RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 18 OTTOBRE 2021

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

18 OTTOBRE 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

L’ambizione è la morte del pensiero.

ELIAS CANETTI, Il cuore segreto dell’orologio, Adelphi, 1987, pag. 58

 

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SOMMARIO

DOVE FINIRÀ IL TOTALE DEGLI STIPENDI GIORNALIERI NON EROGATI AI NON VACCINATI?
I tre pilastri del decennio: CAOS biologico, CAOS ecologico, CAOS metereologico
Il Mondo è nel caos: 6 motivi per fare scorta di pasta e legna
COVID – I 30 aspetti assolutamente da conoscere
Riflessioni sparse sul tempo presente
“Italia, esperimento sociale”: come il Washington Post vede il nostro paese
IL VERO FASCISMO STRISCIANTE E SUBDOLO DELLA SINISTRA.
Assalto alla CGIL voluto dal Viminale, ecco perché il fascismo non c’entra
Se la nuova guerra fredda riporta l’America alle origini 
E Blok colse la poesia amara del crollo dell’impero russo
L’ex capo del Mossad sbalordisce il pubblico ammettendo che l’Iran “non è nemmeno vicino” alla bomba nucleare
La psicologia delle masse e la violenza dei media
L’attacco diretto a RadioRadio. Chi non si conforma viene schiacciato
NADEF: cos’è? Significato e importanza del termine
La prima NADEF di Mario Draghi
Il paradosso del futuro: più per ciascuno, meno per tutti
Manifestare diventa crimine
Il sindacato quando scenderà in piazza per i lavoratori?
SONO I GOVERNI LA MINACCIA, NON IL CLIMA
Contesti il green pass? Allora sei fascista
Perché mezza Italia e forse più non è antifascista
Famola strana: la dittatura all’italiana
Maria Antonietta

 

EDITORIALE

DOVE FINIRÀ IL TOTALE DEGLI STIPENDI GIORNALIERI NON EROGATI AI NON VACCINATI?

Dove finirà il totale degli stipendi giornalieri non erogati ai non vaccinati?

A partire dal 15 ottobre 2021 scatta il mancato pagamento dello stipendio per ogni giorno di assenza dei non vaccinati. Essi sono un totale del 20 per cento della popolazione. Dedotti i pensionati, i bambini e i vaccinati ritardatari in attesa del marchio elettronico vaccinale, i non pagati saranno circa sei milioni. Sulla base di questo ragionamento, mi viene immediatamente in mente un quesito: dove finiranno i soldi rivenenti dal mancato pagamento delle giornate di lavoro dei non vaccinati? Nei primi giorni, ci saranno flussi ingenti di mancati pagamenti di stipendi e salari da parte delle aziende. Ci sarà un alleggerimento da parte dell’Inps nella corresponsione dei relativi contributi legati alle giornate di assenza. Si tratterà di milioni di euro non pagati! Ci sarà qualche giornale che porrà in evidenza questa eventualità? Ritengo di no. Adesso i corifei dell’informazione pastorizzata ed elogiativa di ogni azione di governo non ne deve parlare né credo che sia di loro interesse: tutto deve andare bene!

Per dare a questo sospetto una visione leggibile, consideriamo una mancata corresponsione media di 130 euro per circa sei milioni di lavoratori senza lasciapassare elettronico. La cifra risultante è circa 780 milioni di euro giornalieri! Per i primi giorni tale cifra sarà piena per poi scendere gradualmente e per almeno 15 giorni successivi. Come è intuibile, si tratta di importi rilevanti. Ad essi va aggiunto il valore totale dei mancati accantonamenti dell’Inps che è almeno il 40 per cento delle somme non erogate dalle imprese pubbliche e private ai reprobi del vaccino! Il calcolo è piuttosto approssimativo ma lascia a bocca aperta. Potrebbe venire il sospetto che l’inefficienza e i ritardi nella comunicazione del codice verde alla popolazione sia rallentato apposta?

Per chi fa finta di non capire, aggiungo e insisto: le multe e il mancato pagamento dei giorni di assenza, peraltro non calcolati ai fini della pensione, contro i lavoratori che non hanno il marchio elettronico tecno-farmaceutico che partiranno da oggi 15 ottobre 2021, costituiranno un fondo occulto che risarcirà le parti datoriali che – dopo una breve schermaglia di indignazione e finta ribellione, di partiti che si stracceranno le vesti per il tampone libero e gratuito – si caricheranno la spesa dei tamponi, nel timore di una risposta dura della popolazione, sulla scorta di un successivo compromesso con il governo? Nulla in politica è irrevocabile. Il superpretoriano, nel suo ignobile ruolo di curatore fallimentare della ex-Italia, se ne dovrà fare una ragione, anche se adesso recita il ruolo del kattivissimo duro e puro. Dopo un breve tira e molla, arriveremo all’accordo, magari non troppo pubblicizzato? I soldi ci sono, e tanti. Sarà facile… Diceva Oscar Wilde che “Le domande non sono mai indiscrete. Lo sono, talvolta, le risposte.”

FONTE: https://www.opinione.it/societa/2021/10/18/manlio-lo-presti_marchio-elettronico-vaccinale-giornate-di-lavoro-non-vaccinati-codice-verde-superpretoriano-oscar-wilde/

 

 

IN EVIDENZA

I tre pilastri del decennio: CAOS biologico, CAOS ecologico, CAOS metereologico

Naturalmente ognuno di questi pilasti trascina in un effetto interpolato altre conseguenze caotiche in tutti i sottosistemi interrelati.

Ad esempio, il caos mediatico, geopolitico ed economico, oppure quello dei servizi digitali (pensiamo allo spauracchio degli “attacchi hackers”, al furto di identità digitali o all’uso strumentale illecito nel “minaggio” dei dati come quella volta che google è stata pizzicata mentre sottraeva dati dai computer nelle case dei privati cittadini con tecnologie wireless di pirataggio mentre girava con la macchina “google street view”) e degli approvvigionamenti di beni essenziali. Tra i vari “sotto-effetti caotici” importanti possiamo ricordare ad esempio la sostituzione della moneta fisica con quella digitale (rendendo di fatto inutile il principio stesso della “creazione di moneta” che infatti diventerà un sistema di crediti sociali alla “cinese”: i tuoi “soldi” valgono solo se le tue azioni e i tuoi pensieri saranno valutati come adeguati da gente in stile “drago”).

I tre pilastri reggono un tripode tecno alieno (che ci ricorda un poco “La Guerra dei Mondi”) che cammina sulla terra spargendo veleni e pestilenza a livello globale, facendo venire meno spazi dove rifugiarsi. Cerchiamo di capire meglio perché possiamo considerare questi “CAOS” di ordine e grado superiore agli altri.

Quello biologico è un caos che riguarda in generale la vita e quindi ha al suo centro la perturbazione dell’ordine genico della biosfera. La biosfera si regge su cardini particolari ed equilibri omeostatici (quindi complessi) che si sono stabilizzati in ere geologiche nelle forme che oggi osserviamo, non senza essere passati però attraverso vari periodi di sterminio, dimostrando ogni volta una resilienza tenace, soprattutto nel rinnovarsi e ripopolare il pianeta dopo le estinzioni di massa.

Per chi poi procede nell’esoterico (ma un esoterista direbbe “che vede chiaro”, cioè osserva e constata) rimane scontato che i periodi ciclici non riguardano solo le ere geologiche e le estinzioni di massa “naturali”, ma anche periodi in cui l’umanità ha vissuto il suo apice e poi la caduta e ce ne sarebbero state almeno altre tre di queste “ere antropologiche” prima di questa, ognuna culminata in una specifica “estinzione antropica” (cioé che riguarda l’Uomo e la conseguenza delle sue azioni, relativa all’Uomo e al suo intelletto).

Quando pensiamo al passato e agli animali mostruosi e mitologici che lo hanno popolato, come ad esempio al Minotauro, cosa può differenziare quelle “fantasie” da sperimentazioni biotecnologiche uscite fuori controllo? Potremmo infatti tranquillamente ipotizzare, alla luce della consapevolezza moderna, che non è stata la prima volta che abbiamo “giocato con il fuoco della Vita” e abbiamo finito per scottarci, cioè sconvolgere gli ordini biologici al punto da rischiare di “bloccare” il meccanismo vitale di interdipendenza che li sorregge e li rende possibili entro la biosfera, lasciando poi strascichi di quelle perturbazioni che hanno continuato a dare frutti “perturbati” fino “l’altroieri” (in termini di tempo geologico).

Chiaro, è solo un ipotesi non dimostrata e forse che rimarrà non dimostrabile, ma comunque coerente.

Il CAOS ecologico è simile ma non sovrapponibile a quello biologico. Riguarda gli ecosistemi che sono sotto-ordini della organizzazione globale della biosfera. Per capirci, certi meccanismi che riguardano lo spostamento di sabbia nei deserti per effetto del vento che porta le particelle più sottili nell’alta atmosfera, si riversano poi negli oceani e costituiscono una base alimentare per una quantità vastissima di vita oceanica essenziale. Quindi i deserti dell’entroterra, con scarsità d’acqua e di vita per le condizioni proibitive che offrono, diventano però un elemento essenziale per la ricchezza e la biodiversità della vita marina. Gli ecosistemi quindi includono meccanismi metereologici (e geologici) nei sistemi vitali, tali per cui da essi dipende “un certo ambiente” che diventa “selettivamente adatto” a un tipo di vita e non ad un altro. Ad esempio rendono possibile certa vita estremofila nelle caldere sottomarine.

Ma se io comincio a giocare con la metereologia mentre sconvolgo l’ordine genico, è ovvio che anche l’ecosistema entra in una spirale critica e iniziamo a vedere effetti diretti ovunque. Uno per tutti lo sbiancamento delle barriere coralline dovuto all’inacidimento delle acque marine, per effetto delle piogge acide (di cui oggi non si parla più in favore del “non problema” CO2 ma che è un fenomeno tutt’altro che esaurito).

In buona sostanza queste turbolenze, questi pilastri del CAOS che scuotono a caduta tutti gli altri sottosistemi terrestri che dipendono da questi, in primis quelli da cui l’Uomo dipende, non sono dovuti ad altro che alla costante “distrazione” o “catalizzazione” dell’attenzione verso non problemi o problemi marginali di nessun impatto significativo.

Quindi si parla di sieri genici per combattere le malattie, certo, ma non di ciò che essi rappresentano, cioé la possibilità di intervenire a prescindere sul genoma di qualsiasi forma di vita per ottenere praticamente un qualunque risultato voluto (ed in ordine esponenzialmente superiore gli effetti indesiderati) in infiniti modi diversi (perchè è la tecnologia sottostante che lo permette ma non la sappiamo ancora gestire, non conosciamo il suo impatto sulla struttura vitale planetaria). Per capire meglio, immaginiamo una stanza riempita con un complesso origami di carta che occupa ogni singolo centimetro dell’intero volume e diamo in mano a un pazzo un paio di fornici estensibli dicendogli di tagliuzzare SOLO “il centro” dell’origami, per fare spazio (perfettamente inutile): quante possibilità ci sono che nel tentare faccia danni al resto dell’origami? Infinite. Quante che ottenga “solo l’obbiettivo” senza esperienza? Praticamente nessuna, perché anche riuscisse sarebbe “puro culo”, una specie di vincita all’otto che poi non garantisce però il successo a un differente tentativo. Ci potremmo chiedere perché dovremmo quindi fare una cosa così pazzesca come tagliuzzare il DNA stabile rendendolo instabile e per vedere che effetto fa qua e là come la creatività comanda. Semplice, perché è una tecnica straordinariamente complessa e può essere gestita quindi da poche persone molto specializzate. Quindi rende queste poche persone che dominano la tecnologia “padrone” dei vantaggi millantati (che ripeto sono assolutamente finti, falsi, inutili nel migliore dei casi). Poi ovviamente c’è l’effetto a spirale: se la tecnologia può riparare i danni che provoca, provochi i danni e poi con la stessa li ripari. Non necessariamente “apposta”, bastano gli effetti non voluti e imprevisti del “fuoco amico”. Magari la riparazione ne crea al contempo altri che poi si dovranno riparare e così via senza soluzione di continuità.

Quindi si parla di fonti rinnovabili per il comparto energetico, senza spiegare da dove diamine si dovrebbe ricavare l’energia per la produzione delle infrastrutture che non può in nessun caso derivare dalle stesse fonti rinnovabili perché se no la somma algebrica produttiva di energia risulterebbe grottescamente negativa. Quindi si ripete la necessità di introdurre soluzioni (perfettamente inutili) a non problemi inventati di sana pianta e che si autoalimentano: più produco rinnovabili, più avrò bisogno di energia per produrre rinnovabili e via così in un altra spirale depressiva.

Poi si parla di CO2 come problema di riscaldamento globale e lo si collega alla questione climatica. Peccato che la CO2 ha peso atomico tale per cui non sta in alto, ma a terra, a livello delle piante che infatti se ne cibano da milioni di anni. A casa mia se lo scudo di gas non sta in cielo, non c’è e basta. Quindi di nuovo, abbiamo un non problema che genera una soluzione (perfettamente inutile) quale ad esempio il controllo climatico, per via del “cloud seeding”, magari perché no con nanotecnologie che così ricadendo al suolo poi avranno un impatto tutto da misurare in futuro.

Potremmo continuare così all’infinito, ogni aspetto si ripete e si ripete allo stesso identico modo perché è aggredito sistematicamente sempre nello stesso modo. Per esempio, un altro caso curioso è “la soluzione digitale” ai problemi economici del pianeta e uno dei suoi aspetti, la soluzione della dematerializzazione cartacea come risposta alla deforestazione. Di nuovo abbiamo non-problemi o deviazioni verso problemi non significativi di veri problemi che poi trovano (per questo) soluzioni perfettamente inutili. In questo caso ad esempio la deforestazione non può dipendere dalla rimozione dell’idustria della carta dal panorama produttivo se uno dei problemi principali è la produzione intensiva di olio di cocco. Se infatti non ve ne siete accorti all’improvviso l’intera industria si è data “con tutta la sua animaccia nera” all’uso massiccio di olio di cocco per produrre qualsiasi cosa sia considerabile commestibile, anche quello che non sarebbe nemmeno logico abbia quell’ingrediente. Questo perché il mercato è stato invaso da questo prodotto che ha soppiantato praticamente qualsiasi altro uso industriale di massa dell’olio per uso commestibile (e di pari passo abbiamo visto sparire per effetto dell’aumento dei costi, gli olii nobili come quello di oliva) ma al costo di aver sostituito spaventose quantità di “foresta” con coltivazioni intesive di palma, che hanno azzerato la biodiversità di zone dalle dimensioni sterminate. Ma siccome sono di proprietà di chi poi deve venderti la favoletta del pianeta che si riscalda, meglio tacerlo perché il problema, lo sanno anche i bambini oramai e ce lo conferma gretina, è la CO2!!!

In buona sostanza quindi quello che stiamo osservando è il tentativo disperato di una certa élite di calvalcare l’onda delle nuove tecnologie per non sparire dalla storia, dato che la loro sopravvivenza è direttamente minacciata dalle innovazioni tecnologiche (di cui hanno il controllo produttivo ma non degli effetti socio-culturali) e magari rimanere saldamente in sella così come accaduto negli ultimi millenni, cioè per conservare lo status e magari inchiodarlo per il futuro in una situazione “inamovibile” e “imperitura”. Come? Semplice, “ordo ab chao”, è per un ordine che necessita di rifondare la base della vita stessa contraria alla sopravvivenza fittizia dei privilegi di questa élite, non può che venire programmato un caos che scuota la vita “nemica” fin nelle sue fondamenta.

Quindi non è il trasumanesimo che questi hanno adottato come filosofia per migliorare l’Uomo, ma è l’egoismo e la fanatica, cieca devozione a mammona che ha deformato il transumanesimo adottandolo come capriccio ad esclusivo uso e consumo della volontà di conservare il culo nelle poltrone giuste.

Peccato che piani disperati generino da sempre solo grottesche follie di cui poi finiamo tutti per pagarne un costo assurdamente salato.

In cambio di niente che non fosse evitabile con un poco di saggezza.

FONTE: https://comedonchisciotte.org/forum/spazio-aperto/i-tre-pilastri-del-decennio-caos-biologico-caos-ecologico-caos-metereologico/

 

 

Il Mondo è nel caos: 6 motivi per fare scorta di pasta e legna

“Al tuo posto, se proprio ti piace tanto, farei scorta di pasta e comprerei qualche stufa che non sia alimentata a gas o con la corrente elettrica“. Giuseppe, un mio caro amico che lavora alla city di Londra, mi ha appena lanciato questo macigno addosso. Stavamo parlando dei grossi problemi di approvvigionamento registrati in Gran Bretagna quando lui, entrando nella discussione a gamba tesa mi ha detto: “Mica penserai che non accadrà anche da voi in Italia? Da noi i problemi sono solo arrivati prima”. Non faccio in tempo a chiudere la telefonata che mi raggiunge un messaggio di Giovanni, un caro amico di Gemona. Mi invia un link. AlfaRomeo, dal 2023 le auto saranno prodotte in caso di richiesta”. Pensate solo a quanto passerà dall’aver ordinato un’ auto ad averla pronta per essere usata.

“Dove cavolo sta andando il Mondo”? Mi chiede Giovanni.

Se lo sapessi? Mi verrebbe voglia di rispondere. Poi mi soffermo un pò sui miei pensieri e cerco di metterli assieme nell’ordine giusto. Alla domanda di Giovanni mi sono arrivati mille input, ho fatto congetture, ho immaginato scenari. Poi mi sono posto una domanda diversa:” quanti si stanno rendendo conto davvero di cosa stia accadendo fuori dalle nostre case? Chi si rende conto davvero del profondo moto di trasformazione sociale ed economica in cui, nostro malgrado, stiamo precipitando? E allora parto dall’inizio, cerco di mettere in fila la casistica di eventi che stanno cambiando le nostre vite. Cerco di orientarmi in mille meandri che sembrano disconnessi tra loro ma che, invece, proprio perché legati a filo doppio, stanno creando l’”ordito” di una nuova trama che si può intravedere e raccontare. Il problema è legato alla catena produttiva mondiale.

L’incubo dell’interruzione della catena di approvvigionamento che affligge l’economia globale da oltre un anno sta cominciando a far sentire i propri effetti in maniera sempre più violenta. Immaginate scaffali vuoti, nessuna fila alle casse, enormi ritardi di spedizione, ed ancor più enormi ritardi di ricezione. Niente benzina ai distributori che rimangono chiusi, prezzo del gas e del petrolio che salgono alle stelle, proprio alla viglia dell’inizio della stagione fredda. Così qualcuno ipotizza anche una stretta sull’erogazione del gas stesso. Ma cos’è che sta generando tutto questo? Provo a spiegarlo con qualche esempio semplicissimo.

1.LA PANDEMIA HA BLOCCATO LE AUTOSTRADE.

La “Catena di produzione” è il vero volano dell’economia. Un bene viene prodotto, magari in una fabbrica, poi viene imballato, viene spedito, viene recapitato o direttamente a casa di un acquirente oppure in un negozio in cui verrà distribuito, per arrivare, così si spera, al consumatore finale. Ma cosa sta accadendo alla catena produttiva? Perché molti economisti cominciano a dipingere le prossime feste natalizie con scene che non ci appartengono e non ci possono appartenere? Perché manca la benzina in Inghilterra o si pensa che possano mancare gas e pane in Europa, anche nel nostro Paese, per i mesi a venire, soprattutto in quelli più freddi?

Immaginate la Supply Chain come una lunga autostrada a quattro corsie. A marzo del 2020 quest’autostrada è stata bloccata a causa di un grossissimo incidente: lo scoppio della Pandemia ed il relativo lockdown che ha fermato l’intero Globo. Il traffico è rimasto bloccato per ore e la fila che si è creata è quasi interminabile. Provate ad immaginare cosa è accaduto quando è stato rimosso l’incidente che ostruiva la strada. Le auto, piano piano, si sono rimesse in moto. Tuttavia, prima che le ultime riuscissero a ripartire, era già trascorso un mare di tempo ed i disagi si erano moltiplicati. E non sono terminati. Quei blocchi hanno creato discontinuità, hanno generato, involontariamente altri blocchi, alterando la catena produttiva precedentemente costituita. Pensate al tempo che ci è voluto e ci sta volendo per riaprire le fabbriche, gli uffici, le imprese. Inoltre i blocchi autostradali non sono stati rimossi definitivamente. Ogni tanto qualche interruzione per la Pandemia di qua e di là per il Mondo viene ancora praticata. Ma i blocchi così a lungo reiterati hanno portato in tanti a fallire e ciò che è fallito non produce più. L’acqua passata non macina più. Ce ne vuole della nuova.

2. LA CARENZA DI MATERIE PRIME.

Dall’energia agli alimenti, dal gas al petrolio, dai piselli ai fagioli e soprattutto al grano. Da una parte l’energia per riscaldarci e produrre, dall’altra l’energia per alimentarci e star bene. Il flusso produttivo che fa fatica a ripartire per i motivi che ci siamo detti prima è alla base delle “CARENZE” che stiamo sperimentando sulla nostra pelle. Ma non basta questo a giustificare quello che sta avvenendo. C’è dell’altro.

3. LA VIGOROSA RIPRESA ECONOMICA. Una volta finito il Lockdown mondiale, l’intero Globo sta correndo per recuperare il terreno perduto. Tanto per tornare all’esempio dell’autostrada di prima è come se tutti cercassero di passare davanti agli altri per recuperare al più presto. Ma questo ha finito per generare altri micro-incidenti di percorso. Troppa richiesta di produzione, in un periodo in cui la produzione era già a scartamento ridotto, ha finito per creare un ingolfamento ancor più grande.

4. LOGISTICA E CONCENTRAZIONE PRODUTTIVA. Naturalmente situazioni come quella che stiamo vivendo finiscono per sottolineare le mancanze e gli errori di strategia. La logistica così concentrata in pochi poli finisce per concentrare i problemi se uno dei poli finisce per avere difficoltà. Ma non basta. Del resto lo abbiamo scritto qualche tempo fa (leggi qui): i chip che fanno muovere ogni aggeggio elettronico, sono prodotti quasi da un’unica azienda di Taiwan: produce il 92% di tutto lo stock mondiale. Basta un niente per fermare il Mondo.

5. SCIACALLAGGIO.

Forse è il punto più infimo di tutto il discorso. Ma c’è chi ne approfitta. Succede in edilizia. Nascondono persino i ponteggi da impalcature per fare in modo che la spinta del Bonus 110 produca rincari sempre più forti. Chi fa incetta di grano e di materie prime aspettando che i prezzi salgano ancora per lucrare va punito.

6. IO SONO UN INGUARIBILE OTTIMISTA.

Usciremo da questo momento di difficoltà? Sicuramente. Ma ne usciremo diversi, profondamente cambiati. Saremo più sensibili alla sostenibilità, quella vera, vivremo in un Mondo più pulito, saremo più attenti alla nostra alimentazione, avremo meno C02 nei nostri polmoni e sulla nostra pelle. Staremo più attenti alla logistica dei nostri distributori. La medicina farà passi da gigante grazie all’accelerazione di questi mesi di ricerca sfrenata che condurranno ad altre scoperte e che renderanno più salubri le nostre vite. Ecco quello che succederà. Sarà un mondo su cui, proprio adesso, probabilmente già vale la pena di investire. E tanto.

SPERANZE, SUPERMERCATO E FERRAMENTA. Intanto, pur essendo un inguaribile ottimista stasera ho fatto un salto al supermercato. Comprare qualche decina di chili di pasta (adoro la pasta) non guasta. Ed insieme alla pasta, visto che mi ci trovo, porto a casa un pò di conserve di pomodoro, e qualche altro alimento in scatola. Poi sono passato in una ferramenta. Ho visto qualche stufetta a legna. Magari un paio le prendo. Del resto fanno anche un bell’effetto dal punto di vista dell’arredamento. Non si sa mai no?!

FONTE: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/il-mondo-e-nel-caos-6-motivi-per-fare-scorta-di-pasta-e-legna/

COVID – I 30 aspetti assolutamente da conoscere

off-guardian.org

Riceviamo un sacco di e-mail e di messaggi privati del tipo “avete una fonte per X?” o “potete indicarmi degli studi sulle mascherine?” o “so di aver visto un grafico sulla mortalità, ma non riesco più a trovarlo.” E lo capiamo, sono stati 18 lunghi mesi e ci sono così tante statistiche e dati da cercare e da tenere a mente.

Così, per far fronte a tutte queste richieste, abbiamo deciso di fare un elenco puntato e con fonti per tutti i punti chiave. Una sorta di “Bignamino.”

Ecco i fatti chiave e le fonti sulla presunta “pandemia,” che vi aiuteranno a capire cosa è successo nel mondo dal gennaio 2020, e vi potranno dare una mano ad “illuminare” i vostri amici ancora intrappolati nelle nebbie della Nuova Normalità

Parte I: “Decessi da Covid” & mortalità

1.Il tasso di sopravvivenza dalla “Covid” è superiore al 99%. I consulenti medici del governo avevano sottolineato, fin dall’inizio della pandemia, che la stragrande maggioranza della popolazione non è in pericolo di vita per la Covid.

Quasi tutti gli studi sul rapporto infezione-fatalità (IFR) della Covid hanno dato risultati tra lo 0,04% e lo 0,5%. Ciò significa che il tasso di sopravvivenza della Covid è almeno del 99,5%.

2. Non c’è stato alcun eccesso di mortalità fuori dalla norma. La stampa ha chiamato il 2020 “l’anno più mortale per il Regno Unito dalla Seconda Guerra Mondiale,” ma questa definizione è fuorviante perché ignora il massiccio aumento della popolazione avvenuto nel frattempo. Una misura statistica più significativa della mortalità è il tasso di mortalità standardizzato per età (ASMR):

In base a questi dati, il 2020 non è stato assolutamente l’anno con la peggiore mortalità, infatti dal 1943 solo 9 anni sono stati migliori del 2020.

Allo stesso modo, negli Stati Uniti, l’ASMR per il 2020 è ai livelli del 2004:

Per una ripartizione dettagliata di come la Covid ha influenzato la mortalità in Europa Occidentale e negli Stati Uniti, cliccate qui. Gli aumenti di mortalità che abbiamo visto potrebbero essere attribuibili a cause diverse dalla Covid [punti 7, 9 e 19].

3. I conteggi delle “morti da Covid” vengono gonfiati artificialmente. I Paesi di tutto il mondo hanno definito una “morte da Covid” come una “morte per qualsiasi causa entro 28/30/60 giorni da un test PCR positivo.”

I funzionari sanitari di Italia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Irlanda del Nord e di altri Paesi hanno tutti ammesso questa pratica:

Rimuovere ogni distinzione tra morire di Covid e morire di qualcos’altro dopo essere risultati positivi alla Covid ha portato, naturalmente, ad un numero eccessivo delle “morti da Covid.” Il patologo britannico John Lee, già la scorsa primavera, metteva in guardia su questa “sostanziale sovrastima.”  Anche altre fonti mainstream lo avevano riferito.

Considerando l’enorme percentuale di infezioni “asintomatiche” da Covid [punto 14], la ben nota prevalenza di gravi comorbidità [punto 4] e la possibilità di test falsi positivi [punto 18], questo rende i dati delle morti da Covid una statistica estremamente inaffidabile.

4. La stragrande maggioranza dei morti di covid ha gravi comorbidità. Nel marzo 2020, il governo italiano aveva pubblicato statistiche che mostravano come il 99,2% dei loro “morti di Covid” avesse almeno una grave comorbidità.

Queste includevano cancro, malattie cardiache, demenza, Alzheimer, insufficienza renale e diabete (tra le altre cose). Oltre il 50% di questi pazienti aveva tre o più gravi condizioni preesistenti.

Questo modello si è mantenuto in tutti gli altri Paesi nel corso della “pandemia.” Una richiesta FOIA dell’ottobre 2020 all’ONS del Regno Unito ha rivelato che, in quel momento, meno del 10% delle morti ufficiali “per Covid” aveva Covid come unica causa di morte.

5. L’età media delle “morti per Covid” è superiore all’aspettativa di vita media. L’età media di una “morte per Covid” nel Regno Unito è di 82,5 anni. In Italia è di 86. In Germania, 83. In Svizzera, 86. In Canada, 86. Negli Stati Uniti, 78. In Australia, 82.

In quasi tutti i casi, l’età media di una “morte da Covid” è superiore all’aspettativa di vita per quella nazione.

Come tale, nella maggior parte del mondo, la “pandemia” ha avuto poco o nessun impatto sull’aspettativa di vita. All’opposto dell’influenza spagnola, che, negli Stati Uniti, aveva causato un calo del 28% dell’aspettativa di vita in poco più di un anno [fonte].

6. La mortalità da Covid segue passo passo la curva della mortalità naturale. Studi statistici del Regno Unito e dell’India hanno dimostrato che la curva dei “decessi da Covid” segue quasi esattamente la curva della mortalità naturale:

Il rischio di morte “da Covid” segue, quasi esattamente, il rischio di fondo di morte in generale.

Il piccolo aumento per alcuni dei gruppi di età più avanzata può essere spiegato da altri fattori [punti 7, 9 & 19].

7. C’è stato un massiccio aumento nell’uso di DNR “illegali”. Commissioni di vigilanza e agenzie governative negli ultimi venti mesi hanno riportato un enorme aumento delle direttive di non rianimazione (DNR).

Negli Stati Uniti, gli ospedali hanno preso in considerazione “DNR universali” per ogni paziente positivo alla Covid, e molti infermieri hanno denunciato a New York l’abuso del sistema DNR.

Nel Regno Unito c’è stato un aumento “senza precedenti” dei DNR “illegali” per i disabili; gli studi medici hanno inviato lettere a pazienti non terminali, raccomandando loro di prefirmare ordini DNR, mentre altri medici hanno firmato “DNR a tappeto” per intere case di riposo.

Uno studio dell’Università di Sheffield ha scoperto che oltre un terzo di tutti i “sospetti” pazienti Covid avevano un DNR allegato alla loro cartella clinica entro 24 ore dal ricovero ospedaliero.

L’uso generalizzato di ordini DNR forzati o illegali basterebbe, da solo, a spiegare gli aumenti di mortalità nel 2020/21. [Fatti 2 & 6].

 

Parte II: Lockdown

8. I lockdown non impediscono la diffusione della malattia. Ci sono poche prove (o nessuna) che i lockdown abbiano  un qualche effetto nel limitare le “morti di Covid.” Se si confrontano le regioni che hanno imposto i lockdown con quelle che non l’hanno fatto, non si vede alcuna differenza

“Morti da covid” in Florida (nessun lockdown) e quelli in California (lockdown)
“Morti da Covid” in Svezia (nessun lockdown) e nel Regno Unito (lockdown)

9. I lockdown uccidono. Ci sono evidenti prove che i lockdown – producendo danni sociali, economici e di salute pubblica – sono più letali del “virus.”

Il dottor David Nabarro, inviato speciale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Covid-19, nell’ottobre 2020 aveva descritto i lockdown come una “catastrofe globale”:

“Noi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità non sosteniamo i lockdown come mezzo primario di controllo del virus[…] sembra che potremmo avere un raddoppio della povertà mondiale entro il prossimo anno. Ci potrebbe anche essere un raddoppio della malnutrizione infantile […] Questa è una terribile, spettrale catastrofe globale.”

Un rapporto dell’ONU dell’aprile 2020 avvertiva che 100.000 bambini avrebbero potuto morire per le conseguenze economiche dei lockdown, mentre altre decine di milioni avrebbero probabilmente dovuto affrontare povertà e carestia.

Disoccupazione, povertà, suicidi, alcolismo, uso di droghe e altre crisi sanitarie sociali/mentali stanno aumentando in tutto il mondo. Mentre gli interventi chirurgici e gli screening mancati e ritardati causeranno nel prossimo futuro un aumento della mortalità per malattie cardiache, cancro ecc.

L’effetto dell’isolamento spiegherebbe i piccoli aumenti della mortalità in eccesso [Punti 2 e 6].

10. Gli ospedali non sono mai stati più affollati del solito. L’argomentazione principale a difesa dei lockdown è che “appiattire la curva” impedirebbe un rapido afflusso di casi e proteggerebbe i sistemi sanitari dal collasso. Ma la maggior parte dei sistemi sanitari non è mai stata vicina al collasso.

Nel marzo 2020 era stato riferito che gli ospedali in Spagna e in Italia erano strapieni di pazienti, ma questo accade in ogni stagione influenzale. Nel 2017, gli ospedali spagnoli erano al 200% della capacità, e, nel 2015, i pazienti erano arrivati a dormire nei corridoi. Un articolo di JAMA del marzo 2020 faceva notare che gli ospedali italiani “nei mesi invernali tipicamente funzionano all’85-90% della capacità.”

Nel Regno Unito, il NHS, durante l’inverno, è regolarmente vicino al punto di rottura. Come parte della sua politica Covid, il NHS, nella primavera del 2020, aveva annunciato che avrebbe “riorganizzato la capacità ospedaliera secondo nuove modalità per trattare separatamente i pazienti Covid e non-Covid” e che “come risultato gli ospedali avrebbero avuto tassi di occupazione globali inferiori a quelli registrati in precedenza.”

In questo modo avevano rimosso migliaia di letti. Durante una presunta pandemia mortale, avevano ridotto la disponibilità dei letti di degenza. Nonostante questo, la pressione a cui era stato sottoposto l’NHS non aveva mai superato quella di una tipica stagione influenzale, con, a volte, il quadruplo di letti liberi rispetto al normale.

Sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti sono stati spesi milioni in ospedali di emergenza temporanei che non sono mai stati utilizzati.

 

Parte III: Test PCR

11. I test PCR non sono stati progettati per diagnosticare la malattia. Il test di reazione a catena della polimerasi a trascrizione inversa (RT-PCR) è descritto dai media come il “gold standard” per la diagnosi della Covid. Ma l’inventore del processo, vincitore del premio Nobel, non aveva mai inteso usarlo come strumento diagnostico, e lo aveva detto pubblicamente:

“La PCR è solo un processo che ti permette di ottenere un sacco di cose da qualcosa. Non ti dice se sei malato o se quello che hai ti danneggerà o cose del genere.”

12. I test PCR hanno fama di essere imprecisi e inaffidabili. I test PCR “gold standard” per la Covid sono noti per produrre molti risultati falsi positivi, reagendo con materiale genetico (DNA) non specifico del Sars-Cov-2.

Uno studio cinese aveva scoperto che lo stesso paziente poteva ottenere due risultati diversi dallo stesso test nello stesso giorno. In Germania, i test sono noti per aver reagito ai comuni virus del raffreddore. Uno studio del 2006 aveva scoperto che i test PCR per un virus rispondevano anche ad altri virus. Nel 2007, l’essersi affidati al test PCR aveva portato ad un “focolaio” di pertosse che, in realtà, non era mai esistito. Negli Stati Uniti, alcuni test avevano persino reagito ai campioni di controllo negativi.

Il defunto presidente della Tanzania, John Magufuli, aveva fatto sottoporre a test PCR campioni prelevati da capre, pawpaw e olio per motori, tutti erano risultati positivi al virus.

Già nel febbraio del 2020, gli esperti avevano ammesso che il test era inaffidabile. Il dottor Wang Cheng, presidente dell’Accademia cinese delle scienze mediche aveva detto alla televisione di stato cinese: “La precisione dei test è solo del 30-50%.” Il sito web del governo australiano aveva dichiarato: “Esistono scarse prove per valutare la precisione e l’utilità clinica dei test COVID-19 disponibili.” E un tribunale portoghese aveva stabilito che i test PCR erano “inaffidabili” e non avrebbero dovuto essere usati per la diagnosi.

Potete leggere le analisi dettagliate dei fallimenti dei test PCR quiqui e qui.

13. I valori CT dei test PCR sono troppo alti. I test PCR sono eseguiti in cicli [raddoppi successivi], il numero di cicli usati per ottenere il risultato è noto come “soglia di ciclo” o valore CT. Kary Mullis aveva detto: “Se dovete fare più di 40 cicli […] c’è qualcosa di seriamente sbagliato nella vostra PCR.”

Le linee guida MIQE PCR sono d’accordo, affermando che: “valori [CT] superiori a 40 sono sospetti a causa della bassa efficienza implicita e, generalmente, non dovrebbero essere riportati,” lo stesso dottor Fauci aveva ammesso che qualsiasi cosa rilevata oltre i 35 cicli non era quasi mai riproducibile in colture di laboratorio.

La dottoressa Juliet Morrison, una virologa dell’Università della California, Riverside, aveva detto al New York Times:

“Qualsiasi test con una soglia di ciclo superiore a 35 è troppo sensibile… Sono scioccata dal fatto che la gente pensi che 40 [cicli] possano rappresentare una positività… Una soglia più ragionevole sarebbe da 30 a 35.″

Nello stesso articolo, il dottor Michael Mina, della Harvard School of Public Health, aveva affernato che il limite dovrebbe essere 30, e l’autore continua a sottolineare che la riduzione del CT da 40 a 30 in alcuni stati avrebbe diminuito i “casi di Covid” almeno del 90%.

Gli stessi dati del CDC suggeriscono che nessun campione oltre i 33 cicli potrebbe essere riprodotto tramite coltura, e l’Istituto Robert Koch tedesco sostiene che tutto quello che viene rilevato oltre i 30 cicli è improbabile che sia infettivo.

Nonostante questo, è noto che quasi tutti i laboratori negli Stati Uniti eseguono i loro test ad almeno 37 cicli e a volte fino a 45. La “procedura operativa standard” del NHS per i test PCR fissa il limite a 40 cicli.

Sulla base di quello che sappiamo sui valori di CT, la maggior parte dei risultati dei test PCR sono, nel migliore dei casi, discutibili.

14. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (per due volte) ha ammesso che i test PCR producono falsi positivi. Nel dicembre 2020 l’OMS aveva pubblicato una nota informativa sulle modalità di esecuzione della PCR, che istruiva i laboratori a diffidare di alti valori di Ct, proprio perchè causano risultati falsi positivi:

“Quando i campioni restituiscono un alto valore Ct, significa che sono stati necessari molti cicli per rilevare il virus. In alcune circostanze, la distinzione tra il rumore di fondo e la presenza effettiva del virus target è difficile da accertare.”

Poi, nel gennaio 2021, l’OMS aveva pubblicato un altro promemoria, questa volta avvertendo che i test PCR positivi “asintomatici” dovrebbero essere ritestati perché potrebbero essere falsi positivi:

“Quando i risultati del test non corrispondono al quadro clinico, dovrebbe essere prelevato un nuovo campione, che andrebbe ritestato usando la stessa o una diversa tecnologia NAT [nucleic acid test ].”

15. La base scientifica del test PCR per la Covid è discutibile. Il genoma del virus Sars-Cov-2 sarebbe stato sequenziato da scienziati cinesi nel dicembre 2019 e la sequenza pubblicata il 10 gennaio 2020. Meno di due settimane dopo, alcuni virologi tedeschi (Christian Drosten et al.) avevano presumibilmente utilizzato questo genoma per creare i primer per il test PCR.

Avevano redatto un documento, Detection of 2019 novel coronavirus (2019-nCoV) by real-time RT-PCR, che era stato presentato per la pubblicazione il 21 gennaio 2020 e poi accettato il 22 gennaio.

Questo significa che il documento sarebbe stato sottoposto a revisione paritaria in meno di 24 ore. Un processo che, in genere, richiede settimane.

Successivamente, un consorzio di oltre quaranta tra biologi e scienziati aveva presentato una petizione per il ritiro dell’articolo, scrivendo un lungo rapporto che illustrava in dettaglio 10 gravi errori nella metodologia dell’articolo. Avevano anche richiesto la divulgazione del rapporto di peer-review della rivista, come dimostrazione che l’articolo era veramente stato sottoposto a revisione paritaria. La rivista deve ancora rispondere.

Il protocollo Corman-Drosten è la base di tutti i test PCR Covid nel mondo. Se il documento è discutibile, anche i test PCR sono discutibili.

 

Parte IV: “L’infezione asintomatica”

16. La maggior parte delle infezioni Covid è “asintomatica.” Già nel marzo 2020, studi fatti in Italia mostravano che il 50-75% dei pazienti con test Covid positivo non presentava sintomi. Un altro studio britannico dell’agosto 2020 aveva rilevato che l’86% dei “pazienti Covid” non aveva alcun sintomo [di infezione] virale.

È letteralmente impossibile stabilire la differenza tra un “caso asintomatico” e un risultato falso-positivo del test PCR.

17. Ci sono pochissime prove a sostegno del presunto pericolo rappresentato dalla “trasmissione asintomatica.” Nel giugno 2020, la dottoressa Maria Van Kerkhove, capo dell’unità malattie emergenti e zoonosi dell’OMS, aveva detto:

“Dai dati in nostro possesso, sembra assai improbabile che una persona asintomatica possa effettivamente trasmettere [il virus] ad un’altra persona.”

Una meta-analisi di studi Covid, pubblicata dal Journal of the American Medical Association (JAMA) nel dicembre 2020, aveva trovato che i portatori asintomatici hanno una probabilità inferiore all’1% di infettare le persone all’interno della loro famiglia. Nel 2009, un altro studio sulla comune influenza  aveva trovato:

“…prove limitate a sostegno dell’importanza della trasmissione [asintomatica]. Il ruolo di individui asintomatici o presintomatici infettati dall’influenza nella trasmissione della malattia può essere stato sovrastimato…”

Dati i noti difetti del test PCR, molti “casi asintomatici” potrebbero essere falsi positivi [punto 14].

 

Parte V: Ventilatori polmonari

18. La ventilazione NON è un trattamento per i virus respiratori. La ventilazione meccanica non è, e non è mai stata, un trattamento raccomandato per le infezioni respiratorie di qualsiasi tipo. Nei primi giorni della pandemia, molti medici avevano messo in dubbio l’uso dei ventilatori per trattare la “Covid.”

Scrivendo su The Spectator, il dottor Matt Strauss aveva dichiarato:

“I ventilatori non curano nessuna malattia. Possono riempire i polmoni d’aria quando non si è in grado di farlo da soli. Nell’immaginario collettivo vengono associati alle malattie polmonari, ma questa, in realtà, non è la loro applicazione più comune o più appropriata.”

Un pneumologo tedesco, il Dr Thomas Voshaar, presidente dell’Associazione delle Cliniche Pneumatologiche aveva detto:

“Quando abbiamo letto i primi studi e i primi rapporti dalla Cina e dall’Italia, ci siamo subito chiesti perché in quei Paesi la pratica dell’intubazione fosse così comune. Questo contraddiceva la nostra esperienza clinica con la polmonite virale.”

Nonostante questo, l’OMS, il CDC, l’ECDC e l‘NHS hanno tutti “raccomandato” di ventilare i pazienti Covid invece di usare metodi non invasivi.

Questa non era una prassi medica studiata per curare al meglio i pazienti, ma, piuttosto, per ridurre l’ipotetica diffusione della Covid, impedendo ai pazienti di esalare goccioline di aerosol.

19. I ventilatori uccidono la gente. Attaccare ad un ventilatore qualcuno che soffre di influenza, di polmonite, di una malattia polmonare ostruttiva cronica o di qualsiasi altra condizione che limita la respirazione o colpisce i polmoni, non allevierà nessuno di quei sintomi. Infatti, quasi certamente peggiorerà la situazione e ucciderà molti di loro.

Le cannule per intubazione sono una fonte di possibile infezione, conosciuta come “polmonite associata al ventilatore,” che, secondo alcuni studi, colpisce fino al 28% di tutti i pazienti sotto ventilazione forzata e uccide il 20-55% di quelli infettati.

La ventilazione meccanica è anche dannosa per la struttura fisica dei polmoni, con conseguenti “lesioni polmonari da ventilatore,” che possono avere effetti drammatici sulla qualità della vita, a volte anche mortali.

Gli esperti stimano che muoia il 40-50% dei pazienti ventilati, indipendentemente dalla malattia. In tutto il mondo, sono deceduti tra il 66 e l’86% di tutti i “pazienti Covid” ventilati.

Secondo questa “infermiera sotto copertura,” a New York i ventilatori venivano usati in modo talmente improprio da distruggere i polmoni dei pazienti.

Questa politica era, nel migliore dei casi, negligenza e, nel peggiore, forse anche omicidio volontario. Questo uso improprio dei ventilatori potrebbe spiegare l’aumento della mortalità nel 2020/21 [fatti 2 e 6].

 

Part VI: Mascherine

20. Le mascherine non funzionano. Almeno una decina di studi scientifici hanno dimostrato che le mascherine non fanno nulla per arrestare la diffusione dei virus respiratori.

Una meta-analisi pubblicata dal CDC nel maggio 2020 aveva trovato “nessuna riduzione significativa della trasmissione dell’influenza con l’uso di mascherine per il viso.”

Un altro studio su oltre 8000 soggetti aveva rilevato che le mascherine “non sembrano essere efficaci contro le infezioni respiratorie virali confermate in laboratorio, né contro le infezioni respiratorie cliniche.”

Ce ne sono letteralmente troppi per citarli tutti, ma potete leggerli qui: [1][2][3][4][5][6][7][8][9][10]. O consultare un riassunto su SPR qui.

Sono stati fatti alcuni studi che sosterrebbero l’utilità della mascherina per la Covid, ma sono tutti seriamente difettosi. Uno, per i dati si era basato su sondaggi auto-riferiti. Un altro era così mal progettato che un gruppo di esperti ne aveva chiesto il ritiro. Un terzo era stato depubblicato dopo che le sue previsioni si erano rivelate completamente errate.

L’OMS aveva pubblicato una propria meta-analisi su Lancet, ma quello studio si riferiva solo alle mascherine N95 ed esclusivamente in ambito ospedaliero. [Per un resoconto completo sui pessimi dati di questo studio cliccate qui].

A parte le prove scientifiche, c’è l’evidenza del mondo reale a sostegno del fatto che le mascherine non fanno nulla per fermare la diffusione delle malattie.

Per esempio, il Nord Dakota e il Sud Dakota hanno avuto un numero di casi quasi identico, nonostante uno avesse imposto l’obbligo della mascherina e l’altro no:

In Kansas, le contee senza obbligo di mascherina hanno avuto, in realtà, meno “casi” di Covid rispetto a quelle con in vigore il mandato. E, nonostante le mascherine siano molto comuni in Giappone, nel 2019 il Paese aveva conosciuto la peggiore epidemia di influenza degli ultimi decenni.

21. Le mascherine fanno male alla salute. Indossare una mascherina per lunghi periodi, indossare la stessa mascherina più di una volta (come altri aspetti delle mascherine in tessuto) può fare male alla salute. Uno studio a lungo termine sugli effetti dannosi derivanti dall’uso delle mascherine è stato recentemente pubblicato dall‘International Journal of Environmental Research and Public Health.

Nell’agosto 2020, il dottor James Meehan aveva riferito  un aumento di polmoniti batteriche, infezioni fungine, eruzioni cutanee al viso.

Le mascherine sono anche note per contenere microfibre di plastica, che danneggiano i polmoni quando vengono inalate e possono essere potenzialmente cancerogene.

Nei bambini le mascherine incoraggiano la respirazione con la bocca, che provoca deformazioni facciali.

In tutto il mondo, si sono verificati casi di perdita di coscienza in persone che indossavano la mascherina a causa dell’avvelenamento da CO2 e alcuni bambini in Cina hanno persino subito un arresto cardiaco improvviso.

22. Le mascherine fanno male al pianeta. Da più di un anno, si utilizzano, ogni mese, milioni e milioni di mascherine usa e getta. Un rapporto dell’ONU ha scoperto che, probabilmente, la pandemia di Covid-19 provocherà nei prossimi anni il raddoppio dei rifiuti di materiale plastico, e la maggior parte di questi sono mascherine.

Il rapporto continua avvertendo che queste mascherine (e gli altri rifiuti medici) intaseranno le fognature e i sistemi d’irrigazione, e la cosa avrà effetti a catena sulla salute pubblica, l’irrigazione e l’agricoltura.

Uno studio dell’Università di Swansea ha scoperto che “quando le mascherine usa e getta vengono immerse nell’acqua rilasciano metalli pesanti e fibre di plastica.” Questi materiali sono tossici sia per le persone che per la fauna selvatica.

 

Parte VII: Vaccini

23. I “vaccini” Covid sono assolutamente senza precedenti. Prima del 2020 non era  stato sviluppato con successo nemmeno un singolo vaccino contro un coronavirus umano. Ora ne avremmo realizzati circa 20 in 18 mesi.

Gli scienziati avevano cercato, per anni e con poco successo, di sviluppare un vaccino contro la SARS e la MERS. Alcuni dei vaccini falliti contro la SARS avevano effettivamente causato ipersensibilità al virus della SARS [negli animali da esperimento]. Infatti, i topi vaccinati potevano contrarre la malattia più gravemente di quelli non vaccinati. Un altro tentativo aveva causato danni epatici nei furetti.

Mentre i vaccini tradizionali funzionano esponendo l’organismo ad un ceppo indebolito del microrganismo responsabile della malattia, questi nuovi vaccini Covid sono vaccini a mRNA.

I vaccini a mRNA (acido ribonucleico messaggero) teoricamente funzionano iniettando nell’organismo mRNA virale, che si replica all’interno delle cellule e induce il sistema immunitario a riconoscere e produrre antigeni per le “proteine spike” virali. Erano stati oggetto di ricerca dagli anni ’90, ma, prima del 2020, nessun vaccino mRNA era mai stato approvato per l’uso.

24. I vaccini non conferiscono immunità né prevengono la trasmissione. Viene riconosciuto che i “vaccini” Covid non conferiscono immunità dall’infezione e non impediscono di trasmettere la malattia ad altri. In effetti, un articolo del British Medical Journal  aveva evidenziato che gli studi sui vaccini non erano stati progettati per valutare se i “vaccini” limitavano la trasmissione.

Gli stessi produttori di vaccini, al momento di rilasciare le terapie geniche mRNA non testate, erano stati abbastanza chiari sul fatto che l’”efficacia” dei loro prodotti era basata sulla “riduzione della gravità dei sintomi.

25. I vaccini sono stati affrettati e hanno effetti a lungo termine sconosciuti. Lo sviluppo dei vaccini è un processo lento e laborioso. Di solito, dallo sviluppo alla sperimentazione e infine all’approvazione per l’uso pubblico passano molti anni. I vaccini Covid sono stati tutti sviluppati e approvati in meno di un anno. Ovviamente, non ci possono essere dati di sicurezza a lungo termine su formulazioni farmaceutiche che hanno meno di un anno.

Pfizer stessa lo ha ammesso nel contratto di fornitura, divenuto di dominio pubblico, tra il gigante farmaceutico e il governo dell’Albania [anche su CDC]:

“Gli effetti a lungo termine e l’efficacia del vaccino non sono attualmente noti e ci possono essere effetti avversi del vaccino che non sono attualmente conosciuti.”

Inoltre, nessuno dei vaccini è stato sottoposto a test adeguati. Molti di essi avevano saltato del tutto gli studi iniziali e gli studi sull’uomo di fase tre non sono stati sottoposti a peer-review, non sono stati divulgati al pubblico, non finiranno prima del 2023 o sono stati abbandonati dopo “gravi effetti avversi.”

26. Ai produttori di vaccini è stata concessa l’mmunità legale in caso di lesioni. Il Public Readiness and Emergency Preparedness Act (PREP) degli USA garantisce loro l’immunità almeno fino al 2024.

La legislazione dellUE sulle licenze dei prodotti ha fatto la stessa cosa, e ci sono segnalazione di clausole di responsabilità riservate nei contratti che l’UE ha firmato con i produttori di vaccini.

Il Regno Unito è andato addirittura oltre, concedendo un’indennità legale permanente al governo e ai suoi dipendenti, per qualsiasi danno procurato ai pazienti in cura per Covid-19 o “sospetta Covid-19.”

Ancora una volta, il contratto albanese divenuto di domino pubblico fa capire che Pfizer aveva, come minimo, reso questa indennità una richiesta standard per le fornitura di vaccini Covid:

“L’acquirente accetta di indennizzare, difendere e ritenere indenne Pfizer […] da e contro qualsiasi causa, reclamo, azione, richiesta, perdita, danno, responsabilità, accordo, sanzione, multa, costo e spesa.”

 

Parte VIII: Inganno e preveggenza

27. L’UE stava preparando i “passaporti vaccinali” almeno un ANNO prima dell’inizio della pandemia. Le proposte di contromisure COVID, presentate al pubblico come misure di emergenza improvvisate, esistevano già da prima della comparsa della malattia.

Due documenti dell’UE, pubblicati nel 2018, il 2018 State of Vaccine Confidence e una relazione tecnica intitolata “Designing and implementing an immunisation information system”” avevano analizzato la plausibilità, a livello di UE, di un sistema di monitoraggio delle vaccinazioni.

Questi documenti erano stati unificati nella “Vaccination Roadmap” del 2019, che (tra le altre cose) aveva ribadito la necessità di uno “studio di fattibilità” sui passaporti vaccinali da iniziare nel 2019 e terminare nel 2021:

Le conclusioni finali di questo rapporto erano state diffuse al pubblico nel settembre 2019, appena un mese prima di Event 201 (vedi sotto).

28. Una simulazione aveva previsto la pandemia poche settimane prima del suo inizio. Nell’ottobre 2019, il World Economic Forum e la Johns Hopkins University avevano ospitato Event 201. Si trattava di un esercizio di simulazione imperniato su un coronavirus zoonotico che scatenava una pandemia mondiale. L’esercizio era stato sponsorizzato dalla Fondazione Bill e Melinda Gates e da GAVI l’ente di cooperazione mondiale per i vaccini.

Event 20, nel novembre 2019, aveva pubblicato i suoi risultati e le sue raccomandazioni come una “chiamata all’azione.” Un mese dopo, la Cina registrava il suo primo caso di “Covid.”

29. Dall’inizio del 2020, l’influenza è “scomparsa.” Negli Stati Uniti, dal febbraio 2020, i casi di influenza sarebbero diminuiti di oltre il 98%.

E non solo negli Stati Uniti, a livello globale l’influenza sembrerebbe quasi completamente scomparsa.

Nel frattempo, una nuova malattia chiamata “Covid,” che ha sintomi identici e un tasso di mortalità simile a quello dell’influenza, sta apparentemente colpendo tutte le persone che, di solito, si ammalano di influenza.

30. L’élite ha guadagnato una fortuna durante la pandemia. Dall’inizio dei lockdown le persone più ricche sono diventate ancora più ricche. Forbes ha riferito che, “combattendo il coronavirus, ” sono stati creati 40 nuovi miliardari e che 9 di loro sono produttori di vaccini.

Business Insider ha riportato che “i miliardari hanno visto il loro patrimonio netto aumentare di mezzo trilione di dollari” dall’ottobre 2020.

Ovviamente, ora questa cifra sarà molto più alta.

Kit Knightly

Fonte: off-guardian.org
Link: https://off-guardian.org/2021/09/22/30-facts-you-need-to-know-your-covid-cribsheet/#iii
22.09.2021

FONTE: https://comedonchisciotte.org/covid-i-30-aspetti-assolutamente-da-conoscere/

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Riflessioni sparse sul tempo presente

Andrea Scala – 18 ottobre 2012

Il Tempo

Fonte immagine: https://www.frasicelebri.it/citazioni-e-aforismi/frasi/tempo/

 

Conversazione amabile tra un Liberale e un Socialdemocratico, partita sul tema della Sanità e arrivata poi ai principi ideologici.

Il Liberale Capisco che uno sia del PD, sono problemi suoi, personali. La teoria della assistenza medica vuole che esista una organizzazione fatta di medici e chirurghi quanto più possibile preparati ed umani e la libertà dei pazienti di accedere alle loro cure. In un mondo libero la indiscussa preparazione scientifica medica deve essere liberamente accessibile ad ogni fascia sociale.

Questo modello mutualistico e assicurativo è l’organizzazione vigente nel mondo occidentale avanzato e l’Italia ne faceva parte fino al 1978.

Così non è più in Italia, dove la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale ha inteso creare una capillare istituzione totale in cui il paziente è una entità anonima all’interno di una professionalità medica altrettanto anonima.

La sanità pubblica siglata U.S.L. vuole dire controllo politico sulla professione medica e chirurgica. Vuole dire che non c’è più il medico e il paziente, ma l’operatore e l’utente. La vecchia mutua dei film di Sordi buonanima, con il medico paternalista ed individualista venne terminata. Si decretò la fine dei “baroni” universitari ed ospedalieri, medici e chirurghi geniali, ma dispotici. Attualmente concorsi, assunzioni e cooptazioni fanno posto a tecnocrati messi sotto lo stretto controllo politico e sindacale.

Per dare l’idea esatta della serenità, della preveggenza e della ponderatezza della legge sulla Sanità va sempre ricordato che detta legge US.L. venne approvata durante la angosciosa emergenza del rapimento dell’onorevole Moro e sotto l’attacco armato delle Brigate Rosse.

L’opportunità di occupare “militarmente” il sistema ospedaliero, visto come istituzione totale. La organizzazione U.S.L. appena instaurata per legge, era una occasione da non perdere per il vecchio PCI ed i suoi derivati sindacali. La facile conquista è partita dalle Regioni Rosse, istituite nel 1970. Tutta la sanità pubblica è stata conquistata negli anni a seguire, gradualmente, mediante i fedelissimi sindacati di categoria.

Attualmente dobbiamo parlare della sanità pubblica del Regime. Il partito Comunista, attualmente PD, è il capo bastone della corruzione, della corruttela, del nepotismo, della negazione del merito, della cooptazione, della mancanza di concorso per merito, dei concorsi truccati. Chi difende questa vergogna è ignorante nel senso che ignora,ma comunque è un sostenitore elettorale del malaffare.

L’unico fronte di resistenza è stato tentato al Nord parificando l’Ospedale pubblico sindacalizzato e il privato accreditato.

Il privato accreditato del Nord cura i malati del Sud, la cui sanità è amministrata da corrotti e da mascalzoni. Prima di parlare del privato accreditato e dei suoi meriti occorre sapere che andrebbe rovesciata la logica.

E’ l’Ospedale pubblico sindacalizzato che  dovrebbe essere gestito e dovrebbe operare come il privato accreditato. E’ l’Ospedale pubblico che dovrebbe subire il controllo sulle spese e sugli investimenti, il controllo dei bilanci, l’ispezione continua sulla scelta oculata di professionisti meritevoli  e produttivi. Se non sei bravo non lavori. Se non sei bravo e non sei utile e devi vendere i broccoletti. Se non sei bravo e non sei utile al paziente non puoi pretendere i privilegi delle ferie pagate, di non fare nulla e di rubare lo stipendio. Invece L’Ospedale pubblico dove vige lo spreco, l’inefficienza e l’improduttività è privo di controlli. Questo è il

pubblico che conosco io da quaranta anni. Non mi convincete del contrario!

Il Socialdemocratico Capisco, la corruzione è uno dei mali di questo Paese. Peraltro, non sono comunista e mi sembra di ricordare che il comunismo sia fallito nel 1989, quindi è materia da storici. Non

sono neanche del PD. Noto, en passant, che in alcune Regioni, come la Calabria e la

Campania, la sanità pubblica funzioni male sia con la destra che con la sinistra al governo.

Invece in Regioni come Emilia e Romagna e Toscana, storicamente guidate dalla sinistra,

funziona benissimo. Forse non vuol dir nulla, o forse sì. Sarebbero da approfondire le

dinamiche gestionali, di concessione appalti e di effettuazione delle nomine.

Il Liberale I Governatori delle Regioni, con tutta la buona volontà nulla possono per orientare la gestione di Ospedali gestiti dalla ideologia sindacalista.Tutto il parastatale, il municipalizzato, il partecipato, lo statale, le strutture pubbliche

non funzionano. Non funzionano perché non devono funzionare. Il disservizio crea sempre nuove esigenze e la necessità di nuove assunzioni inefficienti. Il servizio “sociale” serve per creare voti, serve alla

corruzione, non serve al servizio. È ormai tardi. La gangrena non guarisce nemmeno con

l’amputazione. Fino a quando anche solo uno giustifica e approva…

Il Socialdemocratico Certo che il regime imposto in Italia dagli Alleati, dopo la Seconda Guerra Mondiale, è

stato in grado di mascherarsi dietro ogni ideologia ed ha assoldato alla sua causa anche gli

ex nemici, alla bisogna. Da questo punto di vista tutti i partiti dell’arco costituzionale sono in qualche

modo condannabili, tranne i fascisti ed i movimenti neoqualunquisti come i Cinque Stelle,

Tuttavia, se non si cambia paradigma e non ci liberiamo dalla pesante

cappa che ci sta addosso anche per questo, e non si dovrebbe scannarci tra opposte tifoserie in un gioco a somma zero.

Il Liberale La somma non è zero in uno Stato che ha il secondo debito pubblico del pianeta. Uno stato

che schiaccia il popolo con 440 miliardi di spesa per pagare inefficienza e corruzione.

Magari gli Alleati avessero scritto la Costituzione come in Germania e in Giappone! Beati

loro! In Italia i fascisti non sono esenti dal malaffare. I fascisti sono stati integrati dal vincitore Comunista Togliatti che da ministro della giustizia ha fatto l’amnistia per i fascisti, perché aveva bisogno dei voti per il Referendum sulla la Repubblica. Li ha trasportati di peso nel PCI (tanto erano già tutti per il totalitarismo). Si vedano tutti gli scrittori, i pittori e gli intellettuali perdonati e arruolati.

I cinque stelle sono Comunisti dalle origini. Il comunismo di Berlinguer è la stella polare di Casaleggio e Grillo. Hanno sempre votato per personaggi comunisti quali Grasso e Boldrini. Chi non lo ha visto necessita dell’oculista.

Va fatto notare che nessuno sente il bisogno del Partito liberale o Repubblicano, ideologie  dove sono previste prioritariamente tasse al 19% e lo smantellamento dello Stato “sociale” tendenzialmente

corrotto. Ci sarebbe sana competizione tra aziende e individui. Competenza e meritocrazia.

Imprese attive. Assunzioni. Prosperità. In Germania il Partito liberale è vivo e vegeto. In

Giappone il Partito liberale ha la maggioranza assoluta in Parlamento. Chi nega

scientemente questa esperienza al popolo italiano è in malafede.

E voglio toccare un argomento ancora più sensibile e malato dell’organismo:

l’amministrazione della Giustizia. Pozzo inverecondo di una sinistra antiquata, di

malefatte, di correnti, di meccanismi autoreferenziali… Casta intoccabile che si prostituisce

accettando di essere arma contro l’avversario politico. E ancora consentitemi di dire che

chi lo accetta e chi lo appoggia a qualsiasi livello è complice!

Il Socialdemocratico Non sarò certo io, da socialdemocratico quale sono, ad aiutare voi liberali a costruire un vero partito liberaldemocratico. Anche se l’Italia ne avrebbe estremamente bisogno. Se non

ricordo male ci fu anche un tizio, ex Cavaliere del lavoro, che nel 1993 “scese in campo” per

regalarci l’esperienza di un partito liberale di massa. Il popolo lo ha onorato per ben 3 volte

col suo voto, dandogli il pieno mandato a trasformare l’Italia in senso liberale. I risultati si

sono visti. Oggi il partito di Berlusconi ha il 5-7% dei consensi tra gli italiani, e lui vaga tra

aule di tribunale e studi di avvocati.

Il Liberale La responsabilità dell’elettorato si deve alla Scuola sindacalizzata con tutti insegnanti indottrinati ha cessato da decenni di illustrare valori, esperienze ed insegnamenti del mondo Liberale. Il loro sommo punto di riferimento culturale Antonio Gramsci insegna a negare il rispetto per il Risorgimento Liberale. Il Risorgimento è stato cancellato dalla memoria collettiva nazionale con la scusa che è stata una lotta voluta e guidata dalla élite borghese e con la scusa che non è stata una vera Rivoluzione popolare bolscevica. Nella Scuola Italia di stretta osservanza bolscevica la storia d’Italia inizia con il 25 Aprile e la retorica della Resistenza. La Scuola Comunista rivendicativa collettivista di: Lotta continua, Servire il popolo,

maoista, sindacalista, scioperata, dimostrazionista e manifestaiola che molti non hanno

conosciuto, non ha certo educato l’individuo italiano all’eredità culturale del Rinascimento. Anche il Rinascimento è stato rifiutato perché produzione dell’aristocrazia oppressiva e frutto della retorica dei valori umanistici borghesi: arte, poesia, creazione letteraria. Tutte sovrastrutture superflue nel materialismo storico di Gramsci e di Togliatti! La scuola di regime del sindacalismo ha educato ai diritti estremi, all’inefficienza, all’apparenza, al materialismo proletariato e al consumismo passivo da telecomando, senza

la capacità di ideare, senza progettare e senza costruire. Per questo ha vinto un

pubblicitario interessato agli affari propri. Fatevi raccontare da Urbani, Scognamiglio,

Pera, Guzzanti padre (autore del libro MIGNOTTOCRAZIA) come sono andate veramente le cose. La verità è che l’ideologia Comunista fa sempre male non solo all’avversario, ma alla propria nazione. Lo fa anche da giornalista, anche da propagandista, anche da intellettuale. Contamina e avvelena tutto per arrivare all’egemonia. Poi però non resta più niente.

Nel Regime Comunista, che ha vinto e ha lobotomizzato la gente, la cosa penosa dei

socialdemocratici, è che Marx per primo ha odiato e schifato i socialisti, laburisti,

democratici umanitari in gran parte dei suoi scritti. Poi Lenin ha conquistato il potere con

le armi uccidendo e ammazzando e rimuovendo dal potere non solo lo Zar, ma anche e

soprattutto il governo socialdemocratico di Kerenskij. Poi Togliatti ha sterminato i

socialisti in Spagna nel 1936 favorendo Franco. I Comunisti italiani hanno esiliato fino alla

morte Craxi. E pensare che adesso nel 2021 i Comunisti italiani siedono nei banchi dei Socialdemocratici al

Parlamento europeo! E’ proprio vero che dopo che hai ammazzato i tuoi rivali e dopo che hai conquistato il Potere puoi fare tutto!

Il Socialdemocratico Anche il nazifascismo non fece belle cose ai liberali … Tutti i regimi autoritari sono

terribili. Non farò mai un’abiura del movimento socialista o sputerò veleno sul movimento

socialista. Il nazismo ha solo rubato un nome ma era chiaramente altro da noi. Riflettiamo

attentamente sulle porcherie che ancora oggi si perpetrano in nome del liberalismo o della

libertà…

Il Liberale Ma se in Italia l’esperienza Liberale non c’è mai stata, come ha mai potuto subire le conseguenze del liberalismo? La verità è che il destino della povera Italia è atroce. L’Italia subito la Controriforma senza la Riforma, ha subito la Restaurazione senza la Rivoluzione, ha subito l’antiliberismo e l’antiliberalismo senza avere mai conosciuto l’ideologia Liberale. Abbiate almeno la curiosità di vedere di che cosa si tratta.

 

 

Specialista Ortopedia e Traumatologia

Specialista Medicina dello Sport

https://www.footsurgery.it

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

“Italia, esperimento sociale”: come il Washington Post vede il nostro paese

Ottobre 18, 2021 posted by Guido da Landriano

 

Si dice che solo gli stranieri, in quando esterni, possano veramente giudicare la situazione di un paese. Se questo è vero allora la situazione della democrazia i Italia, così come disegnata dal Washington Post sarebbe veramente tragica, e non per le infiltrazioni “Fasciste”.

Il WP parla chiaramente di “Nuovo territorio per una democrazia occidentale” che viene esplorato dal nostro Paese con il Green pass.Se un’area di “Nuova democrazia” viene esplorata, e questa non deriva da un allargamento della stessa, significa che non siamo già più in una “Democrazia occidentale”, ma in un territorio completamente diverso che democrazia non è più. Il Green pass obbligatorio per viaggiare, per lavorare, per divertirsi, applicato nella nostra estensione, ci spinge, dice il WP, a testare “Quale livello di controllo sia accettabile per la società”.

Il Washington Post è un quotidiano con posizione fortemente liberal negli USA, vicine ai Dem e a Biden. Un media che ha appoggiato il presidente anche nell’imposizione dell’obbligo vaccinale per i lavoratori federali. Non si può sicuramente definire né un organo sovranista né l’espressione di uno spirito no-vax. Eppure anche un media con questa posizione politica si stupisce per l’estensione dell’esperimento politico con cui si trasforma quella che era una viva democrazia occidentale in una specie di zombie dei diritti personali e politici.

Questo naturalmente è molto meno compreso in Italia, per una serie di motivi:

  • prima di tutto la nostra prospettiva è falsata, in quanto ci troviamo all’interno del gioco;
  • quindi dal fatto che godiamo, si fa per dire, di un’informazione che è ancora più miope e partigiana di quella USA, cosa di cui non vantarsi;
  • quindi da una dose d’intolleranza crescente. Il Green pass ha permesso a quella parte nazistoide che è in ogni essere umano di esprimersi, indipendentemente dal colore politico, e questo è veramente il delitto maggiore compiuto dal governo. Il Green pass non rende migliori, ma peggiori.

Questo è un esperimento sociale, ma non è detto che i risultati delle sperimentazioni siano né positivi né desiderabili. Chi oggi ne gode, domani potrebbe pagarne il prezzo.

FONTE: https://scenarieconomici.it/italia-esperimento-sociale-comeil-washington-post-vede-il-nostro-paese/

 

 

 

IL VERO FASCISMO STRISCIANTE E SUBDOLO DELLA SINISTRA.
Marcello Veneziani 18 10 2021
Riflettiamo attentamente se possiamo consentire a dei guitti che si spacciano da giornalisti di: 
pedinare, inseguire, ingiuriare, calunniare e molestare liberi cittadini, 
compiere investigazioni segrete e camuffamenti, 
utilizzare strumenti di ripresa visiva o sonora, per procurarsi indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata per diffonderle tramite i Media
utilizzare mezzi per le loro indagini che spesso sono preclusi anche alla Polizia Giudiziaria, 
violare i domicili, le proprietà private e la privacy dei loro attenzionati, 
rovinare famiglie, rovinare carriere, 
istituire processi sommari ed emettere sentenze inappellabili da imporre all’opinione pubblica, senza dover dar conto a nessuna autorità. 
Quello di Striscia la Notizia, Le Iene, Report, Fan Page e altri programmi analoghi non è giornalismo di inchiesta ma gogna mediatica, illegittima spazzatura. 
Il legislatore deve intervenire al più presto, in senso garantista e di tutela della privacy del cittadino.  per regolamentare questi veri e propri abusi.
Le indagini, in un paese normale, le fa la Polizia Giudiziaria, sottoposta a regole stabilite dalla legge e vagliate dalla magistratura. 
Le sentenze le emette solo ed esclusivamente chi esercita la giurisdizione.-
Illegittime indagini segrete in palese violazione della legge, inappellabili processi sommari, gogna mediatica: questo è il vero fascismo strisciante della sinistra.
FONTE: https://www.facebook.com/100067601678771/posts/184101757186546/

Assalto alla CGIL voluto dal Viminale, ecco perché il fascismo non c’entra

“Infiltrare per delegittimare”, diceva qualcuno. In questo quadro – eccezionalmente multiforme e caotico – Forza Nuova non può essere considerata responsabile semplicemente perché dai video si vedono reati penali ma individuali e non certo ascrivibili a una chiara matrice partitica né politica. In quei gruppi c’è un pò di tutto, ma chi ha sfasciato tutto sono pochi a libro paga del sistema

 

Assalto alla CGIL
Riccardo Corsetto Direttore L’Unico

di Riccardo CORSETTO

Nell’assalto alla Cgil il fascismo non c’entra. E vi spiego perché. Tra marzo del 2020 e oggi ho avuto modo di seguire da vicino alcune manifestazioni di piazza che si sono generate spontaneamente partendo dal web. Ricorderete le pagine che sono nate all’indomani del primo lockdown, come StopEuropa che catalizzò un milione di iscritti. All’inizio l’amalgama era l’avversione all’Ue e a Conte che condannavano l’Italia ad un blocco totale senza che ci fossero gli adeguati sostegni finanziari per impedire al Paese di morire economicamente. Categorie di ristoratori ed esercenti, maggiormente colpiti dal lockdown, hanno iniziato ad organizzarsi estemporaneamente per colmare la piazza, lasciata vuota, su questi temi dai partiti tradizionali e abbandonati dai sindacati.

Frequentando alcune di queste manifestazioni ho visto che a formarle c’era un po’ di tutto: società civile, non ideologica ma economicamente colpita per un buon 60%, manovalanza di destra extraparlamentare già “nota” per un buon 10 %manovalanza di sinistra sempre extraparlamentare e sempre già nota a stampa e forze dell’ordine per il 20%. Il restante 10% è rappresentato da cani sciolti che vivono ai margini della società e aderiscono a qualunque iniziativa antisistema, al di là del significato.

Un tempo li avremmo definiti anarchici ma oggi non credo che il nome sia ancora appropriato, perché pur nella loro contraddittorietà gli anarchici avevano una “disciplina” che oggi non c’è. In questo contesto, di eccezionale trasversalità, l’unica formazione partitica che si è inserita per cavalcare tale oggettivo malcontento è stata Forza Nuova. Ma Forza Nuova – ci dice la cronaca – ha sempre messo a sua disposizione un po’ di organizzazione e un po’ di militanti, senza nemmeno portare le bandiere in piazza, a dimostrazione che quelle mobilitazioni erano civiche, nascevano online, quindi non di partito né univocamente assimilabili o riconducibili ad una unica sigla o matrice. Chiunque dunque avrebbe potuto trovarsi davanti alla CGIL, dove un gruppo di 50 teppisti hanno sfasciato tutto. Ma il fascismo che ci piaccia o meno fu una cosa, il teppismo e lo squadrismo un’altra. Non si deve nemmeno provare a giustificare chi sfascia casa di un altro, ma una considerazione di distinguo va fatta se pensiamo che i black block sfasciavano le vetrine di innocenti cittadini, inermi e casuali, mentre in questo caso siamo davanti ad un gesto non sommario, bensì simbolicamente scelto, la sede del maggiore sindacato italiano, e per lo più annunciato: la CGIL somiglia a un “bersaglio militare”, che in termini di guerriglia urbana obbliga a un distinguo rispetto all’indiscriminato assalto a negozi e vetrine private al modo dei black block. Distinguo che si deve considerare non solo dal punto simbolico e politico ma anche dal punto di vista sistemico. Le vetrine dei negozi assaltate dai black block non sono difendibili, proprio per l’occasionalità del bersaglio, mentre la sede nazionale della CGIL non solo lo era, ma doveva essere difesa dalle forze dell’ordine. Ora io non ho le prove per dire che ci fossero agenti infiltrati, anche se sappiamo che c’erano, e certamente sappiamo che c’erano agenti di polizia che picchiavano come fabbri in abiti civili e altri in divisa che non hanno impedito l’assalto, allo scopo di creare quelle tensioni che da sempre il sistema utilizza per strategia.

“Infiltrare per delegittimare”, diceva qualcuno. In questo quadro – eccezionalmente multiforme e caotico – Forza Nuova non può essere considerata responsabile semplicemente perché dai video si vedono reati penali ma individuali e non certo ascrivibili a una chiara matrice partitica né politica. In quei gruppi c’è di tutto. E il fascismo poco c’azzecca in una azione violenta, ma non indiscriminata nel senso di cui prima, e addirittura preannunciata, che nasce da una piazza che ha iniziato a riunirsi caoticamente circa un anno fa a Bocca della Verità, se ricordate, dove c’era persino Vittorio Sgarbi e persino Nonna Maura che non credo abbiano mai usato l’olio di ricino. A qualcuno, diciamo che la favola del fascismo torna utile, almeno fino al voto di domani.

riccardo.corsetto@gmail.com

FONTE: https://www.lunico.eu/assalto-alla-cgil-voluto-dal-viminale-ecco-perche-il-fascismo-non-centra/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Se la nuova guerra fredda riporta l’America alle origini 

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Lo scenario internazionale negli ultimi mesi è stato ricco di eventi molto importanti per lo sviluppo futuro delle relazioni internazionali e per gli equilibri mondiali: l’elezione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti d’America, le elezioni iraniane e l’arrivo di un conservatore, Raisi, al posto del moderato Rohani a capo della diplomazia persiana, gli incontri ripetuti tra il presidente cinese e quello russo, il  susseguirsi di  diversi vertici tra paesi occidentali per definire una chiara strategia di contrasto all’ascesa inarrestabile del drago cinese.

L’arrivo di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti d’America ha cambiato radicalmente il corso della politica estera americana, dall’“America First” del suo predecessore Donald Trump al multilateralismo di oggi. Biden è fermamente convinto che l’America, da sola, non può vincere le rivalità economiche con la Cina e l’aggressività manifesta del presidente russo Putin.

Joe Biden non predilige i colpi di teatro, lavora in silenzio e con determinazione per riportare la politica estera americana nel suo alveo naturale, conosce bene le regole del gioco e sa quanto sia importante avere alleati fidati sui diversi scacchieri mondiali. Pertanto non può essere casuale che la sua prima uscita fuori dai confini nazionali sia stata in Europa, per sottolineare la priorità assoluta dell’alleanza atlantica per gli USA, dopo anni di marginalizzazione e isolamento prodotti dalla politica isolazionista del presidente  Trump.

In occasione della sua prima uscita Joe Biden è andato oltre e ha voluto sottoscrivere una nuova carta atlantica con Boris Jonson, paragonabile, con le dovute proporzioni, solo al patto firmato nell’agosto del 1941 a bordo della nave da guerra Prince of Wales da Franklin Roosvelt e Winston Churchill. In questo modo ha voluto sottolineare senza equivoci la particolarità e la solidità del legame che unisce gli USA all’altra sponda dell’Atlantico, cioè  all’Europa, e a nostro parere l’invito ha avuto successo.

Un altro segnale importante del nuovo corso della politica estera americana lo ha dato invitando India, Corea del Sud, Australia e Sud Africa a presenziare, seppure a distanza, al vertice dei G7 tenutosi in Inghilterra. Quella di Biden è stata una scelta ragionata, frutto dell’esperienza e della lunga storia politica dell’uomo, scelta funzionale al tema di discussione del vertice delle maggiori potenze economiche dell’occidente, ossia il tema delle rivalità economiche e commerciali con la Cina Popolare di Xi Jinping.  Biden è giustamente consapevole che l’America, per vincere la sua guerra commerciale contro la Cina e la sua inarrestabile espansione, ha bisogno di una larga alleanza, che va oltre il patto atlantico.

La strategia espansiva di Xi Jinping si basa sulla cosiddetta “cintura economica della via della seta”,  cioè la realizzazione di due corridoi commerciali: il primo che collega la Cina all’Europa passando per l’Asia centrale e il secondo, marittimo, che unisce la Cina meridionale all’Africa.  Un’opera da migliaia di miliardi di dollari di investimenti che la Cina ha cominciato a spendere nonostante la pandemia di Covid-19.

Negli ultimi anni la Cina ha sottoscritto contratti per diverse migliaia di miliardi di dollari con molti paesi strategici del Medio Oriente, dell’Asia Centrale, dell’Africa e della stessa Europa. Possiamo citare, solo a titolo di esempio, gli accordi sottoscritti con l’Egitto per la realizzazione di opere strategiche (porti, reti,  infrastrutturali) e l’accordo strategico venticinquennale con l’Iran, che non si limita agli aspetti economici, ma tocca anche la cooperazione in diversi altri settori, non ultimo la sicurezza.

In Cornovaglia, nel sud dell’Inghilterra, Biden ha lanciato la sua strategia anti-Cina, ha proposto e ottenuto l’istituzione di un fondo mondiale per  il potenziamento delle rete infrastrutturali nei paesi poveri, per favorire uno sviluppo tecnologico verde e per l’incentivazione dell’utilizzo delle fonti rinnovabili. Insomma, una sorta di “ via della seta” in salsa occidentale, in risposta alla  strategia di Xi Jinping e alla sua “cintura economica della via della seta” cinese.

Siamo solo agli inizi di uno scontro geopolitico e geoeconomico durissimo, che prelude ad una nuova guerra fredda. Può l’occidente recuperare il tempo perduto e vincere questo scontro nonostante le divisioni al suo interno? Il dubbio è più che mai legittimo. Biden e la nuova amministrazione americana hanno ben compreso l’esatta portata di questo scontro, perciò cercano di costruire solide alleanze basate sull’interesse dei singoli paesi, alleanze che vanno oltre gli schemi convenzionali. Il coinvolgimento, oltre che dell’Europa e dei paesi strategicamente importanti come l’India, il Sud Africa e l’Australia, di quelli del Medio Oriente allargato e del  Sud del Pacifico è fondamentale per vincere questa competizione, che ha l’aria di essere uno scontro all’ultimo sangue.

Un ultima osservazione: teniamo gli occhi aperti su quello che avviene e può avvenire  ai nostri confini sud e sud orientali. Evitiamo di commettere gli errori del passato, per non rischiare di vincere una  battaglia e perdere la guerra.

FONTE: https://loccidentale.it/se-la-nuova-guerra-fredda-riporta-lamerica-alle-origini-di-m-srour/

 

 

 

CULTURA

E Blok colse la poesia amara del crollo dell’impero russo

Tornano i testi che il grande scrittore vergò mentre gli zar cadevano e si avvicinava il trionfo bolscevico

E Blok colse la poesia amara del crollo dell'impero russo

Alla giovane Nina Berberova che lo ascoltò in teatro Aleksandr Blok apparve come era nelle fotografie, i folti capelli che ne incorniciavano il viso come un’aureola, eppure diverso: «Scorgevo sul suo volto una certa malinconia che non vidi mai più e non potei scordare. C’era sul suo viso qualcosa di funereo e si potrebbe affermare che era comparsa proprio in quegli anni per non abbandonarlo mai più».

Era il 1915, la Prima guerra mondiale era scoppiata ormai da un anno e nella sala dell’Esercito e della Marina, sul Litejnyj di Pietroburgo, la serata di beneficenza aveva per titolo «I poeti ai valorosi soldati». C’erano canzoni, atti unici, balletti, improvvisazioni comiche e i poeti, Sologub, Kurmin, la Achmatova, Blok, appunto, apparivano solo dopo l’intervallo del primo atto. Non recitavano le loro poesie, quella era roba buona per gli attori, ma le porgevano al pubblico come fossero una cantilena, uno stile che era stato proprio di Puskin più di mezzo secolo prima e che da allora non era mai mutato. Puskin rappresentava il Rinascimento russo, così come in quel primo Novecento Blok ne era il romanticismo, «la bellezza legata alla disperazione» scriverà la Berberova nelle sue memorie. Sul lato sinistro del palco, le mani in tasca, la voce di Blok riempiva la sala: «Per un deserto prato paludoso/ voliamo. Noi soli./ Come carte laggiù a semicerchio/ si sparpagliano i fuochi».

Blok aveva trentacinque anni, era il faro letterario del movimento simbolista, nutriva verso il suo mondo, la cosiddetta cultura umanistica borghese, odio e disgusto. «Non potrò accettare mai nulla della vita attuale – aveva scritto anni prima – mai potrò sottomettermi a essa. Non sento che repulsione per il suo ordine mostruoso. Nulla può più cambiare: nessuna rivoluzione lo cambierà». Era tormentato e sincero Blok, e quando infine la Rivoluzione arrivò, insieme con la disintegrazione dell’intero Paese, si illuse non tanto sul cambiamento politico che essa portava con sé, ma sulla possibilità di una trasformazione spirituale. «Nel gennaio del 1918, mi abbandonai per l’ultima volta ciecamente agli elementi. Composi quei versi sull’onda stessa degli elementi: mentre lavoravo sentii per diversi giorni, proprio fisicamente, con le mie orecchie, un grande rombo, un continuo rumore (probabilmente il rumore del vecchio mondo che crollava). Perciò quelli che vedono in essi un poema politico sono o del tutto sordi all’arte e immersi fino agli occhi nel pantano politico, oppure in preda a una grande rabbia».

I versi a cui alludeva Blok sono quelli che compongono I dodici e che ora Neri Pozza ripropone, come ideale appendice poetica, nel volumetto che ha per titolo Gli ultimi giorni del potere imperiale (pagg. 190 pagine, 14 euro; traduzione e cura di Igor Sibaldi). Per capire cosa stesse succedendo, Blok, allora soldato semplice in Bielorussia, si era fatto trasferire nella capitale con la qualifica di redattore-capo delle registrazioni stenografiche della Commissione incaricata di investigare «sulle attività illegali degli ex ministri, dirigenti, amministratori e alti funzionari» del potere imperiale appena collassato. Com’era stato possibile che fosse venuto giù tutto, lo Zar e l’impero, al punto tale che nessun membro dei Romanov aveva accettato di far da reggente a Alexsej, il figlio primogenito di Nicola II? Che cosa restava di un potere ventennale, e che però affondava le sue radici nella storia della nazione russa, della nullità del suo principale esponente, di quelli che giustamente Sibaldi, nella sua imprescindibile introduzione, definisce «gli isterismi dell’imperatrice, il cinismo dei dignitari, la corruzione che nessuno aveva osato fermare»? Più Blok assisteva agli interrogatori, più si convinceva che bisognava ascoltare «con tutto il corpo, con tutto il cuore, con tutta la coscienza» la Rivoluzione.

In quest’ottica, Gli ultimi giorni del potere imperiale è la perfetta radiografia di un disastro annunciato e nulla la rende più evidente dello sfogo di Igor Gulkov, il più lucido dei deputati di opposizione della Duma: «Se lo Stato maggiore tedesco avesse potuto dirigere a suo piacimento la nostra nazione e il nostro esercito, non sarebbe riuscito a far nulla di più di quanto ha fatto il potere esecutivo russo». Nella medesima ottica, però, I dodici, ovvero il poema mistico in cui una pattuglia di guardie rosse, più brutale che militare, si fa strada nella città e davanti a loro c’è «Il Cristo Gesù/ con una bianca coroncina di rose», era come l’abbandonarsi a una forza primigenia, alla natura in quanto tale, inarrestabile nel suo percorso e in cui la spiritualità avrebbe dovuto non mutarne la rotta, ma dare a essa un senso.

Mentre Blok scriveva, la storia aveva intanto preso a correre e gli ultimi mesi di quel governo provvisorio subentrato alla dinastia dei Romanov vedevano un susseguirsi di coalizioni, cospirazioni militari e cospirazioni politiche. Nel luglio del 1918 un tentativo di colpo di Stato a opera dei bolscevichi di Lenin, rientrato dall’esilio su un vagone ferroviario tedesco, fallì e trasformò il capo del Governo Kerenskij nell’improvvisato dittatore di una nazione sempre più allo sbando.

In autunno, infine, la cosiddetta Rivoluzione d’ottobre, secondo il calendario russo giuliano, vide il successo del putsch organizzato e guidato da Trockij. Kerenskij fuggì in abiti femminili dal Palazzo del Governo, l’intero edificio statale si sbriciolò, la giustizia sommaria si impadronì delle strade e, tempo due mesi, la Ceka, la nuova polizia politica, instaurò la pratica degli arresti e delle esecuzioni sommarie, l’epiteto di «nemico del popolo» fece da cornice giuridica al diritto di assassinare.

Blok si ritrovò solo, con il suo entusiasmo rivoluzionario svanito, così come la sua vena poetica. Nei due anni successivi alla Rivoluzione d’ottobre tacque, mentre la sua delusione cresceva e la sua salute peggiorava. Già nel 1919 la Ceka gli aveva fatto assaggiare il carcere ed era finito in una cella comune, piena di prigionieri politici. Fino all’alba, monarchici, socialisti rivoluzionari, menscevichi avevano discusso su quello che sarebbe stato il futuro della Russia. Blok aveva ascoltato in silenzio: «È tutto interessante e appassionante – disse alla fine -. Ma quale sarà nel vostro futuro il posto dell’artista e del suo mestiere randagio?». Era un interrogativo senza una risposta.

Nel febbraio del 1921, in occasione dell’anniversario della morte di Puskin, fece la sua ultima comparsa in pubblico e la fece con un discorso memorabile dove parlava della «missione del poeta» e dove si rifaceva al celebre verso puskiniano «Non c’è felicità nel mondo se non c’è pace e libertà». Di quel discorso, vale la pena riportare il finale: «Il poeta ne ha bisogno per restituire armonia. Ma ora mancano anche la pace e la libertà. Non la pace esterna, ma quella creativa. Non la libertà bambinesca, la libertà di essere liberali, ma la libertà di creazione, la libertà segreta. E il poeta muore perché non può più respirare: la vita ha perduto per lui il suo significato». Era il suo testamento. Morì di lì a pochi mesi e non è esagerato dire che fu il nuovo regime ad assassinarlo. Gorkij tempestò Lenin di telegrammi: «Salvatelo. Ha lo scorbuto e l’esaurimento nervoso. Lasciatelo andare in Finlandia a curarsi. Qui morirà!». Non ebbe riposta, Blok non ebbe il visto e non ci fu bisogno di fucilarlo, fu la Rivoluzione, più che la natura a fare il suo corso. «Tutti i suoni sono cessati, non c’è più alcun suono»

Era la musica della vita a essere sparita.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/e-blok-colse-poesia-amara-crollo-dellimpero-russo-1981445.html

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

L’ex capo del Mossad sbalordisce il pubblico ammettendo che l’Iran “non è nemmeno vicino” alla bomba nucleare

Foto di Tyler Durden

DI TYLER DURDEN
MARTEDÌ 12 OTTOBRE 2021 – 20:35

Il ministro degli Esteri Yair Lapid è a Washington DC per incontrare i massimi funzionari dell’amministrazione Biden per colloqui incentrati sull’Iran, sulla Striscia di Gaza e su altre questioni relative alla sicurezza. Come previsto, Lapid ha avvertito il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan che l’Iran è sull’orlo di diventare uno “stato soglia nucleare” .

L’ufficio di Lapid ha rilasciato questa dichiarazione dopo l’incontro di Sullivan: “Il ministro degli Esteri ha condiviso con il consigliere per la sicurezza nazionale Israele le preoccupazioni sulla corsa dell’Iran verso le capacità nucleari , nonché sul fatto che l’Iran stia diventando uno stato di soglia nucleare”, secondo The Times of Israel . “Lapid ha anche discusso con il consigliere per la sicurezza nazionale della necessità di un piano alternativo all’accordo nucleare”.

Poiché i colloqui sul nucleare tra Teheran e le potenze mondiali sono rimasti in stallo a Vienna, una domanda chiave al centro del dibattito sul fatto che gli Stati Uniti debbano cercare un accordo JCPOA ripristinato con l’Iran rimane  quanto è vicino l’Iran all’acquisizione di un nucleare?

Yossi Cohen, via i24 News

Apparentemente anche all’interno dello stato di sicurezza nazionale israeliano, c’è un profondo divario sulla questione, nonostante i falchi abbiano lanciato l’allarme per decenni che l’Iran è sempre “sul punto” di ottenere un’atomica . O anche, potrebbe essere che internamente l’intelligence israeliana sappia che gli iraniani non sono in realtà vicini, mentre i politici prendono pubblicamente una posizione molto diversa per scopi di propaganda e per mantenere la pressione internazionale su Teheran.

L’influente ex direttore del Mossad Yossi Cohen lo ha suggerito proprio nei commenti di martedì che hanno sollevato le sopracciglia. Il comandante veterano dell’intelligence israeliana ha detto in realtà che l’Iran “non è nemmeno vicino” a ottenere un’arma nucleare, anche se ha attribuito questo in gran parte agli sforzi di sabotaggio e spionaggio di Israele contro gli iraniani.

“Penso che l’Iran, fino ad oggi, non sia nemmeno vicino all’acquisizione di un’arma nucleare… Ciò è dovuto agli sforzi di lunga data di alcune forze nel mondo”,  ha detto in risposta a una domanda del giornalista dell’intelligence del Jerusalem Post Yonah Jeremy Bob, che includeva riferimenti alle azioni segrete israeliane nella Repubblica islamica.

Cohen ha aggiunto che, grazie agli sforzi dell’intelligence israeliana, l’Iran ha “meno sostegno straniero per ciò che [sta] facendo rispetto al passato”.

Ha chiesto un accordo nucleare “completamente rinnovato”, oppure ha avvertito che la Repubblica islamica avrebbe effettivamente avuto maggiori probabilità di sviluppare una bomba. Ecco di più secondo il Jerusalem Post :

Se l’Iran sviluppa un’arma nucleare, Israele deve essere in grado di fermarla da solo, ha detto Cohen.

Alla domanda se ciò sarebbe possibile senza le bombe anti-bunker, ha risposto: “Dobbiamo sviluppare capacità che ci permettano di essere assolutamente indipendenti, facendo ciò che Israele ha fatto due volte prima” – bombardando i reattori nucleari in Siria e Iraq .

Ha inoltre minacciato che “Non dovrebbero dormire tranquilli in Iran”. Per gran parte degli ultimi anni Israele ha bombardato quelli che spesso descrive come “risorse iraniane” all’interno della Siria.

Il riferimento al reattore nucleare fatto dall’ex capo del Mossad è al bombardamento israeliano del 2007 di un sospetto reattore nucleare siriano che era in costruzione presumibilmente con l’aiuto della Corea del Nord. L’attacco alla struttura di Al-Kubar vicino a Deir al-Zor nella Siria orientale è stato ammesso tardivamente da funzionari israeliani nel 2018.

FONTE: https://www.zerohedge.com/geopolitical/former-mossad-chief-raises-eyebrows-admitting-iran-not-even-close-getting-nuclear-bomb

La psicologia delle masse e la violenza dei media

Edoardo Laudisi – 12 10 2021

Come vanno certe cose lo aveva spiegato Freud cento anni fa, nel suo “Psicologia delle masse e analisi dell’io”. La massa ha una capacità cognitiva inferiore del singolo ma una energia emotiva molto superiore. È instabile, imprevedibile e capace di azioni improvvise anche violente. Perché ciò avvenga è fondamentale la figura dell’aizzatore, l’incendiario, la testa calda che faccia scoccare la scintilla. Per appiccare un incendio ne bastano pochi piazzati nei punti giusti. Si tratta di gente preparata, in un certo senso dei professionisti che sanno quello che stanno facendo. Il genere di persona che ha contatti trasversali e di lunga data in vari ambienti; criminali, politici e perfino delle forze dell’ordine. Talvolta anche della magistratura. Non necessariamente contatti di primo livello, bastano dei collegamenti funzionali con gente operativa nei confronti della quale si possa vantare dei crediti, o si abbia dei debiti. Forza Nuova ha il phisique du rôle adatto a ricoprire questo compito delicato che la politica italiana gli affida fin dai tempi di Terza Posizione. Dopotutto restiamo un paese in cui la matrice del potere è essenzialmente mafiosa.

Così accade puntualmente che, in momenti particolarmente caldi dello scontro sociale, quando ad esempio si è appena formato un movimento nuovo che si contrappone a delle scelte precise del governo, un movimento in crescita e privo di connotazioni ideologiche, ebbene accade che basti infiltrare qualche acciarino ben temprato nei punti giusti per scatenare l’inferno. È successo a Genova nel 2001, a Roma nell’ottobre del 2011 ed esattamente dieci anni dopo, sempre a Roma, nell’ottobre del 2021. Curiosa la cadenza decennale.

Nessuna delle migliaia di persone che hanno partecipato alla manifestazione dello scorso 9 ottobre a Roma, avrebbe nemmeno lontanamente immaginato di venire coinvolto nell’assalto a una sede sindacale o di scontrarsi per ore con la polizia. Per loro l’idea di menare le mani non era neanche un’opzione. Quasi sicuramente nessuno dei manifestanti, salvo qualche rara eccezione, è mai stato coinvolto in una situazione violenta nella propria vita personale. Figurarsi attaccare una linea di poliziotti schierata a protezione del Palazzo o fare irruzione in un pronto soccorso come una squadraccia nazista. Però un bravo acciarino sa come appiccare il fuoco nei punti giusti per stimolare il riflesso automatico delle forze dell’ordine, e qualche mente debole che gli va dietro prima o poi la trova. Così il gioco riesce sempre e ai media mainstream non resta che confezionare il prodotto con il loro disgustoso linguaggio manipolativo. Qui la violenza peggiore è proprio quella dei media che invece di andare alla ricerca degli acciarini, distinguere, fare domande e provare a capire, aizzano la popolazione contro tutti i manifestanti senza distinzioni, in una sorta di linciaggio morale collettivo.

Colà dove si puote si è deciso che a chi si mette di traverso allo smantellamento sistematico dei diritti costituzionali va fatto il trattamento duro, così gli passa la voglia. E così le decine di migliaia di persone che hanno manifestato sabato scorso a Roma sono rimaste sole, senza appoggi mediatici, senza rappresentanza, senza un punto di riferimento politico o culturale a cui orientarsi. E per chi oggi governa il paese operando sui binari tracciati dai vincoli esterni, quelle persone rappresentano uno sfrido da scartare prima che si sparpagli sui binari e faccia rallentare il treno.

Eppure, soltanto un anno e mezzo fa nessuno avrebbe potuto immaginare che fosse possibile tenere un paese agli arresti domiciliari per mesi. Nessuno avrebbe potuto immaginare l’introduzione di un lasciapassare che discriminasse le persone in base all’assunzione di un vaccino. Nessuno avrebbe potuto immaginare un aumento dei prezzi energetici a doppia cifra…Quante altre cose che non riusciamo ad immaginare stanno per accadere? Forse il motivo profondo di chi ha manifestato a Roma sabato scorso nasce proprio da questa domanda.

EDOARDO LAUDISI

(Genova, 1967) è scrittore e traduttore. Ha pubblicato il romanzo “Zenone” (2001, Prospektiva Letteraria) l’ebook “Superenalotto” (2013), il romanzo “Sniper Alley” (2015, Elison Publishing), il romanzo “Le Rovine di Babele” (2018, Bibliotheka Edizioni), il saggio “Germania anno nero” (2020 Edizioni Epokè). Laureato in economia, suoi articoli sono apparsi su numerose riviste e siti internet.

FONTE : https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_psicologia_delle_masse_e_la_violenza_dei_media/39602_43439/

L’attacco diretto a RadioRadio. Chi non si conforma viene schiacciato

Ottobre 16, 2021 posted by Guido da Landriano

Continuano gli attacchi contro RadioRadio. Alla vigilia del ballottaggio nuove accuse vengono mosse contro l’emittente radiofonico. Un mix di attacco politico a Michetti e alle posizioni libertarie della radio, fra le pochissime voci del pluralismo e che si oppongono alla finanza. Questo ha portato le corazzate dell’informazione allineata, quelle che vogliono controllare e condizionare il voto, ad attaccare la radio libera. 

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Dopo le offensive dirette contro Enrico Michetti, candidato sindaco del centrodestra a Roma, ad entrare nel mirino del ciclone mediatico è ora l’emittente che ha dato spazio al pensiero dell’avvocato. Accusata di assurde posizioni antisemite, attraverso titoli ad effetto con dichiarazioni mai rilasciate, l’organo di informazione è stato bersaglio di una continuativa campagna a mezzo stampa. Eppure RadioRadio dava spazio a Michetti ben prima delle elezioni e di questa campagna elettorale a Roma. 

 Obiettivo, non dichiarato ma evidente nelle intenzioni latenti dell’inchiostro al vetriolo, quello di colpire Radio Radio per screditare la posizione politica di EnricoMichetti, strettamente legato all’emittente e in corsa per il Campidoglio. A subire i colpi di tale strategia comunicativa lo speaker Mimmo Politanò. Anche il geologo Mario Tozzi da sempre parte integrante della radio ne ha fatto le spese, costretto a prendere le distanze da un sibillino titolo di Repubblica, in cui si diceva sottilmente che lui aveva preso le distanze da RadioRadio.

VIDEO QUI: https://youtu.be/aSwOzBfCfuE

FONTE: https://scenarieconomici.it/lattacco-diretto-a-radioradio-chi-non-si-conforma-viene-schiacciato/

 

 

ECONOMIA

NADEF: cos’è? Significato e importanza del termine

 Redazione

 28/09/2021

NADEF: cos’è, qual è il significato del termine e perché è così importante? Una guida

Si torna a parlare di NADEF e in molti si chiedono cos’è, qual è il suo significato e perché è così importante per l’Italia.

Il termine torna sulla bocca di tutti ogni anno con la fine dell’estate, momento in cui l’esecutivo è chiamato ad agire e ad aggiornare le sue previsioni economico-finanziarie.

Capire cos’è la NADEF e qual è il significato del termine è fondamentale per comprendere al meglio la direzione intrapresa dall’Italia. La Nota di Aggiornamento del DEF è infatti il primo passo verso l’elaborazione della successiva legge di bilancio.

 

NADEF: cos’è? Significato e definizione

Come anticipato, il significato di NADEF è letteralmente quello di Nota di Aggiornamento del DEF. Quest’ultimo invece è il Documento di Economia e Finanza, fondamentale per la stesura della nuova legge di bilancio.

Per definizione, il NADEF è dunque un testo che l’esecutivo deve presentare alla Camera e al Senato entro e non oltre il 27 settembre di ogni anno.

A cosa serve?

Nella Nota di Aggiornamento al DEF il governo inserisce le nuove stime economico-finanziarie formulate sulla base dei maggiori dati a disposizione e di un quadro macro certamente più chiaro. In pratica il testo rielabora e aggiusta le previsioni formulate nel Documento di Economia e Finanza presentato nel mese di aprile.

Nella NADEF l’esecutivo aggiorna anche gli obiettivi programmatici del Paese e tiene conto di eventuali osservazioni formulate dall’Europa (non così improbabili nel caso italiano).

Più in generale a chi si chiede cos’è la NADEF e qual è il significato del termine potremmo dunque rispondere definendola un aggiornamento del quadro macroeconomico di riferimento, tendenziale e programmatico, comprensivo dei principali indicatori di finanza pubblica, come il tanto discusso rapporto deficit/PIL.

Una precisazione è d’obbligo: nel quadro tendenziale le stime sono a politiche invariate, mentre in quello programmatico le previsioni vengono effettuate considerando il potenziale impatto delle misure in dirittura d’arrivo.

Perché è così importante?

Ora che abbiamo capito cos’è la NADEF e qual è il suo significato occupiamoci dell’importanza del termine, anche se questa potrebbe essere già emersa nelle righe precedenti.

Dopo la Nota di Aggiornamento, il governo ha l’arduo compito di approvare la nuova legge di bilancio con la quale il Parlamento conferisce all’esecutivo la possibilità di utilizzare le risorse economiche statali per l’esecuzione delle politiche pubbliche e delle attività amministrative.

In altre parole la NADEF rappresenta uno dei passi fondamentali che portano poi a scegliere quali riforme saranno attuate e quali invece accantonate, con ovvie ricadute su tutti i cittadini italiani.

Quest’anno la nota di aggiornamento è ancor più rilevante, considerando il quadro di ripresa economica del dopo-pandemia, pur tra diversi ostacoli come la crisi energetica. Il PIL nazionale è stato indicato in rimbalzo, mentre si attendono fondamentali riforme per rispondere alle richieste dell’UE per il Recovery Fund.

Per questo oggi sapere cos’è la NADEF e qual è il suo significato è più che mai fondamentale.

FONTE: https://www.money.it/cos-e-NADEF-significato-nota-aggiornamento

 

La prima NADEF di Mario Draghi

Si è appena svolta la conferenza stampa a Palazzo Chigi tra i giornalisti, il Presidente del Consiglio Mario Draghi e il Ministro dell’Economia Daniele Franco per illustrare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza.

I dati riportati sul documento sono effettivamente incoraggianti e delineano una crescita che quest’anno raggiungerà il 6 per cento del PIL (a fronte del 4,5% riportato sul DEF di aprile). Anche il rapporto deficit PIL ha segnato un calo significativo attestandosi al 9,4 per cento del PIL, in netta diminuzione rispetto all’11,8 per cento previsto nel DEF.

Sono dati promettenti che uniti alla discesa del rapporto tra debito lordo e Pil che quest’anno diminuirà dal 159,8 per cento stimato nel Def di aprile al 153,5 per cento riportato sulla nota sicuramente contribuiscono ad alimentare un sentimento di fiducia nela società. Tuttavia, secondo quanto reso noto dalla Banca d’Italia, il debito pubblico a luglio ha segnato l’ennesimo record raggiungendo i 2.725,9 miliardi, oltre 165 miliardi in più rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Questi dati suggeriscono che la crescita del Pil, accanto alle politiche di sviluppo da attuare, dovrà soprattutto agevolare la traiettoria di rientro dei conti pubblici su un sentiero di sostenibilità, soprattutto in vista della fine della crisi pandemica quando terminerà la flessibilità stabilita in sede comunitaria e le regole europee di bilancio sul Patto di Stabilità torneranno pienamente in vigore.

Nonostante i dati macroeconomici riportati nella nota siano incoraggianti è necessario non perdere l’attenzione da quelle che potrebbero rivelarsi delle insidie nel breve medio periodo. In particolare desta preoccupazione il costante aumento dell’inflazione di alcune materie prime che, in un’ottica di investimenti pubblici e privati potrebbe non solo ritardare la ripresa ma soprattutto ricalibrare i costi finali di importanti investimenti infrastrutturali sul quale l’Italia ha investito buona parte delle risorse del recovery plan.

Anche le politiche interne di rilancio del settore edilizio dovranno quindi essere accompagnate da una politica fiscale agevolata al fine di calmierare i costi finali per imprese e consumatori. L’obiettivo da raggiungere quindi, non è soltanto quello di aumentare la crescita in modo marginale nell’anno corrente, ma soprattutto fare in modo che si assista ad un trend costante e strutturale che porti rapidamente l’Italia ai livelli pre crisi pandemica. L’Italia porta con sé delle zavorre croniche che il Governo sta cercando di alleggerire: la delega per la riforma del processo penale è stata approvata definitivamente dal parlamento italiano, quella sul processo civile dopo la prima lettura in Senato è ora attesa al vaglio definitivo della Camera dei Deputati.

Le strade da percorrere sono irte e comportano decisioni “responsabili” da parte del governo che dovrà essere chiamato ad intervenire su due filoni principali: prevedere maggiori limitazioni in tema di assunzione di personale a tempo indeterminato (c.d. blocco del turno over) e rimodulare, attraverso un attento e capillare censimento preliminare, tutte le figure presenti all’interno della P. A.

Al fine di conseguire maggiore efficienza, tempestività e uniformità di erogazione su tutto il territorio nazionale dei servizi resi dalla P.A., sarà quanto mani necessario accompagnare il blocco del turn over e la riduzione della spesa corrente con un rapido sviluppo di digitalizzazione del settore pubblico nell’interesse generale che porti ad accedere agli stessi in forma rapida e semplificata.

Favorire lo sviluppo di una società digitale, dove i servizi mettono al centro i cittadini e le imprese, attraverso la digitalizzazione della pubblica amministrazione che costituisce il motore di sviluppo per tutto il Paese, illudendosi che possa avvenire senza intaccare minimamente le risorse in organico all’interno della P.A., sarebbe quanto mai traviante. Altro capitolo di estrema importanza per le future sorti dei contribuenti e delle nostre imprese riguarda il pagamento dei debiti pregressi della P.A

La questione dei ritardi nei pagamenti ai propri fornitori da parte delle amministrazioni pubbliche e il contestuale prodursi, nel corso del tempo, di un consistente ammontare di debiti da pagare dalle amministrazioni medesime costituisce, oltre che un elemento di iniquità da parte degli operatori pubblici, anche un elemento di debolezza dell’economia del Paese, in quanto la mancanza di disponibilità liquida che tale circostanza produce presso le imprese ne rende difficile sia la gestione ordinaria che i piani di investimento e, quindi, ostacola la ripresa economica. I governi che si sono susseguiti negli ultimi 20 anni hanno tutti condiviso l’idea che questo fosse uno dei principali punti da mettere nell’agenda politica senza però davvero affrontarlo in un’ottica di pacificazione tra lo Stato ed il Contribuente. Insomma, la strada è tornata in pianura, ma c’è ancora molto, molto da fare.

* Presidente di Rete Liberale

FONTE: https://loccidentale.it/la-prima-nadef-di-mario-draghi/

Il paradosso del futuro: più per ciascuno, meno per tutti

Non c’è più il futuro di una volta

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Sopravvivere, allunga la vita

Mario Rossi ha compiuto 52 anni il 1 gennaio 2019 e aveva davanti a sé, in base al modello di sopravvivenza di quel tempo, un’aspettativa di futuro pari a 30,75 anni.

Ipotizzando che un anno dopo abbia festeggiato il 53° compleanno – e la probabilità in tal senso è molto alta (99,71%) – alla data del 1° gennaio 2020 egli aveva ancora, a condizioni di sopravvivenza immutate, un’aspettativa di 29,83 anni di futuro.

In conclusione, nel 2019 Mario Rossi ha vissuto un intero anno, ma alla fine – grazie all’effetto selettivo dell’essere tra chi è sopravvissuto – ne ha di fatto “perso” solo il 92%. In altri termini: vivendo per 365 giorni ne ha consumati unicamente 334.

E i progressi nella sopravvivenza ci regalano un “bonus”

L’anno prima, quando Mario Rossi aveva raggiunto i 51 anni, il 1° gennaio del 2018, la sua aspettativa di vita era di 31,45 anni e, secondo il modello di sopravvivenza di allora (2018), al compimento dei 52 si sarebbe aspettato di averne davanti a sé 30,53. Il vantaggio dell’essere sopravvissuto per 365 giorni – evento anche allora altamente probabile nella misura del 99,74% – sarebbe stato ripagato da un consumo annuo di vita residua ridotto (anche qui) al 92%.

Come mai, però, al compimento del 52esimo compleanno, adeguando il modello di sopravvivenza alla realtà del 2019, Mario Rossi si è trovato un’aspettativa di 30,75 anni e non di 30,53? Con un bonus di 0,22 anni, pari a circa 80 giorni in più.

La risposta sta nel processo di allungamento della sopravvivenza, un fenomeno che ha sempre accompagnato, pur con qualche oscillazione congiunturale, la storia del nostro Paese. Un fenomeno che trova eloquente riscontro nello straordinario accrescimento dell’aspettativa di vita alla nascita. Basti pensare che, secondo i modelli di sopravvivenza che si sono succeduti negli ultimi 70 anni – dal secondo dopoguerra ai giorni nostri (limitiamoci pure all’anno 2019) – un neonato maschio ha guadagnato nel tempo ben 17,4 anni di vita in più e una femmina 18,2 anni.

Per non parlare degli effetti benefici dell’istruzione

Se poi dovessimo leggere il cambiamento nella prospettiva di futuro in funzione non solo delle tradizionali variabili sesso ed età, ma introducendo quale fattore discriminante anche il grado di istruzione, avremmo modo di osservare come un Mario Rossi 52enne con nessun titolo, o al più la licenza elementare, avrebbe un’aspettativa di vita del 4,6% inferiore a quella di un suo coetaneo con diploma di scuola media; quest’ultimo sarebbe comunque del 3,2% al di sotto rispetto a un diplomato di pari età che, a sua volta, sconterebbe un deficit del 3,9% nei riguardi di un coscritto laureato. Di fatto, un Mario Rossi con laurea, rispetto a uno con nessuna o bassa istruzione, vanterebbe 3 anni e 7 mesi di futuro in più, in sintesi: avrebbe una vita residua più lunga del 12,7%.

Per assurdo, qualora Mario Rossi si diplomasse tra il 52° e il 53° compleanno, si troverebbe ad aver vissuto i 365 giorni di quell’anno senza averne subito alcuna perdita in termini di vita residua. Ed ancor più, se nello stesso intervallo fosse passato da diplomato a laureato, avrebbe avuto paradossalmente modo di spendere un anno di vita e, nel contempo, accrescere di circa 4 mesi la durata attesa della propria esistenza.

Poi è arrivata la pandemia: ma quanto futuro ci ha realmente tolto?

Per effetto del forte accrescimento del rischio di morte nelle età anziane a seguito della pandemia, se Mario Rossi avesse compiuto i 52 anni non all’inizio  del 2019 bensì al 1° gennaio del 2020, pur senza risentire di sostanziali cambiamenti nella probabilità di poter raggiungere i 53 anni (99,68%), si sarebbe comunque visto decurtare drammaticamente l’aspettativa di futuro: sarebbe infatti passato dai 30,75 anni ipotizzati per un 52enne secondo il modello di sopravvivenza del 2019 ai 28,40 per un 53enne sulla base di quello del 2020. In un solo un anno di vita, sarebbe stato destinato a perderne ben 2,35. Come dire che: a fronte dei 365 giorni effettivamente spesi se ne sarebbe trovati nel conteggio del suo futuro ben 858 in meno! Ma è realistica una tale valutazione?

Va subito detto che per tutti i Mario Rossi – e le Luisa Bianchi – di ogni età, i dati sull’aspettativa di vita forniti dal modello di sopravvivenza che ha contraddistinto l’anno della pandemia sono da interpretare con le dovute avvertenze. Sarebbero infatti realistici solo nel caso in cui l’insieme dei rischi di morte che stanno alla base del modello sperimentato in quell’anno critico dovessero rimanere immutati nel tempo. Ciò equivarrebbe ad immaginare che l’effetto letale prodotto Covid-19 sia destinato a persistere costantemente nel futuro, scartando così a priori ogni ipotesi di ritorno alle condizioni del passato e, ancor più, di ripresa della tradizionale benevola tendenza al calo delle singole probabilità di morte.

 Ma “ha da passà ‘a nuttata!”

In attesa di conoscere quali saranno i nuovi parametri nel modello di sopravvivenza per gli anni che verranno – e quindi di ridisegnare il futuro degli italiani con una serie di aspettative di vita che non risentano del passaggio di quella che è sembrato legittimo definire “la terza guerra mondiale” – proviamo ora ad abbandonare al suo destino il signor Rossi e affrontiamo la visione d’insieme dell’intera popolazione che vive nel nostro Paese.

Il futuro dei 59 milioni e 641 mila residenti in Italia al 1° gennaio del 2020, ossia prima di venir travolti dagli eventi pandemici, poteva riassumersi in un potenziale di 2 miliardi e 361 milioni di anni-vita: un “patrimonio demografico” che equivale, mediamente, a 39 anni e 215 giorni a testa. Conviene altresì osservare come il 53,5% di tale patrimonio – posti convenzionalmente a 20 e a 67 anni, rispettivamente, i confini per l’entrata e l’uscita dalla popolazione attiva – sia costituito da anni-vita potenzialmente destinati ad essere spesi al lavoro, il 42% in pensione a il 4,5% in formazione. Di fatto, si prospettano 79 anni di vita da pensionati per ogni 100 da lavoratori.

Al 1° gennaio del 2021, si è valutato che al complesso dei residenti – scesi nel frattempo a 59 milioni e 258 mila – spettasse, a modello di sopravvivenza pre-pandemia invariato, un totale di 2 miliardi e 333 milioni di anni-vita: 39 anni e 139 giorni di futuro a testa. Mediamente, rispetto al conteggio precedente, si sarebbero persi 76 giorni di vita residua pro-capite, con un calo della quota in età lavorativa (53,4%) e un aumento di quella in età pensionistica (42,2%). Ma questo non sarebbe stato altro che l’effetto del mutamento di struttura della popolazione, ed è un calcolo eseguito – come si è detto – a sopravvivenza invariata sul modello dell’anno 2019.

In realtà, se andiamo ad assumere come modello di sopravvivenza quello che ha effettivamente caratterizzato l’anno della pandemia (2020), la perdita di futuro risulta ben più consistente. Il patrimonio demografico del complesso dei residenti al 1° gennaio 2021 scende a 2 miliardi e 267 milioni di anni e la porzione mediamente spettante ad ognuno di essi si riduce a 38 anni e 95 giorni (con un ulteriore pesante calo di un anno e 44 giorni rispetto al calcolo precedente), ridimensionando quasi unicamente la frazione di vita nella fascia d’età da pensionati. Al 1° gennaio 2021 il rapporto tra anni di futuro da spendere in pensione e anni al lavoro passa infatti da 79 per ogni 100 secondo il modello di sopravvivenza del 2019 a 74,1 per ogni 100 secondo quello del 2020.

In ogni caso, anche accettando il fatto che il 2020 sia stato un anno anomalo e che le leggi di sopravvivenza siano destinate, quanto meno, a riproporre le condizioni pre-pandemiche, c’è da dire che gli scenari che vanno prospettando, da un lato, il calo del patrimonio demografico, sia in termini assoluti che pro-capite, dall’altro una sua rimodulazione secondo le diverse stagioni della vita, appaiono del tutto verosimili alla luce delle tendenze di invecchiamento da tempo in atto nel nostro Paese.

Quanto futuro, in futuro?

Secondo le più recenti previsioni relative alla popolazione per sesso ed età (Istat 2021) e ipotizzando invarianti i livelli di sopravvivenza in epoca immediatamente pre Covid, il patrimonio demografico che segna il futuro della popolazione italiana perderebbe nel trentennio 2021-2050 circa 437 milioni di anni-vita in termini assoluti e poco più di quattro anni a livello pro-capite: da 39,38 anni a 35,30.

La perdita maggiore dovrebbe avvenire in corrispondenza della componente in età la lavoro, con 269 milioni di anni-vita in meno e un calo del 22%, mentre la componente in età pensionistica ne perderà poco più della metà: -151 milioni di anni-vita (-15%). In generale il peso degli anni destinabili al lavoro, rispetto al totale degli anni di futuro, si ridurrebbe entro il 2050 di circa due punti percentuali (-1,9 p.p.), mentre quello degli anni in pensione si accrescerebbe quasi nella stessa misura (+1,7 p.p.). Ne segue che il rapporto: anni in pensione per ogni 100 anni potenzialmente al lavoro, si prevede possa salire da 79 al 1° gennaio 2021 a 85 alla stessa data del 2051.

In conclusione, mentre da un lato gli scenari previsivi già ci dicono che il carico degli anziani (67 anni e più) sulla popolazione in età lavorativa (20-66 anni) – calcolato sulla base del numero di appartenenti ai due aggregati (a una data precisa) – sembra destinato a puntare rapidamente verso il rapporto di uno a due (tra il 2021 e il 2050 si andrebbe da circa 34 a 66 in età 67 e più per ogni 100 in età 20-66), allorché si allarga lo sguardo sul futuro il risultato appare ancor più impressionante: l’immagine che si accredita è quella di un popolo la cui struttura per età arriverà ad avallare il potenziale equilibrio tra gli anni che sarà in grado di destinare alla produzione e quelli nel corso dei quali potrà goderne (sperabilmente) i frutti.

Quali meccanismi per (ri)costruire il futuro?

Il continuo ridimensionamento del patrimonio demografico italiano ci conferma che, almeno sul piano quantitativo, realmente “non c’è più il futuro di una volta”. Ma come si è giunti a questo tipo di situazione? Quali sono le voci di bilancio che incidono più marcatamente nel produrre questa progressiva erosione del nostro patrimonio demografico? Proviamo ad analizzarle singolarmente.

Sotto il profilo contabile, il numero complessivo di anni-vita che si attribuiscono al futuro di una popolazione in un dato istante non è che la risultante della somma delle aspettative di vita – applicate individualmente in corrispondenza di ogni età e distintamente per sesso – che competono a tutti i soggetti che formano la popolazione stessa.

Prescindendo dalle – pur importanti – considerazioni sul modello di sopravvivenza da adottare e sulla sua costanza o variabilità nel tempo, il fatto che il patrimonio demografico si accresca o si riduca nell’arco di un prefissato intervallo di tempo (diciamo, per comodità, un anno solare) dipende dalla numerosità e dalla struttura per sesso ed età sia dei flussi in entrata nella popolazione, i nati e gli immigrati, sia da quelli in uscita, i morti e gli emigrati. Tali flussi vanno opportunamente convertiti, in termini di apporto o perdita di anni-vita, sulla base della somma delle aspettative di vita associate agli individui che li alimentano. Infine, va altresì adeguatamente messa in conto la quantità di anni-vita che sono stati “consumati” da chi ha continuativamente vissuto entro la popolazione nel corso di quell’intero anno.

Ad esempio, le poste del bilancio dell’anno pre pandemico (2019), dove si osserva il passaggio dai 2 miliardi e 383 milioni di anni-vita al 1° gennaio ai 2 miliardi e 361 milioni al 31 dicembre, segnano una perdita di poco più di 22 milioni di futuro: un dato che scaturisce dalla contrapposizione tra fattori in accrescimento per complessivi 36,5 milioni di anni-vita (34,4 derivanti dai nati e 2,1 dal contributo netto del saldo migratorio) e fattori di riduzione per 58,9 milioni: 6,3 imputabili alle perdite per morte e 52,6 al consumo di vita residua attribuibile a chi c’era inizialmente ed è rimasto nel collettivo in oggetto.

Ammettendo che il bilancio del 2020 vada inteso come anomalo e che si possa già da quest’anno (2021) poter contare su un ritorno a modelli di sopravvivenza non perturbati e nuovamente orientati a guadagni nell’aspettativa di vita, su quali altre leve occorrerebbe agire per interrompere, o meglio ancora per invertire, la tendenziale erosione del nostro patrimonio demografico cui stiamo assistendo e che si preannuncia per i prossimi anni?

Alla scoperta del PIL demografico

Come accade tipicamente in ogni resoconto aziendale, la variazione del capitale (o patrimonio) netto è da mettere in relazione con la presenza di un utile o di una perdita d’esercizio che, a sua volta, trova riscontro – entro il conto economico – nella contrapposizione tra le componenti di reddito positive, in aumento, e quelle negative, in diminuzione. Nel caso specifico, ai fini di poter esporre un auspicabile “utile d’esercizio” nel bilancio che attesta il futuro di una popolazione occorrerebbe, oltre che contenere le poste negative legate ai livelli di sopravvivenza e ai flussi di emigrazione, saper agire su quelle positive, vale a dire: operare sul fronte dell’immigrazione e, soprattutto, della frequenza annua di nascite. In altri termini, si tratta di agire sulle due componenti che sono direttamente associabili al concetto di “PIL demografico”, un’invenzione un po’ provocatoria scaturita dall’idea di poter attribuire ad ogni evento demografico capace di generare anni-vita di futuro il significato di produttore di un “bene” il cui valore, per l’appunto, si esprime e si misura nei termini degli anni creati.

Nel prestare attenzione al ruolo della natalità nel contribuire alla produzione di PIL demografico e, di riflesso, ad accrescere il corrispondente patrimonio di anni-vita della popolazione italiana, sembra utile ricordare che se solo si realizzasse l’obiettivo – ventilato nello scenario presentato da Istat il 14 maggio 2021 in occasione degli “Stati generali della natalità” – di far risalire, progressivamente il tasso di fecondità totale dagli attuali 1,2 figli per donna a 1,8 figli tra dieci anni, si arriverebbero ad avere in Italia nel 2031 circa 130 mila nati annui in più; di fatto, in quell’anno ciò si tradurrebbe in un apporto addizionale di circa 11 milioni di anni-vita, un valore che è equivalente alla metà del calo del patrimonio demografico registrato nell’ultimo bilancio non perturbato da Covid (2019).

Più in generale, va segnalato che se si raggiungesse – seppur gradualmente – l’obiettivo di rialzo della fecondità nei tempi e con l’intensità di cui si è detto, si avrebbe nel complesso del decennio 2021-2030, rispetto all’ipotesi di nascite costantemente ferme ai livelli del 2020, un apporto globale di 647 mila nati e un corrispondente contributo al patrimonio demografico nell’ordine di 54 milioni di anni-vita.

Al tempo stesso anche la leva dell’immigrazione, la cui dinamica è spesso legata a fattori imprevedibili e notoriamente incerti nel loro accadimento, potrebbe rivelarsi utile per attivare iniezioni di futuro nella nostra società. Limitandoci agli aspetti quantitativi, tralasciando dunque ogni considerazione circa le scelte di governo dei flussi migratori, si può calcolare che a fronte di un saldo netto di circa 130 mila ingressi annui – un dato in linea con la media del decennio 2010-2019 – si assicurerebbe annualmente un contributo al patrimonio demografico della popolazione italiana di circa 7 milioni di anni-vita.

Non c’è più il futuro di una volta

Se dunque è pressoché certo ed inevitabile che nel prossimo trentennio il monte anni di futuro della popolazione italiana andrà riducendosi, resta tuttavia da capirne la reale dimensione quantitativa. Le prospettive oscillano tra la valutazione dei 437 milioni di anni-vita in meno tra il 1° gennaio 2021 e la stessa data del 2051, derivanti dagli scenari che si disegnano sulla base delle esperienze del nostro tempo, e l’alternativa che accredita il supporto di un rialzo della natalità – verosimilmente favorito anche da alcune recenti iniziative – e di un equilibrato flusso migratorio netto. In quest’ultimo caso, se anche è vero che non si potrà del tutto annullare la perdita di futuro verso cui ci siamo incamminati da tempo, è pur tuttavia innegabile che già poterla contenere deve ritenersi un risultato più che apprezzabile.

La verità è che cambiano i tempi, cambia la popolazione e cambiano le condizioni di contesto entro cui viviamo e, giorno dopo giorno, consumiamo il nostro futuro. Un futuro che non solo qualitativamente non è più quello di prima, ma che anche sul piano quantitativo fa emergere un curioso paradosso (che è poi la sintesi finale di questo contributo): “il percorso di vita residua va costantemente accrescendosi (al di là della parentesi pandemica) quando i dati si soffermano sulle biografie degli individui, mentre si fa sempre più breve quando essi raccontano il profilo medio di un’intera popolazione, come dire: più per ognuno di noi singolarmente, ma meno per noi tutti insieme”.

FONTE: https://loccidentale.it/il-paradosso-del-futuro-piu-per-ciascuno-meno-per-tutti-di-g-c-blangiardo/

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Manifestare diventa crimine

Spero sia ormai chiaro. Il governo ha preparato, programmato gestito la scusa delle “violenze fasciste” per mettere fuori legge le manifestazioni legittime di 3-4 milioni di lavoratori che, senza green pass, dal 15 ottobre mancheranno alle aziende, non potranno lavorare né produrre né prendere il salario.

La distruzione ulteriore dell’economia che ne consegue è anch’essa programmata e voluta: contrariamente a quel che credono i suoi cantori e servi, Draghi non è stato messo al potere per attuare “la ripresa” e “far ripartire l’economia” con i “miliardi della UE” ; è stato messo lì per attuare il programma Gran Reset. Che contempla la riduzione in miseria delle popolazioni troppo numerose, inquinanti e “superflue” per i signori miliardari.

Il collasso economico prodotto dalla “pandemia” è stato anch’esso voluto e freddamente programmato dalla finanza speculativa e dalle banche centrali loro serve, come ha dimostrato Andrea Cecchi (“Un virus giusto al momento giusto”): occorreva raffreddare subito la mostruosa, patologica titanica domanda di prestiti di un’economia mondiale che non “rende” più abbastanza per ripagarli. E’ stato sventato un collasso totale e improvviso del sistema attuando un collasso controllato. A spese nostre.

I miliardari hanno pianificato – e Speranza-Draghi-Mattarella stanno attuando – lo smantellamento dello stato sociale, l’abolizione del servizio sanitario e della scuola di massa; la gente non se ne accorge perché la TV non glielo dice, ipnotizzandola con “i morti di Covid” e “i casi” , e da ultimo con le “violenze fasciste”. Lo scopo ulteriore, come è stato scritto nella “lettera dal Canada” che vi consiglio di rileggere, oltre che sfoltire la popolazione (i pensionati, a cui “provvede” il siero Pfizer) è di impoverire la popolazione con rincari e inceppamenti dei rifornimenti, ulteriori lockout, intrappolarla in indebitamenti per sopravvivere, farla arrivare ad accettare un reddito universale di base (di sopravvivenza) e infine la cancellazione del debito di ciascuno, in cambio della rinuncia alla proprietà privata della casa d’abitazione: si sono accorti, i miliardari di Davos, che la piccola propietà immobiliare è un ostacolo alla fluidità della finanza. Come dice il programma 2030 di Davos, “non avrai niente e sarai felice”; perché dovrai affittare e noleggiare tutto, anche il frigorifero; che non è più tuo e per devi accettare lo “sharing” con altri, estranei.

Questo è lo scopo di Draghi, Speranza e Mattarella, non altro. Ragion per cui le manifestazioni dei portuali a Genova(“Manifestazione contro l’obbligo del passaporto sanitario, licenziamenti, precariato, morti sul lavoro e salari da fame. Lavoratori del porto: “Siamo contro l’obbligo del passaporto sanitario e dal 15 ottobre bloccheremo tutto ad oltranza!”); lo sciopero che ha bloccato lo Hub Amazon di Piacenza, e altri scioperi contro il green pass e la disoccupazione, sono proprio – temo – ciò che Draghi vuole.

Sono rivolte sacrosante, necessarie, e umane. Appunto, “umane”. E’ il loro difetto. Presuppongono nel Potere un qualunque interesse umano, se non altro, per le imprese, il lavoro e l’aumento del potere d’acquisto, il successo economico di cui i cantori di Draghi lo dicono capace. Ma Draghi – credetemi – non ha alcun interesse alle imprese e alla ripresa economica. Questo è il tempo del Male e della Grande Impostura.

Draghi potrà dare la colpa del collasso economico ulteriore, che lui ha provocato non consentendo a 3 milioni di lavoratori di lavorare, agli scioperi che “bloccano la produzione”, agli ostinati del no-green pass, ai portuali di Genova e di Trieste e a tutte le minoranze in rivolta: “fasciste”. Spero di sbagliarmi.

Ma qui ecco come risponde il potere alla richiesta, che viene anche da governatori-servi del Nord, di lasciare andare in fabbrica gli operai. Come dice ByoBlu,

DRAGHI ANNUNCIA LA STRETTA SULLE MANIFESTAZIONI: ENNESIMO DIRITTO VIOLATO

Dal 15 ottobre il diritto al lavoro in Italia verrà pesantemente compromesso. Milioni di lavoratori, per poter svolgere la loro mansione dovranno infatti pagare il costo del tampone. E oltre al diritto al lavoro, ora sembra che il Governo voglia prendere di mira anche il diritto di manifestare il proprio dissenso.

Repressione del dissenso?

Sembra che infatti l’ultimo fine settimana di proteste sia stato utilizzato da Mario Draghi come il pretesto per dare una stretta ancora più rigida alle future manifestazioni. Si sarebbe infatti svolto un colloquio a tre tra il Presidente del Consiglio, il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese e con il con il sottosegretario delegato Franco Gabrielli.

Il prossimo obiettivo dichiarato è quello di limitare al massimo le prossime manifestazione che si preannunciano particolarmente veementi nella giornata del 15 ottobre, quando entrerà in vigore l’obbligo del green pass. Il ministro Lamorgese ha convocato per mercoledì un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza che servirà ad analizzare quali azioni intraprendere per controllare in maniera più stretta il dissenso.

Una strategia che è stata come di consueto sposata con vigore dai principali organi della stampa mainstream, come il Sole 24 Ore che ha addirittura parlato di “polizia “disarmata” e di norme in piazza che risalirebbero al 1931”. Norme che a detto del giornale vicino a Confindustria sarebbero da riaggiornare perché troppo generiche.

Il Sole 24 Ore vorrebbe quindi norme più rigide rispetto a quelle elaborate sotto il regime fascista?

Un diritto costituzionale

Ricordiamo che il diritto di manifestazione e di espressione del dissenso è tra quelli riconosciuti e garantiti dalla Costituzione in ben due articoli. L’articolo 17 che così recita:

I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

E poi c’è l’articolo 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Una stretta alle manifestazioni, senza chiare giustificazioni, sarebbe quindi una palese violazione della Costituzione.

Tuttavia sono diversi gli aspetti controversi legati a questa vicenda e che sembrano nascondere una regia precisa.

Il ruolo ambiguo di Forza Nuova

L’atteggiamento repressivo del Governo sarebbe infatti conseguenza del controverso assalto alla sede della CGIL ad opera di un ristretto gruppo di manifestanti presenti a Roma e afferenti con buona probabilità al movimento Forza Nuova. Le dinamiche dell’assalto e alcune immagini sembrano però testimoniare l’anomalo comportamento delle forze dell’ordine, che sembrano assistere come spettatori passivi.

D’altronde risulta abbastanza incomprensibile come un gruppo, ben noto alle forze dell’ordine, riesca in piena impunità a raggiungere e assaltare la sede di un sindacato, nel pieno centro della capitale. E oltre a questo risulta del tutto incomprensibile la presenza sullo stesso palco di Piazza del Popolo di Giuliano Castellino, esponente di spicco di Forza Nuova, ma anche soggetto che avrebbe dovuto essere ben monitorato dalle autorità giudiziarie.

Castellino risulta infatti colpito dal Daspo, provvedimento che lo dovrebbe tenere lontano dagli stadi di calcio, ma non solo. Secondo il tribunale di Roma Castellino è “un soggetto pericoloso in relazione ai reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica” poiché “organizza forme di protesta destinate a sfociare in scontri con le Forze dell’Ordine, in quanto, non solo attuate mediante iniziative non autorizzate, ma deliberatamente tese ad elevare il livello di conflittualità sociale con modalità che includono il programmato scontro fisico con gli appartenenti alle Forze dell’ordine”.

Insomma un agitatore riconosciuto come tale e che sabato ha potuto muoversi liberamente e indisturbato in una manifestazione, creando caos e disordini. Gli stessi che ora sono utilizzati come pretesto dal Governo per ridurre gli spazi di libertà. La domanda che bisogna quindi porsi è: c’è un legame tra Forza Nuova e il Governo Draghi?

(Noi preghiamo: li catturi la rete che hanno tesa!)

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/manifestare-diventa-crimine/

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Il sindacato quando scenderà in piazza per i lavoratori?

Savino Balzano – 11 Ottobre 2021

Il sindacato quando scenderà in piazza per i lavoratori?

 

Chi mi conosce lo sa: il mio per la Costituzione è vero e proprio feticismo.

Che le organizzazioni di ispirazione fascista vadano sciolte è doveroso perché la nostra è una Costituzione democratica e antifascista. Il fascismo è abbrutimento, volgarità, ignoranza, inciviltà. Il fascismo è una carnevalata spregevole, nauseante e disgustosa.

Ora però, detto questo, pensare che il problema delle nostre lavoratrici e dei nostri lavoratori sia il fascismo è macchiettistico allo stesso modo (se non di più!).
Che la gente nutra disaffezione nei confronti della politica e delle istituzioni è un dato di fatto e che i lavoratori siano ormai diffidenti nei confronti del sindacato è vero nello stesso identico modo (se non di più!). Scegliere di non aprire su questo una riflessione severa e autocritica significa essere ciechi o, peggio ancora, furbescamente disonesti.

Puntare lo sguardo sulla fantomatica minaccia fascista è fuorviante: tanto quanto (se non di più!) delegittimare una Piazza del Popolo gremita di brave persone, per concentrare l’attenzione su quattro sfigati violenti (che vanno arrestati perché nocivi per il paese e per il mondo del lavoro). E, a proposito di violenza, mi piacerebbe che le forze democratiche del paese condannassero la violenza che molti filmati in circolazione sui social documentano da parte di alcuni esponenti delle forze dell’ordine a scapito di manifestanti pacifici e inermi: saranno certamente anche questi episodi marginali e isolati, ma credo meritino la stessa condanna unanime.

L’assalto alla sede della CGIL è stato un momento dolorosissimo per tutti coloro i quali credano nel sindacato (e sono orgoglioso di essere tra loro), la solidarietà delle istituzioni è pertanto doverosa, ma ricordiamoci sempre chi è al governo del paese in questo momento.
Al governo c’è un banchiere che ha chiamato, come consigliere a Palazzo Chigi, Elsa Fornero: la stessa Fornero che ha picconato l’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Al governo c’è un banchiere fortemente voluto da Matteo Renzi di cui è amico, che ha ideato la peggior riforma del lavoro mai esistita, il Jobs Act, che ha archiviato definitivamente il diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo, ha liberalizzati il controllo a distanza e il demansionamento sui luoghi di lavoro.

Ora sono contento di sapere che finalmente i sindacati tornino ad animare le piazze italiane, ma spero che la loro sia un’azione chiara in difesa del mondo del lavoro. E, siccome Landini nel 2014 ha definito il Jobs Act quale “nuova schiavitù”, mi aspetto che cominci finalmente a fare qualcosa per porvi fine.
In caso contrario, qualcuno potrà ipotizzare che tutto questo sensazionalismo altro non sia che fumo negli occhi e il gioco avvantaggerà proprio coloro i quali (casualmente?) sabato scorso hanno distolto con le loro azioni l’attenzione dalle reali istanze dei più deboli, dei più fragili, degli ultimi.

Alla lotta, dunque (quella seria però).

 

Savino Balzano

SAVINO BALZANO

nato a Cerignola nel 1987, ha studiato Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Perugia. Autore di “Contro lo Smart Working” (Laterza, 2021) e di “Pretendi il Lavoro! L’alienazione ai tempi degli algoritmi” (GOG, 2019). Sindacalista, si occupa di diritto del lavoro, collabora con diverse riviste.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_sindacato_quando_scender_in_piazza_per_i_lavoratori/43173_43430/

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

SONO I GOVERNI LA MINACCIA, NON IL CLIMA

Sono i governi la minaccia, non il clima

La storia è piena di catastrofi naturaliterremotiinondazioniuraganieruzioni vulcaniche e altri disastri geologici. Ma abbonda anche di catastrofi artificiali che provocano danni durevoli al pari di quelle naturali ma più temibili di queste perché continue, premeditate e non assicurabili: sono le catastrofi politiche. Qualsiasi operatore economico prima di trasferirsi in un Paese che non conosce sa che il primo rischio da valutare è quello politico, che racchiude la possibilità di eventi con un grande potenziale distruttivo per la società nel suo insieme.

Il fatto è che la politica è per sua natura irresponsabile, in quanto i governi ignorano sempre la possibilità che i loro schemi non funzionino come previsto e più concentrano potere nelle loro mani, più aumenta il rischio politico. Non si può mai essere sicuri di cosa i politici faranno esattamente, per cui il rischio deriva soprattutto dalla loro imprevedibilità, proprio come nel caso un individuo demente. Sbagliano, non ammettono mai nessun errore e sono perfettamente in grado di distruggere il mondo per il potere. Di conseguenza, la situazione è in continua e pericolosa evoluzione. L’isteria internazionale sia per il Covid-19 che per il cambiamento climatico ha notevolmente amplificato ovunque il rischio politico.

Net ZeroClimate ActionBuild Back Better e Great Reset, gli slogan creati dal Forum economico mondiale e adottati dai leader occidentali, designano le politiche psicopatiche volte ad accelerare la transizione dai combustibili fossili alle tecnologie rinnovabili e tutte rientrano nel copione di salvare il pianeta dal cambiamento climatico. Si osservi che questa etichetta ha sostituito quella del “riscaldamento climatico” per non sbagliarsi mai e poter continuare a affermare che anche tempeste o nevicate record sono causate dal diossido di carbonio la cui formula chimica è Co2. Tale composto è anche il prodotto della respirazione umana: inspiriamo ossigeno e espiriamo Co2. Anche la respirazione della popolazione mondiale inquina il pianeta.

Il copione ambientalista comporta che la minaccia climatica sia così imminente e esistenziale da spingere i leader mondiali ad agire come se fossero in guerra quando bisogna dichiarare lo stato di emergenza. Non c’è più tempo per deliberare o discutere, perché “la nostra casa è in fiamme” come dice la mascotte ambientalista Greta Thunberg. In questo stato di emergenza, tutte le libertà civili e democratiche possono essere sospese e, come per il Covid, il dissenso e il dibattito messi a tacere. Ovviamente per il “bene comune”. Solo allora le autorità, usando tutta la forza necessaria, potranno fare ciò che è necessario per proteggerci dal nemico che sarebbe quel rischio naturale, il cambiamento climatico, che circola da circa quattro miliardi di anni e la cui causa principale non è la Co2 ma il Sole, senza il quale la terra sarebbe una palla congelata a circa due gradi sopra lo zero assoluto. Oltre al sole concorrono a influenzare il clima anche i cambiamenti dell’orbita, l’inclinazione dei pianeti e una ventina di altri fattori critici.

Ma di tutto questo è vietato parlare, perché non è funzionale all’espansione del potere e del controllo politico sulle masse e all’imposizione del nuovo schema di sviluppo industriale deciso dai governi occidentali. Senonché, questo folle allarmismo con l’ipotesi di un giorno del giudizio climatico (sono stati installati in varie città orologi climatici per il countdown della fine del pianeta) sta già causando interruzioni globali nella produzione di energia mettendo a rischio la vita di milioni di persone. Nella foga di prevenire il presunto disastro climatico, eliminando i combustibili fossili, i governi non hanno pensato che i prezzi potessero aumentare di colpo e infliggere a tutti l’assaggio di una catastrofe energetica.

Il presidente americano Joe Biden che, appena insediato, ha aderito all’accordo sul clima di Parigi in cui politici e burocrati di tutto il mondo fingono di poter controllare le temperature, il livello del mare e l’attività delle tempeste a patto di distruggere migliaia di industrie e tassare i contribuenti, ha firmato ordini esecutivi per bloccare oleodotti e trivellazioni, rendendo nel giro di pochi mesi il suo Paese da autosufficiente in campo energetico a dipendente dalle forniture dei Paesi dell’Opec. I leader europei non sono stati meno stupidi. Dopo aver escluso il gas naturale dall’elenco delle fonti energetiche a basse emissioni di carbonio, quando nel mese di settembre il prezzo ha iniziato a salire velocemente, sono andati tutti in panico a causa dello stoccaggio insufficiente per affrontare l’inverno. Come ha recentemente dichiarato l’Amministratore delegato della SnamMarco Alvera: “Puoi sopravvivere una settimana senza elettricità, ma non puoi sopravvivere senza gas”. Andrà bene se l’Unione europea diventerà ostaggio della Russia per mancanza di autonomia energetica. E i teorici psicopatici della transizione vorrebbero che Russia e altri importanti Paesi produttori di petrolio rinunciassero ai combustibili fossili per abbassare la temperatura globale!

I principali fattori che determinano la politica energetica sono l’affidabilità, la sicurezza e il costo perché gli standard di vita e la prosperità economica dipendono dal contenimento dei costi energetici. Ma nessuno di questi requisiti sarà soddisfatto con la transizione ecologica. Va detto con molta chiarezza: l’energia verde è una truffa politica travestita da movimento per la salvezza del pianeta ma concepita come mezzo per perseguire la governance globale, la tassazione globale e la regolamentazione globale. Ci avviciniamo a una catastrofe politica che prima colpirà popolazioni disperse, disorganizzate e disarmate dalla propaganda e che, come conseguenza della truffa, pagheranno più tasse per un’energia meno efficiente. Ma in un secondo tempo potrebbe allargarsi a un conflitto mondiale.

L’energia verde è approvata da agenzie governative, organizzazioni non profit ambientali, da lacchè scientifici e potenti lobby verdi che distribuiscono soldi a destra e a manca. Tutti questi soggetti, che lavorano solo per promuovere i propri interessi, sono visti come fonti di informazioni affidabili. Le politiche climatiche che si basano su queste fonti stanno minando la coesione interna delle società occidentali, prosciugandole economicamente e accelerando la ridistribuzione del potere globale lontano da loro. C’è da chiedersi quando la gente si sveglierà e, come facevano i Romani, comincerà a trascinare nelle strade i responsabili di tutta questa follia.

FONTE: http://opinione.it/editoriali/2021/10/12/gerardo-coco_governi-clima-transizione-ecologica-ue/

 

 

 

POLITICA

Contesti il green pass? Allora sei fascista
di Claudio RomitiClaudio Romiti
12 Ottobre 2021

I ballottaggi si avvicinano a grandi passi e, con quello strategico del Comune di Roma in bilico, i compagni del Partito Democratico non potevano certo lasciarsi sfuggire l’occasione per inscenare una squallida strumentalizzazione politica per i fattacci di Roma. Utilizzando il manipolo di violenti irresponsabili che hanno preso d’assalto la sede della Cgil, “stranamente” lasciata quasi incustodita dalle forze dell’ordine, gli eredi del Pci hanno rispolverato il più che logoro vessillo dell’antifascismo.

Scioglimento di FN

Un antifascismo sul quale una intera generazione di politici, sindacalisti, giornalisti e uomini di cultura ha vissuto di rendita per decenni. Tant’è che le capogruppo del Pd alla Camera e al Senato,  rispettivamente Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, si sono precipitate a depositare una mozione con cui si chiede al governo di “dare seguito al dettato costituzionale in materia di divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, provvedendo allo scioglimento di Forza Nuova e di tutti i movimenti di chiara ispirazione neofascista…”. “È arrivato il momento di finirla con le ambiguità nei confronti del fascismo”, hanno tuonato le due esponenti dem, confezionando il solito  trappolone per i loro avversari di destra: “Ci auguriamo che tutte le forze politiche autenticamente democratiche sottoscrivano la nostra mozione.”

Chi contesta, è un nemico del popolo

Ora, così come accaduto nei confronti della sequela di misure restrittive fin qui adottate, misure culminate con l’abominio di un passaporto sanitario per chi lavora, anche in questo caso emergono tutta una serie di correlazioni che potremmo definire eufemisticamente spurie. Quindi, mentre nei riguardi del Sars-Cov-2 si continua a far passare l’idea di un virus mortale, il cui contagio equivale alla malattia grave, a prescindere se il soggetto sia immunocompetente o meno, chi protesta pacificamente per il green pass più restrittivo al mondo (misura degna, questa sì, di una specie di fascismo sanitario) viene arruolato d’ufficio nelle squadracce neofasciste. E una volta imposto l’infamante marchio a tutti coloro i quali osino trovarsi in disaccordo con la segregazione sociale imposta a chi non intende sottostare ai diktat del governo, si chiude il cerchio delle citate correlazioni spurie dipingendo questi ultimi come una pericolosa minoranza di untori che mettono impunemente a repentaglio la salute pubblica.

FONTE: https://www.nicolaporro.it/contesti-il-green-pass-allora-sei-fascista/

Perché mezza Italia e forse più non è antifascista

Marcello Veneziani, La Verità (10 ottobre 2021)

Ma finitela con questa caccia al fascista, al saluto romano, al busto del duce, al cimelio dell’epoca, alla mezza frase nostalgica e al gesto cameratesco. Si capisce lontano un miglio la malafede della caccia al fascismo ripresa con le ultime inchieste: serve a colpire e inguaiare la Meloni e il suo partito. E ancora più subdoli e cretini sono i finti consigli alla suddetta: diventa antifascista, fai come Fini. Che infatti finì nel nulla, bocciato dagli elettori, scomparso senza gloria. Un’esortazione al suicidio per ottenere post mortem la patente democratica e la riabilitazione in memoria.

Ponetevi piuttosto un problema molto più serio e molto più attuale: perché mezza Italia e forse più non si riconosce nell’antifascismo, non si definisce antifascista, anzi nutre riserve e rigetto? E’ una domanda seria da porsi, dopo che il fascismo fu sconfitto, abbattuto e vituperato, dopo che furono appesi i corpi dei capi, dopo che fu vietata ogni apologia, dopo che sono passati quasi ottant’anni tra tonnellate di condanne, paginate infinite, manifestazioni antifasciste, divieti, lavaggi del cervello a scuola e in tv, perché c’è ancora mezza Italia che non vuole definirsi antifascista? Quella maggioranza non è antifascista ma non è affatto fascista, se non in una piccola percentuale residua, se non amatoriale; gran parte di loro non si riconoscono affatto nel fascismo, lo reputano improponibile, superato. Per loro è assurdo già solo porsi la domanda. Ripudiano violenza, razzismo, guerra e dittatura. Semmai una larga fetta di loro ritiene che si debba giudicare il fascismo nei suoi lati negativi e positivi, senza demonizzazioni; neanche il comunismo fu male assoluto. Molti di loro vorrebbero un giudizio storico più equilibrato, più onesto, più veritiero.

Il vero problema che evitate di vedere non è la persistenza presunta del fascismo nella società italiana ma l’ampiezza dell’area di opinione che non vuol definirsi antifascista e non si riconosce nell’antifascismo. Avete provato almeno una volta a porvi la domanda, senza aggirare le risposte con moduli prestampati e retorica celebrativa? Noi ce la siamo posta e non da oggi. E la riassumiamo così.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti perché a loro sembra grottesco usare una definizione che aveva un senso nel ’45, all’età dei loro nonni, quando invece vivono coi pronipoti del terzo millennio. Non si definiscono antifascisti perché a molti di loro sembrerebbe monca, carente una definizione del genere perché così escluderebbero o addirittura assolverebbero altre forme di dittatura, di totalitarismo e di dispotismo, a partire dal comunismo.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti perché è ben vivo il ricordo delle bandiere rosse che monopolizzavano l’antifascismo, dei cortei militanti col pugno chiuso e più recentemente dei movimenti antifà e dei nuovi partigiani a scoppio ritardato. Sanno che l’antifascismo fu l’alibi per i compromessi storici, le aperture e l’egemonia comunista e si tengono alla larga.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti, come invece viene loro prescritto, perché non credono al bianco e al nero, hanno conosciuto per vie traverse e quasi clandestine le storie che non si vogliono far sapere, e che riguardano sia il regime, sia i suoi avversari, sia la guerra partigiana e non vogliono schierarsi conoscendo crimini e misfatti di quel tempo e di quei versanti.

Senza andare lontano, anzi restando in casa, molti italiani ricordano loro padre, loro nonno fascista e hanno di lui una memoria e un giudizio molto diversi rispetto al mostro dipinto dalla vulgata antifascista. E ricordano cosa raccontava. Tanti italiani non si riconoscono nell’antifascismo perché non ci stanno a considerare i loro famigliari in camicia nera come dei criminali, sanno che non è vero, non è giusto; e poi, sono i loro cari.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti perché reputano balorda, divisiva e riduttiva la rappresentazione storica che ne deriva, con tutta la storia e l’identità del Paese ridotta alla distinzione manichea tra fascisti-antifascisti. Preferiscono attenersi alla realtà e diffidano dell’ideologia.

Tanti italiani non si definiscono antifascisti perché non sono di sinistra e non vogliono avallare il loro gioco politico, non vogliono farsi strumentalizzare, capiscono che serve solo per arrecare danni e vantaggi alla politica presente.

Il nostalgismo fascista oggi non ha valenza politica in Italia ma solo emotiva, sentimentale, simbolica, araldica, al più cameratesca; fa parte del modernariato. Mentre il rifiuto dell’antifascismo, quello sì, ha una precisa valenza e ricaduta politica, è un chiaro messaggio politico su cui dovreste riflettere.

Aggiungo che fanno bene quei tanti italiani a non cascare nel gioco di pretendere un’abiura davvero insensata e anacronistica. Allontanando dalla politica l’uso improprio del fascismo, si può invece rivendicare il diritto a un diverso giudizio storico sul passato e sul fascismo, fondato sulla realtà e sul lavoro degli storici seri. È sacrosanto tentare di ricucire la storia d’Italia nelle sue scissioni più dolorose e cogliere il filo unitario che la percorre, anche nelle lacerazioni. Non certo per vellicare propositi revanscisti che sarebbero come minimo falsi e ridicoli; sia fascisti che antifascisti. Non si rimpiange un ventennio dopo un ottantennio, c’è un limite matematico e logico, oltre che di buon senso.

Infine, se credete davvero che la storia d’Italia debba cominciare e finire con l’antifascismo, elevato a religione civile, obbligo di leva, e perno costituzionale, chiedetevi perché mezza Italia non si riconosce in questo schema. Se dopo tanti decenni di rieducazione, repressione, propaganda e religione civile, mezza Italia e forse più non si riconosce nell’antifascismo, il problema non è della Meloni ma è vostro, di voi antifascisti in servizio permanente effettivo e dell’esempio che avete dato. Diciamolo: avete fallito.

FONTE: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/perche-mezza-italia-e-forse-piu-non-e-antifascista/

 

Famola strana: la dittatura all’italiana

Ottobre 16, 2021 posted by Francesco Carraro

Se il mondo non finirà come noi, se l’Italia di Draghi si confermerà – come ora pare – un bizzarro incidente della storia, se il Nuovo Ordine Italiano rimarrà limitato ai confine dello Stivale, allora un giorno qualcuno si prenderà la briga di scriverci un libro. Cioè, di studiare e approfondire – dal punto di vista sociologico e psicologico, prima ancora che politico – lo straordinario caso del “Paese-che-si-fece-democraticamente-totalitario”. Dove, per “democraticamente” intendiamo “consensualmente”. Vale a dire con il beneplacito ebete e pacioso della maggioranza grassa e inerte dei cittadini.

Ovviamente, il libro rappresenterà un dossier ben più corposo di queste poche righe, ma proviamo intanto a buttare giù qualche considerazione a futura memoria. Nelle giornata di ieri abbiamo fatto un passo indietro di quasi cento anni nelle conquiste di un secolo (di battaglie) sorto sulle macerie di una dittatura. In sintesi, ci siamo svegliati in un posto dove – per esercitare il diritto inviolabile al lavoro – è necessario esibire una tessera come i non ariani nel ventennio. Per di più, a pagamento, salvo sottoporsi a un trattamento sanitario sperimentale non obbligatorio. Tra l’altro, in assenza degli unici due requisiti propagandati: una emergenza pandemica e una campagna vaccinale insufficientemente estesa.

Bene, tutto ciò è avvenuto senza esercito nelle strade, senza elezioni connotate da brogli o da violenze, senza intimidazioni. Quindi, primo punto: il ritorno al fascismo non è una eventualità “possibile” e “temuta”, ma un dato di fatto “certo” e “accettato” a livello popolare. Solo la creatività italica poteva brevettare la prima dittatura “consenziente” e “fai da te”, per così dire, della storia umana. Però, per fortuna ci sono le eccezioni; eccome: milioni di cittadini ancora renitenti alla leva vaccinale, migliaia di persone nelle piazze.

Qui, però, va registrato il secondo dato stupefacente che riguarda la stampa nazionale. In un paese normale, essa darebbe ampio spazio alle proteste, griderebbe al pericolo alle porte, soprattutto con una classe intellettuale fascisto-fobica come la nostra. E invece no. Quasi tutti i quotidiani (con un paio di isolate eccezioni) son contenti e i loro direttori lustrano le penne soddisfatti come tacchini in attesa del forno. Titoli sparsi del 16 ottobre 2021: “Green pass, l’Italia non si ferma” (Corriere della Sera), “Il G-day passa il primo test” (Repubblica), “Vince l’Italia che lavora” (Libero), “Riparte l’Italia del green pass” (Il Messaggero), “Pochi disagi, L’Italia non si è fermata” (Il Resto de Carlino), “Sì pass, la vera Italia” (Il Mattino), “L’Italia è sì pass” (Avvenire).

Almeno, ai tempi della buonanima, il partito unico al potere aveva bisogno del Minculpop, delle veline, delle leggi liberticide per ottenere obbedienza. Oggi, i media fanno tutto da soli. Di nuovo: primo caso al mondo di eutanasia democratica salutata con gaudio dai cosiddetti “cani da guardia della democrazia”. Poi c’è l’ultimo aspetto straordinario meritevole di un capitolo a sé. Un solo giornale titola, a tutta scatola, contro il pericolo fascista: “Ora è sempre, mai più fascismi”. Ed è il foglio comunista “Il Manifesto”. Ma se vi germoglia in cuore una speranziella, abbandonatela. Ce l’anno col fascismo del 1921, mica con quello del 2021. Praticamente hanno bucato la notizia con appena un secolo di ritardo. Se mai qualcuno scriverà il libro di cui sopra potrebbe intitolarlo “Il senso dell’Italia per la democrazia”. Oppure: “Italia: una democrazia che fa senso”. Suona anche meglio.

FONTE: https://scenarieconomici.it/famola-strana-la-dittatura-allitaliana/

 

STORIA

Maria Antonietta

Galatea Vaglio 16 10 2021

Maria Antonietta

Accadde oggi: la regina Maria Antonietta viene ghigliottinata a Parigi.
Dieci cose che impari quando sei Maria Antonietta:

1. Nascere con una madre ingombrante come Maria Teresa non ti rovina solo l’infanzia ma tutta la vita. Anche se ci saranno decine di principesse e regine più superficiali e sventate di te, tutti ti considereranno sempre come la figlia vanesia di una grande regina.
2. Che poi, magari non sarai stata un genio, ma rispetto a quel sacco di patate che ti hanno dato per marito, eri comunque una grande statista. Ma sei una donna, e alle donne non si perdona mai niente.
3. Lascia stare le brioche, o ti ricorderanno solo per quello.
4. Il Conte Fersen non è stato una buona idea, ma del resto ricordiamoci che tuo marito era mezzo impotente e lui era uno svedesotto alto e biondo che levati. Maria Antonietta, ti comprendiamo.
5. La corte di Versailles è un nido di vipere, ma farsi costruire un Villaggetto falso dove mungere false mucche è un po’ come sognare di vivere nel villaggio dei Lego.E costa di più.
6. A tuo modo sei stata una paladina delle donne, e hai protetto numerose artiste facendole emergere e mettendo un freno alla discriminazione contro le pittrici. In questo, i Rivoluzionari saranno molto più indietro di te.
7. Lascia stare le collane, portano solo scandali, specie se sono maneggiate da quel cretino del cardinale di Rohan che non sa distinguere una truffatrice da una tua inviata.
8. Quando scoppia la Rivoluzione chiudersi a riccio nella tua spocchia aristocratica non è una buona idea. Ma sei principessa, e austriaca, che la flessibilità non sia una tua dote è comprensibile.
9. Sai morire bene. Da vera regina, dimostrando che in fondo il carattere tu ce l’avevi, è che tutti erano troppo impegnati a sottovalutarti per accorgersene.
10. Abbi pazienza, e Lady Oscar e Sofia Coppola riusciranno a farti risultare quasi simpatica alle masse. O per lo meno a far desiderare a generazione di donne di possedere le tue scarpe e i tuoi vestiti (e il conte Fersen, sempre lui, ça va sans dire).

#storia # #rivoluzionefrancese #accaddeoggi #mariaantonietta Louise Elisabeth Vigée-Lebrun – Marie-Antoinette dit « à la Rose » 

FONTE: https://www.facebook.com/150774392674/posts/10158669297937675/

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