RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 27 MARZO 2020

https://www.idiavoli.com/it/article/ken-loach-contro-il-lavoro

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

27 MARZO 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

La nostra società ha prodotto una specie di ideologia della crisi,

un’ideologia dell’emergenza che lentamente e in modo impercettibile,

si è insinuata a ogni livello, dallo spazio pubblico alle sfere più intime e private.

BENASAYAG-SCHMIT, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli,2005, pag. 39

 

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SOMMARIO

Il S.OC.O.TE.F. e le carenze strutturali e manageriali della struttura produttiva italiana
SIAMO SICURI CHE LA CINA DICA LA VERITÀ?
CONTE CI REGALERÀ ANCHE UNA CARESTIA?
Gli aiuti russi e il nervo scoperto dell’Italia
KEN LOACH CONTRO IL LAVORO
Papa Francesco, il suo teologo sembra un eretico: nega addirittura la divinità di Cristo
Del Noce, Pansa, Scruton: bussole vive ancora oggi (oltre le celebrazioni)
Russi che muoiono a Londra. Ora la polizia inglese tratta la morte di Glushkov come omicidio
Rapporto dell’Ispettore Generale: ribaltato il Russiagate
Drammatico consiglio europeo su Covid-19. E’ scontro fra due visioni: eurobond contro linea di credito MES
La Fortezza Europa poggia sulla repressione violenta
Pensioni, cosa succede se a maggio l’INPS finisce i soldi: Tridico rimedia all’errore
TANTO PER RICORDARLO A QUALCUNO
La fiducia nelle Istituzioni ai tempi del Coronavirus
Sereni, Vidali e gli altri. La parabola “eccezionale” dei comunisti italiani

 

 

EDITORIALE

Il S.OC.O.TE.F. e le carenze strutturali e manageriali della struttura produttiva italiana

Manlio Lo Presti – 27 marzo 2020

La cosiddetta pandemia, di cui sono ancora e per molto tempo in evidenza moltissimi punti oscuri, continua ad essere gestita all’insegna  del caos e dell’urgenza-fate-presto: un mantra che conosciamo molto bene e che finora ha portato male,  molto male alla ex-italia.

Non deve perciò sorprendere se prosegue l’alluvione di:

  1. notizie, ovviamente contrastanti fra loro;
  2. relazioni scientifiche, sempre in contrasto fra loro;
  3. finte schermaglie di una opposizione imbalsamata che tenta di dire qualcosa sapendo che si tratta di uno scontro fra titani per rimescolare le carte della geopolitica attuale;
  4. l’attuale governo Badoglio 2.0 che agisce da solo e malgrado le esortazioni felpatissime dell’effervescente Morphing del Colle
  5. il commissariamento sfacciato e vergognoso dell’Italia da parte dello spin doctor dell’O.M.S. Organizzazione Mondiale della Sanità, certo Walter Ricciardi, che è l’unico DOMINUS e COMANDANTE IN CAPO che detta

esecutivamente,

militarmente,

germanicamente,

gerarchicamente,

dettagliatamente,

duramente

OGNI DECISIONE CHE BADOGLIO 2.0 prende, con il piglio di Atlante che regge il globo, credendosi e atteggiandosi  a Churchill. Unica eccezione:  il premier de’ noantri non va fra le rovine di una Roma livida, dilaniata  e bombardata da grappoli di bombe cadute dal cielo.

La presenza dello gnomo dell’O.M.S. evidenzia per l’ennesima volta, la storica impossibilità del nostro Paese di poter scegliere una propria strategia autonoma sia in campo interno sia – e soprattutto – in campo internazionale! Evidenzia altresì la ignobile incapacità del ridetto governicchio Badoglio 2.0 e della quasi totalità della attuale gang politica di serial killer contro la popolazione italiana di potersi opporre perché tutti  collusi e soprattutto ricattati per oscuri e precedenti “commerci” che hanno finanziato e consentito la loro ascesa.

Non sappiamo se gli altri Paesi d’Europa hanno un identico SUGGERITORE IN BUCA che detta brutalmente e tassativamente le linee operative dei governi .

A nessuno interessa indagare per la figuraccia che ne deriverebbe. Ho speranza che qualche giornalista abbia l’intenzione di verificare la presenza di questi TECNO-GESUITI vers. 2.0, missi dominici del S.OC.O.TE.F. –  SACRO OCCIDENTALE ORDINE TECNOTRONICO FINANZIARIO, la cui dislocazione nelle cancellerie europee ricorda quella dei gesuiti sparsi furbescamente nei gangli del potere dell’Europa del Settecento…

Il caos attuale ha ripercussioni molto gravi sulla economia italica.

Pone tuttavia in evidenza le storiche e secolari carenze strutturali della produzione di beni e servizi causate e perduranti per la persistenza di comportamenti organizzativi e gestionali paternalistici chiusi all’aggiornamento tecnico e al reinvestimento tecnologico dei profitti. Un sistema fragile perché continua a praticare l’ignobile vizietto della esportazione e il riciclaggio all’estero di capitali e di finanziamenti pubblici, grazie ai buoni uffici di due staterelli alberganti dentro il territorio, di una antica e collaudata “Confederatio” al nord. e di altri due staterelli europei , uno dei quali ha fornito uno specchiato e prestigioso presidente – da poco uscente – alla beneamata Unione europea.

Familismo gestionale, chiusura a nuovi soci, assenza di risparmi aziendali utili ad affrontare le congiunture negative sono i mali quasi secolari della nostra economia che dimostra – salvo alcuni lodevoli casi – di essere gracile.

Questa temperie distopica dovrebbe essere l’occasione meravigliosa per dismettere atteggiamenti imprenditoriali appena descritti allo scopo di eliminare la cultura del piagnisteo in favore di una salutare prontezza di riflessi nella ricerca di soluzioni nuove, di mercati nuovi, di atteggiamento pianificatore di medio e lungo periodo e non di cronica improvvisazione.

Cosa avviene adesso?

Si è aperta la caccia e l’accaparramento delle provvidenze del governo, poi-si-vede.

Riemerge la logica della improvvisazione e dello sciacallaggio. Un comportamento disdicevole che  l’italico esercita con una agilità da giaguaro. Magari tale ferina e felina destrezza la avesse utilizzata per pianificare in tempi non sospetti strumenti per gestire senza danni contingenze negative e cicli economici avversi!

Infine, non va dimenticato il ruolo attrattivo e riciclatore delle otto mafie operanti indisturbate nel territorio italico e prontissime ad intercettare e riciclare una ampia fetta dei miliardi che arriveranno a pioggia, ed erogati senza essere ancora una volta collegati ad una preciso vincolo di destinazione per averne l’uso.

P.Q.M.

Non credo che ci sarà una occasione di mutamento di atteggiamento imprenditoriale capace di elaborare strategie di medio/lungo periodo.

Rimane in piedi l’Italia

  1. piagnona per avere finanziamenti senza precisi requisiti di accesso,
  2. improvvisatrice,
  3. attentissima al vento monetario che tira,
  4. vigile al vento politico trasformista, affarista, ricattato e corrotto del momento.

 

FRANZA O SPAGNA, BASTA CHE SE MAGNA

 

Continuiamo a suonare la marcetta paesana nazionale,

in nome di una unità che nei fatti concreti non è MAI esistita

a causa di una LINEA GOTICA che non mai caduta.

 

 

 

IN EVIDENZA

SIAMO SICURI CHE LA CINA DICA LA VERITÀ?

NEGLI ULTIMI TRE MESI SONO SCOMPARSE 21 MILIONI DI UTENZE TELEFONICHE NEL PAESE DEL DRAGONE. DOVE SONO FINITE? – I DUBBI DEL GIORNALE NEWYORCHESE ‘EPOCH TIMES’: NON È CHE I NUMERI SUL CORONAVIRUS SONO MANIPOLATI? IN CINA SENZA CELLULARE NON SI PUÒ FARE NIENTE E DURANTE LA QUARANTENA SEMMAI LE UTENZE SAREBBERO DOVUTE AUMENTARE…

25.03.2020 – Gabriele Carrer per www.formiche.net

Sono ormai diversi giorni che l’Italia ha superato la Cina, epicentro del coronavirus, per numero di vittime (non di contagi). Ma possiamo davvero fidarci dei numeri del regime di Pechino? Ce lo eravamo chiesti su Formiche.net dopo che perfino il presidente statunitense Donald Trump era sembrato molto scettico e che alcuni media asiatici avevano raccontato di cifre “manipolate in tempo per la visita del presidente Xi Jinping”.

Ora a seminare nuovi e inquietanti dubbi ci ha pensato The Epoch Times, testata newyorchese fondata da un gruppo di cinesi associati ai Falun Gong e vicini all’amministrazione Trump. L’analisi ruota attorno alle utenze telefoniche: infatti, in Cina il cellulare è fondamentale per servizi come i biglietti dei treni e lo shopping ma anche per le pensioni. E da dicembre è obbligatoria la scansione facciale per confermare l’identità della persona che ha registrato l’utenza.

Come ha spiegato al giornale il commentatore Tang Jingyuan, non importa che cosa tu voglia fare, in Cina hai sempre bisogno di usare il cellulare. Soprattutto in tempo di coronavirus: “Il regime cinese richiede a tutti i cinesi di utilizzare il proprio cellulare per generare un codice sanitario. Solo con un codice sanitario verde è permesso ai cinesi di spostarsi in Cina ora. È impossibile per una persona cancellare il suo cellulare”, ha spiegato Tang Jingyuan.

Ma le autorità di Pechino il 19 marzo hanno dichiarato che il numero di utenze di telefoni cellulari cinesi è diminuito di 21 milioni negli ultimi tre mesi. Gli ultimi dati rilasciati dal ministero dell’Industria e della tecnologia informatica il 19 marzo scorso gettano lunghe ombre. Rispetto a tre mesi prima il numero di cellulari è calato di 21,03 milioni passando da oltre 1,60 miliardi a meno di 1,58. In diminuzione anche il numero di utenze fisse: da 190,83 milioni a 189,99, in calo di 840.000 unità. Anche guardando le statistiche di un anno prima c’è qualcosa che non torna: infatti, a febbraio 2019 sia le utenze fisse che quelle mobili erano in aumento (le prime di 6,6 milioni, le seconde di 24,37).

Tutto dipende da un calo demografico? No, visto che la popolazione cinese è aumentata nel 2019 di 4,67 milioni rispetto all’anno precedente superando 1,4 miliardi, stando alle statistiche ufficiali. Se il crollo di linee fisse può essere legato alla chiusura di aziende a causa della quarantena, difficili da spiegare sono i numeri dei cellulari. China Mobile, che ha il 60% del mercato, ha perso 0,862 milioni di utenti a gennaio e 7,254 a febbraio. China Telecom, invece, ne ha persi 0,43 e 5,6 milioni. China Unicom non ha ancora pubblicato i dati di febbraio ma a gennaio ha perso 1,186 milioni di utenti.

The Epoch Times – che dichiara di parlare del coronavirus come del CCP virus per le responsabilità del Partito comunista cinese – fa il paragone tra Italia e Cina, spiegando che, alla luce dei dati nel nostro Paese, il bilancio di Pechino appare “significativamente sottostimato”. Ci possono essere diverse spiegazioni del crollo di utenze mobili. Per esempio la decisione dei cinesi di abbandonare quelle usate per lavoro mantenendo soltanto quelle domestiche. Ma visto che il regime ha dichiarato che il 90% delle aziende del Paese, tranne che nell’Hubei, è tornata a lavorare a pieno ritmo, questa spiegazione perde quota. Inoltre, le scuole chiuse e la scelta della tele-didattica avrebbero dovuto sostenere un aumento delle utenze.

Ricordate Li Zehua, ex giornalista di CCTV arrestato dai servizi di sicurezza cinesi? Prima che venisse arrestato e fatto sparire era andato nella comunità di Baibuting di Wuhan, un’area colpita in modo particolarmente duro dall’epidemia. Aveva trasmesso in streaming una storia il 18 febbraio da un crematorio: spiegava come gli inservienti venivano assunti ad alti salari per trasportare i cadaveri.

La mancanza di trasparenza da parte del governo di Pechino ha già causato l’esplosione dell’epidemia in tutto il mondo. Ora lascia che crescano dubbi sulla sorte di quei 21 milioni di cinesi.

https://m.dagospia.com/siamo-sicuri-che-la-cina-dica-la-verita-negli-ultimi-3-mesi-sono-scomparse-21mln-di-utenze-telefo-231188

 

 

 

 

CONTE CI REGALERA’ ANCHE UNA CARESTIA?
Maurizio Blondet 27 Marzo 2020

Giungono notizie, sempre più frequenti, di coltivatori multati da polizia e carabinieri perché preparano il terreno per la semina, essendo ciò considerato dal governo una attività non di prima necessità , quindi vietata dalla gragnuola di decreti sempre più truculenti emessi da Conte e dalla sua ministra di polizia.

La Regione Sardegna ha emanato addirittura una grida in cui commina pene e multe la conduzione hobbistica di orti vigneti e ortofrutta; e non vale giustificarsi dicendo che certe attività sui campi si devono fare; vengono vietati espressamente “gli interventi agronomici non rinviabili”.

La grida sarda. Ovviamente imposta dall’assessore ecologico
Anche se poi la grida, come previsto dal Manzoni, è stata addolcita, anche più assurdamente: si può andare nel proprio orto, purché “da soli” (e va bene) e “solo una volta al giorno”.

https://www.youtg.net/primo-piano/24076-contrordine-in-sardegna-si-potranno-curare-orti-e-vigne-una-volta-al-giorno-e-da-soli

Ma questo addolcimento vale solo per la Sardegna, quasi certamente dovuto al fatto che ogni contadino sardo ha in casa la doppietta caricata a pallettoni per il cinghiale. Nel resto d’Italia non si può coltivare, perché il governo giudica la produzione agricola “non essenziale”.

Ciò che conferma in modo scultoreo il detto di Ortega y Gasset: che l’uomo massa europeo vive nella civiltà credendo che sia la natura. I neo-primitivi che infarciscono il governo Conte chiaramente sono convinti che zucchine e cavolfiori, provole e bistecche e surgelati siano prodotti spontaneamente dai banchi dei supermercati. O sono animati da uno spirito ancora peggiore?

Ricevo da un lettore questa lettera:

“le riferisco questa perla.

Noi in Romagna non siamo urbanizzati come da lei a Milano e siamo molti che integriamo la dieta con verdure autoprodotte stante la disponibilità maggiore di orti che non in metropoli.

Ai commercianti è stata interdetta la vendita di sementi e piantine ortofrutticole grazie a Conte e suo decreto 22 marzo.

Incredulo ho chiesto spiegazione al negozio dove mi reco di solito. La risposta della signorina gentile, è stata che le sementi orticole non sono prima necessità ; ma possono venderci cibo per animali domestici.

Inoltre niente vendita di terriccio, concimi, fitosanitari attrezzi a mano legati all’attività orticola.

Basito e senza parole ho balbettato qualcosa come il fatto che ora è il periodo per queste attività. La natura ha i suoi tempi di rispetto… la signorina mi ha risposto che vedremo e speriamo dopo il sei aprile di riavere il permesso.

Mi viene alla mente il direttore quando scriveva su Effedieffe ripreso poi anche da Rischio Calcolato, sull’Ucraina del 1932 e la tremenda crisi alimentare indotta da Stalin e costata milioni di morti.

Come allora sequestrarono ai contadini piccoli proprietari le sementi.

Altra riflessione e sulle tabaccherie. Le sigarette fonte notevole di gettito per il fisco si possono vendere. Piantine di Spinaci e pomodori che rendono allo stato una imposta ridicola sono vietate.

E se nei prossimi mesi che si prevedono di miseria, avremo bisogno anche dei prodotti dell’orto per mangiare? Mi risponderà il direttore che possiamo sempre mangiare il cibo per il gatto (la vendita non è vietata) e in ultimo anche lo stesso felino!

Vede Direttore quando ha definito Conte Gualtieri e tutti gli altri crudeli oltre che incompetenti si sbagliava e di molto. Sono molto peggio.

Non solo hanno messo agli arresti domiciliari gli italiani senza ottusamente distinguere che le misure vanno modulate sulla densità abitativa, imponendo a tutti la stessa restrizione come se i centri abitati piccoli sparsi in Padania e Romagna fossero come Milano o Roma.

Questi badano solo ed esclusivamente al denaro e alle entrate fiscali! Stamane sono passati con l’auto e altoparlanti minacciando sanzioni e denunce. Se esco di casa, e posso pedalare per km incrociando quattro persone in tutto perché non vivo a Milano ma in provincia, rischio fino a tremila euro e denuncia quando il rischio di infettare o essere infettato è praticamente zero.

In fila dal tabaccaio dove possiamo infettarci è permesso, basta che compro le sigarette lucrose per il fisco.

Ci mettono restrizioni inutili dove non servono fingendo il nostro bene ma non le mettono dove il fisco incassa.

Nei palazzi siedono persone che detestano quei piccoli e umili, che si armeggiano a piantare una fila di patate o di spinaci o pomodori per mangiare e risparmiare.

Detestano i poveri, i senza-denti come li chiamava Hollande, quando agiscono in autonomia e non dipendono da lorsignori in piccole cose come un orto.

Ai loro occhi è qualcosa di patetico e ridicolo un anziano, un disoccupato, che cura il suolo, innaffia e cura un orto. Piccole attività che ti slegano dallo stendere la mano e dipendere in tutto e per tutto da lorsignori.

Perché lorsignori nella loro vita non hanno mai fatto un lavoro necessario a soddisfare un bisogno elementare come dare da mangiare ai polli o piantare patate o rovistare fra gli scarti dei mercati generali o pulire il gabinetto pubblico. Considerano ciò come un qualcosa da disprezzare. Se mai lorsignori prendono un attrezzo da lavoro è per essere ammirati dal mondo in superflue occupazioni del tempo libero, mica per soddisfare la fame.

Lorsignori che sono misericordiosi con gli africani sulle navi delle ONG solo se c’è presenza di giornalisti e fotografi.

Lorsignori che fingono di occuparsi dei problemi del popolo non certo per pietà cristiana ma per ego narcisistico, finendo poi di trascurare il popolo in favore di “diritti” di clandestini, di depravati e debosciati (altra categoria di narcisi).

E termino con la chiosa del suo pezzo su “noi italiani eravamo i primi nel superfluo”: lorsignori si gettano con entusiasmo nei “diritti” superflui per i pochi affini a loro e trattano con malcelata pesantezza come un dovere d’ufficio il necessario e indispensabile per i molti.

Infatti dopo settimane, ancora mancano le mascherine; ci fanno mancare le sementi ma non mancano fogli di carta per autocertificare che mi reco nell’orto.

Un saluto con il cuore pieno di desolazione.

Davide G. (Lettera firmata)

Vogliono vietare l’autonomia alimentare
Sì, caro lettore : quello che colpisce in questo genere di divieto delle attività agricole anche hobbistiche, non giustificabile con un reale pericolo di infettare qualcuno: nei campi è ovvio tenere le distanze, è l’intento particolarmente malevolo: il potere vuole colpire, deliberatamente, la possibilità di chi vive nei campi di rendersi autonomo sul piano alimentare, di saper rendersi libero dal bisogno basilare, nutrire sé e la propria famiglia senza dipendere.

Si vede qui come l’agricoltore fondi, crei e protegga la libertà primaria, da cui la libertà politica; e perché nei secoli sono stati i contadini (o i nobili sulla terra, d’origne contadina) a insorgere e ribellarsi contro l’oppressione. Fino ai Kulaki dell’Ucraina che ricorda il lettore, e che il Partito dovette “eliminare come classe” (genocidio), e quando i poliziotti del Kgb gli portavano via le sementi sostenendo che le sottraevano agli ammassi, provavano a dire che l’anno prossimo, nemmeno loro, gli agenti, avrebbero mangiato. Era l’espressione della responsabilità che ogni contadino sente nel profondo del suo animo: “Nutrire anche gli altri” .

Oggi, il governo neo-primitivo, altrettanto oscuramente sente che per renderci schiavi davvero, deve togliere ai coltivatori – anche quelli della domenica – la libertà di seminare l ‘orto e il vigneto.

Il governo neo-selvaggio sta per regalarci anche una carestia. In aggiounta alla pestis, la famis.

Il notiziario della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) sta lanciando l’allarme:

“La GDO sta iniziando a ricevere e-mail dai fornitori il cui tenore è il seguente: non ti posso promettere le forniture per le promozioni e probabilmente non le posso garantire nemmeno per le vendite senza sconti promozionali. Tradotto: gli scaffali iniziano a svuotarsi.

Diversi prodotti sono introvabili da molto tempo, da quelli non alimentari di sanificazione sino a quelli alimentari del mondo del Grocery come le farine, e diversi prodotti freschi e freschissimi. Le carni sono sotto forte stress, molte aziende si sono ritrovate con vendite abnormi e non sono in grado di sopportare lo stress dei sell out che in due settimane hanno raggiunto livelli impensabili. Le ultime notizie danno in difficoltà anche (cosa assurda) le categorie del dolciario e della pasta di semola: sono diverse le aziende che non riescono a rispettare l’integrità delle evasioni degli ordini della GDO.

Non è tutto: anche i produttori della MDD stanno iniziando ad andare i tilt ed anche quella parte dell’offerta sta iniziando ad essere in affanno”.

MDD sta per “Marca del Distributore”, sono quei prodotti senza logo di prestigio, che sono nati come alternativa più economica della grandi marche note.

Quindi il governo neo-primitivo, capace di punire il coltivatore per hobby ma non di disciplinare gli accaparratori nei supermercati, sta preparandoci : 1) sparizione di alimenti, 2) rincari degli alimentari, ossia della spesa dei più poveri, 3) la carestia quando l’effetto del divieto di dissodare, seminare, sarchiare avrà avuto il suo effetto: i mancati raccolti.

Già ora imprese agricole del Sud (ma non solo) si chiedono se, visto che non arriveranno gli africani e i romeni che (crudelmente sfruttati) per il raccolto, forse non gli conviene nemmeno seminare.

I neo-primitivi al governo lo devono sapere, ma evidentemente se ne infischiano. Eseguono il programma: quello che cerca di scongiurare l’invocazione medievale, “A peste, fame et bello libera nos Domine”. Alla peste – mai sprecare una crisi – hanno aggiunto la fame, e anche la guerra, fra europei, perché questo è lo scontro in corso.

Intanto si apprende che Angela Merkel, sta pensando di mobilitare, come mani per i raccolti, “gli studenti e i richiedenti asilo”.

https://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/503099/Merkel-will-Asylbewerber-und-Studenten-zur-Feldarbeit-heranziehen

La Merkel: gli studenti a fare il raccolto
Infatti il divieto d’ingresso dei lavoratori stagionali, che per la Germania vengono dall’Europa orientale. porta a drammatici colli di bottiglia in agricoltura.

“La situazione del personale qui a volte è molto tesa”, ha dichiarato la ministro dell’agricoltura Julia Klöckner. Secondo Klöckner, saranno necessari 30.000 lavoratori aggiuntivi a marzo e 80.000 a maggio. Anche i mattatoi e i caseifici che fanno affidamento su pendolari della Repubblica Ceca o della Polonia sono gravemente colpiti.

Il punto, scrive il DWN, è che anche “le rotte globali di approvvigionamento alimentare sono attualmente sotto pressione a causa di quarantene, restrizioni di export e chiusura forzata di eventi e centrali di trasporto, come i grandi porti. I primi paesi asiatici hanno imposto il divieto di esportare alimenti di base come il riso, ha detto Klöckner giovedì. L’Iraq, d’altra parte, sta cercando un milione di tonnellate di grano e 250.000 tonnellate di riso. Il Vietnam, terzo paese esportatore di riso e il Kazakistan, esportatore di grano hanno annunciato restrizioni all’esportazione. Anche l’India sta limitando le esportazioni di riso perché il paese è praticamente sotto coprifuoco. Il prezzo del grano è salito ai massimi livelli dal 2013. Alla borsa di Chicago, la consegna del grano costa circa il dieci percento in più rispetto a una settimana fa”.

Gli studenti al posto dei negri o degli ucraini, chini a raccogliere i pomodori o i cavoli, quanto sarebbe educativo per loro. Ma non per il popolo neo-primitivo italiano, che approva all’84% le azioni di Conte.

FONTE:https://www.maurizioblondet.it/conte-ci-regalera-anche-una-carestia/

 

 

 

Gli aiuti russi e il nervo scoperto dell’Italia

Paolo Mauri
26 MARZO 2020

Mentre scriviamo un convoglio di attrezzature speciali con specialisti militari del ministero della Difesa russo sta viaggiando dalla base aerea di Pratica di Mare, nei pressi di Roma, verso Bergamo per aiutare a combattere la diffusione dell’infezione da coronavirus. I mezzi speciali e l’equipe medica di Mosca sono arrivati a partire da domenica, quando il primo cargo Ilyushin Il-76MD delle Forze Aerospaziali Russe (le Vks – Vozdušno-Kosmičeskie Sily) è atterrato all’aeroporto militare laziale scaricando uomini e materiali. In totale la Russia ha effettuato 15 voli di cui l’ultimo arrivato proprio oggi, come riportato in una nota ufficiale.

Il contingente russo è guidato dal maggior generale Sergey Kikot, esperto di antrace e vice capo di Stato maggiore del comando difesa Nbcr (Nucleare Batteriologico Chimico Radiologico) della Federazione Russa, ed insieme a lui altri 120 specialisti che, come riporta anche La Stampa, hanno i gradi di generali, colonnelli, maggiori, tenenti colonnelli, impegnati in passato in operazioni militari di contenimento del rischio batteriologico all’estero e in patria, come avvenne nel 2016 per contrastare la diffusione di un’epidemia di antrace nella regione di Yamal-Nenec, nella Siberia centro settentrionale.

Gli aiuti russi sembra che consistano in cento ventilatori per le terapie intensive, 200mila mascherine, mille tute protettive, e soprattutto apparecchiature per le analisi della positività al virus. Due macchine che possono processare cento tamponi in un paio d’ore, un migliaio di tamponi veloci (2 ore) e 100mila tamponi normali. Queste, secondo le prime indiscrezioni, le forniture “a titolo gratuito” di Mosca anche se, come riportato sempre dal quotidiano torinese, l’elenco preciso del materiale verrà reso pubblico solamente domani da Palazzo Chigi.

Insieme al materiale si sono visti anche mezzi per la disinfezione del tipo KDA “Orlan”, facenti parte della colonna, composta da 22 unità di equipaggiamento speciale russo nonché autobus con specialisti militari e veicoli di scorta e supporto tecnico forniti dall’Italia, che in queste ore è diretta a Bergamo, e che sono stati utilizzati per la prima volta dai russi proprio durante l’emergenza antrace del 2016.

Un aiuto importante da parte di Mosca quindi, un aiuto che non può che essere di tipo militare dato che anche in patria, come abbiamo visto, l’esercito è chiamato a fronteggiare emergenze di carattere batteriologico. Per la prima volta nella storia mezzi e personale di una potenza che è stata nemica per 70 anni, si muovono sul territorio italiano per portare aiuto alla popolazione e al personale medico che è alle prese con la lotta al virus.

Un aiuto portatoci non solo per puro altruismo. È evidente. Innanzitutto la Russia, grazie all’esperienza sul campo che faranno i suoi esperti militari, sarà in grado di fronteggiare meglio il possibile esplodere del contagio tra i suoi confini, che, come abbiamo già avuto modo di dire in precedenza, sono stati sì blindati, ma potrebbe comunque non essere un provvedimento sufficiente per evitarne una futura incontrollata diffusione.

Proprio il ministero della Difesa russo, in queste ore, ha tenuto una riunione al vertice, a cui ha partecipato anche il presidente Vladimir Putin e altre massime cariche militari, per stabilire il piano di azione per salvaguardare non solo il sistema della Difesa della Federazione ma anche per stabilire gli eventuali piani d’azione per combattere una diffusione su vasta scala. Nella nota ufficiale si legge infatti che “lo scopo dell’audit è aumentare il livello di prontezza delle unità per risolvere, se necessario, i compiti per combattere l’infezione da coronavirus” e che saranno effettuate verifiche per un piano d’azione su due livelli: un primo di carattere esclusivamente militare atto a creare una zona batteriologicamente sicura di primo ingresso, ovvero “per eliminare le conseguenze della lotta contro le malattie nei luoghi di spiegamento del personale militare” ed un secondo in cui le unità mediche speciali dell’esercito, insieme ad altre unità militari regolari e della riserva saranno impiegate entro due giorni per combattere la diffusione del virus.

Proprio in questo senso l’esperienza che i 120 specialisti “con le stellette” russi si faranno in Italia ed in particolare a Bergamo, ovvero in quel territorio che è attualmente il focolaio maggiore dell’epidemia in Italia, sarà preziosa per Mosca e contribuirà a determinare i protocolli d’azione per il contenimento di un patogeno di questo tipo, ben diverso rispetto all’antrace o ad altri ancora più letali. Non è forse un caso che la destinazione originaria, Sondalo in Valtellina, sia stata cambiata dopo poche ore a seguito della riunione con le autorità militari e di Protezione Civile italiane tenutasi ieri a Roma.

Per quanto riguarda le finalità di più lungo periodo si apre una parentesi molto più complicata e che ha dei risvolti di sicurezza nazionale da non sottovalutare, ma che non c’entrano affatto con la possibilità che i militari russi possano andarsene “a zonzo” per il nord Italia a sbirciare nelle nostre basi ed in quelle della Nato. Un’ipotesi che non trova riscontri in quanto il personale di Mosca è stato fatto alloggiare in una base militare proprio per tenerlo sotto sorveglianza, e con ogni probabilità alloggerà in campi o strutture messe a disposizione dalla Difesa altrettanto sorvegliate. L’idea poi, in un regime di quarantena, che un militare russo possa allontanarsi dalle strutture sanitarie per intraprendere un lungo viaggio verso Ghedi o Solbiate Olona (le due basi più vicine a Bergamo) è molto irrealistica, e crediamo comunque che sia stata presa in considerazione come lontana eventualità dal nostro controspionaggio.

Il vero problema, semmai, è quello di mostrare la debolezza di un intero sistema sanitario nazionale, che non è solo italiano ma di quasi tutto l’occidente. Potrà sembrare strano, ma le strutture sanitarie ed il livello di preparazione medica di un Paese è altamente tenuto in considerazione dai servizi segreti delle potenze mondiali perché se ne può dedurre la capacità di affrontare emergenze nazionali e la stessa capacità di resilienza del sistema Difesa. Periodicamente la Cia, insieme ad altri enti come il poco conosciuto National Center for Medical Intelligence (Ncmi), stilano rapporti sulle capacità sanitarie delle varie nazioni “sotto osservazione”, e non si parla solo di quelle ostili o potenzialmente tali.

L’aver accettato l’aiuto russo, può potenzialmente aver palesato tutte le nostre carenze in questo senso davanti a degli osservatori sul campo che, una volta tornati in patria, verranno sicuramente chiamati a fornire dati e rapporti dettagliati su come l’Italia sta affrontando l’emergenza di un’epidemia, che, lo ricordiamo, è tra le possibili minacce di un attacco da parte di terroristi o da parte di agenti statuali, sempre nel quadro della biological warfare.

Per capire meglio quali possano essere le nostre criticità, e quelle del sistema sanitario occidentale, dobbiamo soffermarci sulla lettera spedita al New England Journal of Medicine dai medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo di cui vi riportiamo alcuni ampi stralci. “La situazione è così grave che siamo costretti a operare ben al di sotto dei nostri standard di cura. I tempi di attesa per un posto in terapia intensiva durano ore” si legge, e ancora “nelle zone circostanti la situazione è anche peggiore. Gli ospedali sono sovraffollati e prossimi al collasso, e mancano le medicazioni, i ventilatori meccanici, l’ossigeno e le mascherine e le tute protettive per il personale sanitario. I pazienti giacciono su materassi appoggiati sul pavimento. Il sistema sanitario fatica a fornire i servizi essenziali come l’ostetricia, mentre i cimiteri sono saturi e (l’accumulazione dei cadaveri, ndr) crea un ulteriore problema di salute pubblica. Il personale sanitario è abbandonato a se stesso mentre tenta di mantenere gli ospedali in funzione. Fuori dagli ospedali, le comunità sono parimenti abbandonate, i programmi di vaccinazione sono sospesi e la situazione nelle prigioni sta diventando esplosiva a causa della mancanza di qualsiasi distanziamento sociale”.

Una situazione che il personale russo toccherà presto con mano, almeno per quanto riguarda quella degli ospedali, e che dimostra come l’organizzazione sanitaria italiana, ma anche quella occidentale, abbia bisogno di un cambio di paradigma. Sono gli stessi medici bergamaschi a riferirlo quando scrivono “i sistemi sanitari occidentali sono stati costruiti intorno al concetto di patient-centered care (un approccio per cui le decisioni cliniche sono guidate dai bisogni, dalle preferenze e dai valori del paziente, ndr). Ma un’epidemia richiede un cambio di prospettiva verso un approccio community-centered care. Stiamo dolorosamente imparando che c’è bisogno di esperti di salute pubblica ed epidemie”. Un atto di denuncia gravissimo per il peso che comporta proprio in merito alla necessaria ridefinizione di tutto un sistema sanitario.

Una criticità condivisa da altre nazioni occidentali, come ad esempio dagli stessi Stati Uniti. Come abbiamo avuto modo di riportarvi in precedenza proprio negli Usa una commissione di inchiesta, la Bipartisan commission on biodefense, ha recentemente accertato che “molti ospedali e altre entità sanitarie operano al di sopra e spesso al di là delle proprie capacità, cercando di soddisfare le esigenze delle comunità in cui agiscono. Non possiedono la capacità superiore necessaria per rispondere a eventi biologici su larga scala”. Nemmeno oltre Atlantico quindi il sistema sanitario è basato su quella dottrina definita community-centered care se non è in grado di affrontare eventi biologici su larga scala, ed il personale russo, “sbirciando” da noi, potrebbe farsi un’idea sommaria di quanto avvenga in tutta la sanità dell’Occidente.

Gli aiuti, che vengano dalla Russia, da Cuba o dalla Cina, non sono mai a titolo gratuito: hanno sempre un prezzo da pagare che sia di tipo indiretto, ovvero dato dalla possibilità di lasciare aperto uno spiraglio sulla nostra società, sistema militare o sanitario, o di tipo diretto riguardante le future implicazioni diplomatiche che ne conseguiranno. La strategia russa, ma anche cinese, è sempre quella di cercare di disgregare l’unità di intenti in Europa e di allontanarla, per quanto possibile quindi attualmente scarsamente, dall’influenza statunitense. In questo senso l’Italia, come è stato già detto, rappresenterebbe il “ventre molle” dell’Europa ma solo se la gestione di certi meccanismi diplomatici che vanno controtendenza viene fatta con scarsa lungimiranza e superficialmente, senza un piano strategico di medio lungo periodo, che vorrebbe dire far diventare il nostro Paese un vaso di coccio tra i vasi di ferro di Cina, Russia e Stati Uniti.

https://it.insideover.com/guerra/il-virus-gli-aiuti-russi-ed-il-nervo-scoperto-dellitalia.html

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

KEN LOACH CONTRO IL LAVORO

L’ultimo film di Ken Loach, “Sorry, we missed you”, è l’ennesimo atto d’accusa al sistema capitalistico. Ma stavolta, rincarando la dose di “Io, Daniel Blake”, il regista britannico dipinge un contesto societario impietoso nella sua irreversibilità, all’insegna del system failure e in cui è impossibile persino intravedere un orizzonte progressivo di conflitto e rivendicazione. Forse.

UK, oggi. Ricky, Abby e i loro due figli – l’adolescente Sebastian e l’undicenne Liza Jane – vivono a Newcastle, dove Andy Capp non abita più. Abby fa assistenza a domicilio per persone anziane e disabili, Ricky ha fatto il muratore, l’idraulico, il giardiniere e un’altra mezza dozzina di impieghi.

Entrambi si sbattono senza respiro, eppure i soldi per comprarsi una casa rimangono un miraggio. Almeno fino a quando Ricky non sembra aver trovato la svolta giusta: “mettersi in proprio” lavorando come corriere per una società di logistica. Maloney, il capo, al colloquio gli ha spiegato che da loro funziona tutto in completa autonomia, scegliendo turni e disponibilità, e soprattutto che arricchirsi è solo una questione di risolutezza: più consegne fai, spaccando sempre il minuto, più guadagni.

Ricky allora convince Abby a vendere la loro unica macchina per comprarsi il furgone, torna da Maloney, e comincia. Ma prima di partire, il gesto di un collega che gli allunga una bottiglietta di plastica vuota sussurrandogli «ti servirà», suona come la sirena di un miserabile destino.

Ricky scoprirà presto di non avere neanche il tempo per pisciare, che se vuole saltare un turno deve trovare prontamente un sostituto o gli scaleranno i soldi dalle provvigioni, e che consegnare merci nell’epoca della gig economy è un fottuto Vietnam.

L’ultimo film di Ken Loach, Sorry, we missed you, è l’ennesimo atto d’accusa al sistema capitalistico. Ma stavolta, rincarando la dose di Io, Daniel Blake, il regista britannico dipinge un contesto societario impietoso nella sua irreversibilità, all’insegna del system failure e in cui è impossibile persino intravedere un orizzonte progressivo di conflitto e rivendicazione.

La ragione di Maloney
Il personaggio del direttore di Ricky, un Kapò al servizio delle big platform, è l’emblema di un mondo in cui la ragione neoliberista si è saldata ai nuovi dispositivi di controllo, il tutto suffragato dalla retorica della gamification.

Scrive Roberto Ciccarelli nel suo ultimo libro Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale (DeriveApprodi, 2018):

«la violenza prodotta dall’alienazione della forza lavoro (oggi) è rovesciata in un impensabile opposto: il gioco. Pur essendo sempre più povero, e sganciato da una retribuzione continua, il lavoro è inteso come un passatempo, un’erogazione aristocratica del tempo di vita senza fini di lucro, una formazione continua in vista di un reddito che non arriverà mai».

E ancora:

«il lavoratore è associato alla figura del giocatore, non a quella del prestatore d’opera o del cittadino titolare di un contratto di lavoro, diritti e tutele. Questa mentalità si è riversata nel lavoro concreto e in quello produttivo e ha modificato le stesse nozioni di lavoro produttivo/improduttivo. […] La ludificazione del lavoro è un altro modo di occultare l’esistenza di un rapporto di lavoro, legittimando l’espropriazione del valore prodotto da un’attività produttiva. Nel lavoro-gioco il datore di lavoro vince sempre e il lavoratore perde due volte».

La ragione di Maloney ha vinto, Ricky è destinato a perdere.

I figli
Isolati nelle lotte e deprivati a livello sistemico di ogni spirito di solidarietà, siamo dunque destinati a soccombere? Forse no.

È nei personaggi del giovane Seb e della piccola Liza Jane che Loach lascia intuire un barlume di speranza. Il primo è un adolescente all’apparenza problematico, si dà ai furtarelli e al graffitismo per esprimere forme di protesta che sembrano essere ormai fini a sé stesse. La seconda è una bambina che, nello strenuo tentativo di mediare una crisi familiare irrecuperabile, ricorre a trucchetti quali nascondere le chiavi del furgone al padre.

Tuttavia, nel progressivo darsi di un contesto logoro e delirante – in cui Ricky si indebita e auto-sfrutta a ritmi massacranti nella pia illusione di monetizzare i suoi sforzi, e Abby deve fare i conti con un disumano smantellamento del welfare state sentendosi dire dai suoi datori di lavoro che ogni minuto dedicato in più ai bisognosi è un punto in meno sul fatturato –, ecco che i due figli si manifestano agli occhi dello spettatore tutt’altro che problematici, e al contrario gli unici detentori di un briciolo di saggezza.

La chiave rubata da Liza Jane e la replica di Seb che – richiamato a un fatuo senso di responsabilità – obietta dicendogli che non ha alcuna intenzione di fare la fine del padre, rappresentano un’istanza di sottrazione ferrea e inoppugnabile dalle logiche di un sistema imbarbarito e schiavizzante. È la ragione dei figli, che oppone sabotaggio e rifiuto del lavoro a quella di Maloney.

Sono le generazioni del Fridays for future che, al netto delle contraddizioni insite in ogni movimento, come dice Bifo dimostrano di aver scoperto che «non c’è nessun modo di invertire la tendenza verso il soffocamento se non quello di abolire la fabbrica, il processo che genera il soffocamento. Un processo identificabile nella successione crescita-competizione-profitto».

Quei furgoni bianchi
Tra le scene iniziali del film ce n’è una che è un’incredibile mise en abyme della deriva distopica su cui si stanno rimodellando le odierne megalopoli.

Ricky sta passando in rassegna un’interminabile schiera di furgoni bianchi, con l’obiettivo di acquistarne uno, per lavorarci.

Una fotografia asciutta e inesorabile ritrae un protagonista semi-imbambolato – su cui sembra gravare una sindrome di Stoccolma in stato avanzato – nell’atto di scegliersi la sua futura prigione ambulante. Sullo sfondo, dei palazzoni a vetri che richiamano le city dell’alta finanza e, a fianco, un’immensa gru con la sua catena penzolante nel vuoto.

In effetti la pellicola proseguirà immergendo lo spettatore nella folla corsa al “last mile”, cioè la competizione forsennata delle società di delivery che sta riplasmando le metropoli, sotto tutti gli aspetti. I magazzini della logistica combattono per avvicinarsi il più possibile ai “centri” delle città, per accaparrarsi gli itinerari privilegiati sui cui viaggiano i “pacchi prioritari” che fruttano di più. E le conseguenze di queste perverse accelerazioni sono sotto gli occhi di tutti: condizioni lavorative terrificanti, congestionamento del traffico pervasivo.

Giocando col titolo del film, nella recensione di Carmilla si legge: «Sorry, Maloney doveva essere gambizzato». Se da una parte non si può dar torto a chi rivendica la necessità di un ritorno radicale al conflitto, dall’altra forse l’inedita assenza di organizzazione e lotte nell’immaginario working class delle ultime fatiche di Loach ci suggerisce che combattere, oggi, è anche e soprattutto sottrarsi e mettere in discussione, in senso ontologico, lo stesso lavoro, auspicandone la fine.

https://www.idiavoli.com/it/article/ken-loach-contro-il-lavoro

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Papa Francesco, il suo teologo sembra un eretico: nega addirittura la divinità di Cristo

Andrea Cionci 

Che la cronaca riporti presepi oltraggiati o crocifissi rimossi, sempre più spesso si levano voci in difesa della nostra tradizione cristiano-cattolica. Sì, ma quale? Quella secondo cui Cristo è Figlio di Dio, la Madonna è vergine, Dio è buono – ma anche giusto – e perdona i peccati solo a condizione di pentirsi? Se siete cattolici, preparatevi a un duro corso di aggiornamento: non è vero nulla di tutto ciò e i Concili, da quello di Nicea del 325, fino al Vaticano II del 1962, hanno finora dichiarato scempiaggini. Questo, almeno, è quello che afferma il monaco laico Enzo Bianchi, “il teologo di papa Francesco”, ispiratore del suo pontificato tanto che nel 2018 ha predicato i suoi insegnamenti al Ritiro mondiale per i preti ad Ars. Nato nel ’43 in provincia di Asti, si laurea in Economia. Folgorato sulla via di qualcosa, abbandona il futuro da commercialista e, in pieno ’68, fonda nel borgo di Bose (Ivrea) una comunità monastica non cattolica per religiosi ambosessi, di vari paesi e chiese cristiane. NIENTE VITA ETERNA Per tale ecumenismo, la sua carriera decolla con Woityla e poi con Ratzinger sotto il cui pontificato, nel 2007, tira fuori una prima “bomba” subito rilanciata da Repubblica in cui sostiene che la Madonna non fu davvero vergine e madre (come da dogma cattolico) poiché già altre divinità come la assiro-babilonese Astarte, o la greca Artemide erano considerate tali. I cattolici avrebbero mutuato la leggenda dai culti pagani. Invece di interpretare – da cattolico – quelle credenze pagane come intuizioni di ciò che sarebbe stato rivelato da Cristo, Bianchi fa un percorso inverso prendendo qui e là dalla Scrittura ciò che è funzionale alle sue tesi e trascurando il resto. Come quando ricorda la misericordia di Gesù verso l’ adultera omettendo di citare, tuttavia, il divino ammonimento: «Và, e non peccare più». Non stupisce quindi che, il priore di Bose intervistato da Gad Lerner, abbia dichiarato: «Gesù è nato uomo, completamente uomo. Chi lo deifica sulla terra sbaglia, lo deifica troppo presto». Del suo parere sembra lo stesso Bergoglio, che il 17 gennaio (come riporta Vatican News), durante l’ omelia, ha detto che Gesù era «un uomo di Dio». Non “Suo Figlio”, dunque? Saremmo in contrasto con quanto affermato per 2000 anni dal Cattolicesimo. Secondo Bianchi, Cristo, partorito normalmente da una donna come tutte, non era affatto «Dio vero da Dio vero, della stessa sostanza del Padre», ma una specie di santone che, per aver annunciato una misericordia elargita da Dio a piene mani, senza “meritocrazia”, sarebbe finito in croce suo malgrado. Come se non bastasse, tre giorni fa, in un tweet, Bianchi ha dichiarato che dopo la morte «ce ne andiamo per sempre». Il leghista cattolico Pillon ha subito polemizzato: «Ma Cristo non aveva vinto la morte?». Opinioni rispettabili, per carità, ma per il Cattolicesimo – di cui Bianchi dovrebbe essere garante – si tratta di agghiaccianti eresie. Ma oggi nessuno osa fermare Bianchi , vista l’ aria che tira, (si pensi alla povera vigna di Ratzinger). DOTTRINA IN PERICOLO Così, il priore di Bose, invitato da vescovi ossequiosi, tiene ovunque conferenze e seminari spandendo le sue idee che proliferano nell’ humus del misericordismo papale. Qualcuno ha paragonato la sua contro-teologia a un cancro che sta divorando la Chiesa cattolica. Come esplicita Scalfari – suo grande sponsor – Enzo Bianchi, insieme a Bergoglio, ha iniziato a demolire la Chiesa come depositaria della verità rivelata da Cristo, per trasformarla in una Ong, in uno dei tanti movimenti che contribuiscono al “nuovo ordine mondiale”, mirando all’ annullamento delle differenze tra le religioni e infine a quello della religione stessa. Sconcertante come un simile scenario ricordi non solo le profezie della beata Khatarina Emmerick, ma lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica che, all’ articolo 675 cita: «Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti: un’ impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’ apostasia (il rifiuto della verità)». di Andrea Cionci

https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/13562337/papa-francesco-teologo-eretico-nega-santita-cristo.html

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Il genocidio armeno e la politica eurasiatica italiana
La Camera dei Deputati ha approvato una mozione che impegna il governo a riconoscere formalmente il genocidio consumato ai danni del popolo armeno: un gesto che ribadisce i forti legami culturali e religiosi tra Roma ed Erevan e conferma il progressivo riavvicinamento dell’Italia al cuore pulsante dell’Asia.

di Maxence Smaniotto – 30 Aprile 2019

Il 10 aprile 2019 la Camera ha approvato la mozione che riconosce il genocidio dei sudditi armeni dell’impero ottomano ad opera del governo dei Giovani Turchi, nel 1915, in piena Prima guerra mondiale. La mozione è passata con 382 voti favorevoli, 0 contrari e 43 astenuti, cioè tutti i deputati di Forza Italia. Fortemente voluta dalla Lega e da Fratelli d’Italia, la mozione è stata ugualmente sostenuta dal Partito Democratico, e impegna il governo Conte a riconoscere pienamente il genocidio del 1915.

Considerati come quinta colonna agli ordini della Russia, i panturchisti che avevano conquistato il potere nell’impero ottomano in occasione della rivoluzione del 1909 massacrarono un milione e mezzo di armeni che vivevano nelle regioni orientali dell’impero, in ciò aiutati dalle tribù kurde e dai Circassi.

Roma è di conseguenza a un passo dal divenire il ventinovesimo Paese al mondo a riconoscere i massacri del 1915 per quello che furono: un genocidio, la volontà, da parte della maggioranza turcofona e sunnita, di eliminare ogni minoranza religiosa, a cominciare dalla più numerosa, quella cristiana degli armeni. Ma non furono solamente loro ad essere massacrati, le loro donne vendute come schiave negli harem e i loro orfani turchizzati al fine di sradicarne l’identità. Ben prima dei demenziali massacri ad opera dello Stato Islamico, yezidi, aleviti, assiro-caldeani e greci patirono ricorrenti persecuzioni che sfociarono in nuovi massacri durante il genocidio degli armeni e proseguono periodicamente fino ad oggi.

I legami storici e attuali tra l’Italia e gli armeni

Seppur poco conosciuto in Italia, il genocidio degli armeni è stato raccontato attraverso vari libri, documentari e film di produzione nostrana. Segno che, anche se l’Armenia non figura tra i paesi più conosciuti da parte degli italiani, suscita malgrado tutto un certo interesse e una sicura e reciproca simpatia.

Eppure i legami tra l’Italia e il popolo armeno esistono da secoli, soprattutto grazie gli scambi commerciali e culturali tra gli armeni del regno di Cilicia e la Repubblica di Venezia, nell’Alto Medioevo. Svariate comunità armene s’insediarono a Genova, Livorno, Sicilia e Ravenna nel corso dei secoli. La prima stamperia di Livorno è nata grazie all’iniziativa di un sacerdote armeno, nel 1643, e il primo libro mai stampato in armeno ha visto la luce proprio a Venezia, nel 1512. La casa madre dell’Ordine dei mechitaristi, fondato dal monaco benedettino Mechitar nel 1700, si trova sull’isola di San Lazzaro degli Armeni, nella laguna di Venezia (pare che Iosif Stalin vi soggiorno’ nel 1907, lavorandovi come campanaro prima di recarsi in Svizzera per incontrarvi Lenin, allora in esilio).

Il genocidio del 1915 si rivelerà un’altra occasione per rinsaldare i legami tra l’Italia e gli armeni. Giacomo Gorrini, console a Tresibonda, sarà un importante testimone oculare del massacro e delle deportazioni. Dopo il genocidio l’Italia accolse varie migliaia di sopravvisuti, che s’installarono principalmente a Venezia, Padova e Milano.

Oggi i rapporti diplomatici tra Erevan e Roma sono solidi e si basano in buona parte sui legami storici e culturali tra i due Paesi, soprattutto sulle comuni radici cristiane, in quanto l’Armenia fu il primo Paese al mondo ad adottare il cristianesimo come religione di Stato nel 301. Paese piccolo, senza sbocchi sul mare e con due frontiere, quelle con la Turchia e con l’Azerbaigian, chiuse e militarizzate, l’Armenia non rappresenta un importante sbocco commerciale per l’Italia, i cui investimenti sono molto ridotti.

Allora perché riconoscere il genocidio degli armeni e inimicarsi così la Turchia (20 miliardi di euro in scambi commerciali nel 2018 secondo i dati della SACE) e l’Azerbaigian, da cui Roma dipende in buona parte per le forniture di petrolio e rischiare così delle ritorsioni economiche?

Dinamismo internazionale
L’Italia del trittico Salvini-di Maio-Conte mostra un dinamismo sulla scena internazionale a cui più nessuno era abituato. Il ventennio berlusconiano aveva assuefatto gli italiani alla sudditanza americana e a rispondere, secondo un riflesso pavloviano ben collaudato dal secondo dopoguerra, al suo braccio armato, la NATO. Ciò ha portato il Bel Paese a impantanarsi nelle avventure brancaleonesche di Iraq, Libia e Afghanistan, contribuendo cosi a quel disastro geopolitico e umanitario che sono il Medio-oriente e il Nord Africa dal 2001.

La parentesi di sinistra del governo di Massimo d’Alema (1998-2000), che non esitò a partecipare ai bombardamenti della Serbia socialista e sovranista di Slobodan Milosevic al fine di creare quell’oasi di democrazia e benessere che è il Kosovo, aveva mostrato i germogli di una nuova sinistra oggi nel pieno della sua maturità. Ieri no-global, localista e anti-militarista, oggi riconvertita alla globalizzazione, al neo-liberalismo e agli interventi militari per “ragioni umanitarie”, cosi care ai neocon statunitensi e francesi, da Bernard-Henri Lévy al cineasta sessantottino Romain Goupil, dal fondatore di Medici senza frontiere Bernard Kouchner al filosofo ex-maoista André Glucksman. Da ultimo il grigio inverno del PD e dei governi cosiddetti «tecnici» la cui azione internazionale si riduceva a chiedere consiglio a Bruxelles, Berlino e Parigi, tacendo spudoratamente sul dramma greco e sulle cause della guerra nel Donbass.

Una nuova politica internazionale per Roma, dunque? L’attuale governo di Giuseppe Conte sembra tentare di far intendere la propria voce non solamente quando si tratta di battibeccare su budget nazionale e architettura europea, ma ugualmente sui dossier libici, cinesi e del Medio Oriente, con i soliti alti e bassi che caratterizzano l’ondivaga politica nostrana. Il riconoscimento del genocidio armeno pare rientrare in questa linea.

Esso non può essere esclusivamente inteso come un atto simbolico né come un disinteressato gesto di simpatia nei confronti del piccolo paese caucasico. L’atto deve essere sostenuto da una logica. Dispiacerà a due paesi fondamentali per l’economia europea e italiana: la Turchia che, irritata, l’otto aprile ha convocato l’ambasciatore italiano Massimo Gaiani per protestare, ma ugualmente il suo alleato principale, l’Azerbaigian, a cui le truppe armene hanno strappato la regione del Nagorno-Karabakh al termine di una sanguinosa guerra svoltasi tra il 1988 e il 1994.

Come precedentemente accennato, Ankara e Baku sono partner commerciali imprescindibili per Roma. Ma l’importanza nei confronti di questi due paesi va ben al di là del commercio. Dall’Azerbaigian arriva, tramite l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), alla cui costruzione ENI ha partecipato per il 5%, il 17,7% delle importazioni di petrolio in Italia. E il BTC passa dalla Georgia, bypassa l’Armenia, attraversa tutto il Kurdistan turco e sfocia sulle coste mediterranee dell’Anatolia.

Ma la Turchia è allo stesso tempo membro della NATO, di cui possiede il secondo esercito dopo quello USA, possiede una numerosa diaspora in Germania e Francia, e accoglie un gran numero di rifugiati provenienti da tutti il Medio oriente, che spedisce in Europa quando necessita di far pressione politica e economica sull’UE, come fu il caso nel 2015. La crisi e le sue conseguenze hanno contribuito a indebolire Angela Merkel, a discreditare Bruxelles, a rafforzare il governo di Viktor Orban in Ungheria e a far eleggere Sebastian Kurz in Austria. E certamente a incrementare i consensi per la Lega e Fratelli d’Italia.

Pur essendo un paese piccolo e dal mercato interno poco interessante, l’Armenia rappresenta però un partner politico di primo piano grazie alla sua posizione geografica e alle sue alleanze politiche e militari. Si trova al cuore del Caucaso e alla frontiera dell’Iran, alleato della Russia, verso cui l’Italia sta tentando un riavvicinamento non solo economico, dal momento che le sanzioni volute dagli USA hanno pesantemente colpito le esportazioni italiane, ma anche culturale e politico. Dal 2014 l’Armenia fa parte dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE) a guida russa e composta da Kazakistan, Bielorussia e Khirghizistan, e, dal 2002 dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO).

L’Armenia si trova inoltre sul percorso delle Nuove Vie della Seta (BRI) che, nei progetti di Pechino, dovrebbero legare l’Europa alla Cina in funzione anti-statunitense, passando da Asia centrale, mar Caspio e, appunto, Caucaso. L’Italia ha recentemente firmato degli accordi commerciali con la Cina per diventarne il terminal, aprendo potenzialmente così le porte dell’Europa centrale all’Impero Celeste, la cui attività diplomatica e economica in Armenia sta crescendo.

Nel complesso mosaico militare, politico e economico del Caucaso e dell’Asia centrale, l’Armenia è dunque un tassello importante, e delle buone relazioni con esse implicano il potenziale accesso, in quanto partner e investitore, a un ampio spazio economico e politico tutt’altro che fermo su se stesso.

Roma sembra voler tentare un’emancipazione dall’abbraccio soffocante di USA e UE orientando a sua politica economica all’Est e nell’Estremo Oriente. Il riconoscimento del genocidio degli armeni potrebbe dunque essere interpretato secondo diversi punti di vista. Un segnale di avvicinamento a quell’idea eurasiatica, cara a intellettuali come Alexander Dugin e Robert Steuckers, che sembra prendere forma con l’UEE a guida russa. Ma anche una dichiarazione implicita alla Turchia conservatrice e sunnita di Recep Erdogan, a cui una parte del governo italiano rifiuta l’adesione all’UE, ricordandole che l’Italia ha vocazione a ribadire la sua cristianità di fronte a un Paese i cui rapporti con lo Stato Islamico e altri gruppi fondamentalisti islamici sono stati (e rimangono) ben più che ambigui.

https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/esteri-3/genocidio-armeno-erevan-italia-eurasia/

 

 

 

CULTURA

Del Noce, Pansa, Scruton: bussole vive ancora oggi (oltre le celebrazioni)
di Cominius Cultura 16 GENNAIO 2020

Ci sono occasioni in cui è facile rendersi conto di quanto nella società sia ancora importante la componente “cerimoniale”: accade con i rituali del potere come le incoronazioni e gli insediamenti solenni, o con le commemorazioni di eventi storici significativi.

Ma accade anche quando vengono a mancare o si ricordano scrittori, poeti e pensatori, a volte anche uomini politici o grandi manager.

La nostra comunità, quella che possiamo circoscrivere con i termini liberal-conservatore e nazionale, ne ha avuto la riprova in pochi giorni: dopo aver celebrato Augusto Del Noce a venti anni dalla morte, ha assistito stupefatta alla scomparsa parallela di Giampaolo Pansa e Roger Scruton.

Non c’è bisogno di sottolineare che si tratta di tre personaggi con caratteristiche e contenuti diversi. Ma se ci domandiamo che cosa li unisce per noi, risponderei che in un mondo sempre più caratterizzato dall’assenza di certezze – l’oceano di link orizzontali e contraddittori in cui tutti tendenzialmente navighiamo – queste persone hanno svolto la funzione della bussola, ci hanno aiutato ad orientarci.

Questo elemento è stato sottolineato in molti commenti, e così – volendo – si potrebbe chiudere anche questo modesto ricordino.

Ma le cose non sono così semplici. In un mondo dove a livello di tifoserie le contrapposizioni sono (o sembrano) sempre nette e perentorie, le mappe in realtà sono accidentate e le bussole complicate: nessuno dei tre personaggi infatti si presta ad una lettura monodirezionale. Credo che in generale questa sia una caratteristica del pensiero conservatore, non essere quasi mai un ricettario buono per tutte le occasioni, un manuale delle giovani marmotte dove trovare una risposta univoca a tutte le contraddizioni del nostro tempo. Di mezzo c’è sempre un lavoro: la fatica di ragionare, confrontare, valutare.

Con Augusto Del Noce bisogna addentrarsi negli snodi della storia, della filosofia e delle ideologie: non sempre è facile discernere il percorso interpretativo, e andare oltre gli schemi predominanti ad esempio sul rapporto tra fascismo, azionismo e comunismo o sulla lettura del ruolo di Gentile nella vicenda politica e culturale del ventennio.

Di Giampaolo Pansa, il partigiano eretico e sempre “contromano” (come lo ha definito Vittorio Macioce) il giornalista-storico che sulle stragi comuniste seguite all’aprile 45 rese di pubblico dominio ciò che prima veniva trasmesso in una specie di samizdat coi libri di Giorgio Pisanò, bisogna ricordare che non ha mai smesso di essere un vero bastian contrario e che anche quando scriveva sulla Verità e su Panorama non risparmiava il suo dissenso sarcastico nei confronti di Matteo Salvini, a cui ha dedicato l’ultimo, polemico libro: Il Dittatore.

Roger Scruton poi, da buon inglese anticonformista, è stato un irregolare a tutti gli effetti: sintetizzando possiamo giustamente dire che il suo insegnamento fondamentale è stato che la differenza profonda tra destra e sinistra sta nella consapevolezza di un’eredità di appartenenza da una parte, e dall’altra nella ricerca di esperienze fluide che allarghino la sfera dei diritti, come ha scritto Gaetano Quagliariello, sigillandolo come “gigante del conservatorismo”. E quando si parla di lui certamente è obbligatorio il richiamo a Edmund Burke e alle sue Riflessioni sulla rivoluzione francese, e lo ha fatto esplicitamente, mettendoli in parallelo, anche Marco Gervasoni in un bell’articolo. Ma proprio la matrice empiristica e ‘burkiana’ fa sì che le sue conclusioni, sempre basate sull’osservazione dei fatti, qualche volta si discostino dagli schemi che ci si aspetterebbe, specie nell’orizzonte del conservatorismo latino, come ha commentato Oscar Sanguinetti sul sito di Alleanza Cattolica. Basta scorrere i capitoli del suo ‘Manifesto dei conservatori’ per rendersene conto: su ogni tema ‘caldo’, la cittadinanza e la nazione, l’animalismo, la vita e la morte, il suo è un percorso di riflessione e di stimolante rimessa in discussione dei ‘nostri’ luoghi comuni: specialmente paradigmatico e ‘scrutoniano’ il capitolo sull’ambiente, incentrato sul rapporto tra conservazione dalle istituzioni e delle tradizioni e conservazione del territorio, con la condanna della rapina e del dissesto causati dall’avidità di denaro.

 

Insomma, ci sono tanti motivi per celebrare questi nostri maestri e assumerli nel Pantheon dove stanno i grandi padri, da Edmund Burke in poi. Ma per rendere loro veramente onore bisogna leggerli, anzi leggerli e discuterci, come ogni vero conservatore si aspetta che accada con i suoi libri.

FONTE:https://loccidentale.it/del-noce-pansa-scruton-bussole-vive-ancora-oggi-oltre-le-celebrazioni/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Russi che muoiono a Londra. Ora la polizia inglese tratta la morte di Glushkov come omicidio

17 03 2018                                RILETTURA

L’oligarca era stato trovato morto nella sua abitazione a Londra. Ora le autorità seguono la pista dell’assassinio. Dopo il caso Skripal aumenta la tensione sui misteriosi casi dove sembrerebbe spuntare l’ombra dell’ex Kgb
La Metropolitan Police inglese ha aperto un’indagine per assassinio sulla morte di Nikolai Glushkov, oligarca russo esule da Mosca, ritrovato qualche giorno fa senza vita nella sua casa di New Malden, sobborgo del south-west londinese.

Ci sono segni di “compressione” sul collo, dicono le prime analisi sul corpo eseguite dai medici legali incaricati da Scotland Yard, circostanza che fa pensare a uno strangolamento per il 68enne un tempo tra i notabili della Russia che conta.

Frequentazioni e storia personale, d’altronde, avevano subito acceso l’attenzione degli inquirenti inglesi, che per il passato della vittima avevano mosso già per i primi rilievi l’anti-terrorismo, più abituato a muoversi in certe circostanze complesse.

Inevitabile descrivere il contesto, allora, partendo da quello attuale. Il 4 marzo a Salisbury, nel sud della Gran Bretagna, era stato trovato agonizzante in una panchina di un parco pubblico Sergei Skripal, ex colonnello del servizio segreto militare (il Gru), seduto a fianco a sua figlia (sembravano due tossicodipendenti, hanno raccontato i vicini), anche lei intossicata da un agente nervino che la scientifica inglese ha facilmente individuato essere il Novichok, un composto letale la cui formula è conosciuta soltanto dai laboratori militari del governo russo e impossibile da replicare per l’elevata instabilità chimica della molecola.

La spia è in coma, e la figlia anche è ancora grave in ospedale (secondo il Telegraph il veleno poteva essere nel suo beauty, partita dalla Russia per andare a trovare il padre nel Regno Unito) insieme al poliziotto che ha prestato i primi soccorsi, intossicato pure lui. La vicenda è rapidamente uscita dalle dimensioni di cronaca, diventando un altro, scottante, argomento di confronto tra Russia e Occidente.

Già basterebbe lo scenario di attualità per comprendere come mai Londra, che ha definito l’uccisione di Skripal come un attacco straniero sul proprio territorio, tratti la vicenda della morte dell’ex papavero russo con massima delicatezza e attenzione.

Ma c’è di più, il contesto passato. Glushkov un tempo era molto vicino all’oligarca russo Boris Berezovskij, trovato impiccato nel 2013 nel bagno della sua casa di Ascot, sempre in Inghilterra. Un’altra morte piuttosto sospetta, per cui si è sempre pensato al coinvolgimento russo, visto che Berezovskij era considerato uno dei più grossi nemici di Vladimir Putin.

Glushkov, che aveva detto pubblicamente di non credere nel suicidio del suo amico, è stato ex direttore di Aeroflot e Logovaz, viveva riparato a Londra dal 2006 (rifugiato politico dal 2010) dopo essere stato arrestato e poi scarcerato in Russia con l’accusa di frode e riciclaggio: una condanna considerata di natura politica.

Nel 2011 testimoniò in un tribunale di Londra a favore di Berezovskij nella causa contro Roman Abramovich, altro oligarca patron del Chelsea, in buoni rapporti con il presidente russo.

Il giorno della sua morte, Gluschkov avrebbe dovuto partecipare a un’udienza da una causa aperta dalla compagnia aerea russa Aeroflot a Londra, e secondo diversi suoi amici che hanno parlato anonimamente (e si capisce il perché) con i media inglesi, stava preparando da mesi la sua deposizione.

Sempre contestualizzando nel passato: Berezovskij era il centro di una cerchia di dissidenti a cui apparteneva Glushkov come pure l’ex colonnello dell’Fsb Aleksandr Litvinenko, ucciso nel 2006 anche lui da un misterioso avvelenamento da polonio-210, una sostanza altamente tossica e rarissima (prerogativa di un lavoro fatto da 007: anche in quel caso l‘inchiesta si concluse con una “presumibile” colpevolezza di Mosca sulla base di prove circostanziali, ma senza la pistola fumante). Litvinenko aveva parlato apertamente di un piano segreto con cui “il gangster” Putin (così lo aveva definito, ricorda nella sua newsletter dedicata alla politica britannica il giornalista italiano Gabriele Carrer) voleva proprio far uccidere Berezovskij.

https://formiche.net/2018/03/glushkov-russi-londra-polizia-skripal/

 

Rapporto dell’Ispettore Generale: ribaltato il Russiagate

Era partita come l’indagine capace di oscurare il Watergate; invece, per la fragilità, o l’infondatezza, dell’impianto accusatorio, il Russiagate ha ottenuto un record ben diverso: la profonda revisione del FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act), il quarantennale quadro giuridico che permette alle autorità di tenere segretamente sotto controllo un cittadino americano sospettato di spionaggio.

E’ la conseguenza del Rapporto dell’Ispettore Generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, relativo all’avvio dell’indagine sulla presunta cospirazione fra la Campagna Trump e il Cremlino per condizionare le Presidenziali 2016. Nel Rapporto, pubblicato lo scorso 9 dicembre, sono state evidenziate falle procedurali, imprecisioni e omissioni, senza le quali difficilmente il Tribunale del FISA avrebbe autorizzato la sorveglianza di Carter Page. Si tratta di un membro della Campagna Trump sospettato di aver intavolato, nel luglio 2016, negoziati con i vertici del Cremlino per ottenere il sostegno russo. Quel sospetto venne spacciato dall’FBI attraverso lo Steele Dossier, raccolta di informazioni da parte dell’ex spia britannica Christopher Steele; ma al Tribunale non venne chiarito che il dossier era stato finanziato dalla Campagna di Hillary Clinton, avversaria di Trump, attraverso l’agenzia privata Fusion GPS.

Nel rapporto, Horowitz sottolinea come sullo Steele Dossier, definito “centrale ed essenziale” per la richiesta della sorveglianza, l’FBI non trovò conferme per tutto il 2016; e anzi lo sfruttò ancora nel gennaio 2017, nonostante una fonte primaria di Steele avesse smontato parti del Dossier: l’ex spia aveva gonfiato, storpiato, o addirittura inventato le sue confidenze. La stessa Cia si oppose all’inserimento dello Steele Dossier nell’ICA (Intelligence Community Assessment), ovvero il Rapporto presentato al Congresso nel gennaio 2017, in cui si delineavano i tentativi del Cremlino di interferire nelle elezioni Presidenziali: il dossier era stato bollato come “pettegolezzi raccolti su internet”. Questo non impedì che finisse nei briefing offerti dalla Comunità di Intelligence sia al Presidente in carica, Barack Obama, che al Presidente eletto, Donald Trump; a cui non venne svelata l’origine di “opposition research” del Dossier.

Carter Page non è mai stato indagato per i contenuti dello Steele Dossier; ma le sue comunicazioni, per quasi un anno, sotto state accessibili all’FBI.

L’Ispettore Generale ha constatato come l’FBI abbia addirittura falsificato i documenti presentati al tribunale della sorveglianza; in particolare un avvocato senior, Kevin Clinesmith, manipolò una email proveniente dalla Cia, in cui si spiegava che Page era stato un informatore dal 2008 al 2013; l’avvocato ne alterò il contenuto, con Page che risultava “non” essere mai stato una fonte di Intelligence. Quel dettaglio avrebbe potuto ostacolare la richiesta di sorveglianza per Page; che invece venne accolta nell’ottobre 2016, e reiterata per tre volte, fino al luglio 2017. Controfirmata dai vertici del FBI e del Dipartimento di Giustizia: dal Direttore James Comey, al suo vice Andrew McCabe, fino al Segretario alla Giustizia ad interim Sally Yates e il suo vice Rod Rosenstein.

Horowitz ha ravvisato 17 gravi episodi, più una trentina di infrazioni, commessi dai team che seguirono i vari rami del Russiagate, coinvolgendo i vertici che autorizzavano il prosieguo delle indagini. Un numero di errori così imponente per cui l’Ispettore Generale, in udienza al Congresso, non ha scartato l’ipotesi di pregiudizio nei confronti di Trump, prima come candidato, e poi come presidente. Una valutazione in accordo con un’altra indagine interna dell’Ispettore Generale, quella sull’Emailgate: alcuni ufficiali dell’FBI deviarono risorse dall’indagine sulla gestione di informazioni classificate da parte dell’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, destinandole al Russiagate; anche in quel caso Horowitz giudicò possibile il pregiudizio politico.

La Corte Federale che amministra il FISA, lo scorso 17 dicembre, ha emesso una nota in risposta all’ultimo Rapporto dell’Ispettore Generale: la Presidente Rosemary Collyer ha accusato i vertici FBI di “cattiva condotta”, e di aver ingannato la Corte; implicando l’illegalità della sorveglianza segreta su un membro della Campagna Trump.

Per questo motivo, nella nota, si invitava l’FBI a revisionare l’intero processo del FISA, e trovare soluzioni credibili per evitare in futuro abusi simili.

Una posizione ben più dura rispetto a quella dell’Ispettore Generale; il quale, sempre nel Rapporto, ha confermato la solidità procedurale per aprire “Crossfire Hurricane”: il nome dell’indagine ombrello sulle interferenze russe nelle Presidenziali, aperta a fine luglio 2016. Era partita dopo l’imbeccata del diplomatico australiano Alexander Downer all’FBI sulle presunte confidenze del professore maltese Joseph Mifsud al membro della Campagna Trump George Papadopoulos: “i russi avrebbero in mano materiali (o email) compromettenti sulla Clinton”.

La conclusione dell’Ispettore Generale è stata però contestata formalmente dal Giudice Federale John Durham, investigatore incaricato dal Segretario alla Giustizia Bill Barr di revisionare le origini di “Crossfire Hurricane”. Durham, che rispetto a Horowitz ha un mandato e mezzi molti più ampi, ha già conferito con le autorità di vari Paesi per comprendere meglio chi sia Joseph Mifsud, definito “agente russo” da Robert Mueller, Investigatore Speciale sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. In realtà Mifsud, oggi irreperibile, aveva contatti e collaborazioni professionali con figure di spicco dell’Intelligence britannica e della politica italiana. Il professore maltese, pur essendo stato interrogato dall’FBI, non è stato incriminato.

Secondo il Rapporto di Mueller, è Trump che sarebbe da incriminare per ostruzione alla giustizia: il Presidente Usa cercò di nascondere gli intrecci fra la sua Campagna, qualunque fosse la loro natura, e i russi. Il Segretario alla Giustizia Barr, però, non ha proceduto, spiegando che il Presidente ha l’autorità esecutiva di difendersi da accuse infondate e tendenziose. Infatti in due anni di inchiesta, Mueller non ha provato la cospirazione fra Trump e il Cremlino; è pur vero che membri della Campagna del Presidente Usa non si sottrassero ad approcci inquietanti: ma nessuno americano è stato condannato relativamente al Russiagate, se non per reati come false dichiarazioni all’FBI, od ostruzione alla giustizia. I motivi per cui George Papadopoulos ha trascorso 14 giorni in carcere, e Roger Stone, consigliere informale di Trump, è tutt’ora in prigione; mentre l’ex Generale Michael Flynn, il primo Consigliere alla Sicurezza dell’Amministrazione Trump, è in attesa della sentenza. Flynn, in realtà, ha recentemente chiesto di ritirare la sua dichiarazione di colpevolezza: ovvero, aver mentito all’FBI su un colloquio con l’Ambasciatore Sergej Kislyak, subito dopo il lancio delle sanzioni dell’Amministrazione Obama contro Mosca, alla fine del 2016; l’ex Generale si proclama vittima di pregiudiziali dell’FBI e del precedente governo emerse nel Rapporto Horowitz.

Da anni il Presidente Usa Donald Trump definisce l’inchiesta sul Russiagate “una caccia alle streghe”, chiamando gli ex vertici dell’FBI – quasi tutti licenziati o non confermati – “poliziotti cattivi” e “corrotti”: avrebbero agito per favorire l’elezione di Hillary Clinton; e minare la Presidenza Trump. Anche permettendo che lo Steele Dossier filtrasse alla stampa pochi giorni prima dell’insediamento alla Casa Bianca; quando era già stata messa in dubbio la credibilità dell’ex spia britannica.

Lo scorso 10 gennaio il Direttore dell’FBI Christopher Wray ha risposto all’invito della Corte del FISA, delineando una serie di riforme: d’ora in poi dovrebbe essere più difficile commettere gli abusi rilevati nel caso Page.

Il FISA era entrato in vigore nel 1978, ma l’FBI ne aveva mutato “de facto” la pratica con l’emergenza del post-11 Settembre: il Federal Bureau of Investigation, sotto la guida proprio di Robert Mueller, apriva indagini preliminari segrete su cittadini americani pur in assenza di un quadro probatorio criminale; l’anticamera di qualsiasi persecuzione di natura etnica-politica-religiosa.

E’ ironico che questa riforma avvenga durante l’Amministrazione Trump: un Presidente che più volte ha minacciato avversari politici, e ha ingiuriato gruppi etnici e religiosi; e il cui autoritarismo è visto come un rischio per la democrazia Usa. E’ il motivo per cui oggi è sotto processo al Senato: avrebbe abusato del suo potere per eliminare un candidato alla Casa Bianca, Joe Biden, in vista delle Presidenziali del 2020. Anche in questo caso, lo “scandalo Ucraina” viene dipinto come peggio del Watergate.

di Cristiano Arienti

Fonti e Link utili

https://www.umanistranieri.it/category/russiagate/

https://johnsolomonreports.com/

https://www.aclu.org/press-releases/aclu-report-documents-fbi-abuse-911

Segui la reporter della CBS (e prima di Foxnews) Catherine Herrgidge @CBS_Herridge

VIDEO QUI:https://youtu.be/zc1OWqjbjjc 

FONTE: https://www.umanistranieri.it/2020/01/rapporto-dellispettore-generale-ribaltato-il-russiagate/

 

 

 

ECONOMIA

Drammatico consiglio europeo su Covid-19. E’ scontro fra due visioni: eurobond contro linea di credito MES

Ennesimo rinvio all’Eurogruppo. La Germania con i paesi del nord bloccano gli Eurobond e l’uso del Mes senza condizioni. Conte e Sanchez provano a forzare, ma tornano a casa con l’amaro in bocca
Redazione
VENERDÌ 27 MARZO 2020

BRUXELLES (ASKANEWS) – «La pandemia di Covid-19 costituisce una sfida senza precedenti per l’Europa e per il mondo intero. Esige un’azione urgente, risoluta e globale sia a livello Ue che a livello nazionale, regionale e locale. Adotteremo tutte le misure necessarie per proteggere i nostri cittadini e superare la crisi, preservando i valori e lo stile di vita europei». Sono le parole dei capi di Stato e di governo dei Ventisette con cui inizia la lunga «Dichiarazione comune dei membri del Consiglio europeo», dopo la videoconferenza che ha li ha riuniti a distanza, ieri sera, per la terza volta in tre settimane.

Ma le interpretazioni sono molto diverse, a seconda dei paesi di provenienza, quando si va a guardare il significato di quell’impegno a prendere «tutte le misure necessarie», e si pensa al medio termine, a come gli Stati membri finanzieranno l’ingente debito pubblico generato dal denaro che stanno spendendo in deficit per affrontare le conseguenze socioeconomiche, oltre che sanitarie, di questa crisi.

Per i nove paesi, a cominciare da Italia e Spagna, che chiedono di introdurre uno nuovo strumento comune per finanziare quel debito, gli eurobond, è chiarissimo che bisogna cambiare marcia, pensare ciò che finora era impensabile, guardare all’efficacia della soluzione per una crisi senza precedenti, più che al consenso con cui sarebbe accolta dagli altri Stati membri.

Eurobond significa emissione di debito comune a tassi d’interesse bassi e uguali per tutti. Niente spread, condizioni di partenza identiche, nessun effetto di stigmatizzazione da parte dei mercati per i paesi così finanziati.

Dall’altra parte, i tedeschi, gli olandesi, i finlandesi, gli austriaci, per i quali la stessa parola «eurobond», come «mutualizzazione del debito», è un tabù innominabile, una bestemmia. Per loro, il massimo che si può immaginare è una versione più «soft» di uno strumento già esistente: il Mes, o Fondo salva Stati, quello che, in cambio del suo sostegno ai paesi che l’hanno chiesto durante la crisi dell’Eurozona, ha imposto durissime misure di austerità, sotto il controllo della troika.

La linea di credito del Mes, adattata alle circostanze e ribattezzata «Pandemic Crisis Support», avrebbe due condizioni: nel breve termine, essere dedicata solo alle misure di risposta alla crisi del coronavirus; e nel medio-lungo termine essere legata a «un’aspettativa di ritorno alla stabilità», ovvero al risanamento finanziario del paese interessato, come ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno, riferendo che su questo punto c’era un «ampio consenso».

L’Eurogruppo aveva parlato delle due diverse ipotesi martedì scorso, sempre in videoconferenza, e aveva preparato un rapporto sulla discussione per il vertice dei leader che menzionava esplicitamente la linea di credito condizionale del Mes, ma non gli eurobond, nascosti dietro la formula «le diverse proposte».

Questa asimmetria, nel rapporto di Centeno, si rifletteva poi nella bozza della dichiarazione finale dei leader dei Ventisette, che riportava la frase: «Prendiamo atto dei progressi fatti dall’Eurogruppo sul ‘Pandemic Crisis Support’», ancora una volta senza neanche menzionare gli eurobond. Come se la strada del ricorso al Mes fosse già segnata, e quella degli eurobond considerata impraticabile.

Ma durante il vertice, non potendo far entrare nella dichiarazione finale la parola tabù, «eurobond», il premier italiano Giuseppe Conte e lo spagnolo Pedro Sanchez hanno ottenuto di togliere anche ogni riferimento al Mes.

«Prendiamo atto dei progressi compiuti dall’Eurogruppo», si legge nella dichiarazione, tagliata prima della menzione del «Pandemic Crisis Support».

Inoltre, è caduto anche l’invito all’Eurogruppo, che era presente nella bozza, «a sviluppare le necessarie specifiche tecniche», evidentemente della linea di credito del Mes. Ora l’Eurogruppo è invitato semplicemente «a presentare proposte (al plurale, ndr) entro due settimane».

«Queste proposte – continua la dichiarazione dei Ventisette – dovrebbero tener conto del carattere senza precedenti dello shock causato dalla Covid-19 in tutti i nostri paesi e la nostra risposta sarà intensificata, ove necessario, intraprendendo ulteriori azioni in modo inclusivo, alla luce degli sviluppi, al fine di dare una risposta globale».

Nelle loro risposte durante la conferenza stampa teletrasmessa, al termine del vertice, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen hanno accuratamente evitato di menzionare sia gli eurobond che la linea di credito del Mes, nonostante il fatto le domande molto esplicite e precise inviate dai giornalisti.

«All’Eurogruppo – ha detto Michel – è stato affidato il compito di discutere le diverse proposte, e di presentare ai leader entro due settimane le diverse possibilità. Un segnale importante – ha sottolineato il presidente del Consiglio europeo – è che ogni Stato membro riconosce che questa crisi è eccezionale e unica, e richiede misure molto forti».

Centeno, tuttavia, che ha partecipato alla videoconferenza dei leader, punta chiaramente sulla soluzione che considera più praticabile, o meno impossibile: «Oggi ho presentato ai leader – ha riferito – le caratteristiche chiave del ‘Pandemic Crisis Support’, a partire dagli strumenti esistenti del Mes, e dalla prontezza dell’Eurogruppo a concludere questo lavoro e a perseguire soluzioni innovative con tutte le istituzioni».

Ad ogni modo, dopo che martedì erano emerse le divisioni fra i ministri delle Finanze, che si erano affidato al vertice Ue per una mediazione al più alto livello politico che permettesse di uscire dal guado, appare ora paradossale che i leader abbiano rimandato la palla allo stesso Eurogruppo, chiedendogli di continuare a discutere e avanzare delle proposte entro due settimane.

Quello che sembra stare avvenendo è una «polarizzazione», per cui le due diverse proposte stanno diventando sempre più ipotesi tra loro alternative, sostenute da due fronti sempre più contrapposti.

In questo quadro, l’eliminazione della «condizionalità» del ritorno alla stabilità finanziaria, per la linea di credito del Mes, appare come un possibile compromesso, mentre appare più difficile che passi la tesi degli eurobond, o «Corona bond». Ma non è da escludere neanche che, se si arriva a un dialogo fra sordi, le divisioni si approfondiscano ancora di più, fino a mettere a rischio la stessa tenuta dell’Eurozona. Non è più solo un negoziato politico: pesano le migliaia di morti dell’epidemia in Italia e Spagna, e quelli che rischiano di aggiungersi ancora in altri paesi.

https://www.diariodelweb.it/economia/articolo/?nid=20200327-546278&utm_source=onesignal&utm_medium=push&utm_campaign=diariodelweb

 

 

 

IMMIGRAZIONI

La Fortezza Europa poggia sulla repressione violenta
GIO 12 MARZO 2020
Tra le contraddizioni di un sistema portato al collasso dalla pandemia del Coronavirus e gli appelli al senso di responsabilità per affrontare la crisi economica che ci attende, sembra essere solo la repressione violenta a unire davvero le volontà politiche dell’intero continente. La Fortezza Europa si erge al confine tra Turchia e Grecia, sparando proiettili e lacrimogeni ad altezza di uomini, donne, anziani e bambini.

Nelle ultime settimane, lungo il confine tra Grecia e Turchia, sono cadute definitivamente tutte le maschere del progetto europeo.

Dietro l’impalcatura di cartapesta del trattato di Dublino, dietro le quinte delle sfiancanti tavole rotonde, alla ricerca di una posizione unitaria sulla gestione dei flussi migratori, non restano altro che filo spinato, agenti antisommossa, proiettili e ronde naziste. Nel nome dell’Europa.

Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che la Turchia non fermerà più i migranti intenzionati a raggiungere l’Europa attraverso la Grecia. Un jolly geopolitico che il presidente turco ha ricevuto da Bruxelles nel marzo del 2016, quando in cambio di sei miliardi di euro accettò di “occuparsi” della questione migratoria per conto dell’Unione Europea.

La Turchia bloccava i flussi migratori all’interno dei propri confini e accoglieva i richiedenti asilo respinti dai campi di reclusione europea, fungendo da tampone all’invasione di profughi. Un patto scellerato. Per quattro anni, milioni di persone sono state costrette a vite disumane, diventando ora individui spersonalizzati senza storia né futuro, ora pedine sacrificabili sui tavoli da gioco della politica nazionale e internazionale.

Il grado zero dell’esistenza. La nuda vita di uomini, donne, anziani e bambini, famiglie e comunità rinchiusi nei campi. Semplici numeri nel conteggio dei burocrati della Fortezza Europa. Esseri umani privati di ogni diritto e ogni dignità. Ridotti alla loro semplice esistenza biologica.

Una pentola a pressione, destinata a esplodere. Un gioco perverso, deciso nelle grigie stanze dello scacchiere geopolitico mondiale, destinato a ustionare la pelle di milioni di persone. Di esseri umani di serie B.

Ora il tappo è saltato, la pentola è esplosa. Lunga onda di quello che succede in Medioriente, nelle guerre per procura del mondo globalizzato. Conseguenza dell’ignavia e dell’incompetenza europea.

La provincia siriana di Idlib, controllata dalle milizie ribelli e presidiata da dodici avamposti turchi, è sotto attacco dell’esercito fedele a Bashar Hafiz al-Asad. Un’offensiva che, in spregio agli accordi raggiunti a Sochi nel 2018, ha costretto oltre un milione di siriani a scappare in Turchia. Per la gioia di Vladimir Putin.

Ecco il primo tassello dell’effetto domino che ha portato alla crisi attuale lungo il confine tra Grecia e Turchia.

Il presidente turco ha “incoraggiato” i profughi all’interno dei propri confini – solo i siriani sono quasi quattro milioni, cui si aggiungono centinaia tra afgani, algerini, palestinesi, bangladesi, marocchini, pachistani… – a provare la traversata verso l’Europa, mettendo addirittura a disposizione pullman governativi per trasportare i migranti fino al confine.

Al liberi tutti di Erdogan, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha risposto schierando le forze armate lungo il confine di terra e di mare, dando ordini di rispedire chiunque in Turchia. Con ogni mezzo.

Dall’inizio del mese i racconti provenienti dalla Grecia tratteggiano i contorni del baratro raggiunto dalle autorità europee: decine di morti e feriti, migranti denudati, malmenati e rispediti oltreconfine dalle forze di sicurezza greche. Con il beneplacito di Alexis Tsipras, ex figurina modello della sinistra europea.

Lacrimogeni e granate stordenti, nazisti che attaccano migranti, giornalisti e personale delle Ong, riservisti della Guardia nazionale greca che impugnano i fucili e giocano alla caccia al migrante. È Hunger Games. È caccia all’uomo. Anzi, è la caccia a essere umani già privati di ogni umana dignità.

Valerio Nicolosi, su «il manifesto», ha riportato le parole di un riservista appostato nella notte lungo un fiume che divide Grecia e Turchia:
“I nostri visori a infrarossi ci permettono di vederli anche al buio, così li circondiamo senza che nemmeno se ne accorgano. All’improvviso scatta l’azione, li blocchiamo, li mettiamo pancia a terra e con le mani legate in modo che non possano liberarsi. Gli togliamo i telefoni e li bruciamo dopo averli lasciati a terra per un po’.”

Nel frattempo, i vertici della morente Unione Europea, durante una visita lampo ad Atene a sostegno dell’iniziativa greca, si sono affrettati a denunciare l’opportunismo senza scrupoli di Erdogan, accusandolo di usare i corpi dei migranti per ricattare Bruxelles.

Memorabile, nell’accezione peggiore del termine, l’accorato ringraziamento della presidente della commissione Ursula von der Leyen alla Grecia per essere lo scudo dell’Europa, mentre Atene annunciava la clamorosa sospensione delle richieste d’asilo per la durata di un mese, in contravvenzione alle leggi europee vigenti in materia di diritti umani.

La stessa von der Leyen ha poi promesso aiuti alla Grecia per 700 milioni di euro, più un rinnovato dispiegamento di uomini e mezzi di Frontex a sostegno delle forze dell’ordine greche.

La risposta europea all’apertura della frontiera turca è uguale e contraria all’opportunismo di Erdogan. Per entrambi, la gestione dei flussi migratori è un accessorio per regolare conti politici interni ed esterni dove le pedine – gli uomini, le donne, gli anziani e i bambini spogliati di ogni diritto – vengono giornalmente sacrificate. In nome della burocrazia.

Le cronache di questi giorni certificano la débâcle totale del progetto europeo su tutti i fronti. Come rileva Cagri Ozdemir su Middle East Eye, per non incoraggiare una nuova ondata di consensi a livello continentale per l’estrema destra – Vox, Lega, Alternative für Deutschland e via dicendo – von der Leyen ha optato per una soluzione finale sul breve termine: sigillare le frontiere, così da non dover affrontare il problema in casa.

VIDEO QUI:https://youtu.be/eMXKt99W61A 

Nel tentativo di fermare l’avanzata dell’ultradestra nel campo della politica mainstream, di fatto è quella stessa politica a essere capitolata, mettendo in atto le stesse identiche misure incoraggiate da anni dalla peggior feccia nazifascista.

Tra le contraddizioni di un sistema portato al collasso dalla pandemia del Coronavirus e gli appelli al senso di responsabilità per affrontare la crisi economica che ci attende, è bene ricordare come solo la repressione violenta di milioni di persone sia stata in grado di unire davvero l’intero continente.

Fortress Europe. Un progetto tenuto insieme da filo spinato, barconi affondati, proiettili e lacrimogeni sparati ad altezza di uomini, donne, anziani e bambini.

https://www.idiavoli.com/it/article/fortezza-europa-migranti-grecia-turchia

 

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Pensioni, cosa succede se a maggio l’INPS finisce i soldi: Tridico rimedia all’errore

26 Marzo 2020 – 16:32

 

Pensioni, Tridico rimedia all’errore e fa chiarezza: “Non c’è alcun pericolo che le pensioni non vengano pagate”.

Pensioni: nessun rischio che lo Stato non abbia i soldi per pagarle a causa del Coronavirus.

È bene partire da questo punto per fare chiarezza su una questione molto importante: quella relativa al pagamento delle pensioni e alla possibilità che possa arrivare un momento dove l’INPS non avrà i soldi per pagarle a tutti.

A preoccupare sono state le parole pronunciate dal Presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, nel corso del programma Di Martedì, in onda su La7. Qui Tridico ha dichiarato che “l’INPS ha i soldi per pagare le pensioni fino a maggio”; al che in molti si sono chiesti “cosa potrebbe succedere” dopo questa data, ovvero se ci potrebbe essere realmente la possibilità che le pensioni non vengano pagate per mancanza di fondi.

C’è da dire che in questa occasione Tridico non ha utilizzato la miglior strategia comunicativa possibile (volendo utilizzare un eufemismo). Perché suscitare altra preoccupazione, come se ce ne fosse già poca, quando si è consapevoli che per i prossimi mesi non ci sarà un tale rischio.

Ed è per questo che nelle scorse ore il Presidente dell’INPS ha deciso di fare chiarezza sulla questione, spiegando concretamente cosa succederà una volta, e sono nel caso, che l’INPS non avrà abbastanza liquidità per erogare pensioni e assegni assistenzialistici.

Pensioni a rischio dopo maggio? Tridico fa chiarezza
Nonostante l’emergenza sanitaria e la crisi economica non ci sarà alcun problema per il pagamento delle pensioni e per tutte le prestazioni assolte dall’INPS.

Questa volta Pasquale Tridico lo dice con fermezza, dopo che le sue dichiarazioni rilasciate a Di Martedì avevano generato non poca confusione tra gli italiani.

Lo ha fatto rilasciando un’intervista a Il Sole 24 Ore, con la quale ha spiegato che l’INPS ha tutta la liquidità necessaria per le pensioni e che in ogni caso potrà contare sui trasferimenti dello Stato. Anche se il sistema pensionistico si basa sulla regolarità del versamento dei contributi, infatti, esiste un meccanismo che ne garantisce la regolarità e la continuità anche nel caso in cui – come quello che si sta verificando oggi – venga decisa la sospensione temporanea degli assegni.

Nel dettaglio, sono due i canali di finanziamento da cui l’INPS può attingere, in caso di emergenza, per procedere regolarmente al pagamento di pensioni e assegni assistenzialistici. Il primo strumento è quello dei trasferimenti a rendiconto, mentre il secondo – a cui l’Istituto nel 2017 avanzò una richiesta di 17 miliardi di euro – è quello delle anticipazioni sulle singole gestioni.

In ogni caso – ha spiegato Tridico – ad oggi l’INPS non ha bisogno di attingere a questi strumenti. La dimostrazione il fatto che in questi giorni verrà anticipato il pagamento della pensione di aprile, così da evitare affollamenti e assembramenti fuori dagli uffici postali.

Nessun pericolo per le pensioni, ma Tridico ha sbagliato
Non si può però nascondere il fatto che questa volta il Presidente dell’INPS abbia commesso un grave errore. Le dichiarazioni rilasciate a Di Martedì, infatti, hanno allarmato migliaia di pensionati in un momento in cui il panico ne fa da padrone.

E come spiegato dai sindacati, in una situazione così delicata si chiede alle Istituzioni la massima accortezza nel rilasciare dichiarazioni che potrebbero essere mal interpretate.

A tal proposito, il segretario generale della UIL, Carmelo Barbagallo, ha commentato dicendo che visto il momento tutti devono dare il giusto peso alle parole, anche perché ci sono persone – “in particolare gli anziani” – che hanno bisogno di certezze e non di ulteriori ansie.

https://www.money.it/Pensioni-cosa-succede-se-INPS-finisce-soldi-Tridico-rimedia-errore

 

 

 

POLITICA

TANTO PER RICORDARLO A QUALCUNO
Sisto Ceci – 12 02 2020

Domanda a Ernesto Galli Della Loggia , docente universitario di Storia contemporanea , editorialista del Corriere della Sera .
Per il caso Diciotti il ministro dell’Interno va processato ?
EGDL: ” Certo che no.In una democrazia non esiste una Tavola Della Legge che stabilisce che cosa sia l’interesse dello Stato in assoluto.Ipotizziamo che Salvini abbia agito a scopo elettorale : bene , in democrazia chi amministra lo Stato vuole anche vincere le elezioni e l’interesse pubblico coincide, di volta in volta , con l’interesse del partito al governo.Chi ritiene che possa esistere una presunta divaricazione fra l’interesse dello Stato e quello del partito al governo , ha una concezione irrealistica della democrazia rappresentativa.Mi domando cosa si inventeranno nella Giunta per le immunita’ per sostenere che non fosse nell’interesse dello Stato cio’ che il ministro dell’Interno di un governo legittimamente costituito giudicava come tale “DA “IL FOGLIO ” DEL 12 FEBBRAIO 2019.

https://www.facebook.com/sisto.ceci.94?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARCRG20aZVfjTLYdCl8vMeEi9S3Ca0eMKlKugNQaLDaOC3itAQ2mI1-C7LiJZacu17QaLRHrQD3e6n02&hc_ref=ARSl9Tib32LFKjPuDqGbhLRzto87camdmYuTmEFfkQYkSTp4pAxSSSoiiUD3jwlIDEw&fref=nf

 

 

 

La fiducia nelle Istituzioni ai tempi del Coronavirus

Conte sapeva della gravità del virus, ma ci diceva che era tutto a posto. Ora sarebbe lecito che rispondesse ad alcune domande urgenti
23 Marzo 2020

Proviamo a metterci nei panni del “cittadino comune”, categoria un po’ sfuggente in verità, che merita di essere un minimo definita per non aggiungere equivoci in un’epoca in cui questi abbondano pericolosamente. L’identikit del cittadino comune di cui si parla ha almeno 40 – 45 anni e mediamente è più maturo di questa età, ha fatto in tempo a conoscere modi differenti di espressione delle istituzioni dello Stato, nel bene e nel male, non crede in tesi complottiste a meno che non si portino evidenze a supporto delle stesse, non ha atteggiamenti antiscientifici preconcetti e non è attivista anti-vax e tantomeno perde tempo a fare l’odiatore seriale sui social network che, piuttosto, utilizza per cercare di informarsi, facendo lo slalom fra le tante notizie e fake news.

Qualcuno potrebbe dire che non è esattamente il ritratto di un “cittadino comune”, ma non sono d’accordo e l’esperienza “da strada” e di tanti rapporti quotidiani, che fa sostenere la tesi che questo profilo sia molto più diffuso di quanto possa sembrare. Semplicemente si parla del profilo di cittadini che normalmente non urlano, sono moderati, credono in generale nelle istituzioni, pur conservando mediamente il loro spirito critico, non si notano, potremmo dire che non “fanno notizia”. Si può affermare che questo profilo di cittadino, da qualunque mestiere o professione provenga, a qualunque ideologia o tendenza filosofica appartenga, rappresenta l’ossatura, la struttura portante di ciò che ancora funziona nella nostra amata Italia.

VIDEO QUI: https://youtu.be/OoHvwZVCAGs

La domanda che nasce spontanea è che cosa dovrebbe pensare il cittadino di cui si scrive se leggesse la “Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020”? Agevoliamo la lettura della delibera a tutti e per comodità di seguito inseriamo il link del sito ufficiale da cui è stata presa, facendola conoscere meglio in modo da far capire di cosa si sta parlando: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/02/01/20A00737/sg. Si legge, come in un lontano racconto, che il Consiglio dei Ministri, alla data indicata “già sapeva”. Cosa sapeva? Questo:

“Vista la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC) dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020; Viste le raccomandazioni alla comunità internazionale della Organizzazione mondiale della sanità circa la necessità di applicare misure adeguate;

Considerata l’attuale situazione di diffusa crisi internazionale determinata dalla insorgenza di rischi per la pubblica e privata incolumità connessi ad agenti virali trasmissibili, che stanno interessando anche l’Italia…”.

Il cittadino, anche quello più virtuoso, non ha la memoria troppo lunga e non gliene possiamo fare una colpa, perché ogni giorno lo vediamo ingolfato fra scartoffie, spesso inutili, procedure bizantine, scadenze fiscali (gli autonomi, i professionisti, le Patite IVA), regolamenti vari, trasporti pubblici che, salvo qualche isola felice, non funzionano, traffico bloccato eccetera. Vogliamo anche chiedere di collegarsi ogni giorno al sito della Gazzetta Ufficiale? Il nostro cittadino non lo farà. Perché ha fiducia nelle Istituzioni e sa che se ci fosse qualcosa di importante esse non mancherebbero di comunicarlo in modo sollecito e approfondito. Questi vede in queste ultime settimane, al tempo del Coronavirus, comunicazioni quasi continue del premier, da Grande Fratello, due eventi fissi al giorno, come dire “vengano, signori, vengano, uno alle 18:00 e uno spesso in “prime time” alle 22:40 tramite Facebook ripreso televisivamente. Che bel bel palinsesto! Un palinsesto che per certi versi funziona, visto che l’esposizione mediatica del premier Conte è attualmente ai massimi livelli di sempre e tutti, compreso il “nostro” cittadino, sono portati a pensare che il Governo sia responsabile e stia facendo tutto il possibile per fronteggiare la situazione. Eppure il 31 gennaio non è successo niente, ma proprio niente, di tutto questo. E nemmeno il primo febbraio. E nemmeno nelle settimane successive. Si dirà che “la gravità ella situazione non era ancora del tutto chiara”. È questo il pensiero che viene a chi ha fiducia nelle Istituzioni, ma questo “non può essere”, guardiamo meglio! E guardando meglio si legge:

“Tenuto conto che detta situazione di emergenza, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari;

Ritenuto, quindi, che ricorrano, nella fattispecie, i presupposti previsti dall’articolo 7, comma 1, lettera c), e dall’articolo 24, comma 1, del citato decreto legislativo n. 1 del 2018 [N.d.R.: Tipologia degli interventi emergenziali di protezione civile sulle emergenze di rilievo nazionale connesse ad eventi calamitosi…], per la dichiarazione dello stato di emergenza; Su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri; Delibera: 1) In considerazione di quanto esposto in premessa, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 7, comma 1, lettera c), e dell’articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, è dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.

VIDEO QUI: https://youtu.be/WYcPE5zlgBM

La situazione sembra essere abbastanza chiara, parliamo di un documento governativo del 31 gennaio 2020 dove si fa riferimento ad un tempo di ben sei mesi, quindi fino a fine luglio 2020, già da questo primo decreto. E allora, perché nelle tre-quattro settimane successive si è comunicato solo per spegnere le preoccupazioni sull’insorgere di episodi di razzismo ai danni della comunità cinese italiana (da tutelare assolutamente, ma non è questo il problema) e niente si è fatto per potenziare le strutture sanitarie e le loro dotazioni? Perché si è continuato a diffondere minimizzazioni dopo che si era deliberato ai massimi livelli in senso esattamente opposto? Perché si è dovuto assistere ai tour di alcuni componenti della maggioranza, fatti di baci e abbracci, nelle zone in cui erano attivi i primi focolai, per poi assistere a confessioni imbarazzate sul fatto di aver contratto il virus, quando più responsabile sarebbe stato chiedere scusa a tutte le persone non solo “venute in contatto”, ma amabilmente cercate per profondere baci e abbracci amorevoli e politicamente corretti, ma inevitabilmente infetti? Perché non si è pensato, da subito, ad organizzare e agire per sciogliere i lacciuoli che hanno impedito non solo ai sanitari, ma a tutta la popolazione, di dotarsi di mascherine e altri strumenti che avrebbero senz’altro rallentato il contagio e tutte le conseguenze sociali ed economiche che ne conseguono e si è scelto di mandare in mondovisione, sulla CNN, un atto di accusa ingiusto e ingiustificabile nei confronti dei medici in quel momento, come adesso, già impegnati in prima linea a combattere – loro sì – una guerra contemporanea con sassi e bastoni? Perché signor presidente del Consiglio? È ancora lecito porre garbatamente queste domande al premier Conte o si viene tacciati di lesa maestà?

Non dovrebbe rispondere al Parlamento il premier Conte, come da più parti giustamente richiesto, sia nel mondo politico di opposizione (ma anche qualche voce della stessa maggioranza) che da qualche voce della società civile, oppure vale il detto “non disturbare il manovratore”? Ma è o non è lecito chiedersi di che “manovre” si tratti? Ci si sta impegnando al meglio per la salute dei cittadini? Benissimo: se sì, le domande sono: dove sono le mascherine? Dove sono i respiratori? Dove i disinfettanti? Dove sono i tamponi effettuati a tappeto come in Corea che hanno consentito di prendere decisioni competenti basate su numeri molto più solidi dei nostri? Tutto questo non c’è. E non è sufficiente richiamare le 100 mila mascherine cinesi (le abbiamo pagate, o no?): una goccia nel mare in una nazione da 60 milioni di abitanti, per le quali ci siamo profusi in salamelecchi e ringraziamenti ridicoli del tutto sproporzionati al supporto ridicolo ricevuto. Ma qui si tratta di geopolitica, non di tutela dei cittadini. E ancora: può il presidente Conte chiarire al Parlamento, e a noi cittadini, quando cesseranno i poteri straordinari a lui attribuiti?

Dopo la delibera citata, ci sono stati una serie di decreti, inclusi quelli della Protezione Civile (che dipende dallo stesso Presidente del Consiglio), che non hanno chiarito in modo esplicito questo aspetto, per cui possiamo solo formulare delle ipotesi. Possiamo ipotizzare che i poteri speciali attribuiti a Conte possano durare “al massimo” finché durerà lo stato di emergenza, ovvero, al massimo, 24 mesi. Ma noi non vogliamo formulare queste ipotesi, vorremmo sentirci dare delle risposte, o attraverso il Parlamento, che sarebbe la sede naturale, o anche (ormai siamo di bocca buona) attraverso i reality delle 22:40, naturalmente attraverso Facebook.

Non si formalizzi, presidente Conte, ci faccia sapere. Ci faccia sapere se intende andare avanti con i suoi D.P.C.M. ad oltranza, per 24 mesi o per tempi sufficientemente lunghi da consentire di classificare meglio e in modo più cristallino il periodo che stiamo vivendo, in cui di cristallino c’è solo il frontone della scrivania della cosiddetta conferenza stampa, con le bandiere e il logo della Sua presidenza, logo al quale gli affezionati delle istituzioni sono peraltro molto legati. Vada avanti così, presidente: si capirà meglio che il problema si chiama “Democrazia”. È lecito a questo punto domandarsi se non si stia assistendo ad un uso strumentale delle Istituzioni e presto, o tardi, sarà il cittadino stesso a chiederselo. Quello stesso cittadino che è stato descritto all’inizio, quello calmo e moderato. Quello che, credendo nelle Istituzioni, ha delegato il Parlamento, e non un autoproclamato “avvocato degli Italiani”, a rappresentarlo.

Foto e video © Palazzo Chigi, Agenzia Vista, Eurocomunicazione

FONTE:https://www.eurocomunicazione.com/la-fiducia-nelle-istituzioni-ai-tempi-del-coronavirus/

 

 

 

STORIA

Sereni, Vidali e gli altri. La parabola “eccezionale” dei comunisti italiani

Siegmund Ginzberg – 7 novembre 2019

Fu Stalin a sostenere che i comunisti sarebbero “di tempra speciale”, del tutto diversi dagli altri. L’idea si protrasse a lungo, anche nei partiti che non somigliavano più al glorioso Partito bolscevico dell’Unione sovietica. Quello della “diversità” antropologica dagli altri continuò ad essere un mito fondante, e al tempo stesso una macina di pietra al collo, anche per il Pci.

Ciò non toglie che ce ne fossero, eccome, di personalità di tempra particolare. Sono appena stati pubblicati tre libri dedicati a personaggi di questo genere: Lo studio di Patrick Karlsen, dell’Università di Trieste, Vittorio Vidali. Vita di uno stalinista (1916-56), Il Mulino; Emilio Sereni, l’intellettuale e il politico, a cura di Giorgio Vecchio, Carocci Editore; Aldo Natoli. Un comunista senza partito, di Ella Baffoni e Peter Kammerer, Edizioni dell’Asino. Tre tipi formidabili, tutti d’un pezzo, ma ciascuno diverso dall’altro, nessuno ad una sola dimensione.

Alcuni li ho conosciuti. E pure da vicino. Sereni mi aveva chiamato da Milano a lavorare con lui alle Botteghe oscure che non avevo neanche vent’anni. Ero affascinato dalla sua cultura sterminata ed enciclopedica. Dalla sua figura di dirigente del Pci e del Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. Avevo letto la biografia scritta dalla sua compagna, Marina. Andai a trovarlo a casa sua, a Monteverde nuovo. Mi impressionò quanto fosse stracolma di libri, e di cassette su cui registrava musica classica, nella stessa maniera ossessiva e sistematica con cui faceva ritagli e compilava milioni di schede di lettura, su sottilissimi rettangolini di carta velina. Ma più ancora rimasi colpito dal tenerissimo affetto verso una delle figliolette, che giocava in una stanza anch’essa piena di libri, tutti sulla Cina. Aveva anche molto humour. Mi attraeva, e al tempo stesso però mi allarmava la sicurezza, un po’ eccessiva, in tutto quel che faceva e diceva.

Ho conosciuto anche Vidali. Anche lui amava definirsi, come Sereni, un “rivoluzionario di professione”. Anzi era stato un professionista dell’azione, prima ancora che della politica, un agente operativo al servizio di Stalin. Nella guerra civile spagnola, da commissario politico del Quinto reggimento, il “comandante Carlos” era stato spietato con la cosiddetta Quinta colonna, i “nemici interni” della Repubblica, gli anarchici e i trotskisti, accusati di fare il gioco di Francisco Franco. Si diceva che gli era venuto un callo tra pollice e indice a forza di giustiziare i “traditori”. Paolo Franchi, autore di Il tramonto dell’avvenire (Marsilio), in cui si parla di tempi forse un po’ meno formidabili, un giorno gli chiese se fosse stato lui a organizzare in Messico il primo attentato fallito contro Trotski. Lui si alzò di scatto e battè il pugno sul tavolo: “Se quell’attentato lo avesse organizzato il compagno Vidali, non sarebbe fallito!!!”.

Aldo Natoli era anche lui un duro e puro. Aveva fatto la Resistenza, poi da segretario della Federazione romana del Pci aveva organizzato, contravvenendo alle indicazioni della Direzione, azioni armate dopo l’attentato a Togliatti nel luglio 1948. Ma dice di non aver mai avuto un’arma “né in mano né in tasca”. Nemmeno Sereni, credo. Ma quando un giorno gli chiesi chi era responsabile dell’uccisione di Giovanni Gentile, mi rispose: “Non preoccuparti: sono stato io a dare l’ordine, da vicepresidente del Comitato di Liberazione”.

Tutti e tre erano stalinisti convinti. Compreso Natoli, che al momento della sua espulsione con il gruppo del Manifesto era sì critico dell’Unione sovietica di Breznev, ma era innamorato di qualcosa di forse anche peggio: della Cina e della Rivoluzione culturale di Mao. Erano uomini di altri tempi, tempi tremendi. Uomini di parte. Che credevano profondamente, forse troppo, in quel che facevano. Anteponevano la “causa” (del socialismo, dei lavoratori, del progresso, del futuro, del partito come strumento per arrivarci…) a qualsiasi altra cosa. La fede di Sereni e di Vidali non fu scalfita dal fatto che erano stati entrambi ad un pelo dall’essere ammazzati da Stalin. Successe anche a Berlinguer. Anche lui era un figlio di quei tempi. Disse a Macaluso che erano stati i sovietici a cercare di ucciderlo in Bulgaria, ma non lo disse a nessun altro, nemmeno a suo fratello, per evitare contraccolpi politici.

Erano fatti così, gente che non si lasciava andare a confidenze. Qualche anno fa Clara, la figlia di Sereni divenuta scrittrice, e purtroppo recentemente scomparsa, mi raccontò che suo padre rimproverava Giorgio Amendola per essersi lascato andare a raccontare troppo, e cose troppo intime nei suoi libri.

Eppure Amendola era il suo grande amico. Sereni aveva un legame particolare con il gruppo dei “napoletani”, la città di sua formazione politica (anche se allora nessuno nel Pci si sarebbe mai sognato di rivendicare l’appartenenza a un gruppo “regionale”, che so di sardi, o siciliani, anziché toscani). Stimava la lucidità dell’ingegnere Gerardo Chiaromonte. Mi raccontava con affetto di un giovanissimo Giorgio Napolitano che nell’immediato dopoguerra andava in stazione a lavare con la pompa gli scugnizzi che sarebbero stati mandati a vivere in famiglie emiliane. Altro che i minori che sbarcano a Lampedusa. “Alcuni di quei ragazzi di strada poi ne combinarono di tutti i colori, rubavano, misero incinte le figlie delle famiglie ospitanti…”.

Fanatici? Ma fanatici che sapevano fare politica. Gente che viveva per il proprio partito, ma sapeva anche pensarla in modo diverso, persino dal Capo, e anche rispettare chi la pensava in modo diverso. Faticate a crederci? Sereni passò una vita a studiare e difendere la piccola proprietà contadina, mentre Stalin i suoi kulak li aveva sterminati. Soprattutto teorizzava il valore assoluto dell’“iniziativa politica”, tipo quella che portò Togliatti a fare un governo prima con il generale Badoglio e poi con De Gasperi. Non credo che avrebbe storto il naso alla formazione di un governo Pd-5 Stelle.

Nostalgia di quel tipo di partito? Certo che no. Ma forse un po’ sì. Con una cautela. La convinzione di essere geneticamente, moralmente superiori agli altri può essere una risorsa. Ma è anche un autoinganno. Rischia di alimentare fanatismi. E, soprattutto, rende più difficile fare politica, cioè interagire con gli altri. L’“eccezionalismo” di partito può essere esiziale quanto quello religioso (la mia religione è quella vera) o quanto senso di superiorità nazionale (l’American exceptionalism, l’eccezionalismo russo, quello cinese, quello di Israele, e così via, per non dire il Sonderweg della Germania nella prima metà del secolo scorso). Ad attirare la mia attenzione su questo difetto “genetico” del Partito a cui entrambi allora appartenevamo con convinzione fu l’amico Napoleone Colajanni, che nel Pci di Togliatti era entrato perché Macaluso e Bufalini gli avevano garantito che poteva continuare a pensare con la sua testa, e da quello di Occhetto era uscito in direzione opposta ai puri e duri.

https://www.reset.it/caffe-europa/sereni-vidali-e-gli-altri-la-parabola-eccezionale-dei-comunisti-italiani

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