Anna Lombroso per il Simplicissimus

Abbiamo sbagliato titolo per anni: non è vero che in trent’anni i salari non solo non sono mai aumentati, al contrario sono diminuiti quasi del 3%. L’inflazione a ottobre era all’11,8%, come nel 1984, ma questa è una lettura teorica: per il mondo del lavoro, delle pensioni della precarietà, e della disoccupazione, e l’inflazione reale è ancora più alta poiché si abbatte su consumi essenziali irrinunciabili e non potrà essere recuperata dalla contrattazione sindacale.g
Eppure mai come di questi tempi si registra un universale rifiuto del salario minimo, da sempre oggetto di contestazione bipartisan. Non bastavano i laureandi di Bocconi e Luiss incaricati di redigere accurate analisi sulla pressione esercitata da questa misura sul bilancio dello stato e delle imprese, intenti a copiare le esercitazioni di studenti inglesi e statunitensi che nel quantificarla ricorrevano a pregevoli costruzioni letterarie nelle quali per appagare gli appetiti dei padri si riducevano i ragazzini da sfruttare a contemporanei Oliver Twist o alla creazione di nuovi eserciti di barboni, se un provvedimento che aumenti di un dollaro l’ora il salario minimo causerebbe mediamente la perdita di 66.614 posti di lavoro.
Superfluo ricordare il tradimento (leggetevi Cofferati che torna sull’opportunità di multe, sanzioni, repressione) dei sindacati da anni impegnati a farci digerire resa, umiliazione, penitenza e sacrifici per mantenersi un miserabile bacino di utenza che deve accontentarsi del male minore, dando vita alla strenua lotta contro il sindacato di base, denigrando le formazioni autoconvocate di precari, accorgendosi che esistono altri mestieri e altri sfruttamenti quando ormai la bolla è scoppiata e migliaia di individui vivono senza tutela, senza referenti e senza riconoscimento.
Più o meno sono gli stessi che si accanivano contro il reddito e che da anni aspettano pazienti l’elargizione governativo ammortizzatori sociali promessi e mai realizzati. Il loro atteggiamento è quello delle case farmaceutiche, alimentare la malattia per allargare l’area della clientela, incrementare incertezza e instabilità per accreditarsi come soluzione.
Tanto per non sbagliare, come col reddito, si lascia intendere quindi che i costi di questa battaglia ricadano sull’intera società, costretta a ulteriori sacrifici per dare una modesta garanzie di sicurezza ai sommersi.

Oggi in Italia i contratti a tempo indeterminato costituiscono meno di un quinto delle nuove assunzioni: è infatti il contratto a termine la forma di occupazione dominante tanto che due posti su tre sono a tempo determinato, quasi 81 su 100. Non solo la domanda di lavoro da parte delle imprese private continua a essere largamente insufficiente per garantire un posto a chi è in cerca di lavoro, ma le “opportunità” sono totalmente prive dei requisiti di stabilità fondamentali liberarsi da condizionamenti e ricatti.
Il fatto è che il salario minimo resta un tabù a “sinistra”, non solo quella progressista riformista che fa da zoccolo duro alla conversione al neoliberismo. È invece un segnale inequivocabile del processo in c orso dagli esordi del Novecento, e consiste nella distruzione della classe lavoratrice come organismo collettivo vivo, nella demolizione chirurgica delle sue strutture di riferimento, identità unificanti, linguaggi e pratiche cje assicuravano riconoscimento reciproco e solidarietà, garantite da organizzazioni politiche e sociali che ne rappresentavano gli interessi. Si è prodotta così la crisi del “contratto”, del patto sociale, delle norme che regolano la società, che promuovono consenso o dissenso attivo tra le sue parte, i cittadini e le istituzioni.
Alla difficoltà di ricomporre con gli strumenti negoziali un mondo del lavoro mai come oggi frammentato, non rilevare come una parte sempre più ampia di società vive fuori dall’arena del contratto collettivo, ha spinto economisti in odor di neo liberismo a cominciare da Boeri, a sostenere la necessità di un salario minimo per legge, unicamente però allo scopo di offrire alle aziende un indicatore per controllare la dinamica salariale, fino a spingersi a proporre di trasformare il valore dei vaucher in minimo salariale, ipotesi già nel 2017 condivisa dal Pd unanimemente con Confindustria.
Adesso spetta a noi, basta un po’ di coraggio: sarebbe sufficiente partire da una soglia minima tabellare stabilita a 10 euro l’ora, cui aggiungere contributi ferie, tredicesima, malattie, in modo da arrestare il processo di sfruttamento garantendo una soglia di dignità e arrestando il meccanismo schiaccia nello sconforto, nell’incertezza e nell’umiliazione milioni di persone.

FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2022/12/04/salari-a-picco-sfruttamento-alle-stelle/