Ci sono due documenti dell’inchiesta nei confronti dell’ex capo della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, che rendono impellente una risposta precisa da parte di Romano Prodi sulle sue relazioni coi sostenitori del fronte filo-russo in Ucraina. Prodi dovrebbe rispondere a quattro quesiti:1) Quanti soldi ha incassato dall’ex cancelliere austriaco Gusenbauer?2) Qual era la causale?3) Come sono stati versati i soldi e su quale conto?

4) Prodi sapeva che il giornalista Alan Friedman era pagato per la sua attività in favore dell’Ucraina e perché gli faceva vedere i suoi articoli sul tema prima della pubblicazione?

Prodi percepisce una lauta pensione dall’Ue, come ex presidente, e gli spetta (anche se ha scritto due volte alla Camera per rifiutarlo) un vitalizio dal Parlamento italiano. Agli onori (anche economici) per le sue funzioni passate si devono accompagnare oneri di trasparenza.

Le domande sorgono dopo avere letto gli articoli della stampa (quasi solo estera) e i documenti dell’inchiesta del procuratore Usa Mueller nei confronti dell’uomo che nel 2016 ha guidato la campagna elettorale di Donald Trump. Il processo a Paul Manafort si è aperto ieri. Il giudice T.S. Ellis sa che deve tenersi alla larga da Trump e Putin nel processo ma non è detto che non si parli di Friedman e di Prodi.

Il processo non riguarda la campagna americana del 2016. Manafort rischia più di 300 anni per reati che vanno dal riciclaggio alla frode fiscale e bancaria. Tutte le accuse sono datate 2006-2015 e sono legate alle sue attività di lobbista per l’ex presidente ucraino filorusso Viktor Yanukovich, e per i partiti che lo sostenevano.

Nelle carte del processo, appare, anche se non è indicato per nome e non è indagato, il giornalista americano di nascita ma ormai italianizzato, professionalmente, Alan Friedman. La società di Friedman, FBC, avrebbe svolto un ruolo nell’attività di lobby di Manafort in favore dell’ex presidente filorusso. Secondo il Guardian, la FBC avrebbe siglato un contratto per peggiorare l’immagine della bionda rivale di Yanukovich: l’ex primo ministro Yulia Timoshenko dopo che Yanukovich aveva vinto le elezioni 2010. Sarebbe stato prodotto dalla FBC anche un video virale anti- Timoshenko.

La campagna sarebbe stata orchestrata da Manafort con fondi di oligarchi ucraini filorussi. E, sempre secondo l’accusa, Manafort avrebbe incassato circa 75 milioni di dollari per poi riciclarne negli Usa una trentina. Un paio di milioni di dollari sarebbero finiti invece lecitamente a importanti politici europei. Manafort e Friedman avrebbero creato un gruppo di pressione filo-ucraino, “gruppo di Hapsburg”. Il regista sarebbe stato l’ex cancelliere austriaco socialdemocratico Alfred Gusenbauer. Secondo Politico.eu, in un memo Friedman stesso avrebbe proposto di pagare 25 mila-30 mila euro al mese per questo suggerendo che i pagamenti agli altri politici (incluso Romano Prodi) sarebbero stati fatti da Gusenbauer “so as to be quite indirect” in modo da essere indiretti. Prodi ha ammesso di avere preso soldi da Gusenbauer ma non ha offerto dettagli sulla cifra e sulla precisa causale del pagamento né sui conti interessati. Probabilmente non ci sarà nulla da nascondere ma non si possono lasciare ombre una vicenda simile.

Anche perché sul New York Times del 30 luglio è apparso un altro episodio. Il 20 febbraio 2014 il New York Times pubblica un articolo a firma Romano Prodi: “Come salvare l’Ucraina”. Ora lo stesso New York Times, sulla base dei documenti presentati dal procuratore Mueller, ricostruisce i retroscena di quell’articolo. Friedman scrive a Prodi chiedendogli di “rivedere” (“please review”) l’articolo che sarebbe per il NYT. Friedman poi scrive a sua volta a Rick Gates, socio di Manafort, che Prodi qualche cambiamento “nell’ultima frase”. Una portavoce di Prodi spiega che l’articolo è stato scritto direttamente dall’ex premier che “al massimo può aver chiesto un aiuto a Friedman sulla forma, Friedman è stato soltanto l’intermediario con il giornale”. E Prodi non sapeva di essere usato da Friedman e Gates nelle loro operazioni di lobbying a favore del governo filo-russo di Kiev.

C’è però una stranezza, rivela oggi il cronista del New York Times Jason Horowitz: quando i redattori vogliono chiedere le evidenze a sostegno di alcune affermazioni, secondo una pratica di accurato fact checking, non scrivono nè a Friedman né a Prodi stesso, ma a Glenn Selig, presidente della Selig Multimedia. Selig era uomo di Gates, di cui poi diventerà portavoce. Nel gennaio 2018 è stato ucciso a Kabul dove si trovava per un progetto di contrasto all’estremismo “per un’agenzia governativa”, scrive il New York Times. Perché il giornale si rivolge a un personaggio così equivoco per correggere l’articolo a firma Prodi? La portavoce dell’ex premier oggi non sa spiegarlo, ma ribadisce che il professore ha scritto quell’articolo sostenendo le stesse posizioni di sempre e senza essere coinvolto in alcuna cospirazione. Resta il fatto che intorno a quell’articolo si affaccendano ben due uomini della galassia di Manafort, Selig e Friedman, quest’ultimo lautamente pagato proprio per sostenere la causa filo-russa mobilitando politici di livello come Prodi. Quanto al convegno con Gusenbauer, la portavoce specifica che l’attività convegnistica del professore “all’estero è di norma pagata, mentre in Italia non accetta compensi, e i ricavi sono regolarmente riportati in dichiarazione dei redditi”. Sull’Ucraina, nei suoi interventi, Prodi ha sempre sostenuto una posizione moderata: Kiev deve conservare legami con l’Ue ma senza andare allo scontro con Mosca.