RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 19 OTTOBRE 2020

https://www.tempi.it/cade-lultimo-paletto-in-olanda-eutanasia-anche-per-i-bimbi-sotto-i-12-anni/

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

19 OTTOBRE 2020

 

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Uomini avidi troppo

nelle città d’onori,

O contesa,  flagello lampante

PINDARO, Odi e frammenti, Sansoni, 1961, pag. 480, Fr. 127

 

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SOMMARIO

Le iene braccano e cercano di divorare la bestia ferita
“È stata violata la Costituzione: ora la crisi sarà irreversibile”
La Francia “invade” il territorio italiano: così si prende il Monte Bianco
La nostra civiltà distrutta da una pandemia di asintomatici
Davvero?
Kodo, l’antica arte giapponese di suonare i tamburi tradizionali taiko
Di cosa parliamo quando parliamo di odio
Prof. Sinagra: “Contro l’Italia il peggiore strozzinaggio internazionale, è guerra”
Terrorismo mediatico e delatori di Stato: l’Italia orwelliana del “Grande Reset” è un incubo. Urge il risveglio
Libri: “Quale è lo scopo della lettura?”
Coronavirus, Nicolai Lilin: “Così hanno generato il terrore nel popolo”
Piero Angela, servizievole custode della non-cultura italica
Attento, cinque occhi ti… ascoltano
Ecco la smoking gun: la collusione Trump-Russia una bufala cucinata dalla Clinton
International Statement: End-To-End Encryption and Public Safety
Il governo olandese vuole estendere la legge sull’eutanasia ai bambini
Cade l’ultimo paletto, in Olanda eutanasia anche per i bimbi sotto i 12 anni
Dpcm farsa: Conte s’è accorto che esiste pure l’economia
Mes, Conte minaccia nuove tasse. Ma ecco quello che non torna
L’eurovirus passa all’incasso: Italia ko, ci portano via tutto
M5S contro la nomina di Padoan a presidente di Unicredit
LA RESPONSABILITÀ PENALE DEL DATORE DI LAVORO IN CASO DI CONTAGIO DA COVID-19
Salvate il soldato Italia
I giudici francesi indagano sulla pandemia e perquisiscono i ministri
Chi finanzia i BLM? Sorpresa…
Mellon Foundation Announces Quarter-Billion-Dollar Grant Commitment for “Monuments Project”
SIAMO VITTIME DI UN’EGEMONIA CULTURALE NEOLIBERISTA
Pura magia: la scienza diventa religione, negando la verità
“Petrolio” e i misteri d’Italia. Forte: “Carlo? Sì, sono io”

 

 

EDITORIALE

Le iene braccano e cercano di divorare la bestia ferita

Manlio Lo Presti – 19 ottobre 2020

https://it.newsner.com/animali/leone-fa-fatica-a-lottare-contro-20-iene-poi-arriva-suo-fratello-e-lo-salva/

La situazione italiana è condizionata storicamente e pesantemente dalla posizione geografica.

Lo hanno studiato ed egregiamente scritto alcuni autori da qualche anno, aprendo uno spiraglio interpretativo diverso rispetto alle vulgate prevalenti. Aggiungo, per inciso, che detti Autori sono stati pubblicati da una casa editrice piccola e coraggiosa. Non avrebbero avuta alcuna possibilità presso case editrici di maggiori dimensioni legate, peraltro, a filo doppio con le maggiori “catene” editoriali attuali.

Il nostro Paese ha subito condizionamenti sia mediante una vasta, continua e capillare opera di corruzione dei vertici politici ed economici nazionali sia mediante l’uso della via terroristica che i piani alti della politica hanno attuato dando ordine ai servizi segreti e a rinnovati UFFICI POLITICI di attivare le mafie e diversi pseudo-gruppi politici montati ad hoc per la bisogna, di sterminare la popolazione italiana con una sequenza infernale di attentati per fiaccarne sul nascere eventuali e legittimi propositi di ribellione.

Nessuno ad oggi, di nessun partito, giornale, web o televisione sta cercando di chiarire il perché sono stati liberati oltre 490 capibastone mafiosi eccellenti. Forse per compiere questi attentati pilotati?

C’è il covid1984, bellezza!!!!!

What else????

La pubblicistica prevalente e il posizionamento di ampie parti del potere giudiziario parlarono di “patto Stato-mafia” evidenziando che erano le mafie a controllare ampi pezzi dello Stato quando era completamente il contrario.

Diciamocela tutta: le mafie sono state uno strumento della politica per riciclare immense quantità di danaro rastrellato con il fiaccamento dell’economia interna, ad eccezione di zone del nord Italia che hanno legami commerciali strettissimi con la Germania e con il nord Europa e, quindi, non si toccano. Ufficialmente, le mafie avevano focalizzato in modo crescente le loro “attività” di copertura dal vero movente del riciclaggio nella commercializzazione di stupefacenti e, adesso di traffico di neo-schiavi ipocritamente chiamati “irregolari” da salvare perché provenienti da zone di guerra. Quindi, la Tunisia che non ha guerre perché ci spedisce migliaia di compatrioti che in molti affermano di provenire dalle loro prigioni?

L’Italia è una bella nazione ferita. Intorno ad essa aumenta il numero di sciacalli che ne tentano la spartizione economica e anche territoriale prima con lo spostamento di possesso delle acque al nord della Sardegna con un nascostissimo TRATTATO DI CAEN (1). Non si mai sopite le pressioni irredentistiche dei sud-tirolesi che, peraltro, hanno avuto in proporzione, finanziamenti maggiori a quelli devoluti al Sud! Non nuova la proposta poi rientrata per motivi strategici e per ordine degli angloamericani, di procedere ad una secessione del nord Italia con l’aiuto operativo dei servizi segreti austriaci e tedeschi. Non ancora risolta la questione della Sicilia, da sempre un importante punto di osservazione e di controllo dell’est Europa e per questo, molto appetita dagli USA.

TUTTO CIO PREMESSO

Riassumendo (come la famosa grappa), la situazione italiana è in sintesi la seguente:

  1. Il parlamento per intero, ripeto nella sua totalità, si è esautorato da solo devolvendo con apposita delega in bianco tutti i poteri operativi al governo Badoglio 2.0 che sta governando con una raffica ossessiva di cosiddetti DPCM che sono più realisticamente dei provvedimenti amministrativi di quarto livello giuridico. Il dpcm ha tuttavia il vantaggio che, una volta emesso, non è modificabile ma ha una scadenza che viene tuttavia elusa con una sequenza infinita di rinnovi intercalati da qualche approvazione di facciate del parlamento, per non far vedere il marcio di tutta questa orchestrazione;
  2. La posizione geopolitica della penisola è difficile quanto e forse di più di quella della Turchia in quanto si situa la centro del Mediterraneo da sempre appannaggio degli anglosassoni, con i francesi come ruota di scorta;
  3. La bomba immigratoria creata dalla filiera dell’accoglienza pelosa che ha prodotto 12.000.000.000 di euro di profitti (personaggi eminenti del c.d. MONDO DI MEZZO affermarono dalle intercettazioni delle loro conversazioni che il totale dei guadagni rivenienti dal giro degli immigrati ARZAVA PIU’ DAA COCAAAAAA;
  4. La crisi economica, volutamente in piedi da oltre 14 anni, sta distruggendo la struttura produttiva del Paese che deve esistere solo per pagare gli interessi del proprio debito pubblico alle banche nordeuropee che ne hanno sottoscritto somme importanti;
  5. Infine, la cosiddetta epidemia di un virus sul quale non abbiamo due virologi che dicono la stessa cosa. La pseudo recrudescenza dell’epidemia ha dimostrato la palese inutilità dei 450 costosissimi esperti (C.T.S.) DI CUI SI FA SCUDO QUESTO GOVERNO DI RICATTATI. Da notare che il ridetto C.T.S. è stato coordinato dal un super-pretoriano italiano da Londra e che non ha mai messo piede in Italia. Insomma, trattati come una delle colonie del Commonwealth e fra le più piccole;
  6. Il buonismo neomaccartista globalista ecologista con le treccine tenta di coprire le devastazioni commesse dalle multinazionali narrando che è la popolazione a distruggere un pianeta colonizzato da titanici imperi commerciali che hanno disboscato, raso al suolo e sterminato popolazioni amazzoniche. Ma la colpa è delle bottiglie in mare non dell’inquinamento causato dai ridetti colossi per oltre l’80% dei danni che vengono abilmente nascosti nelle narrazioni strappalacrime ecologiste “SOSTENBILI” facendo passare sottotraccia l’idea di un nuovo pauperismo planetario bello e giusto. Una decrescita felice: un ossimoro che trasuda ignobile ipocrisia.

P.Q.M.

Se facciamo una tara dell’85% di quanto gira sui media, rimane ben poco di veritiero.

Resta solo la speranza – sempre più concreta – di un collasso di queste derive iperfinanziarie che stanno imprigionando e condannando il pianeta ad una crescita zero permanente, anche a costo di centinaia di milioni di disoccupati e di prossimi espulsi dai cicli produttivi robotizzati.

Ad una ribellione delle masse ESSI risponderanno con una campagna di vaccinizzazione del pianeta per riportare la popolazione a numeri più gestibili.

Al resto ci penserà la megamacchina non localizzata che controlla le periferiche/robot che stanno allestendo lontano da occhi sospetti. Ora la chiamano “intelligenza artificiale”.

Ne riparleremo …

 

 

NOTE

https://www.secoloditalia.it/2019/09/l-governo-vuole-riprendere-il-trattato-di-caen-per-favorire-la-francia-la-denuncia-di-fazzolari-video/

 

 

 

 

IN EVIDENZA

“È stata violata la Costituzione: ora la crisi sarà irreversibile”

Il professor Giulio Tremonti non ha dubbi: il rischio più grande è la dissoluzione dello Stato a fronte di troppi ed eccessivi poteri lasciati alle Regioni

Non si placano le polemiche sugli effetti della nuova stretta varata dal governo, a meno di 24 ore dalle ultime misure anti Covid annunciate da Giuseppe Conte.

Tante le scelte che non convincono nell’ennesimo Dpcm pasticciato, a cominciare dalla suddivisione delle responsabilità tra governo centrale e amministrazioni locali e dalla possibile, conseguente, violazione della Costituzione.

Scendendo nel dettaglio, c’è chi considera l’inevitabile scontro che verrà a crearsi tra “centro” e “periferia” in materia di contenimento del virus come un possibile primo passo verso una crisi istituzionale irreversibile. Il rischio più grande, da questo punto di vista, è la dissoluzione dello Stato a fronte di troppi ed eccessivi poteri lasciati alle Regioni.

Ne è convinto il professor Giulio Tremonti che, intervistato dal quotidiano Il Tempo e in merito alle scelte di Palazzo Chigi, ha parlato esplicitamente di violazione della Costituzione. “Nella Costituzione c’è l’articolo 117, secondo comma, lettera Q“, ha spiegato l’ex ministro della Finanza.

Governo centrale e governi locali

Nell’articolo citato dal professore si legge che la profilassi internazionale è di competenza esclusiva nazionale. “Profilassi internazionale – ha aggiunto Tremonti – vuol dire sanità certo, ma anche luoghi ed esercizi pubblici, confini, ordine pubblico e competenza su tutti i mezzi per contrastare quelli che nel trattato dell’Unione Europea vengono con forza suggestiva chiamati flagelli internazionali“.

La pandemia di Covid può rientrare a tutti gli effetti nella categoria di flagelli internazionali. E dunque, nel Titolo V, è ben chiaro che “la competenza delle Regioni, nel caso sul diritto alla salute, è subordinata alla competenza dello Stato in casi come questo“. Eppure il premier Conte ha agito esattamente all’opposto, alimentando il rischio di una ipotetica “crisi e dissoluzione della Repubblica“.

Che cosa avrebbe dovuto fare Roma? Per Tremonti, lo Stato doveva subito “applicare la Costituzione“, esercitando i suoi doveri “di competenza esclusiva in materia“. “Il potere centrale poteva essere delegato caso per caso ai territori, ma non poteva e non doveva essere permesso che nel vacuum del potere centrale, questi se lo attribuissero di propria iniziativa“, ha ribadito l’ex ministro.

L’illusione dell’Europa

Per quanto riguarda l’azione dell’Unione europea, invece, Tremonti ha puntato il dito contro l’illusione creata da Bruxelles: “L’Europa si è autosospesa. Ha disapplicato il mercato permettendo gli aiuti di Stato, ha messo nel freezer i parametri di Maastri cht, incentiva anzi la formazione del debito pubblico con gli acquisti dei relativi titoli da parte della Bce“. E in Italia, questo incentivo, ha portato alla concessione di bonus a pioggia: per le bici, per i monopattini e via dicendo. Insomma, Tremonti ritiene che l’Europa abbia illuso il governo “sulla drammatica responsabilità del fare debito“.

In compenso l’Europa si è attivata sugli eurobond. “Ora arrivano, ed è molto bene – ha affermato ancora Tremonti- ma sono un meccanismo terribilmente complicato: si basano sul nuovo bilancio europeo, 2021-2027 e presuppongono le NRP, le nuove risorse proprie. Queste derivano da nuove imposte europee, pagate dagli europei, su plastica, carbone e web. Per le imposte europee serve l’unanimità, ed è molto improbabile. Si farà allora ricorso a maggiori contributi nazionali“. Considerando l’Italia, si tratta di una quarantina di miliardi. Dunque, calcolatrice alla mano, gli 80 miliardi a fondo perduto “diventano circa la metà“, da distribuire “su circa 5 o 6 anni“.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/stata-violata-costituzione-ora-crisi-sar-irreversibile-1897425.html

 

 

 

La Francia “invade” il territorio italiano: così si prende il Monte Bianco

Da un’interrogazione parlamentare del deputato Francesco Lollobrigida è emerso che la Francia ha annesso al suo territorio una piccola porzione delle Alpi. Pochi metri quadrati dove però sorgono importanti infrastrutture

Il Monte Bianco è la cima più alta d’Italia o della Francia? La sua punta è oggetto da anni di una controversia internazionale, al pari di alcuni altri territori circostanti i cui confini non sono mai stati del tutto accertati da ambo le parti.

Questioni che ora da Parigi, gradatamente, potrebbero aver iniziato a risolvere unilateralmente.

A partire dalla zona del rifugio Torino, situato nei pressi di Punta Helbronner. Il sito è importante per la Valle d’Aosta e per i comuni italiani dei circondario: qui arriva la funivia proveniente da Courmayeur, sotto il profilo logistico ed economico avere il rifugio Torino all’interno dei nostri confini appare quindi un fatto che va ben oltre la mera rivendicazione politica.

Secondo un accordo del 1860, al nostro Paese veniva lasciata la sovranità di Punta Helbronner, nonostante storicamente essa appartenesse alla conte della Savoia, passata alla Francia nell’ambito dei trattati risalenti all’unità d’Italia. Tuttavia, nel corso degli anni questa “appendice” a margine degli accordi di quasi 160 anni fa ai francesi non è mai andata a genio. E ora i comuni transalpini di Chamonix e St. Gervais hanno unilateralmente modificato i propri confini, facendo ricadere il rifugio Torino all’interno del territorio francese.

Ci si è resi conto di questa situazione nel giugno del 2019, quando le autorità transalpine hanno vietato l’atterraggio in parapendio in tutta la zona. A sottolinearlo è stato un articolo di Andrea Morigi su Libero, in cui si fa presente come i francesi riscuotano adesso tutti i proventi degli impianti di risalita e delle stazioni sciistiche della zona.

Il silenzio del governo

In poche parole, è stata fatta carta straccia degli accordi del 1860 e la Francia si è annessa un piccolo ma significativo pezzo di Val d’Aosta. Ma il fatto non ha suscitato scandalo, né è stato ripreso a livello mediatico. L’attenzione su quanto è avvenuto nei pressi del Monte Bianco è arrivata in parlamento soltanto dopo un’interrogazione presentata dal deputato di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida.

Nel documento, in particolare, è stato chiesto al presidente del consiglio e al ministro degli Esteri in che modo si stava affrontando la vicende “per conoscere quali iniziative intendessero intraprendere per tutelare l’interesse nazionale e la sovranità dello Stato italiano nelle aree del Monte Bianco – si legge nell’interrogazione – per supportare le istituzioni territoriali coinvolte nella gestione dei problemi amministrativi ed economici relativi alle attività turistiche, sportive ed alpinistiche che si svolgono in quelle zone nevralgiche per l’accesso al massiccio e alla vetta del Monte Bianco; per giungere alla definitiva risoluzione di un contenzioso diplomatico che si trascina ormai da oltre 70 anni, durante i quali l’Italia ha sempre subito le iniziative unilaterali ed arbitrarie delle autorità francesi”.

A questa interrogazione è stata data risposta lo scorso 12 ottobre. A rispondere, a nome dell’esecutivo, è stato il sottosegretario Ivan Scalfarotto: “Il governo tramite l’ambasciata a Parigi ha subito proceduto – si legge nella risposta – a rappresentare formalmente e con fermezza alle autorità francesi, la tradizionale posizione italiana riguardo ai confini”.

La nota presentata al governo francese partiva proprio dalla base dell’accordo del 1860, confermando da parte l’italiana la posizione secondo cui il rifugio Torino è all’interno del nostro territorio. Da Parigi hanno però risposto, come sottolineato ancora da Andrea Morigi, che quell’intesa del 1860 non rappresenta ad oggi una base giuridica di rilievo e che i provvedimenti dei comuni francesi si inseriscono nel contesto di una disputa internazionale non ancora risolta.

Come dire che, mentre la disputa non trova soluzione, nel frattempo quei comuni possono pure tenersi il rifugio Torino e i soldi proventi delle attività della zona. La protesta di Roma non sembra essere stata presa in considerazione. E dal governo poi, a parte la risposta data al deputato Lollobrigida, non sono state poste azioni di rilievo. La questione forse viene considerata marginale e nei rapporti con la Francia l’attuale esecutivo non vuole far pesare l’annessione de facto di parte del nostro territorio.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/francia-si-prende-parte-monte-bianco-e-governo-sta-silenzio-1897244.html

 

La nostra civiltà distrutta da una pandemia di asintomatici

Siete pronti? Stasera i media di regime vi comunicheranno con toni apocalittici un numero elevatissimo di nuovi contagi. Ovviamente ometteranno di dirvi che il 95% di questi sono asintomatici o paucisintomatici che, in altri tempi, non avrebbero destato alcuna preoccupazione. Ma le pecore impaurite si uniranno al coro degli allarmisti e dei catastrofisti, che stanno distruggendo un’economia e una democrazia in modo irreparabile. Lo so che è l’effetto della suggestione che si propaga nelle masse e che la manipolazione mediatica è molto potente, ma ormai non ho più compassione di queste pecorelle ottuse che stanno contribuendo alla fine della civiltà e si illudono pure di avere una superiorità morale. Ognuno di noi che non manifesta il proprio dissenso, ciascuno a seconda delle proprie possibilità e modalità, davanti al disegno criminale in corso, dovrà sentirsi responsabile di quanto accadrà. Sarà complice delle migliaia di fallimenti aziendali, della scomparsa del ceto medio, della disoccupazione ai massimi storici, dei giovani senza istruzione, del passaggio dalle relazioni umane a quelle con le macchine, della fine della democrazia e della cinesizzazione della nostra società. La protesta è contagiosa, deve diventare un sentimento condiviso e virale.

“Mascherina obbligatoria anche per chi fa attività motoria all’aperto”. Questa norma è aberrante, lesiva della dignità dell’essere umano e della sua salute. Quella attuale non è una dittatura sanitaria, perché non è orientata alla preservazione Ilaria Bifarinidella salute dei cittadini, ma è una dittatura omicida, che vuole l’annullamento dell’essere umano. Disobbedire a certe regole folli e assassine è ormai nostro dovere. Faremo milioni di ricorsi e manifesteremo esplicitamente il nostro disappunto alle forze dell’ordine che si umilieranno ad applicare le sanzioni. Ormai quando esco di casa – senza mascherina, perché non voglio ammalarmi respirando un mix di germi, polvere e anidride carbonica – mi sembra di essere circondata da zombie, gente imbavagliata fino agli occhi. Aspetto divertita il momento in cui uno di loro abbia da ridire. Ma sono generalmente dei codardi, come dimostra la loro accondiscendenza ad accettare regole non solo inutili, ma anche dannose, nonché lesive della loro dignità.

Chiudere tutte le attività alle 22, come preannunciato, vuol dire solo maggiore concentrazione di clientela e assembramenti, mentre migliaia di imprese sono destinate a fallire. Oltre il danno la beffa. Vediamo se la fame e la miseria riusciranno a svegliare un popolo di pecore dormienti. Crisanti: “Possibile lockdown a Natale”. Come fanno a non rendersi conto degli effetti catastrofici del solo affermare una simile previsione? Abbiamo già perso 17 miliardi di turismo, alberghi che non hanno mai riaperto, ora siamo al colpo di grazia definitivo. Chi pagherà i costi del protagonismo di certi virologi, del terrorismo alimentato dai media e di una politica nel migliore dei casi inadeguata? Ovviamente i cittadini, i giovani, coloro che perderanno lavoro e non lo troveranno più, con un’economia reale ormai desertificata. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe bastata una pandemia di asintomatici a distruggere la civiltà occidentale e la cultura democratica? I terroristi islamici al pari sono dei dilettanti.

(Ilaria Bifarini, estratti da singoli post sulla pagina Facebook della Bifarini, economista e saggista).

FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/la-nostra-civilta-distrutta-da-una-pandemia-di-asintomatici/

 

 

Davvero?

Alessandro Bertirotti – 16 ottobre 2020

Tutta questione di… trasparenza.

Affronto un tema sconfortante e ripugnante al tempo stesso. E non parlo di zio Covid-19, che fa il suo corso, secondo le dinamiche che appartengono a tutti i virus presenti sulla terra, che hanno sempre una funzione, anche quando non lo comprendiamo nell’immediato. Si tratta di attendere che le cose scorrano, perché non possiamo essere più veloci del tempo.

Ecco la notizia.

Ci dicono che non vi sono soldi, ossia che devono decidere ai piani alti mondiali come, quando, perché e quanti stamparne, per i giochi dei soliti noti e pochi finanzieri che governano il mondo. Sono loro che tirano i fili dei loro burattini, iscritti a libro paga: i politici, i quali devono, per potere sopravvivere, oltre le loro possibilità, capacità ed abilità cognitive (subliminali, peraltro…), eseguire gli ordini che vengono impartiti. Ne abbiamo avuto esempi meravigliosi, da Prodi a Monti, ed ora abbiamo ciò che ci meritiamo, con un reale balzo in avanti verso il peggioramento.

Per tornare alla notizia: ecco, i soldi ci sarebbero, se facessimo davvero pagare coloro che dovrebbero farlo, ma il livello di collusione e corruzione è tale che questo non accade.

Perché?

Molto probabilmente esistono interessi economici, speculativi e quindi antisociali a tale livello di raffinatezza finanziaria che è bene continuare ad assoggettare il benessere delle persone in tutti i modi possibili, direttamente o indirettamente. Parliamo di un risparmio fiscale di oltre 46 miliardi di euro e la situazione causata da zio Covid-19 ha ovviamente agevolato, ulteriormente, questi guadagni. Quindi, siamo di fronte allo stesso secolare dilemma: facciamo girare l’economia con le regole giuste per tutti, vincitori e vinti, oppure la facciamo girare con regole scritte ma non rispettate, per dare alle persone quello che vogliono? Abbiamo alternative, ossia sappiamo come sostituire questi colossi nella gestione di quello che il popolo vuole?

Ma cosa vogliamo?

Stare a casuccia, e ricevere con comodità quello che ordiniamo in internet, senza nessuna fatica e dispendio di energie e di tempo. E con scarse o nulle motivazioni.

E, in questo dilemma, nessuno dei politici mondiali vuole mettere mano alla faccenda, perché qualcuno (forse proprio questi colossi?) paga le loro campagne elettorali, i loro benefit e chissà cosa altro ancora.

Non lamentiamoci dunque, perché ciò che la Natura propone, l’Uomo lo dispone politicamente, ossia economicamente. E mi sembra che se le cose, specialmente in Italia, andranno peggio sapremo perché e persino grazie a chi.

FONTE: https://blog.ilgiornale.it/bertirotti/2020/10/16/davvero/?_ga=2.73751250.1352975558.1603054622-1408080958.1585125165

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Kodo, l’antica arte giapponese di suonare i tamburi tradizionali taiko

 

Kodō è un gruppo giapponese impegnato a conservare l’arte di suonare tamburi tradizionali come l’o-daiko. I suoi membri vengono formati sull’isola di Sado e girano il mondo in tournée.

Kodō sono un folto gruppo di giovani uomini e donne (la comunità più famosa è quella degli Ondekoza) che imparano a percuotere i famosi tamburi della tradizione nipponica, i taiko. Prima di lasciare il Giappone per intraprendere tournée in tutto il mondo, come il One Earth tour 2018: evolution che fa tappa anche in Italia, a Roma e Milano, essi conducono una vita spartana e permeata di religiosità, in perfetta armonia con la natura selvaggia della piccola isola di Sado dove trascorrono molti mesi dell’anno in un ritiro fatto di estenuanti esercizi fisici, yogameditazione e studio della musica tradizionale.

VIDEO QUI: https://youtu.be/ErLOIL_G_X0

 

I taiko, gli antichi tamburi giapponesi come l’o-daiko

In Giappone, l’o-daiko è il re dei tamburi, il più grande, il più venerato. Dal 1609 li produce un’antica società di Kanazawa, la Asano Daiko, da quando cioè gli antenati degli attuali proprietari li realizzavano per i samurai. Per la sua costruzione vengono utilizzati tronchi del bigunga, un albero che cresce in Camerun e che possiede le caratteristiche richieste dagli abili mastri tamburai giapponesi.

Un’arte difficile e complessa che si tramanda di generazione in generazione e implica una lavorazione manuale con la sola ascia, faticosissima e di grande pazienza. Occorrono almeno due lunghi anni per realizzare un o-daiko. Ma alla fine il suo suono è perfetto come il battito del cuore, con le sue accelerazioni, sussulti e rallentamenti. Si dice che ricordi il battito del cuore della madre come un neonato lo sente stando nel suo grembo. Ci sono poi anche i miyadaikos, tamburi di media grandezza, il piccolo shime-daiko e infine il gojinjo-daiko da tenere sospeso alla cintola.

Kodō tamburo taiko spettacolo
Il gruppo Kodō esegue un pezzo dal nome “Yatai-bayashi” con tamburi taiko, nel 2007 © Wikimedia

Kodō, chi sono i percussionisti giapponesi dell’isola di Sado

Per poter percuotere le grandi pelli tese dell’o-daiko, che può raggiungere i due metri e mezzo di diametro e un peso di 400 chili, i membri del gruppo Kodō devono conservare corpi perfetti e soprattutto la forma necessaria a battere per ore lo strumento durante gli allenamenti e le esibizioni.

Dopo quattro anni di intenso studio i Kodō diventeranno veri e propri maestri della percussione, come i tamburi taiko, e di altri strumenti musicali della tradizione giapponese. Solo allora lasceranno l’isola di Sado per intraprendere tournée mondiali e far conoscere il potere espressivo dei loro tamburi. Il lavoro dei Kodō consiste anche nella ricerca sul campo. Come etnomusicologi, viaggiano spesso nei villaggi giapponesi alla ricerca di tradizioni dimenticate, raccolgono testimonianze orali e materiali, registrano rituali sopravvissuti alla civiltà robotizzata del Giappone industrializzato. Esperienze che poi riporteranno nelle loro incredibili performance in cui musica, teatro e danza fanno rivivere frammenti del Giappone antico.

di Maurizio Torretti

FONTE: https://www.lifegate.it/kodo_l_antica_arte_nipponica_di_suonare_il_tamburo

 

 

 

ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME

Di cosa parliamo quando parliamo di odio

Spesso si sente parlare di haters e di hate speech. Ma di cosa si tratta esattamente?

Mentre in Europa, memori del periodo dei totalitarismi che si erano affermati mediante una propaganda di odio verso quelle che venivano definite “razze inferiori”, nel dopoguerra si è optato per disciplinare questo genere di espressioni attraverso delle leggi che andassero a colpire tali comportamenti, in America, seguendo l’idea dei diritti fondamentali quali libertà negative nei rapporti Stato-cittadino, hanno ritenuto inconciliabile con i loro valori l’idea di andare a limitare o addirittura reprimere le opinioni delle persone.

Un passo avanti si è avuto ad opera delle Nazioni Unite, il cui trattato del 1976 – Patto Internazionale sui diritti civili e politici – afferma solennemente all’art. 20 c.2 “Qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisce incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge”.

Anche nel contesto europeo le dichiarazioni solenni hanno lo stesso ideale di fondo: l’art. 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) – rubricato Divieto di discriminazione – tratta «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra».
Non ultima la raccomandazione del Consiglio d’Europa, datata 30 ottobre 1997, secondo la quale: «Il termine -discorso d’odio-, o hate speech,  deve essere inteso come comprensivo di tutte le forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio basate sull’intolleranza, tra cui: intolleranza espressa da nazionalismo aggressivo ed etnocentrismo, discriminazione e ostilità contro le minoranze, i migranti e le persone di origine immigrata».

Nel terzo millennio, con la globalizzazione e l’avvento dei social network, si può affermare che l’odio non è più soltanto connesso ai concetti di razza, religione e politica, ma anche ad altri ambiti, come quelli degli animalisti o dei No Vax, ragion per cui il controllo di questo fenomeno diffuso è divenuto più complesso.

Oggi l’hate speech – o discorso d’odio – non è oggetto di una descrizione universalmente condivisa. Una delle opinioni più apprezzabili in dottrina lo definisce come “discorso finalizzato a promuovere odio nei confronti di certi individui o gruppi, impiegando epiteti che denotano disprezzo nei confronti di quel gruppo a causa della sua connotazione razziale, etnica, religiosa, culturale o di genere”.

Si tratta di una nuova forma di manifestazione di un fenomeno che tende a sottolineare la diversità con l’altro e, come approfondito dal filosofo Emmanuel Lévinas, tutto ciò porta ad alimentare i pregiudizi, consolidare gli stereotipi e conseguentemente l’ostilità, fino a identificare l’altro come “radicalmente diverso”.

Il problema è chiaramente l’uso dell’odio, il modo in cui viene veicolato, la scelta, o per taluni il rischio, di utilizzarlo per potersi affermare sull’altro, sul diverso. L’idea del hate speech come strumento per rinforzare le proprie idee e screditare quelle altrui.

È sotto gli occhi di tutti che l’affermazione di internet e, soprattutto, dei social network abbia determinato un’accentuazione – quantomeno dal punto di vista quantitativo – delle forme di intolleranza.

Le piattaforme digitali dove chiunque può, celandosi attraverso l’anonimato, esternare il proprio pensiero ad una platea infinita di persone unito alla possibilità che queste affermazioni permangano in rete, fanno si che il fenomeno dell’hate speech assuma una centralità nel dibattito giuridico attuale, perlomeno italiano, in merito a possibili strumenti, penali civili o amministrativi, per verificare ed eventualmente rimuovere affermazioni che ledono l’uguaglianza e la dignità umana.

FONTE: https://www.infosec.news/2020/10/17/news/campanello-di-allarme/di-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-odio/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Prof. Sinagra: “Contro l’Italia il peggiore strozzinaggio internazionale, è guerra”

Prof. Augusto Sinagra – È guerra! L’unità d’Italia fu una finzione e una strumentalizzazione voluta da quelle che successivamente vennero chiamate le “demomassoplutocrazie” occidentali. In particolare la Gran Bretagna e la Francia. Lo scopo era quello di eliminare il Regno dei Borboni (sollecitando le ambizioni dei Savoia), non lo Stato pontificio, che fu un obiettivo successivo e che ebbe altre ragioni e motivi causativi più interni che esterni.

Non è serio pensare che uno degli Stati economicamente, industrialmente più avanzati in Europa, militarmente più forti e con la più potente flotta militare e commerciale, parlo del Regno delle due Sicilie, sia stato sconfitto da poche centinaia di sciamannati agli ordini di un avventuriero nizzardo e di un riconosciuto criminale (a Bronte ancora lo ricordano questo bieco assassino). Si voleva una Italietta debole e sottomessa. Poi la “grande guerra” e il Fascismo fecero “saltare il tavolo” e l’Italia fu grande. Questo era intollerabile per gli interessi degli usurai internazionali al di qua e al di là dell’oceano. E fu ancora guerra mondiale.

Ora si riprova ancora, non più con le armi ma con il denaro ed il peggiore strozzinaggio internazionale (a parte i “cugini” francesi che vorrebbero impossessarsi di gran parte del Mar Ligure e che già si sono impossessati di parte del Monte Bianco che è interamente italiano). È inutile che dica in quali condizioni si trova la Nazione. Lo sappiamo tutti, ma non basta ancora: non solo deve scomparire l’Italia fino a ridursi veramente ad una semplice “espressione geografica”, deve scomparire il Popolo italiano con la voluta invasione di genti africane e asiatiche.

Il nemico è all’esterno. All’interno vi sono ignobili esecutori di un progetto antico, di un tentativo più volte ripetuto di annichilimento dell’Italia e degli Italiani. Lo “strumento” nuovo (in realtà già da tempo ideato e predisposto) è l’emergenza per una epidemia ormai fortunatamente esauritasi sotto la soglia della “emergenzialità”. Siamo in guerra! Sapremo difenderci? Sapremo difendere il nostro futuro? I militari che già presidiano i “palazzi” dove i nemici e traditori interni si sono rintanati terrorizzati per le possibili reazioni alle nefandezze da loro stessi commesse, rivolgeranno gli animi e le armi contro quel Popolo che essi sono chiamati a difendere? Le risposte a queste domande diranno quale sarà il futuro dei nostri figli. E che Dio ci protegga.

FONTE: https://stopcensura.org/prof-sinagra-contro-litalia-il-peggiore-strozzinaggio-internazionale-e-guerra/

 

 

 

Terrorismo mediatico e delatori di Stato: l’Italia orwelliana del “Grande Reset” è un incubo. Urge il risveglio

Cristiano Puglisi –  16 ottobre 2020

L’ultimo baluardo, l’intimità della casa e della famiglia, è caduto. Con l’ennesimo DPCM, promulgato a guisa di editto reale all’inizio di questa settimana, con la consueta incursione mediatica serale, il Governo Conte ha deciso di entrare definitivamente nella vita privata dei cittadini italiani come forse mai, neppure con autocertificazioni e “congiunti”, aveva osato fare in precedenza. Il nuovo decreto varato, così è stato detto, per la lotta al Coronavirus, oltre a trasformare nuovamente “l’aula sorda e grigia” del Parlamento in un “bivacco di manipoli” dediti all’ossequioso e silenzioso servizio dei sacerdoti del Comitato Tecnico Scientifico, e a imporre un tetto massimo al numero delle persone che, per ogni famiglia, è consentito ospitare sotto il proprio tetto, ha ventilato la possibilità di un controllo anti-contagio da eseguire manu militari all’interno delle abitazioni private.

E a nulla servono le consuete e false rassicurazioni del premier pugliese (“Non manderemo la polizia a casa, ma serve responsabilità”), se bisogna dare credito alle indiscrezioni pubblicate da Il Riformista (e, d’altro canto, trattandosi di uno dei pochi giornali seri rimasti, non c’è motivo di non farlo), secondo cui sarebbe stato solo un documento firmato dal capo della Polizia, Franco Gabrielli, a bloccare in extremis la richiesta anticostituzionale dell’esecutivo di disporre controlli a domicilio del rispetto del limite di sei persone per le cene tra amici e famigliari… ‘‘La meraviglia di certi paradossi”ha riportato il quotidiano, è che sia “stata la polizia (…) a evitare che l’Italia diventasse uno stato di polizia, dove uomini in divisa possono entrare a qualunque ora nelle abitazioni private per verificare il numero di quanti siedono intorno a un tavolo o davanti a una tv per vedere una partita della Champions’‘.

Paradosso dei paradossi è che sia stato un tecnico, in questo caso, a rappresentare l’ultimo argine a tutela del popolo in un Paese in cui l’esecutivo politico è (come è ormai palese evidenza per chiunque sia minimamente dotato di senso critico e ragionevolezza), come in molti altri Paesi dell’Occidente sedicente “democratico”, completamente asservito alle direttive di un potere medico-tecnocratico totalmente fuori controllo e rispondente esclusivamente alle direttive di oscuri disegni sovranazionali dalle venature oligarchiche e totalitarie.

È questa l’Italia del Coronavirus, la pandemia che, secondo i disegni pacificamente ammessi dalle élite globaliste ben rappresentate da entità come il World Economic Forum o l’OMS, deve essere cavalcata per far entrare il mondo nel “Grande Reset” del sistema capitalista. Un “Grande Reset” dove la retorica a favore della sostenibilità cela l’incubo del repentino impoverimento della popolazione mondiale, della scomparsa della classe media, soprattutto quella dei produttori indipendenti, diluita nelle masse dei diseredati dipendenti dall’elemosina di stato o degli schiavi a contratto con stipendi conferiti alternativamente dalle grandi multinazionali che reggono le fila della partita o dagli enti pubblici che ne sono ormai diventati espressione.

Questa è l’Italia asservita a quello che la letteratura complottista definisce Nuovo Ordine Mondiale, ma che in realtà non è nulla di segreto, trattandosi del più che palese approdo finale di una lotta (combattuta naturalmente ad armi impari, attraverso il condizionamento della politica) della cosiddetta “superclass” contro il restante 99% dell’umanità, avente come finalità l’ulteriore spoliazione di ogni residuo diritto sociale di quest’ultimo. E così non importa se, rispetto alla fase iniziale della pandemia, i tamponi siano incrementati, e non importa se il 90% dei contagiati sia asintomatico. Non importa se, come dice l’ex vicedirettore OMS Perronne, i test eseguiti oggi ad ampio raggio “danno moltissimi casi di falsi positivi“, perché “i tamponi nel naso contengono un enzima che amplifica milioni di volte tracce anche infinitesimali di RNA del virus (…) e così gente sana che non è contagiosa risulta positiva”. E non importa se, per questo, sono registrati come deceduti per Covid anche i morti (soprattutto molto anziani) per altri fattori di co-morbidità. Non importa se un virologo come il professor Giulio Tarro, premettendo a sua volta la “fallacia dei tamponi” dichiari apertamente che “l’epidemia è finita a maggio” e che “sul Covid vengono diffusi solo dati aggregati quali ‘decessi’, ‘contagiati’, ‘guariti’… senza che sia possibile conoscere la loro storia clinica”, spiegando altresì come vengano avanzati “provvedimenti disciplinari con i quali si tenta di silenziare i tanti dipendenti ospedalieri che osano dichiarare qualcosa di difforme dalla Verità Ufficiale”.

Non importa perché i principali alleati dei carcerieri, in questa nazione vigliacca (pardon, “moderata”) per tradizione, sono i carcerati stessi. E, in modo peculiare, quelli che con un azzeccato neologismo di fresca coniatura, sono stati definiti “covidioti“, cioè la plastica rappresentazione di una popolazione instupidita e rassegnata, indottrinata da mesi di tele-rincoglionimento a suon di chiacchiere su mascherine, distanze, sanificazioni. Una platea di varia subumanità pronta a trasformarsi in un esercito di kapò e delatori di Stato, gli stessi sul cui supporto confida l’inascoltabile ministro Speranza (la sua scelta per il dicastero della Salute, considerato il cognome, sembra oggi uno scherzo di cattivo gusto, quasi un contrappasso dantesco per punire la stupidità del bestiame umano amministrato): si va dall’imbecille che, la scorsa estate, faceva il bagno in mascherina, a quello che addita dal balcone runner e ciclisti come “untori”. Dalla mammina paranoica che guarda in cagnesco i suoi vicini al supermercato all’osservatore di lavori in corso convertitosi in segnalatore di feste private.

Nel mentre nessuno, a parte i pochi dotati ancora di senso critico, sembra accorgersi di come si stia, progressivamente ma inesorabilmente, abituando gli italiani a questo stato di perenne emergenza, togliendo loro la socialità, riducendoli ad atomi di umanità funzionali a un sistema tirannico, iniquo e, in fondo, sadicamente diabolico. Sì, diabolico. Perché non c’è altro termine per descrivere propositi scellerati, come quello di rinchiudere gli italiani in casa (dopo un anno allucinante) durante le feste per tradizione legate agli affetti, quelle natalizie, come suggerito dal cupo virologo Crisanti, al quale andrebbe ricordata l’impennata di disagio psicologico seguita al primo lockdown.  In molti, in questi giorni, hanno citato al proposito un passo di 1984, il capolavoro distopico di George Orwell: “All’infuori del lavoro tutto era vietato, camminare per strada, distrarsi, cantare, ballare, riunirsi…“. Non è un’esagerazione. Questa è l’Italia che vogliono, il mondo che bramano le élite di cui l’esecutivo Conte è chiara emanazione. E, dopotutto, cos’è il “Grande Reset” se non una crasi tra la decrescita (in)felice e digitalizzata per anni sollecitata dal Movimento Cinque Stelle e la società “uberizzata” di aspiranti globetrotter precari propinata da tempo dal Partito Democratico? Un mondo, cioè, formato da una massa di straccioni dipendenti dall’elemosina del potere, costretti a lavorare come schiavi per una miseria, senza prospettive e perennemente spaventati e tormentati. Ma, altresì, dotati di monopattini elettrici e istruiti alla raccolta differenziata e al multiculturalismo. Senza ovviamente dimenticare la museruola… pardon, mascherina d’ordinanza.

A fronte di questa situazione è bene che si dica la verità, quantomeno a quei pochi che sono in grado di comprenderla. Bisogna mollare le velleità da rivoluzionari da gazebo. Seppellire le speranze da ribelli da tastiera. Non vi è alcuna salvezza nella politica istituzionale e certamente non in quei partiti i cui amministratori locali per primi, la scorsa primavera, hanno giocato a fare gli sceriffi sulla pelle dei loro cittadini e che ora, per mero calcolo, si posizionano sulla barricata della libertà. Quella non è un’opposizione, ma semplice finzione scenica. Teatrino della politica.

Il potere, quello vero, quello che da centrali sovranazionali come l’OMS impone la linea a tutto il mondo, è altro. E non è scalfibile. Controlla i media che ogni giorno “danno i numeri” per atterrire e spaventare, penetrando senza difficoltà le menti più deboli. Controlla la sanità, i medici cooptati dal sistema. Controlla i gusti, le passioni, i rapporti di ogni persona attraverso gli algoritmi dei giganti del web. Sconfiggerlo, a viso aperto, non è difficile, ma impossibile. Combatterlo è inutile.

Bisogna scendere a patti con una realtà cruda e brutale. Sulla bella Italia (e sicuramente sull’intero emisfero occidentale) è ormai calata la notte. L’unica luce che ciascuno può accendere, in questa tenebra avvolgente, è quella interiore. L’unica rivoluzione che si può compiere è quella delle coscienze. Leggere, studiare, capire. Emanciparsi.

Questa e solo questa è la via per sperare in un risveglio collettivo. L’alba di una nuova era, che può partire solo ed esclusivamente da una cittadinanza diversa. Una cittadinanza che torni a essere critica e consapevole del sistema in cui vive. Una cittadinanza che torni a essere comunitaria, che torni a essere popolo. Prima che questo accada, nulla sarà possibile. Perché questo accada il tempo richiesto potrebbe essere lungo, lunghissimo. O forse no.

Dipende da tutti. Sì, forse anche da te, che stai leggendo queste righe. Apri gli occhi. Ora è notte fonda, ma tornerà il mattino.

FONTE: https://blog.ilgiornale.it/puglisi/2020/10/16/terrorismo-mediatico-e-delatori-di-stato-litalia-orwelliana-del-grande-reset-e-un-incubo-urge-il-risveglio/

 

 

 

CULTURA

Libri: “Quale è lo scopo della lettura?”

ByMarco Fumarola

6 LUGLIO 2020

“Ho letto moltissimi libri, ma ho dimenticato la maggior parte di essi. Ma allora qual è lo scopo della lettura?”Fu questa la domanda che un allievo una volta fece al suo Maestro.Il Maestro in quel momento non rispose. Dopo qualche giorno, però, mentre lui e il giovane allievo se ne stavano seduti vicino ad un fiume, egli disse di avere sete e chiese al ragazzo di prendergli dell’acqua usando un vecchio setaccio tutto sporco che era lì in terra.

L’allievo trasalì, poiché sapeva che era una richiesta senza alcuna logica.

Tuttavia, non poteva contraddire il proprio Maestro e, preso il setaccio, iniziò a compiere questo assurdo compito. Ogni volta che immergeva il setaccio nel fiume per tirarne su dell’acqua da portare al suo Maestro, non riusciva a fare nemmeno un passo verso di lui che già nel setaccio non ne rimaneva neanche una goccia.

Provò e riprovò decine di volte ma, per quanto cercasse di correre più veloce dalla riva fino al proprio Maestro, l’acqua continuava a passare in mezzo a tutti i fori del setaccio e si perdeva lungo il tragitto.

Stremato, si sedette accanto al Maestro e disse: “Non riesco a prendere l’acqua con quel setaccio. Perdonatemi Maestro, è impossibile e io ho fallito nel mio compito”

“No – rispose il vecchio sorridendo – tu non hai fallito. Guarda il setaccio, adesso è come nuovo. L’acqua, filtrando dai suoi buchi lo ha ripulito”

“Quando leggi dei libri – continuò il vecchio Maestro – tu sei come il setaccio ed essi sono come l’acqua del fiume”

“Non importa se non riesci a trattenere nella tua memoria tutta l’acqua che essi fanno scorrere in te, poiché i libri comunque, con le loro idee, le emozioni, i sentimenti, la conoscenza, la verità che vi troverai tra le pagine, puliranno la tua mente e il tuo spirito, e ti renderanno una persona migliore e rinnovata. Questo è lo scopo della lettura”.

Buona lettura a tutti… 

FONTE:

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Coronavirus, Nicolai Lilin: “Così hanno generato il terrore nel popolo”

La libertà, la democrazia e la famiglia: ecco cosa deve essere difeso oggi. Nicolai Lilin spiega la differenza tra paura e terrore e lancia un’accusa all’attuale gestione dell’emergenza Covid

Un canto della criminalità russa suona più o meno così. “Siamo tutti figli della stessa strada. Forse – continua – troppo presto abbiamo imparato a stare in piedi ed essere uomini. Se sei uno come noi, sei sempre il benvenuto – è l’avvertimento – ma se sei qui per dettare le tue regole, non ti offendere, ti faremo male”.

Nicolai Lilin lo riporta all’inizio del suo libro, Putin – L’ultimo zar (Piemme). E il senso di quei versi pervadono anche la sua visione (dura) di questo ultimo anno che ha stravolto le nostre vite. “Quando una situazione esce fuori dai propri binari, dilaga e invade altri binari, è molto difficile capirne il senso. Così è successo con il coronavirus”. Sopra di lui, nel suo studio, tra i sui disegni per i tatuaggi c’è un’incona dorata: raffigura una Madonna che impugna due pistole. Il suo sguardo è severo e guarda i fedeli con fermezza.

Ci stiamo preparando ad affrontare la seconda ondata. Come è cambiata la nostra società?

“Io, da cittadino, non riesco a capire il senso dell’azione del governo…”.

Cioè?

“Per me è complicato comprendere le misure del governo. Sono uno che paga le tasse e non capisco come vengano impiegate le risorse del nostro Paese per affrontare questa emergenza.”

C’è il governo sul banco degli imputati?

“Lo critico per la mancata azione, il mancato approfondimento e soprattutto il mancato aiuto alla cittadinanza. Ho uno zio armatore che possiede un’azienda di trasporti marittimi a New York e che dallo Stato americano riceve un’enorme quantità di denaro. Denaro che poi va anche ai suoi dipendenti. In Italia non vengono fatti interventi di questo tipo. E questo mi preoccupa. Anche perché non paghiamo poche tasse…”

Dando molto, si aspetta molto… è corretto?

“Questa emergenza va affrontata aiutando economicamente le persone più penalizzate. Poi, se c’è la necessità di chiudere tutto, il governo deve far capire ai cittadini quali sono i pericoli e perché intende farlo.”

Oltre all’aumento dei contagi, c’è un problema sanitario: non bastano i posti letto in terapia intensiva. Che altro di potrebbe fare?

“Diversi anni fa, a margine di una trasmissione di Michele Santoro durante la quale si parlava dell’acquisto degli F35, un politico di sinistra mi aveva confidato che aveva promosso la riduzione dei fondi al sistema sanitario perché lo reputava obsoleto, inutile e dannoso. Si era addirittura vantato di aver tolto al sistema sanitario nazionale una grande quantità di soldi. Oggi paghiamo gli effetti di una politica del genere. Ed è su questo che governo dovrebbe concentrarsi anziché varare restrizioni liberticide.”

Perché lo fanno?

“Per loro è molto più facile privare le persone della libertà dicendo ‘chiudiamo tutti in casa’. Così si pulsicono la coscienza. Ma non è così che si costruisce una società libera.”

Il coronavirus ci ha fatto ricordare cos’è la paura?

“Lei mi parla di paura… io ho visto cinque conflitti…”

Cosa le fa paura?

“Ho paura solo per le mie figlie e per le persone che amo. Fisicamente non ho paura di niente… solo per le mie figlie.”

Torniamo al coronavirus…

“È arrivato in un momento cui la società occidentale non vive più alcun tipo di esperienza estrema. Non ci sono più guerre. L’ultima genereazione che ne ha fatta una è quella dei vostri nonni. Non avete memorie così gravi.”

In Russia è diverso?

“Ricordo bene quando la gente si ammazzava per strada. E ricordo quando a dodici anni sfilavo le armi dai cadaveri o bruciavo i carriarmati… queste cose le facevo durante la guerra civile del 1942. E non sono l’unico. È per questo che molte persone che arrivano dall’Est guardano diversamernte a certi eventi.”

Il coronavirus non vi spaventa?

“Al limite si finisce in ospedale… e se ti va proprio male muori. Sicuramente non siamo persone che si agitano e vanno nel panico. Per questo mi è difficile capire certe affermazioni di politici che dipingono la situazione come apocalittica. Il problema oggi non è proprio la paura.”

La paura?

“La paura è un meccanismo normale del nostro corpo, della nostra psiche, della nostra coscienza. Serve per difenderci dai pericoli del mondo esterno. Adesso, però, la paura è stata abilmente sfruttata e trasformata in terrore da chi vuole condizionarci.

Che differenza c’è?

“A differenza della paura il terrore è pericoloso perché è cieco. Il terrore è sempre affamato ed è distruttivo: non ti fa ragionare e non ti lascia spazio perché ti brucia l’animo. Oggi siamo terrorizzati dalle notizie e dalle azioni del nostro governo.”

In situazioni normali il corpo di un morto viene tumulato. È anche una questione di rispetto. Cosa che la tradizione ordossa sente molto. Quando però ci siamo ritrovati in lockdown, i cadaveri hanno iniziati ad essere cremati. È cambiato qualcosa nel nostro rapporto con la morte?

“È cambiato il nostro rapporto con tutto proprio a causa del terrore che ci hanno fatto provare dinnazi a questa emergenza.”

In che senso?

“L’emergenza è stata gestita in modo sbagliato soprattutto dal punto di vista etico. Non ricordo altre situazioni in cui il terrore sia stato diffuso in modo così ampio. In tv vediamo politici esprimersi in modo sguaiato contro gli stessi cittadini che li mantengono. In una democrazia non dovrebbero pronunciare parole che generano panico e che offendono. In una situazione del genere come fai ad osservare la normalità di certi processi? È impossibile: tutto diventa selvaggio, tutto è permesso. È normale chiudere le persone nelle case ed è normale fare le multe. Un governo serio avrebbe piuttosto azzerato le tasse. No, loro fanno le multe… e tutto questo è giocare sul terrore.”

Ha mai visto il terrore in faccia?

“Quando ho fatto il servizio militare nelle squadre di sabotaggio e catturavo i terroristi islamici, adottavamo una pratica di preparazione agli interrogatori che mi ha sempre turbato.”

Cosa gli facevate?

“Prima di tutto gli toglievamo i pantaloni e le mutande. Poi con le sue calze faceva una sorta di tappo chee gli infilavamo in bocca.”

Perché lo facevate?

“All’inizio non riuscivo a capirne il senso. Poi lo ho chiesto al nostro capitano.”

Cosa le ha detto?

“Mi ha spiegato che questa pratica era stato studiata da alcuni psicologi e che serviva a privare il prigioniero della propria dignità e, quindi, azzerarlo. Così, quando lo portavamo davanti a chi lo avrebbe interrogato, il terrorista si metteva subito a parlare. Non bisognava più far tanta fatica a cavargli fuori le informazioni. Certe tecniche usate oggi da alcuni governi occidentali, mi ricordano proprio quella dinamica lì: azzeramento dell’umano, privazione della nostra parte più intima. Con questo ultimo decreto hanno addirittura deciso dome dobbiamo comportarci in casa nostra…”

Questo perché il focolare domestico è stato dipinto come un pericoloso focolaio e i famigliari come untori, cioè i portatori del male. Così non si rischia di scardinare il luogo sicuro per antonomasia: la famiglia?

“La famiglia è sotto l’attacco di un certo sistema che vuole costruire la società sull’individualismo. Con tutto il rispetto per gli altri grandi nuclei, che compongono la società moderna, la famiglia rimane l’unica base dove l’umano nasce, cresce ed entra a far parte della società. Per questo, quando la famiglia viene colpita, si arreca un danno a tutta la società. In questo momento, anziché dividerci, dovremmo unirci e farci forza.”

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/coronavirus-nicolai-lilin-cos-hanno-generato-terrore-nel-1896674.html

 

 

 

Piero Angela, servizievole custode della non-cultura italica

Premessa: alcuni documentari degli Angela’s padre & figlio sono davvero carini. Ce n’è uno su Hiroshima che faccio sempre vedere in terza media. Detto questo: vedo che molte persone sono rimaste basite dalle dichiarazioni del vecchio Piero sulla necessità di mandare l’esercito per strada per controllare le mascherine. Qualcuno si è sentito quasi “tradito”, ed è comprensibile: per noi “de ‘na certa età”, Piero è stato un po’ come la maestra unica della vecchia scuola elementare; e dalla maestra certe cose non te aspetti. Ma Piero Angela è stato molto di più che una bonaria maestra. Per capirlo meglio, dobbiamo tornare alle origini della Repubblica, nel dopoguerra, quando gli occupanti anglo-americani spartiscono il potere in Italia: i poteri “che contano” e che alla lunga controllano una nazione (finanza e cultura) vengono dati rispettivamente ai liberali e alla sinistra (non la sinistra della “rivoluzione proletaria”, sia chiaro, ma quella più gradita dai “prog” d’Oltreoceano). Alle bizzocche democristiane viene dato il potere più esteriore, quello di inciuciare con le mafie di paese, di spartirsi appaltini e condoni edilizi.

Ecco: Piero Angela é stato un uomo di “quella sinistra”, quella che avrebbe conquistato la cultura e (quindi) tutto il paese. Con charme ed eleganza, per decenni, Piero è stato “l’uomo della scienza” (pur non avendo neanche una laurea, tranne le 12 Piero e Alberto Angela“honoris causa” rimediate in seguito). Ci ha insegnato fin da piccoli una scienza minimale, quella delle scimmiette che si evolvono a botte di deretano e della vita che nasce dal “brodino primordiale”. Più tardi, fonderà anche il Cicap: una sorta di setta devota al materialismo tardo-ottocentesco, convinta che non bisogna credere a nulla oltre a ciò che é scritto sul Sussidiario di scienze della terza elementare. Lo stesso Cicap che ci regalerà negli anni capolavori come la “Sindone Garlaschelli” e un cerchietto nel grano stortignaccolo che potete ammirare facendo una veloce ricerca sul web. Ecco chi è Piero Angela: un fedele e fidato “servo del potere”, un custode della mediocrità culturale. Indimenticabili, più di recente, le sue marchette televisive alla lobby Lgbt e la memorabile trasmissione sull’11 Settembre… Mi pare di aver detto abbastanza.

(Gianluca Marletta, “Chi è Piero Angela?”, dal blog di Maurizio Blondet dell’8 ottobre 2020. Laureato in storia medievale presso l’università di RomaTre e in Scienze Religiose alla Pontificia Universitas Lateranensis, Marletta è insegnante di religione, conferenziere e articolista; ha pubblicato vari saggi su tematiche storico-religiose e antropologiche. Ha pubblicato diversi libri, tra cui “La Fabbrica della manipolazione” e “Unisex”, sottotitolo “Cancellare l’identità sessuale: la nuova arma della manipolazione globale”).

FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/piero-angela-servizievole-custode-della-non-cultura-italica/

 

 

 

Attento, cinque occhi ti… ascoltano

I paesi anglosassoni chiedono soluzioni per consentire alle forze dell’ordine di accedere alle comunicazioni cifrate delle app di messaggistica

Non è la prima volta che l’alleanza di intelligence richiede alle compagnie attive nelle telecomunicazioni di conceder loro una backdoor per consentire un accesso alle conversazioni coperte da sistemi di crittografia end-to-end (E2EE).

I rappresentanti dei sette governi sostengono che il modo in cui la crittografia E2EE è attualmente supportata sulle principali piattaforme tecnologiche non permette più alle forze dell’ordine, come avveniva un tempo, di indagare sulle reti criminali, causando un intralcio alla giustizia.
Il problema è emerso anni fa in alcune vicende di cronaca e deve fare i conti anche con servizi di messaggistica o di chiamate VoIP che fin dagli albori hanno puntato su alti standard di crittografia, come Telegram o Signal.

Famosa è stata la battaglia di alcuni anni fa tra Apple e FBI in merito alla richiesta di permettere l’accesso all’iphone di Syed Rizwan Farook, uno dei due attentatori della strage di San Bernardino, in cui morirono 14 persone. In quel caso un magistrato federale ordinò alla Apple di sbloccare il dispositivo, creando però da zero un software in grado di disattivare o scartare i meccanismi di protezione e sicurezza dell’iPhone, in modo tale da non incorrere nel blocco definitivo e nella inizializzazione del dispositivo una volta superato il numero massimo di tentativi di sblocco.
In quel caso da Cupertino si rifiutarono adducendo che la decisione costituisse una minaccia ai propri clienti.

L’iniziativa dei 7 paesi serve a difendere da eventuali attacchi informatici i soggetti deboli, come i minori, e si rivolge tanto alle società che sviluppano applicazioni di messaggistica, quanto a quelle che producono dispositivi o piattaforme integrate. In tutti i casi richiedono una backdoor per aggirare i sistemi di crittografia.

Nel comunicato si legge che «sebbene la crittografia sia un’ancora esistenziale di fiducia nel mondo digitale per giornalisti, difensori dei diritti umani e persone vulnerabili, particolari implementazioni della tecnologia di crittografia, tuttavia, pongono sfide significative alla sicurezza pubblica, compresi i membri altamente vulnerabili delle nostre società come i bambini sfruttati sessualmente. Per questo esortiamo l’industria ad affrontare le nostre serie preoccupazioni laddove la crittografia viene applicata in un modo che preclude del tutto qualsiasi accesso legale ai contenuti».

Nel dicembre 2018, l’Australia è stato il primo grande Paese democratico a muoversi in tal senso introducendo una legge contro la crittografia. Tentativi nella stessa direzione si sono verificati negli Stati Uniti e in Europa, ma hanno avuto meno successo.

FONTE: https://www.infosec.news/2020/10/19/news/videosorveglianza-intercettazione/attento-cinque-occhi-ti-ascoltano/

 

 

 

Ecco la smoking gun: la collusione Trump-Russia una bufala cucinata dalla Clinton con la complicità di Obama

Federico Punzi di Federico Punzi, in RubricheSpeciale ItalyGate, del 

Ecco come è nato il Russiagate, declassificate le note di Brennan e della CIA: l’amministrazione Obama in combutta con la Campagna Clinton nel fabbricare e diffondere la narrazione della collusione Trump-Russia. L’indagine Crossfire Hurricane innescata e coordinata da Brennan, con una vera e propria task force (“fusion cell”) tra le agenzie di intelligence, dalla CIA all’FBI, per accreditare l’accusa fake della Clinton alla Campagna Trump

Vi avevamo parlato una settimana fa, su Atlantico Quotidiano, della lettera nella quale il direttore della National Intelligence, John Ratcliffe, aveva anticipato al presidente della Commissione Giustizia del Senato, Lindsey Graham, i contenuti di alcuni documenti della CIA che sarebbero stati di lì a poco declassificati. Ebbene, martedì sera questi documenti sono stati finalmente declassificati e trasmessi al Congresso e non hanno deluso le aspettative. Sebbene con numerosi omissis, rivelano infatti dettagli decisivi, e sconcertanti, sugli albori del caso Russiagate, la presunta collusione tra la Campagna Trump e la Russia per condizionare le presidenziali del 2016. L’accusa che il presidente avesse “rubato” l’elezione con l’aiuto dei russi ha provocato una crisi istituzionale lacerante a Washington, di cui ancora sono visibili le cicatrici, un’incessante opera di delegittimazione che ha indebolito l’azione della nuova amministrazione ed è quasi arrivata all’impeachment. Risultato: democrazia americana nel caos per quattro anni e sfiducia nelle e tra le istituzioni Usa.

A godersi lo spettacolo, Vladimir Putin, che come vedremo sapeva bene quello che stava accadendo e che oggi rilascia a Bloomberg una dichiarazione beffarda, dicendo di vedere le basi per una cooperazione con un’amministrazione Biden, perché “i valori dei Democratici sono simili a quelli del Partito Comunista Sovietico”, di cui ricorda di essere stato membro per 18 anni.

Ma torniamo alla collusione Trump-Russia. Era una montatura, come provano questi documenti. Soprattutto, i vertici dell’intelligence e la Casa Bianca ne erano al corrente, ma nonostante ciò hanno continuato con l’indagine, e la sorveglianza, su Trump non solo durante la campagna elettorale, ma anche durante la transizione e persino dopo l’insediamento della nuova amministrazione, con l’inchiesta del procuratore speciale Mueller, che a questo punto, possiamo affermarlo con ragionevole certezza, aveva lo scopo di depistare e nascondere le impronte. Era partita come una polpetta avvelenata da campagna elettorale, ma con il contributo decisivo dei vertici della CIA e dell’FBI, e la benedizione della Casa Bianca di Obama, si è trasformata in un vero e proprio tentativo di colpo di stato.

Il succo dei documenti appena declassificati è quello che vi avevamo servito una settimana fa, con una variazione scottante a cui arriverete se avrete la pazienza di seguirci: nell’estate del 2016, quindi in piena campagna per le presidenziali, l’intelligence Usa ai suoi massimi livelli sembrava così preoccupata che i russi fossero a conoscenza di un piano della Campagna Clinton per screditare Donald Trump fabbricando la storia della collusione con la Russia, e che potessero quindi usarlo per fare disinformazione, che il capo della CIA di allora, John Brennan, informò personalmente il presidente Obama nello Studio Ovale. E più tardi, il 7 settembre, circa un mese dopo l’apertura dell’indagine di controintelligence sulla Campagna Trump, la CIA inviò una comunicazione ufficiale ai vertici dell’FBI contenente la stessa informazione sul piano anti-Trump della Clinton.

Le note manoscritte di Brennan, praticamente un mini-verbale dell’incontro tenuto alla Casa Bianca con il presidente i suoi massimi consiglieri di sicurezza nazionale, mostrano che la comunità di intelligence Usa, nell’estate del 2016, sapeva che l’intelligence russa era al corrente del piano, personalmente approvato da Hillary Clinton il 26 luglio, per screditare il candidato avversario collegandolo all’hackeraggio dei server del Comitato nazionale democratico (DNC) da parte dei russi e così distrarre il pubblico dal caso Emailgate che ancora la assillava.

“We’re getting additional insight into Russian activites from [omissis]. Cite alleged approval by Hillary Clinton–on 26 July–of a proposal from one of her foreign policy advisers to villify Donald Trump by stirring up a scandal claiming interference by the Russian security services”.

Ad un certo punto dell’incontro, come risulta dalle note di Brennan, Obama avrebbe chiesto se vi fossero prove di collaborazione tra la Campagna Trump e la Russia, ma le risposte eventualmente riportate nelle note sono oscurate. Oscurate anche le annotazioni degli interventi di altri presenti alla riunione: “JC” (James Comey), “Denis” (Denis McDonough, il capo dello staff di Obama) e “Susan” (il consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice).

Dunque, Brennan e le agenzie di intelligence Usa sapevano fin dall’inizio, da mesi prima delle elezioni, che il Russiagate, la presunta collusione Trump-Russia, poteva essere una bufala fabbricata dalla Campagna Clinton per danneggiare il suo avversario. Oggi sappiamo che effettivamente lo era. Veicolo principale della montatura fu infatti il dossier Steele, che l’FBI sapeva dall’inizio essere stato commissionato e pagato dalla Campagna Clinton e dal Comitato democratico. Proprio nel mese di luglio il dossier veniva compilato e portato all’attenzione dell’FBI, che a partire da ottobre lo avrebbe utilizzato come elemento “essenziale” nelle sue richieste di autorizzazione a sorvegliare Carter Page, membro della Campagna Trump.

E per di più, oltre a sapere che i russi sapevano del piano della Clinton, Brennan e le agenzie di intelligence Usa potevano sospettare già allora che molte delle affermazioni chiave contenute nel dossier Steele, su cui si reggeva tutta la narrazione della collusione, fossero il frutto di una deliberata disinformatja russa. La fonte principale del dossier Steele era infatti una sospetta spia russa, di nome Igor Danchenko, ex ricercatore della Brookings Institution, think tank vicino ai Democratici. Il mese scorso, l’Attorney General William Barr ha informato il Congresso che l’FBI aveva aperto un’indagine per determinare se Danchenko fosse una spia russa e lo riteneva una “potenziale minaccia alla sicurezza nazionale”.

Ora, i Democratici obiettano che le informazioni che emergono dalle note di Brennan e della CIA declassificate sono esse stesse il prodotto della disinformazione russa, ma secondo fonti di intelligence citate da Fox News la CIA resta convinta che l’intelligence russa credesse sinceramente, già nell’estate del 2016, che la Campagna Clinton avesse lanciato la sua operazione diffamatoria contro Trump per distrarre l’opinione pubblica dall’Emailgate (il caso del server privato di posta elettronica usato dall’ex segretario di Stato). Il direttore della National Intelligence Ratcliffe, in una dichiarazione della scorsa settimana, ha respinto il sospetto: “Per essere chiari, questa non è disinformazione russa e non è stata valutata come tale dalla Intelligence Community”.

E resta il fatto che Brennan abbia ritenuto a tal punto affidabile l’informazione da voler aggiornare personalmente il presidente Obama e i suoi massimi consiglieri. Un mese dopo, la CIA continuava a ritenerla affidabile, tanto da sottoporla all’attenzione dell’FBI (vedremo più avanti a quale scopo) in una comunicazione ufficiale del 7 settembre 2016.

Si tratta del secondo documento declassificato martedì, in cui la CIA informava il direttore dell’FBI James Comey e il vicedirettore del controspionaggio Peter Strzok in merito “all’approvazione da parte del candidato alla presidenza degli Stati Uniti Hillary Clinton di un piano riguardante il candidato alla presidenza Donald Trump e hacker russi che interferivano nelle elezioni Usa, come mezzo per distrarre il pubblico dal suo uso di un server di posta privato”.

Ma invece di agire, come fecero nei confronti della Campagna Trump, lanciando una invasiva e formale indagine di controintelligence, Comey e Strzok ignorarono la segnalazione della CIA e non avviarono alcuna indagine. Perché? Quella segnalazione doveva suonare quanto meno come un campanello d’allarme. Non risulta invece che l’FBI abbia mai intrapreso alcuna azione per accertarsi che, conoscendo il piano anti-Trump della Clinton, agenti russi non avessero infiltrato quell’operazione. In pratica, l’FBI decise di non verificare se i russi stavano usando la Campagna Clinton per interferire nelle elezioni presidenziali del 2016, la stessa ipotesi per la quale fu deciso, invece, di indagare e sorvegliare la Campagna Trump.

Ma qui occorre fare una precisazione. Diversamente da quanto affermato da Ratcliffe nella lettera di una settimana fa, quello della CIA all’FBI non è un “referral investigativo”, ovvero una segnalazione che si ritiene giustifichi o richieda l’apertura di un’indagine penale. Ora che è declassificato possiamo osservare che si tratta di un documento di altra natura: è una comunicazione della CIA all’FBI che fornisce informazioni precedentemente richieste da quest’ultima. Insomma, la CIA stava informando l’FBI, non chiedendole di aprire un’indagine sulla Clinton in merito al suo piano anti-Trump.

Per questo, forse, durante l’audizione della scorsa settimana in Commissione Giustizia del Senato, l’ex direttore Comey ha potuto affermare di non ricordare affatto un referral investigativo della CIA. “Questa cosa non mi suona affatto”, ha risposto Comey sotto giuramento al presidente Graham. “Non ricorda questa richiesta che ho appena letto del settembre 2016?”. “No, come ho detto no, non mi suona familiare”, ha ribadito Comey. Non era una richiesta di indagine, infatti…

Tornando al documento, si legge: “Per FBI verbal request, CIA provides the below examples of information the Crossfire Hurricane fusion cell has gleaned to date”. Su richiesta dell’FBI, quindi, la CIA fornisce le sottostanti “informazioni che la Crossfire Hurricane fusion cell ha raccolto fino ad oggi”.

Questo passaggio è molto significativo. Crossfire Hurricane è il nome in codice dell’indagine dell’FBI sulla Campagna Trump aperta formalmente il 31 luglio 2016, ovvero negli stessi giorni in cui la Clinton avrebbe approvato il piano per screditare Trump collegandolo all’hackeraggio dei server del DNC da parte dei russi. Ma quel riferimento, nella comunicazione della CIA, alle “informazioni che la Crossfire Hurricane fusion cell ha raccolto fino ad oggi” suggerisce che non si trattò di una indagine solo dell’FBI e che furono coinvolte anche risorse e capacità di intelligence della CIA.

Come sostiene Andrew McCarthy in “Ball of Collusion”, l’indagine “si basava su diversi filoni di intelligence, in gran parte provenienti da agenzie di intelligence straniere, di cui la CIA era entrata in possesso. Nelle prime fasi, Brennan fu il principale driver; il ruolo dell’FBI divenne più significativo nelle fasi successive (in particolare nel richiedere i mandati FISA)”.

Secondo le sue stesse testimonianze al Congresso e dichiarazioni pubbliche, Brennan giocò il ruolo di una “camera di compensazione”. Prendeva informazioni da servizi stranieri, ci metteva sopra il suo spin, e le confezionava per l’FBI. Come ha spiegato egli stesso al Congresso:

“Ero a conoscenza dell’intelligence e delle informazioni sui contatti tra funzionari russi e persone statunitensi che sollevavano preoccupazioni nella mia mente sul fatto che quegli individui stessero cooperando o meno con i russi, in modo consapevole o inconsapevole, e serviva come base per l’indagine dell’FBI per determinare se tale collusione-cooperazione si sia verificata”.

Tra i veicoli tramite i quali Brennan passava le informazioni all’FBI, c’era “una task force inter-agenzia, composta sul lato interno dall’FBI, dal Dipartimento di Giustizia e dal Dipartimento del Tesoro, e dal lato dell’intelligence estera dalla CIA, dalla NSA, e dal direttore della National Intelligence James Clapper”, con la Casa Bianca di Obama ovviamente tenuta al corrente. Brennan era il catalizzatore, mentre la principale controparte dell’FBI in questo raccordo era l’agente Strzok.

Quindi, il riferimento alla “Crossfire Hurricane fusion cell” nel memo della CIA è proprio a questa task force tra agenzie, attraverso la quale la CIA forniva all’FBI le informazioni raccolte dalle operazioni di intelligence estera. Se ne deduce che l’amministrazione Obama ha mobilitato la CIA, il servizio segreto estero, contro la campagna del candidato alla presidenza del partito avversario…

Dunque, il documento declassificato non è, come annunciava Ratcliffe nella sua lettera, una richiesta all’FBI di aprire un’indagine sulla Campagna Clinton in merito al suo piano anti-Trump, il che scaricherebbe sul Bureau la colpa di non averla aperta. Al contrario, è una comunicazione ufficiale di informazioni raccolte nell’ambito di un’operazione congiunta in corso nell’amministrazione Obama per cercare di accreditare esattamente ciò che la Clinton voleva: una collusione Trump-Russia. Insomma, gli ultimi documenti declassificati da Ratcliffe mostrano come l’amministrazione Obama, attivando le agenzie di intelligence, dalla CIA all’FBI, fosse in combutta con la Campagna Clinton nel fabbricare e diffondere la narrazione della collusione Trump-Russia.

Per completare il quadro, un po’ di cronologia. A fine luglio 2016, proprio quando la CIA apprende che l’intelligence russa è a conoscenza del piano della Campagna Clinton per accusare falsamente Trump di essere colluso con la Russia nell’hackeraggio dei server del DNC, l’FBI apre formalmente l’indagine Crossfire Hurricane, basandosi esattamente su questa ipotesi (ma inizialmente, come vedremo, non sul dossier Steele che la Campagna Clinton aveva nel frattempo prodotto).

Il 22 luglio, Wikileaks pubblica la prima tranche delle email trafugate dai server del DNC. A metà giugno il DNC aveva già denunciato l’hackeraggio accusando hacker russi.

Il 25 luglio, uno dei principali consiglieri della Clinton, Jake Sullivan, parla pubblicamente di possibili legami fra Trump e la Russia.

Il 26 luglio è il giorno in cui, secondo l’intelligence russa citata nei documenti CIA declassificati, Hillary Clinton approva personalmente il piano anti-Trump, proposto da uno dei suoi consiglieri di politica estera. Ma è anche il giorno in cui accetta ufficialmente la nomination democratica alla Casa Bianca.

Il 27 luglio, nel pieno delle polemiche sulle email hackerate al DNC e pubblicate da Wikileaks, una delle uscite provocatorie di Trump: “Russia, se stai ascoltando, spero che riusciate a trovare le 30 mila email mancanti” (le email transitate sul server privato della Clinton e mai ritrovate dall’FBI).

Un passo indietro: circa tre settimane prima, il 5 luglio, con l’approvazione della funzionaria del Dipartimento di Stato per gli affari europei ed euroasiatici, Victoria Nuland, l’agente Michael Gaeta, attaché legale dell’FBI all’ambasciata di Roma, vola a Londra per incontrare nel suo ufficio Christopher Steele, che gli mostra le prime pagine del suo dossier. “Abbiamo spiegato (all’FBI, ndr) che Glenn Simpson/Fusion GPS era il nostro committente, ma il cliente finale era la leadership della campagna presidenziale Clinton, e che abbiamo capito che la candidata stessa era a conoscenza almeno del rapporto, se non di noi”, si legge nelle note di Steele su quell’incontro, acquisite da una corte britannica. Anche il funzionario del Dipartimento di Giustizia Bruce Ohr ha testimoniato di aver avvertito, nell’estate 2016, i vertici di FBI e DOJ che il dossier Steele non era verificato ed era collegato alla Clinton.

Arriviamo quindi al 31 luglio 2016, il giorno in cui l’FBI apre formalmente la sua indagine di controintelligence sulla Campagna Trump, denominata Crossfire Hurricane. Ma stranamente non sulla base del dossier Steele, che l’FBI aveva cominciato a visionare all’inizio di luglio, ma che sapeva essere un prodotto della Campagna Clinton. Guarda caso, la “notizia” sulla base della quale l’indagine fu aperta, come confermato dalla “Comunicazione Elettronica” (EC) di apertura dell’indagine, declassificata il 20 maggio scorso, era arrivata all’attache legale dell’FBI a Londra, tramite la vice capo missione dell’ambasciata, proprio il 27 luglio (il giorno dopo l’ok della Clinton al piano anti-Trump…). E da chi era arrivata quella segnalazione? Da un “governo straniero amico”, nella persona del diplomatico australiano Alexander Downer, molto vicino alla famiglia Clinton, che riferiva con un paio di mesi di ritardo una conversazione, avvenuta in un bar di Londra, con George Papadopoulos, allora consulente della Campagna Trump.

Sebbene nella conversazione non fossero menzionate email di alcun genere, Downer e gli agenti dell’FBI che aprirono l’indagine sulla base della sua segnalazione collegarono le informazioni “dannose” per la Clinton, di cui sarebbero stati in possesso i russi secondo Papadopoulos, alle email hackerate al DNC. Papadopoulos aveva a sua volta appreso di quel materiale “dirt” sulla Clinton in mano ai russi, ben prima che si sapesse dell’hackeraggio ai danni del DNC, dal misterioso professore maltese Joseph Mifsud – anch’egli ben inserito in ambienti clintoniani, e a stretto contatto con figure dei servizi di sicurezza americani, britannici ed italiani – che aveva incontrato per la prima volta a Roma, alla Link Campus University. Ma nella segnalazione di Downer all’ambasciata Usa di Londra non si parla di email, né risulta che Papadopoulos avesse accennato ad alcuna email nella conversazione con il diplomatico australiano.

Insomma, quando a fine luglio Downer riferisce della sua conversazione con Papadopoulos, l’amministrazione Obama era già al lavoro da almeno un mese, da quando cioè l’FBI ha cominciato a ricevere i primi report del dossier Steele, sulla teoria che la Russia stava aiutando Trump, con la quale l’hackeraggio dei server del DNC veniva fatto calzare a pennello. Piccolo problema: l’FBI non poteva o non voleva ancora usare il dossier, di cui conosceva l’origine partigiana. Ed ecco allora spuntare la segnalazione di Downer…

A fine agosto, ricorda McCarthy nel suo libro, poco prima che la CIA inviasse il promemoria del 7 settembre all’FBI, Brennan informò uno stretto alleato della Clinton, l’allora leader dei Democratici al Senato Harry Reid, riguardo le interferenze russe nelle elezioni. Reid scrisse subito una lettera a Comey, lamentando che l’FBI sembrava ignorare “le prove di un collegamento diretto tra il governo russo e la campagna presidenziale di Donald Trump”. E nella lettera citava un rapporto secondo cui il consigliere della Campagna Trump Carter Page aveva incontrato a Mosca membri di alto rango del regime di Putin – un’informazione che oggi sappiamo essere falsa, e proveniente dal dossier Steele.

Ma nella sua indagine, a quanto pare, l’FBI si ostinava a non usarlo… Il 7 settembre 2016, l’FBI riceve la comunicazione ufficiale della CIA, nella quale il vero messaggio che si vuole far arrivare non è di indagare sul piano anti-Trump della Clinton, ma che è la Clinton (che ci si aspettava diventasse il prossimo presidente) a desiderare che la Campagna Trump sia accusata di aver cospirato con gli hacker russi per influenzare le elezioni.

Ma poiché l’FBI non ha prove concrete, deve alla fine fare affidamento sul dossier Steele, un prodotto della stessa Campagna Clinton. E infatti, è proprio nelle settimane successive che l’FBI si dà una mossa e arriva al dunque. Il 3 ottobre, l’agente Gaeta fa venire Steele a Roma per farlo incontrare, in un luogo definito come “discreto”, con tre agenti del team che indaga sulla Campagna Trump, arrivati direttamente da Washington.

Pochi giorni dopo, l’FBI comincia a preparare la prima richiesta alla Corte FISA di un mandato di sorveglianza nei confronti di Carter Page, che verrà basata essenzialmente sul dossier Steele.

Quindi no, la CIA (Brennan) non voleva che l’FBI indagasse sul piano anti-Trump della Campagna Clinton. La CIA, con la Casa Bianca al corrente, voleva che l’FBI si muovesse in modo più spedito per accreditare la narrazione della collusione Trump-Russia con la quale la Clinton intendeva danneggiare il suo avversario.

FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/rubriche/ecco-la-smoking-gun-la-collusione-trump-russia-una-bufala-cucinata-dalla-clinton-con-la-complicita-di-obama/

International Statement: End-To-End Encryption and Public Safety

 

Department of Justice
Office of Public Affairs

FOR IMMEDIATE RELEASE
Sunday, October 11, 2020

We, the undersigned, support strong encryption, which plays a crucial role in protecting personal data, privacy, intellectual property, trade secrets and cyber security.  It also serves a vital purpose in repressive states to protect journalists, human rights defenders and other vulnerable people, as stated in the 2017 resolution of the UN Human Rights Council[1].  Encryption is an existential anchor of trust in the digital world and we do not support counter-productive and dangerous approaches that would materially weaken or limit security systems.

Particular implementations of encryption technology, however, pose significant challenges to public safety, including to highly vulnerable members of our societies like sexually exploited children. We urge industry to address our serious concerns where encryption is applied in a way that wholly precludes any legal access to content.  We call on technology companies to work with governments to take the following steps, focused on reasonable, technically feasible solutions:

  • Embed the safety of the public in system designs, thereby enabling companies to act against illegal content and activity effectively with no reduction to safety, and facilitating the investigation and prosecution of offences and safeguarding the vulnerable;
  • Enable law enforcement access to content in a readable and usable format where an authorisation is lawfully issued, is necessary and proportionate, and is subject to strong safeguards and oversight; and
  • Engage in consultation with governments and other stakeholders to facilitate legal access in a way that is substantive and genuinely influences design decisions.

IMPACT ON PUBLIC SAFETY

Law enforcement has a responsibility to protect citizens by investigating and prosecuting crime and safeguarding the vulnerable. Technology companies also have responsibilities and put in place terms of service for their users that provide them authority to act to protect the public.  End-to-end encryption that precludes lawful access to the content of communications in any circumstances directly impacts these responsibilities, creating severe risks to public safety in two ways:

  1. By severely undermining a company’s own ability to identify and respond to violations of their terms of service. This includes responding to the most serious illegal content and activity on its platform, including child sexual exploitation and abuse, violent crime, terrorist propaganda and attack planning; and
  2. By precluding the ability of law enforcement agencies to access content in limited circumstances where necessary and proportionate to investigate serious crimes and protect national security, where there is lawful authority to do so.

Concern about these risks has been brought into sharp focus by proposals to apply end-to-end encryption across major messaging services.  UNICEF estimates that one in three internet users is a child.  The WePROTECT Global Alliance – a coalition of 98 countries, 39 of the largest companies in the global technology industry, and 41 leading civil society organisations – set out clearly the severity of the risks posed to children online by inaccessible encrypted services in its 2019 Global Threat Assessment: “Publicly-accessible social media and communications platforms remain the most common methods for meeting and grooming children online. In 2018, Facebook Messenger was responsible for nearly 12 million of the 18.4 million worldwide reports of CSAM [child sexual abuse material to the US National Center for Missing and Exploited Children (NCMEC)]. These reports risk disappearing if end-to-end encryption is implemented by default, since current tools used to detect CSAM [child sexual abuse material] do not work in end-to-end encrypted environments.”[2]  On 3 October 2019 NCMEC published a statement on this issue, stating that: “If end-to-end encryption is implemented without a solution in place to safeguard children, NCMEC estimates that more than half of its CyberTipline reports will vanish.”[3]  And on 11 December 2019, the United States and European Union (EU) issued a joint statement making clear that while encryption is important for protecting cyber security and privacy: “the use of warrant-proof encryption by terrorists and other criminals – including those who engage in online child sexual exploitation – compromises the ability of law enforcement agencies to protect victims and the public at large.”[4]

RESPONSE

In light of these threats, there is increasing consensus across governments and international institutions that action must be taken: while encryption is vital and privacy and cyber security must be protected, that should not come at the expense of wholly precluding law enforcement, and the tech industry itself, from being able to act against the most serious illegal content and activity online.

In July 2019, the governments of the United Kingdom, United States, Australia, New Zealand and Canada issued a communique, concluding that: “tech companies should include mechanisms in the design of their encrypted products and services whereby governments, acting with appropriate legal authority, can gain access to data in a readable and usable format. Those companies should also embed the safety of their users in their system designs, enabling them to take action against illegal content.”[5]  On 8 October 2019, the Council of the EU adopted its conclusions on combating child sexual abuse, stating: “The Council urges the industry to ensure lawful access for law enforcement and other competent authorities to digital evidence, including when encrypted or hosted on IT servers located abroad, without prohibiting or weakening encryption and in full respect of privacy and fair trial guarantees consistent with applicable law.”[6]

The WePROTECT Global Alliance, NCMEC and a coalition of more than 100 child protection organisations and experts from around the world have all called for action to ensure that measures to increase privacy – including end-to-end encryption – should not come at the expense of children’s safety[7].

CONCLUSION

We are committed to working with industry to develop reasonable proposals that will allow technology companies and governments to protect the public and their privacy, defend cyber security and human rights and support technological innovation.  While this statement focuses on the challenges posed by end-to-end encryption, that commitment applies across the range of encrypted services available, including device encryption, custom encrypted applications and encryption across integrated platforms.  We reiterate that data protection, respect for privacy and the importance of encryption as technology changes and global Internet standards are developed remain at the forefront of each state’s legal framework.  However, we challenge the assertion that public safety cannot be protected without compromising privacy or cyber security.  We strongly believe that approaches protecting each of these important values are possible and strive to work with industry to collaborate on mutually agreeable solutions.

SIGNATORIES

Rt Hon Priti Patel MP, United Kingdom Secretary of State for the Home Department

William P. Barr, Attorney General of the United States

The Hon Peter Dutton MP, Australian Minister for Home Affairs

Hon Andrew Little MP, Minister of Justice, Minister Responsible for the GCSB, Minister Responsible for the NZSIS

The Honourable Bill Blair, Minister of Public Safety and Emergency Preparedness

India

Japan

11 October 2020


[1] https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/LTD/G17/073/06/PDF/G1707306.pdf?OpenElement

[2] WePROTECT Global Alliance, 2019 Global Threat Assessment, available online at: <https://static1.squarespace.com/static/5630f48de4b00a75476ecf0a/t/5deecb0fc4c5ef23016423cf/1575930642519/FINAL+-+Global+Threat+Assessment.pdf>,

[3] http://www.missingkids.org/blog/2019/post-update/end-to-end-encryption

[4] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2019/12/11/joint-eu-us-statement-following-the-eu-us-justice-and-home-affairs-ministerial-meeting/

[5] https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/822818/Joint_Meeting_of_FCM_and_Quintet_of_Attorneys_FINAL.pdf

[6] https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-12862-2019-INIT/en/pdf

[7] http://www2.paconsulting.com/rs/526-HZE-833/images/WePROTECT%202019%20Global%20Threat%20Assessment%20%28FINAL%29.pdf?_ga=2.109176709.1865852339.1591953966-1877278557.1591953966, http://www.missingkids.org/blog/2019/post-update/end-to-end-encryption, https://www.nspcc.org.uk/globalassets/documents/policy/letter-to-mark-zuckerberg-february-2020.pdf

Press Release Number:
20-1,086

FONTE: https://www.justice.gov/opa/pr/international-statement-end-end-encryption-and-public-safety

 

 

 

 

DIRITTI UMANI

Il governo olandese vuole estendere la legge sull’eutanasia ai bambini

Attualmente la procedura non è permessa per quelli di età compresa tra 1 e 12 anni

SABATO 17 OTTOBRE 2020

Il governo olandese ha trovato un accordo per estendere la legge che permette l’eutanasia anche ai bambini malati terminali di età compresa tra 1 e 12 anni. Martedì il ministro della Salute olandese Hugo de Jonge lo ha annunciato con una lettera al Parlamento, dicendo che risparmierà ad alcuni bambini di «soffrire in modo indicibile e senza speranze».

Oggi nei Paesi Bassi l’eutanasia è permessa, ovviamente solo a certe condizioni, dai 16 anni ai 18 anni, con il consenso dei ragazzi, e dai 12 ai 16 anni, dietro consenso dei ragazzi e dei loro genitori, e per i bambini di meno di un anno, sempre con il consenso dei genitori. Attualmente per i bambini con malattie terminali ed età compresa tra 1 e 12 anni medici e genitori possono seguire solo due strade: quella delle cure palliative, cioè quelle terapie che hanno il solo fine di dare sollievo dalla sofferenza fisica, e quella della sospensione dell’alimentazione artificiale. Anche con la sospensione delle cure, per un bambino con una malattia terminale allo stadio più avanzato possono passare giorni o anche settimane prima del decesso. Molti medici avevano chiesto di cambiare la legge sull’eutanasia giudicando la situazione attuale una «zona grigia».

L’estensione della legge è stata molto discussa tra i quattro partiti che formano la coalizione di governo e l’accordo è stato raggiunto per via delle conclusioni di uno studio realizzato l’anno scorso dalle università di Groningen, Rotterdam e Amsterdam secondo cui ogni anno alcuni bambini malati terminali soffrono in modo particolare perché i medici che li hanno in cura temono di avere problemi legali nel proporre cure che potrebbero in qualche modo avvicinarne la morte. Secondo lo studio l’estensione della legge sull’eutanasia nei Paesi Bassi riguarderebbe tra i cinque e i dieci bambini ogni anno.

La modifica alla legge sull’eutanasia discussa dal governo, che dovrebbe essere introdotta nel giro di qualche mese, prevederebbe il consenso dei genitori anche per i bambini da 1 a 12 anni, oltre che il parere favorevole di almeno due medici.

I Paesi Bassi sono stato il primo paese al mondo a rendere legale l’eutanasia, per i soli maggiorenni e con condizioni molto rigide, nel 2002: può chiedere l’eutanasia solo chi è obbligato a patire insopportabili sofferenze e non ha possibilità di miglioramento. L’anno scorso ci sono stati 6.361 casi di eutanasia nel paese, pari al 4 per cento di tutte le morti; il 91 per cento delle persone per cui è stata eseguita la procedura aveva una malattia terminale; i casi restanti riguardavano persone con gravissime patologie psichiatriche. Il primo paese a legalizzare l’eutanasia anche per i minorenni è stato il Belgio, nel 2014: il primo caso di eutanasia su un minorenne avvenne nel 2016.

FONTE: https://www.ilpost.it/2020/10/17/paesi-bassi-eutanasia-bambini/

 

 

 

 

Cade l’ultimo paletto, in Olanda eutanasia anche per i bimbi sotto i 12 anni

 

 

 

Il governo lavora alla legalizzazione della morte assistita nell’ultima zona franca dell’esistenza, quella dei bambini che non sono in grado di autodeterminarsi.

Uccidere i bambini tra gli 1 e i 12 anni per «aiutarli». È con motivazioni raggelanti che il ministro della Salute olandese Hugo de Jonge ha annunciato l’accordo nella maggioranza per estendere l’eutanasia legale anche ai bambini. «C’è bisogno di un’interruzione di vita intenzionale», aveva scritto al Parlamento dopo aver commissionato uno studio ad hoc sulla sofferenza dei piccoli, per aiutare «un piccolo gruppo di bambini malati terminali che soffrono senza speranza e in modo insopportabile» e «garantire maggiori tutele legali ai medici che procedono con azioni di fine vita di bambini di quell’età».

Un film già visto: è motivandola con i risultati di una ricerca commissionata dal governo stesso lo scorso anno, che l’Olanda punta ad approvare ora l’eutanasia per gli over 75 in buona salute ma stanchi di vivere. Secondo la ricerca esistono infatti oltre 10 mila persone sopra i 55 anni in tutto il paese che pur essendo sane nutrono un grande desiderio di morire – di più, che si dichiarano pronte a morire -. Se ad aggiornare la “balla” dell’autodeterminazione e spingere per abbandonare all’iniezione letale gli anziani soli è da sempre il partito dei liberali D66, a benedire la crociata per uccidere i bambini con l’eutanasia, decisa dai medici e avvallata dai genitori, è invece il cristiano democratico de Jonge, lo stesso che alla proposta di eutanasia per “vita compiuta” aveva ribattuto invitando i cittadini ad accompagnare i fragili a trovare un senso nella vita.

CADE L’ULTIMA CORTINA PROTETTA DALLA LEGGE

Un senso che evidentemente non hanno le vite del gruppo sparuto di bambini – tra i 5 e i 10 casi l’anno – emerso dall’indagine del ministero affidata ai medici degli ospedali di Groningen, Rotterdam e Amsterdam: l’84 per cento dei pediatri interpellati ritiene necessario introdurre la morte assistita nell’ultima zona franca dell’esistenza, quella dagli 1 ai 12 anni. Si tratta dell’unica fascia di età dove l’eutanasia non è ammessa in quanto i bambini non sarebbero ritenuti legalmente in grado di autodeterminarsi e optare consapevolmente per la morte. Oggi in Olanda “grazie” al Protocollo di Groningen, elaborato dal professor Eduard Verhaegen, sulla soppressione dei neonati «affetti da malattie gravi», dal 2004 è infatti possibile uccidere un bambino tra gli 0 e i 12 mesi (anche se ha una aspettativa di vita di 10 anni). Ed è possibile uccidere un bambino tra i 12 e i 16 anni previo consenso dei genitori e tra i 16 e i 17 se i genitori sono semplicemente stati informati. Ma la fascia d’età compresa tra 1 e 12 anni è sempre stata per i persuasori della buona morte una cortina dura da oltrepassare. Fino ad oggi.

Tempi vi aveva già parlato di questo rapporto, fondato su numeri esilissimi: 32 medici su 38 che hanno avuto a che fare con bambini gravemente malati sostengono che in 46 casi su 359 l’eutanasia sarebbe stata l’opzione migliore. Secondo Verhaegen, alfiere delle norme sul fine vita dei bambini, avrebbero diritto all’eutanasia attiva appunto tra i 5 e 10 piccoli olandesi ogni anno, «soprattutto in caso di bambini gravemente malati, la cui fase di morte può essere accompagnata da molto dolore e sofferenza e il cui processo di morte può richiedere settimane, un gran numero di genitori e medici ha il desiderio di accelerare o abbreviare tale processo». Perché aspettare che sia una polmonite a portarsi via un bambino malato?, ha argomentato il professore sottolineando l’inutilità di questa attesa per i bambini ma anche per i loro genitori.

CRITERI FUMOSI E TUTELA SOLO DEI MEDICI

«Questi bambini in fin di vita sono grigi e freddi, le loro labbra diventano blu e ogni pochi minuti fanno respiri molto profondi. È una visione indecente e può andare avanti per ore o anche giorni», aveva argomentato Verhaegen quando, nel 2014, il documento “Decisioni mediche sulle vite dei neonati con gravi malformazioni” della Royal Dutch Medical Asion inseriva la “sofferenza dei genitori” tra i motivi che autorizzano la pratica dell’eutanasia su un neonato o un minore. Allora fioccarono gli appelli dei pediatri perché l’Olanda intraprendesse la stessa strada del Belgio (dove la morte di Stato è estesa anche ai bambini e tre minori di 8, 11 e 17 anni hanno già ricevuto l’iniezione letale).

IL BUSINESS DELLA COMPASSIONE

Caduto il paravento dell’autodeterminazione, l’Olanda sta rimodellando il suo sistema sanitario sull’eutanasia, ormai un servizio di base a tutti gli effetti coperto dal premio mensile che ogni cittadino olandese paga alla propria assicurazione, formando professionalità attraverso guide come quelle curate dall’ordine dei medici (“Prendersi cura delle persone che consciamente scelgono di non mangiare e bere per accelerare la fine della vita”). È anche un business altamente remunerativo: per ogni iniezione letale praticata da un medico della Levenseindekliniek, le compagnie assicurative pagano alla clinica 3.000 euro. Solo poche settimane fa il cardinale Willem Eijk ricordava che non è improbabile che si avveri la previsione degli esperti dell’eutanasia, cioè che «il numero annuale di casi di eutanasia supererà i 12.500, più dell’8 per cento di tutti i decessi annuali, nel 2028.Storicamente e culturalmente parlando, abbiamo osservato un pendio scivoloso, i criteri per la cessazione della vita sono stati sempre più estesi nei Paesi Bassi a partire dagli anni Settanta», «Il rispetto per il valore essenziale della vita di un essere umano è stato eroso sempre di più nell’ultimo mezzo secolo: era inevitabile». Oggi, issando la bandiera della compassione sui letti dei bambini malati tra gli 1 e i 12 anni, cade anche l’ultimo paletto.

FONTE: https://www.tempi.it/cade-lultimo-paletto-in-olanda-eutanasia-anche-per-i-bimbi-sotto-i-12-anni/

 

 

 

ECONOMIA

Dpcm farsa: Conte s’è accorto che esiste pure l’economia

Nicola Porro – 19 ottobre 2020

VIDEO QUI: https://youtu.be/fpK2ufNI2B8

00:00 Ieri sera il finto dpcm di Conte che non chiude e, diciamo la verità, fa bene. Finalmente si accorge che c’è anche la questione economica di cui tener conto.

03:50 La retromarcia del Fatto Quotidiano sul virus continua…

05:00 Geniale Bechis sul Tempo: stop agli ex Pci. Speranza & co che volevano chiudere tutto. Ai sindaci potere di coprifuoco: così sembrava ieri sera, ma la notte…

06:03 Agostino Miozzo della Protezione Civile dice che le terapie intensive rischiano la saturazione mentre Repubblica con Tito sostiene che l’atteggiamento di Conte è solo attendismo.

07:50 Alessandro Milan dice sul Quotidiano Nazionale di non parlare più del virus, come fanno gli altri paesi: ha ragione. Ma loro che fanno?

09:58 Calenda si candida a sindaco di Roma: tanti alzano il sopracciglio, ma non capisco perché…

10:55 La testa decapitata del prof francese pubblicata da Belpietro sulla Verità. E per Battista sul Corriere della Sera è un eroe.

12:45 Addio a Alfredo Cerruti

13:00 La follia del giocatore che mette il braccio sulla guardalinee e viene considerato sessista. Se ne occupa bene Elia Pagnoni sul Giornale.

13:30 La manovra e quella proroga per le cartelle di un mese e mezzo e di due anni per le notifiche, Il Sole 24 ore dorme, Enrico Zanetti no. Capezzone si accorge del buco da 17 miliardi.

FONTE: https://www.nicolaporro.it/zuppa-di-porro/dpcm-farsa-conte-se-accorto-che-esiste-pure-leconomia/

Mes, Conte minaccia nuove tasse. Ma ecco quello che non torna

Conte avverte: “Se prendiamo i soldi del Mes nuove tasse e tagli di spese”. Ma FI attacca: “Si arrampica sugli specchi”

Prendere i soldi del Mes potrebbe spingere il governo a intervenire con nuove tasse e mediante tagli delle spese. È questa la “confessione” di Giuseppe Conte, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, nella notte in cui il premier ha annunciato in diretta televisiva le nuove misure anti Covid.

Incalzato da una domanda inerente al Fondo salva-Stati, Conte ha spiegato che i soldi provenienti dal Mes sono dei prestiti e che, per questo motivo, “non possono finanziare spese aggiuntive“. “Si possono coprire spese già fatte e vanno a incrementare il debito pubblico. Se prendiamo i soldi del Mes dovrò intervenire con nuove tasse e tagli di spese“, ha aggiunto il premier.

La mossa di Conte

Non solo: Conte ha sottolineato che il Mes “non è quella panacea che viene rappresentata“. Inoltre, a detta del presidente del Consiglio, la situazione economica dell’Italia è “positiva” e dunque il vantaggio in termini di interesse nell’usufruire del Fondo salva-Stati “diventa molto contenuto“. “Se avremo fabbisogni di cassa, sicuramente dobbiamo considerare anche il Mes, ma se non accade prendere il Mes non ha senso“, ha aggiunto.

A questo punto Conte ha fatto un confronto con gli altri Paesi. “Quando facciamo questi ragionamenti dobbiamo valutare che in ogni caso avremo interessi contenuti rispetto al rischio che gli analisti colgono, si chiama stigma. Decina di Paesi hanno preso il Sure, anche noi. Il Mes nessuno. Ecco perchè io ho detto che non ho nessuna pregiudiziale ideologia sul Mes ma prendere il Mes come risolvere a una disputa nel dibattito pubblico non ha senso“, ha concluso.

Ricapitolando, Conte ha dichiarato in un colpo solo che afferrare il salvagente Fondo salva-Stati comporterebbe nuove tasse o tagli di spesa e che accettarlo non sarebbe poi così conveniente. Eppure, all’interno del governo, c’era una buona fetta della maggioranza che non vedeva l’ora di mettere le mani sui fondi provenienti da Bruxelles.

Tra questi il Partito Democratico, con Nicola Zingaretti uno dei primi sponsor del Fondo salva-Stati. Qualche giorno fa il segretario del Pd scriveva sul proprio profilo Facebook un messaggio inequivocabile: “Ascoltiamo i sindaci italiani. Bisogna usare le risorse del Mes per rafforzare la sanità territoriale. Chi è in prima linea, come i tanti amministratori in trincea, sa bene che ora è il momento di rafforzare la rete di prevenzione e cura nei territori, nelle città, nei piccoli comuni, nelle aree interne, specie per gli anziani e per le persone più fragili“.

Forza Italia: “Il premier si arrampica sugli specchi”

Conte ha insomma risposto picche alle richieste dei suoi alleati, facendo capire che no, l’Italia non farà ricorso al Fondo salva-Stati. Sconcertata anche Forza Italia, che dall’opposizione ha criticato le affermazioni del premier. “Conte si arrampica sugli specchi pur di non ammettere che le risorse del Mes sono indispensabili per mettere in sicurezza il nostro sistema sanitario che sta mostrando gravi e preoccupanti lacune all’inizio di questa nuova emergenza“, ha dichiarato in una nota la presidente dei senatori di FI Anna Maria Bernini.

Rifiutare quei 37 miliardi per un’impuntatura ideologica significa causare dolosamente un danno al Paese. Il premier non può continuare a nascondersi dietro un fantomatico effetto stigma per i paesi che utilizzano il Mes. Quello del premier è dunque un ritornello sempre meno convincente, come l’abitudine di informare solo all’ultimo momento i leader dell’opposizione di decisioni già prese, senza mai un reale confronto“, ha ribadito Bernini.

Anche Renato Brunetta, deputato e responsabile economico di FI, ha risposto a Conte in merito al Fondo salva-Stati, evidenziando tutte le inesattezze contenute nelle parole del premier. Innanzitutto il Mes è conveniente perché “è un prestito ad interesse oggi pari a zero, o addirittura sotto zero, mentre l’emissione di BTP di durata analoga costerebbe certamente molto di più“.

Non ha inoltre particolari condizionalità, “se non quella di utilizzare le risorse per spese sanitarie dirette e indirette“. Come se non bastasse i “36-37 miliardi erano disponibili già dall’estate per realizzare i relativi investimenti in funzione della seconda ondata della pandemia che purtroppo si sta manifestando (investimenti che non si sono fatti)“. Tra gli altri aspetti da considerare, secondo Brunetta, c’è il fatto che il Fondo salva-Stati andrebbe a finanziare il bilancio sanitario delle Regioni e che le risorse così investite rafforzerebbero il SSN.

Avresti potuto dire che sul Mes il partito di maggioranza relativa della tua maggioranza, il M5s, non è d’accordo, mentre il Partito democratico la pensa in maniera diametralmente opposta e che quindi il tuo Governo non può chiedere il Mes perchè non hai la maggioranza per chiederlo“, ha concluso Brunetta, rivolgendosi sempre a Conte.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/mes-confessione-conte-rischio-aumentare-tasse-1897334.html

 

 

 

L’eurovirus passa all’incasso: Italia ko, ci portano via tutto

La seconda ondata sarà peggiore della prima. Le mascherine sono perfetto terreno di coltura per i microbi e per giunta vi intossicano di anidride carbonica facendovi respirare aria viziata: malattie assicurate (se il governo fosse in buona fede, farebbe portare parasputi di plastica). Aggiungete che il vaccino antinfluenzale spesso non funziona e aggrava l’influenza, mentre risulta facilitare l’infezione da Covid 19 (si chiama “interferenza vaccinale”). In tal modo, e coi tamponi che danno un 80% di falsi positivi e attribuendo al Covid-19 anche i morti di cancro, diabete e altro, il regime gonfia i numeri e ricomincia a bloccare l’economia, mentre sblocca le cartelle esattoriali, i pignoramenti e i licenziamenti. Sarà peggio che con la prima ondata. Presto, a mesi, avremo milioni di disoccupati o finti occupati, aziende chiuse, crollo del Pil e del gettito fiscale, con impennata della spesa pubblica per cassa integrazione, sanità, immigrati. Arrivano la patrimoniale e il prelievo notturno dai conti correnti?

Di certo, l’economia e la società saranno in ginocchio forse già prima della primavera. Ma il Recovery Fund arriverà dal prossimo autunno. E poi ci vorranno mesi per impiegarlo concretamente. Nel frattempo il paese sarà allo sfascio. E allora qual Della Lunaè il senso dell’operazione? Per chi sono i soldi del Recovery Fund? E’ evidente per chi sono quei soldi: per gli imprenditori sciacalli amici del regime, della partitocrazia, dell’Europa tedesca, che li riceveranno per comperare l’Italia in ginocchio e in svendita, per assumerne la proprietà e il controllo presentandosi per suoi salvatori. Per rilevare le residue aziende valide, le proprietà immobiliari, i crediti ipotecari in sofferenza, gli spazi di mercato lasciati liberi dalle piccole aziende e dai lavoratori autonomi che dovranno chiudere, mentre i governi tedesco e altri tengono in vita le loro con sgravi fiscali e sostegni economici.

Poveri fessi, che avete votato Sì al referendum credendo di dare un colpo alla partitocrazia! Avete al contrario rinforzato questo governo, perché ora i grillini lo sosterranno a ogni costo, e sosterranno la sua suddetta strategia, sapendo che, se si va a votare, le loro poltrone in Parlamento si ridurranno a un decimo delle attuali! Il rappresentate della Bce ha dovuto ammetterlo, anche se lo sapevamo da anni, che le banche centrali creano denaro dal nulla, anche quello del Recovery Fund; e allora dovreste capire che è questa l’unica via per evitare il disastro economico: che la Repubblica italiana batta una sua moneta parallela all’euro, consentita dai trattati, per sostenere aziende, famiglie, investimenti, servizi, senza indebitare le finanze pubbliche e i contribuenti.

(Marco Della Luna, “L’eurovirus passa al saccheggio”, dal blog di Della Luna del 16 ottobre 2020).

FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/leurovirus-passa-allincasso-italia-ko-ci-portano-via-tutto/

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

M5S contro la nomina di Padoan a presidente di Unicredit

Deputati e senatori delle commissioni Finanza attaccano: il contrasto alle cosiddette “porte girevoli” tra politica e mondo finanziario è una battaglia storica del MoVimento 5 Stelle e si intreccia con il tema più generale del conflitto di interessi

M5S contro la nomina di Padoan a presidente di Unicredit

Pier Carlo Padoan, ex ministro del Tesoro designato presidente di UniCredit

 

“La nomina a presidente di Unicredit di Pier Carlo Padoan ci sembra a tutti gli effetti inopportuna, vista la carica istituzionale di massimo livello che ha ricoperto in passato e il ruolo che riveste tuttora, da deputato della Repubblica. Sul punto presenteremo a stretto giro un’interrogazione scritta al governo, anche per impegnarlo a prendere quanto prima provvedimenti normativi per evitare che situazioni di questo genere possano ripetersi in futuro. Il contrasto alle cosiddette “porte girevoli” tra politica e mondo finanziario è una battaglia storica del MoVimento 5 Stelle e si intreccia con il tema più generale del conflitto di interessi, sul quale ci stiamo muovendo in sede parlamentare attraverso una proposta di legge unificata in corso di esame”. Lo hanno scritto in una nota congiunta i deputati M5S della commissione Finanze. Anche i senatori M5S delle Commissioni bilancio e finanze di Palazzo Madama hanno affermato: “La designazione alla presidenza di Unicredit dell’ex ministro dell’economia e attuale deputato del Pd, Pier Carlo Padoan, già cooptato nel Consiglio di amministrazione della banca, pone una macroscopica questione di inopportunità. Padoan, nella veste di ministro, è stato protagonista di tutti i più rilevanti passaggi che hanno coinvolto, negli anni scorsi, le banche italiane in difficoltà. Il passaggio di Padoan al mondo del credito, inoltre, ripropone con urgenza il tema delle ‘revolving doors’ tra Mef e banche, che vanta troppi precedenti come Grilli, Saccomanni, Siniscalco, Draghi e chi più ne ha più ne metta. Un modello, purtroppo, che non ha mai smesso di creare rischi di opacità. Peraltro veniamo dal periodo 2011-2019 durante il quale lo Stato ha pagato l’incredibile cifra di 45 miliardi di euro in termini di oneri sui contratti derivati firmati con le stesse banche protagoniste delle porte girevoli con il ministero. Nello stesso periodo, sempre su contratti derivati, la Germania ha pagato 4,4 miliardi, la Francia 159 milioni, mentre Portogallo, Irlanda e Paesi Bassi hanno addirittura guadagnato. Riteniamo pertanto che si debba intervenire per fermare definitivamente questo modello di ‘revolving doors’ tra Mef e istituti di credito. Tema che si collega a quello di una vera legge sul conflitto d’interessi che grazie al MoVimento 5 Stelle è in corso di esame alla Camera” concludono i pentastellati.

FONTE: https://www.investiremag.it/investire/2020/10/16/news/m5s-contro-la-nomina-di-padoan-a-presidente-di-unicredit-23275/

 

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

LA RESPONSABILITÀ PENALE DEL DATORE DI LAVORO IN CASO DI CONTAGIO DA COVID-19

by Nicolò Bottura – 19 OTTOBRE 2020

La responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio da Covid-19 è stata oggetto di un’accesa discussione nelle aule del Parlamento, in particolare in vista della conversione del Decreto 8 aprile 2020 n. 23, detto anche Decreto Liquidità.

Il testo del Decreto Liquidità, coordinato con legge di conversione 5 giugno 2020 n. 40, prevede, all’art. 29 bis, che ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiano “all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste”.

Ciò implica che il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene di rilevanza costituzionale che impone al datore di anteporre al proprio profitto la sicurezza di chi esegue la prestazione.

Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni – continua il testo dell’articolo – “rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

E’ evidente che l’articolo sopra citato viene ad avere quindi una duplice valenza. Se da un lato determina una presunzione circa la violazione dell’obbligo previsto dall’art. 2087 c.c. laddove non fossero osservate le disposizioni contenuti nei protocolli, nonché nei D.P.C.M. e nelle Ordinanze Regionali, dall’altro nulla aggiunge rispetto ai principi generali in tema di responsabilità per colpa, in particolare in relazione ai reati di cui agli articoli 589 c.p. e art. 590 c.p.

L’imprevedibilità di un evento quale il contagio da Covid-19 rende difficoltoso accertare il nesso di causalità, che in ogni caso dovrà essere verificato sulla base dei requisiti di legge per l’attribuzione della responsabilità penale.

In tale contesto si colloca anche la Circolare dell’INAIL n. 13 del 3 aprile 2020, la quale ha riconosciuto il contagio da Covid-19 quale infortunio sul lavoro, e il Protocollo condiviso sottoscritto il 24 aprile 2020, il quale ha fornito indicazioni utili alle imprese circa le misure di sicurezza ad adottare ai fini di evitare il contagio, o comunque, diminuire il rischio. Da ultimo, infine, la Circolare INAIL n. 20 del 13 maggio 2020 ha illustrato i criteri per l’individuazione del nesso causale quali la presunzione semplice di causalità e l’onere della prova,

A tale ultima circolare è poi seguita, in data 15 maggio 2020, una nota con la quale è stato precisato che l’infortunio sul lavoro causa Covid-19 non comporta automaticamente l’accertamento della responsabilità in capo al datore di lavoro. Quest’ultimo, infatti, risponde penalmente e civilmente delle infezioni di origine professionale solo se viene accertata la responsabilità per dolo o colpa.

In ogni caso, il regime previsto dall’INAIL non trova piena applicazione in ambito penale, bensì offre una tutela più ampia in termini assicurativi. Il contagio da Covid-19, infatti, non viene considerato dall’Istituto come un fatto di reato.

Peraltro, le circolari INAIL pongono l’attenzione su un altro tema: la riduzione del rischio, così come definito dal D.lgs. 81/2008. In tal caso, l’aggiornamento del Modello ex D.Lgs. 231/201 e del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) in adozione ai fini di adeguamento di protocolli e alle disposizioni dei D.P.C.M. e dei decreti legge del Governo da parte del datore di lavoro diviene fondamentale al fine di stabilire il rispetto delle norme comportamentali da parte di tutti i dipendenti, evitando al contempo di incorrere in sanzioni, in particolare nel caso i cui venissero a connotarsi reati presupposto quali l’omicidio colposo e le lesioni personali colpose.

Ciò premesso, è necessario per le imprese compiere un passo ulteriore al fine di adeguarsi alle rigorose disposizioni normative emanate in questi ultimi mesi onde evitare di incorrere nella responsabilità penale.

FONTE : http://www.salvisjuribus.it/la-responsabilita-penale-del-datore-di-lavoro-in-caso-di-contagio-da-covid-19/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Salvate il soldato Italia

  in Editoriale 

di Souad Sbai

L’Europa dice “guardate cosa sta accadendo in Italia, presto succederà anche da voi”. Una frase allarmante che non fa altro che accrescere il senso di solitudine e di sconforto del Paese e di chi lo abita.

A parlare è quella stessa Unione europea che in passato ha più volte chiesto ed ottenuto solidarietà e aiuti dall’Italia e che adesso si presenta nei nostri confronti scarica di proposte e di aiuti.

Non c’è un’iniziativa nei confronti dello Stivale, non ci sono misure economiche straordinarie. C’è solo la fotografia di un dito che punta sulla cartina dell’Italia e la indica come zona rossa, quella degli appestati.

L’emergenza sanitaria, seppur lievemente, si estende e il Governo vara come unica misura quella di ordinare agli italiani di stare a casa… Nel mentre, cosa viene fatto per il Paese, di propositivo intendo, oltre a favorire una chiusura a riccio? Mmm…

Le imprese vanno in default, l’occupazione più che vacillare vede spuntare orizzonti di “smart working” e congedi non retribuiti. La paralisi del sistema Italia, ecco cos’è.

Forse oggi dovrebbe arrivare il tanto atteso decreto economico, atteso dalle aziende che vogliono capire se ci sarà nella manovra l’inserimento di una CIG, più comunemente conosciuta come cassa integrazione; anche se poi viene da chiedersi come faranno le imprese a recuperare mandando in CIG i propri dipendenti, visto che le aziende possono riprendersi solo se lavorano, cioè solo se la forza lavoro resta attiva.

In un quadro del genere, pare evidente che l’Italia e gli italiani, da sempre popolo solidale e socialmente caritatevole, sino stati lasciati da soli dall’Europa e dalle amministrazioni interne, più di quanto non si dica. Buffo: oggi non si parla di noi se non del Paese che può appestare il mondo. Ieri eravamo quelli che dovevano accogliere, aiutare, sostenere tutti i popoli del Mediterraneo e fare da ponte con l’Europa.

FONTE: https://almaghrebiya.it/2020/03/11/salvate-il-soldato-italia

I giudici francesi indagano sulla pandemia e perquisiscono i ministri

I giudici francesi indagano sulla pandemia e perquisiscono i ministri

L’inchiesta è stata avviata dopo le denunce delle vittime di Covid-19. Coinvolti l’ex premier Edouard Philippe, il suo successore Jean Castex e i responsabili della Sanità Agnes Buzyn e Olivier Veran

L’abitazione e l’ufficio del ministro della Sanità francese Olivier Veran sono stati perquisiti oggi dalla polizia, nell’ambito di un’inchiesta della Corte di giustizia della Repubblica sulla gestione della pandemia del coronavirus in Francia. In una nota, Veran ha riferito che le operazioni di perquisizione sono avvenute “senza difficoltà”.

I giudici francesi indagano sulla pandemia e perquisiscono i ministri

Anche il primo ministro Jean Castex è indagato per la gestione della pandemia, così come il suo predecessore Edouard Philippe e la predecessore di Veran al ministero della Salute, Agnes Buzyn. L’indagine è stata avviata dopo le denunce delle vittime di Covid-19 che hanno lamentato lentezze delle istituzioni nell’agire per controllarne la diffusione.  Secondo quanto riferito dai media francesi, altre perquisizioni sono state condotte presso il direttore generale della Sanità, Jerome Salomon, e la direttrice generale della Sanità pubblica, Genevieve Chene. Nell’inchiesta sono coinvolti anche l’ex premier Edouard Philippe, l’ex ministro della Sanità Agnes Buzyn e l’ex portavoce del governo Sibeth Ndiaye.

Gli agenti hanno perquisito anche la casa del direttore dell’Agenzia sanitaria nazionale, Jerome Salomon. I critici accusano il governo di essere stato troppo lento nell’introdurre test Covid-19 su larga scala e di aver minimizzato l’importanza di indossare mascherine all’inizio della pandemia, quando le coperture per il viso scarseggiavano ed erano riservate agli operatori sanitari. La denuncia viene dall’Associazione Vittime Coronavirus Francia ed è stata depositata alla Corte di Giustizia della Repubblica, unica istanza titolata a giudicare i membri del governo. Contro Castex si agirà in base all’articolo 223-7 del Codice penale sulla “rinuncia volontaria ad adottare o provocare le misure atte a contrastare un sinistro di natura tale da creare un pericolo per la sicurezza delle persone”.Tra le 90 ricevute dalla Corte dall’inizio dell’epidemia, solo 9 sono state accolte.

Le perquisizioni sono state realizzate dai gendarmi dell’OCLAESP, l’Ufficio centrale responsabile per l’ambiente e la salute pubblica e dell’OCLCIFF, l’Ufficio centrale di lotta alla corruzione e per le infrazioni finanziarie e fiscali. Alcune perquisizioni erano ancor in corso a fine giornata mentre alcuni si interrogano sui tempi di un’operazione realizzata all’indomani degli annunci del presidente Emmanuel Macron sui coprifuoco notturni a Parigi e in altre otto città.

FONTE: https://www.today.it/mondo/indagine-pandemia-francia.html

 

 

 

Chi finanzia i BLM? Sorpresa…

Marco Valle – 15 ottobre 2020

Con la morte a Minneapolis dell’afro-americano George Floyd e con l’incattivirsi della mobilitazione anti Trump un’ondata di cieca intolleranza si è scatenata negli Stati Uniti (con pericolose contaminazioni in Europa, Italia compresa). In pochi giorni una vicenda crudele ma minore — la violenza che scorre nella società statunitense è cosa ben nota — si è trasformata nel simbolo (o il pretesto?) per una crociata ideologica che, nel nome di un antirazzismo violento, vuole imporre il diritto al “risarcimento” e cancellare le figure del passato che, a torto o a ragione, sono accusate sommariamente di razzismo, colonialismo o solo di troppo “occidentalismo”.

È la cancel culture «un nuovo mostro», come notava su “Il Giornale” Luigi Mascheroni «un ulteriore pericolosissimo upgrade del politicamente corretto. Mentre il secondo si preoccupa di boicottare un singolo libro, un’opera o un film non conformista, la prima fa un passo ulteriore: mette in discussione lo stesso diritto a parlare o a scrivere in ambito pubblico. La cancel culture, una political correctness impacchettata in una confezione di lusso, è quel fenomeno per cui, ad esempio, una major cinematografica, o un editore, o un’università, o il consiglio comunale di una città, spaventati dall’idea di essere demonizzati da una folla inferocita, in piazza o sui social, composta da minoranze nere, gialle, femmine o arcobaleno, rinunciano a fare il proprio lavoro: produrre cultura».

Un desiderio di vendetta mascherato da invocazioni alla “bontà” e alla “giustizia”, un odio solido che impone censure, inginocchiamenti collettivi, sbullonamenti di monumenti — in primis, quelli del povero Cristoforo Colombo — e tracima fangoso dalle università ai media e a Hollywood e s’infila persino nei gangli più delicati della macchina statale.

Nella narrazione dei (molto provinciali) media progressisti nostrani si tratta di un fenomeno spontaneo, di un’indignazione di massa, senza padrini o registi. Anche soltanto metterlo in dubbio diventa un delitto di lesa maestà… Peccato che i potenti sponsor dei BLM e iconoclasti assortiti amino la pubblicità e la fama.

È il caso dell’Andrew Mellon Foundation, la più importante fondazione artistico-culturale americana creata nel 1969 con i lasciti di Andrew Mellon, uno dei massimi esponenti del capitalismo USA (e della massoneria star and stripes).

Lo scorso 5 ottobre, sul sito ufficiale dell’organizzazione, è stato annunciato in pompa magna il Monument Project, un’iniziativa forte di 250 milioni di dollari (pianificati su 5 anni) per re-inventare e trasformare ogni spazio commemorativo —monumenti, sacrari, musei — secondo le regole della cancel culture. Leggere per credere: “to reimagine and rebuilt commemorative spaces and trasform the way history is told in USA».

I tanti denari della Mellon serviranno a innalzare nuove statue (indovinate a chi dedicate?), contestualizzare i monumenti esistenti (ma solo quelli graditi) e ricollocare (?) quelli non graditi.

Da oggi poi sarà compito dei “story tellers” e dei “memory workers” (presumiamo ben pagati) della Mellon Foundation riscrivere, a loro modo e a loro gusto, l’intera storia nazionale degli States. Come nelle peggiori dittature comuniste o nelle più cupe teocrazie, il passato diverrà una pagina bianca su cui l’illuminato di turno potrà vergare qualsiasi sciocchezza e imporre qualsiasi bugia. Gli avvertimenti di George Orwell e di Aldous Huxeley sono ormai il nostro presente.

FONTE: https://blog.ilgiornale.it/valle/2020/10/15/chi-finanzia-i-blm-sorpresa/

 

 

Mellon Foundation Announces Quarter-Billion-Dollar Grant Commitment for “Monuments Project”

to Reimagine and Rebuild Commemorative Spaces and Transform the Way History is Told in the United States

As National Reckoning on Race and Social Justice Encompasses Memorials, Mellon Foundation’s $250 Million Commitment Will Create, Contextualize, and Relocate Existing Monuments to Celebrate and Affirm America’s Diverse Histories

New York, NY, October 5, 2020 – Today, The Andrew W. Mellon Foundation announced an unprecedented five-year, $250 million grant effort, the “Monuments Project,” which will transform the way our country’s histories are told in public spaces. By reimagining and rebuilding commemorative spaces that celebrate and affirm the historical contributions of the many diverse communities that make up the United States, Mellon’s quarter-billion-dollar commitment builds on two years of monument grantmaking, and comes at a moment of national reckoning on the power and influence of monuments.

The Monuments Project is a signature initiative aligned with the Foundation’s new strategic framework and mission announced in June 2020. Grants made under the new monuments initiative will fall under three areas of activity:

  • Funding new monuments, memorials, or historic storytelling spaces
  • Contextualizing existing monuments or memorials through installations, research, and education
  • Relocating existing monuments or memorials

The Mellon initiative broadens our understanding of commemorative spaces and their possibilities and will include not only memorials, historical markers, and public statuary, but also storytelling spaces such as museums and art installations. Grants approved under the direction of the Monuments Project will ensure that future generations inherit a commemorative landscape that venerates and reflects the vast, rich complexity of the American story. In doing so, the Foundation intends to recalibrate the assumed center of our national narratives to include those who have often been denied historical recognition.

“Monuments, memorials, and other commemorative spaces convey both individual narratives and national values,” said Mellon Foundation President Elizabeth Alexander. “They shape the histories of who we are and influence ongoing discussion about which people in our society are considered worth celebrating and remembering. By providing key support to visionary artists and cultural organizations that seek to reimagine how fundamental stories and experiences may be publicly commemorated in new monuments and memorials, this unprecedented Mellon commitment will help inform our collective understanding of our country’s profoundly diverse and weighty history and ensure that those who haven’t been taught this history can learn it in the public square. This effort will further ensure that the many communities that have shaped the United States have greater opportunity to see themselves in the fabric of our remarkable American story.”

“Monuments and memorials echo with legacy, loyalty, and love in ways that are heard across multiple lifetimes,” said writer, director, producer, and independent film distributor Ava DuVernay. “But whose legacy? Loyalty to whom? Love of what? For too long, the answers to these questions have been obscured by privilege, power, and politics. But no more. The Monuments Project is a buoyant, brave, and brilliant step in liberating the power of story to reveal who more of us are, what more people value, and what all kinds of people from different walks of life want to remember. New legacy. New loyalty. New love.”

Mitch Landrieu, former New Orleans mayor and E Pluribus Unum founder said, “Our landscape — from our public spaces to museums — does not accurately reflect our whole history. Statues and memorials are symbols, and symbols matter. One of the major impediments we had in taking down the Confederate statues in New Orleans was finding funds for removal and for what would replace them. This significant commitment from the Mellon Foundation will help communities across the country correct the landscape. And unlike when most Confederate monuments and memorials were first erected as symbols of white supremacy, this moment in our country’s history gives us an opportunity to be intentional about how to create public spaces and public art that bring people together.”

“Iconography and monuments tell essential truths about a community and a nation,” Equal Justice Initiative Founder and Executive Director Bryan Stevenson said. “America’s landscape is littered with misguided totems of hate, intolerance, and bigotry. I’m thrilled about Mellon’s new initiative, which is critical to our quest to tell the true story of our nation — its faults and failures as well as its promise and greatness.”

The Monuments Project has been developed by President Alexander after years of discussion, research, and intellectual exploration. She has been actively engaged in the project’s advance since she became Mellon’s president in 2018. During that time, the Foundation issued $25 million in grants to help diversify the American public history and memory landscape. This includes funding to support the building of the interpretive center at the National Memorial for Peace and Justice in Montgomery, Alabama, which remembers the lynchings of Black people in the US; to support the Los Angeles County Department of Arts and Culture initiative to expand the pipeline of artists with the expertise to complete public commissions; to preserve important African American sites via the National Trust for Historic Preservation; and to create a new monument to honor the abolitionist Lyons family in Central Park. These grants were the starting point for what will be a substantial area of focus for the Foundation.

The first major grant issued under the new $250 million Monuments Project will be a three-year, $4 million grant to support Monument Lab in Philadelphia. Monument Lab is an independent public art and history studio that works with cities throughout the country — including Los Angeles, Newark, Richmond, and St. Louis — in collaboration with local artists, activists, and community leaders to reenvision American public spaces through stories of social justice and equity. Among the work this Mellon grant will support is a definitive audit of the existing national monument landscape across the United States.

The urgency of our country’s ongoing conversation about who belongs and how they are valued in the American narrative — and in America itself — coupled with the power and influence of monuments and memorials, demands a truly powerful artistic and cultural reimagination of our commemorative spaces. Mellon’s Monuments Project, and its initial grant to support Monument Lab, will play a significant role in that vital transformation.About The Andrew W. Mellon Foundation
The Andrew W. Mellon Foundation is the nation’s largest supporter of the arts and humanities. Since 1969, the Foundation has been guided by its core belief that the humanities and arts are essential to human understanding. The Foundation believes that the arts and humanities are where we express our complex humanity, and that everyone deserves the beauty, transcendence, and freedom that can be found there. Through our grants, we seek to build just communities enriched by meaning and empowered by critical thinking, where ideas and imagination can thrive.

FONTE: https://mellon.org/news-blog/articles/monuments-project/

 

 

 

POLITICA

SIAMO VITTIME DI UN’EGEMONIA CULTURALE NEOLIBERISTA

– Antonella Stirati #Byoblu24 – 13 ott 2020

Puntata di approfondimento destinata all’economia insieme alla Professoressa Antonella Stirati, docente di Economia politica dell’Università di Roma Tre.

Negli ultimi trent’anni il modello economico italiano è cambiato radicalmente: l’ingresso nell’Unione europea e le privatizzazioni degli asset strategici degli anni ’90 hanno ridimensionato il ruolo dello Stato a favore del mercato. Un’ideologia neoliberista che ha portato a tagli ingenti nei settori pubblici chiave quali sanità e istruzione, con le conseguenze che l’Italia ha dovuto subire durante la crisi del Covid.

Secondo la Professoressa Stirati quest’egemonia culturale esiste ancora in Italia e rischia di compromettere la risposta alla crisi economica dovuta al Covid. Se continueranno ad essere usate politiche di austerità, forse sarebbe auspicabile che l’Italia prendesse in considerazione anche l’uscita dal sistema euro.

Questa in sintesi la conclusione a cui è arrivata la Professoressa Stirati.

FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=Gz6jU7jzvNY&feature=push-sd&attr_tag=KAqlojk8omBrszsv%3A6

 

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Pura magia: la scienza diventa religione, negando la verità

Il metodo socratico rappresenta un elemento portante nello sviluppo epistemologico, cui si ispireranno sia l’età dell’Umanesimo che quella dell’Illuminismo, dove l’interesse per la scienza troverà massima espressione, elevandosi a ideale contro l’oscurantismo, l’intolleranza e ogni forma di assolutismo. L’approccio odierno alla scienza la allontana notevolmente dal suo fine massimo di raggiungimento del sapere quale emancipazione dell’essere umano, attraverso il percorso arduo e incessante della ricerca della conoscenza. Al contrario, lo scientismo attuale costringe l’individuo dentro una gabbia ristretta di norme e dogmi che appaiono imperscrutabili al comune intelletto, divenendo roccaforte di un gruppo di eletti, forti del prestigio conferito loro dall’appartenenza a enti rappresentativi del sapere in quello specifico settore. Rinnegando la strada percorsa dai grandi scienziati del passato che pagarono con la propria vita l’aver messo in dubbio le credenze contemporanee, gli attuali preferiscono muoversi nel solco del conformismo e dell’omologazione. Non c’è spazio per il dubbio, elemento fondamentale della ricerca della sapienza, ma solo per l’assertività, la dogmaticità inconfutabile e autoreferenziale delle proprie affermazioni. Uno scientismo imperante e anti-dialogico sta contaminando tutti gli ambiti della conoscenza, con una smania positivista che ha pervaso persino le scienze umane.

Così nell’economia, la cui radice etimologica –oikos nomia, legge della casa, della sua amministrazione – non lascerebbe dubbi circa la natura sociale di questa scienza. Eppure, a partire dal liberismo ottocentesco prima e dalla sua cristallizzazione Ilaria Bifariniattraverso il neoliberismo attuale, tra gli economisti è invalsa la credenza categorica di trattare l’economia alla stregua di una scienza esatta, come la fisica o le scienze naturali. In un saggio dal titolo “Il Negazionismo economico” due economisti francesi (Pierre Cahuc e André Zylberberg, ripresi poi dal mondo accademico), dichiarano che siamo giunti a un punto in cui l’economia avrebbe acquisito il rango delle scienze sperimentali, come la medicina e la biologia, per cui molte questioni potrebbero essere trattate da un gruppo di esperti nello stesso modo in cui si testa un medicinale. Questa conquista sarebbe però oggi messa in discussione da una frangia di individui che, con un certo disprezzo, vengono definiti “esperti autoproclamati”, i quali oserebbero negare con metodi non scientifici la verità contenuta nelle riviste del settore. Essi si presenterebbero all’opinione pubblica come difensori del bene comune, ma in realtà sarebbero una sorta di ciarlatani, che agiscono secondo la strategia del negazionismo.

Questa disposizione all’ostracizzazione e al disprezzo manifesto verso chiunque metta in discussione una teoria accreditata e prevalente negli ambienti accademici e istituzionali è diffusa ormai in tutte le branche del sapere. Durante l’emergenza legata al coronavirus, ma già prima, alcuni autorevoli virologi hanno fatto massiccio ricorso a tale atteggiamento nei confronti di chiunque mettesse in dubbio la natura e la letalità del nuovo virus, di cui peraltro essi stessi hanno dimostrato una scarsa conoscenza, costretti a smentire più volte le proprie tesi, proclamate con grande convincimento. Il concetto di competenza, utilizzato come fortezza per difendersi dalle incursioni dei dissidenti, viene sganciato da ogni riferimento alla misurazione dei risultati raggiunti e all’attendibilità delle previsioni dichiarate. L’unico parametro di valutazione diventa la legittimità degli attori, il prestigio che viene loro tributato dall’appartenenza a enti e istituzioni riconosciuti. Secondo un meccanismo autoreferenziale e capace di riprodursi senza interruzione, nell’ambito della ricerca scientifica vengono privilegiati e incentivati coloro che sono in grado di portare prove a sostegno di un modello già universalmente riconosciuto. Si giunge al Freudparadosso per cui a essere premiato e legittimato è proprio chi adotta un metodo anti-scientifico, parlando in termini socratici, con il risultato che l’adesione a una teoria preesistente prevale sul senso critico e sulla ricerca della verità.

La tendenza attuale è quella di sostituire la pratica del dubbio sulla conoscenza con l’accettazione e la divulgazione secondo un registro fideistico, che non lasciano spazio allo spirito innovativo e all’approccio sperimentale. In questa cornice è accaduto che nel XXI secolo un virus di tipo parainfluenzale, molto contagioso e piuttosto letale rispetto alla sua famiglia, ma che non ha nulla a che vedere con le grandi pestilenze del passato, sia stato combattuto con l’isolamento forzato, un metodo che risale al Medioevo se non all’Antico Testamento, che non si riscontrava nei paesi dell’Europa occidentale da secoli. Metodi di dubbia efficacia, che riportano più a una questione di pensiero magico che di razionalità scientifica, hanno fatto leva sulla paura della popolazione. Ai politici e ai cittadini è stato chiesto di adeguarsi alla verità promulgata dalla nuova scienza, quale dottrina del mondo contemporaneo, totalitarista e reazionaria ma capace di fare larga presa sulla popolazione. Una massa che, come ce la descrive Freud, è «fondamentalmente conservatrice in senso assoluto, ha una profonda ripugnanza per tutte le novità e tutti i progressi e un rispetto illimitato per la tradizione».

Attraverso una comunicazione sensazionalistica, basata su immagini forti e cariche di dolore, l’individuo ha subito un lavaggio del cervello, si è trovato di colpo a convivere con il pensiero e l’immagine incombenti della morte, che aveva sempre rifuggito attraverso l’iperattivismo lavorativo e sociale. L’immaginario collettivo è stato subissato di testimonianze provenienti dai reparti ospedalieri di pazienti morenti, familiari straziati, medici martiri ed eroi, fino a culminare con la rappresentazione ultima del trapasso, le bare, trasportate addirittura da convogli militari, simbolo dell’ordine precostituito che subentra al caos. Walter RicciardiArmi che da sempre vengono utilizzate per far presa sulla massa che, in quanto tale «può venir eccitata solo da stimoli eccessivi. Chi desidera agire su essa non ha bisogno di coerenza logica tra i propri argomenti; deve dipingere nei colori più violenti, esagerare e ripetere sempre la stessa cosa» (Freud, “Il disagio della civiltà e altri saggi”).

L’effetto suggestione è stato potente, un panico collettivo si è impossessato dell’intera popolazione che, senza distinzione di età e di condizioni fisiche, sebbene la pericolosità del virus fosse sensibile a tali parametri, si è abbandonata totalmente al verbo dei virologi della vulgata dominante, quella accreditata e amplificata dai media. Adottando una forma di superstizione per placare la propria angoscia, i cittadini hanno aderito alle disposizioni imposte e hanno rispettato pedissequamente la reclusione domiciliare forzata, mettendo da parte persino le preoccupazioni economiche legate all’impossibilità di lavorare. A chi osava dissentire dalle imposizioni prescritte per il bene comune è stato riservato un trattamento punitivo severo ed esemplare, finalizzato a dissuadere la popolazione dalla ribellione all’autorevolezza dello scientismo scambiato per scienza. L’atteggiamento totalizzante di obbedienza ha ingenerato la nascita spontanea di delatori tra la popolazione e la piena adesione al nuovo culto sanitario, oggettivato attraverso il feticcio della mascherina, utilizzata da alcuni persino in luoghi all’aperto e isolati.

Se i sociologi denunciano oggigiorno un crescente allontanamento dalla Chiesa come fenomeno diffuso in tutto l’Occidente e un aumento del laicismo, permane nell’individuo il bisogno ineludibile di una guida autorevole, che gli indichi cosa è giusto e cosa sbagliato, dove sta il male e come tenerlo lontano. Nella visione freudiana religione e scienza sono in conflitto tra loro, in quanto entrambe assolverebbero alla funzione di soddisfare la sete umana di conoscenza e di placare l’angoscia degli uomini di fronte ai pericoli e alle alterne vicende della vita. Ma l’aspetto principale in cui esse si distinguerebbe in modo sostanziale consiste nel fatto che, mentre la religione indica precetti ed emana divieti e limitazioni, la scienza si limita a indagare e rilevare. Dunque entrambe mirano agli stessi obiettivi ma con mezzi profondamente differenti, che vedono la scienza avulsa Convogli militari carichi di baredall’utilizzo dell’azione coercitiva. Possiamo affermare che oggi tale disputa è superata: la nascita di una nuova creatura, la religione scientista, ha surclassato entrambe le istanze, adottando – in modo tendenzioso e tale da non dare adito al dubbio – la metodologia scientifica per finalità proprie di una religione.

Questa nuova entità metafisica è in grado di rispondere ai bisogni di protezione da parte del soggetto che fa parte della massa, alla sua volontà di de-responsabilizzarsi e all’esigenza di attenersi a rigidi divieti imposti da un’autorità alla collettività intera, in modo da sentirsi tutti uguali al cospetto del padre primigenio. Le affermazioni degli scienziati vengono accolte come dei dogmi indiscussi e le loro prescrizioni come dei culti da rispettare. Riproducendo il sistema di premi d’amore e di punizione del bambino, la fede scientista consente all’uomo di permanere in uno stato di minorità e di soddisfare i desideri e i bisogni dell’infanzia, che si sono protratti fino all’età adulta. La veste scientifica rende la nuova religione più adatta di quelle tradizionali allo spirito dei tempi, in cui la paura della morte e il rifiuto di accettare la caducità della vita umana hanno preso il sopravvento sull’amore per la vita stessa e la ricerca di un senso etico: per paura di morire l’uomo sceglie di non vivere. A essere appagata è la pulsione di morte, che trova così espressione nella rinuncia alla vita reale.

(Ilaria Bifarini, estratto da “Lo scientismo come nuova religione”, dal blog della Bifarini del 10 luglio 2020; l’articolo originale è stato pubblicato su “Psicoanalisi e Scienza” il 4 luglio 2020).

FONTE: https://www.libreidee.org/2020/07/pura-magia-la-scienza-diventa-religione-negando-la-verita/

 

 

 

STORIA

Quando l’Italia era una colonia inglese

Un saggio rievoca trent’anni di ingerenze di Londra nella politica e nell’economia italiana. Soprattutto, il suo fastidio per “sovranisti”’ come Aldo Moro ed Enrico Mattei

Dopo Il golpe inglese (2011), Giovanni Fasanella, giornalista e autore di numerosi libri sugli anni del terrorismo e Mario José Cereghino, esperto di archivi anglosassoni, hanno appena dato alle stampe, sempre per l’editore Chiarelettere, Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano (pp. 483, euro 18,60).

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Grazie a un paziente lavoro d’archivio e in virtù di una legislazione, quella britannica, che consente già di avere accesso ai documenti classificati confidential, secret, top secret conservati negli archivi di stato di Ken Gardens, nei pressi di Londra, è oggi possibile disporre di un quadro assai interessante (e intrigante) della strategia messa in campo dalla Gran Bretagna verso l’Italia, a partire dal 1919 fino alla fine degli anni ’70.

Questo libro – scrivono gli autori nella prefazione – «si sofferma su una delle tante guerre che hanno condizionato la crescita del nostro paese. Quella tra l’Italia e la Gran Bretagna per il controllo del Mediterraneo e delle rotte petrolifere verso il Nord Africa e il Medio Oriente. Una guerra segreta, perché combattuta con mezzi non convenzionali tra nazioni amiche e, per una lunga fase della loro storia, persino alleate. Invisibile e impercettibile, ma non meno dura delle altre».

Una guerra non combattuta, quindi, con le armi tradizionali, ma – è questa la tesi di fondo del libro – con una intensa attività di intelligence e della diplomazia britannica con l’obiettivo di orientare e manipolare l’opinione pubblica italiana e condizionare i partiti di governo (e non solo) al fine di tutelare gli interessi strategici del Regno Unito.

Un condizionamento così intenso da offuscare, in alcune fasi, addirittura l’arcinota influenza nelle vicende interne italiane degli stessi Stati Uniti.

Se, infatti, quest’ultimi, nel secondo dopoguerra, hanno sempre riservato un’attenzione particolare per l’Italia in ragione della sua posizione strategica di confine con le propaggini dell’Impero sovietico e quindi della lotta al comunismo, per la Gran Bretagna le motivazioni dell’interesse per il nostro Paese sarebbero andate al di là delle pur importanti questioni di equilibri internazionali e avrebbero sconfinato nella difesa degli interessi nazionali, con particolare riguardo alle questioni dello sfruttamento del petrolio.

«In molte parti del mondo – si legge in un rapporto del ministero dell’Energia britannico dell’agosto 1962 – la minaccia dell’Eni si sviluppa nell’infondere una sfiducia latente nei confronti delle compagnie petrolifere occidentali […] a scapito degli investimenti e degli scambi delle imprese britanniche».

Per gli inglesi, l’Italia, paese uscito sconfitto nel 1945, non avrebbe avuto alcun titolo ad esercitare un’autonoma politica estera nel bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente. Una prerogativa che gli inglesi rivendicavano per loro, come contropartita per la vittoria nella seconda guerra mondiale

In buona sostanza, per gli inglesi l’Italia, paese uscito sconfitto nel 1945, non avrebbe avuto alcun titolo ad esercitare un’autonoma politica estera nel bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente. Una prerogativa che gli inglesi rivendicavano per loro, come contropartita per la vittoria nella seconda guerra mondiale.

Secondo Fasanella e Cereghino, la pressione sull’opinione pubblica italiana non si sarebbe limitata a una diffusa azione di convincimento di giornalisti e intellettuali della bontà delle posizioni inglesi, ma sarebbe sfociata in una «guerra senza quartiere a quella parte della classe dirigente italiana cosiddetta “sovranista” – i De Gasperi, i Mattei e i Moro, solo per citarne alcuni esponenti – che mal sopportava il ruolo di “protettorato” britannico e che, in nome dell’interesse nazionale italiano, “disturbava” Londra proprio nelle aree più strategiche, a cominciare da quelle petrolifere in Iran, Iraq, Egitto e Libia».

Dai documenti inglesi, emergerebbe, infatti, un interventismo nella politica italiana che si sarebbe spinto fino ad autorizzare black operations per intralciare sia i rapporti tra l’Italia e il mondo arabo sia l’ingresso dei comunisti nell’area di governo negli anni settanta.

Una lettura, dunque, di sicuro interesse e che porta certamente a riscorpire, con un chiave interpretativa nuova, una delle tante riflessioni di uno che di segreti se ne intendeva.

In un’intervista concessa alla rivista “Limes”, Francesco Cossiga, ministro dell’Interno all’epoca del caso Moro e poi Presidente della Repubblica, rispose infatti così a una domanda del suo interlocutore: «Io non mi meraviglierei […] se un giorno si scoprisse che anche spezzoni di paesi alleati […] avessero potuto avere interesse a mantenere alta la tensione in Italia […]

E quindi a tenere basso il profilo geopolitico del nostro Paese».

FONTE: https://www.linkiesta.it/2015/12/quando-litalia-era-una-colonia-inglese/

 

 

“Petrolio” e i misteri d’Italia. Forte: “Carlo? Sì, sono io”

L’economista, che lavorò all’Eni, racconta come è diventato il protagonista del romanzo incompiuto

Pasolini è stato assassinato il 2 novembre 1975 al Lido di Ostia. Come è noto, per il suo omicidio fu condannato Pino Pelosi, ragazzo di vita col quale il poeta quella notte si accompagnava. Molti però sostennero e sostengono che la morte di Pasolini sia legata al romanzo incompiuto al quale stava lavorando da anni: Petrolio. Ambientato nelle vicende dell’Eni tra la morte di Mattei e i primi anni Settanta, Petrolio aveva l’ambizione di dare un volto (e, fin dove possibile, un nome) al nuovo Potere, che stava trasformando l’Italia nella direzione omologante e repressiva descritta tante volte da Pasolini nei suoi ultimi articoli. Pasolini ucciso per aver scoperto qualcosa di troppo o perché si pensava che avesse scoperto qualcosa di troppo? Il mistero è ancora fitto.

Petrolio ha come protagonista un giovane dirigente dell’Eni, Carlo. Non è pura invenzione. «Carlo» infatti è ispirato a Francesco Forte, economista, nato a Busto Arsizio nel 1929. I lettori di questo giornale lo conoscono bene: è uno storico collaboratore. Il cursus honorum di Forte è infinito: basterà dire che è stato il successore di Luigi Einaudi alla cattedra di Scienza delle finanze a Torino. È stato deputato, senatore e ministro. Ha aderito al Psi dopo la svolta riformista. Forte però ha mantenuto sempre il profilo dello studioso, insegnando e pubblicando oltre 35 saggi. Diamo dunque la parola a Carlo, pardon: Francesco.

Professore, lei è Carlo, il protagonista di Petrolio di Pier Paolo Pasolini, il romanzo più discusso del Novecento?

«Sì sono Carlo, non è un segreto. Sono identificato in tutte le edizioni italiane, anche se nessuno ha approfondito. Negli appunti di Pasolini ci sono articoli di cronaca che mi riguardano. Si può dire che la prima parola del dattiloscritto sia il mio cognome, accompagnato dalla data in cui mi trovai al centro di una grossa polemica sull’Eni, così almeno nella edizione che è stata pubblicata negli Oscar Mondadori. Inoltre l’ho scritto io stesso, pochi anni fa, nella mia autobiografia. Naturalmente sono Carlo solo per alcuni aspetti. Carlo è innanzi tutto Pasolini stesso».

Lei ha fatto una lunghissima carriera dentro all’Eni, l’azienda petrolifera italiana. Come è iniziata?

«Nel 1953 risposi a un bando per consulenti esterni, con contratto part time, e diventai consulente petrolifero dell’Ufficio studi, con particolare riguardo ai problemi fiscali e al prezzo, internazionale e interno, in questo campo. Ogni tanto mi chiamava Enrico Mattei, nel suo ufficio all’ultimo piano, a Roma, in Via Lombardia. Io lavoravo al secondo, per circa due giorni, in mezzo alla settimana. Ma il mio referente principale era il vicepresidente Marcello Boldrini, ordinario di Statistica economica. Sarei diventato in seguito vicepresidente come lui e come lui mi dedicai in prevalenza all’aspetto scientifico-economico nella gestione dell’azienda. Però i bilanci li firmavo anch’io. E lì cominciarono i problemi».

Un attimo, ricapitoliamo. Lei dunque ha lavorato con Enrico Mattei, morto nel 1962 in seguito a un incidente aereo, uno dei grandi misteri italiani; con Marcello Boldrini, vice di Mattei e suo successore fino al 1967; con Eugenio Cefis, anch’egli ex braccio destro e poi successore di Mattei, dopo Boldrini, fino al 1971; e infine con Raffaele Girotti, prima direttore generale e poi successore di Cefis…

«Sì. È corretto. Boldrini era un professore, per quanto concreto. Cefis era già la figura di spicco nelle vicende strettamente economiche anche durante la presidenza Boldrini».

Perché lui e non Girotti?

«Mattei aveva lasciato una situazione finanziaria difficile. Cefis era un ottimo manager. Aveva capacità imprenditoriali. A Cefis pesava essere il manager di un’azienda pubblica, che non poteva posizionare sul mercato a suo completo piacimento. Nel 1971 provò a scalare, con l’avallo di Cuccia, la Montedison. Qualche anno dopo si ritirò a gestire le sue aziende private. Gli chiesi perché. Mi disse che alla mattina, quando si radeva, non vedeva nello specchio nulla che gli piacesse, doveva cambiare scenario».

Pasolini ha conservato soprattutto articoli di cronaca relativi al 1973. All’epoca lei era fortemente critico sulla gestione Girotti dell’azienda. Come mai?

«Avevamo visioni diverse su cosa fosse e come andasse governato l’Eni. Inoltre Girotti aveva la pretesa, per me inaccettabile, di comandare in solitudine. Io criticai la presidenza dell’Eni perché i bilanci non erano trasparenti, a causa dei fondi che rimanevano all’estero e non venivano consolidati nel bilancio ufficiale. Mi rifiutai di firmare. Diedi anche le dimissioni. Non furono né accettate né respinte. Mi spostarono altrove, a Tescon, ramo tessile dell’Eni. In un’intervista a un giornale statunitense dissi che ritenevo possibile ci fossero reati. Ne seguì un processo per calunnia, che finì male per chi lo aveva intentato. Si aprì un processo a carico dei vertici Eni, io venni chiamato come testimone. Il responsabile contabile dei bilanci truccati, quelli che non volli firmare, era Leonardo Di Donna, poco importante nella gestione Cefis, ma cruciale per quella Girotti».

Fu uno scontro duro, finì sul Corriere della Sera in prima pagina.

«Io combattevo contro la corruzione. La politica voleva utilizzare l’Eni come un portafogli per creare fondi neri. Non mi andava bene. Volevo anche chiarezza assoluta negli interessi di Eni nel campo dei giornali».

Cefis, come scrive qualcuno, era finanziatore occulto del Corriere dei Rizzoli, negli anni in cui vi scriveva Pasolini, che lei sappia?

«Più probabile che i soldi arrivassero da un altro gruppo, vicino alla P2, avverso a Cefis e interessato a partecipare alla guerra della chimica italiana».

Quindi lei da Pasolini è stato scelto perché era il buono che, come si intuiva dagli articoli di cronaca, si scontrava a vantaggio della trasparenza?

«Una vera risposta potrebbe darla solo Pasolini. Comunque chiariamo un aspetto. Le grandi aziende pubbliche sono un mondo complesso, dove ci sono scontri vivaci. Contrariamente a quanto si può pensare, non è sempre l’ideologia a distribuire i copioni. Non è facile stabilire chi è il buono e chi è il cattivo. Prendiamo l’Eni. Girotti non era un demonio. Aveva una visione superata rispetto a Cefis. Se Girotti ha assecondato le richieste di una certa parte politica, la Democrazia cristiana, è anche perché si trovava al centro di un sistema sbagliato, che non poteva e non sapeva come combattere. Era un ingegnere, capiva poco di conto economico, anche se aveva un’ottima conoscenza delle comunicazioni e dei metodi per sfruttarle, come del resto Cefis. Le tangenti, inutile fare le vergini, sono sempre state uno strumento per combattere le battaglie petrolifere sui mercati internazionali. Ma perché fare i fondi neri esteri, anziché i fondi esteri legali, e soprattutto perché piegarsi a richieste di piccolo cabotaggio, provinciali, distorsive per l’azienda? Questo non si può fare, pena la distruzione, sul lungo periodo, dell’azienda stessa. A questo mi sono opposto. La quotazione in Borsa, che obbliga alla trasparenza, ha salvato Eni, per fortuna».

Carlo è descritto come un uomo moderatamente di sinistra, estremamente colto e buon credente: si riconosce in questo ritratto?

«Mio zio Carlo Gray, magistrato, era anche un importante filosofo del diritto, e aveva curato l’edizione nazionale delle opere di scienza politica di Rosmini. Quando a metà degli anni Cinquanta insegnavo Scienza delle finanze alla Statale di Milano, come supplente di Ezio Vanoni, ero anche docente di questa disciplina alla Cattolica nei corsi serali, ero un economista liberal-socialista, vicino alla Cisl, avevo collaborato con Vanoni al suo piano, avevo scritto sulla rivista Aggiornamenti sociali diretta da padre Rosa, sulla nazionalizzazione elettrica e sulla congiuntura economica, ero poi stato consulente di Emilio Colombo, Arnaldo Forlani, Donat Cattin. Quindi direi sostanzialmente di sì, mi riconosco».

Il cattivo in Petrolio è Cefis. Di fatto si insinua sia lui il mandante dell’omicidio Mattei…

«Petrolio è un libro incompiuto, molto stratificato dal punto di vista cronologico, almeno questa è la mia impressione. Carlo sono io ma è anche e soprattutto Pasolini. Ovviamente ci sono alcune somiglianze e molte discrepanze tra me e i due Carli. Mi chiedo perché, in qualche misura, Pasolini si sia identificato in me».

E Cefis?

«Non credo alla versione Cefis mandante dell’omicidio Mattei. Cefis non c’entra. Cefis ammirava Mattei. Non so se fosse Cefis a condividere la visione di Mattei o il contrario. Fatto sta che Mattei si fidava di Cefis. Pasolini è stato depistato».

Da chi?

«Da qualche fonte Eni, a me sconosciuta. Cefis era un eccellente manager. Tenga conto che non aveva una formazione economica, come ufficiale di carriera. Eppure ne aveva una ottima comprensione, gli bastavano i numeri fondamentali, gli economisti direbbero i parametri, per capire la direzione da prendere. Si prestava a chiacchiere. Aveva una istruzione militare, anche per questo era gradito a Mattei, che apprezzava quel tipo di disciplina e mentalità. Certamente sapeva come ottenere informazioni e come utilizzarle. Ma non deve equivocare. Nella guerra partigiana, Cefis era stato il luogotenente di Mattei, inoltre era un uomo rispettato per le sue capacità nel campo della finanza. Era anche temuto, come può essere temuta una persona molto potente e molto riservata quale era. Ma fu il mandante dell’omicidio di Mattei? No. In compenso, perfino a qualcuno di Eni, poteva risultare comodo insinuare la responsabilità di una figura così misteriosa. E autorevole, a differenza di altri venuti dopo di lui».

Quale è la pista giusta, allora?

«Guardi che Pasolini aveva capito benissimo. Quelle parti sulla mafia, e sugli interessi francesi e americani che Mattei aveva messo in discussione… Quella è quasi la strada da seguire. Legga attentamente Petrolio. Pasolini intuisce, o forse sa: attentato mafioso su imbeccata dell’Oas, che svolgeva funzioni di servizio segreto deviato francese. Qualche studioso o commentatore chiama in causa anche la Cia: non è plausibile. Mattei stava organizzando un accordo con le multinazionali americane, lo avrebbe portato a casa di sicuro. Tra l’altro gli Stati Uniti erano rivali della Francia in quello scenario, se Mattei voleva mettere un piede in Algeria, tanto meglio per gli Usa… A un certo punto Pasolini si fissa su Cefis. Sarebbe interessante, ma è una questione filologica alla quale non so rispondere, capire come si intrecciano cronologicamente queste due diverse piste sulla scrivania di Pasolini».

Può esserci stato un balletto di manine intorno alla scrivania di Pasolini per spingerlo in una direzione invece che un’altra?

«Questo non lo so. Sono ipotesi. Una cosa si può dire. Graziano Verzotto, accostato agli omicidi di Mattei e Mauro De Mauro, aveva aiutato a concludere accordi petroliferi in Algeria, aveva rapporti stretti con l’Oas e aveva forse rapporti con la mafia, mai chiariti nonostante il suo nome affiori più d’una volta nel processo a Totò Riina, indagato per la presunta uccisione del giornalista Mauro De Mauro, che si occupava proprio dell’omicidio Mattei. Per carità: non ci sono prove contro Verzotto. Egli era un senatore democristiano, originario del Veneto, ex partigiano e capo delle pubbliche relazioni dell’Eni in Sicilia. Ha sempre detto e scritto di amare Mattei. Lo cito perché devo far osservare un fatto. Il libro che accusa Cefis, Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz fu pubblicato dall’Agenzia Milano Informazioni di Corrado Ragozzino, di cui Steimetz è forse pseudonimo. La casa editrice era finanziata da Graziano Verzotto. Quel libro finisce sul tavolo di Pasolini. Per il resto posso ipotizzare che lo scrittore avesse fonti interne all’Eni. La pista Cefis a mio avviso viene dall’interno dell’Eni dove Cefis, in realtà legato a Mattei, era un fantasma ingombrante».

Ma cosa si diceva all’epoca, all’Eni, della morte di Mattei?

«Voci. Mafia come esecutrice. Troppe stranezze nel giorno dell’omicidio. Non era la prima volta che l’aereo era stato manomesso. Faccio un passo indietro, ho testimonianze di prima mano sul fatto che la pista mafia-Oas sia corretta. Riassumo un episodio, l’ho raccontato per esteso nella mia autobiografia. Nel 1962, era la fine dell’estate, l’Algeria era appena diventata indipendente, vengo messo al corrente di una operazione, nella quale sono coinvolto, da tenere assolutamente riservata…»

Aspetti professore, non lo riassuma. Mi lasci ripubblicare quel capitolo insieme con questa intervista.

«D’accordo».

Le carte su Cefis arrivavano a Pasolini dallo psichiatra Elvio Fachinelli, che aveva studiato a Pavia.

«Sì. Fachinelli era un’amicizia in comune tra me e Pasolini».

Lei ha conosciuto Pasolini?

«No».

Ma allora…

«Allora il tratto d’unione era Fachinelli. Il quale però era ossessionato da Cefis, evidentemente. Il cattivo non era Cefis. Però, come dicevo prima, a mio avviso Pasolini aveva anche una fonte interna all’Eni».

Lei come conosceva Fachinelli?

«Ambiente universitario pavese. Abbiamo entrambi studiato in collegio, io ero al Ghislieri. Fachinelli era più vecchio di un anno. Io sono sempre stato legato a Pavia, anche dopo aver terminato gli studi, in quanto lì divenni assistente ordinario di Scienza delle finanze. Non era difficile incontrarsi e conoscersi. Anzi, in una piccola città come Pavia era difficile non incontrarsi e non conoscersi».

Pasolini descrive Carlo in modo accurato…

«Sì, in qualche pagina sono davvero somigliante, perfino nell’abbigliamento e nella pettinatura. Credo abbia visto qualche foto sui giornali, o forse è stato tra il pubblico, nei convegni».

Pasolini descrive anche le case sue e dei suoi parenti in Piemonte?

«Il mio legame con Torino discende dal fatto che ho avuto la cattedra di Luigi Einaudi, e sono stato nel comitato scientifico della Fondazione Einaudi, insieme con personaggi di grande rilievo come Norberto Bobbio. Ma io sono lombardo».

Sì ma le case…

«Ci sono forti somiglianze, almeno in un caso. So cosa sta per chiedermi. Prevengo la domanda: no, Pasolini ovviamente non può esserci stato».

Ma allora?

«Allora, potrebbe aver letto il mio Introduzione alla politica economica, uscito per Einaudi. All’inizio c’è una nota in cui menziono mio zio Carlo Gray, a cui è dedicato il libro».

Carlo?

«Carlo, che tra l’altro è anche il nome del padre di Pasolini. Mio zio Carlo allestì per me una biblioteca nel palazzo Pitoletti a Crema. Era una gigantesca raccolta di testi giuridici ed economici, collocata in questo meraviglioso palazzo di famiglia seicentesco, palazzo di un’aristocrazia poi entrata in crisi. Tutto questo potrebbe riflettersi nelle case avite di Carlo, collocate in Petrolio nel Canavese. Vede, anche mia nonna produceva un liquore, non un vino come in Petrolio, riservato a me. Ma ripeto: Pasolini non c’è mai stato e il dettaglio, per quanto sorprendente, sarà casuale. La mia casa di campagna, tra l’altro, era in realtà una casa di montagna a Cervinia. In compenso mi sono fatto un’idea del perché collochi la casa nel Canavese».

Ovvero?

«È un fatto tutto letterario. Doveva essere la casa borghese di quella che Pasolini chiamava la vecchia Italia, non sarà un caso che Petrolio sia pieno di citazioni da Guido Gozzano. La Agliè di Gozzano è nel Canavese».

Qual era la tesi del suo manuale, che fu anche un successo editoriale?

«Economia sociale di mercato, per dirla in maniera stringata. Le aziende pubbliche hanno la funzione di stimolare e indirizzare il mercato. La politica fa le regole ma non può allungare le mani e servirsi a piacimento delle aziende. Altrimenti degenerano. Quello che è successo in Italia».

Secondo Lei, Pasolini è stato assassinato in relazione al caso Mattei? Sapeva qualcosa di troppo o si pensava sapesse qualcosa di troppo?

«Mah. Io consiglierei di allargare il quadro: ci metta non solo il caso Mattei, ma anche le vicende Eni degli anni Settanta, in particolare successive alla crisi petrolifera del 1973, che generò un grande rialzo del prezzo del barile di petrolio. Il rialzo consentiva alle imprese che vendevano petrolio in Italia, ma avevano quote di pozzi nei Paesi petroliferi, di fatturare all’importazione al prezzo di mercato, tenendo all’estero i fondi in nero. Ciò valeva anche per il gasdotto Eni con l’Urss su cui vi era una tangente del 6 per cento che andava pro quota al Pci. Veda il libro Oro da Mosca di Valerio Riva. A parte questo, c’è tanto da capire. Sono molte le morti misteriose per suicidio-omicidio legate all’Eni, anche in anni più recenti: caso Castellari, direttore generale partecipazioni statali; caso Cagliari, presidente Eni; caso Gardini, presidente Ferruzzi-Enimont. Povero Pasolini, si fece passare la sua uccisione come un fatto sessuale-omosessuale, ma potrebbe essere stato un fatto di origine politico-finanziaria, con radici internazionali».

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/petrolio-e-i-misteri-ditalia-forte-carlo-s-sono-io-1897165.html

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