La cosiddetta parabola della “tartaruga cieca”, presente nel Canone buddhista, è interessante in quanto spesso ignorata dagli occidentali (e soprattutto dai sostenitori della cosiddetta “reincarnazione”, ovvero l’idea che un essere -nello specifico un uomo – possa passare più volte da uno stesso “stato dell’essere”. Tale idea é chiaramente confutata dalla presente “parabola” che insegna, al contrario, quanto sia difficile per un essere ricevere il “dono” di una nascita umana e come essa non vada in alcun modo sprecata.

 

In effetti, la presenza nel Buddhismo dell’idea (invero molto “occultista”) delle “indefinite reincarnazioni” é soprattutto un luogo comune. Anche nel Buddhismo, come in tutte le realtà davvero tradizionali, lo Stato Umano è infatti un dono rarissimo e pressocché unico, l’unica condizione dalla quale é possibile ottenere la Liberazione o quantomeno la “salvezza” (ovvero, il fuggire dallo sprofondamento negli stati inferi).
Il passo é tratto dal “Sutta Pitaka”. Majjhima Nikāya, 129:
Immaginate”, disse il Buddha ai discepoli:
“C’e’ nell’oceano, o monaci, una tartaruga, cieca da entrambi gli occhi, che s’immerge nelle acque dell’immenso oceano nuotando incessantemente in ogni direzione, dovunque il capriccio la possa portare. Nell’oceano c’e anche il giogo d’un carro che galleggia senza posa sulla superficie delle acque ed e’ trasportato in ogni direzione dalle onde, dalle correnti e dal vento. Entrambi, la tartaruga e il giogo continuano a muoversi per un incalcolabile lasso di tempo: casualmente avviene che nel corso del tempo il giogo arrivi nel luogo preciso e nello stesso momento in cui la tartaruga emerge e le si infili nel collo. Ora, monaci, e possibile che cio’ accada?”.
“Nella verita’ convenzionale, signore, e’ impossibile: ma essendo il tempo interminabile, e la durata d’un eone cosi’ lunga, si puo’ ammettere che, forse, una volta o l’altra, sia possibile che i due si incontrino, come detto; se la tartaruga cieca vive abbastanza e il giogo non marcisce e non si rompe prima che avvenga una tale coincidenza.”
Allora il Buddha disse:
“Monaci, una tale coincidenza non deve essere ritenuta poi cosi’ difficile, perche’ ce n’e’ un’altra peggiore, piu’ ardua, cento, mille volte piu’ difficile, a voi sconosciuta. E qual é? E’, o monaci, l’opportunita’ di rinascere di nuovo come uomo per un uomo che sia spirato e rinato anche una sola volta in uno dei reami inferiori d’esistenza. La coincidenza del giogo che s’infila nel collo della tartaruga cieca non si puo’ reputare cosi’ difficile a confronto con quest’altra. Perche’ solo coloro che fanno il bene e s’astengono dal male possono ottenere un’esistenza da uomini o da dèi. Gli esseri dei quattro reami miserandi non possono discernere cio’ che e’ giovevole e cio’ che non lo e’, cio’ che e’ bene e cio’ che e male, cio’ che e’ consapevole e cio’ che e’ compulsivo, cio’ che apporta merito e cio’ che crea demerito e, di conseguenza, vivono una vita di compulsione e demerito tormentandosi l’un l’altro con tutte le loro forze. Le creature dell’inferno e gli spiriti, in particolare, vivono vite molto miserabili a causa di tormenti e punizioni che sperimentano con pena, dolore e disperazione.
Percio’, monaci, l’opportunita’ di rinascere sul piano degli uomini e’ cento, mille volte piu’ difficile da ottenere dell’incontro della tartaruga cieca col giogo.”
FONTE: https://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2020/02/buddhismo-parabola-trasmigrazione/