RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 25 OTTOBRE 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

25 OTTOBRE 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Molte morti sono suicidi truccati.

GESUALDO BUFALINO, Il malpensante, Bompiani, 1987, pag. 30

 

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SOMMARIO

 

EDITORIALE

GLI EFFETTI COLLATERALI DEL CLIMATISMO BUONISTA

Gli effetti collaterali del climatismo buonistaI minatori bambini nelle miniere di cobalto in Congo

Le parole d’ordine del politicamente corretto stanno avendo una traslazione semantica sotto la spinta della narrazione ecologica. Abbiamo la diffusione per mano giornalistica e governativa di una propaganda con termini come sostenibile, inclusivo, greenIl termine inglese rappresenta il tema di fondo e la foglia di fico che copre gli abusi spaventosi generati dalla economia ecologica. L’energia definita “pulita” proviene ancora in gran parte dai fossili (petrolio e carbone) o dal nucleare. Le pale eoliche e i pannelli solari sono ancora marginali, nonostante gli enormi investimenti in crescita esponenziale, sostenuti dalle centrali di potere che ne hanno fiutato l’affare. Una visione panoramica avulsa dalla distrazione dei particolari, ci consente di analizzare e di smascherare le linee di tendenza che uniscono i vari punti del mosaico.

La cosiddetta “svolta elettrica” dettata dai ruolini di marcia della transizione ecologica, cammina in parallelo con il genderismo. Questo collateralismo è la strada maestra per diffondere e far accettare il pauperismo economico come la nuova normalità e, in parallelo, il neo-malthusianesimo cerca di giustificare l’assunto che cinque miliardi di umani su sette sono superflui, sono spazzatura da eliminare grazie alla transizione robotica delle procedure di lavoro, che prevedono addirittura l’inesistenza degli umani in un numero crescente flussi di produzione di offerta di beni e di servizi. I parametri di valutazione della eugenetica già in corso sono unilateralmente determinati da un ridottissimo gruppo di circa seicentomila persone che, secondo il politologo Giulietto Chiesa, sono i proprietari universali del pianeta. Alla combinazione infernale del genderismo, della plurisessualità, del politicamente corretto, dell’inclusione multirazziale, della sostenibilità ecologista, della precarietà permanente, aggiungiamo la nuova dottrina del climatismo, del pauperismo che giustifica la spoliazione di qualsiasi bene posseduto da privati cittadini e, infine, la pandemia dichiarata e poi cinicamente gestita da organismi internazionali di estrazione nordamericana e spalleggiata dai colossi tecno-farmaceutici.

Con l’identico metodo usato dai Chicago Boys di Milton Friedman, colpevole di aver provocato il collasso pilotato della Louisiana dopo i danni dell’uragano Katrina il 23 agosto 2005, questa miscela ha destabilizzato l’intera Europa, ha sfiorato Cina, Russia e India che sono gli altri tre quadrumviri del pianeta. Perché solo il Vecchio Continente? Perché lo scopo, non troppo nascosto, è quello di inchiodare gli interessi al tasso zero che è un segnale di blocco degli investimenti e della ripresa economica. Con il tasso zero il sistema finanziario non eroga crediti destinati agli investimenti per il rinnovo delle infrastrutture e per la ricerca tecnologica. Il tasso zero è una variabile che ha un peso rilevante segnaletico e finanziario rispetto alle altre variabili (azioni o indici azionari, merci, materie prime e tassi di cambio). L’azione combinata di queste variabili determina il prezzo di quotazione dei Fondi di investimento, dei Fondi sovrani, dei Fondi pensione e soprattutto dei Derivati il cui valore è circa trentatré volte il totale del Prodotto interno lordo (Pilmondiale. In termini sintetici, l’ascesa dei tassi, provoca un deprezzamento dei valori di borsa e quindi i detentori di questi investimenti sostengono il blocco a zero del tasso, anche a costo di creare due-trecento milioni di disoccupati che sarebbero sostenuti con una forma di reddito universale unico il cui costo complessivo risulterebbe inferiore al totale del deprezzamento delle quotazioni dei fondi e dei derivati!

Adesso sarà più chiaro perché sono apparsi in Europa movimenti politici che hanno sostenuto, e continuano a farlo, l’assegnazione di un reddito di sostegno della popolazione disoccupata. A copertura di questo disegno si muovono i movimenti ecologisti, il pauperismo, l’economia sostenibile chiamata “green”, il climatismo, il genderismo, il politicamente corretto, il terrorismo che mantiene i Paesi bersaglio sotto una guerra ibrida a bassa intensità dettata dalla eterna emergenzaNon a caso, l’attenzione della mega-macchina propagandistica si focalizza sull’immigrazione, sulle bottiglie che galleggiano su specchi d’acqua di cui non si comunica il luogo e spacciati per mare aperto.

Con enorme malafede, si confondono volutamente gli effetti del surriscaldamento del pianeta causato da un incremento dell’attività solare con gli effetti dell’inquinamento che pesa in modo residuale rispetto alle cause esogene ma che è artatamente ingigantito con il preciso intento di colpevolizzare i cittadini inducendoli ad accettare felicemente una economia povera di mezzi, detta “green” (leggi povertà), ma eticamente “giusta”. Gli umani – opportunamente accusati di tutto – devono imparare in fretta, anche con la forza, ad accettare la nuova economia green che è un eufemismo che significa povertà diffusa, frequenti interruzioni dell’energia, scarsità di cibo, di materie prime, di acqua. La concentrazione di accuse agli umani nasconde le effettive colpe dei colossi multinazionali, autori di devastazioni in Africa e di numerose deforestazioni in Sudamerica. Ma, va evidenziato, la vulgata attuale criminalizza i singoli cittadini.

Tale rovesciamento delle responsabilità nasconde l’intenzione delle élite di depredare gli ultimi beni posseduti dalla popolazione stordita, terrorizzata, disorientata, baccata dalle polizie di turno e da una sapiente e ben orchestrata emergenza-permanente-fate-presto, dal terrore pandemico permanente. Quando sarà razziato tutto il possibile, si procederà ad una campagna propagandistica che giustificherà come atto etico la eliminazione di cinque miliardi di umani dichiarati “superflui” da vari centri di opinione (università, gruppi politici, reti informative). Il neo-malthusianesimo come emblema della cultura di morte che promuove l’aborto, il suicidio di massa, la cessazione di cure mediche considerate un centro di costo da limitare ed eliminare, la diffusione della infertilità da precariato. Il collasso demografico sarà fronteggiato dalla immigrazione prossima ventura di almeno 180.000.000 di cosiddetti migranti destinati a lavorazioni di basso valore.

Infine, va fatto notare che gli apostoli del sinedrio climatista, genderista, buonista, inclusivo, sostenibile prestano una ossessiva attenzione ai migranti deportati da strutture schiavistiche private che ne traggono immensi profitti, alcune delle quali hanno nomi famosi dell’industria e delle banche nei loro Consigli d’Amministrazione! Viene sostenuta la plurisessualità, ma c’è un fitto silenzio sulla ignominia del lavoro schiavistico che uccide milioni di umani soprattutto bambini. Muoiono nelle miniere per mancanza di protezione quando estraggono terre rare, coltan e cobalto a mani nude. Quel cobalto che viene utilizzato per la produzione di batterie per auto elettriche ecologiche e sostenibili”. Il paradosso kafkiano emerge se pensiamo che queste auto, che la popolazione deve comprare dietro un martellante coro pubblicitario, saranno parcheggiate per le strade perché inutilizzate a causa delle sempre più frequenti interruzioni di corrente elettrica. Avremo città somiglianti agli scenari del bel film distopico “Io sono leggenda”.

La finta e ipocrita ecologia climatista green inclusiva plurisex è platealmente indifferente al silenzioso e nascosto genocidio di milioni di ultimi della terra che estraggono il materiale utile alle economie pulite. Il silenzio totale evita l’imbarazzo e quindi si comprende il silenzio delle ben note firme giornalistiche, degli intellettuali, dei governi, somma, le anime belle che si sbracciano per i cosiddetti immigrati, per il genderismo, per la presunta ecologia, mentre considerano la morte di questi ultimi come danni collaterali.

Viene da domandarsi chi è più etico: chi scrive queste righe e coloro che le stanno leggendo o coloro che sono al comando come “padroni del discorso” fra i quali ci sono in prima fila i capi religiosi, ai governi, alle industrie, alla finanza tutti attenti ipocritamente alle migrazioni e ai soldi che riceveranno con i colossali affari del green? Qualcuno muore per loro dietro le quinte ma non importa a nessuno. Riflettiamo… e molto!

FONTE: https://www.opinione.it/politica/2021/10/25/manlio-lo-presti_effetti-collaterali-climatismo-buonista/

 

 

 

IN EVIDENZA

dati R&S-Mediobanca

Banche, allarme derivati: valgono 33 volte il Pil mondiale

di Antonella Olivieri

(AdobeStock)
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Il valore nozionale dei derivati in circolazione a livello mondiale potrebbe sfiorare la strabiliante cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire 33 volte il Pil mondiale e quattro volte tanto quello che si pensava finora, amplificando in modo allarmante il rischio sistemico di prodotti per loro natura interconnessi. Rischio che ancora sfugge in gran parte ai tentativi di controllarlo. Basti pensare che la stessa regolamentazione di vigilanza bancaria è tuttora concentrata più sui rischi di credito tradizionali che sui rischi connessi all’innovazione finanziaria che – vedi il caso dei mutui subprime Usa – hanno dimostrato di essere in grado di seminare recessione sul scala globale.

Fino a ottobre la mappa del rischio-derivati era spiegata all’80% dall’attività delle prime 55 banche dei tre blocchi Europa-Usa-Giappone, come risulta dal data base di R&S-Mediobanca. Gli unici dati “ufficiali” sull’entità del fenomeno erano quelli raccolti dalla Banca dei regolamenti internazionali tra 70 grandi dealer (principalmente le banche centrali), che segnalavano a fine 2017 532mila miliardi di dollari di derivati Otc e 90mila miliardi trattati sui mercati regolamentati per un totale di 622mila miliardi di dollari, pari a poco meno di 550mila miliardi di euro. La prima indagine annuale dell’Esma, pubblicata il 18 ottobre scorso, ha però evidenziato che nei soli 28 Paesi Ue l’entità delle transazioni in derivati è superiore a quanto ipotizzato: 660 trilioni di euro (660mila miliardi) a fine 2017. Se è corretta l’assunzione della Bri secondo la quale i derivati trattati sui mercati europei rappresenterebbero meno di un quarto dei derivati di tutto il mondo, ciò significa che l’ammontare effettivo – se censito con metodi più capillari – potrebbe sfiorare appunto i 2,2 milioni di miliardi di euro.

LA FOTOGRAFIA DEI DERIVATI

La maggior concentrazione resta appannaggio delle banche europee. Dai dati R&S-Mediobanca risulta infatti che a fine 2017 alle prime 27 banche continentali facevano capo derivati per un valore nozionale di ben 283mila miliardi, pari al 42% dei derivati Ue quantificati dall’Esma. Prese singolarmente, la sola Deutsche Bank (48,26 trilioni) e la sola Barclays (40,48 trilioni) hanno molti più derivati di tutte le principali banche giapponesi messe assieme (32,44 trilioni).

Aggiungendo anche i derivati della terza banca europea più attiva – i 24,53 trilioni del Credit Suisse – si arriva a un importo di 113,3 trilioni, superiore a quello delle prime 14 banche Usa, che, tutte insieme, arrivano a 112,75 trilioni.

La prima banca Usa per ammontare di derivati è JPMorgan con 40,34 trilioni di euro, seguita da Citigroup con 38,4 e Bank of America con 25,57.

Tra le 27 big del credito europeo rientrano anche Intesa (2,94 trilioni di derivati) e UniCredit (2,5 trilioni), che sono però ben lontane dai livelli del top continentale.

FONTE: https://www.ilsole24ore.com/art/banche-allarme-derivati-valgono-33-volte-pil-mondiale-AErENbtG

 

 

 

“Non vaccinati fuori legge”, “Fai lager?”: scontro tra Lerner e Mieli

Discussione sull’obbligo vaccinale a Cartabianca: Gad Lerner invoca la messa fuori legge dei non vaccinati ma Mieli invoca obiettivi realizzabili

"Non vaccinati fuori legge", "Campi di concentramento?": scontro tra Lerner e Mieli

Cartabianca riparte con la stretta attualità dal dibattito centrale delle ultime settimane in Italia: Green pass e obbligo vaccinale. Nello studio di Bianca Berlinguer sono intervenuti il direttore della clinica Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, i giornalisti Gad Lerner e Paolo Mieli, e il filosofo Massimo Cacciari. Il giornalista de Il fatto quotidiano è intervenuto a gamba tesa contro i non vaccinati ma i suoi toni sono stati smorzati da Paolo Mieli, che dallo studio ha ripreso Lerner.

Gad Lerner si è detto favorevole alla somministrazione della terza dose di vaccino, il cui richiamo potrebbe avvenire a una cadenza inferiore rispetto a quelli che, ogni anno, vengono somministrati contro l’influenza stagionale. “Vorrei che nella confusione, che non è diminuita, ricordassimo che noi dobbiamo abituarci all’idea che convivremo ancora a lungo con questo virus. Questo cambierà le nostre abitudini di vita e i limiti delle nostre libertà. È già avvenuto, dobbiamo accettarlo“, ha affermato Gad Lerner. Il giornalista, quindi, ha proseguito: “La buona notizia è che i vaccinati, anche quando prendono la variante delta, se la cavano. Questa è la buona notizia che deve spingerci al più presto a stabilire un obbligo vaccinale“.

Quindi, l’affondo da parte di Lerner: “Come facciamo a costringerli? Cominciamo a dichiararli fuori legge. In Italia ci sono milioni di evasori fiscali. A nessuno viene in mente che, siccome ci sono milioni di persone che non pagano le tasse, allora non possiamo introdurre per legge l’obbligo di pagare le tasse“. Alla richiesta di chiarimento di Bianca Berlinguer sull’ipotesi di perseguire penalmente i non vaccinati, Lerner ha tirato dritto: “Si troveranno le vie, e il Green pass e una di queste, è una documentazione del fatto che io possa viaggiare tranquillo, che posso andare in dei luoghi di lavoro e di ricreazione con persone che hanno fatto il loro dovere e che rivendicano il loro diritto a stare tra vaccinati. Questa è una via che ci conduce all’obbligo vaccinale“.

Su posizioni più moderate rispetto all’affondo estremo di Lerner è Paolo Mieli: “Come mai l’obbligo del vaccino è stato introdotto nel mondo solo in Indonesia, Tagikistan, Turkmenistan e Micronesia? Come mai i Paesi che sono più avanti di noi, hanno avuto più inciampi di noi, soprattutto gli Usa perché sono arrivati al galoppo al 70% di vaccinati poi lì si sono fermati“. Quindi, Paolo Mieli si è chiesto come mai non è stato introdotto l’obbligo una volta arrivati a un livello di vaccinazione stagnante. A questa domanda, il giornalista si è dato una risposta: “Come fai? Li arresti? Anche metterli fuori legge… La cosa peggiore da fare sono le leggi altisonanti e poi ognuno fa quello che gli pare“.

Mieli ha elencato gli aspetti positivi e negativi del vaccino, sostenendo che da una parte i pro sono rappresentati dalla protezione offerta dal vaccino contro le ospedalizzazioni e la malattia grave, alla quale sono maggiormente esposti i non vaccinati. I contro sono rappresentati dall’impossibilità di raggiungere l’immunità di gregge. “Obbligo e mettere fuori legge è un sinonimo. In linea di massima sono d’accordo, ma perché non l’hanno fatto i Paesi più civili del nostro? Anche messi fuori legge, riprendendo l’esempio di Gad Lerner degli evasori fiscali che dovrebbero finire in prigione, ma valli a pescare. Quando si è in quelle dimensioni cosa fai, un campo di concentramento per 7 milioni di persone? Sono d’accordo a non fare cose assurde, porsi degli obiettivi sulla carta miracolosi ma non realizzabili“, ha concluso Paolo Mieli.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/non-vaccinati-fuori-legge-campi-concentramento-scontro-1973792.html

 

 

Noi non vaccinati verso i campi di concentramento: prepariamoci perché a ottobre ci sarà il rischio di una guerra civile

sabato, 10 luglio 2021 di aldo grandi

Forse voi gente di poca anzi, nessuna fede, non ve ne rendete conto persi come siete a godere dell’unica valvola di sfogo che vi resta, quella del pallone o, per i più colti, della manifattura tabacchi a Lucca, delle vacanze estive in Versilia o sul litorale di Massa e Carrara o, ancora, in terra di Garfagnana. Se, però, accendeste un po’ il cervello ammesso che ancora non lo abbiate ceduto o venduto all’ammasso, dovreste prestare molta attenzione a quello che sta accadendo in questi giorni e ai titoli e non soltanto che i giornalisti del mainstream stanno propinando sulle prime pagine dei quotidiani e delle Tv svenduti alla assoluta assenza di analisi critica. Ci stanno annunciando che i contagi sono in aumento, attenzione: in aumento senza specificare che i ricoveri sono in diminuzione per non parlare delle terapie intensive o dei decessi pressoché inesistenti e che se anche avvengono, colpiscono,  come è sempre stato, persone con problematiche e patologie devastanti e che compromettono già la vita quotidiana dell’individuo. Ma a cosa serve cercare di far ragionare chi ha paura solo di morire e preferisce rinunciare a vivere? Alcuni virologi d’accatto ci mettono già in guardia sulla prossima ondata autunnale e come se non bastassero i danni psicologici già provocati, seminano, simili a profeti di sventura, previsioni catastrofiche a cui fanno seguito annunci di prossimi provvedimenti necessari da adottare nei confron ti di coloro che, bestiacce schifose, non osano vaccinarsi.

Qualcuno, ma siamo soltanto all’inizio, ha detto che gli studenti non vaccinati dovranno restare in dad mentre gli altri potranno e avranno, loro soli, il diritto di andare a scuola in presenza. Se non è persecuzione ai livelli delle leggi razziali del 1938 durante il fascismo, poco ci manca. E quel poco che ci manca verrà presto colmato se ci tocca leggere da più parti che chi non si vaccinerà dovrà essere sottoposto a tutta una serie di limitazioni che ne renderanno, praticamente, impossibile l’esistenza, una specie di lockdown mirato e personale che finirà per portarsi dietro anche, come era già stato ipotizzato mesi fa, la possibilità di avviare i renitenti alla politica vaccinale in appositi campi di concentramento.

Ciò che stupisce, tuttavia, in tutto questo, è il silenzio dei medici, degli ordini professionali i quali, supinamente, hanno accettato una politica di imposizione urbi et orbis di vaccinazione con la quale nemmeno loro sono unanimamente d’accordo. Anzi. Ne conosciamo personalmente diversi che consigliano di non vaccinarsi in privato, ma che, pubblicamente, sono costretti a dire di sì per non perdere il posto di lavoro.

A noi ricorda molto il periodo delle deportazioni ebraiche o sovietiche, dei Gulag o dei Mauthausen, l’anticamera della morte per chi non si adegua o non appartiene alla nuova razza eletta quella, appunto, che pur di poter andare in vacanza o non rischiare il posto di lavoro, rinuncia alla propria individualità e alle proprie certezze per non compromettere il cosiddetto très bien vivre ensemble come dicono i francesi o il quieto vivere come diciamo qui da noi.

 

Non so se vi siete accorti di come la gente inquisisce e domanda se siamo o meno vaccinati, quasi dipendesse da coloro che non si sono iniettati nelle vene l’Astra o lo Zeneca, la loro sicurezza e la loro possibilità di vita. Pensate un po’ se i mass media cominciassero – e cominceranno statene certi – a mettere in giro anche solo l’ipotesi o la voce che l’aumento inevitabile in autunno del Covid sarà colpa dei non vaccinati. Altro che delazioni, altro che Anna Frank denunciata dai vicini di casa. Ci sarà la corsa a denunciare chi non vorrà farsi iniettare un siero che, buono o cattivo che sia, non può essere imposto senza che esista una oggettiva necessità di salute.

Perché ricordatevi che adesso vi dicono che dovete vaccinarvi altrimenti si riempiranno gli ospedali e il sistema andrà in til, ma non aggiungono che il ricorso ad una politica sanitaria dell’emergenza non può dipendere da una soggettiva analisi delle capacità ricettive del sistema sanitario, bensì dalla oggettiva letalità del virus, altrimenti se domani, in un sistema in cui la sanità pubblica dovesse essere ridotta al lumicino e i nosocomi cancellati o quasi, i governanti lo ritenessero opportuno, potrebbero costringere chiunque a sottoporsi a qualunque trattamento.

La verità è che la soglia della nostra libertà in quanto individui pensanti sta subendo un colpo devastante che non conoscerà un ritorno al come eravamo prima. Ci abbiamo riflettuto molto prima di arrivare a queste conclusioni e non passare, invece, per dei poveri visionari o dei negazionisti che non siamo né siamo mai stati. Siamo, al contrario, consapevoli che in una società in cui regna la deresponsabilizzazione spinta, chi osa pensare è visto sempre come un potenziale nemico e come una sicura fonte di problemi.

Per governare le masse la paura è l’ingrediente migliore, quella della morte, poi, anche se aleatoria, di sicuro effetto.

Siamo al 10 luglio e vorrei che faceste tesoro di quanto stiamo scrivendo mettendoci pure all’indice e sputandoci in faccia se avremo sbagliato. Se con 30 gradi all’ombra assistiamo ancora a sindaci come quelli di Viareggio, di Pietrasanta, di Porcari, di Borgo a Mozzano solo per citarne alcuni, che hanno rimosso il maxi-schermo in piazza per vedere la finale per paura dei contagi, potete immaginare che cosa saranno capaci di fare quando, con l’arrivo del freddo e dell’autunno, i contagi inevitabilmente cresceranno. Viviamo in un Paese di pavidi.

Siamo sicuri che i contagi aumenteranno e la colpa verrà assegnata a chi non si sarà vaccinato. E’ sempre stato così. Bisogna trovare un colpevole che mascheri il fallimento di una politica sanitaria spaventosa che ha condotto soltanto all’arricchimento esasperato delle multinazionali della salute. Perché non rendersi conto che vaccinare non significa eliminare il contagio? Che il freddo favorisce i virus da sempre e che non si tratta di correre loro dietro ad ogni variante, ma di conviverci senza drammi e senza paure.

Durante la seconda guerra mondiale, quando Hitler e Mussolini sembrarono poter conquistare l’Europa, quando non sembravano esserci speranze di sorta, in un  Paese, la Gran Bretagna, solo un uomo, Winston Churchill ebbe il coraggio di fare scelte impopolari rifiutando ogni accordo anche a costo di migliaia di vittime causate dai bombardamenti nazisti. Ebbene, oggi non c’è più un Churchill in giro per il mondo, ma soltanto eunuchi che non vogliono rischiare, che hanno paura di agire, che preferiscono adeguarsi all’omogeneizzazione globalista. Cosa sarebbe accaduto se Churchill avesse ceduto a chi voleva pace e sicurezza ed era contrario a una guerra senza tregua contro i tedeschi?

E oggi, pensateci, cosa accadrà a chi, come noi, non si vaccinerà non perché è negazionista o no-vax, ma perché ritiene che un vaccino sia indispensabile quando esiste, concretamente, una minaccia di morte impellente. Ebbene, nessuno può mettere in dubbio che questa minaccia è, al momento, completamente assente, ma se un Governo impone certe misure per obbligare il popolo a fare ciò che vuole, come potete credere che ci sarà chi sarà disposto a rinunciare a qualcosa per far prevalere la verità?

Resteremo soli e dovremo difenderci da soli. Attenzione, però, perché così facendo si rischia davvero di far precipitare il paese in una guerra civile senza fine dove la caccia a chi non sarà stato ‘marchiato’ sembrerà in tutto e per tutto simile a quella che, tanti anni fa, veniva condotta contro il popolo ebraico. E tutti sanno come andò a finire.

FONTE: https://www.lagazzettadelserchio.it/ce-n-e-anche-per-cecco-a-cena/2021/07/noi-non-vaccinati-verso-i-campi-di-concentramento-prepariamoci-perche-a-ottobre-ci-sara-il-rischio-di-una-guerra-civile/

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Mostra – IL RINASCIMENTO EUROPEO DI ANTOINE DE LONHY

da 7 Ottobre 2021 a 9 Gennaio 2022

La mostra punta a ricomporre la figura di Antoine de Lonhy, un artista poliedrico che fu pittore, miniatore, maestro di vetrate, scultore e autore di disegni per ricami, e ne illustra l’impatto straordinariamente importante per il rinnovamento del panorama figurativo del territorio dell’attuale Piemonte nella seconda metà del Quattrocento. Venuto a contatto con la cultura fiamminga, mediterranea e savoiarda, de Lonhy fu portatore di una concezione europea del Rinascimento, caratterizzata dalla capacità di sintesi tra diversi linguaggi figurativi.

Il percorso espositivo della mostra è articolato su due sedi, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino (dal 7 ottobre 2021 al 9 gennaio 2022) e il Museo Diocesano di Susa (dal 10 luglio al  10 ottobre 2021), e intende evidenziare i viaggi, gli spostamenti e la carriera itinerante attraverso l’Europa di un artista che nelle sue opere riunì insieme elementi e influssi dalla Borgogna, dalla Provenza, dalla Catalogna e dalla Savoia.

L’esposizione conta sulla curatela di Simone Baiocco e Simonetta Castronovo per la sezione di Torino, e di Vittorio Natale per la sezione di Susa.

Il catalogo (368 pagine riccamente illustrate) a cura di Simone Baiocco e Vittorio Natale, è edito da Sagep Editori ed è acquistabile presso il bookshop di Palazzo Madama (prezzo di copertina € 43).

FONTE: https://www.palazzomadamatorino.it/it/eventi-e-mostre/mostra-il-rinascimento-europeo-di-antoine-de-lonhy

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Il caso Alec Baldwin e la distruzione delle classe media

Ottobre 24, 2021 posted by Guido da Landriano

 

Il tragico fatto successo durante le riprese di Rust, film a budget non enorme prodotto e interpretato da Alec Baldwin, può essere preso come iconico esempio di come è stata distrutta la classe media, e buona parte della competenza, nel mondo occidentale, e perché tante cose vanno a rotoli.

Ricordiamo che nell’incidente causato involontariamente dallo stesso Baldwin, che ha scaricato una pistola che riteneva fosse caricata a salve, è rimasta uccisa la direttrice della fotografia ed è stato ferito, non gravemente, il regista. Un tragico errore, ma perchè? Oggi trapela che l’addetto alle armi, in un film western, in cui le armi sono molto importanti, non era un maturo e sicuro esperto di pistole del XIX secolo, ma un ragazzo di 24 anni che, tra l’altro, si era già fatto una certa nomea per essere un po’ distratto e superficiale nel maneggio delle armi, tanto da aver dato, in un film precedente, dato un’arma carica.

Perché un personaggio simile lavorava? Per chè al suo posto non c’era un posato cinquantenne esperto di armi e magari gestore di un poligono? Perchè il ventiquattrenne è giovane e costa poco. Il cinquantenne esperto magari sarebbe costato il doppio. Alla fine quello che si cerca è qualcono che carichi le armi e le metta via, va bene anche un ragazzo! Che volte poi che succeda, che quancuno muoia?

Negli ultimi  cinquant’anni, prima negli USA, poi in Europa, sono state distrutte le posizioni, intermedi, i quadri, quelle figure specializzate fra il vertice e la base che da un lato costituivano la base stabile della società, dall’altro erano anche la sicurezza che le cose importanti erano gestite da personale specializzato. Ora invece l’importante è la riduzione dei costi, la deflazione salariale, il “Minimizzare i costi, a qualsiasi prezzo” per massimizzare gli utili. I risultati sono la distruzione della classe media, autonoma o dipendente, la base di una bella fetta di politica, e anche un bel taglio alla saggezza dell’attività gestionale, produttiva e consulenziale in generale. Il bello è che, dopo aver contribuito a distruggere la classe media, ora tutti bramano a occuparne lo spazio politico. Un caso di necrofilia socio politica di cui in futuro parleranno.

FONTE: https://scenarieconomici.it/il-caso-alec-baldwin-e-la-distruzione-delle-classe-media/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Gestione delle manifestazioni No Green pass: c’è qualcosa che non va. Stiamo cercando il George Floyd italiano.

Ottobre 24, 2021 posted by Guido da Landriano

 

Premettiamo che siamo sicuri della professionalità e delle capacità di buona parte delle forze dell’ordine, carabinieri in testa. Il problema non è legato al comportamento dei singoli, quanto alla cattiva gestione che molto spesso avviene dell’ordine pubblico a partire dai vertici. Fatta questa premessa vogliamo mostrarvi questo video  relativo alle manifestazioni di ieri:Ad

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C’è qualcosa che veramente non va: prima di tutto non si capisce che bisogno ci fosse in questa situazione di utilizzare questo tipo di forza, visto che non sembra vi siano state delle minacce particolari alle forze dell’ordine, alla sicurezza pubblica o ai beni privati. P

urtroppo i video sono molto brevi e quindi non permettono di comprendere la situazione complessiva. Non siamo in grado di capire cosa avesse fatto la persona trascinata via per la sciarpa legata alla gola, fatto che potrebbe averne causato lo svenimento, da quello che appare dalle immagini.

Nello stesso tempo ci chiediamo chi abbia ordinato un tal tipo di repressione dall’alto, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze che ci sarebbero potuto essere.

FONTE: https://scenarieconomici.it/gestione-delle-manifestazioni-no-green-pass-ce-qualcosa-che-non-va-stiamo-cercando-il-george-floyd-italiano/

 

 

COVID, ITALIA VIVA VUOLE I CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER CHI NON SI VACCINA?

Davide Faraone, noto parlamentare scafista presente sulla SeaWatch mentre Rackete speronava una motovedetta italiana, ma nonostante questo a piede libero, scrive sulla pagina Facebook:

“A quanto pare il vaccino anti-Covid non sarà obbligatorio per non urtare la sensibilità di Fragolina76 e Uomotigre58 che dopo approfonditi studi hanno appurato la presenza di un microchip collegato alle antenne del 5G che ci trasformerà tutti in rettiliani con la faccia di Bill Gates.

Ok, quindi bisogna trovare un sistema alternativo per proteggere anziani, immunodepressi e categorie più a rischio e per tornare alla nostra vita normale.Bene, la soluzione si chiama Passaporto sanitario integrato al vaccino anti-Covid. Chi non potrà esibire il documento non dovrà essere autorizzato a:

– fruire dei mezzi di trasporto (bus-treni-navi-aerei);
– accedere ai pubblici esercizi (bar-ristoranti-discoteche-negozi);
– accedere all’interno di teatri, musei, stadi e centri commerciali;
– Frequentare luoghi pubblici con rilevante presenza di soggetti a rischio come scuole e ospedali;

Caro No-Vax, vuoi essere “libero” di non vaccinarti? Prego fai pure…

Vuoi essere “libero” di infettare gli altri e costringere il Paese alla paralisi eterna? Scordatelo.”

In sostanza, se non ti fai il vaccino che decide Conte, su cui hanno espresso dubbi anche noti studiosi, vai rinchiuso in una sorta di campo di concentramento più o meno ampio. Magari in casa.

Ovviamente gli infetti che sbarcano non hanno bisogno di alcun ‘passaporto’ per superare le nostre frontiere, là dove dovrebbe iniziare il vero controllo per impedire che il contagio poi si diffonda all’interno del territorio nazionale: perché è così che è tornato dopo il lockdown, non con le ‘discoteche’, che hanno fatto solo da moltiplicatore di un contagio tornato da fuori.

Ma, al di là di questo, visto che parliamo di Italia Viva, vorremmo vedere se queste dichiarazioni sono sponsorizzate dai produttori di questi vaccini che, come ha spiegato Crisanti, al momento non sono stati adeguatamente testati.

E no, nulla c’entra essere ‘no-vax’: c’entra non volersi inoculare un vaccino sperimentale per un virus che nel 99 per cento dei casi non è mortale. Sarebbe sciocco beccarsi un tumore tra qualche anno per evitare una febbre oggi. Per questo è necessario un rigoroso processo di test prima di una campagna di vaccinazione di massa: non siamo una mandria, Faraone, siamo cittadini.

Purtroppo quelli come Faraone hanno buon gioco a ridicolizzare chi non vuole farsi inoculare dal primo vaccino che passa, perché ci sono invasati che si oppongono con tesi ridicole come la non esistenza del virus o bizzarri complotti.

Essere contro questo vaccino non testato non significa essere contro i vaccini. Non più di quanto essere contro saltare da un aereo senza paracadute lo sia di lanciarsi col paracadute.

E poi, siamo sicuri che Faraone sia proprio italiano? Noi gli chiederemmo il passaporto alla frontiera.

FONTE: https://voxnews.info/2020/11/22/covid-italia-viva-vuole-i-campi-di-concentramento-per-chi-non-si-vaccina/

 

 

 

BERGOGLIO CHIEDE PORTI APERTI: I SUOI PRETI FATTURANO MILIONI CON L’ACCOGLIENZA – VIDEO

Bergoglio ieri ha usato il Soglio di Pietro per chiedere porti aperti.

Non sorprende. Visto che i suoi sottoposti fanno i milioni col risultato dei porti aperti: il business dell’accoglienza.

Parliamo di centinaia di milioni fatturati dalla Chiesa Spa.

La sua cooperativa, Percorso Via Onlus, gestiva 9 centri con 140 ospiti, 12 case aperte con altrettanto ospiti, due ristoranti, campi agricoli, una linea di confetture, e ora è pronto a realizzare un villaggio con cinque ettari di terreno a Padova. Poi è arrivato Salvini, e ora gli sono rimasti ‘solo’ 7 centri e 100 ragazzoni.

La onlus di don Favarin ha iniziato nel 2014, grazie al traghettamento no stop di Pd e On: oggi fattura cifre milionarie.

La coop di cui don Luca Favarin è presidente ha incassato dai contribuenti 1.881.232 euro, nel 2016; 2.317.352 euro nel 2017, con un utile netto nel 2017 di 504.207 euro.

Nemmeno Apple riesce a raggiungere il 25% dell’utile netto rispetto al fatturato. Forse ci riuscirà FCA con le milioni di mascherine ordinate da Conte.

Favarin ha sempre criticato il decreto Salvini: come sacerdote o come responsabile di una cooperativa che ha visto ridotti i suoi fondi?

FONTE: https://voxnews.info/2021/10/25/bergoglio-chiede-porti-aperti-i-suoi-preti-fatturano-milioni-con-laccoglienza-video/

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Il sistema economico occidentale volge al termine

Produrre non permette più all’Occidente di vivere; per contro la Cina è diventata “l’officina del mondo”. Sono soltanto i detentori di capitali a fare soldi, tanti soldi. Il sistema sta per crollare. I grandi capitalisti sono ancora in tempo a mettere in salvo la propria ricchezza?

Con la crisi del 1929 la fame si propagò in Occidente. Tutte le istituzioni furono messe in pericolo. Sopravvissero solo grazie alla seconda guerra mondiale.

Già nel XVIII secolo, agli albori del capitalismo, gli economisti britannici della scuola di David Ricardo s’interrogavano sulla durata illimitata del sistema. Ciò che all’inizio rende cospicuamente, alla fine rientra nella normalità e cessa di arricchire il proprietario: i consumi non possono motivare in eterno una produzione massiccia. In seguito, i socialisti, discepoli di Karl Marx [1], preconizzarono l’ineluttabile fine del capitalismo.

Un sistema che avrebbe dovuto soccombere nel 1929, ma che con generale sorpresa è sopravvissuto alla crisi. Ci stiamo avvicinando a un momento analogo: la produzione non è più rimunerativa. Ora solo la finanza fa denaro. In Occidente vediamo un generale abbassamento del livello di vita delle masse e il patrimonio di pochi individui raggiungere vette impensate. Il sistema minaccia di crollare e di non riuscire a risollevarsi. La domanda è: i super-capitalisti sono ancora in tempo a mettere in salvo la propria ricchezza o ci sarà una redistribuzione aleatoria della ricchezza causata da un conflitto generalizzato?

Solo dopo aver espulso Lev Trotzki, nonché il suo sogno di rivoluzione mondiale, Joseph Stalin poté costruire l’URSS senza dover combattere l’Armata Bianca.

LA CRISI DEL 1929 E LA SOPRAVVIVENZA DEL CAPITALISMO

Con la crisi del 1929 negli Stati Uniti tutte le élite occidentali credettero che la gallina dalle uova d’oro fosse morta e sepolta; che occorresse trovare immediatamente un nuovo sistema per non far morire di fame l’intera umanità. Per cogliere l’angoscia che attanagliava l’Occidente, è particolarmente istruttivo leggere la stampa statunitense ed europea dell’epoca. Immense fortune evaporarono in un solo giorno. Milioni di operai senza lavoro precipitarono nella miseria e sovente soffrirono la fame. Le popolazioni si rivoltavano. Le polizie sparavano proiettili veri su folle incollerite. Nessuno immaginava che il capitalismo potesse emendarsi e rinascere. Si prospettarono così due nuovi modelli: lo stalinismo e il fascismo.

Diversamente dall’idea che a distanza di un secolo ne abbiamo, tutti all’epoca erano consapevoli dei difetti di entrambe le ideologie, ma c’era un problema impellente, di vitale importanza: decidere chi sarebbe riuscito a sfamare meglio il popolo. Destra e sinistra non esistevano più, la parola d’ordine era un generale “si salvi chi può”. Benito Mussolini, che alla vigilia della prima guerra mondiale era direttore del più importante giornale socialista italiano, nonché durante la guerra agente dell’MI5 britannico, diventò il leader del fascismo, allora percepito come l’ideologia che avrebbe garantito di che sfamarsi agli operai. Joseph Stalin, che durante la rivoluzione russa era stato bolscevico, liquidò quasi tutti i delegati del partito, rinnovandoli per costruire l’URSS, all’epoca vista come espressione di modernità.

Né Mussolini né Stalin riuscirono a realizzare il proprio modello: alla fine gli economisti devono sempre lasciare posto ai militari. Le armi hanno sempre l’ultima parola. Ed ecco la seconda guerra mondiale, la vittoria dell’URSS e degli anglosassoni da un lato, la caduta del fascismo dall’altro. Soltanto gli Stati Uniti non furono devastati dalla guerra e il presidente Franklin Roosevelt, organizzando il settore bancario, offrì al capitalismo una seconda chance. Gli Stati Uniti ricostruirono l’Europa senza schiacciare la classe operaia, perché temevano potesse volgersi all’Unione Sovietica.

Klaus Kleinfeld è direttore del progetto Neom. È membro del consiglio di amministrazione del Gruppo Bilderberg (NATO), nonché del Forum di Davos (NED/CIA).

LA CRISI DOPO LA SCOMPARSA DELL’URSS

Tuttavia, quando a fine 1991 l’URSS crollò, il capitalismo, privo di un rivale, ricadde in preda ai vecchi dèmoni. Dal momento che le stesse cause provocano i medesimi effetti, in pochi anni la produzione degli Stati Uniti iniziò a decrescere e i posti a essere delocalizzati in Cina. La classe media si avviò verso una lenta decadenza. I detentori di capitali si sentirono minacciati e tentarono approcci successivi per salvare il Paese e sostenere il sistema.

Il primo tentativo fu quello di trasformare l’economia statunitense imperniandola sull’esportazione delle armi, nonché di usare le forze armate per controllare materie prime e fonti di energia possedute dalla parte non-globalizzata del pianeta e metterle a disposizione della parte restante. Si tratta del progetto di adattamento al “capitalismo finanziario” (se questo ossimoro ha senso) − la dottrina Rumsfeld/Cebrowski [2] − che indusse lo Stato Profondo USA a organizzare gli attentati dell’11 Settembre e la guerra senza fine nel Medio Oriente Allargato. Una scelta che concesse vent’anni di respiro al capitalismo, ma le cui conseguenze interne furono disastrose per le classi medie.

Il secondo tentativo fu quello di Donald Trump: porre un freno agli scambi internazionali per tornare alla produzione interna. Ma siccome Trump aveva dichiarato guerra agli uomini dell’11 Settembre, non gli fu permesso di tentare il salvataggio degli Stati Uniti.

È stata immaginata una terza trasformazione: abbandonare le popolazioni occidentali al loro destino e spostare i pochi multi-miliardari in uno Stato robotizzato da dove poter dirigere gli investimenti. È il progetto Neom, che il principe Mohammed bin Salman ha iniziato a realizzare nel deserto saudita, con la benedizione della NATO. Dopo un periodo d’intensa attività i lavori sono oggi a un punto morto.

La pandemia di Covid-19 è stata occasione per l’ex équipe di Rumsfeld (fra cui i dottori Richard Hatchett [3] e Anthony Fauci [4]) di lanciare una quarta opzione: proseguire e generalizzare negli Stati sviluppati quanto iniziato nel 2001. L’isolamento massiccio di popolazioni sane ha costretto gli Stati a indebitarsi. Il ricorso al telelavoro ha preparato la delocalizzazione di milioni di impieghi. Il Green Pass ha legalizzato una società di sorveglianza di massa.

Klaus Schwab organizza il Forum di Davos come Luigi XIV organizzava la corte di Versailles: un’occasione per sorvegliare tutti i multi-miliardari per conto della NED/CIA

KLAUS SCHWAB E LA GRANDE REINIZIALIZZAZIONE (GREAT RESET)

È in questo contesto che il presidente del Forum di Davos, Klaus Schwab, ha pubblicato Covid-19: The Great Reset. Non è affatto un programma, ma un’analisi della situazione e un’anticipazione delle possibili evoluzioni. Il libro è stato scritto per i membri del Forum di Davos e rende l’idea del loro pietoso livello intellettuale. L’autore snocciola una serie di stereotipi, citando alla rinfusa grandi autori, come pure gli strampalati numeri di Neil Ferguson (Imperial College) [5].

Negli anni Settanta-Ottanta, Klaus Schwab fu uno dei direttori della società Escher-Wyss (assorbita da Sulzer AG), che svolse un importante ruolo nel programma di ricerca atomica del Sudafrica dell’apartheid; una collaborazione a disdegno della risoluzione 418 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Schwab è perciò privo di etica e non teme nulla. Successivamente creò un circolo di capi d’impresa, diventato poi Forum Economico Mondiale, una nuova denominazione favorita dal Centro per l’Impresa Privata Internazionale (CIPE), ramo padronale della National Endowment for Democracy (NED/CIA). Per questo ragione nel 2016 Schwab fu registrato al Gruppo di Bilderberg (organo d’influenza della NATO) come funzionario internazionale, carica mai ufficialmente attribuitagli.

Nel libro Schwab prepara l’auditorio a una società orwelliana. Prende in esame scenari di ogni tipo, persino il decesso del 40% della popolazione mondiale. Nessuna proposta concreta, nessuna alternativa. Si capisce solo che lui e il suo pubblico non decideranno nulla, ma sono pronti ad accettare tutto pur di conservare i propri privilegi.

CONCLUSIONE

Siamo indubbiamente alle soglie di un enorme scombussolamento che spazzerà via tutte le istituzioni occidentali. Un cataclisma che potrebbe essere evitato semplicemente cambiando l’equilibrio della rimunerazione fra lavoro e capitale. Una soluzione tuttavia improbabile perché implicherebbe la fine delle super-ricchezze.

Alla luce di queste considerazioni, la rivalità fra Occidente e Oriente è soltanto di facciata. Non solo perché gli asiatici non ragionano in termini di competizione, ma soprattutto perché vedono l’agonia dell’Occidente.

Ecco perché Russia e Cina stanno lentamente edificando il proprio mondo, senza sperare d’integrarvi l’Occidente: un predatore ferito che non vogliono affrontare, ma rassicurare, prodigandogli cure palliative per accompagnarlo, senza forzature, al suicidio.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article214406.html

 

 

 

CULTURA

“Il tramonto della luna”, l’ultima poesia di Giacomo Leopardi

“Il tramonto della luna” è l’ultimo componimento che Giacomo Leopardi scrisse nel 1837 poco prima di morire

Poco prima di morire Giacomo Leopardi compose un’ultima incredibile poesia. “Il tramonto della luna” è infatti il suo ultimo lavoro scritto nella primavera del 1836. Un testo che riprende i temi cari a Leopardi del rimpianto della giovinezza e l’avvento della vecchiaia.

“Il tramonto della luna”

Quale in notte solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là ‘ve zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l’ombre lontane
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia,
L’estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;

Tal si dilegua, e tale
Lascia l’età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni, e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede
Che a se l’umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.

Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.

Voi, collinette e piagge,
Caduto lo splendor che all’occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
D’altra luce giammai, nè d’altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.

Il tramonto della giovinezza

Da sempre il tema della giovinezza fugace e dell’arrivo spaventoso della vecchiaia che non lascia scampo è stato centrale nella poetica di Giacomo Leopardi; infatti, questo pensiero torna anche al limite dell’esistenza del poeta, un tarlo che lo ha accompagnato da sempre, privandolo proprio dei godimenti (seppur rari, conoscendo la vita di Leopardi) dell’età delle dolci illusioni. Leopardi ammira un’ultima volta la luna tramontare e da questo spettacolo della natura si ricollega al tramonto della giovinezza analizzando poi gli effetti che ha il tramonto sulla natura e sull’uomo per quanto riguarda l’età.

Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno del 1798 a Recanati, fin da giovanissimo rivela impressionanti doti didattiche, traducendo i grandi classici greci a soli dieci anni. In famiglia, tuttavia, il rapporto è difficile e pieno di incomprensioni. Tra il 1809 e il 1816 si dedica unicamente allo studio per poi convertirsi al mondo della letteratura. Nel 1819 tenta di fuggire da casa, ma il padre lo ferma, da qui Leopardi cadrà in una profonda depressione che però non fermerà la sua produzione poetica. Nel 1822 finalmente va a Roma dagli zii materni. Nel 1825 lavorò a Milano per poi spostarsi tra Bologna e Firenze. Nell’ottobre del 1833 si trasferì a Napoli insieme all’amico Antonio Ranieri. Morirà il 14 giugno 1837.

Alice Turiani

FONTE: https://libreriamo.it/poesie/tramonto-della-luna-poesia-leopardi/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

GUERRA SEMIOTICA: L’ARMA VINCENTE DEI NEO-SOCIALDEMOCRATICI

Guerra semiotica: l’arma vincente dei neo-socialdemocraticiHong Kong stanno togliendo di mezzo il monumento dedicato alla strage di Stato compiuta en plein air in piazza Tienanmen a Pechino nel 1989, che segnò il passaggio di consegne dall’Unione Sovietica collassata al nuovo “Impero del male” cinese. Gli studenti di Hong Kong combattono ma sono isolati, privi di microfoni e di spazi liberi, come gli uiguri dello Xinjiang. Stanno peggio dei tibetani, che hanno almeno un Dalai Lama in grado di “combattere” alcune battaglie comunicazionali e di vincerle. Siamo nel 2021, non esistono più le classiche dittature fascio-comuniste ma rimane il lascito di Re Lear: la follia del potere, che però si è digitalizzato, è inafferrabile e socialdemocratico, cioè intoccabile. Ciò avviene perché le guerre economiche e il conflitto sociale e culturale si svolgono quasi esclusivamente nel campo semiotico, anche nei loro risvolti “reali”, come uno scontro di piazza.

Come i talebani che hanno distrutto le statue di Budda, Pechino cancella dalla sua colonia (ex colonia inglese) la “Colonna Infame” dello scultore danese Jens Galschiøt che ricordava i corpi degli studenti schiacciati dai carri armati del “loro” Stato. È un segno di debolezza, perché Xi Jinping opera con un atto da impero classico, privo di comunicazione e di cui non si capisce chi sia l’emittente (il “soft power”). È un’azione insulsa nei tempi della comunicazione continua. È lo stesso errore della destra “populista” (ditemi se esiste al mondo un partito che non sia “populista”). In Occidente, dove i segni del vecchio potere sono cancellati dai media e dalle continue narrazioni della realtà, Tg e serie tv sono come i poemi cavallereschi per Don Chisciotte: le masse combattono contro mulini a vento trasformati in giganti dagli eserciti semiotici. Ognuno è indotto a seguire l’irrilevante, tutto ciò che è teatrale (anche i criminali curano le loro scenografie) ipnotico ed effimero. La produzione di segni è universale, ma sempre più priva di re e imperatori visibili: le major del cinema sono ancora a Hollywood ma in realtà il cinema è acentrico e apparentemente privo di catena di comando.

Anche la comunicazione politica è ovunque e da nessuna parte, anche quando leggiamo le news di un sito di gossip. Lo sapevate già? Sì, perché siete lettori accorti, ma qui siamo di fronte a un sistema di comunicazione orientato e organizzato, soprattutto nei media “neutrali e mainstream”. Se sfogliamo l’inserto Il Venerdì de La Repubblica, possiamo leggere una notizia sul tennis negli Stati Uniti, dove si dice che non ci sono più tennisti americani nelle alte posizioni di classifica Atp. Io trovo frammenti mRna di “antiamericanismo” in tutto l’articolo, soprattutto facendo caso al titolo: “Il declino dell’impero (del tennis) americano”. Sempre nel Venerdì dell’8 ottobre 2021, sette pagine prima dell’articolo sul tennis, troviamo una rubrica titolata “Pentole e Parole”, dove si parla della serie Mad Men, in cui “bevono tutti, a tutte le ore… Ora ci sono alternative salutiste, buone e consolanti”. Il titolo è “Non c’è più lo spirito dell’America anni ’50”, e io penso che l’antiamericanismo, che in Italia ha avuto tre declinazioni (fascista, papista e filo-sovietica), ora trova un nuovo appiglio nel – necessario? – nazionalismo europeo. Così si parla di un locale alcol-free vicino a piazza Duomo a Milano, molto politicamente e salutisticamente corretto di fronte agli yankee trinca Martini cocktail.

La questione è che incappiamo non solo nei cookies commerciali ma anche in “cookies” fatti di parole che magari in superficie dicono altro, per cui è difficile capire chi gestisce direzioni e flussi, soprattutto se le keyword sono ricoperte di messaggi tendenti al bene collettivo. Il problema è avere gli strumenti per decodificare, cosa impossibile soprattutto a livello di massa, ma anche a livello politico. Come diceva Paolo di Tarso “ciò che si vede proviene da ciò che non si vede”, e ogni messaggio – al di là delle parole esplicite – è segreto e codificato, come ho scoperto tempo fa in un corso universitario tenuto dal semiologo Paolo Fabbri, in cui si cercava di capire le modalità dello scontro tra Brigate Rosse e forze di polizia. Più banalmente, provate a camminare lungo una strada di città o una passeggiata a mare e fate caso a quanti cartelli il vostro Comune ha piazzato sui marciapiedi: ogni due metri ci sono antiestetici segnali stradali inutili che nessuno vede (l’eccesso di comunicazione è uguale a zero comunicazione), ma che hanno la funzione subliminale di segnalare la “presenza” di un potere che ha a cuore i cittadini (I care era lo slogan elettorale di Obama). I monopoli politico-economici reali oggi combattono con i meme e le parole, esattamente come gli imperi mediatici e ottengono migliori risultati con la persuasione inavvertita che con le bombe.

Il potere neo-socialdemocratico ha capito le nuove forme sociali, fonda il suo successo su questo know how, ed è grazie al controllo della discussione pubblica (e privata!) che i partiti progressisti hanno conquistato il potere reale con l’egemonia mediatica. È per questo vantaggio che il Partito Democratico vince anche quando perde le elezioni, mentre le destre (che non hanno contezza del nuovo sistema comunicazionale-sociale-economico) le perdono anche quando vincono. Avere l’egemonia nell’uso delle parole, dei dibattiti e delle parole d’ordine eruttate dalla stampa, allineata persino involontariamente, permette di avere il potere assoluto di Stalin o Adolf Hitler anche se si è un ministrello della Repubblica italiana. Berlusconiani o Salvinisti non hanno il possesso degli argomenti e della discussione e così parlano come l’innamorato della poesia di Paul Éluard: “Senza avere le parole per dirlo”.

In America come in Italia, e così sia

Cancellare i monumenti è da retrogradi: la Storia resta, anche se si fanno sparire i segni artistici che cercavano di eternarla nella pietra. Non a caso viviamo in una era in cui l’artese sopravvive, è effimera come una aurora boreale. La pop art l’aveva già capito con Andy Warhol e con David Bowie, che cantava “we can be heroes, just for one day”. Tuttavia, l’Italia è il Paese delle Belle Arti. Persino per gli attivisti della Cancel culture è difficile mettere i pannicelli alle opere di Michelangelo o Dante Alighieri. Il nostro rischio è un altro, quello di vivere cristallizzati come in un negozio di antiquariato o dentro un museo, custodi che ricevono turisti estasiati – per un istante – di trovarsi di fronte a un quadro di Raffaello. Questa è la situazione delle nostre città, mentre le zone balneari o di montagna tendono a essere gentrificate dal turismo sempre più, diventando luoghi della natura snaturati per sempre. Negli Stati Uniti è invece possibile distruggere monumenti quasi tutti privi di valenza artistica: i cancellatori cercano forse di emulare i romeni che buttavano giù la statua di Nicolae Ceausescu o i russi che distruggevano l’effigie di Lenin. Ma Abraham Lincoln non rappresenta più nessun potere e Cristoforo Colombo era un figlio dell’Europa alla ricerca di una nuova rotta per l’India. Perché allora distruggere i “segni” di vite comunque decisive?

La “Cancel culture” si sviluppa anche in altre forme nell’Occidente iper-regolamentato, in cui la perdita di libertà dei bambini dovrebbe farci riflettere sul nostro stile di vita senza diventare per questo dei ribelli. C’è uno smodato desiderio di scaricare l’aggressività, che trova la sua medicina nel ribellismo di piazza, oltre che nei social media e nella Cancel culture stradale e universitaria degli Stati Uniti. In Italia non abbiamo statue di Benito Mussolini da buttare giù (si cerca di sciogliere Forza Nuova ma come organizzazione, cioè come segno simbolico e non come cultura). Per questo motivo l’aggressività delle periferie fisiche e culturali si scarica attraverso un crescente teatro popolare di piazza fatto di cortei, no-vaxismino-Green pass, di atti esemplari contro l’Alta Velocità o contro le sedi di sindacati o di una banca. È un fenomeno diffuso in tutta l’Europa, basato sulla frustrazione di non riuscire a trovare nuove libertà e autonomia dalla iper-normazione della vita lavorativa e quotidiana. Un fenomeno che tocca i giovani e gli young-adult esclusi dalle autostrade digitali, culturali ed economiche che, non riuscendo a creare un nuovo mondo, tornano indietro alle “jacquerie” sessantottine coi No Tav o al No-vax biologico alla Rudolf Steiner.

Come rispondere al nuovo ribellismo, che è costituito in tutta Europa come il calcio, nella forma cioè di una valvola sociale di sfogo priva di prospettive? Il sistema europeo prevede la possibilità di “fare casino”, di spaccare vetrine e urlare cose indicibili. La neo-socialdemocrazia offre lasciapassare alle minoranze, a patto che restino minoranze, il che vale anche per gli Stati Uniti dove si cancellano i monumenti o le distinzioni sessuali secondo il movimento Lgbt. Sul piano dei diritti “formali” c’è tolleranza verso ogni cultura periferica. Tuttavia, l’iper-democrazia pone alti muri e severi limiti a qualsiasi maggioranza decisa a uscire dalla gabbia politica e a dare nuova forma alla democrazia, nel segno di un liberalismo che tenga conto dei cambiamenti in atto. Nel dominio semiotico del progressismo limitato e ingabbiato si è liberi solo restando in una gabbia dove ci si può muovere nella forma di una anarchia vaga che non costruisce ma distrugge, come uno Xi Jinping al contrario. Il modello sociale per le minoranze rumorose, quindi, è quello del calcio allo stadio, dove tutto è permesso a patto di non fare casino altrove. Tocca a un movimento post-liberale,  capace di gestire il transito nelle autostrade digitali, il compito di impostare i canoni di una nuova democrazia.

Intanto nella sede del Municipio di New York si concretizza l’ultima donchisciottesca cancellazione: lo spostamento della statua del presidente Thomas Jefferson dalla City Hall, questa volta a opera del sindaco Bill de Blasio. Mentre le demolizioni del passato continuano, chi è senza odio scagli il suo primo “non mi piace”.

FONTE: https://www.opinione.it/politica/2021/10/23/paolo-della-sala_guerra-semiotica-arma-vincente-socialdemocratici/

 

 

DIRITTI UMANI

CONGO: I MINATORI BAMBINI DELLA MINIERA DI COBALTO

Redazione di Operai Contro, Sono almeno 40mila i bambini sfruttati nelle miniere.  I padroni sono i criminali che cercano schiavi salariati con il salario più basso. Gli operai bambini sono sempre stati una caratteristica del capitalismo. La distruzione fisica degli operai bambini è terrificante, specialmente nelle miniere. “Solo nell’ultimo anno sono morti nel Sud del Congo ottanta bambini minatori, questo mentre le aziende produttrici di apparecchi elettronici fanno profitti stimati in 125 miliardi di dollari annui ”. La società dei padroni deve essere eliminata. Un giovane operaio di Piero Bosio  da radiopopolare.it mercoledì 27 gennaio 2016 ore 07:00 “Passo […]
Sono almeno 40mila i bambini sfruttati nelle miniere.  I padroni sono i criminali che
cercano schiavi salariati con il salario più basso. Gli operai bambini sono sempre stati una caratteristica del capitalismo. La distruzione fisica degli operai bambini è terrificante, specialmente nelle miniere. “Solo nell’ultimo anno sono morti nel Sud del Congo ottanta bambini minatori, questo mentre le aziende produttrici di apparecchi elettronici fanno profitti stimati in 125 miliardi di dollari annui ”. La società dei padroni deve essere eliminata.
Un giovane operaio
di Piero Bosio  da radiopopolare.it
mercoledì 27 gennaio 2016 ore 07:00

“Passo praticamente 24 ore nei tunnel. Arrivo presto la mattina e vado via la mattina dopo. Riposo dentro i tunnel. La mia madre adottiva voleva mandarmi a scuola, mio padre adottivo invece ha deciso di mandarmi nelle miniere di cobalto”. È la testimonianza di Paul, 14 anni, uno degli 87 minatori o ex minatori incontrati da Amnesty International nella Repubblica democratica del Congo. Paul, raccontano gli inviati di Amnesty, ha iniziato a lavorare nella miniera a 12 anni. Ha già i polmoni a pezzi.

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L’Unicef stima che siano almeno 40mila i bambini sfruttati nelle miniere. “Solo nell’ultimo anno sono morti nel Sud del Congo ottanta bambini minatori, questo mentre le aziende produttrici di apparecchi elettronici fanno profitti stimati in 125 miliardi di dollari annui e non riescono a dire dove e in che condizioni di lavoro si procurano le materie prime”.

Questa un’altra testimonianza raccolta da Amnesty in Congo. E quella di François che lavora nelle miniere di cobalto, con il figlio tredicenne Charles. Estraggono le pietre, le lavano e poi le trasportano fino alla casa di un commerciante, non lontano dalla miniera. “Come si fa a pagare la retta della scuola?”, si domanda François. “Come si fa a pagare il cibo? Dobbiamo lavorare in questo modo, perché non c’è alcun altro lavoro. Dateci un lavoro e noi ci prenderemo meglio cura dei nostri figli”. Charles la mattina va a scuola e il pomeriggio aiuta il padre.

Il rapporto di Amnesty This is what we die for (Ecco per che cosa moriamo) ricostruisce il percorso del cobalto estratto nel Congo: “Attraverso la Congo Dongfang Mining (Cdm), interamente controllata dal gigante minerario cinese Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), il cobalto lavorato viene venduto a tre aziende che producono batterie per smartphone e automobili: Ningbo Shanshan e Tianjin Bamo in Cina e L&F Materials in Corea del Sud. Queste ultime riforniscono le aziende che vendono prodotti elettronici e automobili. Il Congo produce quasi la metà del cobalto a livello mondiale che viene poi utilizzato per le batterie al litio”.

Amnesty International ha contattato 16 multinazionali che risultano clienti delle tre aziende asiatiche che producono batterie utilizzando il cobalto proveniente dalla Huayou Cobalt o da altri fornitori. Le multinazionale sono: Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE.

Riccardo Noury è il portavoce di Amnesty Italia.

Che cosa hanno risposto le multinazionali alle vostre richieste di chiarimento sui fornitori di cobalto e le condizioni di lavoro?

“Delle 16 aziende interpellate da noi di Amnesty International, una ha ammesso la relazione, quattro hanno risposto che non lo sapevano, cinque hanno negato di usare cobalto della Huayou Cobalt, due hanno respinto ogni evidenza di rifornirsi di cobalto della Repubblica Democratica del Congo e le altre hanno promesso indagini”.

E Apple?

“In particolare Apple ha risposto che l’azienda sta in questo periodo valutando da quali fonti arriva il cobalto usato nei suoi prodotti. Però LG Chem, fornitore di Apple, ha confermato che acquista cobalto dalla Tianjin Lishen. e che avrebbe indagato sulle denunce di Amnesty International”.

E Microsoft?

“Microsoft ha dichiarato di non essere in grado di andare a ritroso lungo la filiera e dunque di poter dire con assoluta certezza se il cobalto sia o meno frutto di lavoro minorile. Vodafone ha detto di non sapere se il cobalto che usa provenga o meno dalla Repubblica Democratica del Congo, poi ha smentito di avere Tianjin Lishen come fornitore, sul cui sito invece Vodafone è citata tra i clienti. Samsung sostiene che il cobalto dei prodotti che le fornisce LG Chem non passa attraverso la Huayou Cobalt”.

Da questa vostra indagine e dalle risposte che avete avuto dalle multinazionali che valutazione fate?

“Il quadro che emerge è quello di una mancanza complessiva di trasparenza. Sulla base delle risposte fornite dalle 16 aziende interpellate, Amnesty International sostiene che nessuna sia stata in grado di fornire informazioni dettagliate, sulle quali poter svolgere indagini indipendenti per capire da dove venga il cobalto”.

Quindi rispetto le regole internazionali che conclusione trae Amnesty?

“Riteniamo che sebbene il cobalto non sia tra i minerali oggetto di una normativa specifica che dovrebbe impedire di rifornirsi di materie prive provenienti da zone di conflitto, le aziende dovrebbero comunque seguire gli standard internazionali dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, ndr) e dell’Onu che richiedono di fare ricerche lungo la filiera e di adottare rimedi nel caso si verifichino violazioni dei diritti umani”.

Il rapporto sul Congo è stato fatto in collaborazione con Afrewatch (African Resources Watch) di cui Emmanuel Umpula è direttore esecutivo. “È paradossale che nell’era digitale – ha commentato Umpula – alcune delle compagnie più innovative e ricche al mondo siano in grado di vendere dispositivi incredibilmente sofisticati senza dover dimostrare da dove arrivano le materie prime per le loro componenti”.

***Aggiornamento del 25 gennaio***

In seguito alla pubblicazione di questo articolo, il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, ha inviato a Radio Popolare il messaggio che qui volentieri pubblichiamo:

“Sono molto contento che questo post sia stato letto e condiviso da tantissime persone. Quella di ottenere un comportamento etico e trasparente delle multinazionali circa l’uso delle materie prime è una sfida difficilissima. Ma un primo passo è stato fatto: le aziende menzionate nel rapporto di Amnesty International non potranno più dire ‘non sapevamo’. Molte di loro hanno promesso approfondimenti e indagini e le marcheremo strettamente. Premeremo anche perché la filiera del cobalto sia finalmente regolamentata. Grazie anche al post pubblicato sul sito di Radio Popolare sappiamo ora che migliaia di persone chiedono prodotti etici, anche nel campo dell’elettronica. La speranza è che il mercato si sviluppi ulteriormente in questa direzione”.

Riccardo Noury,
Portavoce Amnesty International Italia

FONTE: https://www.operaicontro.it/2017/02/25/congo-i-minbatori-bambini-della-miniera-di-cobalto/

 

 

ECONOMIA

Una rilettura dei Pandora Papers 

Il nuovo scandalo dei paradisi fiscali per i Paperoni del mondo non ha provocato una grande ondata di indignazione su un sistema di tassazione generalmente regressivo, diseguale e ingiusto. Analisti e media si interrogano sulle cause.

Può essere utile ritornare con maggiore attenzione sui Pandora Papers dopo i primi commenti forse troppo frettolosi. Partendo da alcune valutazioni apparse sulla stampa internazionale nei giorni successivi alla notizia si possono mettere meglio a fuoco alcune questioni importanti e all’inizio trascurate.

La regolamentazione della fiscalità internazionale avviata in qualche modo nel 2008 e passata attraverso le tempeste di Luxleaks del 2014, dei Panama Papers del 2016 e dei Paradise Papers del 2017, ha certo portato, con molto ritardo, qualche limitato frutto, come testimonia ora l’accordo sulla tassa minima sulle multinazionali; ma anche questo provvedimento, come quelli precedenti, appare piuttosto debole ed è poi soggetto ad una incerta approvazione da parte dei parlamentari Usa. 

Thomas Piketty, su Le Monde dell’11 ottobre, sottolinea come il sistema fiscale resti alla fine ancora violentemente regressivo, profondamente ingiusto e diseguale. Come al solito, “molto a pochi”. Come commenta Brooke Harrington, sul New York Times dell’11 ottobre, ogni successiva rivelazione sul tema della fiscalità porta a casa lo stesso messaggio: abbandonate ogni speranza che i governi servano il popolo o che la legge sarà applicata in maniera eguale a tutti. Tra l’altro la giornalista sottolinea come nel lasso di tempo intercorso tra i Panama Papers e i Pandora Papers ci siano state in tutto meno di dieci condanne derivanti dalle rivelazioni e come soltanto una toccava un politico. 

Per quanto riguarda i frutti cui si faceva cenno più sopra, si tratta in ogni caso di frutti perversi. I Pandora Papers mostrano chiaramente che, mentre sembrano regredire le frodi più grossolane, praticate con la complicità di Stati deboli, la finanza si è nel frattempo adattata e ha rivolto la sua domanda di protezione ai paesi più forti, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. 

Un editoriale della Direzione e un articolo a firma Isabelle Mandraud su Le Monde del 7 ottobre sottolineano il doppio ruolo giocato dagli Stati Uniti sulla questione. 

Il commento del portavoce della Casa Bianca alle rivelazioni dei giorni scorsi è stato certamente quello di riaffermare l’impegno di Joe Biden in favore di un sistema fiscale più trasparente e più giusto a livello nazionale e mondiale. Ma pur spingendo per una regolazione più forte quando questo è nell’interesse del paese, afferma il quotidiano, d’altro canto esso ospita in tutta impunità dei paradisi fiscali. Biden è stato per 36 anni rappresentante al Senato dello Stato del Delaware, ma le pratiche molto opache di tale Stato,  ben note da tempo, come di quelli del Nevada, dell’Alaska, del New Hampshire e soprattutto del Dakota del Sud (che copriva con il segreto nel 2020 367 miliardi di dollari), appaiono evidenti dal rapporto. In qualche modo siamo così per Biden a l’arroseur arrosé dei fratelli Lumière.

Per altro verso, Katrina Vandel Heuvel, su The Nation del 13 ottobre, sottolinea come gli Stati Uniti rivaleggino ormai con le isole Cayman e i protettorati europei come paradiso fiscale.   

Per la Gran Bretagna, su Il Fatto Quotidiano del 6 ottobre è apparsa un’intervista a Susan Hawley, che guida Spotlight on Corruption, un organismo che si batte per una maggiore trasparenza del sistema locale. Intanto Londra ha da tempo stabilito centri finanziari off-shore quali quelli delle Isole Vergini e delle Cayman. Nell’intervista, la Hawley sottolinea come Londra sia virtuosa solo sulla carta, mentre è in realtà un epicentro di corruzione globale. Emerge dalle carte la rilevante influenza di giganteschi flussi di denaro di proprietà di corrotti, criminali e mafiosi sulla politica britannica, in particolare sui Tories. L’attivista ricorda inoltre come dopo i Panama Papers il governo avesse costituito una grande task force per analizzare il fenomeno, iniziativa finita però nel nulla.

Un ruolo molto importante risulta anche in questo caso, come molte volte in passato, giocato dalla Svizzera, come ci riferisce un articolo di Angelo Mincuzzi sul Il Sole 24 Ore del 14 ottobre. Ma questa volta protagoniste non sono le banche locali, come in altri tempi, ma un certo numero di società di consulenza, di fiduciari, commercialisti e avvocati d’affari svizzeri che hanno svolto un ruolo di introducer, collegando i clienti ai fornitori di servizi off-shore. Così la Svizzera emerge come un centro fondamentale dell’ingegneria nei paradisi fiscali.

Per l’UE il problema appare quello del ridicolo. Come ci informa Jennifer Rankin in un articolo del 5 ottobre sul Guardian, la UE ha collocato a suo tempo sulla lista nera dei rifugi fiscali solo nove piccoli paesi, ma il 27 settembre ne ha perfino rimossi tre; alla luce delle informazioni trapelate dai Pandora Papers, alcuni critici che siedono nel Parlamento Europeo hanno descritto tale decisione come sbagliata e grottesca. Mentre nel continente i super ricchi continuano ad usare i rifugi fiscali per evitare di pagare le tasse, la gente comune sarà obbligata a coprire il conto del Recovery Fund 

Dobbiamo ricorrere ad un giornale russo, Sputnik International del 7 ottobre, per scoprire con qualche dettaglio una altro tema di molto rilievo e sul quale altri quotidiani hanno sorvolato. 

Il giornale sottolinea come nei Pandora Papers non appaiano né uomini d’affari né politici Usa. Il commento del quotidiano è che per quanto riguarda i ricchi le aliquote fiscali sono così basse che non conviene certo ricorrere a vie traverse per non pagare le tasse. Mentre quella reale sui redditi di Warren Buffett è pari allo 0,10%, quella di Jeff Bezos si colloca allo 0,98% e quella di Elon Musk, il più tartassato dei tre, al 3,27%; un grave affronto a quest’ultimo.

Per quanto riguarda i politici appare bizzarro, afferma l’articolo, che i circa 600 giornalisti che hanno lavorato all’indagine abbiano trovato la corruzione soprattutto nei paesi emergenti e in parte in Europa, ma niente negli Usa. Quale coincidenza e quale sorpresa! 

Il giornalista racconta a questo proposito che alcune delle persone che hanno partecipato all’inchiesta sui Pandora Papers hanno lavorato in passato con le agenzie di spionaggio statunitensi, mentre la società che la ha portato avanti è finanziata da importanti attori dell’establishment del paese. L’attendibilità delle rivelazioni ne esce alla fine almeno parzialmente menomata.

In ogni caso, alla fine, come ci ricorda ancora Piketty, sarebbe certamente tempo di passare all’azione; o dobbiamo aspettare ancora le prossime rivelazioni, magari fra qualche anno? Forse quest’ultimo è lo scenario più probabile.

FONTE: https://sbilanciamoci.info/una-rilettura-dei-pandora-papers/

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Fondi pensione poco orientati in investimenti sostenibili

Aumentano i risparmi dei lavoratori nei fondi pensione ma questi investono ancora quasi solo in titoli di debito pubblico e molto poco nel sistema delle imprese italiane e ancor meno sono orientati verso logiche di impatto positivo su ambiente e società secondo i criteri Esg.

Circa 18 mesi fa, pochi giorni prima di essere travolti dalla pandemia, avevamo presentato un’analisi sulla previdenza complementare e sul suo potenziale ruolo nell’affermazione di una finanza sostenibile, con impatto positivo su ambiente e società.

L’occasione era data dall’ingresso, anche in Italia, della cosiddetta Direttiva IORP II (recepita con decreto legislativo 147 del 13 dicembre 2018), che ha l’obiettivo di spingere  i fondi pensione ad integrare gli aspetti di sostenibilità ambientale, sociale e di governance (ormai diffusamente sintetizzati con la formula “ESG”) nelle politiche di investimento, con adeguate misure di disclosure. Il tutto mentre il mercato finanziario cominciava a conoscere i lavori della Commissione europea per una Tassonomia sulla finanza sostenibile, nell’ambito dell’omonimo Action Plan.

Il tema era stato affrontato anche in uno degli ultimi eventi “in presenza” prima del lockdown, organizzato da Banca Etica e Cgil.

Lo studio presentato in quella occasione evidenziava uno stato di significativa arretratezza delle politiche ESG dei fondi pensione italiani, in base al quale “meno di 1 euro ogni 10 investiti dai fondi pensione è utilizzato per orientare o favorire un processo di riconversione (sociale, ambientale, organizzativa) del mondo produttivo o per sostenerne le eccellenze”.

Dopo la pandemia, con il PNRR in arrivo, possiamo ora dare un aggiornamento a quelle evidenze.

In base alla ultima relazione della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (Covip), rileviamo che le risorse destinate alle prestazioni da parte delle forme di previdenza complementare erano a fine 2020 pari a 198 miliardi di euro, in crescita del 6,7% rispetto al 2019 e del 18,5% rispetto al 2018 (anno di riferimento dell’articolo precedente).

Il sistema di previdenza complementare conta oggi 372 forme pensionistiche (8 in meno del 2019 e 26 in meno del 2018), continuando il suo percorso di concentrazione. Così le 12 più grandi forme pensionistiche, pari al 4,8% del totale, aventi ciascuna masse superiori a 2,5 miliardi di euro, raccolgono oltre la metà delle risorse complessive.

Come rileva il rapporto Covip, però, tale processo di concentrazione non sta producendo le auspicate economie di scala, almeno non a vantaggio degli iscritti: “nel settore dei fondi aperti e nei PIP, dove operano gli stessi gruppi bancari e assicurativi, l’aumento della scala operativa conseguente alla concentrazione delle iniziative previdenziali già in essere non si è quindi tradotto in una flessione dei costi posti a carico degli iscritti”.

Gli iscritti a fine 2020 sono 8,4 milioni, in crescita del 2,2% sul 2019 e del 6,3% sul 2018. Rappresentano il 33% della forza lavoro, quota in salita negli ultimi due anni (era il 30,2% a fine 2018, con una forza lavoro pur superiore di 700 mila unità).

Aumenta la propensione dei lavoratori a scegliere la previdenza complementare per la destinazione del Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Sui 27,2 miliardi di TFR generati dal sistema produttivo nel 2020, 6,5 sono stati destinati alle forme di previdenza complementare. Si tratta del 24%, mentre dall’avvio della normativa, su 348,4 miliardi di TFR, la parte destinata alla previdenza complementare è stata di 75,2 miliardi di euro, il 22% del totale.

Ammontano a 162 miliardi gli investimenti della previdenza complementare nel 2020, e sono così distribuiti:

  • gli investimenti in titoli di debito pubblico ammontano al 37,2% del totale, in discesa dal 40,2% del 2019 e dal 41,7% del 2018;
  • la quota di debito pubblico italiano è pari al 17,5%, anch’esso in discesa dal 20,6% del 2019 e dal 21,4% del 2018;
  • in titoli di debito privato è investito il 18,9% (era il 17,1% a fine 2018);
  • in azioni e altri titoli di capitale va il 19,6% (era il 16,4% due anni prima);
  • in OICVM o quote di OICR il 15,5% (valore al 13,8% nel 2018).

Complessivamente, dunque, gli investimenti in obbligazioni sono pari al 56,1% del totale (37,2% pubbliche più 18,9% private).

Cambia di poco la distribuzione degli altri titoli del debito pubblico: i titoli spagnoli sono pari all’11,2% (11,4 nel 2018); i titoli francesi al 9,3% (9,3 nel 2018); i tedeschi al 4,6% (5,7 due anni prima); gli Usa al 9,2% (era 7,2 nel 2018).

L’esposizione azionaria complessiva, calcolata includendo anche i titoli di capitale detenuti per il tramite degli OICR e le posizioni in strumenti derivati, si è attestata al 27,9% dal 26,6 dell’anno precedente (e dal 23,4% del 2018).

Sommando tale esposizione a quelle delle obbligazioni corporate (18,9%), il sostegno dei fondi previdenziali complementari italiani al comparto delle imprese pesa per il 46,8% delle risorse gestite, con un significativo salto in avanti rispetto agli anni precedenti (6 punti percentuali di incremento sul 2018).

All’economia italiana di queste risorse arriva il 23,8%, in sensibile calo dal 27,7% del 2018: in assoluto di tratta di 38,6 miliardi contro i 40,4 del 2019 e i 36,7 del 2018.

Di questi scarsi 39 miliardi, il 74% è investito in titoli di Stato.

Andando pertanto a sottrarre gli investimenti immobiliari e la liquidità, si osserva così che dai fondi previdenziali complementari italiani arrivano alle imprese del nostro paese 4,6 miliardi di euro (3,7 nel 2018), pari al 2,9% del totale delle risorse gestite (era 2,8% due anni prima). Tra queste risorse, ammonta a 794 milioni di euro l’investimento in titoli di imprese italiane non quotate: si tratta del 17%, in significativa crescita rispetto al 2018, quando era l’11%.

Scrive la Covip: “Se si escludono i titoli di Stato italiani, il contributo che il sistema delle forme complementari fornisce all’economia italiana è limitato, anche nel confronto internazionale. Come noto, a tale risultato contribuiscono il riferimento a benchmark di mercato diversificati su scala internazionale nei quali il peso assegnato all’Italia è marginale, l’esiguo numero di imprese quotate italiane e il limitato sviluppo a livello nazionale dei mercati di capitale e di debito privati.”

Altro aspetto che merita attenzione riguarda chi concretamente gestisce queste risorse. Nel corso del 2020 è diminuito il peso dei gestori italiani, che hanno avuto la responsabilità di amministrare il 58% delle masse, ed è aumentato quello dei gestori di altri paesi UE, arrivato al 42%. Se poi si depurano dal conteggio dei gestori nazionali quelli appartenenti a gruppi stranieri, ecco che la quota gestita dagli operatori esteri supera i due terzi del totale (67%).

Cresce anche in questo ambito la concentrazione: il 41% delle risorse è affidato a cinque gestori, il 70% a dieci.

Un orientamento più marcato di responsabilità sociale e ambientale

Anche per il 2020 si può fare affidamento sulla ricerca del Forum Finanza Sostenibile per conoscere le strategie di orientamento degli investimenti dei fondi pensione italiani che rispondono a criteri selettivi di tipo ESG. L’evoluzione registrata tra 2018 e 2020 è interessante.

Aumenta, in generale, la quota di attivo gestita dai fondi pensione italiani secondo criteri ESG. Pur con qualche caveat dovuto alla eterogeneità delle basi dati, il confronto tra 2018 e 2020 evidenzia un incremento importante, dal 23% del totale al 32%. Le masse gestite secondo politiche di responsabilità sociale e ambientale passano da circa 30 a circa 53 miliardi di euro.

Le principali leve di questa variazione sono date dall’inserimento di investimenti tematici (le risorse così gestite aumentano del 135%), di criteri di esclusione (+82%), di adozione di metodologia best-in-class (+75%, anche se qui pesa la forte crescita nel biennio delle masse gestite da Etica Sgr, tutte orientate a tale criterio), di engagement con le imprese (62%, vale la stessa considerazione di cui al punto precedente), di approccio da impact investment (+55%), di applicazione di convenzioni internazionali (+51%).

L’aumento non è comunque tale da compensare la crescita generale delle masse gestite, per cui si osserva una variazione positiva (del 7%) anche delle masse gestite in assenza di criteri ESG, che passano da circa 102 miliardi di euro del 2018 a circa 109 del 2020.

In complesso, restano lontani gli obiettivi di un pieno orientamento delle risorse della previdenza complementare a logiche di impatto positivo su ambiente e società. I due terzi delle masse sono ancora gestite senza alcuna valutazione di questo tipo. Ma il mercato si va spostando, e con esso la cultura dei gestori.

Questo graduale avvicinamento degli operatori di previdenza complementare alla cultura ESG è senza dubbio una buona notizia. Che si associa a quella del generale maggiore indirizzamento verso l’economia reale (e italiana) delle risorse mosse dai fondi pensione.

Prossimo necessario passo dovrà essere guardare “dentro” i portafogli generati secondo i criteri ESG per misurare concretamente se quanto dichiarato è poi realizzato in modo coerente e rigoroso, non solo secondo una logica di preferenza culturale o morale (come nel caso delle “esclusioni”) ma di impatto osservato e rendicontato.

FONTE: https://sbilanciamoci.info/fondi-pensione-ancora-poco-orientati-verso-investimenti-sostenibili/

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Berlato: “il Green Pass è discriminatorio”. E l’UE gli dà (parzialmente) ragione

La Commissione Europea ha risposto all’onorevole Sergio Berlato: la nota ufficiale dell’UE

“È necessario che la Commissione europea si pronunci sull’uso improprio e discriminatorio che l’Italia sta facendo del green pass, in quanto assolutamente contrario alle stesse disposizioni europee”. Lo aveva detto lo scorso agosto l’onorevole Sergio Berlato, europarlamentare di Fratelli d’Italia, presentando un’interrogazione parlamentare. E oggi, 22 ottobre, è arrivata la risposta della Commissione Europea, che gli dà parzialmente ragione: “Il regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al certificato COVID digitale dell’UE(1) si basa sull’articolo 21, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea – si legge nella nota – e mira ad agevolare il diritto alla libera circolazione all’interno dell’UE“.

“Per garantire che anche le persone non vaccinate possano godere del diritto alla libera circolazione – prosegue la nota – il regolamento istituisce un quadro a livello europeo per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati relativi non solo alla vaccinazione, ma anche ai test e alla guarigione dalla COVID-19. Esso afferma chiaramente che la vaccinazione non costituisce una condizione preliminare per l’esercizio del diritto alla libera circolazione. L’uso nazionale dei certificati COVID-19 per scopi diversi dall’agevolazione della libera circolazione all’interno dell’UE non rientra nell’ambito di applicazione di tale regolamento. Gli Stati membri possono effettivamente utilizzare il certificato COVID digitale dell’UE a fini nazionali, ma sono tenuti a prevedere una base giuridica nel diritto nazionale che rispetti, tra l’altro, i requisiti in materia di protezione dei dati. Nel caso in cui uno Stato membro istituisca un sistema nazionale di certificati COVID-19 a fini interni, esso dovrebbe garantire che anche il certificato COVID digitale dell’UE sia accettato in tale contesto. In questo modo, i viaggiatori che si recano in un altro Stato membro non devono ricevere un certificato nazionale supplementare per la COVID-19 per avere accesso, ad esempio, a bar o ristoranti. Per contribuire a garantire che tutti i cittadini possano usufruire di test a costi accessibili, la Commissione ha messo a disposizione degli Stati membri 100 milioni di EUR per test che soddisfino i requisiti per il rilascio del certificato COVID digitale dell’UE. Tuttavia, è importante notare che le decisioni relative alla determinazione dei prezzi dei test rientrano nell’ambito di competenza degli Stati membri”.

FONTE: http://www.strettoweb.com/2021/10/ue-risponde-a-sergio-berlato-su-green-pass-discriminatorio/1259644/

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

Capra
Parole bestiali
cà-pra

SIGNIFICATO Ruminante appartenente alla famiglia bovidi, sottofamiglia caprini. Nell’uso comune il nome è riferito alla capra domestica, mentre in zoologia indica un genere di cui fanno parte anche la capra selvatica, il turo e lo stambecco.

ETIMOLOGIA dal latino capra, femminile di caper, dall’etimo incerto.

Diecimila anni che stiamo insieme, noi e le capre. Le abbiamo addomesticate poco dopo il cane e da allora non hanno fatto altro, si direbbe, che starci dietro.

Anzitutto ci hanno dato il loro latte che – oltre a costituire la materia prima di golosi formaggi – è facilmente digeribile, persino per i neonati. Per questo nei Promessi sposi spetta proprio alle caprette il compito di nutrire i piccoli orfani del lazzaretto.

Zeus in persona, in effetti, è stato cresciuto da una capra, e certo non fu impresa facile: il discoletto aveva l’abitudine di aggrapparsi alle corna della sua balia, tanto che finì per rompergliene uno (divenuto così la prima cornucopia). Perlomeno ebbe la buonagrazia di dedicarle, alla sua morte, la costellazione del capricorno, sotto il cui segno si dice nascano persone leali e testarde quanto lei.

Non solo: con la sua pelle rivestì l’egida, leggendario scudo capace di scatenare tempeste a piacimento. Del resto la pelle di capra è nota per la sua versatilità. Quanto alla lana, certo è meno celebre di quella di pecora, tanto che gli argomenti senza importanza sono chiamati ‘questioni di lana caprina’. Eppure i pregiatissimi mohair e cashmere sono per l’appunto lane di capra.

Anche la carne è sempre stata apprezzata, tanto dagli uomini quanto dagli dei. Sfortunatamente per le capre, infatti, i sacrifici rientrano da millenni nella loro area di competenza, del che resta traccia nell’espressione ‘capro espiatorio’ e forse anche nella parola ‘tragedia’, ossia ‘canto del capro’.

Da parte loro, quanto al vitto e all’alloggio, sono animali di poche pretese. In particolare sono note per la capacità di inerpicarsi lungo vie ripide, soprannominati perciò ‘sentieri da capre’. Sono talmente agili che anche la ‘capriola’ prende il nome da loro, e i loro zoccoli riescono a far presa dappertutto, persino sui tronchi degli alberi.

Va precisato inoltre che la capra campa bene sia sopra che sotto le panche, benché un famoso scioglilingua sostenga il contrario. Il motivo è controverso: forse si tratta di una metafora per le dinamiche di classe (chi sta in alto sta meglio), o forse allude al fatto che quando un animale sta male spesso si rifugia in un luogo appartato (come sotto una panca).

Un altro celebre detto, “salvare capra e cavoli”, viene invece da un indovinello centenario, diffuso con qualche variante dalla Danimarca allo Zimbabwe: un tizio aspira a traghettare una capra, un lupo e dei cavoli, ma può trasportare solo una cosa per volta. Per ovvie ragioni il lupo non può restare da solo con la capra, né la capra con i cavoli. Non facciamo spoiler sul finale.

Diffusa è anche l’abitudine di chiamare ‘capra’ una persona ignorante e ostinata, e ‘caprone’ un uomo rozzo e puzzolente. Ma lo sgarbo è solo verso le capre. Infatti una ricerca dell’Università Queen Mary di Londra ha dimostrato nel 2016 che questi animali possiedono un’intelligenza sviluppata, nonché competenze sociali pari a quelle dei cani.

Più in particolare a Firenze si usava dire: “Sei grullo come la capra dei pompieri”. Ora, è vero che, a inizio Novecento, i pompieri presero una capretta come mascotte. Ed è vero che lei, invece di brucare l’erba, preferiva cercare cibo al caffè Le giubbe rosse dove, se contrariata, faceva valere le sue ragioni a cornate. Ma signori, siamo franchi: potendo scegliere, voi vi sareste accontentati dell’erba?

Parola pubblicata il 11 Ottobre 2021

FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/capra

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Diplomazia “Turca”: 10 ambasciatori occidentali, compresi USA e Francia, dichiarati “Persona non grata” ed esplusi

Ottobre 23, 2021 posted by Guido da Landriano

Eccovi un esempio di diplomazia turca targata Erdogan.  Gli ambasciatori di 10 paesi occidentali sono stati dichiarati “Persona non grata”, quindi avvisati di espulsione, secondo quanto detto  sabato dall presidente Recep Tayyip Erdogan. Tutto questo per aver chiesto il rilascio dell’attivista turco Osma Kavala, assolto, fra l’altro, dalla Corte Europea per i diritti umani.

Gli ambasciatori interessati sono i rappresentanti ad Ankara di Stati Uniti, Germania, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia.

Erdogan non ha chiarito specificamente se il suo ordine significava che ai diplomatici – che ha accusato di “oscenità” – sarebbero stati oggettivamente espulsi, ma il termine è tecnico e piuttosto chiaro.

“Ho ordinato al nostro ministro degli Esteri di dichiarare questi 10 ambasciatori come persona non grata il prima possibile”, ha detto Erdogan.

Ha aggiunto che: “Devono partire il giorno in cui non conosceranno più la Turchia”. Il che non vuol dire niente, e vuol dire tutto.

Martedì il ministero degli Esteri turco ha convocato gli ambasciatori per quella che ha definito la loro dichiarazione “irresponsabile”.

Gli inviati avevano emesso un raro documento congiunto che chiedeva una rapida risoluzione del caso del leader della società civile incarcerato. Osman Kavada è un imprenditore filantropo incarcerato senza nessuna accusa e senza aver subito un regolare processo. Un classico esempio di giustizia alla turca.

Resta ancora una domanda: che ci fa Ankara nella NATO; e come può la UE mantenere relazioni con questo paese? Nessuno risponderà.

FONTE: https://scenarieconomici.it/diplomazia-turca-10-ambasciatori-occidentali-compresi-usa-e-francia-dichiarati-personae-non-gratae-ed-esplusi/

 

 

UN ORDINE MONDIALE TUTTO MADE IN USA

Leggi come introduzione il nostro precedente articolo: Il dollaro americano: la valuta più potente al mondo

Ad oggi, anche se non agli stessi livelli del dopoguerra, il dollaro americano è la valuta più potente del mondo, e su questo non si discute.

Gli Stati Uniti di questo ne hanno beneficiato e ad oggi si confermano una delle economie più rilevanti al mondo. Due sono le considerazioni da fare: 1) L’America è potente in quanto tale, un’astuta pianificatrice; 2) L’America è potente perché è patria della FED.

Torniamo un pochino indietro nel tempo, alla fine della Seconda guerra mondiale, e proviamo ad immaginare economie come la Germania, la Francia, l’Italia, che, vincitori o vinti, si ritrovavano in gravissime condizioni. Vite ed economie da ricostruire. C’era bisogno di aiuto e in qualche modo bisognava ripartire, ma una ricostruzione basata sui propri fondi era impensabile.

Oltre oceano c’erano i potenti Stati uniti, che nonostante la loro partecipazione alla guerra, continuavano ad avere un’economia solida e prosperosa. Già durante la guerra si erano vestiti del ruolo di soccorritori nei confronti dei paesi europei ed ancora una volta, anche se in modo forse un po’ più inusuale, decisero di prestare aiuto ad un Europa in disperato bisogno di importare. Aprirono, così, le porte dei propri mercati a tariffe praticamente gratuite e pattuirono il famoso accordo di Bretton Woods (da ora BW). Vennero inoltre istituite delle organizzazioni come la World Bank, la World Trade Organization o WTO e l’IMF o Fondo monetario internazionale affinché elargissero prestiti alle economie europee.

Tutto ciò aveva permesso all’Europa di raccogliere le proprie forze e ripartire per la grande ricostruzione. Nessuno aveva potuto lamentarsi, alla richiesta di aiuto c’era stata una risposta pronta ed efficace.

Mentre l’Europa sospirava, l’America conquistava. Di certo tutto ciò non era un’opera di carità, specialmente se parliamo di Stati Uniti d’America, bensì un piano che prevedeva di fornire aiuto economico in cambio di controllo. Fu così che si siglarono una serie di accordi ed iniziative, quali:

  1. L’accordo di BW con il quale si auto confermò a quel tempo come l’unico Stato che poteva coniare nuova moneta per fini commerciali internazionali. Ora non esiste più questo accordo, ma l’America e la sua moneta rimangono due colossi mondiali.
  2. L’istituzione, sotto il suo controllo, degli organismi finanziari sopracitati, ad oggi non più con le stesse funzioni iniziali, ma pur sempre vigenti e attivi.
  3. L’istituzione della NATO, organismo atto a preservare la sicurezza globale, ovvero un sistema di controllo tutto americano.
  4. L’apertura delle porte dei suoi mercati per esportare prodotti ai paesi Europei, a patto che i trasporti venissero effettuati tramite navi americane, avendo così il pieno controllo degli scambi commerciali.

All’Europa non era stato chiesto nulla in cambio in termini economici, ecco perchè definirlo un inusuale aiuto: sotto le vesti di una donazione, c’era un piano di conquista del controllo finanziario e della sicurezza mondiale. Tutto ciò che riguardava la valuta, il commercio estero e la sicurezza era sotto il controllo di Washington.

Si andava così delineando una struttura di politica internazionale che vedeva l’America al vertice e alla base tutti gli altri paesi. A parte questo, l’Europa non poteva che essere riconoscente degli aiuti ricevuti ed il commercio internazionale aveva raggiunto livelli mai visti prima. Non c’era motivo di opporsi a questa nuova politica, tanto che anche paesi come il Giappone decisero di firmare il patto di BW perché significava essere parte di un grande meccanismo che avrebbe portato benefici a chiunque ne avesse preso parte.

Il ruolo dell’America nel 2019 non è più lo stesso. Ci sono economie emergenti dalle quali si sente minacciata, ci sono valute che stanno aumentando il loro potere di scambio e ci sono dinamiche geo politiche diverse. Nonostante ciò rimane ancora oggi la più potente, non stabilendo più da un lato, l’ordine monetario, vista la caduta dell’accordo di BW, ma la “sicurezza” è sicuramente gran parte ancora sotto il suo controllo. Guerre tecnologiche, guerre dei dazi, sono tutte sintomo della paura di perdere tutto ciò che finora è riuscita a conquistare.

L’America è potente perché qui si colloca l’istituto finanziario più influente del mondo, la FED o Federal Reserve, una Banca le cui decisioni e scelte sono attese da tutto il mondo vista la loro influenza globale.

Dopo la crisi del 2008, le decisioni della FED caratterizzarono i primi importanti step per la ripresa, per il riassetto delle condizioni finanziare della maggior parte delle banche mondiali. Ciò che è accaduto, di fatto, ha reso il dollaro e la FED più potenti, perché tutto il sistema bancario mondiale ha, paradossalmente, ancor più di prima, fatto affidamento sul dollaro, aumentando il proprio debito in valuta americana. Tra le varie manovre messe in atto per prevenire una crisi di liquidità come quella vissuta durante il crash, c’è stato l’aumento del cosiddetto Fed Fund Rate, ovvero il tasso di interesse sugli scambi interbancari. Risultato? Prendere in prestito dollari è diventato ancora più oneroso.

Le politiche monetarie della FED hanno un impatto globale rispetto alle altre banche centrali, come appurato nell’articolo precedente, ci sono però alcune considerazioni da fare. Gran parte di coloro che richiedono prestiti nei paesi emergenti lo fanno in dollari perché significa avere accesso a mercati più liquidi e grandi, proteggendo il prestito da eventuali brusche fluttuazioni dei tassi di cambio delle valute locali minori. La maggior parte di questi investitori, ad esempio aziende, mantiene il proprio business in valuta locale. Questo vuol dire che il tasso di interesse a cui l’investimento dell’azienda è sottoposto è il prezzo del prestito in termini di valuta locale. Perciò, se la Fed riduce i tassi di interesse, e quindi il costo del prestito dovrebbe ridursi, l’investitore può non beneficiarne, perché  l’investimento è esposto all’andamento del tasso di cambio valuta locale/USD. Se si prevede un apprezzamento del dollaro, quel prestito sarà più oneroso in termini di valuta locale. Ecco che quindi le decisioni della FED sono solo uno dei tanti fattori che gli investitori da tutto il mondo devono considerare, come l’andamento dei tassi di cambio e le risposte politiche delle altre banche centrali rispetto a determinate decisioni della FED.

Ancora una volta: perché America in quanto tale, perché patria della FED e perché coniatore di dollari, fattore che gli dona l’esorbitante privilegio di emettere debiti nella propria valuta e di gestire persistenti deficit apparentemente senza conseguenze.

L’America fa eccezione, sempre.

L’IMF e la WTO sono nate con l’accordo di BW e avrebbero dovuto essere dismesse quando l’accordo è venuto a mancare, alcuni analisti criticano, eppure sono ancora in piena attività.

Ha un debito che supera i 22 mila miliardi di dollari, ma la sua economia è ancora considerata la più solida. Non si è mai smesso di investire in America, nemmeno dopo il 2008, anzi, come abbiamo visto, paradossalmente si è iniziato ad investire di più.

L’America va oltre i modelli economici, spiega fenomeni che non sono spiegabili con le teorie economiche tradizionali. Uno stato con una yield curve negativa non può essere considerato un’economia solida, eppure il comportamento degli investitori dimostra il contrario. È vero, però, che la crisi del 2008 ha dimostrato che anche le teorie economiche keynesiane non sono infallibili ed al giorno d’oggi il sistema finanziario è talmente complicato, intrecciato ed imprevedibile che risulta sempre più difficile trovare una spiegazione a tutto ciò che accade.

“We are gonna make America, great again!” Trump continua ad affermare. Un motto e un presidente che rappresentano in tutta la loro interezza lo spirito di un’America potente e che continua a volersi affermare nel mondo ma che si ritrova a difendere il suo dominio con tutti i mezzi a sua disposizione contro grandi giganti economici oltreoceano che avanzano e destano non poca preoccupazione.

FONTE: https://www.invenicement.com/blog/un-ordine-mondiale-tutto-made-in-usa/

 

 

 

POLITICA

IL BUON VOTO CONTRO IL CATTIVO POTERE

Il buon voto contro il cattivo potereUn tempo infausto per la politica, evidenziato dalla diserzione delle urne e dal rafforzarsi di élite che reputano giusto il potere non si fidi del popolo. Sarebbe cosa buona voltare lo sguardo verso la filosofia, al monito “favorire i competenti in democrazia ma senza sfociare nella tecnocrazia dei saggi”. Perché è colpa del connubio tra élite e “tecnocrazia dei saggi” se il cittadino non è andato a votare. Élite che, al pari dei tecnocrati, serbano una concezione relativistica della democrazia, intesa come “male seppur minore”: a questa loro visione si deve la giustificazione d’un potere che non si fida del popolo. Analisi che pervade le moderne teorie, e viene giustificata dai consulenti dei governi come attualizzazione della “metodologia del realismo” di Machiavelli, Sartori, Weber, Schumpeter… Ergo, secondo queste teorie, che oggi pervadono anche i 5Stelle (quelli che si dicevano popolo contro la casta) necessiterebbe accettare d’essere inevitabilmente controllati ed influenzati da élite e gruppi di potere. E che la competizione in politica non sarebbe più da considerare tra partiti partecipati dal popolo, ma tra élite di poteri tra loro in competizione.

Ne deriva che il popolo, anche senza aver letto la politica di Aristotele ed i fondamenti settecenteschi alla base del contratto sociale, ha ben compreso che è ormai infranto il patto costituzionale del principio di rappresentanza: ovvero sindacati e partiti non rappresentano più gli italiani, non hanno necessità della loro partecipazione ed hanno abdicato al ruolo politico-economico di fungere da corpi intermedi. E non siamo nemmeno nel campo delle democrazie deviate, ovvero le olocrazie, e perché, anche il tanto sbandierato populismo è diventato uno strumento delle élite per dimostrare che esisterebbe una opposizione al potere che non si fida del popolo.

Quel che manca negli eletti d’oggi è la coscienza politica, un misto d’etica e morale che permetteva al partitocratico d’un tempo di giurare, di dare la propria parola. Certo Aristotele (riprendendo la Repubblica di Platone) ammetteva che la politica è un affare troppo complicato perché possa essere lasciato alla gente comune. Per la scuola antica il potere politico doveva essere gestito dai sapienti, da coloro che sanno ed hanno le necessarie competenze: ma in quella visione le élite non erano nemiche del popolo. La “sofocrazia”, governo dei sapienti, non può necessariamente basarsi sul fatto che il potere non si debba fidare del popolo. Anche perché oggi internet permette che filtrino notizie sull’estrema corruzione del potere, e questo alimenta la dissidenza, il ribellismo, la disubbidienza. Ed usare polizie ed esercito contro il popolo in rivolta non genera certo il consenso verso le élite, ma solo la paura del potere. Ovvero quel prototipo dell’assolutismo moderno già preconizzato da Karl Popper, che aveva già intuito che il “totalitarismo” platonico sarebbe tornato vestendo panni tecnocratici: ed oggi in Italia (ed in Europa) vince il prototipo dell’assolutismo moderno che si contrappone all’idea popperiana di “società aperta”. Quest’ultima era la vera democrazia, fondata sui principi di libertà e pluralismo, praticata nella democrazia ateniese di Pericle. Oggi la gente non va a votare perché la classe scelta, e ristretta, è stata smascherata dal popolo. Quest’ultimo sa benissimo che il vero voto che scegliete i capi delle tecnocrazie avviene nelle borse, grazie ai mercati finanziari, ai trust, ai giochi societari. La gente ha capito che la garanzia sostanziale alla democrazia, il diritto alla libertà ed all’uguaglianza, è stata cestinata favorendo il familismo amorale tecnocratico.

La crisi della democrazia moderna è legata alla volontà d’esclusione sociale praticata dalle élite, che vorrebbero così mettere in discussione il principio della rappresentanza. Le élite fanno come il lupo con l’agnello, accusano dell’attuale situazione il popolo, reo d’aver goduto dell’indiscriminata estensione dei diritti di voto (attivo e passivo) promossa dal suffragio universale. Ed il popolo ha risposto non votando, dicendo così al potere “se io sono ignorante e non so’ nulla di politica, allora fatevi da voi il consenso per legiferare e governare”. Ma oggi in Italia c’è un Draghi che spadroneggia, contornato anche da eletti incompetenti e corrotti. Ed il popolo sa bene che il potere oggi si domanda “se possiamo escludere dal voto gli immigrati perché non lo possiamo fare anche per gli autoctoni ignoranti?”. Parimenti il popolo si chiede “come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno?”. Popper aveva risposto a queste pulsioni con il progetto di “società aperta”, che garantirebbe il regime democratico: forse imperfetto, ma che ha retto l’Italia fino agli anni Novanta. Detto questo, necessita non credere si sia giunti alla fine delle storia, alla tecnocrazia sempiterna: presto un buon voto scaccerà il cattivo potere.

FONTE: https://www.opinione.it/editoriali/2021/10/23/ruggiero-capone_aristotele-platone-machiavelli-sartori-weber-schumpeter-popper-olocrazie-regime-democratico-popolo-urne/

 

 

 

COSÌ HANNO USATO LA PAURA DEL COVID PER AFFOSSARE IL CENTRODESTRA

Così hanno usato la paura del Covid per affossare il centrodestraMi sembra che lo abbiano sottolineato in pochi, tuttavia credo che nell’analisi della débâcle elettorale del centrodestra non si possa prescindere dal tema infinito della pandemia. Una questione la quale a mio avviso, per l’uso strumentale che se ne sta facendo da quasi due anni, ha profondamente alterato il quadro politico. Molto in sintesi, possiamo dire che il primo effetto determinato dal surreale clima di terrore, che peraltro stiamo ancora vivendo grazie ad una informazione compiacente, sia stato quello di rinvigorire in modo significativo le forze politiche che più si identificano con il cosiddetto establishmentForze politiche governative per vocazione, su tutte il Partito democratico, le quali stanno dettando la linea della restrizioni fin dall’inizio di questa vicenda sanitaria, raffigurata come la fine del mondo.

Facendo credere che il Covid-19 fosse una malattia mortale per chiunque, quando sin dai primi momenti i numeri ci dicevano essa colpiva in modo grave essenzialmente le fasce più fragili della popolazione, i partiti del terrore virale hanno puntato tutto sulle misure più restrittive del mondo avanzato, con la prospettiva di ottenerne un grande ritorno in termini elettorali. In sostanza essi hanno cercato di accreditarsi, riuscendoci pienamente anche grazie all’arrivo di Mario Draghi nella stanza dei bottoni, come gli artefici di una sorta di salvezza nazionale di fronte ad un flagello che ci avrebbe sterminati in massa.

Ebbene, dal momento che il nostro prestigioso presidente del Consiglio, disattendendo pienamente gli auspici nutriti dalla minoranza di aperturisti di questo disgraziato Paese, ha addirittura inasprito le medesime restrizioni, con l’introduzione di un pass sanitario per il lavoro che ci rende unici nel mondo avanzato, i partiti della linea dura ne sono stati ulteriormente rinforzati. Ed è qui che è cascato l’asino del centrodestra, per così dire. Soprattutto la Lega di Matteo Salvini, una volta compiuto il grande passo di entrare nel governo, avrebbe dovuto cercare di distinguersi proprio sulla questione centrale della pandemia, sebbene dopo la lunga ubriacatura terrorizzante sopra accennata il rischio di passare per alleati del virus rappresentava e tuttora rappresenta un fattore che tende a limitare l’azione politica di chiunque, anche per chi appare abbastanza alternativo al citato establishment.

(*) Tratto da nicolaporro.it

FONTE: https://www.opinione.it/politica/2021/10/23/claudio-romiti_matteo-salvini-lega-mario-draghi-pd-centrodestra-pandemia-quadro-politico-governo-virus/

 

 

LA DERIVA OLIGARCHICA

La deriva oligarchicaTutti hanno detto e scritto che, alle scorse elezioni amministrative, hanno votato poco più del quaranta per cento degli elettori; ma il dato può essere riferito in modo speculare: non hanno trovato ragione per andare a votare poco meno del sessanta per cento degli elettori, cioè la stragrande maggioranza della nazione. In pratica, sono andati ad esprimere le loro preferenze quasi solo coloro i quali hanno interessi, anche lontani, connessi con gli apparati dei partiti. Il partito politico italiano con la maggiore nomenclatura è il Partito democratico, nato dalla fusione degli apparati dei vecchi Partiti comunista e democristiano; se vanno a votare quasi solo iscritti e loro clientele la sua vittoria è certa.

Ma democrazia, dal greco antico: δῆμος, démos, “popolo” e κράτος, krátos, “forza”, prima ancora di “potere”, significa “forza del popolo”. Se il popolo s’astiene non esprime forza, non si sente, o se la sente di contare nello Stato. Quindi cede il passo alla nomenclatura ed ai suoi clienti. I pochissimi che si sentono in forza. La parola oligarchia deriva dal greco antico olígoi (ὀλίγοι) = pochi e arché (ἀρχή) = comando/governo; ossia “governo di pochi”. Quindi ha espresso il voto un’oligarchia. Quando calano i votanti recatisi alle urne, e vince il Partito democratico paradossalmente, dato il nome di quel partito, si è in presenza di una deriva oligarchica.

SCIENZE TECNOLOGIE

FACEBOOK PROVA A SPIEGARE IL METAVERSO IL NUOVO PROGETTO ZUCKERBERG

IL METAVERSO DI FB

Un mondo virtuale connesso con il mondo reale. Questa è la frontiera tecnologica del futuro, in cui le esperienze del web riescono a calarsi perfettamente nel vissuto reale e completare le interazioni e le vite delle persone. Il metaverso, questo nuovo mondo digitale, è anche l’obiettivo di numerosi giganti tech, tra cui l’azienda di Mark Zuckerberg, Facebook.

L’obiettivo di Facebook – Dopo il periodo travagliato subito dal colosso social, dal blackout di tutte le app alle accuse dell’ex dipendente sul favorire l’odio online, Mark Zuckerberg accelera con un importante investimento in Europa, nell’ottica dello sviluppo del metaverso. Nick Clegg e Javier Olivan, vicepresidenti dell’azienda, hanno annunciato di voler creare 10mila nuovi posti di lavoro in tutta l’Unione Europea, con l’obiettivo di costruire la piattaforma informatica del futuro.

Dove nasce il termine – Il metaverso comprende tutta la nuova generazione di esperienze virtuali che utilizzano tecnologie come la realtà virtuale aumentata. Il termine nasce infatti da un’idea di Neal Stephenson, che, nel romanzoSnow Crash, identifica questo mondo online in cui gli utenti, per mezzo dei loro avatar, vivono esperienze interattive multimediali. Le caratteristiche di questa realtà ricordano la piattaforma Second Life, nata agli inizi degli anni Duemila, in cui gli utenti potevano appunto crearsi una “seconda vita” in cui poter essere chiunque volessero.

Doppia vita – L’idea è quella di rafforzare, sulle reti online, la sensazione di “presenza virtuale“. In questo modo l’esperienza sulla rete si avvicinerà sempre di più a quella del mondo reale, a partire dalle interazioni tra i soggetti umani, che potranno accedere a nuove opportunità creative, sociali ed economiche.

Uno spazio libero – Facebook ci tiene a chiarire che il metaverso non avrà proprietari, né gestori. Sarà concepito come uno spazio aperto e inter-operabile, in cui far cooperare aziende, sviluppatori, creator e politici. Per questo l’impresa statunitense investirà cospicue somme nei talenti tecnologici necessari per questa crescita.

Cinque sensi virtuali – Il metaverso costituirebbe perciò, non un mondo separato ma un universo complementare e interconnesso al mondo reale. Permetterà alle persone di incontrarsi in un ambiente virtuale tramite tecnologie avanzate che trasformeranno i cinque sensi umani in strumenti per accedere al nuovo mondo. Tra questi potrebbero esserci display retinici, che proietterebbero immagini di mondi virtuali direttamente sulle proprie retine, oppure guanti tattili, che consentirebbero i gesti delle mani come input.

Le prospettive economiche – Questa versione futuristica dell’internet apre non solo nuove prospettive di vita ma anche di mercato. Gli individui e le aziende potranno creare, possedere, investire, vendere e produrre valore e, dunque, profitto, rendendo il metaverso fruibile in numerose tipologie di attività, dal sociale all’economico.

 

 

STORIA

A lezione di intelligence economica dalla Serenissima Repubblica di Venezia

Di Domenico Vecchiarino –

A lezione di intelligence economica dalla Serenissima Repubblica di Venezia

Ecco come la Serenissima è riuscita per centinaia di anni a mantenere la supremazia economica nel Levante e a contrastare l’impero Ottomano. L’analisi di Domenico Vecchiarino, ricercatore di geopolitica, intelligence e infrastrutture critiche

La Repubblica di Venezia è ancora oggi l’unico caso al modo in cui una Città-Stato è riuscita a fronteggiare le più Grandi Potenze dell’epoca sue dirette concorrenti nei mercati internazionali. Questo primato è stato il frutto del perfetto connubio tra geopolitica e intelligence economica che hanno permesso alla Serenissima di dominare le principali rotte commerciali, specie nel bacino orientale del Mediterraneo, il Levante.

LA CREAZIONE DEL SISTEMA PAESE

L’elemento basilare di questa forza economica è consistito nella creazione di un formidabile Sistema Paese, forse il primo delle Storia, in cui gli interessi dello Stato combaciavano perfettamente con gli interessi dei privati. La grande espansione di Venezia non dipendeva da una causale politica dei singoli mercanti o armatori, ma rientrava in un disegno molto preciso della Repubblica che lasciava sicuramente libertà di iniziativa, ma stabiliva allo stesso tempo delle regole molto precise per evitare imprese troppo rischiose o truffaldine, oppure concorrenza tra gli stessi mercanti. Tutto in sostanza a tutela degli interessi della Serenissima ma anche dei mercanti stessi.

LA DIPLOMAZIA VENEZIANA

Il secondo elemento, strettamente collegato al primo, è stato l’utilizzo massiccio da parte di Venezia dell’uso della diplomazia. Costretti a dipendere per l’esistenza da una fitta rete di rapporti esteri, legati alle attività commerciali e finanziarie, i Veneziani avevano coltivato a fondo, fin dalle origini, l’arte della diplomazia. Proprio ad opera della Serenissima era nata la figura dell’ambasciatore (oratore si chiamava alle origini), agente diplomatico residente, negoziatore abile e, insieme, informatore sistematico. E anche in questo campo i Veneziani furono dei maestri.

SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO

La Città-Stato, infatti, è stata una delle prime realtà a dotarsi di un sistema di intelligence, sia interno che estero, volto sia alla protezione del know-how imprenditoriale, ma anche e soprattutto, alla raccolta di informazioni economico-commerciali, le nove, le notizie, per meglio supportare gli scambi commerciali. Gli Inquisitori di Stato erano la magistratura della Repubblica, affiancata al Consiglio dei Dieci, incaricata di sorvegliare i segreto di Stato attraverso i quali Venezia si dotò di una forte intelligence, soprattutto economica, per proteggere i segreti commerciali, industriali e scientifici ma anche per carpire, a sua volta, informazioni su nuovi mercati, nuove rotte commerciali e nuove tecniche industriali. E così che l’attività spionistica divenne una componente essenziale e costante della sia della politica estera, ma soprattutto nella strategia economico-commerciale.

LA GUERRA DEGLI SPECCHI

Emblematica a tal proposito fu la “guerra degli specchi” con cui i veneziani sottrassero i segreti della produzione degli specchi dalle industrie lorenesi, elevarono la fabbricazione di vetri e specchi a vera e propria arte e la protessero con spregiudicata ferocia.

GIACOMO CASANOVA

Ci furono anche altri casi di spionaggio industriale che coinvolsero il celebre avventuriero e seduttore Giacomo Casanova che nella sua rocambolesca vita fu anche una spia veneziana. Delle sue operazioni di spionaggio in campo economico si conosce poco, certo è che nel novembre 1763, di ritorno da Londra, si presentò agli Inquisitori rivelando un nuovo metodo di tingere di scarlatto i panni di cotone, evidentemente carpito in qualche fabbrica inglese. Successivamente spiò dei monaci veneziani che progettavano di trasferire a Trieste una tipografia, concorrente diretta di quella della Serenissima. Casanova seminando dissidi tra i monaci e corrompendo funzionari riuscì a stroncare il progetto facendo tornare i frati a Venezia. Fu una grande vittoria dell’intelligence veneziana che riuscì a mettere un freno alla spionaggio industriale e alla fuga del Know how.

LE GRANDI SCOPERTE

In quest’ottica vanno viste anche le grandi imprese degli esploratori veneziani che, sempre alla costante ricerca di nuove merci e nuovi mercati, si arrischiavano a girare il mondo per mari; è questo il caso dell’impresa di Marco Polo, poi narrata nel celebre libro “il Milione”, sul suo viaggio in Cina sulla Via della Seta che rappresenta proprio quest’indole veneziana tutta volta all’irrefrenabile ricerca di nuovi spazi e nuovi commerci. Ma anche Niccolò dè Conti che esplorò l’Indonesia e Ceylon e fornì preziose indicazioni a Fra Mauro per la preparazione del suo straordinario Mappamondo, ancora oggi conservato nella città lagunare presso la Biblioteca Marciana di Venezia.

LA COSTRUZIONE DELLE NAVI

Ma Venezia era anche una grandissima fucina di idee e tecniche innovative. L’Arsenale, ad esempio, era il fiore all’occhiello della cantieristica dell’epoca; era il segreto militare della Serenissima che più di tutti bisognava proteggere ad ogni costo dove si progettavano, costruivano e armavano le navi per il dominio del Levante. I segreti della costruzione delle navi erano custoditi gelosamente perché la loro rivelazione avrebbero messo in discussione la supremazia di Venezia sui mari. Esempio di questa incredibile potenza bellica furono le sei Galeazze schierate nella battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, quando lo schieramento della Lega Santa ebbe la meglio sullo flotta dell’Impero Ottomano proprio grazie a queste navi definite dei veri e propri castelli in mare da non essere da umana forza vinti.

IL BACKBONE LOGISTICO

Per favorire il commercio internazionale e l’economia marinara fu invece creata – impiegando qualche volta la forza e qualche altra volta la diplomazia – una rete di punti d’appoggio e avamposti in territorio straniero, una sorta di backbone logistico, cui si accompagnò l’apertura di sbocchi commerciali e l’insediamento di colonie mercantili. Tali punti d’appoggio non erano scelti certo a caso, ma rispondevano ad un preciso disegno geoeconomico dove il flusso dei traffici aveva concentrato gli scambi così da garantire la continuità del commercio e la sicurezza degli approvvigionamenti. Questi avamposti furono difesi ad ogni costo sia dalle rivolte delle popolazioni locali, ma soprattutto dalle ambizioni delle nazioni rivali.

IL DECLINO DI VENEZIA

Fino al 1453, l’egemonia della Serenissima sull’Adriatico e il Mediterraneo Orientale fu assoluta; solo dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi, Venezia perse buona parte dei vecchi mercati balcanici e asiatici e si rivolse alla terraferma, andando contro le altre Signorie Italiane, soprattutto con Milano. Ma la parabola discendente di Venezia iniziò con il periodo delle grandi esplorazioni marittime. La centralità di Venezia nei traffici commerciali tra l’Oriente e Occidente venne scardinata dalle nuove rotte commerciali aperte dai Portoghesi; in particolare la scoperta della circumnavigazione dell’Africa da parte di Vasco da Gama nel 1499 ruppe il monopolio veneziano dei mercati dell’Oriente, perché le navi portoghesi iniziarono a intercettare le mercanzie a monte della filiera, scalzando i mercanti veneziani.

L’IDEA DELL’APERTURA DEL CANALE DI SUEZ

Il sistema informativo della Serenissima, venuto a conoscenza della nuova rotta scoperta dei Portoghesi, inviò una missiva all’ambasciatore veneziano presso il Sultano in cui ipotizzava l’opportunità di aprire, in anticipo di trecentocinquant’anni, un canale che avrebbe collegato il Mediterraneo con il Mar Rosso, interrompendo sul nascere il commercio dei Portoghesi. Purtroppo, la situazione interna dell’Egitto non ne permise la realizzazione.

LA COMPROMISSIONE DEL RUOLO STRATEGICO DEL MEDITERRANEO

Con le nuove grandi scoperte geografiche, e soprattutto delle Americhe, tramontò la strategicità del Mediterraneo e di Venezia nei traffici commerciali a favore della navigazione sugli oceani e soprattutto a vantaggio dell’area dei Paesi del Nord Europa e dei Paesi Iberici. Entro la fine del 1500 il mare tra le terre, come ci suggerisce l’etimo del Mediterraneo, “medius terrae”, dall’antichità fulcro dei legami commerciali e della rete di scambi tra Oriente e Occidente, tra i tre continenti Africa, Asia ed Europa, visse un progressivo processo di emarginazione, a fronte di traffici oceanici che si dilatarono e relazioni e rotte marittime che assunsero una portata globale.

LA FALSIFICAZIONE DEI PRODOTTI VENEZIANI

Il colpo fatale all’economia Veneziana, che decretò l’inizio della fine dei commerci, venne inferto dagli inglesi e dagli olandesi che tra il 1550 e il 1650, inondarono il mercato europeo con delle contraffazioni dei prodotti di Venezia, che venivano prodotti in altre aree, ma erano sostanzialmente cianfrusaglie di basso costo con falsi marchi veneziani.

Infine, seppur ancora splendete centro culturale, ma ormai ombra del suo glorioso passato, la Serenissima fu definitivamente sconfitta da Napoleone che pose fine alla Repubblica di Venezia nel 1797 con la ratifica del trattato di Campoformio.

FONTE: https://formiche.net/2021/01/intelligence-economica-repubblica-di-venezia/

 

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