RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 28 MARZO 2021 SPECIALE DOMENICA DELLE PALME

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

28 MARZO 2021

SPECIALE DOMENICA DELLE PALME

A cura di Manlio Lo Presti

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SOMMARIO

Il Pantrocratore
Il Cristo Pantocrator: l’ultima parola è risurrezione
Che cos’è la Domenica delle Palme e perché si celebra una settimana prima di Pasqua
LA DOMENICA DELLE PALME E IL SIGNIFICATO DELL’ULIVO E DELLA PALMA
Domenica delle Palme, significato e simboli della giornata
La Palma e la Fenice…martirio, vittoria e resurrezione I
pantocràtore
Tutte le irregolarità del processo farsa per fare morire Gesù

 

 

EDITORIALE

Il Pantrocratore

Manlio Lo Presti – 28 03 2021

https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/tutte-irregolarit-processo-farsa-fare-morire-ges-1238279.html

 

Onore e silenzioso rispetto

al Pantocratore

osteggiato

poi deriso

osannato

elogiato

poi tradito

fustigato

umiliato

torturato

crocifisso

e poi abbandonato

da una torma ignobile, informe e urlante

di ignavi

di conformisti

di finti tonti

di opportunisti

di vigliacchi

di indifferenti coordinati, subordinati e subornati

di sepolcri imbiancati,

dal SINEDRIO di turno!

 

 

 

CULTURA

Il Cristo Pantocrator: l’ultima parola è risurrezione

Michela Dall’Aglio – 12 APRILE 2020

Il Cristo Pantocrator (Signore del mondo), icona bizantina proveniente da Costantinopoli e conservata nel monastero di Santa Caterina sul monte Sinai, è una delle più antiche raffigurazioni del volto di Cristo risorto – risale al VI-VII secolo – sfuggita alla furia iconoclasta abbattutasi, tra l’VIII secolo e la prima metà del IX, sul mondo cristiano come effetto delle dispute teologiche sulla vera natura di Gesù: solo umana, solo divina o divino-umana? Ed è quest’ultima natura che emerge, come fede e come dottrina, dal ritratto del Pantocrator di Santa Caterina (e di tutti quelli successivi che da questo derivano).

Per me questa icona è una delle più essenziali ed efficaci raffigurazioni della risurrezione di Gesù. Nessun pittore, per quanto grande (come non ricordare la splendida Risurrezione di Piero della Francesca?), è mai riuscito a ritrarre, ricorrendo alla propria immaginazione, qualcosa di tanto incredibile, sconvolgente, trascendente e alieno come il volto di un uomo entrato nella morte e uscitone non come il morto vivente, il super eroe o il fantasma che la letteratura e il cinema propongono sempre, ma come lo stesso uomo di prima eppure diverso perché entrato in una vita nuova.

Più d’ogni altro genere di dipinto, l’icona avvicina al grande mistero che sta al cuore della fede cristiana: la natura di Cristo; e al suo inevitabile corollario: cosa comporta questo per noi? Cosa ci rivela di noi stessi, se mai ci rivela qualcosa?

Gli iconografi intendono l’icona come un’idea espressa sotto forma figurativa e una finestra aperta su un altro mondo da cui il personaggio dipinto, che noi guardiamo, in realtà sta guardando noi. E questo è particolarmente vero nel caso dell’icona del Cristo Pantocrator, che rappresenta un ritratto di Cristo (un volto che gli studiosi dicono sia sovrapponibile con l’elaborazione digitale a quello della Sindone) realizzato a encausto con una tecnica che richiama i ritratti funerari egizi che, nel periodo tra il I e il IV secolo, erano posti sul volto delle mummie.

Il volto che ci guarda è solenne e severo, bello certamente, ma subito restiamo colpiti dalla sua forte asimmetria. Provate a guardarne i due lati uno alla volta, tenendo coperto con la mano l’altro. Il lato sinistro (per chi guarda) del viso è luminoso e sereno, la narice sinistra rilassata, l’angolo della bocca si perde sotto i baffi. Il lato destro, racconta un’altra storia. Il sopracciglio è fortemente rialzato e l’iride dell’occhio appare scura, dilatata; sotto l’occhio e sulla guancia un’ombra scura si estende ben oltre la barba. La narice è leggermente ma chiaramente contratta, sembra vibrare per un qualche moto dello spirito, un sentimento forte interiore, mentre la bocca, sempre da quel lato, prende una piega amara.

È il ritratto di un uomo in due situazioni diverse. Ancor più, è la resa pittorica straordinaria di due nature che convivono in una sola persona.

La portata teologica di questa immagine è chiara. La prima rivelazione espressa dall’icona riguarda Gesù e la sua natura, e afferma che in lui umanità e divinità convivono perfettamente. Perché veramente uomo, ha sofferto nel corpo e nell’anima, ha patito l’abbandono e la delusione ed è morto di una morte vera e reale. E la sua esperienza mortale, resa evidente nei segni che vediamo sul lato destro del volto, appartiene a lui per sempre. La sua esperienza umana, la sua storia sono parte di lui, esattamente come per noi lo sono la nostra storia e la nostra esperienza. Nella risurrezione Gesù è entrato con tutta la sua umanità, fisica e psichica. Nel lato sinistro del volto leggiamo, invece, il superamento di ogni sofferenza, la serenità, la pace, la fiducia di chi dopo avere gridato “Dio mio perché mi hai abbandonato” – permettendo a noi tutti di gridare e temere nel momento estremo senza vergognarci anche se ci dicevamo credenti – ha fatto esperienza della fedeltà di Dio.

Dio non impedisce il dolore, non ci sfila dalle mani il timone della storia nemmeno quando stiamo facendo cose assurde. Lascia a noi la responsabilità del mondo. Ma non ci lascia dire l’ultima parola, perché quella la tiene per sé. E la sua ultima parola, ci dice l’icona del Cristo Pantocrator, è risurrezione. Non ritorno alla vita, ma un’altra vita.

E io credo che l’esperienza che stiamo vivendo, questa Pasqua surreale e dolorosa, ci apra alla speranza nel futuro, ma se vogliamo che sia davvero una risurrezione e non un ritorno a una vita destinata ad affrontare presto un’altra tragedia annunciata, dobbiamo capire che bisogna accettare di essere diversi, dobbiamo desiderare una vita diversa. Come nel deserto gli ebrei hanno dovuto imparare a desiderare la libertà, così dobbiamo imparare anche noi a desiderare, a volere e a impegnarci per costruire un domani migliore di ieri. Stavamo correndo verso un baratro (economico, ecologico, umano…) e lo sapevamo, ma non sapevamo come fermarci, o come almeno rallentare.

Tutto il dolore che stiamo vivendo, non deve essere sprecato, buttato via. La risurrezione è un futuro offerto a tutti ma perché si realizzi bisogna volerlo, bisogna non volere più essere gli stessi di prima.

Dopo questa lunga quaresima in cui, per la prima volta, non abbiamo potuto scegliere noi quale piccolo sacrificio offrire, e che per un numero enorme di persone si è conclusa con un Calvario e con la morte, noi sapremo risorgere a una vita nuova? Io voglio sperarlo…

FONTE: https://www.doppiozero.com/materiali/il-cristo-pantocrator-lultima-parola-e-risurrezione

 

 

Che cos’è la Domenica delle Palme e perché si celebra una settimana prima di Pasqua

La Domenica delle Palme si celebra nella domenica precedente la Pasqua. Questa festività ha un significato specifico nella liturgia cattolica e dà l’avvio alla Settimana Santa. Nasce da un episodio raccontato nel Vangelo, con l’arrivo di Gesù trionfante a Gerusalemme e affonda le sue origini nella festa del “Sukkot” ebraico.
CULTURA 28 MARZO 2021 07:00di Redazione Cultura

La Domenica delle Palme è la domenica precedente la Pasqua. Questa festività ha un significato preciso nella liturgia cattolica, rappresentando difatti l’inizio della Settimana Santa, durante la quale si rievocano gli ultimi giorni della vita terrena di Cristo e vengono celebrate la sua Passione, Morte e Risurrezione. Nella religione cattolica questa giornata è simboleggiata da un ramoscello di ulivo e prende spunto da una scena del Vangelo, con l’ingresso di Gesù trionfante a Gerusalemme, raccontata da tutti gli evangelisti, anche se con qualche differenza di non poco conto. Cerchiamo di capire dunque cos’è la Domenica delle Palme, il suo significato e perché arriva una settimana esatta prima di Pasqua.

Il significato e i simboli della Domenica delle Palme

Secondo il Vangelo, con la Domenica delle Palme, la Chiesa celebra l’ingresso di Gesù Cristo a Gerusalemme in sella a un asino, osannato dalla folla che lo saluta agitando rami di palma. La scelta dell’asino e non del cavallo come animale da soma riveste un forte richiamo simbolico, dove l’asino nelle tradizioni dell’antico Oriente è un animale pacifico, mentre il cavallo è un animale da guerra. Evidente anche il richiamo alla tradizione millenaria del presepe, dove al momento della nascita di Gesù è presente un “asinello”.

L’episodio dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme trae origine dalla celebrazione della festività ebraica di Sukkot, la “festa delle Capanne”, quando i fedeli arrivavano in massa in pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano al tempio in processione. Ciascuno portava in mano e sventolava il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi, la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e il salice, la cui forma delle foglie rimandava alla bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio, legati insieme con un filo d’erba.

Una curiosità. Il racconto dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme è presente in tutti e quattro i Vangeli, ma con alcune varianti: quelli di Matteo e Marco raccontano che la gente sventolava rami di alberi, o fronde prese dai campi, Luca non ne fa menzione mentre solo Giovanni parla di palme. Nella liturgia cattolica, al termine della messa, i fedeli portano a casa i rametti di ulivo benedetti, conservati come simbolo di pace, scambiandone parte con parenti ed amici.

Liturgia della Domenica delle Palme

La liturgia della Domenica delle Palme si svolge iniziando da un luogo adatto al di fuori della chiesa, dove i fedeli si radunano e il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma, che dopo la lettura di un brano evangelico, vengono distribuiti ai fedeli, quindi si dà inizio alla processione fin dentro la chiesa.

A Pasqua si usa in molte regioni, che il capofamiglia utilizzi un rametto d’ulivo intinto nell’acqua benedetta per benedire la tavola imbandita nel giorno di Pasqua. Con la Domenica delle Palme ha inoltre inizio la Settimana Santa. Non termina tuttavia la Quaresima, che continua fino alla celebrazione dell’ora nona del Giovedì Santo.

La Domenica della Palme nel Cristianesimo
La Domenica delle Palme è celebrata dai cattolici, dagli ortodossi e dai protestanti. Questa festa non arriva sempre nello stesso giorno perché è legata direttamente alla Pasqua, la cui data cambia ogni anno. La festa, infatti, è mobile e viene fissata in base alla prima luna piena successiva all’equinozio di primavera del 21 marzo.

FONTE:https://www.fanpage.it/cultura/che-cose-la-domenica-delle-palme-e-perche-si-celebra-una-settimana-prima-di-pasqua/

 

 

 

LA DOMENICA DELLE PALME E IL SIGNIFICATO DELL’ULIVO E DELLA PALMA

Nel calendario liturgico cattolico la Domenica delle Palme è celebrata la domenica precedente alla festività della Pasqua. Con essa ha inizio la settimana santa ma non termina la Quaresima, che finirà solo con la celebrazione dell’ora nona del giovedì santo, giorno in cui, con la celebrazione vespertina si darà inizio al Sacro Triduo Pasquale.

Questa festività è osservata non solo dai Cattolici, ma anche dagli Ortodossi e dai Protestanti.

La Chiesa ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino, osannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma come leggiamo nel vangelo di Giovanni (12,12-15). Vi si narra, come si vede illustrato nel’affresco di Giotto, che la folla stese a terra i mantelli e agitando festosamente rami di ulivo e di palma per rendergli onore.

L’affresco di Giotto databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova

La palma è simbolo di trionfo, acclamazione e regalità.

Le palme nel dipinto dell’Entrata di Cristo in Gerusalemme di Bernhard Plockhorst, 1845 ca.

Il suo significato è quello della vittoria, dell’ascesa, della rinascita e dell’immortalità. è allegoria dell’araba fenice che risorge dalle sue ceneri  e dell’albero della vita, simbolo dell’immortalità dell’anima.

La palma della dea Vittoria è un’iconografia nata in epoca greco-romana.

La palma nella mano della Nike di Efeso

La simbologia cristiana, presente fin dall’epoca paleocristiana è legata a un passo dei Salmi, dove si dice che come fiorirà la palma così farà il giusto: la palma infatti produce un’infiorescenza quando sembra ormai morta, così come (con una similitudine) i martiri hanno la loro ricompensa in paradiso.

La palma del martirio nell’affresco di Santa Barbara, nella distrutta San Benedetto di Norcia

La simbologia rimanda quindi all’entrata trionfale di Gesù Cristo in Gerusalemme prefigurando la Resurrezione dopo la morte, o anche come simbolo della resurrezione dei martiri così come citato nell’Apocalisse (7, 9).

FONTE: http://polisemantica.blogspot.com/2019/04/la-domenica-delle-palme-e-il.html

 

 

Domenica delle Palme, significato e simboli della giornata

La Domenica delle Palme, che segna l’inizio della Settimana Santa, celebra l’ingresso di Gesù come un re a Gerusalemme. Ecco i simboli e il significato

 

Domenica delle Palme, significato e simboli della giornata

Oggi è la Domenica delle Palme. Conosciuta come la Domenica della Passione del Signore, la  giornata segna l’inizio della Settimana Santa ma non la fine della Quaresima, che termina nella giornata del Giovedì Santo. Grazie a vaticannews scopriamo insieme simbologia e significati di questa giornata.

La Domenica delle Palme

Come si legge nel Vangelo di Giovanni, la giornata celebra l’arrivo di Gesù a Gerusalemme. “Il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: ‘Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!’. Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: ‘Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d’asina’”.

 

Gesù e l’asino

La Domenica delle Palme ricorda Gesù che entra nella città santa di Gerusalemme seduto su un asino, accolto da una folla festante che agitava rami di ulivo. A quei tempi, gli animali degni di essere cavalcati da un re erano i cavalli, tanto da essere esentati dalle corse e dal lavoro nei campi. Gesù, invece, entra a Gerusalemme sul dorso di un’asina. Questo perché come racconta il profeta Zaccaria,  Gesù è un re diverso. Egli non arriva con armi o insegne di potere, ma sceglie di essere trasportato dall’animale più umile e servizievole. L’asino, inoltre, può rappresentare anche l’elemento istintivo e terreno dell’uomo, che Gesù, il Signore, conduce verso la salvezza.

Il significato delle palme

Altro elemento simbolico della Domenica della Passione del Signore è rappresentato dalle palme. Essa ha un forte elemento simbolico in quanto la palma rappresenta la pianta che si rinnova ogni anno con una foglia, ma riporta anche all’immagine messianica di creazione un ponte tra il monte e la città, tra Dio e l’uomo. Fino al IV secolo, a Gerusalemme una tradizione locale indicava fisicamente la palma da cui erano stati staccati i rami con cui i fanciulli avevano inneggiato a Gesù. In Occidente, dove le palme non crescono , la palma è stata sostituita dall’ulivo, simbolo di pace e di Gesù stesso.

La data della Domenica delle Palme

Proprio come la Pasqua, anche la data della Domenica delle Palme cambia ogni anno. Per noi che seguiamo il calendario gregoriano, la Domenica delle Palme si tiene tra il 22 marzo e il 25 aprile.

 

 

La Palma e la Fenice…martirio, vittoria e resurrezione I

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“Post fata resurgo” (“dopo la morte torno ad alzarmi” epiteto della fenice)

“..che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
erba né biada in sua vita non pasce,
 ma sol d’incenso lacrima e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce”.
(Inferno XXIV, 107-111, Dante Alighieri)

“Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nella mani” (Apocalisse 7,9)

“Perchè di tutti gli alberi, questo solo produce un nuovo ramo a ogni novilunio, così che nei dodici rami l’anno è completo ” (I Geroglifici 1,3)

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L’antica simbologia della palma del martirio e, in generale, la palma intesa come simbolo del Cristianesimo, si collega all’Oriente, cioè alla terra dove maggiormente si trova questo albero slanciato e vigoroso con possenti pennacchi di foglie disposti a raggio come quelli del sole. Si pensava che la pianta nel fiorire e generare i frutti (e quindi i semi) morisse: il legame con il martirio è quindi dovuto a una simbologia di sacrificio. Infatti nella simbologia cristiana, la palma è presente fin dall’epoca paleocristiana ed è legata a un passo dei Salmi, dove si dice che come fiorirà la palma così farà il giusto: la palma infatti produce un’infiorescenza quando sembra ormai morta, così come i martiri hanno la loro ricompensa in paradiso. Nella domenica detta appunto delle Palme la simbologia rimanda all’entrata trionfale di Gesù Cristo in Gerusalemme (Vangeli, Giovanni 12,13) ove fu accolto come Messia dalla folla festante che lo acclamò gridando Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore e agitando rami d’ulivo e di palma. Prefigurando in anticipo la Resurrezione dopo la morte. Ugualmente, la palma ha lo stesso valore di simbolo della resurrezione dei martiri. La palma del martirio si incontra su epigrafi sepolcrali, sarcofagi, affreschi, lastre e stemmi spesso unita al monogramma di Cristo. 
La pianta è anche immagine di Maria, madre di Gesù con riferimento al brano del Cantico dei Cantici ed alla Dea cartaginese Tanit (palma con due serpenti), chiari riferimenti al culto della Dea Madre e Albero della vita.

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(Simbolo di Tanit, museo punico, Libia. Dal sito Araldo De Luca.com)

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(Raffaello Sanzio, “Sacra Famiglia con Palma”

Ma il significato della palma si associa non solo al martirio ed alla resurrezione ma anche alla vittoria, all’ascesa, alla iniziazione e all’immortalità. La palma della dea Vittoria è un’iconografia nata in epoca romana e presso i Greci divenne il premio agli atleti per i giochi olimpici. Come rinascita iniziatica, la troviamo nel testo allegorico L’asino d’oro di Apuleio di Madaura (170 d.C.), dove assistiamo alla nascita iniziatica di Lucio, posto dinanzi al simulacro di Iside alla presenza del popolo, vestito di dodici veli unitamente al simbolo della palma: “Nella mano destra portavo una fiaccola ardente e una corona di foglie di candida palma, che stavano a guisa di raggi, mi cingeva magnificamente il capo. Ornato a somiglianza del sole e fermo come una statua, repentinamente tirati via i veli, il popolo mi veniva attorno per vedermi”.( Libro XI cap.24).

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Inoltre Apuleio fa narrare a Lucio che nelle processioni dei mistici figuranti gli dèi, Anubis scuoteva nel rito una palma nel guidare le anime: ” Portava con la sinistra un caduceo, nella destra scuoteva una verde palma “.

Si collega infine alla fenice con la funzione di albero della vita. L’iconografia e il simbolo della fenice sono stati associati alla palma sin dalla tradizione degli antichi egizi, e arrivati sino a noi attraverso il deposito culturale cristiano. La cultura cristiana ne ha fatto l’emblema del Cristo-sole risorto. La fenice posta sulla palma la ritroviamo a Roma nella basilica di Santa Prassede, nel catino absidale (817-824 d.C., immagine in alto) e precisamente sulla palma di sinistra, su un ramo volutamente più lungo e ritroviamo la fenice nimbata anche nella chiesa dei santi Cosma e Damiano (526-530 d.C.) nel catino absidale, nuovamente sul ramo lungo di una palma (vedi immagine sotto).

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“IL GIUSTO FIORIRÀ COME LA PALMA, CRESCERÀ COME IL CEDRO DEL LIBANO” (Salmo 92, 12-15)

William-Adolphe_Bouguereau_(1825-1905)_-_The_Palm_Leaf_(Unknown)

FONTE: https://psicologiaalchemica.wordpress.com/simboli-e-significati/la-palma-e-la-fenice-martirio-vittoria-e-resurrezione-i/

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

pantocràtore

pantocràtore agg. e s. m. [dal gr. παντοκράτωρ –τορος, comp. di παντο– «panto-» e tema di κρατέω «dominare»], anche con iniziale maiusc.

1. Che può tutto, onnipotente; l’appellativo, usato in età ellenistica come epiteto di varie divinità greche (Dioniso, Ermete, Ade), divenne, presso i cristiani orientali, attributo di Cristo quale signore del mondo.

2. Nell’arte bizantina, immagine del busto di Cristo benedicente con le tre dita della mano destra (secondo l’uso ortodosso), frequente nelle decorazioni musive delle cupole e dei catini absidali delle chiese, e anche soggetto tipico delle icone: il Cristo P. nella basilica di Santa Sofiail mosaico con l’immagine del Pnel duomo di Monreale.

FONTE: https://www.treccani.it/vocabolario/pantocratore/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Tutte le irregolarità del processo farsa per fare morire Gesù

Furono ventisette i divieti infranti dai giudici: le prove di una sentenza abborracciata, con un capo d’accusa grottesco

Che il processo di Gesù davanti al Sinedrio fosse stato una farsa non è invenzione degli evangelisti. Né fu un caso isolato, visto che l’ebreo Flavio Giuseppe narra di un tal Zacharias processato nel 67 d.C.

e lapidato nel Tempio quantunque riconosciuto innocente. Due storici ebrei nel 1877 si misero a spulciare il Talmud e, nel processo di Gesù, riscontrarono ben ventisette irregolarità, una sola delle quali sarebbe bastata a invalidarlo. Ecco le principali. La Legge giudaica vietava i processi notturni e nelle vigilie delle feste, e tra le sedute doveva correre almeno un giorno. Invece, Gesù è processato di notte davanti all’ex sommo sacerdote Anna, poi di nuovo all’alba da Caifa e alla vigilia di Pasqua. A casa di Caifa viene condannato a morte, sebbene tali condanne, rigorosissimamente, non potessero essere pronunciate che nella Sala delle Pietre Squadrate (detta Gazith) dentro al Tempio. Ogni testimone doveva essere ascoltato da solo, invece nel caso di Gesù finì a gazzarra. I membri del Sinedrio, settantuno, dovevano votare solennemente uno per uno, ma nel caso di Gesù si misero a urlare in coro «a morte!».Andiamo avanti. Il processo doveva iniziare con la comunicazione dei capi d’accusa all’imputato. Caifa, al contrario, interroga Gesù sulla di lui dottrina. Doveva essere giudice, invece si improvvisa pubblico ministero e pretende, per giunta, che l’imputato si accusi da solo. Gesù, infatti, gli fa presente che, secondo le regole, dovrebbe rivolgersi a chi ha ascoltato i suoi discorsi pubblici, non a lui. Per tutta risposta si becca una bastonata in faccia (come si vede dal naso rotto della Sindone) da parte di un lacchè ruffiano. Gesù sa bene che i sinedriti non hanno nulla in mano, per questo cercano di strappargli un’ammissione di colpa. Ridicolo, perché in un processo appena decente nessuno può essere obbligato a testimoniare contro se stesso. È per questo che, dal quel momento, Gesù si tappa la bocca. La apre col Sommo Sacerdote solo per ammettere che il Messia è lui, cosa sulla quale non può tacere e che non è certo un reato. Ma Caifa lo dichiara subito bestemmiatore e si straccia pure le vesti, fregandosene della Legge che vieta al Sommo Sacerdote anche solo di sporcarle.Gesù insomma è condannato a morte con sentenza abborracciata, in dispregio di ogni procedura e con un capo d’accusa grottesco. Già: se uno afferma di essere il Messia che si deve fare? Si va a scrutare le Scritture per vedere se il soi disant ha tutte le caratteristiche predette riguardo a tempi, luoghi e operato (Gesù le ha tutte e al millimetro, tra parentesi). Se non le ha, si tratta di un fanfarone megalomane, e va additato come tale al popolo. Ma fanfaronaggine e megalomania non sono reati capitali, specie se il Sedicente non ha mai fatto del male a nessuno. Gesù ha perfettamente capito che quel processo-farsa è stato imbastito da tempo e che serve solo a far fare il lavoro sporco a Pilato. Il quale verrà incastrato dai Sinedriti con la minaccia di un ricorso all’imperatore Tiberio se non li accontenta. Tiberio si è appena sbarazzato del suo primo ministro Seiano e sta eliminando tutti quelli che a costui devono il posto. Pilato è uno di questi e sa che Cesare sta solo aspettando un suo passo falso. E il passo lo fa, anche perché i furbi sinedriti gli hanno messo sotto al piede una saponetta di quelle che qualunque cosa fai sbagli. Gesù sta zitto anche con Pilato. Parla solo quando quello gli chiede se davvero è Re, e domanda che cosa intende: se vuol sapere se lui è un capo politico come dicono i sinedriti, la riposta è no; se la sua richiesta è invece sincera la riposta è sì, ma non «di questo mondo». E poi tace per sempre, perché vede che a Pilato la «verità» non interessa.Gli storici ebrei di cui dicevamo all’inizio hanno una storia curiosa. Si tratta dei gemelli Augustin e Joseph Lémann di Lione. Dopo gli studi rabbinici si convinsero che Gesù di Nazareth era davvero il Messia e chiesero il battesimo. Vennero picchiati per farli rinsavire, ma non ci fu niente da fare. Cacciati di casa, si fecero preti tutti e due e pubblicarono nel 1877 il saggio Valeur de l’Assemblée qui prononça la peine de mort contre Jésus Christ. La Libreria Editrice Fiorentina lo ha tradotto come L’assemblea che condannò il Messia. Storia del Sinedrio che decretò la pena di morte di Gesù (pagg. 130, euro 8). Il giorno in cui il Papa Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione c’erano loro due a servirgli la messa. Nella loro ricerca i Lémann rintracciarono anche i profili di oltre quaranta dei sinedriti di quella triste notte. Il Nuovo Testamento cita solo quelli che cercarono di far rispettare le regole, Gamaliele, Nicòdemo, Giuseppe di Arimatea (non a caso divenuti poi cristiani), signorilmente sorvolando sugli altri personaggi, il più pulito dei quali, come si suol dire, aveva la rogna. Per questi il Nazareno non poteva essere il Messia perché non rispettava il sabato e i lavacri rituali. Ma soprattutto non aveva mai rispettato loro.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/tutte-irregolarit-processo-farsa-fare-morire-ges-1238279.html

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