghi dell’Esercito di Liberazione Ucraino e con gioia giuro di combattere fedelmente il bolscevismo per l’onore del popolo. Questa battaglia la combatto a fianco della Germania e dei suoi alleati, contro un nemico comune. Con fedeltà e sottomissione incondizionata credo in Adolf Hitler quale dirigente e comandante supremo dell’Esercito di Liberazione. Sono disposto a sacrificare in ogni momento la mia vita per la verità».

Il giuramento dei membri dell’OUN di fedeltà al Führer Adolf Hitler.

I nazisti annunciarono di aver scoperto nelle prigioni molti corpi di vittime degli «ebrei bolscevichi». Fu così che i nazionalisti integralisti celebrarono la loro “indipendenza” assassinando oltre 30 mila ebrei e partecipando attivamente al massacro di Babij Jar: 33.771 ebrei di Kiev fucilati in due giorni, il 29 e 30 settembre 1941, dalle Einsatzgruppen dell’SS Reinhard Heydrich.

Nel trambusto, Dontsov scomparve. In realtà si era rifugiato a Praga, ove si era messo al servizio dell’ideatore della soluzione finale, Reinhard Heydrich, da poco nominato vicegovernatore di Boemia-Moravia. Heydrich organizzò la Conferenza di Wannsee, che pianificò la «soluzione finale della questione degli ebrei e degli zingari» [4].. In seguito istituì a Praga l’Istituto Reinhard Heydrich per coordinare la sistematica eliminazione di queste popolazioni in Europa. L’ucraino Dontsov, che adesso viveva nel più gran lusso a Praga, ne divenne immediatamente amministratore. Dontsov fu quindi uno dei più importanti architetti del più grande massacro della storia. Heydrich fu assassinato a giugno 1942, ma Dontsov mantenne incarichi e privilegi.

Reinhard Heydrich pronuncia un discorso al castello di Praga. Era incaricato della gestione della Boemia-Moravia. In realtà il suo compito era coordinare la «soluzione finale» della questione degli ebrei e degli zingari. Dmytro Dontsov entrò a far parte dei collaboratori di Heydrich nel 1942; sovrintese ai massacri in tutta l’Europa, fino alla caduta del Reich. Il castello di Praga a ottobre scorso è stato sede della riunione contro la Russia della Comunità Politica Europea.

Stepan Bandera e il suo vice, Iaroslav Stetsko, furono sottoposti a obbligo di residenza nella sede dell’Ispettorato Generale per i Campi di Concentramento, a Oranienburg–Sachsenhausen, 30 chilometri da Berlino. Inviarono in assoluta libertà lettere ai propri sostenitori e ai dirigenti del Reich e non subirono alcuna restrizione. A settembre 1944, mentre le forze armate del Reich si ritiravano e i sostenitori di Bandera cominciavano a rivoltarsi contro i tedeschi, Bandera e Stetsko furono liberati dai nazisti e ricollocati negli incarichi precedenti: ripresero la lotta armata contro ebrei e bolscevichi.

https://www.voltairenet.org/article218398.html
Cerimonia dell’Ordine del nazionalismo integralista Centuria. Secondo l’Università George Washington nel 2021 aveva già infiltrato le principali forze armate della Nato.

Ma ormai era troppo tardi. Il Reich crollò. Gli anglosassoni recuperarono Dontsov, Bandera e Stetsko. Dontsov, il teorico del nazionalismo integralista, fu trasferito in Canada; i due esperti del massacro furono invece mandati in Germania. L’MI6 e l’OSS (antesignano della CIA) riscrissero le loro biografie, cancellandone l’impegno a fianco dei nazisti e le responsabilità nella “soluzione finale”.

Stepan Bandera in esilio, mentre celebra la memoria di Yevhen Konovalets.

Bandera e Stetsko furono sistemati a Monaco per organizzare le reti stay-behind anglosassoni in Unione Sovietica. Dal 1950 ebbero a disposizione un’importante emittente radiofonica, Radio Free Europe, che condividevano con i Fratelli Mussulmani di Said Ramadan (padre di Tariq). La radio era finanziata dal National Committee for a Free Europe, emanazione della CIA: ne erano membri il direttore della radio Alan Dulles, il futuro presidente Dwight Eisenhower, il magnate della stampa Henry Luce, nonché il regista Cecil B. DeMilles. Lo presiedeva lo specialista di guerra psicologica, e futuro protettore degli Straussiani, Charles D. Jackson.

Quanto a Vladimir Jabotinsky, dopo aver abitato in Palestina, si rifugiò a New York, dove lo raggiunse Benzion Netanyahu (padre di Benjamin, attuale primo ministro israeliano). Insieme redassero i testi dottrinali del sionismo revisionista e l’Enciclopedia Ebraica.

Bandera e Stetsko viaggiarono molto. Organizzarono operazioni di sabotaggio in tutta l’Unione Sovietica, in particolare in Ucraina, e volantinaggi aerei. Allo scopo crearono il Blocco delle Nazioni Antisovietiche (ABN), che riuniva Paesi omologhi dell’Europa centrale [5]. L’agente britannico che faceva il doppio gioco, Kim Philby, informava in anticipo i sovietici delle azioni dei banderisti. Bandera incontrò Dontsov in Canada per chiedergli di mettersi a capo della lotta. L’intellettuale rifiutò nuovamente, preferendo dedicarsi ai propri scritti. Il suo pensiero andò alla deriva, involvendosi in un delirio mistico ispirato ai miti vichinghi variaghi: annunciava la battaglia finale dei cavalieri ucraini contro il dragone russo. Bandera invece si alleò con il leader cinese Chiang Kai-Schek, che incontrò nel 1958. L’anno successivo Bandera fu assassinato a Monaco dal KGB.

I funerali del criminale contro l’Umanità, Stepan Bandera.
Chiang Kai-Schek e Iaroslav Stetsko alla fondazione della Lega Anticomunista Mondiale.

Stetsko continuò la lotta per mezzo di Radio Free Europe e l’ABN. Andò negli Stati Uniti per testimoniare davanti alla Commissione per la repressione delle attività antiamericane, presieduta dal senatore Joseph McCarthy. Nel 1967 fondò con Chiang Kai-Schek la Lega Anticomunista Mondiale [6]. Alla Lega aderirono molti dittatori filostatunitensi di tutto il mondo; aveva due scuole di tortura, a Panama e a Taiwan. Ne fece parte anche Klaus Barbie, che assassinò Jean Moulin in Francia e poi Che Guevara in Bolivia. Nel 1983 Stetsko venne ricevuto alla Casa Bianca dal presidente Ronald Reagan e partecipò con il vicepresidente George Bush padre alle cerimonie delle «Nazioni prigioniere» (ossia occupate dai sovietici) di Lev Dobrianski. Finché morì nel 1986.

Ma la vicenda non finisce qui. La moglie, Slava Stetsko, si mise a capo delle organizzazioni del marito. Anch’ella andò in giro per il mondo per sostenere ogni lotta contro russi e cinesi; meglio: contro i comunisti. Al crollo dell’URSS, Slava Stetsko si limitò a cambiare il nome della Lega facendola diventare Lega per la Libertà e la Democrazia, denominazione che conserva a tutt’oggi. In seguito si dedicò a riaffermarsi in Ucraina.

Nel 1994 Slava Stetsko si presentò alle prime elezioni dell’Ucraina indipendente. Fu eletta alla Verkhovna Rada ma, essendole stata revocata la cittadinanza ucraina dai sovietici, non poté presentarsi. Non desistette: fece venire il presidente ucraino Leonid Kuchma a Monaco, dove lo incontrò nei locali della CIA per dettargli passaggi della nuova Costituzione, che ancora oggi all’art. 16 sancisce che «la preservazione del patrimonio genetico del popolo ucraino pertiene alla responsabilità dello Stato». L’Ucraina persiste a proclamare ancora la discriminazione razziale, come nei periodi più bui della seconda guerra mondiale.

Slava Stetsko presiede la seduta di apertura del 2002 della Verkhovna Rada.

Slava Stetsko fu rieletta nelle due successive legislature, di cui presiedette solennemente le sedute di apertura, il 19 marzo 1998 e il 14 maggio 2002.

Nel 2000 Lev Dobransky organizzò a Washington un grande convegno con molti ufficiali ucraini. Vi invitò lo Straussiano Paul Wolfowitz, ex collaboratore di Charles D. Jackson. Durante il simposio i nazionalisti integralisti si misero a disposizione degli Straussiani per distruggere la Russia [7].

Dmytro Yarosh alla fondazione, con gli jihadisti, del Fronte Antimperialista antirusso. Oggi è consigliere speciale del capo delle forze armate ucraine.

L’8 maggio 2007, a Ternopol, per iniziativa della CIA i nazionalisti integralisti dell’Autodifesa del Popolo Ucraino e gli islamisti fondarono un Fronte Antimperialista antirusso, presieduto congiuntamente dall’emiro di Ichkeria, Dokka Umarov, e da Dmytro Yarosh (attuale consigliere speciale del capo delle forze armate ucraine). Vi presero parte organizzazioni di Lituania, Polonia, Ucraina e Russia, oltre ai separatisti di Crimea, Adighezia, Dagestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria, Karachayevo-Cherkessia, Ossezia e Cecenia. Non potendovi partecipare a causa delle sanzioni internazionali, Umarov inviò un intervento scritto.
Retrospettivamente, i tatari di Crimea non riescono a spiegare la loro presenza alla riunione riunione se non con il loro passato al servizio della CIA contro i sovietici.

Dopo la “rivoluzione arancione”, il presidente filostatunitense Viktor Yushchenko creò un Istituto Dmytro Dontsov. Yushchenko è un esempio di ripulitura anglosassone: ha sempre affermato di non avere alcun rapporto con i nazionalisti integralisti, ma il padre Andrei era guardiano in un campo di sterminio nazista [8]. L’Istituto Dmytro Dontsov fu chiuso nel 2010 e riaperto dopo il colpo di Stato del 2014.

Il presidente Yushchenko poco prima della fine del suo mandato elevò il criminale contro l’umanità Stepan Bandera al titolo di «eroe della Nazione».

Nel 2011 i nazionalisti integralisti riuscirono a far approvare una legge che vieta di commemorare la fine della seconda guerra mondiale, perché vinta dai sovietici e persa dai banderisti. Ma il presidente Viktor Yanukovich rifiutò di promulgarla. Furiosi, i nazionalisti integralisti attaccarono il corteo dei veterani dell’Armata Rossa, caricando di botte dei vecchi. Due anni dopo le città di Leopoli e d’Ivano-Frankivsk abolirono le cerimonie della Vittoria e vietarono ogni manifestazione di esultanza.

Nel 2014 gli ucraini di Crimea e del Donbass rifiutarono di riconoscere il governo frutto di un colpo di Stato. La Crimea, che si era proclamata indipendente prima dell’Ucraina, espresse di nuovo la propria volontà e aderì alla Federazione di Russia. Il Donbass scelse un compromesso. I nazionalisti ucraini, guidati dal presidente Petro Poroshenko, smisero di provvedere ai servizi pubblici e bombardarono la popolazione. In otto anni assassinarono almeno 16 mila concittadini nell’indifferenza generale.

È così che dopo il colpo di Stato del 2014 le milizie nazionaliste integraliste furono incorporate nelle forze armate ucraine. Nel loro regolamento interno impongono a ogni combattente di leggere le opere di Dmytro Dontsov, in particolare il suo capolavoro, Націоналізм (Nazionalismo).

Ad aprile 2015 la Verkhovna Rada dichiarò i membri dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) «combattenti per l’indipendenza». La legge fu promulgata a dicembre 2018 dal presidente Poroshenko. Chi fece parte delle Waffen SS ebbe diritto a una pensione di vecchiaia retroattiva e a ogni genere di privilegio. La stessa legge stabilì che affermare che i militanti dell’OUN e i combattenti dell’UPA collaborarono con i nazisti e praticarono la pulizia etnica di ebrei e polacchi è reato. Se questo articolo fosse pubblicato in Ucraina manderebbe in prigione me per averlo scritto e voi per averlo letto.

Inaugurazione di una targa commemorativa del criminale contro l’Umanità Dmytro Dontsov sulla facciata dell’agenzia di stampa di Stato, Ukrinform. Alla cerimonia il direttore generale di Ukinform ha dichiarato che Dontsov fondò nel 1918 la prima agenzia di stampa ucraina, UTA, di cui Ukrinform è erede.

Il 1° luglio 2021 il presidente Volodymyr Zelensky ha promulgato una legge che pone le popolazioni autoctone dell’Ucraina sotto la protezione dei diritti dell’uomo. Diritti che, per difetto, i cittadini di origine russa non possono invocare davanti a un tribunale.

A febbraio 2022 le milizie nazionaliste integraliste, che rappresentavano un terzo delle forze armate del Paese, stavano pianificando un’invasione coordinata di Crimea e Donbass. Furono fermate dall’operazione militare russa, finalizzata a far applicare la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e mettere fine al calvario delle popolazioni del Donbass.

La vice-prima ministra canadese, Chrystia Freeland, e i membri della sezione canadese dell’OUN durante una manifestazione di sostegno al presidente Zelensky. Freeland è candidata alla segreteria generale della Nato.

A marzo 2022 il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, rompendo con il “sionismo revisionista” di Benjamin Netanyahu (figlio del segretario di Jabotinsky) suggerì al presidente Volodymyr Zelensky di acconsentire alle richieste russe e di denazificare l’Ucraina [9]. Imbaldanzito dall’insperato sostegno, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, osò evocare il caso del presidente ebreo dell’Ucraina: «Il popolo ebreo nella sua saggezza ha detto che gli antisemiti più veementi sono in genere loro stessi ebrei. Ogni famiglia ha la sua pecora nera, come si suol dire». Era troppo per gli israeliani, che si allarmano sempre quando si tenta di dividerli. L’omologo di Lavrov, Yair Lapid, ricordò che gli ebrei non hanno mai organizzato da sé l’olocausto di cui sono stati vittime. Stretto fra la propria coscienza e le alleanze, lo Stato ebraico ribadì a non finire il proprio sostegno all’Ucraina, ma rifiutò di inviarle anche la benché minima arma. Alla fine fu lo stato-maggiore a decidere: il ministro della Difesa, Benny Gantz chiuse ogni possibilità di sostegno in armi al successore dei massacratori degli ebrei.

Gli ucraini sono gli unici nazionalisti che si battono non per il loro popolo, non per la loro terra, ma per un’unica idea: annientare ebrei e russi.

Principali fonti:

– Ukrainian Nationalism in the age of extremes. An intellectual biography of Dmytro Dontsov, Trevor Erlacher, Harvard University Press (2021).
– Stepan Bandera, The Life and Afterlife of a Ukrainian Nationalist. Fascism, Genocide, and Cult, Grzegorz Rossoliński-Liebe, Ibidem (2014).

FONTE: https://www.voltairenet.org/article218398.html

 

POLITICA

Ridateci Trump

http://www.ettorelembonews.it/ridateci-trump.html

Il 24 marzo, dopo anni di rumori nei salotti che sanno ascoltare i rumori più profondi, Deutsch Bank ha subito il primo reale momento di crisi in borsa di questo millennio.
Nella settimane precedenti abbiamo visto crollare tre banche in Stati Uniti ed il Credit Suisse in Svizzera.
Il ministro Giorgetti, lo stesso che con protervia per anni ha indirizzato Alitalia nelle mani di Lufthansa e che oggi deve vedere ITA Airways ridotta a qualcosa di lillipuziano dopo che i contribuenti italiani hanno, loro malgrado, dovuto vedere svariati miliardi di euro delle loro tasse buttati nel “salvataggio” di quella che fu la Compagnia di Bandiera, proprio quel ministro Giorgetti da continui segnali di ottimismo sul sistema bancario italiano.
Oggi la parola che va di moda è “resiliente”, la usa la banchiera centrale Lagarde e il Governatore della Banca Centrale italiana, Visco.
Speriamo sia vero.
Nel frattempo alcuno dati sembrerebbero definire una italia sempre più in difficoltà.
Confindustria proprio in questi giorni ha definito “modesta” la crescita del Bel Paese ed ha alzato serie perplessità sulla politica dei tassi che sta perseguendo la BCE.
La crescita del PIL, infatti, si attesterebbe al +0,4%, praticamente “piatta”.
Questo, abbinato al dato che l’inflazione supera l’8% e quella dei beni di più largo consumo vola ben oltre le due cifre, non è assolutamente una bella notizia per le famiglie italiane.
Confindustria dichiara che questo dato è dovuto ad un effetto di “trascinamento dal 2022” e dichiara che per il 2024 è attesa una crescita del +1,2%.
Gli italiani potrebbero rispondere “intanto arriviamoci, poi vedremo cosa troveremo”.
Il 2024, sempre secondo il centro studi di Confindustria, vedrebbe una ripresa grazie al rientro dell’inflazione, alla politica monetaria meno restrittiva e alla schiarita nel contesto internazionale.
Tre elementi di certezza che solo il Centro Studi di Confindustria, certamente fornito di grandi studiosi e di informazioni riservatissime, può avere la possibilità di ritenere così probabili da essere elemento su cui basare una ripresa economica del nostro amato Paese.
Al contempo lo stesso Centro Studi dichiara che si “aspetta un secondo semestre dell’anno in rallentamento”.
Fatto facilmente riscontrabile già oggi attraverso i dati della produzione manifatturiera, produzione che storicamente traina tutta l’economia italiana, che evidenziano, appunto, che il rallentamento è già in atto.
Oltretutto gli analisti ci informano che tutti i dati denotano che i PIL sia dell’Eurozona che degli Stati Uniti nel 2023 stanno rallentando.
Al contrario della Cina e dei Paesi emergenti che sono in una chiara fase di ripartenza. Rilancio che apparirebbe molto forte.
Alcuni altri dati di questi giorni aumentano le preoccupazioni sul futuro del sistema socio politico economico italiano.
L’INPS dichiara che i licenziamenti sono aumentati del 41%, allo stesso tempo Unioncamere dichiara che nella nostra amata Italia le società attive negli ultimi dieci anni sono diminuite di 130 mila unità, pari ad una riduzione del 20%.
Per non farci mancare niente, la stessa Unioncamere sottolinea che solo l’8,7% delle imprese attive in Italia vede azionisti con una età entro i 35 anni. Dato che rende plastico il fatto che in Italia mancano le condizioni che permettano ai giovani di intraprendere ed una nazione che non produce nuovi imprenditori è destinata a morire.
Letti questi dati noi “cittadini semplici” facciamo una certa fatica ad appassionarci a tematiche quali l’utero in affitto, le adozioni mono genitoriali, il fatto che vi sono 23 minori in carcere a causa di un genitore arrestato.
Temi più o meno rilevanti , ma che non dovrebbero essere argomenti pressoché unici nella comunicazione politica italiana.
Vi è, ultima ma prima, la guerra in territorio ucraino.
Non credete che, sempre nel leggere questi dati, sia arrivato il tempo di verificare se le politiche per riportare pace e stabilità in Europa, comprese le sanzioni, potrebbero essere riviste?
In fondo gli elettori italiani hanno dato tanto consenso a Fratelli d’Italia ed alla Premier Meloni proprio perché dichiarava di voler rappresentare una discontinuità con il passato.
Ad oggi noi “cittadini semplici” non la stiamo vedendo.
Vediamo, al contrario, assai bene il fatto che il mondo intero durante l’era Trump viveva in prosperità.
Quel Trump che oggi vogliono processare perché, il condizionale è d’obbligo, avrebbe, attraverso un avvocato, dato 130mila dollari ad una pornostar nel 2016 per non farle dire che nel 2006 la aveva “conosciuta”.
I “cittadini semplici” preferirebbero veder processare coloro che si sono arricchiti con il COVID.
Non solo in Italia, soprattutto in Stati Uniti ed in Europa.
Di questo, però, i media non parlano.
Ignoto Uno
26/03/2023
FONTE: http://www.ettorelembonews.it/ridateci-trump.html

 

STORIA

LIBERAZIONE DI AUSCHWITZ. FACCIAMO CHIAREZZA

  

Puntualmente, ogni 27 gennaio ripartono curiose teorie sulla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau secondo cui i cancelli del lager sarebbero stati aperti per primi “dagli ucraini” anziché dai russi. Il solito prevedibile e becero tentativo di riscrivere il passato per giustificare il presente.

Soldati dell’Armata Rossa accanto ai prigionieri subito dopo la liberazione di Auschwitz. Sovfoto/Universal Images Group/Getty Images. Fonte: History.com

Da qualche anno a questa parte, in concomitanza con l’aumento delle tensioni tra Russia e Nato, capita di leggere ogni 27 gennaio curiose teorie sulla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Secondo tali fantasiose ricostruzioni, i cancelli del lager sarebbero stati raggiunti dagli ucraini anziché dai russi.

La storia si basa su fatti veri: i primi soldati a entrare nel campo furono quelli del battaglione comandato dal maggiore Anatoly Shapiro, appartenenti alla divisione “Lvov” della 60a Armata inquadrata nel Primo Fronte Ucraino. Da questo si può dedurre che Auschwitz venne liberata da ucraini? Sì, se si ignora totalmente la storia. No, se ci si prende la briga di informarsi un minimo.

Andiamo con ordine: il Primo Fronte Ucraino (i Fronti sovietici erano gli equivalenti dei Gruppi di Armate Occidentali e tedeschi) fino al 20 ottobre 1943 si chiamava Fronte di Voronez, poi ribattezzato a causa dell’avanzata verso ovest dei sovietici. I nomi dei Fronti, infatti, derivavano dalla zona in cui combattevano e non dalla composizione etnica dei loro soldati. Vale la pena notare che non è mai esistito un Fronte denominato Russo. Seguendo le elucubrazioni di qualche fantasioso articolista, se ne dovrebbe concludere che nessun soldato russo partecipò alla seconda guerra mondiale.

Fonte: Wikipedia

Passiamo alla 100a divisione “Lviv” (o “Lvov” in russo). Tale appellativo venne dato a seguito della conquista della città nel 1944, ma si chiamava 100a divisione fucilieri. Formata tra il marzo e il maggio del 1942 con coscritti provenienti in maggior parte dalla zona di Arcangelo, nel nord della Russia, questa divisione partecipò a innumerevoli battaglie e venne ovviamente integrata con nuove reclute, anche di origine ucraina. Lo riconosce anche una fonte assai citata, ma ultimamente non sempre imparziale come Wikipedia.

Lo stesso maggiore Shapiro con Lvov non c’entrava nulla, essendo nato a Krasnograd (Lvov fino al 1939 faceva parte della Polonia, peraltro). Shapiro si arruolò volontario nell’Armata Rossa nel 1938 e poi di nuovo nell’ottobre del 1941.

Con queste puntualizzazioni non vogliamo certo sminuire il contributo ucraino allo sforzo bellico sovietico: oltre quattro milioni di ucraini servirono nell’Armata Rossa, distinguendosi nelle cento battaglie che condussero i sovietici da Stalingrado a Berlino. Quello che, però, sfugge a molti è che a quel tempo c’era un solo esercito sovietico e chi ne faceva parte era, appunto, sovietico.

Applicando fino in fondo il criterio secondo cui Shapiro era nato in Ucraina, dunque Auschwitz fu liberata dagli ucraini, allora dovremmo concludere che, poiché Stalin e Beria erano georgiani, per i gulag e il resto si dovrebbe andare a bussare a Tbilisi, anziché a Mosca.

In conclusione: ognuno è libero di pensare ciò che vuole e parteggiare per chi vuole nell’attuale conflitto in Ucraina, ma sarebbe il caso di evitare di riscrivere la storia di ieri per giustificare le azioni di oggi.

FONTE: https://giubberosse.news/2023/01/28/liberazione-di-auschwitz-facciamo-chiarezza/

 

 

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