NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 8 APRILE 2019

https://www.maurizioblondet.it/europeisti-i-nazisti-siete-voi-ve-lo-spiega-lafd/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

8 APRILE 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Dall’accoppiamento di due errori viene fuori una verità?

No; dunque ne esce un terzo errore?

No; bensì, il che è assai più pericoloso perché più tenace,

la parvenza di una verità […]

MARTIN HEIDEGGER, Quaderni neri 1931/1938, Bompiani, 2015, pag. 617

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

 

I terroristi sono oggetto di attenzione e le vittime vengono ignorate 1                

Ce ne hanno messo di tempo per accorgersene!!!

TRE COSE SU KURT COBAIN, VENT’ANNI DOPO. 1

Libia – Da Gheddafi ad Haftar 1

Avviso a Washington: in Venezuela arriveranno altre forze russe 1

Trump ha ragione riguardo alle alture del Golan. 1    

Appello alle done contro l’utero in affitto

Umani allo specchio del mostro. 1

«Abbattete la statua di Colombo, istiga all’odio!». 1

Crolla il Russiagate, crolla anche la Botteri 1

RECORD! Giovanna Botteri dagli Stati Uniti: tre bufale in un minuto. 1

I profughi siriani come arma propagandistica. La RAI e l’ennesima fake news sulla Siria. 1

Piano Yinon. 1

Le 4 balle che ci raccontano sulla crisi dell’economia italiana 1

Le banche cinesi e russe si rendono indipendenti dal sistema occidentale 1   

Un post di 4 anni fa, profezia avverata

In Svezia, aumenta la violenza contro gli svedesi da parte dei richiedenti asilo. 1

EUROPEISTI? i NAZISTI SIETE VOI, ve lo spiega l’AfD. 1

Gli USA s’inventano la «reciprocità d’accesso» 1

I radicali e il nulla dei cattolici 1

 

 

IN EVIDENZA

I terroristi sono oggetto di attenzione e le vittime vengono ignorate

di Uzay Bulut – 4 aprile 2019

Pezzo in lingua originale inglese: Terrorists Promoted, Victims Ignored

Traduzioni di Angelita La Spada

  • “Circa 3.100 yazidi sono stati uccisi [in Iraq], di cui quasi la metà di loro (…) sono stati trucidati, decapitati o bruciati vivi. (…) Il numero stimato delle persone prese in ostaggio è 6.800. (…) Tutti gli yazidi sono stati presi di mira (…) ma i bambini sono stati colpiti in modo sproporzionato.” – PLOS Medicine, 2017.
  • Al contrario, Shamima Begum ha dichiarato di essere pienamente consapevole delle decapitazioni e delle altre atrocità commesse dall’Isis prima di recarsi in Siria. “Ero al corrente di quanto accadeva e mi stava bene”, ha detto. “Perché ho iniziato a diventare religiosa poco prima di partire. Da quanto ho appreso, islamicamente è tutto permesso”. Alla domanda se avesse messo in discussione queste cose, la donna ha risposto: “No, niente affatto”.
  • “Di recente abbiamo appreso delle 50 donne e bambine yazide (…) che sono state decapitate. Intanto, quelli che hanno stuprato e ucciso le nostre donne sono liberi di tornare nei loro paesi e vivere una vita normale. Questo ci fa pensare che non abbiamo valore come esseri umani…”. – Quanto asserito da Salim Shingaly, un attivista yazida iracheno, al Gatestone Institute.

Un gruppo di yazidi che ha organizzato una manifestazione di protesta all’esterno della Casa Bianca, il 15 marzo scorso, ha chiesto all’amministrazione Trump di localizzare o salvare le circa 3 mila donne e bambine catturate, tenute prigioniere o uccise dai terroristi dell’Isis.

I manifestanti hanno attirato l’attenzione sul recente episodio in cui i miliziani dell’Isis, in fuga da una delle loro ultime roccaforti nella parte orientale della Siria, hanno decapitato 50 donne yazide che erano schiave sessuali dei terroristi dello Stato islamico.

La maggior parte dei partecipanti alla manifestazione sono sopravvissuti agli attacchi genocidi dell’Isis perpetrati contro gli yazidi, una minoranza non musulmana autoctona in Iraq, Siria e in Turchia.

Secondo uno studio del 2017 pubblicato sulla rivista scientifica, PLOS Medicine, nell’agosto del 2014,

“Circa 3.100 yazidi sono stati uccisi [in Iraq], di cui quasi la metà di loro sono stati giustiziati (…) trucidati, decapitati o bruciati vivi – mentre il resto sono morti sul monte Sinjar per fame, per disidratazione o per le ferite riportate durante l’assedio dell’Isis. (…) Il numero stimato delle persone prese in ostaggio è 6.800. Coloro che sono riusciti a scappare hanno raccontato degli abusi subiti, tra cui la conversione religiosa forzata, le torture e la schiavitù sessuale. Oltre un terzo di quelli che sono stati rapiti non erano stati ancora ritrovati al momento della pubblicazione dello studio (…) Tutti gli yazidi sono stati presi di mira (…) ma i bambini sono stati colpiti in modo sproporzionato: pur avendo la stessa probabilità degli adulti di essere giustiziati, costituivano il 93 per cento di coloro i quali sono morti sul monte Sinjar. Inoltre, i bambini rappresentavano solo il 18,8 per cento degli yazidi che sono riusciti a sfuggire alla prigionia”.

Tali storie dell’orrore dovrebbero conquistare le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, ma purtroppo vengono ignorate. Al contrario, è stata prestata molta attenzione alla storia di Shamima Begum, una donna di origine britannica che ha lasciato

Continua qui: https://it.gatestoneinstitute.org/14008/vittime-yazidi-ignorate

 

 

 

 

CE NE HANNO MESSO DI TEMPO PER ACCORGERSENE!!!! 

 

 

L’allarme dei servizi segreti francesi: “I migranti provocheranno ​una guerra civile”

 

Patrick Calvar, il capo dei servizi segreti transalpini, ha detto chiaramente che “la Francia è sull’orlo di una guerra civile che potrebbe essere innescata dai migranti

 

Claudio Cartaldo – 16/07/2016

L’immigrazione incontrollata, le violenze dei profughi che hanno sconvolto l’Europa, il difficile rapporto tra cultura occidentale e nuovi flussi migratori.

Sono questi i temi che preoccupano tutti i Paesi Ue. Alcuni più di altri. O forse, la cosa che cambia tra uno Stato e l’altro è la consapevolezza di quanto possa essere pericolosa la miccia che ci sta per esplodere in mano.

 

Il rischio di una guerra civile tra europei e immigrati

In Francia lo sanno. Tanto che Patrick Calvar, il capo dei servizi segreti transalpini, nei giorni scorsi ha detto chiaramente che “la Francia è sull’orlo di una guerra civile che potrebbe essere innescata dalle violenze sessuali di massa nei confronti delle donne da parte dei migranti, come successo a Colonia a Capodanno”.

 

L’idea di fondo è che se ci dovesse essere un nuovo attacco terroristico o una nuova violenza di massa da parte dei migranti, i movimenti di destra potrebbero far scattare la “guerra civile”. I numeri del rapporto sulle violenze di Colonia

 

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/lallarme-dei-servizi-segreti-francesi-immigrati-1282835.html

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

TRE COSE SU KURT COBAIN, VENT’ANNI DOPO

di Liborio Conca pubblicato sabato, 5 aprile 2014

Il 5 aprile 1994 moriva Kurt Cobain. Lo ricordiamo con un ritratto di Liborio Conca.

Si trasforma in un teppista del rock’n roll

In un pezzo scritto nell’ottobre del 1966, Luciano Bianciardi racconta del tour italiano di Jack Kerouac: era reduce da una «sbornia transoceanica», a Londra dovettero portarlo da un aereo all’altro in ambulanza. Nell’albergo milanese che lo ospita riesce a nascondere una bottiglia di whisky nel bagno – quando gli assistenti la scoprono, ne versano il contenuto nel lavandino. «Ma una bottiglia Jack la trova sempre», scrive Bianciardi, che poi si meraviglia di come in un’intervista televisiva trasmessa più tardi «l’Omero della generazione perduta e sbatacchiata» appaia invece ripulito.

Kurt Cobain amava gli autori beat, ma quello che preferiva tra di loro era William Burroughs: si ispirava alla sua scrittura, ne riprendeva il nervosismo e i tic narrativi e l’immaginario underground [1]. Come Kerouac, però, è diventato (quello che si dice) l’icona di una generazione. Saltiamo a piè pari la controversia “suo malgrado” vs “furbastro in cerca di fama”, fermandoci sul fatto in sé, incontrovertibile: Kurt Cobain è un’icona, per giunta (così, a naso) l’ultima venuta dal mondo del rock [2]. Il perché (sia un’icona) è una cosa difficile da calcolare: si potrebbero sommare il numero di dischi venduti, il numero di ragazzi con la maglietta dei Nirvana che abbiamo incontrato in giro, la potenza con cui ha riempito un immaginario, le volte in cui Mtv ha trasmesso il video di «Smells like teen spirit», e così via. Ma non basterebbe [3], c’è bisogno di aggiungere qualcos’altro per arrivare al quoziente giusto… Quando si sparge la notizia del suicidio di Cobain, Seattle diventa un luogo di pellegrinaggio per i fan. Una ragazza lascia questo messaggio davanti alla villa di Lake Washington: «Oggi è difficile essere giovani. Lui ha contribuito a far capire alla gente le nostre difficoltà». Ecco, forse è questo [4], forse è il fatto che per assolvere a questa funzione bastava la semplice vocalità di Cobain, prima ancora delle canzoni.

Le leggi di quel posto avevano gli artigli

Sono i primi giorni di aprile del 1994, Kurt Cobain si toglie la vita. Lascia una lettera, una moglie, una figlia, due compagni di band e una schiera di fan che adorano le sue canzoni. Courtney Love, sua moglie, disse che il disco che ritrovò sul piatto, l’ultimo ascoltato da Kurt Cobain, era «Automatic for the people» dei Rem [5].

Nella lettera d’addio Kurt scrive ai fan e alla famiglia. Ai primi dice «non posso più imbrogliarvi, non sento più l’effetto dell’urlo della folla, non è come era per Freddie Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo». Ora, se c’è una band più lontana dal mondo da cui provenivano i Nirvana (quello del rock indipendente, del suono sporco, di un certo nichilismo), ecco i Queen. Una delle questioni che evidentemente mandava in tilt Kurt Cobain era il solco tra il voler essere una rockstar di successo, volontà di cui si trova traccia nei suoi diari e nelle interviste, e l’esserlo diventato. Scrive nel diario: «Spero di morire prima di trasformarmi in Pete Townshend». Gli piacevano i Melvins e Daniel Johnston, ma anche i Beatles, i Fleetwod Mac e persino gli Knack.

Con Mtv e la grande stampa americana coltivava un rapporto di amore-odio viscerale. Dice nel 1989, alla vigilia di «Nevermind»: «Puntiamo costantemente verso la semplicità e una miglior scrittura [6]». Detto fatto, ecco «Come as you are» e compagnia. E poi la tossicodipendenza. Secondo Krist Novoselic [7], Cobain provò l’eroina nel 1986 e ne divenne dipendente dal 1991. Cobain diceva che gli alleviava i cronici dolori allo stomaco di cui soffriva; ma col tempo capì di essere finito nel fondo d’un pozzo. Scrive: «Che lo si voglia ammettere o no, l’uso della droga è una fuga. Una persona può aver passato mesi, anni a cercare aiuto, ma il tempo che passi a cercare l’aiuto giusto non è nulla a confronto del numero di anni necessario a uscire completamente dalla droga».

Frances Farmer Will Have Her Revenge on Seattle

L’ultima performance dei Nirvana in uno studio televisivo va in scena su Raitre, a «Tunnel», il programma condotto da Serena Dandini registrato a Roma. A un certo punto, per una gag, arriva sul palco Corrado Guzzanti nei panni di Lorenzo… Cobain è da tutt’altra parte, Novoselic è l’unico che gli dà un po’ di corda. Suonano «Serve the servants» e «Dumb», dal loro terzo e ultimo disco, «In Utero». La prima canzone inizia così: «Teenage angst has paid off well, Now I’m old and bored». Dopo «Tunnel», i Nirvana suonano a Milano, in Slovenia e a Berlino; ma prima di tornare negli Stati Uniti, Kurt Cobain si concede qualche giorno a Roma con sua moglie. Cobain era rimasto colpito da Roma tutte le volte

 

Continua qui: http://www.minimaetmoralia.it/wp/kurt-cobain/

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Libia – Da Gheddafi ad Haftar

7 Aprile 2019

La Libia è tornata a far notizia, mentre il cosiddetto Esercito Nazionale Libico, sotto il comando del generale Haftar si sta muovendo per attaccare Tripoli. Come siamo arrivati a questo punto?

Nel marzo 2011, il Regno Unito, la Francia e gli Stati Uniti avevano deciso di abbattere il governo della Libia. Le milizie dei Fratelli Mussulmani e le forze allineate di al-Qaeda, equipaggiate dal Qatar e sostenute dalla Gran Bretagna, avevano catturato la città di Bengasi, nella parte orientale del paese. L’aviazione americana aveva bombardato le truppe governative in campo e aiutato i militanti a catturare e uccidere Muhammar Gheddafi. Il caos era scoppiato quando varie forze tribali, le milizie locali e gli Islamisti si erano scontrate fra loro per il controllo delle città e del bottino.

Uno di quelli che aveva cercato di inserirsi nel caos come nuovo leader della Libia era stato l’ex generale Khalifa Haftar. Aveva preso parte al colpo di stato che aveva portato al potere Gheddafi, ma, in seguito, aveva preso le distanze dal leader ed era passato all’opposizione. La CIA lo aveva aiutato a tentare un colpo di stato contro Gheddafi. Il golpe era fallito e, dal 1990, Haftar ha vissuto in Virginia, prendendo anche la cittadinanza degli Stati Uniti.

Il tentativo di Haftar di assumere il potere durante il caos del 2011 era fallito. Le milizie favorevoli alla Fratellanza Mussulmana lo consideravano un seguace laico di Gheddafi e non lo avevano accettato. La situazione è cambiata nel 2014, dopo l’estromissione dal potere in Egitto, da parte dell’esercito, del presidente Morsi, favorevole alla Fratellanza Mussulmana. L’Egitto, sotto il nuovo presidente Sisi, temeva le bande islamiste in Libia e voleva eliminarle. Haftar era così stato richiamato [dagli Stati Uniti] per costituire un esercito ed occupare Bengasi. Gli Emirati Arabi Uniti avevano finanziato il progetto. Con i soldi degli Emirati Arabi Uniti, il supporto aereo egiziano, le forniture russe, il sostegno dell’intelligence e delle forze speciali francesi Haftar aveva progressivamente sconfitto le varie bande islamiste e preso il controllo di Bengasi.

Gli erano occorsi più di tre anni per consolidare il potere e per costruire il suo Esercito Nazionale Libico (LNA), che gli avrebbe poi permesso di conquistare le regioni occidentali della Libia.

Queste zone ad ovest, compresa la capitale Tripoli, sono controllate da varie famiglie rivali, clan e tribù, ciascuna con la propria milizia. C’è anche un simbolico Governo di Accordo Nazionale, guidato da Fayez al-Sarraj. È riconosciuto dall’ONU ma non ha forze proprie. Dipende dal sostegno delle milizie locali a Tripoli e dal supporto proveniente dalla città costiera di Misurata. Questa città ha una forte milizia tribale, che dispone persino di un piccolo contingente aereo.

Misurata è anche la città che ha impedito ad Haftar di spostare le sue truppe da Bengasi, ad est, lungo la costa verso Tripoli, ad ovest. Questo ostacolo ha costretto Haftar a muoversi attraverso gli spopolati territori meridionali e poi ad ovest e nuovamente verso Tripoli, a nord. Un precedente tentativo di fare la stessa cosa, nel 2018, era fallito quando le forze locali nel sud-ovest (in rosa), sostenute dall’esercito algerino, si erano opposte alla mossa di Haftar.

Quest’anno, l’Algeria ha i suoi problemi, dal momento che le proteste popolari hanno costretto il presidente Abdelaziz Bouteflika a dimettersi. L’esercito algerino è impegnato in casa propria a mettere al potere un nuovo reggente. Haftar, con l’aiuto dei capitali degli Emirati Arabi Uniti, si è comprato il sostegno delle forze nel sud-ovest del paese, aprendosi così la strada verso Tripoli. Ha anche preso il controllo della Sirte, nel nord, e del giacimento petrolifero di El Sharara vicino a Wasi al Hayaa, nel sud. Questo giacimento produce circa 300.000 barili di petrolio al giorno che possono essere esportati attraverso i porti della Sirte. Il controllo di queste risorse ha dato ad Haftar un’enorme spinta.

L’LNA di Haftar è ora a circa 20 miglia da Tripoli, ma la resistenza delle milizie locali e delle forze inviate da Misurata sta crescendo. Ieri, l’esercito di Haftar ha per breve tempo preso il controllo del defunto aeroporto internazionale di Tripoli, ma ne è stato subito estromesso. Oggi, i caccia partiti da Misurata hanno attaccato le sue forze.

Se Haftar vuole vincere, dovrà assumere il controllo della strada tra Tripoli e Misurata, per separare i suoi avversari. Potrebbe quindi prendere Tripoli e annunciare la costituzione del proprio governo nazionale. Ci sono voci secondo cui alcuni dei signori della guerra di Tripoli sarebbero disposti a cambiare bandiera e unirsi ad Haftar.

Haftar ha l’aperto sostegno di Francia, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Egitto e Russia. L’amministrazione Trump non è interessata ad entrare in questo caos. Haftar è una vecchia risorsa della CIA e, se dovesse andare al potere, ci sono buone

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/libia-da-gheddafi-ad-haftar/

 

 

 

 

 

Avviso a Washington: in Venezuela arriveranno altre forze russe

8 Aprile 2019

FONTE: FORT-RUSS.COM

CARACAS – Il Vicecancelliere venezuelano Yván Gil ha dichiarato che gli specialisti militari russi rimarranno in Venezuela fin quando necessario, non ci sono scadenze definite.

Inoltre, non ha escluso l’arrivo in Venezuela di nuove missioni militari russe secondo gli accordi militari esistenti.

“Rimarranno in Venezuela per tutto il tempo necessario a mantenere tutte le attrezzature militari in condizioni operative, ma non ci sono scadenze definite e le nuove missioni militari probabilmente arriveranno secondo gli accordi precedentemente firmati”, ha detto Yván Gil.

Il diplomatico ha sottolineato che il governo del paese è pronto a difendersi dall’aggressione esterna o interna e che l’opposizione causa sempre meno agitazione nelle strade.

“Le dimostrazioni dell’opposizione stanno diventando sempre più piccole, hanno sempre meno il sostegno della gente. Il Venezuela è pronto a respingere un’aggressione interna o esterna. La presenza dell’opposizione nelle strade non ci preoccupa perché è sempre meno numerosa”, ha detto a margine del business forum russo-venezuelano al 14° Meeting intergovernativo Russia-Venezuela.

Il 23 marzo, gli aerei militari russi An-124 e Il-62 sono arrivati ​​all’aeroporto internazionale Simón Bolívar alla periferia di Caracas con un gruppo di esperti militari russi, cosa che è stata criticata dagli Stati Uniti.

Il vicepresidente Mike Pence ha definito il fatto “una provocazione indesiderata”, mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che “la Russia deve lasciare” il Venezuela, aggiungendo che tutte le opzioni sono in

 

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Trump ha ragione riguardo alle alture del Golan

di Alan M. Dershowitz – 7 aprile 2019

Pezzo in lingua originale inglese: Trump Is Right about the Golan Heights
Traduzioni di Angelita La Spada

Nessun paese ha mai restituito a un nemico giurato un territorio di importanza cruciale dal punto di vista militare che è stato conquistato in una guerra difensiva.

  • Com’era prevedibile, l’Unione Europea si è opposta al riconoscimento dell’annessione da parte degli Stati Uniti. Ma non ha fornito alcun argomento convincente, reiterando la solita richiesta di non modificare lo status quo.
  • Quale nazione europea ha mai consegnato a un nemico giurato delle alture conquistate in una guerra difensiva? Occorre ricordare che alla fine della Prima e della Seconda guerra mondiale i paesi europei diedero seguito a riconfigurazioni territoriali per contribuire a preservare la pace. Perché l’Unione Europea dovrebbe assoggettare Israele a un doppio standard che non ha mai imposto a se stessa? La risposta è chiara: l’UE si è sempre comportata in modo ipocrita quando si è trattato di Israele, e questa non è un’eccezione.

Nessuna persona ragionevole chiederebbe agli israeliani di cedere le alture del Golan a quell’assassino di massa siriano che è Assad. Sarebbe un suicidio consegnare le alture che si affacciano sulle città e i villaggi israeliani a un pazzo che le userebbe per colpire i civili israeliani con bombe chimiche a grappolo, come Assad ha fatto nei confronti dei suoi stessi cittadini. Nessun paese ha mai restituito una nave corazzata in una guerra difensiva contro un nemico che ha giurato la sua distruzione. Inoltre, le alture del Golan sono come una grande corazzata che verrebbe utilizzata per attaccare Israele.

Le alture del Golan non sono come la Cisgiordania, che ha una grande popolazione di civili che si considerano occupati o sfollati. I civili che vivevano sul Golan prima che Israele facesse il suo ingresso nell’ultimo giorno della guerra dei Sei Giorni erano soprattutto drusi. Chiunque sia rimasto lì ha visto le proprie condizioni di vita migliorare. Da quando Assad ha iniziato la sua campagna di omicidi, molti drusi del Golan sono diventati cittadini israeliani. Come ha dichiarato uno dei 25 mila drusi arabi in un recente articolo apparso sul Los Angeles Times:

“È fuori discussione che i drusi e gli israeliani godano di un livello di protezione e sicurezza che non può essere paragonato alla vita dall’altra parte. (…) Ogni sera, a cena, rammenta ai suoi figli che mentre loro sono ben nutriti, ci sono bambini in Siria che muoiono di fame”.

Pertanto, il controllo delle alture del Golan da parte di Israele ha poco a che vedere con le persone: questo controllo è in larga misura un vantaggio militare. Nessun paese ha mai restituito a un nemico giurato un territorio di importanza cruciale dal punto di vista militare che è stato conquistato in una guerra difensiva.

Il punto non è se Israele dovrebbe restituire le alture del Golan ora. Di fatto, tutti sono d’accordo che non dovrebbe farlo. Oltretutto, non lo farà. Nessun primo ministro israeliano, poco importa quanto sia di sinistra, penserebbe di cedere le alture del Golan ad Assad. L’area consta di alture dalle quali i siriani erano soliti abbattere gli agricoltori israeliani che lavoravano nella valle: il Golan era un poligono di tiro.

Israele manterrà il controllo delle alture del Golan nel prossimo futuro. L’unico problema è se l’annessione del Golan da parte di Israele dovrebbe essere riconosciuta dagli Stati Uniti e da altri paesi. Dovrebbe. E per diversi motivi importanti.

La realtà è che Israele non cederà mai le alture del Golan alla Siria, a meno che ciò non faccia parte di una risoluzione negoziata con una Siria pacifica e democratica che abbia accettato di porre fine alla belligeranza e di riconoscere Israele come Stato nazionale del popolo ebraico. È improbabile che ciò accada nell’immediato futuro. Se dovesse accadere non ci sarebbe nulla che impedirebbe a Israele di cedere le alture del Golan alla Siria, come parte di un accordo di pace duraturo. Non vi è quindi alcun danno reale nella decisione di Israele di annetterle e nella decisione degli Stati Uniti di riconoscere tale annessione. Inoltre, la decisione dell’annessione e il suo riconoscimento fanno sì che il Golan non rivesta più lo status di territorio occupato e che lo status quo sia inteso come realtà de facto e de jure.

Ho avuto l’opportunità di discutere tale questione con il presidente degli Stati Uniti Donad J. Trump due settimane prima che annunciasse la sua decisione. La metafora della corazzata, pare gli sia piaciuta. Gli ho detto che a mio avviso il mondo arabo sunnita si sarebbe potuto lamentare, ma che non gli importa molto del Golan, che non riveste alcun significato religioso per l’Islam. Hanno avuto luogo

Continua qui: https://it.gatestoneinstitute.org/14030/trump-alture-golan

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

APPELLO ALLE DONNE CONTRO L’UTERO IN AFFITTO

Federica Francesconi – 1 aprile 2019

Pur non condividendo alcune delle tesi del Congresso delle famiglie di Verona, credo che nel documento finale siano state inserite molte proposte di buon senso. A parte ribadire i diritti inalienabili del nascituro, come quello ad avere un padre e una madre, a non essere oggetto di abusi sessuali e di pedopornografia, una proposta in particolare ritengo sia ragionevole. Si tratta della richiesta di bandire la pratica dell’utero in affitto attraverso una moratoria internazionale. Che io sappia, è la prima volta che in Europa, terra delle libertà ma anche di tante aberrazioni, viene fatta una simile proposta. Bandire l’utero in affitto dovrebbe essere un fine perseguito da tutti gli Stati che rispettano la vita umana. Invece, a prevalere con sdoganamento di questa pratica aberrante è stato ancora una volta sempre lui, Monsieur Capitale. Dovrebbero essere tutte le donne unite a chiedere che non si faccia del loro organo sessuale uno strumento del Capitale, che tra l’altro ripropone le solite sperequazioni sociali ed economiche tra abbienti e non abbienti.

Come si faccia a sostenere bellamente che affittare un utero è qualcosa che implementa la libertà, io proprio non riesco a spiegarmelo, se non attraverso la diffusione della piaga della lobotomizzazione di massa mediante la somministrazione di dosi letali di Pensiero unico. Dose dopo dose le coscienze, incapaci di ragionare sulla base della logica e del buon senso, si spengono, sostituite da contenuti devianti innestati a suon di martellamenti politicamente corretti (e umanamente scorretti).

Come si faccia a obliterare dalla coscienza la nuda e cruda realtà, e cioè che la pratica dell’utero in affitto (o dell’utero in regalo) sancisce il principio distopico che la vita umana può essere comprata, addirittura prima che essa sia concepita, è un qualcosa che io mi spiego solo ricorrendo alla follia di un’ideologia che non riconosce l’essere umano come una persona in senso stretto, dotata di diritti inalienabili

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CULTURA

Umani allo specchio del mostro

Andrea Comincini – 7 aprile 2019

La distinzione di Karl Popper degli oggetti del discorso filosofico in tre mondi (Natura, Psiche, Cultura) è la massima espressione di un mentalità che, liberatasi della metafisica trinitaria Dio, Uomo, Mondo, si affida al razionalismo descrittivo, al soggetto di cartesiana memoria, per giudicare il mondo esterno e sezionarlo. I prodotti della cultura, conseguentemente, diventano eccedenze di cui si potrebbe fare a meno. Il panopticon di Bentham, l’occhio che tutto scruta, sembra trovare la sua più esplicita apoteosi, ma nonostante si sforzi di essere esaustivo, l’impostazione mostra delle fratture. La dissezione del mondo non può ridurne la complessità, e soprattutto non si può affermare che la cultura ne sia solo un residuo inquinante, mentre ne è parte performante. Tale nuova presa di coscienza è il punto di partenza di una discussione molto approfondita e stimolante, sviluppata nel numero di dicembre di Aut Aut da diversi studiosi, fra cui Massimo Filippi, Alessandro Dal Lago, Serena Giordano, L. Sanò, M. Reggio e tanti altri a proposito di una insostenibilità classificatoria che considera il diverso ontologicamente abusivo. Mostri e altri animali, questo il titolo del volume da poco uscito, riscrive la storia dei dissimili, del bestialmente altro, provando a decifrarli non in quanto errori naturali, ma simboli/prodotti di un dispositivo di potere negazionista.

Quale negazionismo? Quello teso a confutare la verità sull’umano e la sua radice animale, e cioè che oltre la biologica naturalità spacciata per superiorità aprioritaria, si manifesta una gerarchia mai fondata sulla naturalità e la distinzione netta, perché proprio tali concetti non pertengono al mondo esterno. Filippi, sia nella Premessa sia nel contributo personale, è molto chiaro:

“I corpi sono assemblaggi/concatenamenti di corpi, materia, relazioni e memoria. Sono costellazioni, reliquie, vortici, sintomi, anacronismi, contrattempi, sopravvivenze. In una parola: mostri. E che ci piaccia o no, anche “noi” siamo animali e, quindi, mostri”.

Il mostro dunque spaventa, perché è la singolarità contro la regola, capace di mostrare la trama politica della narrazione altrui e di mettere in crisi il soggettivismo totalizzante suddetto: lungi dall’essere tale poiché oggettivamente diverso, il mostruoso altro non è se non lo scarto biopolitico dell’occidente dominante, il quale si riconosce puro e sano grazie all’individuazione e alla segregazione di un corpo reso dissimile.

I saggi contenuti affrontano la tematica da differenti punti di vista: artistico, storico, mitologico. In comune rivelano la necessità di considerare prioritaria la battaglia fra codici reazionari o performativi. Cosa si intende? Gli autori lottano per rendere visibile la politicità di qualsiasi descrizione passata per naturalistica, quando in verità appartiene a un desiderio di determinare una differenza e un dominio sugli altri. Differenza, per affermare l’inumanità del diverso, e quindi la possibilità di usufruirne a piacimento senza sensi di colpa (si pensi anche al riconoscimento dei neri a persona) e – successivamente – al dominio, perché l’inferiore (sia un animale da macello, sia un essere umano) va guidato e comandato, per il suo bene.

Parafrasando Foucault, bisogna ricordare che “il mostro sconvolge l’ordine giuridico” ma in questa violazione delle regole, autorizza il potere a intervenire, senza spiegare però che il mostro è tale perché proprio il potere lo ha precedentemente classificato tale.

L’erotismo del mostro è un argomento frequente nella grande tradizione cinematografica: ne Il mostro della laguna nera (1954), è chiaro che la sessualità esibita o celata serve da dispositivo di coercizione degli istinti, ma anche da conforto, perché ci dice “siamo diversi da loro” e “non dobbiamo mischiarci”. Ne La forma dell’acqua (2017), invece, il politically correct si adegua ai tempi, ma resta sullo sfondo un meccanismo di censura proprio quando si arriva a parlare degli organi riproduttivi della creatura anfibia – termine ultimo tra uomo e bestia. Allo stesso modo si potrebbe dire del mondo mitologico. Le lamie, o gli umani-animale, segnano il confine tra la diversità e la norma, la sconcezza e la regalità.

Anche in campo zoologico gli esempi sono molteplici: Etienne Saint-Hilaire e la zoologia come progetto politico militare non sono certo il prodotto casuale di una razionalità totalizzante. Cosa sono oggi gli allevamenti, se non lager costruiti per

Continua qui: https://www.alfabeta2.it/2019/04/07/umani-allo-specchio-del-mostro/

 

 

 

 

«Abbattete la statua di Colombo, istiga all’odio!»

Dopo l’eliminazione dei monumenti dei confederati, nel mirino anche lo scopritore del Nuovo Mondo. L’accusa: era uno “spietato” uccisore di nativi americani

Greta Marchesi – 23 agosto 2017

I media statunitensi l’hanno battezzata la “guerra delle statue” e nell’ondata di repulisti dei monumenti sudisti potrebbe finire anche la statua a Cristoforo Colombo nel cuore di Manhattan. Lo scopritore dell’America, certo, ha poco a che fare con la Guerra di Secessione, ma a “condannarlo” all’abbattimento potrebbe essere l’accusa di essere stato un conquistatore «spietato» che ha ucciso e schiavizzato migliaia di nativi americani al momento dello sbarco nel Nuovo Mondo.

Dopo i fatti di Charlottesville ( in cui una attivista antirazzista è rimasta uccisa durante un corteo da un suprematista bianco), la decisione di eliminare i simboli di odio e divisione ha coinvolto già moltissime amministrazioni locali statunitensi, soprattutto degli Stati del Sud: dal Kentucky alla California, gli “eroi sudisti” sono stati rimossi dalle strade delle città americane, per ordine dei sindaci. Così dalle piazze sono spariti i busti di Nathan Bedford Forrest e Roger Brook Taney ed è partita una vera e propria caccia alle streghe contro i simboli riconducibili ai confederati.

Ora anche a New York è iniziata l’inquisizione: il sindaco italoamericano Bill de Blasio sta per nominare una commissione, con il mandato di analizzare i monumenti della Grande Mela, in cerca di «simboli che possono istigare all’odio, alla divisione o al razzismo e all’antisemitismo» da eliminare dagli arredi urbani. A finire sul banco degli imputati, dunque, anche l’italiano Colombo, la cui

Continua qui: http://ildubbio.news/ildubbio/2017/08/23/abbattete-la-statua-colombo-istiga-allodio/

 

 

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Crolla il Russiagate, crolla anche la Botteri

28 Mar 2019  (Enrico Paoli – Libero quotidiano)

Certi dettagli, in Rai, sono più importanti dell’insieme stesso. Giovanna Botteri, corrisponde da New York per viale Mazzini, è stata una «fervente» sostenitrice dell’antitrumpismo e quindi del «Russiagate».

Però, nel giorno in cui la notizia dalla Grande Mela è il crollo del «Russiagate», in pratica sarebbe stato una grande bufala, non è la Botteri a metterci la faccia, ma la giornalista del Tg1, Francesca Biancacci. È toccato a lei dare la notizia. I gossip aziendali, dentro e fuori viale Mazzini, sono letteralmente impazziti. E sono solo quelli, però. Vuoi vedere che…

Secondo alcuni siti specializzati, in particolare Lo Specialista.it, la Botteri sarebbe stata rimossa dalla sede di New York con destinazione Pechino. La corrispondente, a capo della sede americana da più di dieci anni, avrebbe ricevuto dal vertice della Rai una lettera di disdetta dell’incarico. Dietro la mossa ci sarebbero ragioni di carattere politico e aziendale. Probabile, come spiega ancora Lo Specialista.it lo scambio di sede, con la Botteri destinata a Pechino e Claudio Pagliara (attuale corrispondente dalla Cina e gradito alla maggioranza gialloverde che sostiene il governo Conte) destinato alla Grande Mela per raccontare le vicende del presidente Donald Trump.

Un giro di valzer, quello fra Pechino e New York, che apre la strada ad un passaggio chiave: l’apertura della nuova sede della Rai di Washington per raccontare finalmente in «presa diretta» la politica americana, sempre più strategica per l’Europa. A quel punto New York resta importante, ma non più strategica. Ovviamente se dovesse muoversi la Botteri, la sua via della seta» darebbe la stura ad un complesso articolato valzer di poltrone nelle 11 sedi di corrispondenza della Rai.

Intanto ieri il consiglio d’ amministrazione della Rai, guidato dal presidente Marcello Foa, ha approvato il progetto di assetto macro-strutturale proposto dall’ amministratore delegato, Fabrizio Salini, che prevede l’introduzione della figura del Direttore generale Corporate, in coerenza con le linee del piano industriale approvato il 6 marzo scorso. Il direttore generale avrà, tra l’altro, il compito di dare

Continua qui: https://infosannio.wordpress.com/2019/03/28/crolla-il-russiagate-crolla-anche-la-botteri/

 

 

 

RECORD! Giovanna Botteri dagli Stati Uniti: tre bufale in un minuto.

16 01 2017

Vi riportiamo un ottimo fact-checking di Mazzucco di luogocomune.it sul servizio dell’inviata Rai negli Stati Uniti Giovanna Botteri a proposito della prima conferenza stampa rilasciata da Trump.

Il video di Mazzucco si conclude con questa domanda, che facciamo nostra: “ma perché i cittadini italiani devono pagare il canone per pagare lo stipendio a persone come la Botteri che distorcono sistematicamente

Continua qui: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-record_giovanna_botteri_dagli_stati_uniti_tre_bufale_in_un_minuto/82_18581/

 

 

 

 

I profughi siriani come arma propagandistica. La RAI e l’ennesima fake news sulla Siria

 

Roberta Rivolta

(L’autrice ringrazia Fiorangela Altamura per la segnalazione)

Notizia del: 08/04/2019

 

Qualche giorno fa RAI 3 ha mostrato un servizio in cui riproponeva la puntata numero tremilaenonsenepuòpiù della saga “I poveri disgraziati finiti nelle carceri di Assad”. Saga in cui si piange e ci si dispera ma ci si dimentica puntualmente che, errori umani a parte, quali ci sono in ogni paese del mondo, tendenzialmente in carcere ci si finisce per qualche motivo.

Tendenzialmente.

Il “sopravvissuto alle torture del regime siriano” della puntata in questione era appena sbarcato in Italia, insieme a una cinquantina di connazionali, grazie ai corridoi umanitari creati dagli sforzi congiunti della Comunità di Sant’Egidio, della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e della Tavola Valdese.

Questi corridoi umanitari sono attivi già dal 2016 e hanno portato in Italia, e successivamente anche in altri paesi europei, migliaia di profughi siriani. Profughi che vengono prelevati dagli stessi campi in Libano in cui l’ONU fa propaganda terroristica per convincere la gente a non rientrare in patria

Sappiamo bene che i profughi siriani sono un’arma propagandistica multilama: servono ad accusare il governo siriano della guerra che gli è stata scatenata contro, contribuiscono a svuotare la Siria delle forze produttive di cui ha bisogno per risollevarsi, aiutano a ingrassare i meccanismi delle miriadi di associazioni che in Occidente sono ormai quasi più numerose dei cittadini stessi, contribuiscono ad arricchire tutto un sistema che su di loro mangia e specula. Contribuiscono a sollevare le sorti del nostro continente che non sa più come pagare le pensioni, come sostengono con sfacciato candore i peggio schiavisti dell’area PD e anche lo stesso presidente della Comunità di Sant’Egidio, che al microfono di RAI 3 annuncia il suo piano per “evacuare la Libia” con la richiesta di cinquantamila visti, dal momento che “noi abbiamo bisogno di immigrati”… Infine, i profughi sono un veicolo perfetto per “trasportare” i terroristi fuori dalla Siria, mescolandoli alle vere vittime della guerra, camuffandoli, mimetizzandoli, riciclandoli nei panni dei deboli, loro che in patria hanno sparato, ucciso, sgozzato.

Del profugo in questione non sappiamo niente. Non sappiamo dove viveva prima di arrivare in Libano, non sappiamo cosa pensa, che ha fatto, perché è uscito dalla Siria, e non sappiamo neanche perché è finito in carcere. Ma sappiamo, perché ce lo raccontano i suoi documenti, che ci vengono sventagliati anche un po’ poco opportunamente sotto il naso, che proviene da Kafr Laha, una parte della Siria che ha avuto un suo momento di triste notorietà nel 2012.

Kafr Laha è uno dei tre villaggi principali della città di Hula, che è stato teatro di uno dei primi finti “casus belli” sollevati dall’Occidente quando mordeva il freno per scatenare un’invasione “vecchia maniera” contro la Siria. Nel maggio 2012 i titoli dei nostri quotidiani gridarono unanimemente il loro orrore e la loro indignazione, una delle prime volte in cui il coro è stato così unanime e i titoli così sbraitati, per un massacro che avrebbe compiuto “l’esercito fedele al presidente siriano Bashar al-Assad […] bombardando con artiglieria pesante i manifestanti”, e che ha portato all’espulsione dei diplomatici siriani da tredici paesi (tra cui l’Italia).

Peccato che, una volta calato il polverone sollevato dall’Osservatorio siriano e dai suoi scagnozzi, hanno cominciato a emergere le prime vere testimonianze e le prime vere fotografie, e si è scoperto che: 1) non c’erano tracce di bombe cadute nella zona, 2) le vittime non erano affatto state smembrate da bombe, ma presentavano ferite da armi bianche e armi da fuoco usate a distanza ravvicinata, 3) le vittime erano nella quasi totalità alawite e sciite, 4) un’intera famiglia era stata sterminata perché aveva osato convertirsi dal sunnismo allo sciismo, 5) gli autori del massacro erano militanti di gruppi terroristi provenienti da cittadine vicine, di cui la principale abbandonata da tempo dai civili e controllata da wahabiti libanesi.

Perfino l’ONU, per voce di una commissione d’inchiesta appositamente istituita, aveva dovuto riconoscere che dei tre possibili colpevoli – milizie filo-governative, forze anti-governative, gruppi esterni di affiliazione sconosciuta – non era in grado di escluderne nessuno. Ripeto, non sappiamo se il signore che è atterrato a Fiumicino il 28 marzo abbia qualcosa a che fare con questi eventi. Lungi da me l’idea di imbastire un processo giudiziario sul nulla.

Ma.

I corridoi umanitari, si legge sulla pagina della Comunità di Sant’Egidio, offrono accoglienza a “persone in ‘condizioni di vulnerabilità’ (ad esempio, oltre a vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità)”.

Il signor “Hassan” dice di essere stato vittima di torture. Queste torture le avrebbe subite in carcere. Non dico di no, ma in questo momento quello che è rilevante è che il signor Hassan è stato in carcere. Non solo, ma ne è anche uscito. Non conosco la legge siriana ma, a logica, se uno è stato in carcere, tendenzialmente, ha commesso un reato. Se ne è uscito o è stato scagionato, o ha finito di scontare la pena, o ne è fuggito. Nel terzo caso è un fuorilegge, nel primo e nel secondo caso non avrebbe bisogno di rifugiarsi da nessuna parte, a meno che abbia continuato a commettere reati. E se è vero che è stato torturato – non lo escludo, sono pratiche che purtroppo si usano, nelle carceri di tutto il mondo – presumibilmente non stiamo parlando di furto d’auto, soprattutto in un paese che da otto anni è in guerra.

Le persone “importate” in Italia vengono segnalate da volontari presenti nei campi, e in questo caso volontari di Operazione Colomba.

Parliamo della ONG Operazione Colomba.

 

Ricordate quando quel gran genio di Staffan “Yinon” de Mistura, cominciando a subodorare la sconfitta in Siria, se n’era uscito con la geniale proposta di creare enclave “democratiche” in Siria? Ecco, Operazione Colomba ha inventato la versione “Non violenta di Pace” e lancia un appello, per bocca dei profughi siriani già salvati dai nostri generosi sforzi, per la “creazione [in Siria] di Zone Umanitarie in cui non possano avere accesso eserciti e gruppi armati.” Zone interne al territorio siriano in cui sarebbe interdetto l’accesso all’esercito, praticamente territori sottratti alla sovranità nazionale.

 

De Mistura/Israeli style.

Operazione Colomba si vanta apertamente di utilizzare i passaporti europei per aggirare i controlli in Libano: “They had often found that the sight of a European passport was enough to persuade soldiers to let undocumented refugees go”, “Avevano spesso scoperto che la vista di un passaporto europeo era sufficiente a convincere i soldati a lasciar passare rifugiati senza documenti”.

Ma Operazione Colomba è anche la ONG che scrive sul suo sito a proposito di Idlib (il nuovo allarme cosmico dopo Aleppo e la Ghouta): “Guerra sembra ormai una parola accettabile. È una macchina dell’orrore oscena, rivoltante. Ora sta per colpire Idlib, in Siria. A Idlib ci sono oltre 3 milioni di esseri umani, imprigionati e assediati. Schiacciati dalla violenza jihadista e temiamo, fra poco, indiscriminatamente bombardati da quella del regime di Assad. […] Si sta preparando una tragedia di dimensioni e brutalità come forse in Siria non si è ancora vista.”

Il “regime” di Assad, in realtà, lungi dal bombardare indiscriminatamente, apre dei VERI corridoi umanitari per permettere alla popolazione di uscire dalle fortezze jihadiste, prima di bombardarle, con grande sollievo della popolazione

 

Continua qui:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_profughi_siriani_come_arma_propagandistica_la_rai_e_lennesima_fake_news_sulla_siria/82_27892/

 

 

 

Piano Yinon

La “primavera araba” per spaccare l’Africa

www.lintellettualedissidente.it – Sebastiano Caputo – 5 aprile 2013    RILETTURA

Nell’analisi “Dividere, conquistare e regnare in Medio Oriente”, pubblicata alla fine del 2011, Mahdi Darius Nazemroaya spiega come questo piano strategico israeliano – il piano Yinon – ha come obiettivo quello di “balcanizzare” il mondo arabo-musulmano (dal Marocco al Pakistan) al fine di ottenere la supremazia nella zona.

Il processo della “primavera araba” ha ribaltato in Nordafrica, dal Marocco all’Egitto, regimi politici autoritari fondamentalmente laici e con più o meno sbiadite venature socialiste, portando a capo dei nuovi governi gruppi islamici-moderati. In Tunisia, Rachid Gannouchi leader del partito Ennahda ha rimpiazzato Zine el Abidine Ben Ali. Nella vecchia Jamiryia i ribelli jihaddisti libici riuniti nel Cnt si sono sbarazzati di Gheddafi grazie all’appoggio degli anglo-franco-americani, instaurando la sharia nella legislazione della “nuova Libia”. In Marocco, il partito islamico-moderato e legittimista Giustizia e Sviluppo ha vinto le elezioni legislative portando il suo leader Abdelilah Benkirane ad esercitare il ruolo da primo ministro. In Egitto, il nuovo Parlamento, il primo da quando Mubarak ha lasciato il Paese, è composto per tre quarti da islamici, vale a dire dai Fratelli Musulmani e dai salafiti. Detto questo all’appello nordafricano mancherebbe soltanto Ennahda, il movimento islamico algerino che concorrerà alle presidenziali nel 2014.

L’insieme di questi movimenti politico-religiosi non sembra voler preconizzare la restaurazione di un califfato islamico o di una cosiddetta “Repubblica Islamica” tipo Iran, e, nonostante le idee siano d’impronta fondamentalista, almeno a parole riconoscono un sistema pluralista. Tuttavia l’eclatante trionfo dei valori islamici su quelli laici racchiude in sé una situazione paradossale. Se si analizza l’evoluzione della politica estera nordamericana dopo i cosiddetti attentati dell’11 settembre e l’atteggiamento scettico nei confronti dell’Islam, la domanda che viene in mente è per quale motivo gli Stati Uniti d’America, “garanti della democrazia nel mondo” permettono un tale evento storico-politico? Perché Israele consente a gruppi islamici, antisionisti e propalestinesi di governare Paesi limitrofi (Egitto) o periferici (gli altri Paesi del Maghreb)?

Al momento né Washington né Tel Aviv hanno suonato il campanello d’allarme, difficile capire il perché. La prima ipotesi presuppone che gli Usa sappiano che questi nuovi governi islamo-neoconservatori agiranno principalmente

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ECONOMIA

Le 4 balle che ci raccontano sulla crisi dell’economia italiana

 

di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su Libero, 03/04/2019

 

Ci sono una serie di balle che continuano a circolare su un giornalone di cui non vogliamo fare il nome, perché non è certo nostra intenzione fargli pubblicità. Con tanto di grafici vorremmo smontare tutte queste balle una vota per tutte.

1 balla. Il primo, e forse il più micidiale di questi luoghi comuni riguarda la nostra moneta unica. Il M5Stelle e la Lega hanno vinto le elezioni con una piattaforma “no euro”. La realtà delle cose e il buon senso degli italiani, primo fra tutti il presidente della Repubblica, si sono poi fatti carico di smorzare i loro entusiasmi isolazionisti. Ma questo governo continua a comportarsi come se l’euro fosse una gabbia dalla quale non si può liberare.

Trascuriamo le considerazioni politiche. Sono irrilevanti. Ognuno è libero di scrivere le cazzate che vuole. Passiamo però ai fatti.

La produzione industriale, che in un paese senza materie prime è quello che dà da mangiare, prima dell’euro cresceva in linea con quella degli altri maggiori paesi. Dall’introduzione dell’euro è collassata.

Difficile che sia una mera coincidenza perché la stessa cosa, anche se in misura minore, è accaduta per la produzione industriale della Francia.

Ancora oggi in Italia è del -22% sotto il livello del 2008 e neanche negli anni ‘30 della Grande Depressione è successo, perchè nel giro di tre anni la produzione tornò sopra i livelli del 1930. L’unico crollo di oltre il -20% della produzione mai verificatosi è tra il 1942 e il 1946 causa una guerra persa.

A cosa è dovuto il crollo, avvenuto soprattutto tra il 2008 e il 2013?
In Italia, la domanda interna, cioè la spesa dei cittadini è sprofondata del -12% in questi cinque anni e quindi nonostante un ottimo andamento dell’export, dato che la domanda interna è ¾ del totale della domanda, la spesa totale si è ridotta di colpo. In Germania e Francia ad esempio la domanda interna non si è ridotta.

GOVERNO MONTI

Il motivo? L’austerità ovviamente, il blocco della spesa pubblica e l’aumento delle tasse, soprattutto sotto il governo Monti. L’Italia è stato l’unico paese a ridurre i deficit pubblici dopo il 2009, per cui mentre tutti facevano deficit tra il 5 e l’8% del PIL noi siamo stati gli unici a riportarli sotto al 3%. Abbiamo dovuto causa lo “spread” ? Come mai prima dell’Euro non si sentiva mai parlare dello “spread”? Perché Bot, CCT e BTP erano in mano a famiglie italiane le quali se il rendimento cresceva non vendevano i titoli solo perché il prezzo oscillava in basso. Solo le banche e i fondi esteri liquidano di colpo i BTP e però lo facevano per motivi loro, nel 2008 liquidavano titoli di ogni genere percé stavano fallendo causa derivati su mutui in altre parti del mondo. Le Banche estere con l’euro erano arrivate a detenere 1,300 mld di titoli italiani e li hanno liquidati di colpo.

Con la crisi globale del 2008, dovuta ad una “bolla” dei mutui e dei derivati sul debito immobiliare in USA, Spagna, Irlanda ecc. le banche in tutto il mondo sono andate in crisi, molte hanno dovuto essere salvate dai loro Stati e di conseguenza si è creato panico sui mercati del debito e le banche maggiori hanno venduto di colpo titoli di ogni genere, tra cui anche i nostri BTP di cui con l’euro si erano riempite arrivano ad averne per 1,300 miliardi.

L’effetto dell’euro è stato di far uscire le famiglie italiane e far entrare al loro posto massicciamente le banche estere come acquirenti di BTP, con i danni che sono ben noti a tutti.

2 balla. Bisognerebbe allora ricordare che solo grazie alla moneta unica l’Italia ha potuto in questi anni sostenere il peso di un debito pubblico che avrebbe schiantato qualsiasi altra valuta. Nel 2001, quando c’era ancora la lira, gli interessi sul debito pubblico ci sono costati l’equivalente di 79 miliardi di euro. Nel 2018, nonostante il debito sia passato da 1.400 a 2.300 miliardi, gli interessi sono scesi a 65 miliardi.

L’Italia come Stato ha pagato dal 1980 quasi 4 mila miliardi di interessi sui titoli di stato (in euro di oggi), cioè due volte e mezzo il PIL attuale che è di 1,700 miliardi e quasi il doppio del debito pubblico che 2,340 miliardi. Il debito pubblico è dovuto all’accumulo degli interessi che si sono cumulati su debiti contratti in molti anni.

Nessuno ha pagato quanto lo stato e quindi i contribuenti italiani di interessi, più di qualunque altra nazione al mondo dopo gli Stati Uniti. E in percentuale del reddito nazionale più di chiunque. Abbiamo arricchito le banche e i fondi esteri che si sono riempiti di BTP quando grazie all’euro sono stati garantiti che il tasso di cambio non sarebbe sceso. Per un cittadino italiano con in tasca le lire se il tasso di cambio della lira scendeva non importava, comprava lo stesso BTP o CCT se rendevano più dell’inflazione. Ma per gli stranieri era importante non perdere sul cambio e con l’euro hanno potuto garantirsi da quel rischio. Il risultato è stato che gli interessi che prima rimanevano in Italia sono finiti all’estero. Non importa pagare 65 miliardi invece di 79 se questi soldi poi vanno a banche francesi, fondi del Qatar o fondi pensione giapponesi! Sono soldi delle tasse degli italiani che con l’euro sono andati ad arricchire i ricchi di tutto il mondo (azionisti e proprietari di banche e fondi).

L’EXPORT

3 balla. Lo stesso discorso vale per le esportazioni: nonostante l’impossibilità di

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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Le banche cinesi e russe si rendono indipendenti dal sistema occidentale

RETE VOLTAIRE | 4 APRILE 2019

Da cinque anni Cina e Russia stanno cercando d’istituire un sistema alternativo a quello degli scambi interbancari SWIFT.

Lo SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), che ha sede a Bruxelles, è controllato dagli Stati Uniti.

Il 18 settembre 2014 il parlamento europeo, con la risoluzione «sulla situazione in Ucraina e lo stato delle relazioni UE-Russia» (Ref: 014/2841(RSP)), raccomandava di staccare la Russia dal sistema SWIFT. Per tutta risposta Mosca ha avviato un sistema alternativo per gli scambi interni, lo SPFS (Система передачи финансовых сообщений), entrato in vigore a dicembre 2017. Ne fanno parte oltre 500 banche russe e ora anche alcune banche straniere.

Il problema della Cina è diverso: non deve premunirsi contro sanzioni

 

Continua qui: https://www.voltairenet.org/article205930.html

 

 

 

NOTIZIE DAI SOCIAL WEB

UN POST DI 5 ANNI FA, PROFEZIA AVVERATA
Sisto Ceci 4 aprile 2019

 

Dura lex sed lex

Due episodi avvenuti in questi ultimi giorni mi inducono a pensare che la promessa riforma della giustizia si configurerà come una politica giudiziaria dal doppio binario e con corsie preferenziali .Veniamo agli episodi : a Padova è stato arrestato per la QUINTA volta ,sempre per gli stessi reati , aggressione , danneggiamento , resistenza a pubblico ufficiale , lesioni personali un immigrato iraniano che , nelle 4 precedenti occasioni giudicato per direttissima , condannato e sempre immediatamente scarcerato e lui, dopo pochi giorni , come per coazione a ripetere , ricominciava a tirare sassi sulle auto e a minacciare le persone con bastoni fino al quinto arresto , rimarrà in carcere questa volta o aspettiamo che ci scappi il morto ?. L’altro episodio riguarda una frase dell’intervista rilasciata una settimana fa dall’attuale titolare del dicastero della giustizia Orlando in merito ai provvedimenti per decongestionare le carceri italiane sovraffollate, con la proposta di far scontare la pena agli immigrati nel loro paese d’origine, iniziativa lodevole ma subito vanificata dalla frase successiva ” previo consenso dell’immigrato stesso”. Come quando condannarono Bertoldo all’impiccagione e gli concessero di scegliersi l’albero, guarda caso, dopo oltre 1000 anni , ancora non lo ha trovato. Allora al modesto estensore di questa breve nota , alla luce dell’accaduto e del dichiarato è venuto un piccolo dubbio : vuoi vedere che , a breve , il mondo giuridico del politicamente corretto partorirà, un doppio standard giuridico ,2 codici di procedura penale e amministrativa , uno informale e ufficioso, non scritto ma operante nella realtà per quelli che una volta si chiamavano “i dannati della terra ” Rom, immigrati e clandestini, sorry non più tali , che, nella formulazione della sentenza , dovrà tenere conto dello sfruttamento coloniale , della tratta degli schiavi, della rapina delle risorse e del sottosviluppo , della privazione della libertà e ai quali , in caso di reato , tranne l’omicidio in flagranza , con le attenuanti di cui sopra ,si dovrà chiedere il permesso di essere arrestati e giudicati e senza quello nisba , e l’altro codice , scritto e operante per l’italiano medio che lavora , paga le tasse , vive a casa sua, paga il mutuo o l’affitto regolarmente e manda i figli a scuola, per il quale basterà alzare la voce o scrivere alla Boldrini per vedersi piombare in casa la DIGOS e mettersi in seri guai.

A rafforzare il dubbio concorre il fatto che ogni risorsa umana di quelle che by barcone, gommone, scialuppa, zattera e natanti vari e viene a calcare l’ubertoso suolo italico, costa alle casse pubbliche circa 2000 € al mese , per vitto ,alloggio , argent de poche , assistenza medica , schede telefoniche e fringe benefits vari,

  • mentre 2.200.000 italiani non arrivano a 500 € di pensione al mese e per mettere insieme pranzo con cena debbono rovistare nei cassonetti dei mercatini rionali o affidarsi alla carità della parrocchia o del vicino di casa,
  • altri 4,870.000 non arrivano a 1000 € al mese,
  • altri 3.745.00 toccano 1000 € e poco più,
  • altri 2.672.000 arrivano a 1500 € al mese.

 

Come dire che

13.492.000 pensionati italiani, oltre il 75% del totale

dopo 40 anni di lavoro

vengono trattati peggio degli immigrati appena arrivati.

Allora il dubbio diventa quasi insopportabile addirittura lancinante, perché se qualcuno non me lo chiarisce non posso essere tacciato di razzismo se dico che i cosiddetti dannati della terra, ogni giorno di più, ci stanno dannatamente rompendo i coglioni a casa nostra

 

https://www.facebook.com/sisto.ceci.94?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARAwoubFPpAoTC232ysaAgfMa2uwikXA2ERuG4uJvF4L47HNL7c2Jj5sppvBFZ2jPgWoTWo3P-GvVzPH&hc_ref=ARRxqM5bLv0g-U-YRbQr1EPqO_NabTUEnmufSkEjX-XnjBt49fPS3YEfWKFaCcKHjlU&fref=nf

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

In Svezia, aumenta la violenza contro gli svedesi da parte dei richiedenti asilo

Un mese di Islam e multiculturalismo in Svezia: giugno 2016

di Ingrid Carlqvist – 11 agosto 2016           RILETTURA

Pezzo in lingua originale inglese: Sweden: Increasing Violence by Asylum Seekers against Swedes

Traduzioni di Angelita La Spada

 

Il quotidiano Svenska Dagbladet ha riportato che sono scomparse 30.000 persone la cui domanda di asilo è stata respinta e sono state colpite da provvedimenti di espulsione. La polizia dice che mancano le risorse per rintracciare questi clandestini.

  • Tre somali sulla ventina, che hanno violentato a turno una ragazzina di 14 anni, hanno ricevuto condanne molto clementi e hanno evitato l’espulsione.
  • Il 7 giugno, è stata diffusa la notizia che una cittadina britannica, Grace “Khadija” Dare, aveva portato il figlio di 4 anni, Isa Dare, a vivere in Svezia per beneficiare dell’assistenza sanitaria gratuita. A febbraio, il bambino era apparso in un video dell’Isis mentre faceva esplodere un’auto con quattro prigionieri a bordo. Il padre del piccolo, un jihadista con cittadinanza svedese, è stato ucciso combattendo per l’Isis.
  • “Se non si è d’accordo con l’establishment, si viene immediatamente definiti razzisti o fascisti, cosa che di sicuro non siamo. A volte, ho sentito dire che era come vivere nella vecchia Unione Sovietica.” – Karla, parla del motivo per cui la sua famiglia si è trasferita dalla Svezia a Maiorca.

1 giugno. Il Consiglio nazionale svedese per la prevenzione del crimine (Brå) ha diffuso un rapporto che mostra che 11.007 persone sono state colpite da un provvedimento di espulsione dopo essere state condannate per crimini. Il report però non dice quanti di questi individui siano stati di fatto espulsi. Il numero di condanne che includono l’espulsione è diminuito, nonostante il tasso di criminalità sia in aumento tra gli stranieri presenti in Svezia. Negli anni Settanta, erano circa 500 le persone che ogni anno erano colpite da un provvedimento di espulsione; nel 2004, il numero era salito a 1.074, ma nel 2014 solo 644 stranieri sono stati sottoposti a provvedimenti di espulsione.

Non solo sempre meno persone sono condannate all’espulsione, ma sono sempre più numerosi gli stranieri che rifiutano di lasciare il paese pur essendo stati colpiti da un provvedimento di espulsione. Nell’ottobre dello scorso anno, il quotidiano Svenska Dagbladet ha riportato che sono scomparse 30.000 persone la cui domanda di asilo è stata respinta e sono state colpite da provvedimenti di espulsione. La polizia dice che mancano le risorse per rintracciare questi clandestini. Patrik Engström, capo della polizia di frontiera del Dipartimento delle operazioni nazionali (NOA), ha detto al giornale: “Abbiamo messo queste persone sulla lista dei ricercati, ma non ci impegniamo a cercarle attivamente. Aspettiamo segnalazioni e cose del genere”.

1 giugno. La sera del 31 maggio, un uomo è stato spinto sotto un treno della metropolitana di Stoccolma. La vittima è uno studente svedese di 23 anni del Royal Institute of Technology (KTH) di Stoccolma. Il giovane ha subito fratture al cranio e lacerazioni, ha perso metà del suo piede, ha riportato parecchie costole rotte, una frattura alla clavicola e la perforazione di un polmone. Resta incerto, se potrà guarire del tutto. Il giorno dopo, un algerino di 34 anni con cittadinanza svedese è stato fermato per il reato. L’aggressore, che era già sospettato di essere l’autore di un altro crimine violento nella metropolitana, è stato identificato e catturato con l’aiuto dell’opinione pubblica, che lo ha riconosciuto dalle foto pubblicate. L’uomo si trova ora in stato di custodia, in attesa del processo.

2 giugno. Una famiglia ebrea svedese ha raccontato al Jerusalem Post di aver lasciato la Svezia e di essersi trasferita a Maiorca. Dan, i cui genitori erano andati in Svezia quando migliaia di ebrei danesi furono salvati durante la Seconda guerra mondiale, ha detto:

“Per tutta la mia vita sarà grato di far parte di una società civile. E fino al 2005 pensavo di essere fortunato a vivere in una vera democrazia sociale dove la gente pagava volentieri tasse elevate per un ottimo sistema di welfare e valori progressisti.

“Certo, il sole e lo stile di vita hanno avuto un ruolo importante nella nostra decisione [di trasferirci], ma la politica e i cambiamenti demografici della Svezia sono la vera ragione di questa nostra scelta. L’establishment della sinistra radicale è diventato totalmente ossessionato dal multiculturalismo e dalla correttezza politica, e non occorre ricordare che entrambi fanno parte dell’ethos svedese da secoli”.

Sua moglie Karla ha aggiunto: “Se non si è d’accordo con l’establishment, si viene immediatamente definiti razzisti o fascisti, cosa che di sicuro non siamo. A volte, ho sentito dire che era come vivere nella vecchia Unione Sovietica”.

2 giugno. La Sahlgrenska University Hospital di Goteborg ha annunciato che d’ora in poi ci saranno

 

Continua qui: https://it.gatestoneinstitute.org/8674/svezia-violenza-migranti

 

 

 

 

EUROPEISTI? i NAZISTI SIETE VOI, ve lo spiega l’AfD

Maurizio Blondet  6 Aprile 2019

“Ma quale sovranismo, cominciamo a chiamarlo nazismo”: le direttive della propaganda sono state date, e l’Espresso le esegue con  la nota diligenza. Luigi Di Maio esegue meno bene ma anche lui   suona lo stesso spartito, dando  il ripugnante calcio dell’asino di prammatica grillesca:   si dichiara preoccupato che “la Lega si allea con chi nega l’olocausto”  è  rimasto a  Le Pen papà,  non è ben informato su figlia e nipote.  Quel che conta è far passare il messaggio  semplice e martellante: il sovranismo è nazismo. Quindi, da demonizzare con lo scopo finale di metterlo fuorilegge,  e  da bastonare sulle piazze come sta facendo la democrazia di Macron contro i suoi concittadini in protesta.  Come ha appena scritto Robert Kagan, “fra pochi anni in Europa partiti “sangue-e-suolo”  possono essere a capo di tutti i maggiori paesi”.   Gli euroscettici  e gli euro critici sono identitari, razzisti, xenofobi.  E nostalgici di Hitler.

Si  apprende con stupore che in Germania  Alexander  Gauland, uno dei fondatori e leader di  Alternative fur Deutschland –  ossia della formazione di cui, da qui alle elezioni di maggio, vi strilleranno da ogni altoparlante che è “nazista”  xenofoba, e magari negatrice dell’Olokué – ha accusato la UE di essere la continuazione del Terzo Reich.

Lo riferisce stupefatta la   Frankfurter Allgemeine, giornale  che più mainstream ed europeista non si può, avendo seguito   il congresso del AfD a Riesa.   Anche un po’ scandalizzata:   “Una Nazi-UE?”,  trasecola il titolo.

https://www.faz.net/aktuell/politik/staat-und-recht/wie-der-europagedanke-diskreditiert-werden-soll-16000769.html

Il fatto che è Gauland (un uomo anziano, è nato nel 1941)  ha attaccato l’Unione Europea in quanto “apparato corrotto,  tronfio, non-democratico e  in modo latente,  totalitario”.  E non si è limitato, Gauland,  ad accusare il deficit di legittimità democratica-  critica ormai innocua – no,   “questi  oppositori radicali di un’ulteriore integrazione europea” che sono i militanti di AfD, “vanno oltre:  paragonano la UE all’ideologia europeista  sotto il  NazionalSocialismo”.

Disorientato, il giornalista del Frankfurter  Allgemeine riferice – passando evidentemente di sorpresa in sorpresa – che il presunto  nostalgico hitleriano  Gauland, al congresso dell’AfD,  ha lodato la scelta Brexit degli inglesi   giustificandola con la storia:  “L’Unificazione Europea è stata perseguita dai  francesi  con Napoleone e purtroppo, dai Nazionalsocialisti; e  come tutti sanno, l’Inghilterra si è opposta all’uno e all’altro”.

Sbalordito, l’inviato   scopre che AfD  “sta  diventando rapidamente il partito tedesco del Brexit”, e non solo. Spiega:  Gauland  si porta oltre la semplice accusa che la  UE sia “un apparato totalitario latente”, ma  dimostra che “la politica europeista –tedesca è in continuità con la propaganda  che i nazisti fecero a proposito dell’Unione Europea”.

Nella Germania politicamente corretta dove questi argomenti sono tabù, “non ci può essere accusa peggiore”, commenta il giornalista, palesemente colpito. “E questa posizione dà all’AfD il positivo effetto collaterale di presentarsi  come immune dall’ideologia nazista”.

Così apprendiamo che lo AfD non è  contro la UE in nome di non si sa quale ideologia di “sangue e suolo” e suprematismo  biologico della razza bianca, bensì –   molto giustamente – perché vende che è uno  stato di non-diritto, con potenzialità totalitarie. Così come la pensano i brexiteers britannici.  Esattamente quel che pensa Paolo Savona, che vede nella BCE  una incarnazione del “piano Funk” (Walter Funk, ministro dell’economia del Reich) e eurocritici come Jacques Sapir e Asselineau in Francia, che propongo il Frexit .

Ma su questa linea, il diritto di primogenitura va riconosciuto  a John Laughland, lo storico e saggista inglese che nel 1997  ha pubblicato “The Tainted Source” – la fonte infetta – il cui sottotitolo non può essere più chiaro “le origini  non-democratiche della idea  europea”.

 

Nessuno più  di Laughland è riuscito a mostrare, con evidenza impressionante,  il profondo  e sincero “europeismo”  che animava tutti gli esponenti del Terzo Reich,  Goebbels, Ribbentrop, lo stesso Hitler –  di cui troppo facilmente si dimentica che non era un “nazionalista” ma un pangermanico, che vedeva nello stato nazionale (fra cui il suo,  l’Austria)  uno scadimento rispetto  allo storico lascito del Primo Reich, ossia del Sacro Romano Impero Germanico.

Solo un paio di citazioni, per farla breve. “Dobbiamo creare un’Europa che non sprechi il suo sangue e  le sue energie in conflitti  fratricidi,  ma formi una unità compatta:  così diverrà  più ricca, più forte e più civile”:   a chi  attribuireste una simile frase? A Soros, alla Bonino, a Verofstadt? La pronunciò Vidkung Quisling, il collaborazionista   della Norvegia, fucilato nel 1945.

Ad esaltare “una nuova Europa della solidarietà e della cooperazione fra tutti i popoli, una Europa senza disoccupazione, senza crisi economiche e monetari, che ha  a sua disposizione un sistema di commercio   continentale   sviluppato in comune”, che apparirà “una volta che le barriere economiche nazionali siano rimosse”,   molto prima di Prodi, Mattarella  o Padoa Schioppa –   è stato   Arthur Seyss-Inquart, commissario dell’Olanda occupata nel 1949, poi impiccato a Norimberga.

L’Europa è diventata  troppo piccola per le sovranità  autosufficienti e le loro faide. Un’Europa frammentata è troppo debole per mantenersi in pace   e nello stesso tempo mantenersi come una forza mondiale”.  Lo sentiamo ripetere da ogni giornalista, politico piddino ed economista nei dibattiti televisivi: invece si trova in un testo stampato a Lipsia nel 1942 e intitolato “Note per l’istituzione di una confederazione europea”.

 

Arthur Seyss-Inquart

 

Il ministro Funk, anzi, era un moderato in confronto a Mario Draghi o Attali: pensava ad un sistema di  cambi fissi, rifiutò l’idea di una  moneta unica europea,  insomma  non  privava  della sovranità monetaria gli stati-satelliti.  Il punto fondamentale in comune sta nella de-politicizzazione dell’Europa, nella convinzione (impolitica) che la politica crea conflitto, mentre la tecnocrazia, neutrale e oggettiva, è  pacificante.

Del resto  tra i fondatori della Comunità non a caso c’è stato Robert Schuman,  già ministro di Vichy nel 1940, e  Paul-Henry Spaak, che negli anni ’30 aveva scritto le lodi della Germania di Hitler.  Lodi all’epoca tutt’altro che ingiustificate,  rispetto alle devastazioni del liberismo e  austerità imposte, per cristiani e  cattolici – continentali.

E’ la storia d’Europa, e il sangue non è acqua.  Il biografo di Hitler Thomas  Sandkühler ha notato nel 2002  che nelle politiche europee vanno viste meno “le rotture” che “le continuità”.  Qui è una concezione della politica permanente  ad essere in gioco  –  popoli   sotto un unico regime di legge, promulgato e mantenuto da una singola autorità sovranazionale  – e  il

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Gli USA s’inventano la «reciprocità d’accesso»

RETE VOLTAIRE | 28 MARZO 2019

Il Congresso ha adottato la legge sulla reciprocità d’accesso al Tibet (Reciprocal Access to Tibet Act – H.R. 1872), promulgata dal presidente Trump il 19 dicembre 2018.

Il testo, presentato dal rappresentante James McGovern (democratico) in seguito a una campagna dell’attore Richard Gere e dell’International Campaign for Tibet (ICI), prevede il divieto d’ingresso negli Stati Uniti di funzionari cinesi che abbiano rifiutato a cittadini statunitensi l’accesso al territorio tibetano.

Per quanto li riguarda, gli Stati Uniti praticano già una politica molto restrittiva d’ingresso e si riservano il diritto di respingere alla frontiera un qualsiasi cittadino straniero, anche se provvisto del

Continua qui: https://www.voltairenet.org/article205834.html

 

 

POLITICA

I radicali e il nulla dei cattolici

Danilo Quinto – 7 Aprile 2019

 

L’ideologia del pensiero unico o del “partito radicale di massa” – definizione del filosofo Augusto Del Noce – ha in Italia uno strumento formidabile per la sua propaganda: Radio Radicale. I cattolici lo sanno. Se va bene, stanno zitti. Altrimenti, sono complici.

 

Nell’ultima legge di bilancio, il Governo ha ridotto da 10 a 5 i milioni di euro l’elargizione di denaro pubblico a favore di Radio Radicale, erogata ogni anno in base alla legge n. 224 dell’11 luglio 1998.

Questo denaro (10 milioni di euro all’anno) si aggiungeva a quello derivante dalla legge che prevede i contributi all’editoria (4 milioni di euro all’anno).

Con quello che resta dopo la decisione del Governo (9 milioni di euro all’anno) i radicali ritengono di non poter proseguire con l’attività della loro radio, a partire dal prossimo 21 maggio.

Di conseguenza, stanno conducendo una campagna di sensibilizzazione, aperta con largo anticipo da Roberto Saviano, che in un articolo apparso su “Repubblica” del 6 dicembre scorso, intitolato “Non spegnete Radio Radicale, voce per tutti”, scriveva:

“La furia di questo Governo si abbatte sui media più piccoli – ma non marginali – che a causa dei tagli all’editoria rischiano la sopravvivenza. La giustificazione? Il risparmio. Ma si può mai risparmiare su Radio Radicale che ci permette di assistere e comprendere i processi decisionali entrando nelle stanze del potere? Si può risparmiare su Avvenire che racconta, ogni giorno e quasi da solo, le sorti dei migranti in mare?”.

Un binomio perfetto quello di “Radio Radicale” e di “Avvenire”! Non c’è che dire.

Poi, hanno promosso un intergruppo, al quale hanno aderito decine e decine di parlamentari.

I riscontri della campagna si possono visionare sul sito di Radio Radicale, www.radioradicale.it, cliccando sulla scheda “La battaglia per la vita di Radio Radicale”.

Troverete dichiarazioni a favore di giornalisti televisivi e della carta stampata – qualche nome, Michele Serra, Filippo Ceccarelli, Paolo Mieli, Ezio Mauro, Piero Angela – direttori di quotidiani e di testate televisive, Enrico Mentana e Corrado Formigli, ad esempio, del presidente della Federazione Nazionale della Stampa, di giudici della Corte Costituzionale, di professori universitari, di artisti, come Sabina Guzzanti, di parlamentari europei, di avvocati, eccetera.

Un elenco prestigioso, che come fiore all’occhiello ha decine e decine di dichiarazioni parlamentari di tutti i gruppi politici del parlamento italiano.

Gli interi gruppi del PD e di Forza Italia di Camera e Senato, hanno presentato una mozione a favore, così come ha fatto Fratelli d’Italia. Il sostegno proviene anche da parlamentari della maggioranza di governo, sia del M5S sia della LEGA. Mozioni a favore di Radio Radicale sono state approvate dai Consigli Regionali dell’Emilia Romagna e perfino della Lombardia.

E’ la dimostrazione plastica della capacità insuperabile dei radicali di costruire reti trasversali a difesa delle loro tesi, dei loro programmi e delle loro iniziative.

Non è una novità per chi scrive. Nei miei libri ed in particolare nel primo – “Da servo di Pannella a figlio libero di Dio”, del 2012, per il quale sono stato condannato in primo grado a 6 mesi di reclusione su denuncia per

 

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