RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 15 NOVEMBRE 2018

https://comedonchisciotte.org/gli-usa-hanno-costruito-la-loro-europa-e-lhanno-data-in-gestione-alla-germania/

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

15 NOVEMBRE 2018

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Solo una volta sono stato muto.

È stato quando un uomo mi ha chiesto

“Chi sei tu?”

KHALIL GIBRAN, Aforismi, Barbera Ed.,2008, pag. 5

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

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IN EVIDENZA

COMMERZABANK E DEUTSCHE “DANNO CONSIGLI” AL PRESIDENTE ITALIANO

www.maurizioblondet.it 14 novembre 2018

Un appello diretto al presidente della repubblica viene dal capo-economista di Commerzbank, Jorg Kramer: lo ha fatto su Handelsblatt Global, l’edizione inglese del principale giornale economico. Ecco il ragionamento:

https://global.handelsblatt.com/opinion/power-markets-chasten-italy-populists-980858

La UE tenga duro. Noi (“i mercati”)  puniremo  governo populista, esigendo tali interessi sul loro debito pubblico, da renderlo insolvente.  L’Italia dovrà chiedere aiuto alla BCE. E’ vero che la BCE “probabilmente interromperà il suo programma di acquisto di obbligazioni alla fine dell’anno. Ma  è ancora in essere il  programma OMT, che  gli consentirà comunque di acquistare volumi illimitati di titoli di stato emessi da un singolo stato membro se è a rischio di collasso finanziario o rappresenta una minaccia per la zona euro”.

Questo programma “aiuta” il paese in difficoltà, ma sotto precise condizioni:  le “riforme” (tagli all’osso  che abbiamo visto applicare alla Grecia. In pratica, il paese  viene messo sotto  amministrazione controllata dai pignoratori europei.

Jörg Krämer, capo economista di Commerzbank, dà idee a Mattarella…

C’è un piccolo  guaio, per il tedesco: deve essere il paese-vittima a chiedere l’aiuto speciale (OMT) della banca centrale, chiedendo prima l’assistenza finanziaria  del piano ESM. Ora, è altamente improbabile che Roma avanzi questa richiesta, “tanto più che alcuni rappresentanti dei partiti al governo hanno flirtato con l’idea di uscire dalla zona euro”.

L’ideale   – attenzione  – sarebbe che “il presidente italiano facesse  prima  una rapida elezione e chiedere al parlamento di appoggiare un governo moderato che dovrebbe accettare le richieste di riforma dell’UE e quindi creare le condizioni perché la BCE intervenga”.

Purtroppo, “data la popolarità degli attuali partiti al potere”, è dubbio che “il presidente rischierebbe una simile mossa”. Bisogna che i mercati lo aiutino. Per esempio “se  tutte e quattro le agenzie di rating abbassassero lo stato di solvibilità dell’Italia, le banche italiane sarebbero addirittura escluse dalle regolari operazioni di rifinanziamento della BCE”.

“Ciò è accaduto in Grecia al culmine della crisi del debito greco nel 2015, quando le banche greche si sono avvicinate a non avere  liquidità, costringendo il primo ministro Alexis Tsipras a fare un’inversione di politica”.

“Affinché i mercati obbligazionari esercitino la loro disciplina, la BCE deve attenersi alle regole OMT se l’Italia scivola in crisi, intraprendendo  acquisti illimitati di titoli di stato soltanto se il paese ha chiesto aiuto dal MES e si è piegato alle sue esigenze di riforma. La BCE dovrebbe rendere le regole giuridicamente vincolanti”. Allora la pressione dei mercati (traduciamo: la BCE che prosciuga i bancomat, smettendo di fare ciò che una banca centrale deve fare) farà  votare per un altro governo…

Certo, si rincresce Kramer, “non è l’ideale se il governo italiano dovesse solo arginare il conflitto di bilancio a causa della pressione del mercato piuttosto che capire la necessità di una disciplina di bilancio.

Ma sarebbe molto peggio se l’UE dovesse chiudere un occhio sulle politiche di bilancio irresponsabili e fare un assegno in bianco all’Italia diluendo le regole OMT. I populisti italiani esulterebbero tifo e l’idea della disciplina di bilancio, ma sarebbero rimasti a brandelli. A lungo termine, l’unione monetaria europea non sopravviverebbe a questo”.

Uno dei timori dell’oligarchia è infatti questo: se la UE cede al piccolissimo sgarro italiano sul bilancio, Spagna , Portogallo (e Francia)  e altri paesi in difficoltà esigerebbero lo stesso trattamento, e addio alla “disciplina”   ordoliberista che i tedeschi  hanno instaurato. “Se la UE diventa più cedevole con l’Italia, si crea l’effetto domino”, dice l’economista Daniel Lacalle  intervistato dall’Express britannico.

Lacalle, spagnolo che lavora a Londra ed è membro del Gruppo Mises, dice anche che purtroppo, l’Italia “vincerà” nella sua sfida con la UE.  Essenzialmente perché, contrariamente alla Grecia è un contributore nello UE, per di più da decenni ha un avanzo primario, insomma non ha bisogno di prendere a prestito, se non per pagare gli interessi sul debito stesso.

Infine, ha anche un avanzo commerciale, al contrario della Francia – e di tutti i paesi dell’euro tranne Germania e Olanda.

https://www.express.co.uk/news/world/1044452/Italy-EU-standoff-eurozone-budget-crisis-Salvini

Motivo per cui David Folkerts, il capo economista di Deutsche Bank (!)  sul Financial Times, cerca di convincere l’Italia con le buone.

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/commerzabank-e-deutsche-danno-consigli-al-presidente-italiano/

 

 

 

Manovra italiana sotto attacco

www.ilgiornale.it

Dopo Austria e Olanda, la Ue tuona: “Controproducente per l’economia”. Critiche anche dalla Bce e dalla Bundesbank

Nico Di Giuseppe – Mer, 14/11/2018

Austria, Olanda, Bce, Bundesbank e naturalmente Ue. Tutti contro la manovra economica.

L’attacco al governo gialloverde ora diventa trasversale. Il 21 novembre, come anticipato oggi dal Giornale, verrà infatti avviata la procedura di infrazione contro l’Italia per aver violato le regole di riduzione del debito. “A Bruxelles continuano a mandare le letterine – mette le mani avanti Matteo Salvini – se proveranno a mettere sanzioni contro il popolo italiano, hanno capito male”.

Gli attacchi però non si placano. “L’Italia deve scegliere se conformarsi alle regole fiscali europee o affrontare maggiori costi di indebitamento, in quanto la Bce non si affretterà a soccorrere un singolo membro della zona euro”, ha affermato Klaas Knot, governatore della Banca centrale olandese, parlando alla Cnbc, come riporta Reuters. Knot, che è considerato un falco in seno al consiglio direttivo della Bce, ha detto che “è piuttosto pertinente sostenere che l’Italia debba essere effettivamnte conforme alla regole”, anche perché “in caso contrario, il risultato sarà un aumento dello spread”. Il governatore centrale ammente che “ci sono rischi al ribasso per la regione”, tra cui lo scontro tra Italia e Ue sulla manovra, la Brexit e lo scontro commerciale Usa-Cina, “ma l’impatto non è tale da indurci a cambiare radicalmente le nostre prospettive” della politica monetaria.

Critiche anche dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che in un discorso a Berlino ha avvertito: “Il governo italiano è legittimato ad amentare la spesa pubblica, ma a condizione che non ne derivi un onere più elevato sul debito. È perfettamente legittimo che un nuovo governo stabilisca nuove priorità politiche ma nella misura in cui queste sono associate a spese aggiuntive, sarebbe consigliabile ridurre altre spese o aumentare le entrate”.

La Commissione Ue si rifatta sentire. Il vicepresidente della Commissione responsabile per l’Euro, Valdis Dombrovskis, nella prima reazione ufficiale dell’esecutivo comunitario dopo l’invio da parte del governo di una versione rivista del documento programmatico di bilancio ha dichiarato: “La decisione del governo italiano di non modificare il piano di bilancio è controproducente per l’economia italiana. Già ora, in percentuale, gli interessi

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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Addio alla “giungla” dei Compro Oro, si cambia: ma c’è qualcosa che non torna

La crisi economica ha aumentato a dismisura il numero dei Compro Oro in tutte le città italiane, e ora si prova a mettere una pezza a una situazione complessa, quasi da Far-West: ma non tutti gli operatori al momento si sono iscritti al registro. Perché?

Addio alla “giungla” dei Compro Oro, si cambia: ma c’è qualcosa che non torna

Redazione

14 novembre 2018

La crisi economica ha aumentato a dismisura il numero dei Compro Oro in tutte le città italiane, un fenomeno in ascesa netta: nelle Questure le richieste di licenze nuove negli ultimi anni sono state numerosissime.

Per aprire l’attività ed essere in piena regola bastava infatti solo il permesso della questura e pochi giorni si poteva avviare un’attività. E’ diventato però anche una sorta di attività sotterranea e alcuni negozi (solo alcuni) sono finiti nel mirino degli investigatori per usura, riciclaggio e ricettazione.

Le cose sono cambiate recentemente. I Compro Oro infatti avevano tempo fino al 2 ottobre per presentare l’istanza di registrazione all’OAM, l’Organismo competente per la gestione degli Elenchi degli Agenti in attività finanziaria e dei Mediatori creditizi. Dopo tale termine, chi non si fosse adeguato, avrebbe dovuto cessare l’attività. Dai dati OAM, però, emerge che ci sono circa 550 Compro Oro che si erano registrati al portale ma non hanno presentato istanza di iscrizione al registro.

Compro Oro, che cosa cambia

Questi operatori hanno cessato immediatamente l’attività? Qualcuno li ha controllati? Continuano a esercitare abusivamente la professione? Duro e lapidario il commento del Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, Massimiliano Dona: “Considerando che la normativa è stata pubblica in Gazzetta il 20 giugno 2017 e che è entrata in vigore il 5 luglio 2017, c’era tutto il tempo per adeguarsi!”.

Ma cosa rischiano i clienti dei Compro Oro? Secondo David Campomaggiore, Ceo del marchio OroEtic e autore di un libro proprio sui compro oro “il cliente non rischia nulla a livello legale ma rischia moltissimo a livello economico perché se si affida a un compro oro che sta operando in modo abusivo, è molto probabile che sia gestito da persone poco serie, non professionali e che non si fanno scrupoli a lavorare fuori legge. Allo stesso modo non

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L’ultima del PD: “Mutilazioni genitali islamiche pagate dai contribuenti”

febbraio 28, 2018    CHE SEGUITO HA AVUTO QUESTA INDAGINE??????

 

MUTILAZIONI GENITALI RITUALI PAGATE DALL’ASL IL PAI DENUNCIA REGIONE PIEMONTE LA PROCURA DI TORINO HA APERTO UN FASCICOLO

“Sembra incredibile ma Regione Piemonte usa i soldi dei Contribuenti per far effettuare mutilazioni rituali su minori sani violando le leggi dello Stato, la deontologia medica e compiendo discriminazioni religiose contro la Costituzione”.

Questa la denuncia del Partito antiislamizzazione guidato da Stefano Cassinelli di fronte ai provvedimenti della Giunta regionale piemontese. Giancarlo Matta, ha provveduto a presentare formale e dettagliata denuncia presso la Procura di Torino dove è stato aperto un fascicolo in relazione ai fatti.

La Giunta Regionale del Piemonte ha approvato le modalità per l’effettuazione, a carico del Servizio Sanitario Regionale, degli interventi di “circoncisione rituale”, sia in regime di day-hospital che a carattere di degenza, e dopo il primo provvedimento ha inoltre stabilito di abbassare l’età dei minori da mutilare (da otto anni a sei mesi).

Vox lo aveva anticipato mesi fa:

 

Dopo la richiesta islamica:

Il costo complessivo di un intervento di mutilazione rituale maschile, è stato indicato dai medici mediamente in 1.500 euro circa.

 

Risultano intanto essere stati stanziati dalla Regione Piemonte ben 120.000 euro di danaro pubblico per gli “interventi” previsti con un ticket di soli 280 euro.

 

All’ospedale civile Martini (ASL TO 1) recentemente è già stato mutilato un bambino sano di età circa poco oltre gli otto anni. Nella denuncia si sottolinea la violazione della parità giuridica dei cittadini, attuandosi discriminazione soggettiva tra cittadini (atei, buddhisti, ebrei, di altre religioni). Violazione della Carta dei Diritti dell’Uomo O.N.U. anno 1948 Articolo 3. Violazione della Carta dei Diritti del Cittadino U.E. anno 1950 Articoli 8 e 9. Violazione della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea anno 2000 (2012/C 326/02) Articolo 3 comma 1, comma 2.a; Articolo 10, comma 1; Articolo 21 comma 1, Articolo 24 comma 1 e 2. Violazione del diritto alla vita e alla integrità fisica: tutelato in sede penale e civile, oltre ad essere oggetto di previsione costituzionale (Articoli 2 e 32 Costituzione); in materia penale va ricordato l’articolo 590 C.P. (lesioni personali); in sede civile la generale tutela prevista dall’Articolo 5 e dall’Articolo 2043 C.C.

Contrasto con la Legge istitutiva dell’Ordine Professionale dei Medici D.Lgs.C.P.S. 13.09.1946, n. 233, e con le Norme cogenti del derivante Codice Deontologico (articoli 3, 6 e 16) vigenti, incluso il relativo Giuramento Ippocratico, classico e moderno. Sperpero di risorse pubbliche

Continua qui:

https://voxnews.info/2018/02/28/lultima-del-pd-mutilazioni-genitali-islamiche-pagate-dai-contribuenti/?fbclid=IwAR1UMVty_F7on2oxTrmMb8tuYIjYJqBIacmkp6WgXBeFgAS1LL13FRWfUvs

 

Economia Europa, aumentano i single, dove sono di più, di che tipo – infografiche

www.termometropolitico.it

Gianni Balduzzi – 8 novembre 2018

Economia Europa, aumentano i single, dove sono di più, di che tipo – infograffiche

È un tema che economisti ed istituti di ricerca trattano come parte integrante degli argomenti economici. E non a torto, infatti. Che un nucleo familiare sia composto da 5 persone o da uno ha grandi conseguenze sui consumi, sul welfare, sui risparmi, per esempio.

E l’Europa, e con essa l’Italia, sta sempre più diventando un luogo di single.

È quello che emerge dai dati Eurostat. Nell’infografica realizzata è possibile selezionare varie voci, le vie tipologie di single esistenti, solo maschi, solo femmine, sopra o sotto i 65 anni, con minori a carico, e la percentuale di nuclei da questi composti. E osservare come questa percentuale è cambiata negli anni.

Le famiglie composte solo da un single in Italia sono il 32,3%. Vi sono chiaramente Paesi con percentuali maggiori, in Norvegia si arriva al 45,7%, in Svezia, Finlandia, Germania, Danimarca si è al di sopra del 40%, in Francia al 36%.

Meno single che nel resto del Continente in Slovacchia e Portogallo, dove sono poco più del 22%, sotto al 30% anche in Grecia, Repubblica Ceca, Spagna, Romania.

Economia Europa, dove sono di più i single over e under 65

Tuttavia, c’è single e single. Se selezioniamo gli over 65 ecco che da noi ve ne sono come in Germania, il 14,8%, mentre i massimi sono in Lituania e Bulgaria, poco meno del 20%. Sono di fatto i vedovi, che sono di più in quei Paesi in cui vi sono meno giovani e in cui la mortalità è maggiore.

Continua qui: https://www.termometropolitico.it/1339525_economia-europa-single.html

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Show di Mimmo Lucano a Milano: “Vorrei una società senza autoctoni”

Il sindaco di Riace, sospeso a seguito dell’inchiesta della procura di Locri per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha parlato a Milano in sala Alessi su invito di Basilio Rizzo e introdotto del sindaco Beppe Sala

Renato Zuccheri – Mar, 30/10/2018

Il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, è intervenuto a Milano in sala Alessi in un incontro organizzato dal consigliere Basilio Rizzo e introdotto da Giuseppe Sala.

Tra standing ovation dei presenti, che hanno intonato “Bella Ciao” e scandito slogan come “Riace non si arresta” e “Ora e sempre Resistenza” quello di Lucano è stato un vero e proprio show. “Ogni essere umano è un panorama che non ha uguali. Vorrei una società dove nessuno si può dire autoctono”, dice il sindaco di Riace. Il politico calabrese è poi tornato sulla vicenda giudiziaria che lo vede protagonista e continua a non considerarsi colpevole di alcun crimine. E ha dichiarato: “È stato meglio accogliere, aver salvato anche solo una persona ed essere stato arrestato che essersi comportato come questo governo o il governo precedente”.

Rivolgendosi alla platea, Lucano ha detto che “c’è fame di umanità” e che “non è vero che

 

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/politica/show-mimmo-lucano-milano-vorrei-societ-senza-autoctoni-1595096.html

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Il vero vincitore di Palermo

www.occhidellaguerra.it   14 NOVEMBRE 2018

 

Se c’è un vincitore di questa conferenza di Palermo sulla Libia, quello è sicuramente Khalifa Haftar. Il generale libico, leader militare e politico della Cirenaica, si è trasformato negli ultimi mesi nel vero ago della bilancia della crisi. Le violenze di Tripoli avevano fatto capire che Fayez al-Sarraj non fosse più in grado di mantenere (da solo) il controllo sulla transizione libica. A quel punto, l’Italia, che dall’inizio della transizione aveva sempre puntato su Sarraj, si è dovuta ricredere, spostando non troppo lentamente le sue attenzioni dalla Tripolitania alla Cirenaica, scegliendo di non giocare su unico fronte.

Poi è arrivata la marcia di avvicinamento alla conferenza siciliana, il viaggio di Enzo Moavero Milanesi a Bengasi, l’arrivo a Roma del maresciallo, il tira e molla degli ultimi giorni, con il rischio che Haftar non si presentasse alla riunione di Palermo e la rete d’intelligence e diplomatica d’Italia impegnata a evitare che l’uomo forte della Cirenaica disertasse l’incontro.

Infine, Palermo. Una conferenza che doveva essere (e per certi versi è stata) un palcoscenico per la Libia e per tutti i leader libici, ma che alla fine, inutile negarlo, si è trasformata nella grande passerella di Khalifa Haftar. Atteso come il deus ex machina che avrebbe evitato al governo italiano il fallimento della Conferenza, il generale è arrivato nel capoluogo siciliano come la vera stella del firmamento libico.

Sicuramente più atteso di tutti gli altri rappresentanti delle fazioni in Libia, anche di quello stesso Serraj che, inutile ricordarlo, è ancora oggi il Presidente del Consiglio Presidenziale e Primo ministro del Governo di Accordo Nazionale. Eppure sembrava che fosse Haftar il vero leader.

Ecco, se la Conferenza di Palermo ha avuto un primo risultato, è quello di aver consegnato il futuro della Libia ad Haftar. Il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale si è praticamente trasformato in una delle tante parti in gioco. E questo nonostante il generale di Tobruk, fino a pochi mesi fa, fosse appoggiato da Egitto, in parte dalla Francia, Russia, e da altri attori arabi. Mentre Serraj, sempre in teoria, era l’uomo che

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CULTURA

Tornano Malraux e Camus gemelli opposti di Francia

Bompiani rilancia i due titani della letteratura francese del ‘900. Ma il maestro supera l’allievo…

Davide Brullo – Sab, 10/11/2018

Uno, ambiguamente bello, come Humphrey Bogart in Casablanca, era un tombeur, l’altro, piuttosto, era un magnetico tombarolo. Addobbato come Corto Maltese, nei primi anni Venti, mentre Albert Camus fa gné gné alle scuole elementari, André Malraux, spavaldo ventenne, s’aggira in Indocina insieme alla moglie, Clara Goldschmidt – di cui ha dilapidato la fortuna – sperando di far soldi trafugando statue, monili e bassorilievi dai templi cambogiani.

 

Come sempre, la realtà irrompe disorientando le fantasie: Malraux, coraggioso quanto ingenuo, viene arrestato, un mucchio di scrittori francesi – tra cui André Breton, Gide, Mauriac, Louis Aragon – si mobilita per lui, che rientra in Francia, nel 1924, nobilitato dalla fama di avventuriero.

Nasce lì, nella selva asiatica, dove l’oscurità spiritata esalta il morbo occidentale, virus di morte e resurrezione, il Malraux scrittore, quello de Le vie dei Re, I conquistatori, La condizione umana, con cui, nel 1933, ottiene il Goncourt. Soprattutto, nasce allora, frutto di un fraintendimento maliziosamente annaffiato, la storia di Malraux come Byron cinese, che «ha diretto una spedizione archeologica in Cambogia, ha avuto rapporti con Chang Kai-shek e con Mao Tse-tung», come dichiarava, nel 1962, John Kennedy, dopo aver invitato alla Casa Bianca l’illustre francese. In realtà, tutte balle, «le date parlano chiaro: prima del 15 luglio 1965, data del suo viaggio ufficiale in Cina durante il quale incontrò Mao, Chou En-lai e il maresciallo Chen Yi, Malraux aveva messo piede sul suolo cinese soltanto due volte: una prima volta nell’agosto del 1925 a Hong Kong per circa una settimana: una seconda e ultima volta nel 1931… in veste di frettoloso turista» (Renata Pisu). Le maschere di Malraux, però, l’aviatore che comanda una squadriglia repubblicana in Spagna idolatrando D’Annunzio, il partigiano riluttante durante la Seconda guerra, l’aedo di De Gaulle e il mecenate della cultura francese degli anni Sessanta, il fondatore del Museo Immaginario, amico di Picasso, Chagall, Braque, omaggiato da Lev Trockij (giudicava i suoi romanzi «un atto di accusa folgorante contro la politica dell’Internazionale comunista in Cina»), l’«agente stalinista» (ancora Trockij) e «l’unico autentico fascista francese» (Albert Béguin), sono troppo belle – l’artista è ciò che scrive di essere, mica ciò che è davvero – per essere discusse.

La coincidenza ammette il complotto critico. Bompiani pubblica una nuova traduzione de La condizione umana (firma Stefania Ricciardi, pagg. 352, euro 15) insieme all’edizione rinnovata di alcuni libri di Albert Camus: Caligola (nuova traduzione di Camilla Diez, pagg. 160, euro 10), Il diritto e il rovescio (nuova traduzione di Yasmina Melaouah, pagg. 80, euro 9), Tutto il teatro (pagg. 512, euro 16), i Taccuini (pagg. 576, euro 16). Camus e Malraux sono, indubbiamente, i titani della letteratura francese del Novecento. Per lo più, paiono gemelli opposti: se Camus – procedo per sciupate etichette – è un esistenzialista, Malraux è un nichilista cronico; se Camus ha cercato la verità (sillabario dell’impossibile), Malraux ha dato credito alla menzogna ben articolata; Camus è un uomo della contemplazione, Malraux dell’azione; Camus ha ottenuto il Nobel per la letteratura, Malraux, sotto De Gaulle, è stato plenipotenziario della cultura di Francia; Camus ha scritto dell’Algeria dando voce alla vita, Malraux ha esplorato l’Oriente sfidando la morte.

Camus, ozioso seduttore – l’anno scorso Gallimard ha pubblicato le lettere infuocate tra Albert e Maria Casarès, divina figlia dell’ultimo Presidente del Consiglio spagnolo prima di Franco, in esilio a Parigi, attrice, a cui lo scrittore confessa, trafitto, «nel sangue scorre una impazienza che mi fa male, una voglia di bruciare tutto, di divorare tutto, ed è questo il mio amore per te» – è sempre piaciuto a tutti. Però, col senno di oggi, Lo straniero non è più grande del remoto capolavoro di Flaiano, Tempo di uccidere, e La peste, che ha in dote una franca semplicità – un valore per il mercato ma non per l’eterno – non regge di fronte ai torbidi interrogativi de La condizione umana, il romanzo in cui Malraux ha conciliato la gnosi di Joseph Conrad agli abissi di Pascal. Camus riesce efficace nella misura saggistica – Il mito di Sisifo e L’uomo in rivolta andrebbero letti ferocemente al liceo; per poi passare oltre – ma soprattutto negli schizzi e negli

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/tornano-malraux-e-camus-gemelli-opposti-francia-1599946.html

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE

Un’ora di ciberguerra

13/11/2018

Una carta a colori da Limes 10/18, La Rete a stelle e strisce

carta di Laura Canali

 

 “L’idea che nella guerra cibernetica la forbice con gli avversari sia ridotta può sembrare curiosa, di fronte alla portata planetaria delle aziende tecnologiche a stelle e strisce, al relativo potenziale di intercettazione e attacco e alla disponibilità di gran parte delle infrastrutture della connessione (cavi, centri di stoccaggio dei dati eccetera).

Eppure, per descrivere la proiezione strategico-militare degli Stati Uniti in questa sfera non si

 

Continua qui: http://www.limesonline.com/unora-di-ciberguerra-3/109617?refresh_ce

 

 

 

 

 

 

La crocifissione di Julian Assange

14 novembre 2018 CHRIS HEDGES

truthdig.com

Il rifugio di Julian Assange nell’ambasciata ecuadoriana di Londra si è trasformato in una piccola bottega degli orrori. Negli ultimi sette mesi [il giornalista] è stato praticamente escluso da ogni forma di comunicazione con il mondo esterno. La cittadinanza ecuadoriana, che gli era stata concessa in virtù del suo status di richiedente asilo, sta per essergli revocata. Le sue condizioni di salute si vanno deteriorando. Gli vengono negate le cure mediche. I suoi tentativi di ottenere un ricorso sono stati vanificati da tutta una serie di restrizioni, compreso il divieto da parte del governo ecuadoriano di rendere pubbliche le sue condizioni di vita all’interno dell’ambasciata per tutto il periodo del ricorso contro la revoca della cittadinanza ecuadoriana.

Il Primo Ministro australiano, Scott Morrison, si è rifiutato di intercedere a favore di Assange, cittadino australiano, anche se il nuovo governo dell’Ecuador, guidato da Lenín Moreno (che definisce Assange un “problema ereditato” ed un ostacolo al miglioramento delle relazioni con Washington) sta rendendo intollerabile, nell’ambasciata, la vita del fondatore di WikiLeaks. Non passa giorno che l’ambasciata non imponga regole sempre più dure per Assange, compreso il pagamento delle cure mediche, norme astruse per poter tenere un gatto e tutta una serie di umilianti lavori domestici.

Gli Ecuadoriani, riluttanti ad espellere Assange dopo che gli avevano garantito cittadinanza ed asilo politico, vogliono rendergli la vita talmente sgradevole da indurlo a lasciare l’ambasciata per essere arrestato dagli Inglesi ed estradato negli Stati Uniti. L’ex-Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, il cui governo aveva concesso l’asilo politico al giornalista, definisce le attuali condizioni di vita di Assange una forma di “tortura.”

Sua madre, Christine Assange, ha detto in recente appello diffuso in video: “Nonostante Julian sia un giornalista più volte premiato, amato e rispettato per aver coraggiosamente divulgato, nell’interesse di tutti, crimini e corruzione ai più alti livelli, ora è solo, malato e sofferente, in isolamento e impossibilitato a parlare, separato da tutti i contatti e torturato nel cuore di Londra. Al giorno d’oggi il carcere per i prigionieri politici non è più nella Torre di Londra. E’ nell’ambasciata ecuadoriana.”

“Questi sono i fatti,” aveva continuato. “Julian è in stato di detenzione da quasi otto anni, senza capi d’imputazione. Proprio così. Senza capi d’imputazione. Per tutti gli ultimi sei anni, il governo inglese ha rifiutato le sue richieste per le esigenze sanitarie di base, l’aria, l’attività fisica, la luce del sole per la vitamina D e la possibilità di poter accedere a cure dentistiche e mediche appropriate. Come risultato, la sua salute è andata seriamente deteriorandosi. I medici che lo hanno visitato hanno avvertito che le sue condizioni di detenzione sono pericolose per la vita. Un lento e crudele assassinio sta avvenendo proprio davanti ai vostri occhi, nell’ambasciata di Londra.”

“Nel 2016, dopo un’indagine approfondita, le Nazioni Unite avevano stabilito che i diritti umani e legali di Julian erano stati violati in molteplici occasioni,” aveva continuato. “E’ detenuto illegalmente fin dal 2010. E [le Nazioni Unite] avevano ordinato il suo immediato rilascio, un salvacondotto e un indennizzo. Il governo inglese si è rifiutato di rispettare la decisione delle Nazioni Unite. Il governo degli Stati Uniti considera l’arresto di Julian una priorità. Vogliono aggirare la protezione che il Primo Emendamento concede ai giornalisti americani accusandolo di spionaggio. Pur di farlo non si fermeranno davanti a nulla.”

“Le pressioni statunitensi sul nuovo presidente dell’Ecuador hanno messo in serio pericolo l’asilo finora garantitogli,” aveva continuato. “ Le pressioni americane sul nuovo presidente dell’Ecuador hanno avuto come risultato che Julian, negli ultimi sette mesi, è stato tenuto in completo isolamento, privato di ogni contatto con la famiglia e gli amici. Potevano vederlo solo i suoi avvocati. Due settimane fa, le cose sono sensibilmente peggiorate. L’ex-Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, che aveva giustamente concesso l’asilo politico a Julian per metterlo al riparo dalle minacce statunitensi alla sua libertà e alla sua vita, aveva dichiarato pubblicamente, durante la recente visita del Vicepresidente americano Mike Pence in Ecuador, che era stato raggiunto un accordo per consegnare Julian agli Stati Uniti. [Correa] aveva aggiunto che, dal momento che il costo politico dell’espulsione di Julian dalla loro ambasciata era troppo alto, il piano [degli Ecuadoriani] era di distruggerlo psicologicamente. All’ambasciata si era allora deciso di implementare un nuovo, insopportabile ed inumano protocollo, per torturarlo fino al punto di rottura e costringerlo ad uscire.”

Assange, tempo fa, veniva riverito e corteggiato dai maggiori organi di informazione mondiali, New York Times e Guardian compresi, per le informazioni di cui disponeva. Ma, dopo la pubblicazione da parte di questi media del suo tesoro, il materiale che documentava i crimini di guerra degli Stati Uniti e che, per la maggior parte gli era stato fornito da Chelsea Manning, [Assange] era stato messo in disparte e demonizzato. Com’era trapelato da un documento del Pentagono, preparato dalla Cyber Counterintelligence Assessment Branch [Divisione Valutazione Controspionaggio Informatico] e datato 8 marzo 2008, era stato dato il via ad una campagna di propaganda sporca per denigrare WikiLeaks ed Assange. Il documento asseriva che la campagna diffamatoria avrebbe dovuto cercare di distruggere quel “senso di fiducia” che è il “centro di gravità” di WikiLeaks e infangare la reputazione di Assange. Ha funzionato alla grande.

Assange viene vilipeso sopratutto per la pubblicazione di 70.000 emails hackerate, provenienti dal Comitato Nazionale Democratico (DNC) e da alte personalità del Partito Democratico. I Democratici e l’ex-direttore dell’FBI, James Comey, hanno affermato che le emails erano state copiate dalle caselle di posta di John Podesta, il responsabile della campagna elettorale di Hillary Clinton, da hackers ingaggiati dal governo russo. Comey aveva anche detto che i messaggi erano stati fatti pervenire a WikiLeaks probabilmente da un intermediario. Assange aveva affermato che le emails non erano affatto arrivate da “rappresentanti dello stato.”

Il Partito Democratico (cercando di attribuire la colpa della propria sconfitta elettorale all’”interferenza” russa, piuttosto che alla grottesca disparità fra i redditi, al tradimento della classe lavoratrice, alla perdita delle libertà civili, alla deindustrializzazione e al colpo di stato corporativo che il partito aveva aiutato ad orchestrare) aveva attaccato Assange come fosse un traditore, anche se non è cittadino degli Stati Uniti. Non è neppure una spia. Che io sappia, non c’è nessuna legge che gli impedisca di rivelare i segreti del governo degli Stati Uniti. Non ha commesso nessun crimine. E adesso, gli articoli dei quotidiani che un tempo pubblicavano il materiale di WikiLeaks si concentrano sul suo aspetto trasandato (che non ho mai notato nel corso delle mie visite) e come egli sia diventato, secondo il Guardian, “un ospite indesiderato” nell’ambasciata. L’aspetto fondamentale dei diritti di un editore e della libertà di stampa viene ignorato, a favore di una sarcastica diffamazione.

Ad Assange era stato concesso asilo nell’ambasciata nel 2012, per evitargli l’estradizione in Svezia, dove avrebbe dovuto essere interrogato su presunti reati sessuali, accuse che, alla fine, erano cadute. Assange temeva che, da detenuto in Svezia, avrebbe potuto essere estradato negli Stati Uniti. Il governo inglese ha fatto sapere che, anche se non è più ricercato per essere interrogato in Svezia, Assange, se dovesse lasciare l’ambasciata, verrebbe arrestato per violazione alle norme sulla libertà vigilata.

WikiLeaks ed Assange hanno avuto più voce in capitolo di ogni altro organo di informazione nel rivelare le oscure macchinazioni e i crimini commessi dall’esercito degli Stati Uniti nelle sue guerre infinite, nel far luce sui meccanismi interni della campagna della Clinton, nel pubblicizzare i metodi di spionaggio informatico della CIA e della NSA, i loro programmi di sorveglianza e la loro interferenza nelle elezioni straniere, comprese quelle francesi. Hanno reso pubblica la cospirazione dei membri del parlamento [inglese] nei confronti del leader del Partito Laburista britannico, Jeremy Corbin. E WikiLeaks aveva fatto un buon lavoro quando aveva salvato dall’estradizione negli Stati Uniti Edward Snowden, che aveva fatto conoscere la reale entità della sorveglianza che il governo americano esercita sui propri cittadini, aiutandolo a fuggire da Hong Kong a Mosca. Anche le rivelazioni di Snowden avevano purtroppo rivelato che Assange era sulla “lista dei ricercati” dagli Stati Uniti.

Quello che sta succedendo ad Assange dovrebbe terrorizzare la stampa. E, tuttavia, il suo dramma viene accolto con indifferenza e sprezzo beffardo. Una volta uscito dall’ambasciata, sarà messo sotto processo negli Stati Uniti per quello che ha pubblicato. Questo costituirà un nuovo e pericoloso precedente legale, che l’amministrazione Trump, e quelle che seguiranno, useranno contro altri giornalisti, compresi quelli che ora fanno parte della folla che sta cercando di linciare Assange. Il silenzio sul trattamento di Assange non è solo un tradimento nei suoi confronti, ma è anche un tradimento della stessa libertà di stampa. Pagheremo a caro prezzo questa complicità.

Anche se fossero stati i Russi a fornire ad Assange le emails di Podesta, avrebbe dovuto pubblicarle ugualmente. Io lo avrei fatto. Facevano luce su aspetti della macchina politica della Clinton, che lei e tutta la dirigenza democratica cercavano di nascondere. Nei vent’anni che ho lavorato all’estero come corrispondente straniero mi venivano costantemente offerti documenti trafugati, da organizzazioni e da fonti governative. La mia unica preoccupazione era se quei documenti fossero contraffatti o autentici. Se erano autentici li pubblicavo. Quelli che mi fornivano il materiale trafugato erano i ribelli del Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Marti (FMLN); l’esercito salvadoregno, che una volta mi aveva fatto avere documenti del FMLN trovati dopo un’imboscata, ancora sporchi di sangue; il governo sandinista del Nicaragua; il servizio di intelligence israeliano, il Mossad; l’FBI; la CIA; il gruppo ribelle del Partito dei Lavoratori Curdi (PKK); l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (PLO); i servizi di intelligence francesi, Direction Générale de la Sécurité Extérieure (DGSE); e il governo serbo di Slobodan Milošević, processato poi come criminale di guerra.

Abbiamo saputo dalle emais pubblicate da WikiLeaks che la Fondazione Clinton aveva ricevuto milioni di dollari dall’Arabia Saudita e dal Qatar, due dei maggiori finanziatori dello Stato Islamico. Come Segretario di Stato, Hillary Clinton aveva ripagato i suoi benefattori approvando una vendita di armi di 80 miliardi di dollari all’Arabia Saudita, consentendo al regno di scatenare nello Yemen una guerra devastante, che ha causato una crisi umanitaria, una carestia e un’epidemia di colera e che finora è costata la vita a quasi 60.000 persone. Abbiamo appreso che la Clinton era stata pagata 675.000 dollari per un discorso nella sede di Goldman Sachs, una somma così esorbitante che può essere definita solo come una tangente. Siamo venuti a conoscenza che la Clinton aveva detto alle elites finanziarie, nel corso dei suoi redditizi discorsi, di essere favorevole al “libero scambio e alle frontiere aperte” e di credere che i dirigenti di Wall Street avessero le migliori capacità per gestire un’economia del genere, una dichiarazione in netto contrasto con le sue promesse elettorali. Abbiamo saputo che la campagna della Clinton aveva fatto di tutto per influenzare le primarie del Partito Repubblicano, in modo che la nomina andasse a Donald Trump. Abbiamo saputo che la Clinton conosceva in anticipo le domande dei dibattiti pre-elettorali. Abbiamo appreso, visto che 1.700 delle 33.000 emails provenivano dal server della Clinton, che era stata lei il principale artefice della guerra in Libia.

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/la-crocifissione-di-julian-assange/

 

 

 

ECONOMIA

Contatori gas truffa in tutta Italia segnalata da Le Iene. Forte aumento in bolletta

Leonardo  15 novembre 2018

S’infiamma la polemica sull’involontaria truffa del contatore del gas, che sarebbe causata da un difetto tecnologico che, potenzialmente, potrebbe coinvolgerebbe milioni di famiglie italiane. La trasmissione Le Iene, in onda su Mediaset, con un servizio di Matteo Viviani ha dimostrato con le proprie telecamere come molti nuovi contatori digitali del gas potrebbero continuare a segnare consumi anche se non passa un filo del prezioso minerale. Una truffa. Un dipendente di una delle principali aziende che distribuiscono il gas sul territorio nazionale ha contattato la trasmissione per dimostrare, praticamente, come il contatore continui ad addebitare consumi di gas anche se in realtà non si sta utilizzando alcun servizio che possa giustificare questo consumo.

Contatore del gas taroccati, ipotetica truffa smascherata da Le Iene

Tuttavia, possiamo solamente parlare di un’ipotetica truffa, visto che non sappiamo se ci sia stata una vera e propria intenzione di frode relativa a tutti contatori installati in quasi tutte le abitazioni le famiglie italiane.

Il servizio ha dimostrato come un contatore del gas senza essere stato attaccato ad alcuna tubatura, nel giro di pochi minuti ha cominciato a segnalare consumi. Anche se, i consumi segnalati dal dispositivo sono irrisori, Matteo ha calcolato che nel giro di un mese l’importo extra del consumo è pari a € 15.

Difetto tecnologico nel contatore del gas

In termini di cifre, si parla di un aumento in bolletta di circa 15 euro al mese, ma l’importo potrebbe essere anche maggiore sulla base di una serie di indicatori. I passaggi sono allora due: scoprire se si rientra tra quegli utenti che pagano senza consumare ed eventualmente capire come fare a recuperare le somme indebitamente versate. Sul primo versante, alcuni modelli dei nuovi tipi di contatori digitali segnano consumi anche se è stato chiuso il gas e basta una semplice verifica in autonomia per controllare l’esistenza dell’anomalia ovvero chiudere l’utenza del gas e controllare se il conteggio del consumo (il numero dei metri cubi di gas consumati) si arresta o meno. Il suggerimento è di attendere almeno un paio di minuti prima di essere sicuri dell’assenza di scatti. Oppure basta vedere online il servizio delle Iene, in cui un tecnico mostra come i nuovi contatori del gas possano addebitare costi anche a chi non consuma nulla.

Per quanto riguarda il rimborso, succede che non tutti notato e segnalano il malfunzionamento e così le società che gestiscono il servizio ci guadagnano. Truffa o meno (“questa cosa in azienda si sa, ma nessuno ha l’interesse di tirarla fuori”, dice il tecnico invitato dalla trasmissione televisiva) e indipendentemente dalle stesse Iene, occorre mettersi in contatto con il gestore oppure inviare la segnalazione di presunte irregolarità a un’associazione a tutela dei diritti dei consumatori che si sono già mosse in difesa degli utenti. Anche perché la vicenda ha preso le mosse dal sospetto nato dopo le segnalazioni di cittadini che dopo il cambio del contatore, avevano notato un aumento apparentemente ingiustificato dei consumi di gas rispetto al passato.

Decisivo il cambio contatore del gas

Provando a fare un passo indietro, come suggerito dall’associazione Codici a tutela dei diritti dei consumatori, la sostituzione dei contatori del gas non è un’operazione obbligatoria per tutti. Solo alcuni modelli devono cedere il passo e non si tratta affatto di una procedura a cui tutte le famiglie sono sottoposte. In linea di massima, se il contatore non ha più di 15 anni di attività non va sostituito.

Contatore del gas difettoso: cosa devo pagare?

Nell’anno 2015 reduce dal lutto del marito, mia madre di 85 anni lo ha passato a turno quasi tutto a casa dei suoi 5 figli. Tornata definitivamente nel suo appartamento mi sono accorto che il contatore del gas installato circa da un anno da Gabogas era bloccato sullo zero. Ho avvertito la società che lo ha sostituito. Evidentemente lo hanno installato difettoso e quindi la responsabilità è loro ma nella bolletta è stato calcolato un consumo una tantum di 500 metri cubi extra. Io ho contestato ma loro non sentono ragioni e dicono che bisogna pagare. Vorrei un consiglio da voi. È giusto pagare o posso fare qualcosa? A chi rivolgermi?

Grazie Mauro Alberti

Caro Mauro, abbiamo chiesto di risponderle a un’esperta, la responsabile del servizio utenze di Konsumer Italia, Valentina Masciari. Ecco la sua risposta

 

Caro Mauro, in effetti, leggendo quello che scrive, è giusto che abbia delle perplessità su questa richiesta fatta dal suo fornitore di gas. In tali ipotesi, è previsto che nel caso di  guasto o rottura del gruppo di misura, il distributore provveda alla sostituzione redigendo contestualmente un verbale di sostituzione.
Una copia di questo deve essere data al cliente che deve firmarla  e una va inviata al fornitore : già su questo punto, mi sembra non sia stata rispettata la procedura, perché lei, Mauro, non cita la consegna di alcun verbale.

A questo punto,  l’esercente deve procedere alla ricostruzione dei consumi:  il contatore potrebbe aver fornito registrazioni dei consumi sbagliate, per eccesso o per difetto. Per fare la ricostruzione dei consumi, vanno seguiti alcuni principi:

si prende come periodo di riferimento il tempo compreso tra il momento in cui si è verificato il guasto o la rottura del contatore, se è possibile stabilirlo con certezza, e il momento in cui l’esercente provvede alla sostituzione oppure alla riparazione del contatore stesso;

 

se non è possibile stabilire con certezza il momento del guasto o della rottura del contatore, il periodo di riferimento per la ricostruzione dei consumi è quello

che intercorre fra la data di verifica, o di sostituzione del contatore per l’invio a un laboratorio qualificato e, l’ultima lettura valida per il distributore e non contestata dal cliente. Il periodo di riferimento non può comunque mai essere superiore a cinque anni solari;

 

il cliente può comunque fornire all’esercente la documentazione riguardante le eventuali variazioni dei suoi consumi rispetto ai consumi degli anni precedenti.

Proprio questo è il passaggio che riguarda il Sig. Mauro: infatti i suoi consumi dell’ultimo periodo hanno subito una considerevole variazione rispetto allo standard precedente.

Infine, il cliente deve ricevere tutte le informazioni relative alla ricostruzione dei consumi comunque non più tardi di 2 mesi dalla data in cui è stata effettuata la verifica / sostituzione del contatore: non mi sembra che lei, Mauro, abbia ricevuto questi dati.

Comunque, i dati della ricostruzione dei consumi dal momento in cui il cliente ne riceve la comunicazione scritta, possono essere contestati, cosa che lei ha prontamente fatto.

Aggiungo, che nel corso della risoluzione di una controversia relativa alla ricostruzione dei consumi, la fornitura del gas al cliente non può essere sospesa per il debito relativo alla ricostruzione dei consumi stessi.

Visto, gentile Mauro, che non si ritiene adeguatamente soddisfatto della risposta ottenuta alla sua contestazione, magari facendosi assistere da un’associazione consumatori, può attivare la procedura presso lo Sportello del Consumatore, contestando sempre la ricostruzione dei consumi fatta e richiedendo una ulteriore verifica sulla questione evidenziando quanto sopra detto.

Luce e gas: come evitare le truffe degli operatori?

Vista la difficile situazione economica in cui si trova il nostro paese, è comprensibile che sempre più Italiani si informino su come risparmiare sulla spesa per il gas riscaldamento, a maggior ragione considerato che la stagione fredda è alle porte. Il metodo più utilizzato a tale proposito è il confronto delle tariffe offerte dai vari fornitori, in modo da individuare l’opzione più conveniente presente sul mercato. Nel caso in cui i prezzi proposti  siano troppo convenienti, occorre prestare attenzione al rischio truffa, purtroppo sempre presente.

Per attirare ignari consumatori, alcune compagnie propongono delle tariffe per il gas metano e per la luce a prezzi super vantaggiosi nettamente più bassi rispetto a quelli offerti dai normali operatori energetici. Per tutelarsi dalle aziende colpevoli di truffe, la cui lista è liberamente consultabile sul sito dell’Aeeg, esistono però alcuni semplici consigli.

Il primo campanello d’allarme sono i venditori porta a porta, che vengono sguinzagliati da qualche fantomatica azienda pronta ad architettare una truffa ai danni dei consumatori. Per non cadere nella trappola, è bene ricordare che la vendita diretta di contratti di luce e gas non rientra nella strategia delle principali aziende.

Un’altra tecnica utilizzata dai truffatori è utilizzare firme false o dati anagrafici rubati (anche a persone decedute), di cui il consumatore è completamente ignaro. Per strappare una firma, viene adottato anche lo stratagemma di far credere al malcapitato che la compagnia di cui è cliente è prossima al fallimento o comunque sta pensando di aumentare le tariffe per la fornitura di luce e gas.

Le truffe possono, però, essere evitate mettendo in pratica alcuni piccoli accorgimenti, come per esempio evitare di rilasciare i propri dati (soprattutto quelli del conto corrente e il codice cliente POD sulla bolletta) e chiedere l’invio per posta o email della proposta di contratto per successive verifiche. Se il consumatore riceve la visita di un venditore addetto al marketing diretto può richiedergli di visionare il suo tesserino di riconoscimento.

Occorre, inoltre, ricordare che la firma del contratto non ha validità se non segue una richiesta di conferma effettuata tramite lettera o telefonata. In caso di ripensamenti, i consumatori possono comunque esercitare il loro diritto di recesso legalmente riconosciuto, inviando entro 10 giorni una raccomandata a/r al nuovo operatore.

Perché viene sostituito il contatore del gas

Il contatore del gas viene sostituito per adempiere alla delibera dell?Autorità Garante, AEEGSI, n. 631/2013/R/gas del 27 dicembre 2013 che richiede a tutti i distributori la sostituzione dei contatori del gas tradizionali con quelli elettronici che consentano la trasmissione a distanza delle letture.

La sostituzione è iniziata alla fine del 2016, ma interessa la maggior parte degli italiani per il 2017 e il 2018, quando (alla fine dell’anno) più della metà dei contatori italiani sarà della nuova tipologia. Successivamente verranno poi sostituiti tutti gli altri.

Come viene comunicata la sostituzione?

L’operazione di sostituzione viene comunicata esclusivamente via posta, con una lettera ordinaria (non raccomandata). Sulla lettera è indicata la data e un orario per la sostituzione, in cui dovremo semplicemente essere a casa e aspettare il tecnico che se ne occuperà.

Se non siamo a casa possiamo però chiedere di spostare l’appuntamento ad una data e un orario più consono alle nostre necessità, seguendo le istruzioni che troviamo nella lettera che abbiamo ricevuto; in alternativa possiamo delegare una persona che aspetti al posto nostro.

Nel caso in cui non facciamo nulla di tutto questo semplicemente continueremo a ricevere lettere fin quando la sostituzione non sarà avvenuta.

Sostituzione del contatore: come funziona

L’operazione di sostituzione è molto semplice, e richiede circa una ventina di minuti (il massimo è un paio d’ore, ma molto dipende dalle condizioni del contatore).

Perché possa essere effettuata ci deve essere qualcuno in casa, che deve spegnere la caldaia e chiudere tutti i fornelli, oltre che per firmare l’avvenuta sostituzione. Se non c’è nessuno, quindi, il contatore non verrà sostituito, e l’azienda contatterà per una sostituzione successiva.

Il tecnico addetto alla sostituzione arriva a casa, si identifica e inizia l’operazione. Da notare che il tecnico non sarà inviato dall’azienda che vi manda la bolletta del gas, ma dell’azienda che distribuisce il gas sul territorio, che cambia da comune a comune ed è uguale per tutti, non si può scegliere, per cui non allarmatevi se il tecnico non è Enel, Eni, Hera o comunque di chi vi invia la bolletta del gas.

Durante le operazioni non bisogna fare nulla se non aspettare, quindi firmare per la ricevuta. Dopodiché si potrà tornare in casa e accendere prima i fornelli, per far passare nuovamente il gas, poi la caldaia, per evitare danni.

Se pensiamo che qualcosa non vada nel lavoro del tecnico, abbiamo diritto ad una seconda visita, da richiedere all’azienda entro 15 giorni dalla sostituzione; se tutto poi andava bene dovremo pagare l’intervento, altrimenti sarà gratuito.

Come funziona il contatore elettronico

Il contatore elettronico è molto simile a quello vecchio, è uguale per tutti e l’unica differenza è il display elettronico (e non il contatore meccanico) che si trova sulla parte anteriore.

E’ predisposto per la lettura telematica, quindi non si deve più inviare l’autolettura, ma naturalmente è possibile consultarla in ogni momento.

Per leggere il nuovo contatore basta premere il tasto principale del contatore, e il display si accenderà indicando in metri cubi (con tre decimali) la quota attualmente consumata. Continuando a premere potremo vedere i consumi per fasce /T1, T2 e T3) e i consumi per il periodo di fattura precedente. Ci sono poi altre informazioni come il codice PDR, la data della fatturazione, l’ora, la data e altre ancora.

Dopo qualche minuti di inattività il display si spegne, ma il contatore continua (ovviamente) a registrare.

Vantaggi del contatore elettronico

I vantaggi del contatore elettronico sono principalmente due:

  • Non c’è più bisogno dell’autolettura, e tutte le letture diventano reali e non più stimate. In questo modo non pagheremo mai quote eccedenti rispetto a quelle che abbiamo consumato per poi essere rimborsati in un secondo momento.
  • E’ possibile conoscere nel dettaglio il consumo di gas, cosa che prima non era possibile: il consumo è diviso in fasce orarie, e anche se il prezzo è sempre lo stesso (a differenza della luce) possiamo capire come risparmiare sul consumo di gas, che non fa mai male.

 

Inoltre, avremo la possibilità di controllare meglio le bollette, e soprattutto cambiare fornitore del gas se notiamo che

 

Continua qui: https://www.controcopertina.com/2018/contatori-gas-truffa-grandissima-emersa-da-iene-aumento-della-bolletta-5787

 

 

Liberiamoci dalle catene immaginarie

Fabio Conditi 14 novembre 2018

 

Questo racconto si intitola “L’elefante incatenato” ed è tratto da “Lascia che ti racconti. Storie per imparare a vivere” dello scrittore argentino Jorge Bucay.

Quando ero piccolo adoravo il circo, ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini.

Durante lo spettacolo faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe. Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri. E anche se la catena era grossa mi pareva ovvio che un animale del genere potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.

Che cosa lo teneva legato?

Chiesi in giro a tutte le persone che incontravo di risolvere il mistero dell’elefante. Qualcuno mi disse che l’elefante non scappava perché era ammaestrato… allora posi la domanda ovvia: “Se è ammaestrato, perché lo incatenano?”. Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.

Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto. Per mia fortuna qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato tanto saggio da trovare la risposta: l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.

Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato ad un paletto che provava a spingere, tirare e sudava nel tentativo di liberarsi, ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui, così dopo vari tentativi un giorno si rassegnò alla propria impotenza.

L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché crede di non poterlo fare: sulla sua pelle è impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata e non è mai più ritornato a provare… non ha mai più messo alla prova di nuovo la sua forza… mai più!

Tutti noi italiani, oggi, ma anche lo Stato che ci rappresenta, viviamo la stessa convinzione di impotenza.

Ci hanno raccontato talmente tanto che siamo indebitati, spreconi, evasori, corrotti, incapaci, scansafatiche, e chi più ne ha, più ne metta, che ci siamo convinti che non c’è più niente da fare, che ci meritiamo di vivere incatenati ed obbedienti verso chi ci comanda, siano essi i mercati finanziari, la Commissione Europea o la BCE.

Viviamo incatenati al debito pubblico, che ci rende schiavi dei mercati finanziari.

In realtà siamo schiavi non perchè lo siamo davvero, ma perchè crediamo di esserlo.

Karl Marx diceva che “La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re, non si rende conto che in realtà è il re che è Re perché essi sono sudditi.”

Purtroppo ci siamo convinti della robustezza della catena del debito che ci tiene legati al paletto dei mercati finanziari, da non riuscire neanche a pensare di provare a liberarci, convinti che i Trattati Europei siano talmente vincolanti da impedire qualsiasi movimento libero. Non parliamo poi della convinzione che i mercati finanziari siano talmente potenti, da poterci schiacciare quando e come vogliono.

Lo Spread ormai è diventato l’arma di distruzione di popolo, equivale allo schiocco di frusta per l’elefante, che non può certo fargli male, ma è il segnale che deve obbedire agli ordini del padrone.

In realtà è bastato un piccolo accenno di voler rompere la catena, dichiarando di voler fare un deficit del 2,4%, che subito si è scatenato il finimondo, perchè hanno tutti una gran paura che la corda si possa spezzare, se solo proviamo a forzarla, perchè ci potremmo finalmente liberare dall’idea che dobbiamo sottostare ai ricatti ed alle ritorsioni dei nostri usurai.

Noi viviamo ormai incatenati in fondo alla caverna di Platone, costretti a guardare uno schermo televisivo dove i cosiddetti esperti economici e i giornalisti mainstream ci ripetono sempre lo stesso mantra:

  • siamo uno Stato povero e indebitato;
  • siamo un popolo di corrotti e di evasori;
  • lo Stato non ha soldi e rischia il default;
  • l’enorme debito pubblico deve essere ripagato;
  • i Trattati Europei impediscono politiche espansive;
  • la Costituzione è diventata carta straccia.

 

Purtroppo, viviamo in un sistema economico e finanziario dove il denaro svolge un ruolo importantissimo, ma non abbiamo minimamente la consapevolezza di chi lo crea, come e dove lo utilizza, ma soprattutto non ci rendiamo conto di quali sono le vere cause di questa crescita esponenziale del debito e delle disuguaglianze in tutti i paesi del mondo.

 

Ci hanno convinto che siamo in questa situazione per colpa nostra, mentre invece noi siamo solo le vittime inconsapevoli di un sistema di sottrazione di risorse voluto e programmato da tempo.

Parleremo di questo nell’incontro “Società, economia e moneta positiva” che si terrà a Roma il 23 novembre 2018

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/liberariamoci-dalle-catene-immaginarie/

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Busta paga: prelievo forzoso per danni futuri, quanti soldi tolgono?

www.termometropolitico.it

Daniele Sforza – 13 novembre 2018

Busta paga: prelievo forzoso per danni futuri, quanti soldi tolgono?

Un prelievo forzoso dalla busta paga in prospettiva di eventuali danni futuri. L’episodio è avvenuto a un 49enne assunto in una cooperativa e addetto ai servizi di spostamento merci e gestione del magazzino. Assunto a dicembre 2016, qualcosa è andato storto nella consultazione delle buste paga e il lavoratore si è licenziato nell’agosto del 2017 chiedendo un risarcimento complessivo di 6.716,24 euro lordi. Nella somma rientravano gli straordinari effettuati, il riconoscimento di un inquadramento superiore e le trattenute fondo garanzia, voce che sicuramente ha fatto storcere più il naso.

Infatti questa voce rivelava trattenute di circa 70 euro mensili in busta paga. Il “fondo garanzia” corrispondeva al rimborso di eventuali danni futuri. Una trattenuta che, alla fine del rapporto lavorativo, sarebbe stata restituita. Tuttavia il lavoratore è ricorso a un legale per farsi restituire il maltolto. Mettendo così in luce un aspetto inedito delle trattenute dalla busta paga.

Busta paga: trattenuta illecita, ecco quando

Come riporta Il Secolo d’Italia, riferendosi alla difesa dell’ufficio legale, dietro quelle trattenute si nascondeva “l’obiettivo di responsabilizzare i propri dipendenti, come anticipazione per eventuali errori commessi da questi ultimi nello svolgimento del rapporto lavorativo”. Tuttavia si rivelava anche la promessa di restituire quanto preso alla fine del rapporto lavorativo. L’avvocato che tutela il lavoratore ha però parlato di trattenuta illegittima, specificando che vi è una presunzione nel ritenere alla base un lavoratore “incapace e negligente” e in merito a questa presupposizione trattenere illecitamente una parte dello stipendio in busta paga. “La cooperativa ha gli strumenti legali per esigere i danni nel caso di errore”, ha affermato l’avvocato Frugoni.

Trattenuta busta paga per danni futuri: cosa dice il CCNL

Per comprendere meglio come la trattenuta risulti illecita, basta dare uno sguardo al CCNL Logistica, Trasporto Merci e Disposizione. Nel nuovo CCNL aggiornato, alla voce “Risarcimento Danni”, è scritto infatti quanto segue. “Sono state stabilite le modalità per trattenere i danni provocati dal lavoratore, previa adozione del provvedimento disciplinare del rimprovero scritto”. Vengono poi fatte le dovute distinzioni pecuniarie inerenti alle sanzioni.

  • Danni fino a 1.000 euro: procedura semplificata sindacale, conseguente una riduzione della

 

Continua qui: https://www.termometropolitico.it/1351932_busta-paga-prelievo-forzoso.html

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

PERCHE’ TRUMP CERCA DI RE-INDUSTRIALIZZARE L’AMERICA

www.maurizioblondet.it   14 NOVEMBRE 2018

 

L’essenza del problema, secondo una rilettura dei fatti di un giornalista della Reuters, Andy Home, che era venuto in possesso di una copia del rapporto, risalente al settembre scorso, del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti riguardante i rifornimenti di materiale essenziali per l’esercito americano.  Intitolato “Valutare e rafforzare la resilienza della catena di approvvigionamento manifatturiera e della difesa degli Stati Uniti”  ( settembre 2018),  rivela che più di 300 (!) forniture -chiave, necessarie al normale funzionamento delle forze armate americane sono in pericolo: i produttori statunitensi o sono sull’orlo della bancarotta o sono già stati rimpiazzati da fornitori cinesi o di altre nazionalità, a causa della deindustrializzazione dell’economia interna e della rilocalizzazione della produzione nelle nazioni del Sud-Est Asiatico.

Un esempio, che Home trae dal citato rapporto:  ci si è accorti  l’ultimo produttore americano di filati sintetici  in poliestere, necessari alla fabbricazione dei teli per  gli attendamenti  militari,   aveva chiuso l’attività  di recente. Questo significa che se gli Stati Uniti dovessero dichiarare un “embargo sui tessuti,” per alcuni soldati americani ci sarebbe la seria prospettiva di dover dormire all’aperto.

Ma sarebbe il meno.  Ben altre difficoltà di fornitura sono elencate nella parte non segretata del rapporto: dall’alluminio laminato a freddo utilizzato per la blindatura,  alla  manutenzione  degli alberi-motore a tenuta stagna dei sottomarini,  agli interruttori di alimentazione al silicio utilizzati nei sistemi missilistici,  tutto vien comprato all’estero sul mercato globale.

I militari scoprono che non possono più confidare nella potenza industriale  di un  Paese che stima di aver perso 66.000 imprese manifatturiere nei primi 16 anni di questo secolo.

Gli Stati Uniti temono difficoltà  nelle consegne future degli  speciali  interruttori elettrici che fanno funzionare quasi tutti i missili americani. L’azienda produttrice di questi interruttori ha chiuso, ma gli alti gradi dell’esercito ne erano venuti a conoscenza solo dopo la cessazione delle forniture. E non si possono ordinare da nessun’altra parte, perché il produttore è scomparso nel nulla due anni fa. Un altro esempio: l’unico produttore nazionale di motori a combustibile solido per i missili aria-aria, come si legge sul documento, “aveva incontrato problemi tecnici relativi alla produzione,” motivazioni che non erano state chiarite

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/perche-trump-cerca-di-re-industrializzare-lamerica/

 

 

 

 

Ciò che le elezioni svelano sul conflitto interno agli USA

di Thierry Meyssan

Le elezioni USA di metà mandato sono state interpretate dai grandi media alla luce della spaccatura Repubblicani/Democratici. Thierry Meyssan, continuando l’analisi della profonda evoluzione del tessuto sociale, vi legge invece una netta regressione dei Puritani rispetto ai Luterani e ai Cattolici. Il riallineamento politico voluto da Donald Trump potrebbe riuscire, come a suo tempo accadde per quello di Richard Nixon.

Rete Voltaire | Damasco (Siria) | 13 novembre 2018

Con le elezioni di metà mandato gli elettori statunitensi sono stati chiamati a rinnovare l’intera Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato. Sul piano locale, parte dell’elettorato ha votato anche per designare 36 governatori e si è espressa su 55 referendum.

Queste elezioni mobilitano in genere molto meno delle elezioni presidenziali. I politologi USA sono soliti non interessarsi alla percentuale dei votanti, dal momento che è possibile scegliere di votare per alcune elezioni raggruppate e non per altre.
Dalla fine della Guerra Fredda la percentuale di votanti alle elezioni presidenziali ha oscillato tra il 51 e il 61%, con l’eccezione del secondo mandato di Bill Clinton, dove ha votato solo un’esigua minoranza; la partecipazione alle elezioni di metà mandato varia invece fra il 36 e il 41%, con l’eccezione di quelle del 2018, dove la percentuale dei votanti avrebbe raggiunto il 49%. Ebbene, dal punto di vista della partecipazione dei cittadini, se le regole del gioco sono democratiche, la realtà non lo è affatto. Se esistesse un quorum [1], pochissimi membri del Congresso sarebbero eletti. I rappresentanti e i senatori sono di norma votati da meno del 20% della popolazione.

Chi analizza i risultati elettorali per fare pronostici sul percorso politico dei candidati si concentra sulle divisioni partigiane. Dopo le elezioni del 6 novembre, i Democratici hanno la maggioranza alla Camera dei rappresentanti, i Repubblicani al Senato. Questo calcolo permette, per esempio, di prevedere il margine di manovra del presidente rispetto al Congresso. Tuttavia, secondo me, non consente assolutamente di capire l’evoluzione della società statunitense.

Nella campagna per le presidenziali 2016, un ex democratico, Donald Trump, è sceso in lizza per la candidatura del Partito Repubblicano. Rappresentava una corrente assente dal panorama politico USA sin dalle dimissioni di Richard Nixon: i jacksoniani. Trump non aveva, in astratto, alcuna possibilità di ottenere l’investitura repubblicana. Eppure, eliminò uno a uno i 17 concorrenti, fu il candidato dei Repubblicani e vinse le elezioni contro la candidata favorita nei sondaggi, Hillary Clinton.

Andrew Jackson, la cui immagine è stampata sui biglietti di 20 dollari, è il presidente più controverso degli Stati Uniti.

 

I jacksoniani (dal nome del presidente Andrew Jackson, 1829-1837) sono i difensori della democrazia popolare e delle libertà individuali nei confronti sia del potere politico sia di quello economico. Nel 2016 nel Partito Democratico e nel Partito Repubblicano era invece dominante l’ideologia dei Puritani: ordine morale e imperialismo.

Durante la campagna elettorale avevo osservato che l’ascesa di Donald Trump indicava il riemergere di un conflitto di fondo: da un lato gli eredi dei Padri Pellegrini, cioè i Puritani che fondarono le colonie britanniche delle Americhe, dall’altro i successori degli immigrati che si batterono per l’indipendenza del Paese [2].

La prima componente storica degli Stati Uniti, i Puritani, voleva creare colonie secondo uno stile di vita “puro”, nel senso calvinista del termine, e seguire in politica estera le orme dell’Inghilterra. La seconda componente, gli Anglicani, i Luterani e i Cattolici, fuggiva invece dalla miseria di cui era vittima in Europa e sperava di affrancarsene grazie al sudore della fronte.

Questi due schieramenti trovarono alla fine un accordo sulla Costituzione. La legge fondamentale fu redatta dai grandi proprietari terrieri, che ambivano riprodurre il sistema politico della monarchia inglese, facendo però a meno dell’aristocrazia [3]; la Bill of Rights, ossia i primi 10 emendamenti alla Costituzione, fu espressione della volontà dei secondi, che aspiravano a perseguire il “sogno americano” senza rischiare di venire schiacciati in nome di una qualsivoglia Ragione di Stato.

Negli ultimi anni il Partito Democratico e il Partito Repubblicano si sono trasformati, diventando entrambi espressione del pensiero puritano: difesa dell’ordine morale e imperialismo. I Bush sono discendenti diretti dei Padri Pellegrini. Barack Obama ha formato il suo primo governo appoggiandosi massicciamente sui membri della Pilgrim’s Society, il club d’oltreoceano presieduto dalla regina Elisabetta II. Hillary Clinton è stata sostenuta dal 73% dei giudeo-cristiani” [4] e così via. Donald Trump era l’unico rappresentante della seconda componente della storia politica USA. In pochi mesi è riuscito ad avere il controllo del Partito Repubblicano e a portarlo, almeno in apparenza, verso le proprie convinzioni.

Oggi, circa un terzo degli statunitensi si divide in due fazioni: pro e contro Trump, che si fronteggiano aspramente. I restanti due terzi, molto più moderati, si tengono in disparte. Molti osservatori ritengono che il Paese sia diviso quanto lo fu negli anni 1850, appena prima della guerra civile, chiamata «guerra di secessione». Contrariamente al racconto mitologico, in questo conflitto non si scontrarono il Sud schiavista e il Nord abolizionista, poiché entrambi praticavano la schiavitù. Si trattava in realtà di uno scontro sulla politica economica che opponeva un Sud agricolo e cattolico a un Nord industriale e protestante. Entrambi cercarono di arruolare schiavi nei propri eserciti. Il Nord fu però rapido nel liberare gli schiavi, mentre il Sud invece attese di

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POLITICA

La politica e il “destino” di decidere

Giampietro Berti – Mer, 14/11/2018

Un confronto fra l’idea liberale e l’ideologia nazista, rappresentata dal decisionismo di Carl Schmitt, è nell’analisi di Salvatore Valitutti che Liberilibri ripropone: La politica come destino (pagg. 66, euro 15).

È nota la tesi di fondo del pensatore tedesco sul problema fondamentale del comando politico: «sovrano è chi decide sullo stato di eccezione». Cosa si deve intendere per «stato di eccezione»? Una situazione estrema, che si sottrae a ogni modello generalizzante, ma rende palese un elemento formale prettamente giuridico: la decisione, appunto. Questa ha valore se è incondizionata e se acquista un carattere ultimativo, oltre cui segue l’azione volta a creare un nuovo ordine politico. Liberandosi da ogni vincolo normativo, diventa assoluta in senso proprio. Essa sola, in quanto processo di una volontà determinata, e in quanto autofondata, ha la capacità e il diritto di creare ex nihilo un nuovo diritto, la cui «forza giuridica» non può essere derivata da regole precedenti. In altri termini, la fonte originaria di tutto il diritto è l’autorità di una decisione finale. Ne consegue che non è importante come si decide, ma chi decide.

Schmitt rivendica, a fronte della cultura giuridica liberale, la necessità di un potere in grado di imporsi come assoluto sotto la forma di un carattere allo stesso tempo monocratico e dittatoriale. Per Schmitt lo «stato di eccezione» impone la fine dell’identità tra

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STORIA

GLI USA HANNO COSTRUITO LA LORO EUROPA E L’HANNO DATA IN GESTIONE ALLA GERMANIA

5 maggio 2016 DI FERNANDO ROSSI                           RILETTURA

nandorossi.wordpress.com

Dietro il paravento ‘Spinelli’, gli USA hanno costruito la loro Europa e l’hanno affidata in gestione alla Germania (dall’intervento al Convegno su cambio £/€, Roma, Sindacato Nazionale Scrittori, 27-4-2016)

Si fa spesso riferimento al 1999, attribuendo al Governo Prodi la fissazione del cambio Lira –Euro, da molti ritenuto la madre di tutte le successive sventure socio-economiche del nostro paese. Ma quel valore di scambio fu invece fissato nel 1996, per avere il rientro dell’Italia nello SME, ed esattamente poco prima della mezzanotte del 24 novembre, a Bruxelles, da Ciampi (Ministro del Tesoro) Draghi (allora direttore generale del Ministero del Tesoro), Fazio e Ciocca per Bankitalia.

Un rientro motivato dalla volontà del Governo italiano di non restare fuori dal novero degli stati che sarebbero entrati nell’Euro sin dall’avvio, fissato per il 1° gennaio 1999, e l’art 109 del trattato di Maastricht prescriveva come già due anni prima dell’ ingresso nella Unione Monetaria, i paesi candidati non avrebbero più potuto/dovuto svalutare la propria moneta rispetto all’ECU, ciò andava quindi fatto entro dicembre 1997, e così fu.

Nella riunione in cui si decise il rientro dell’Italia nello SME, Germania e Olanda volevano un rapporto Lira/Marco a 925, gli industriali italiani a 1030/40, mentre il mandato del governo italiano ai nostri negoziatori era 1010, per chiudere a 1000. Il cambio venne fissato a 990. (1)

Nel ’92 avevamo svalutato (allora con un ECU si compravano 1587 lire , oppure 2,02 marchi tedeschi), nel ’97 per acquistare un ECU ne occorrevano 1929,66. Questa è la quotazione che sostanzialmente è stata congelata fino all’Euro, nel 1999, con i fatidici 1936,27 lire per Euro. A ben vedere, quindi, la ‘svalutazione’ non avvenne al momento del cambio Lira/Euro, ma prima, nel ’92.

Sappiamo che nel settembre del ’92 ci fu il pesante attacco alla lira e che , malauguratamente, Ciampi che presiedeva Bankitalia, Amato presidente del Consiglio e Barucci ministro del Tesoro bruciarono 75.000 miliardi di lire (pari allora a 48 miliardi di dollari) per ‘difendere’ la lira da un attacco che veniva anche dalle banche centrali d’Europa e su cui si buttò lo speculatore finanziario George Soros facendo enormi profitti; al termine dell’attacco, il marco salì da 750 a 927 lire. Barucci disse in seguito che era dall’inizio consapevole che il tentativo di difendere la Lira era perdente e che sarebbe convenuto solo agli speculatori. Ricordo, per inciso, che il ‘92 fu l’anno del Britannia e della scellerata decisione di ‘liberalizzare’, svendendo le industrie pubbliche, i cui pacchetti azionari furono agevolmente comprati, soprattutto attraverso la Banca d’Affari, Goldman Sachs (2), per via delle sottostime del loro valore da parte del Governo e della inflazione che consentiva a dollari e marchi di comprare il 30-35 % di lire in più.

Non sono pochi quelli che sostengono che con un cambio diverso ci saremo evitati la successiva disfatta sociale ed economica. Questa tesi è sostenuta sia da chi, a posteriori, vorrebbe con ciò colpire il centrosinistra, visto che nel ‘1999 era al Governo l’Ulivo, sia da chi pensa, in tal modo, di difendere l’Euro, sollevandolo da colpe e continuando ad attribuirgli il merito di essere stato un ancoraggio per le monete deboli quale era diventata la lira (3) e quello di avere fatto da ‘cemento’ per unire i paesi che lo utilizzano, in attesa di una Federazione Europea con più poteri ed a cui cedere ulteriore sovranità nazionale .

Io non la penso così. Una lira diversamente calcolata, rispetto all’Euro, non avrebbe modificato nulla, lo prova la china comune in cui tutti gli Stati della ‘moneta-debito’ Euro, tranne la Germania, si sono incamminati, indipendentemente dal valore iniziale del rapporto fissato con l’Euro. Su questo tema si poteva discutere e polemizzare, fino al 1999 e anni successivi, ma ora possiamo e quanto prima, dobbiamo, tirare le somme di questi 15 anni, ricordando comunque che non furono pochi coloro che, economisti e/o uomini di governo, europei e non, ci misero in guardia sulla differenza tra la poesia e la prosa.(4)

Già nel 1970 Pier Werner presentò il suo Rapporto sulle tappe forzate che avrebbero guidato i vari paesi, ad una unione economico-monetaria prima, che avrebbe costretto, poi, i vari paesi al successivo passo della cessione completa di sovranità ad una Europa con pieni poteri politici, e Nicholas Kaldor, titolare della Cattedra di Economia a Cambridge , già Consigliere economico nel gabinetto del primo Ministro inglese Harold Wilson, spiegò su New Statesman, che quel progetto sarebbe fallito : “È un pericoloso errore credere che l’unione economica e monetaria possa precedere quella politica o agire come ‘uno stimolo per lo sviluppo di una unione politica della quale nel lungo periodo non potremo fare a meno’ , perché se l’unione monetaria e il controllo da parte della Comunità delle politiche di bilancio (oggi diremmo l’austerità, ndr) causeranno pressioni tali da far collassare il sistema, il risultato sarà quello di impedire, non promuovere, l’unione politica”. La stessa Thatcher si infuriò con Andreotti per il ‘si’ italiano alla moneta unica, e lo spiegò: “ La Germania mostrerà la sua storica fobia per l’inflazione e i paesi del Sud Europa , meno produttivi, avranno problemi a restare competitivi con una moneta forte …”

Non eravamo e non siamo una Area Monetaria Ottimale (come definita dal premio Nobel Robert Mundel) , grandi diversità tributarie, salariali, previdenziali, energetiche , ecc., ecc., E’ stato come prevedere la stessa taglia di vestito o lo stesso numero di scarpe, per tante diverse persone … e il sarto come il calzolaio erano della Bundesbank .

Il professor Jacques Saphir , direttore degli studi presso la Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali di Francia, ha brillantemente dimostrato che parlare di Federalismo è un conto, farlo in questa Europa ‘Area Monetaria non Ottimale’, non è materialmente possibile.

“(..) Il problema è: se vuoi avere un vero federalismo, hai bisogno di avere un vero budget federale. E questo budget deve essere attorno all’8/10% del Prodotto Interno Lordo.

Più importante, ci sarà bisogno di spostamenti di capitale dai paesi più ricchi a quelli più poveri. Il problema è che quando si è provato ad avere una stima di quanti soldi sarebbero stati dovuti trasferire, si è parlato di un ammontare di circa 200/300 miliardi di Euro all’anno. La Germania dovrebbe pagare l’8/11% del PIL, ogni anno, per circa 8/10 anni. Ora, il problema vero non è che la Germania rifiuta il federalismo, loro non sarebbero in grado di sostenere un peso simile. E gli altri paesi non possono chiedere alla Germania uno sforzo simile, perché vorrebbe dire distruggere la loro economia. (..) l’Euro avrebbe dovuto implicare una sorta di unione sociale, unione fiscale e sicuramente scambi di capitale tra i paesi. Il problema è che fin dall’inizio si è visto che non vi era alcuna possibilità d’implementare queste misure. Sapevamo sin dall’inizio che i prerequisiti economici dell’Euro non avrebbero funzionato. Dobbiamo capire perché, ancora oggi, siamo in questa situazione. Il mio parere è che l’Euro sia un progetto politico, più che un progetto economico. Il principale “scopo” dell’Euro era creare questa situazione di federazione “allentata” tra i paesi europei e, più importante, disciplinare il mercato del lavoro e distruggere i servizi e le infrastrutture sociali di molti paesi.”

Sembrano affermazioni ‘complottiste’, io invece penso che siano verissime e documentabili. Come ci siamo entrati nel nuovo paradiso della democrazia europea, cosa successe in Italia nel dopo Maastricht ?

Nel 1995 il ‘Governo tecnico Dini’, oltre al prelievo forzoso notturno del 6 per mille sui conti correnti (hai voglia a calunniare i governi DC o PSI , Ulivo o Berlusconi, il peggio l’hanno sempre dato i Governi tecnici, come oggi quelli Napolitano: Monti, Letta, Renzi) emanò un decreto (5) per imporre il segreto di stato sulle decisioni, studi e dati che riguardassero l’attuazione delle scelte di Maastricht ( poi mettiamoci anche La denuncia dell’ex Ministro Guarino sui Regolamenti Attuativi di Maastricht che ne stravolsero le decisioni stesse, nelle quali erano rimaste competenze e sovranità degli Stati rispetto alle politiche sociali ed economiche, … un colpo di mano, se non un vero e proprio ‘ golpe’ burocratico-politico ! ).

Quando ero ancora Sindaco, ed abboccavo con entusiasmo agli editoriali di Rinascita e dell’Unità, avevo creduto anch’io alla Europa che univa i paesi divisi dal secondo conflitto, al sogno del federalismo che ne faceva il ‘terzo polo’ tra USA e URSS, … e che sulla base della cultura e dei principi e valori religiosi cristiani, tanto diffusi in Europa, questa avrebbe operato per un mondo di coesistenza e di pace.

Ma, sin dall’inizio, gli USA volevano una Europa, ben diversa, debole e dipendente da loro.

Qualcuno sa che fuori dalla retorica ‘spinelliana’ questa Europa ha un reale e ben più prosaico ‘costruttore’, manovrato dagli USA?

Vi dice nulla il nome di Walter Hallstein?

Era un insegnante di diritto alla Università di Rostock, poi promosso con lettera personale di Hitler a quella di Francoforte. Dal 1942 al 44 , fu volontario nella Wehrmacht, diventando lougotenente e inviato nella Francia del Nord.. (dove di cosine, non proprio belle la Wehrmacht ne fece a profusione, non che gli angloamericani nelle città tedesche ed italiane ne abbiano fatte di minori). Nel ’44 venne catturato e portato negli Stati Uniti, dove rimase in un campo di prigionia fino al 1946, incontrando vari funzionari dei servizi USA, che ottennero la sua ‘conversione-abiura’ e l’impegno a collaborare. Nel ’46 venne rimandato in Germania per fare il rettore della Università di Francoforte. Nel 48 fu richiamato negli USA, come docente di relazioni internazionali alla Università di Washington, al fine di prepararlo a compiti maggiori. Tre anni dopo, nel ’51, fu fatto nominare, da Adenauer, Segretario di Stato, con l’incarico di guidare la delegazione tedesca ai negoziati per la creazione della CECA (primo passo della creazione della Europa a marchio USA) .

Inoltre, sempre nel ’51 viene improvvisamente nominato sottosegretario agli esteri, sfoderando la ’dottrina Hallstein’, primo atto politico (6) della ‘Guerra fredda’, consistente nel sancire l’obbligo per tutti i governi tedeschi di rompere ogni rapporto economico-diplomatico con i paesi che avessero riconosciuto la Germania dell’EST (una aperta violazione degli accordi di pace internazionali sanciti a Yalta, sulla creazione delle due Germanie).

Diede inoltre prova di assoluta fedeltà alle scelte del Pentagono e di Washington, parlando ad ogni piè sospinto di Federalismo e altre cose belle, ma operando nel concreto, sia sull’ Euratom che sul progetto di Difesa Comune Europea, per far saltare le proposte francesi di ‘sovranità europea’, sia sostenendo il progetto Werner, di rinviare nel tempo la costruzione di una Federazione Europea, puntando prioritariamente su cessioni di sovranità degli Stati verso una leadership economico-monetaria, sostenuta da banche e multinazionali, e non dal consenso democratico degli europei.

Il 7 gennaio 1958 Hallstein viene nominato primo Presidente della Commissione della Comunità Economica Europea (evolutasi nella attuale Commissione Europea, ora…casualmente, presieduta da quell’ubriacone di Jean-Claude Juncker, rappresentante delle multinazionali e banche con sede nel ‘purgatorio’ fiscale del Lussemburgo ) e vi resterà fino al 1967..

Quindi, una Europa in cui ‘la spada’ è stata data agli USA, attraverso la Nato, e ‘la borsa’, è stata data alle grandi famiglie della finanza globale, attraverso la BCE (composta da una maggioranza di banche centrali private come Bankitalia, con lacci e lacciuoli che legano persino quelle ‘pubbliche’ alle famiglie della grande finanza globale, che controllano anche il Fondo Monetario Internazionale).

Non abbiamo avuto una Europa Federale, ma le sottrazione di sovranità monetaria, economica, giuridica, politica e democratica sono state ben maggiori di quelle degli stati federati sia negli USA che nella esperienza della federazione Russa; ma anche l’Europa terzo polo geopolitico è scomparsa , lasciando il posto alla sudditanza agli interessi e scelte militari e politiche degli USA, persino nella ‘guerra economica -commerciale’ alla Russia che pesantemente ci danneggia.

E gli altri ‘capisaldi’ della scelta Europa-Euro? Tipo: “Non avremo più inflazione”, “Lavoreremo meno giorni per più alti salari”, ” Avremo più servizi pubblici, come in Svezia”, ecc.,ecc., che fine hanno fatto ?

Inflazione . A parte il non trascurabile Euro (circa 2 mila lire), che abbiamo pagato per ciò che poco prima costava 1000 lire, compreso tariffe pubbliche … di inflazioni ne abbiamo avute, eccome, solo negli ultimi 5 anni, ad esempio, l’Euro su dollaro è passato da 1,45 a 1,057 (molto simile a quello della liretta nel ’92).

Salari. Scala mobile bloccata, più la Bolchestein, più la globalizzazione dei mercati perseguita dalla Unione Europea, con la relativa competizione sulla riduzione dei costi di produzione, … e ne hanno fatto le spese i salari, la sicurezza ed i diritti dei lavoratori. A ciò va aggiunta una immigrazione clandestina incontrollata e causata anche dalle ‘nostre’ guerre, volute e gestite da USA-Nato, che hanno facilitato l’eccesso di offerta lavoro e conseguente riduzione dei salari, facilitata dalla sudditanza delle associazioni economiche verso i partiti del centrodestasinistra.

Servizi. Il pareggio di bilancio ha paralizzato Stato e Autonomie locali, le prime vittime sono state i servizi, dalla sanità alla scuola, dai trasporti alla assistenza sociale, dalla cultura alla cura e difesa dell’’ambiente e del suolo.

Sostengo allora che i problemi che hanno fatto crescere ‘storta’ questa Europa (7) , non vengono da un erroneo rapporto di cambio £/€ (8) nè dalle variabili di competenza, onestà e difesa degli interessi nazionali delle varie classi dirigenti dei paesi europei (9), ma dalle sue stesse radici, dalle sue fondamenta, volutamente fragili e non ubicate sulle grandi linee del progetto politico condiviso da tantissimi cittadini europei, che è andato sotto il nome di ‘Europa di Spinelli’. Questa che viviamo è l’Europa voluta dalla grande finanza, impostaci dagli USA attraverso la Germania, che per questo ’servizio’ ha ottenuto speciali ‘licenze’ e privilegi (un po’come l’Arabia Saudita ed Israele nel vicino e medio oriente).

Più andiamo avanti con l’Euro della Bundesbank, e più sarà impossibile rimettere insieme i popoli e gli stati europei ora più divisi e ‘chiusi’ che nel dopoguerra.

A chi ritiene che il termine Euro della Bundesbank sia una forzatura, riporto questa dichiarazione del Ministro delle finanze tedesco Schaube, su la Repubblica del 9 settembre 2012: “ L’Euro è irrinunciabile perché assicura il primato dell’economia tedesca” , ma c’è anche una intervista rilasciata da Jens Weidmann in occasione del 50° anniversario della Bundesbank: “In termini di equilibrio dei voti, non posso affermare che la Bundesbank è solo una delle diciassette banche centrali dell’Eurosistema. Siamo la Banca Centrale più grande e più importante, il che vuol dire che abbiamo diritto a far sentire la nostra voce più di altri.” E non fatevi ingannare dalla falsa flag dello ‘scontro’ Merkell-Draghi, su ‘rigore’o ‘flessibilità’, le decisioni vere le prendono alla FED e le attua Obama. Ricordate quando la Germania voleva mollare la Grecia al suo destino facendola uscire dall’Europa, perché questo avrebbe rafforzato il rigore? Bastò una telefonata di Obama e la Merkell tornò subito indietro.

La stessa Inghilterra, che pure è entrata nella Unione Europea, ma si è ben guardata dall’entrare nell’Euro, ed ha ottenuto (con il sostegno USA) particolari agevolazioni sia commerciali che contributive e di difesa della propria sovranità (che magari avessimo noi italiani … con un governo non servo di banche e multinazionali), sta mettendo in discussione la propria adesione alla Comunità Europea, proprio per il dominio tedesco in essa.

La Germania, nei dieci anni prima dell’Euro era la ‘malata d’Europa’ e aveva accumulato un passivo commerciale di 130 miliardi ; nei primi 10 anni di Euro, è invece passata ad un attivo di oltre 1700, per lo più verso partner comunitari, tra cui l’Italia. Serve altro per capire che mentre tutti squotono l’albero, i frutti li raccoglie e se li porta a casa la Germania ?

Una folgorante sintesi del prof. di Oxford, Peter Oppenheimer :

“In passato c’era il golden standard: bastava avere delle monete d’oro in tasca, anziché le proprie valute. Questo permetteva di mantenere un’opportuna flessibilità dei prezzi. L’euro è un meccanismo per mantenere svalutata la valuta tedesca a danno degli altri

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L’Italia chiede perdono ai disertori fucilati in guerra

 

3 APRILE 2015

 

Erano militari italiani, per la maggior parte soldati semplici. Accusati di diserzione, di tradimento, di viltà di fronte al nemico. Quasi sempre fucilati da plotoni composti dai loro stessi compagni d’armi. A volte giustiziati senza nemmeno un processo, durante esecuzioni sommarie o decimazioni. A cento anni dall’inizio della Grande Guerra, la Repubblica chiede loro perdono.

È una pagina strappata della nostra storia, a lungo dimenticata. Adesso le istituzioni riabilitano quei caduti. Nei prossimi giorni una proposta di legge firmata da sessanta deputati del Partito democratico inizierà l’iter nelle commissioni Difesa e Giustizia di Montecitorio. Un impegno assunto dai parlamentari democrat – guidati da Gianpiero Scanu – in risposta a un appello presentato lo scorso 4 novembre da decine di intellettuali, docenti universitari e rappresentanti di associazioni culturali, affinché «i nostri soldati fucilati per mano amica vengano considerati fra coloro che caddero per la loro Patria».

Di quella tragica vicenda colpiscono i numeri. Durante l’intero conflitto i soldati italiani processati dai tribunali militari furono 262.481. La percentuale di condanne si aggira attorno al 60 per cento dei casi. «In questa moltitudine di procedimenti – si legge nel documento parlamentare – 4.028 si conclusero con la condanna alla pena capitale, di cui 2.967 con gli imputati contumaci e 1.061 al termine di un contraddittorio». Almeno 750 soldati italiani furono giustiziati davanti a un plotone d’esecuzione. Altri 350 furono giustiziati sommariamente, spesso attraverso decimazioni. E si tratta di una stima per difetto: è impossibile conoscere il numero dei nostri militari uccisi da altri italiani durante i combattimenti, per evitare che potessero arretrare dalle posizioni assegnate.

Un triste primato italiano. Pur avendo almeno il doppio dei nostri soldati al fronte, la Francia portò davanti al plotone d’esecuzione 700 militari. I soldati giustiziati dalla Gran Bretagna furono circa 300, ancora meno quelli tedeschi. La spiegazione è in parte giuridica. L’Italia si presentò alla Grande Guerra con un codice penale militare obsoleto, un testo che risaliva al 1869. «La disciplina che regolava l’Esercito italiano – scrivono i deputati – è passata alla storia come una delle più repressive tra quelle applicate dagli Stati coinvolti nella Prima Guerra mondiale. Ma la responsabilità ricade

 

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