NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 7 NOVEMBRE 2018

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

7 NOVEMBRE 2018

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Accuseranno virtù dicendo cattive parole.

MARCO AUTELIO ANTONINO, Ricordi, Rizzoli, 1993, pag. 200

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

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EDITORIALE

Le elezioni di mediotermine in USA

Manlio Lo Presti – 7 novembre 2018

La guerra sotterranea e titanica fra i due schieramenti planetari continua. La vittoria parziale dei democratici – nonostante i titanici aiuti dei soliti miliardari globalisti immigrazionisti – sta ridando fiato alle legioni neomaccartiste che sono riuscite a far nominare donne governatrici ma di colore, arabe con velo, perché il segnale deve essere forte e chiaro: chi vota democratico è progressista, chi vota repubblicano è un parafascista, suprematista bianco, omofobo, xenofobo, piuttosto ignorante da sottomettere alla ILLUMINATA guida di ESPERTI e TECNICI che la sanno lunga e conducono al sicuro sole dell’avvenire NWO orwelliano…

Il plurirazzismo viene imposto a colpi di martello senza che ciò sia necessario: la società nordamericana è multietnica dalla sua fondazione. Quindi, la massiccia evidenza che viene posta alla questione è pura politica dietro la quale ci sono i soliti noti capeggiati dall’asse infernale CLINTON-OBAMA-KISSINGER-BILL GATES-FACEBOOK-APPLE-GOOGLE-SOROS-I CIRCOLI IMMIGRAZIONISTI DI WASHINGTON-VATICANO-BANCAMONDIALE-FMI-BCE, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.

Sono riapparsi noti giornalisti del quotidiano LA REPUBBLICA a commentare la notizia con un evidente ghigno di disprezzo per gli italiani demmerda che saranno sterminati per non aver votato “in modo giusto” e quindi bollati MINUS HABENS che devono essere guidati dagli ESPERTI, come i democratici-buonisti-antifa-quadrisex-immigrazionisti ITALIANI continuano a ribadire arruolando studiosi e personaggi famosi ma inesperti delle numerose imboscate della politica e che quindi sono facilmente pilotabili dai furbissimi conduttori che interrompono con precisione cardiochirurgica quando lo sprovveduto “invitato” dice cose fuori canone neomaccartista.

Sarebbe opportuno che queste personalità della cultura o di altri settori non accettassero l’invito evitando di fare la indecorosa figura delle marionette…

Seguiranno le ermeneutiche semantiche con triplo avvitamento carpiato delle corazzate giornalistiche democratiche-buoniste-inclusioniste-immigrazioniste: repubblica, LA STAMPA, IL CORRIERE DELLA SERA, ILSOLE24ORE e i loro oltre 400 satelliti locali. Abbiamo il fronte tv e radio: RAI 1, 2 , 3- MEDIASET – LA7 e tutti i loro canali locali satelliti (circa 4-500).

Riprendono vigore le serate delle 25 trasmissioni politiche di prima serata e tutte le trasmissioni con pilotatissimi “ospiti in studio”, tutte gestite da giornalisti di estrazione “democratica” nominati da un governo uscente e ora al 19percento ma che DI FATTO CONTROLLA IL 90 PERCENTO DEI FLUSSI INFORMATIVI ITALIANI!!!!!!!

Sono ancora sorpreso e molto contrariato per la inazione colpevole dell’attuale governo ad effettuare un ricambio almeno ai vertici della televisione pubblica che VIENE PAGATA CON PRELIEVO ALLA FONTE A TUTTA LA POPOLAZIONE SUCCUBE E DA SOSTITUIRE ETNICAMENTE (un’imposizione quantomeno in odore di incostituzionalità per violenza della volontà).

L’ombra lunga ed inquietante di Togliatti, che intelligentemente e paraculescamente non volle impossessarsi militarmente delle strutture dello Stato (tanto non ci sarebbe riuscito), riuscì a colonizzare ed occupare le menti di intere generazioni di intellettuali: questa lunga COVERT OPERATION sta producendo ancora i suoi danni soprattutto nei classici centri di formazione: scuole, università, giornali, tv: UNA DEVASTAZIONE CHE NON FREGA A NESSUNO!

Siamo fortunati perché abbiamo:

Pay tv

Telecristi

Teleculi,

Calcio

Coca e stupefacenti sintetici

Traffico di armi

Traffico di organi umani

Pedofilia dentro tutti i livelli delle istituzioni, dello Stato teocratico, della cultura che tende a giustificarla

8 mafie,

26 gruppi politici

7 polizie

#nellinteressedegliitaliani, ovviamente, sempre e comunque!

 

Ne riparleremo

 

 

 

 

IN EVIDENZA

SILVANA DE MARI – PRIME NOTIZIE DEL MIO PROCESSO

www.maurizioblondet.it 3 NOVEMBRE 2018 – Maurizio Blondet

Un processo alla libertà di parola alla libertà scientifica.

Sono stata querelata dall’ associazione LGBT Coordinamento Pride di Torino per aver fatto con estrema scortesia affermazioni scientificamente e statisticamente corrette. La mia è parresia, diritto dovere di dire la verità. La dico in maniera brutale, per nulla politicamente corretta. La verità che dico e la mia maniera brusca di dirla possono causare imbarazzo, ma garantisco che trovarsi con un’epatite è molto più doloroso e imbarazzante, morire prima dei trent’ anni di cancro dell’ano è terribilmente doloroso, è atroce, le infezioni da Escherichia coli possono essere in alcuni casi devastanti. Il mio processo sta diventando un evento mediatico a tutti gli effetti, e questo è un punto positivo: comunque si concluda il processo, le mie idee stanno circolando ed è quello che volevo.

Il giorno 30 ottobre ha avuto luogo l’istruttoria e vorrei riportare 3 dichiarazioni fatte dei denuncianti, con un mio commento …

Il coordinamento Torino Pride include 19 associazioni LGBT del Piemonte, per un totale di 200 persone.

Il Piemonte ha 4,5 milioni di abitanti. Le persone con orientamento omoerotico sono il 2% della popolazione, cioè sono circa 80.000. Il movimento LGBT del Piemonte include 200 persone che nessuno ha eletto. I movimenti LGBT non rappresentano nessuno, se non se stessi, dato che nessuno li ha eletti. Sono poche centinaia di persone.

Le persone omosessuali hanno malattie sessualmente trasmissibili, come tutti.

Tutte le malattie sessualmente trasmissibili sono enormemente più frequenti nei maschi che hanno sesso con altri maschi. Non parliamo solo di aids, ma anche di gonorrea e sifilide, che sono aumentate del 400% negli ultimi due decenni

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/silvana-de-mari-prime-notizie-del-mio-processo/

 

La teoria del golpe da Malaparte a Luttwak

Al nascere del governo gialloverde targato Lega-M5S fa veramente impressione che torni di moda il fantasma dello Spread [Giuseppe Masala]

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Redazione 18 maggio 2018steemit.com/ita/@giuseppemasala

di Giuseppe Masala.

 

Al di là di quelli che possono essere i giudizi politici e di merito sul nascente governo cosiddetto gialloverde targato Lega e Movimento Cinque Stelle fa veramente impressione che nel momento in cui questo sta per essere varato torni di moda il fantasma dello Spread, ovvero l’aumento dei differenziali tra tassi d’interesse sui titoli di stato decennali italiani e quelli tedeschi. Questo aumento dello spread di fatto comporterebbe un aumento dell’esborso che lo Stato Italiano deve pagare per piazzare sul mercato i propri titoli. Una situazione molto delicata visto l’enorme debito pubblico dello Stato che legherebbe mani e piedi al nascente governo inibendone l’azione politica.

La prima cosa che si nota è che questo governo sarebbe in netto contrasto con quelli avuti negli ultimi anni. Infatti, sarebbe il primo governo apertamente euroscettico e frutto del voto di un blocco sociale nuovo: quello degli scontenti, delle persone che dalla globalizzazione e dalla costante cessione di sovranità a Bruxelles sono usciti sconfitti, impoveriti e frustrati. Sarebbe anche il primo governo che vede l’élite fino ad ora dominante e da sempre fortemente europeista, passare all’opposizione assieme ai suoi partiti di riferimento.

Una situazione davvero inedita che peraltro ha visto un fuoco di sbarramento violentissimo di giornali e televisioni all’unisono. Non a caso, possiamo notare che questi giornali e queste televisioni sono interamente controllati proprio da quella élite che rischia di essere scalzata.

L’azione combinata di aumento degli spread e dei mass media ricorda, senza dubbio, un’altra fase storica abbastanza

Continua qui: https://megachip.globalist.it/politica-e-beni-comuni/2018/05/18/la-teoria-del-golpe-da-malaparte-a-luttwak-2024561.html

 

 

 

Antifa

Il braccio armato del neoliberismo

 

12 ottobre 2017        RILETTURA ATTENTISSIMA

 

Nelle ultime settimane una sinistra totalmente allo sbando è stata esortata ad unirsi attorno ad una banda di individui mascherati detti “Antifa”, abbreviazione di “antifascisti”. Incappucciati e vestiti di nero, gli Antifa sono una variante dei Black Bloc, noti per irrompere violentemente all’interno di manifestazioni altrimenti pacifiche. L’etichetta di “antifascisti” è anche molto utile per stigmatizzare coloro che li attaccano come “fascisti”. Nonostante il nome tipicamente europeo, gli Antifa sono un altro esempio della degenerazione politica in America.

ANTEFATTI STORICI
Gli Antifa sono saliti alle cronache per avere impedito alcune conferenze di personaggi legati alla destra all’università di Berkeley, ma il loro momento di gloria è avvenuto durante gli scontri di Charlottesville il 12 agosto, in buona parte perché Trump ha commentato che “c’erano buone persone da entrambi i lati”. I commentatori hanno colto l’opportunità di attaccare il Presidente per la sua “equivalenza morale”, dunque benedicendo gli Antifa.

I fatti di Charlottesville sono serviti per lanciare con successo sul mercato il libro “Antifa: the Antifascist handbook”, il cui autore, Mark Bray, è antifascista di nome e di fatto. Il libro, come ha dichiarato l’editore Melville House, si è venduto rapidamente, con recensioni sul New York Times, The Guardian e NBC. The Washington Post ha celebrato Bray come il portavoce di “un movimento attivista emergente” e evidenziato che “il contributo più importante di questo libro è di mettere in luce i contributi dell’antifascismo nella storia recente

Continua qui: http://www.oltrelalinea.news/2017/10/12/counterpunch-antifa-il-braccio-armato-del-neoliberismo/

 

 

La Chiesa deve pagare l’Ici. Lo stabilisce la Corte di giustizia Ue

Di Adolfo Spezzaferro – 6 novembre 2018

 

Oltre al danno, la beffa. Lo Stato italiano deve recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa: lo stabilisce la Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

Annullata, quindi, la decisione della Commissione del 2012 e la sentenza del Tribunale Ue del 2016 che avevano sancito “l’impossibilità di recupero dell’aiuto a causa di difficoltà organizzative” nei confronti degli enti non commerciali, come scuole, cliniche e alberghi. I giudici hanno ritenuto che tali circostanze costituiscano mere “difficoltà interne” all’Italia.

Il ricorso accolto dalla Corte di giustizia Ue è stato promosso dalla scuola elementare Montessori di Roma contro la sentenza del Tribunale Ue del 15 settembre 2016 che in primo grado aveva ritenuto legittima la decisione di non recupero della Commissione europea nei confronti di tutti gli enti non commerciali, sia religiosi sia no profit, di una cifra che, secondo stime dell’Anci, si aggira intorno ai 4-5 miliardi.

La Commissione aveva infatti riconosciuto all’Italia l’”assoluta impossibilità” di recuperare le tasse non versate nel periodo 2006-2011 dato che sarebbe stato “oggettivamente” impossibile sulla base dei dati catastali e delle banche fiscali, calcolare retroattivamente il tipo d’attività (economica o non economica) svolta negli immobili di proprietà degli enti non commerciali (compreso il Vaticano), e calcolare l’importo da recuperare.

La Montessori nell’aprile 2013 fece ricorso contro la Commissione, ma nel 2016 il Tribunale Ue confermò appunto l’impossibilità di recuperare quanto dovuto. La Corte di giustizia, pronunciatasi in Grande Chambre, ha invece annullato sia la decisione della Commissione europea che la sentenza del Tribunale Ue, spiegando che tali circostanze costituiscono mere “difficoltà interne” all’Italia, “esclusivamente ad essa imputabili”, non idonee a giustificare l’emanazione di una decisione di non recupero.

La Commissione europea, si legge nella sentenza, “avrebbe dovuto esaminare nel dettaglio l’esistenza di modalità alternative volte a consentire il recupero, anche soltanto parziale, delle somme”. Inoltre, ha ricordato che i ricorrenti erano situati “in prossimità immediata di enti ecclesiastici o religiosi che esercitavano attività analoghe” e dunque l’esenzione Ici li poneva “in una situazione concorrenziale sfavorevole (..) e falsata”.

La Corte di giustizia ha ritenuto invece legittime le esenzioni dall’Imu, l’imposta succeduta all’Ici, introdotte dal famigerato governo Monti, anche queste contestate dai ricorrenti.

È “una sentenza storica” e adesso, “se l’Italia non dovesse recuperare gli aiuti, si aprirebbe la via della procedura di

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https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/la-chiesa-deve-pagare-lici-lo-stabilisce-la-corte-di-giustizia-ue-96074/?fbclid=IwAR2bgQUg1EDv_mA0AXvJpuX-BWf0vfcSGJ4lVYrj04wTMFrtpWido1oShPE

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Barry Lyndon come una sognante Odissea nella Storia

Giancarlo Sepe mette in scena al teatro di Roma il classico di Thackeray

Eugenio Murrali – 29 ottobre 2018

Si contano almeno due verità in questi giorni sulle assi del Teatro di Roma. La prima è che Giancarlo Sepe, fondatore e anima della Comunità, il più resistente teatro d’avanguardia della Capitale, attivo dal 1972, è un titano della scena. La seconda è che, se ridurre per il palco una narrazione complessa, ricca di avventure e giravolte come il romanzo Le memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray, è un’operazione sdrucciolevole, pensare di “prendere le emozioni” del film di Stanley Kubrik e portarle in scena è un’impresa irrealizzabile. Lo sforzo prometeico di Sepe, così spesso capace di donare il fuoco agli uomini spettatori, diventa qui simile ai sogni di Barry Lyndon: belli lo stesso, anche se destinati a infrangersi.

La storia di Thackeray è ambientata nel Settecento e vede un giovane proveniente dalla campagna irlandese, Redmond Barry, raccontare in prima persona le peripezie della sua esistenza, la sua spinta vitale che gli permette d’immergersi nel mondo dell’aristocrazia inglese. Il suo percorso è segnato da ambizioni e da passioni. Almeno tre figure femminili importanti deviano la linea della sua vita: sua madre, sua cugina Nora, di cui si innamora, ma che gli preferirà il capitano inglese Quin, e Lady Lyndon, che Redmond sposerà diventando Barry Lyndon.

Diserzioni, duelli, viaggi, azzardi, guerre in giro per l’Europa, morti, tra cui quella del

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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

QUALCUNO “VUOLE” IL DEGRADO DOVE HANNO AMMAZZATO DESIRE’

Maurizio Blondet 26 ottobre 2018

(Roma Today ha ricevuto e  pubblicato  la lettera della proprietà dell’area degradata dove i negri  spacciatori hanno ammazzato  la  ragazzina. E’ una lettera importantissima: i proprietari “non hanno accesso all’area” che è affidata ad un curatore fallimentare;  hanno insistito e provato in tutti i modi il permesso di “ poter accedere all’area stessa per effettuare gli interventi di messa in sicurezza degli spazi, rilevando, anche a seguito delle riunioni sollecitate dalla stessa società ed ottenute in sede di II Municipio, un importante problema di ordine pubblico.

La gravità della situazione di Via dei Lucani è espressa dall’impressionante numero di eventi delittuosi occorsi nella strada negli ultimi due anni con conflitti a fuoco, aggressioni e ferite da armi da taglio, risse ed intimidazioni”

Non hanno mai avuto risposte conclusive. Sembra che qualcuno voglia che quella zona resti ostaggio della malavita. Quale autorità,precisamente”

Potrebbe interessarti: http://www.romatoday.it/cronaca/morte-desiree-mariottini-la-lettera-della-proprieta-dello-stabile-di-via-dei-lucani.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter
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La Sant’Egidio mette i bastoni tra le ruote ai nostri diplomatici impegnati in Libia

Maurizio Blondet 5 novembre 2018 9 commenti

MB – Ricordiamo che a capo della “cattolica” Sant’Egidio c’è  Andrea Riccardi, già ministro di Mario Monti per la rovina d’Italia, nonché commendatore della Legion d’Honneur – In fondo, la biografia non autorizzata del personaggio  e della sua organizzazione)

La comunità internazionale punta sulla conferenza per la Libia di Palermo per dare stabilità al Paese nordafricano. Tuttavia, il governo italiano, organizzatore dell’evento del 12 e 13 novembre, deve guardarsi non solo dalle offensive dell’ esecutivo francese di Emmanuel Macron ma anche dal fuoco amico.

In particolare, quello della Comunità di Sant’ Egidio. Il movimento di ispirazione cattolica fondato da Andrea Riccardi, che fu ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione durante il governo di Mario Monti, è intervenuto nel Sud della Libia con una conferenza, il 22 e 23 ottobre, che ha riunito rappresentanti delle istituzioni locali e dei consigli di varie tribù tra cui tuareg, tebu e arabi.

Si legge sul sito della Comunità di Sant’ Egidio che è stata rivolta nell’ occasione «una richiesta alla Comunità di Sant’ Egidio perché ne sostenga gli sforzi di sviluppo e riconciliazione». Un’ iniziativa «anticipata» sul Fatto Quotidiano il 21 ottobre da Mario Giro, membro di Sant’ Egidio e viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni.

Nel suo intervento Giro scrive che «servono molte pressioni sui libici perché cambino mentalità», «senza tale impegno diplomatico la situazione di crisi potrebbe diventare permanente, come in Somalia» e, ancora, che vanno coinvolte non soltanto le autorità di Tripoli e Bengasi, ma anche, tra le altre, quelle di Misurata e le tribù del Fezzan.

Tuttavia, la mossa della Comunità di Sant’ Egidio ha infastidito la Farnesina, raccontano alla Verità fonti della diplomazia italiana. Perché in questo momento di tensioni tra Italia e Francia, il nostro governo preferirebbe non doversi mettere al riparo dal fuoco amico, soprattutto se proveniente da una zona, il Sud della Libia, su cui il governo Conte sta intensificando i suoi sforzi dato l’ alto tasso di frammentazione.

Ma non è tutto. Perché sono noti i buoni rapporti tra la Comunità di Sant’ Egidio e Macron che, raccontano fonti diplomatiche, da tempo conta sul movimento di Riccardi proprio per gestire il Fezzan. Di Fezzan si parlò per esempio il 26 giugno, quando il presidente francese incontrò a Palazzo Farnese, a Roma, una delegazione di Sant’ Egidio.

Pochi giorni prima, esattamente il 18 giugno, il capo delle relazioni internazionali della Comunità, Mauro Garofalo, fece visita al ministero degli Esteri di Parigi e pure all’ Eliseo.

Riccardi uscì dall’ incontro romano entusiasta, definendo Macron, che aveva incontrato anche papa Francesco, «un uomo molto attento alle ragioni del dialogo».

Ma il presidente francese all’ epoca cercava di generare un corto circuito nella diplomazia italiana. In quei giorni infatti stava per partire la missione militare italiana a Ghat, nel Fezzan, per rafforzare i presidi di frontiera. A capo della missione il direttore del Dipartimento centrale dell’Immigrazione, Massimo Bontempi. Gli esperti erano incaricati di controllare le zone del traffico di esseri umani, guidate da tribù non in contrasto con il governo tripolino di Fayez Al Serraj ma assai distanti dal generale della Cirenaica, Khalifa Haftar

Continua qui: http://m.dagospia.com/mentre-la-diplomazia-italiana-organizza-la-conferenza-di-palermo-sant-egidio-con-macron-1871

 

BELPAESE DA SALVARE

Savona, biglietti della Juve in cambio di permessi di soggiorno: arrestato ex viceprefetto

Di Alessandro Della Guglia – 6 novembre 2018

 

L’ex viceprefetto vicario di Savona, Andrea Giangrasso, è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, falso materiale e falso ideologico per induzione. Giangrasso, adesso in pensione, secondo le forze dell’ordine avrebbe favorito tra il 2013 e il 2014 la permanenza di cittadini stranieri in Italia, in particolar modo egiziani, garantendo loro permessi di lavoro stagionali.

In cambio, l’ex viceprefetto, si sarebbe fatto consegnare gioielli, cene, dispositivi elettronici, creme e biglietti per le partite della Juventus. L’inchiesta del Pm Giovanbattista Ferro, segue la traccia di un episodio analogo che vide finire in manette

Continua qui:

https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/savona-biglietti-della-juve-in-cambio-di-permessi-di-soggiorno-arrestato-ex-vice-prefetto-96112/

 

CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE

Anonymous, lo tsunami-bluff e la cyber-security (non serve?)

di Umberto Rapetto 6 novembre 2018

Come è andato davvero lo strombazzato tsunami digitale ad opera di Anonymous? Il commento di Umberto Rapetto

Ero abituato a “Veni, vidi, vici” o, considerato il sovranismo dilagante, a “civis romanus sum”. Memorabili eventi della storia e grandi momenti della vita sono segnati da frasi immortali.

Me ne sono convinto stamattina con il messaggio social clou della giornata, quello con la illustre citazione di “Gio Evan”. Chi sussulta, rammentando Carneade, deve sapere che anch’io pensavo fosse un errore di digitazione non intercettato dal correttore automatico T9 ma ho poi scoperto essere l’aulico ispiratore dell’addio di una presentatrice televisiva al politico del suo cuore.

Dopo aver immaginato la profonda mortificazione dell’editor dei tradizionali involucri dei Baci Perugina, ho pensato di trovare subito un fatto da sintetizzare con un aforisma o una locuzione celebre.

Complice il calendario che segnava un “5 novembre” pronosticato come drammaticamente indimenticabile, ho preso atto che l’Apocalisse digitale non c’era stata. Chi come me non si aspettava il reddito di cittadinanza, l’abolizione della Fornero, il blocco della TAP, ha dovuto accontentarsi di una delusione di minor cabotaggio.

Nonostante qualcuno vociferi che a breve ci sarà un hackeraggio per decreto o comunque con un “collegato” alla manovra informatica, la fiducia nei confronti dei pirati telematici è scesa verticalmente…

L’insoddisfazione di chi si aspettava un epilogo pirotecnico per la #blackweek ha fatto cadere la scelta dell’epitaffio su due motti. Il “Già fatto?” di un noto spot pubblicitario di un elementare dispositivo medico per le iniezioni e il “Non ci posso credere!!!” di Aldo, Giovanni e Giacomo si contendono l’abbinamento.

Probabilmente una consultazione via Internet permetterà al pubblico di esprimere la propria preferenza, ma già in passato interventi fraudolenti hanno determinato l’annullamento dell’esito referendario. Non ci sono speranze.

Le tre formazioni – scese in campo facendo temere il peggio – hanno riportato alla memoria l’Italia esclusa dai Mondiali del 2018, facendo maturare il sospetto che a coordinarle ci fossero Tavecchio e Ventura seduti alla tastiera dopo aver abbandonato il calcio…

I segnali evidenti fin dall’inizio hanno progressivamente spento gli entusiasmi. L’assenza di comunicazioni il giorno 4 (vigilia dell’atteso exploit) non era un gesto garbato per ricordare il Bollettino della Vittoria – il 1268 del Comando Supremo – sottoscritto 100 anni prima dal generale “Firmato Diaz”, ma suonava come la voce di Nicolò Carosio che annunciava che il dentista coreano Pak Doo-Ik aveva segnato il gol che rispediva gli azzurri a casa dalla Coppa del Mondo del ’66.

Il report del 5 novembre, ultimo giorno del conflitto cibernetico, si è rivelato tristemente lontano dalle aspettative dei “tifosi”. E’ vero che tra i “colpiti e affondati” di questa battaglia navale ci sono stati quattro siti del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ma chi teme per segreti strategici può rapidamente tranquillizzarsi. I web aggrediti, infatti, sono quelli dell’URP (l’Ufficio Relazioni con il Pubblico), dell’Istituto delle Tecnologie per la Didattica, dell’Ufficio Supporto Programmazione Operativa, dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee.

Sono poi stati fulminati l’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello Sviluppo Economico, la Sovrintendenza Archivistica della Sicilia, persino l’Associazione dei poliziotti in pensione e un’altra manciata di realtà minori.

Va poi dato atto che l’attacco non ha escluso la politica. Peccato che tra i trofei risultino il sito della Lega Nord nel Trentino, quello del Partito Democratico di Siena e quello nazionale di Fratelli d’Italia. Un po’ pochino per chi aveva annunciato una sorta di tsunami digitale.

Alcuni commenti sul blog di Anonymous sono stati impietosi e questo dimostra quanto poco sia sportiva la Rete. Fair play a parte, il lancio dell’iniziativa è stato probabilmente sovradimensionato e una simile esposizione ha catalizzato critiche e sarcasmo.

Il rischio hacker non muore certo qui. Probabilmente un minimo di senso civico ha frenato Anonymous dal combinare disastri

Continua qui: https://www.startmag.it/innovazione/anonymous-tsunami-digitale-hacker-cyber-security/

 

 

Siamo tutti spiati. Parola di Snowden

8 OTTOBRE 2015       RILETTURA

 

Dal suo rifugio russo dove ormai risiede da due anni, l’ex-tecnico e informatore della CIA, Edward Snowden, torna a far parlare di sé. E questa volta lo fa scoperchiando gli altarini degli 007 inglesi, accusati di aver spiato i cellulari di milioni di concittadini. Nell’intervista rilasciata alla BBC, Snowden ha svelato con dovizia di particolari come le spie inglesi e americane abbiano preso di mira per anni i telefonini di ultima generazione, per carpirne qualunque tipo di informazioni: foto, video, dati sensibili, conversazioni telefoniche e ambientali, messaggi, posizione geografica. E tutto ciò attivando o disattivando gli applicativi dalla distanza, con l’aiuto di un semplice messaggio di testo invisibile inviato agli utenti.

I servizi segreti si sarebbero serviti nello specifico di una suite di software di monitoraggio dal nome bizzarro e alquanto fantasioso, la “Smurf Suite (Suite del Puffo), che conterebbe applicativi spia con caratteristiche e funzioni proprie: “Dreamy Smurf” (Puffo Sognatore) capace di accendere e spegnere il telefono a distanza, “Nosey Smurf” (Puffo Curiosone) con cui sarebbe

Continua qui: https://www.intercettazioni.eu/siamo-tutti-spiati-parola-di-snowden/

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Immigrazione, la grande farsa umanitaria

16 ottobre 2018 – di Redazione

Il libro ”Immigrazione la grande farsa umanitaria” rappresenta il seguito del fortunato Immigrazione: tutto quello che dovremmo sapere”, scritto per Aracne da Gian Carlo Blangiardo, Gianandrea Gaiani e Giuseppe Valditara.

Leggi la recensione

Gli stessi autori integrano e aggiornano il volume del dicembre 2016 con nuovi dati, riflessioni e analisi che non risparmiano la finta “svolta” dell’Italia che ha determinato un calo nei flussi migratori illegali dalla Libia (e marginalmente da Algeria e Tunisia) rispetto all’anno dei record, il 2016, con oltre 181mila sbarcati, ma non certo la fine dei traffici illegali né dell’accoglienza indiscriminata a chiunque paghi criminali per attraversare il Mediterraneo.

L’immigrazione è una delle questioni cruciali nel mondo sviluppato. Quali sono i rischi e quali sono i vantaggi, quali i problemi che suscita e quali i falsi miti ad essa collegati? Esiste un’immigrazione positiva e una negativa e sul modello dell’antica Roma viene proposta una distinzione fra un’immigrazione utile, che va incoraggiata, e una che rischia di disintegrare le nostre società, che pertanto va contrastata. Il volume, che affronta il problema con uno sguardo alla storia, un’attenzione alla demografia e una prospettiva strategica, non si occupa solo di dati spesso allarmanti, ma anche di fornire soluzioni per governare un fenomeno che sarà sempre più decisivo per il destino delle generazioni presenti e future.

La lotteria dei migranti

All’inizio di novembre 2017 la situazione è tuttavia nuovamente peggiorata proprio sul fronte libico: si è assistito infatti alla ripresa degli sbarchi di immigrati clandestini salpati dalla Libia con flussi provenienti in gran parte non più dalle coste vicine al confine tunisino, ma da quelle situate tra Tripoli e Misurata. Si sono così riaperti gli interrogativi circa l’efficacia delle misure adottate da Roma in accordo con il governo del premier libico riconosciuto, Fayez al-Sarraj, per contenere o “governare” i flussi dalla nostra ex colonia. Rispetto al 2016 i migranti illegali sbarcati nei primi 10 mesi del 2017 sono stati 111.397 contro 159.427, cioè il 30,1% in meno.

Le partenze dalle coste della Tripolitania Occidentale puntano a eludere le motovedette della Guardia Costiera libica addestrata, equipaggiata e finanziata dalla UE, ma soprattutto dall’Italia che però non rinuncia all’ambiguità nella lotta all’immigrazione illegale. Il sostegno alle attività della Guardia costiera libica, che riporta a Tripoli i migranti illegali intercettati in mare, ha dimostrato che la “rotta libica” può essere chiusa in tempi rapidissimi se venisse mantenuta un’iniziativa coerente mentre invece gli immigrati illegali diretti in Italia si sottopongono a una vera e propria lotteria. Se vengono intercettati dalle motovedette libiche, che tra l’estate e l’ottobre 2017 hanno bloccato e riportato a terra oltre 15mila persone, sono poi condotti in centri di detenzione o in campi gestiti dall’Unhcr in attesa che l’Organizzazione internazionale delle migrazioni li rimpatri nei Paesi di origine, come sta avvenendo con il decollo regolare di voli dall’aeroporto di Mitiga a Tripoli.

Se invece i clandestini riescono a superare il tratto di mare pattugliato dai libici, vengono soccorsi dalle navi militari italiane o europee, oppure da quelle delle ONG, che li portano in Italia, dove potranno chiedere asilo o far perdere le proprie tracce nella certezza quasi totale di non venire effettivamente espulsi. Logica e coerenza vorrebbero che lo stop dell’Italia ai flussi clandestini fosse totale e quindi che anche i migranti soccorsi in mare dalle navi italiane e UE venissero riconsegnati alle autorità libiche bloccando l’accesso ai porti italiani a navi straniere, militari e delle ONG, che intendano sbarcarvi clandestini.

Non si comprende infatti perché Roma addestri e finanzi governo e Guardia costiera di Tripoli, affinché blocchino i flussi, quando sono le stesse navi italiane e UE a incentivare i traffici (e le morti in mare) continuando a trasferire i clandestini in Italia. Un’incongruenza che ridicolizza l’annunciata “svolta” di Roma sull’immigrazione illegale evidenziando un’ambiguità che sembra trovare una spiegazione solo negli interessi politici ed elettorali. l’accoglienza indiscriminata di chiunque abbia pagato criminali per

Continua qui: https://www.analisidifesa.it/2018/10/immigrazione-la-grande-farsa-umanitaria/

 

 

ECONOMIA

Tutti più poveri, grazie alle privatizzazioni imposte all’Italia

Scritto il 30/8/18

La tragedia di Genova ha contribuito a spostare l’agenda del dibattito pubblico sull’alternativa fra privatizzazione e nazionalizzazione. In premessa: nel caso italiano, appare difficile negare che le privatizzazioni abbiano prodotto più danni che benefici. Si sono realizzate essenzialmente attraverso la cessione di monopoli pubblici a monopoli privati, con conseguente aumento delle tariffe e, molto spesso, con peggioramento della qualità dei servizi erogati. A partire dagli anni Novanta si è assistito a un rilevante passo indietro dell’intervento pubblico in economica. Ovviamente si è trattato di un fenomeno globale, che, come spesso accade, l’Italia ha sperimentato più tardi (la prima ondata di privatizzazioni in Europa si ha nell’Inghilterra della signora Thatcher negli anni Ottanta) e, quando lo ha sperimentato, lo ha fatto con la massima accelerazione. Il ritiro dello Stato si registra in un notevole dimagrimento del settore pubblico italiano, in particolare per numero di addetti. L’intero settore pubblico italiano nelle due diverse ramificazioni è nei fatti il più sottodimensionato d’Europa.

L’ultima rilevazione Ocse ci informa che, mentre nel nostro paese la pubblica amministrazione assorbe circa 3.400 lavoratori, in Francia e nel Regno Unito, paesi con una popolazione e un Pil pro-capite di entità simile alla nostra, se ne contano rispettivamente 6.200 e 5800. Negli Stati Uniti – paese tradizionalmente guardato come una vera economia di mercato – il numero di dipendenti pubblici è di circa il 25% superiore al nostro. Si può aggiungere che, in Italia, l’occupazione nel settore pubblico riguarda prevalentemente individui con elevata scolarizzazione.  In più, la convinzione che i dipendenti pubblici siano ben retribuiti e godano di eccesso di protezioni è palesemente smentita sul piano empirico. L’Istat registra un aumento della retribuzione oraria netta del 21% su base annua per i lavoratori del settore privato, a fronte di incrementi pressoché nulli nel settore pubblico. E si calcola che la gran parte dei contratti a tempo determinato sono somministrati dalla pubblica amministrazione. Dunque, i dipendenti pubblici, in media, guadagnano meno dei loro colleghi del settore privato e sono più frequentemente assunti con contratti precari.

Per quanto riguarda la produttività del lavoro nel settore pubblico, pure a fronte delle rilevanti difficoltà di misurazione, e pur volendo accettare la tesi che questa è più bassa rispetto al settore privato, occorre ricordare che l’operatore pubblico svolge, di norma, le proprie funzioni in quelle che William Baumol definiva “attività stagnanti”, ovvero attività nelle quali (si pensi ai servizi alla persona) risulta impossibile generare avanzamento tecnico e, dunque, incrementi di produttività. In tal senso, se anche si ritiene che il ‘merito’ del singolo lavoratore sia misurabile e che lo sia anche nei servizi nel settore pubblico, da ciò non si può immediatamente dedurre che questa conclusione discende dal basso rendimento degli occupati, potendo più realisticamente dipendere dalla bassa accumulazione di capitale. Si calcola anche che il tasso di assenteismo dei lavoratori del settore pubblico italiano è in linea con la media europea. I fautori delle privatizzazioni sostengono che l’operatore privato è sempre più efficiente dell’operatore pubblico. Lo Stato deve limitarsi a creare le condizioni necessarie affinché l’esercizio della libertà d’impresa avvenga nel rispetto delle norme e dei contratti vigenti.

Nella fattispecie della società Autostrade, si propone (così Confindustria) l’istituzione di una commissione che esamini le concessioni e vigili sullo svolgimento del servizio. Non si ammette quello che si considera il ritorno ai “carrozzoni di Stato”. Per contro, i fautori delle nazionalizzazioni ritengono che possa essere solo lo Stato a svolgere funzioni di interesse generale e, nel caso della società Autostrade, propongono (in linea con il governo) la revoca della concessione. Quest’ultima posizione è condivisibile, se non altro per

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LA UE CI PUNIRA PERCHE’ HA SFORATO …GENTILONI. Ecco il trucco.

Maurizio Blondet 7 novembre 2018

Si ritiene  anche autorevolmente (per esempio dall’Economist) che per ragioni procedurali, la Commissione europea  non lancerebbe una “procedura per deficit eccessivo” contro l’Italia fino all’aprile 2019;  per le sanzioni, passerebbero altri  sei mesi.

Invece  l’attacco della UE contro l’Italia sarà fulmineo: già nelle prossime tre settimane di novembre la Commissione “raccomanderà”” la procedura per deficit eccessivo,  e immediatamente applicare la sanzione –  sotto forma di deposito infruttifero dello  0,2% del  Prodotto interno lordo da depositare preso la Commissione.

Lo spiega il Peterson Institute for International Economics  (PIIE), un think tank americano:

https://piie.com/blogs/realtime-economic-issues-watch/could-sanctions-against-italy-be-imposed-earlier-expected

Il trucco per anticipare immediatamente la messa fuorilegge dell’Italia ed applicare immediatamente la supermulta (ad occhio e croce,   sui 46 miliardi) sarebbe quello di condannarci  per   lo sforamento del 2017, non  per quello del 2018.  Già  infatti nel rapporto precedente, la Commissione aveva ritenuto non conforme alla riduzione del   debito il deficit dell’anno scorso; ma aveva sancito che “una procedura per deficit eccessivo non è  raccomandata in questa fase, vista l’adesione ex post dell’Italia al braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita e ad alcuni progressi nell’adozione di riforme strutturali che promuovano la crescita”. Insomma di fatto ci avevano   rimandato a settembre, perché c’era  Gentiloni che aveva promesso correzioni e nuove austerità (orwellianamente “per promuovere la crescita”).  Adesso ci metterebbero sotto processo prima. Come hanno del resto minacciato Moscovici e Dombrovski parlando coi giornalisti amici: “se  non cambia il documento programmatico di bilancio, dobbiamo riconsiderare la decisione presa l’anno scorso di non aprire una procedura per disavanzo eccessivo, ai sensi dell’articolo 126 del trattato sul funzionamento dell’Ue“.

Insomma ci imporrà sanzioni e  peggio,  con la scusa del mancato rispetto del Patto di Stabilità … da parte del governo precedente.   Gli conviene naturalmente anticipare per non dare al governo italiano un argomento di polemica e di ribellione sotto le elezioni europee del maggio 2019.   Ed hanno preparato accuratamente questa  trappola   anticipata: si capisce infatti come “tutti” i paesi dell’eurozona, nessuno escluso, dall’Austria alla Irlanda,  abbiano ingiunto all’Italia di obbedire alle regole e di cambiare il suo bilancio col deficit a 2,4%: su istigazione della Commissione di certo. Infatti  per  invalidare l’anticipazione immediata della punizione – che è comunque un sopruso senza precedenti  – occorrerebbe una maggioranza del 65% al  consiglio. Ora, vediamo che lorsignori si sono garantiti in anticipo la “loro” maggiorana che legittimerà  la loro  illegittimità.

“E’ una azione politica coordinata tra   Commissione-BCE-Germania più Macron, come quella che  era stata approntata contro la Grecia all’inizio del 2015, e prima ancora dell’elezione di Tsipras”, commenta Sèbastien Cochard, diplomatico francese che milita   per il Frexit,  essendo un candidato di Débout La France, il partito gollista di Dupont-Aignan. Stando al parlamento europeo, ha visto “la gioia dei vigliacchi e dei pazzi sollevati perché l’Italia è vittima del tranello, e non  le loro violazioni”. Parla specificamente delle violazioni della Germania, che meriterebbero una procedura per avanzo eccessivo

“Il bilancio preventivo tedesco   per il 2019  [voluto da Schauble] prevede il pareggio,  anzi l’eccedente dell’1%: è una dichiarazione di guerra all’eurozona. I partner europei hanno bisogno vitale di riequilibrare gli  eccedenti esteri tedeschi.   Dov’è la  concertazione europea? Chi attacca la sostenibilità dell’euro? Che cosa fa la Commissione?”.

La Commissione punisce l’Italia, non la Germania (o la Francia).   “Mentre  il bilancio in deficit  proposto dalla coalizione Lega-5S è  quello opportuno: l’economia italiana ristagna.   Il bilancio italiano  si limita  a ridurre  l’avanzo primario dal 2 all’1% del Pil, uno stimolo necessario”.

Dombrovski però ha scritto che siccome l’Europa ha avuto “sei anni di crescita”, l’Italia   deve cominciare a tagliare il proprio debito ,  visto che è  tanto cresciuta; anche se noi la “crescita” non l’abbiamo vista.  E’ il mondo dell’EURSS, del puro potere che si impone  e schiaccia.

L’Italia potrebbe difendersi.  Ponendo il veto  sul bilancio europeo, a cui contribuisce in  modo pesante;  stampando la propria moneta fiscale locale per vanificare le misure alla greca  che la BCE prenderà, per terrorizzare la nostra popolazione.  Ma è in grado di farlo, il governo?

(qui  sotto una guida pratica di Italexit:)

https://www.ilprimatonazionale.it/economia/come-si-esce-dall-euro-guida-pratica-roger-bootle-71653/

“Il popolo italiano deve capire che il suo paese è in guerra”, diceva un articolo di Zero Hedge. Ma il popolo italiano lo sa?

Un governo che non ha in mano i media di massa, che ha la presidenza della repubblica nemica, ch e nemica la magistratura –  le due entità che avrebbero dovuto insorgere contro le offese e gli sputi  che i caporioni europei ci hanno lanciato,  magari cominciando (i giudici) a “aprire  un dossier”  contro di loro per aggiotaggio e manipolazione dei mercati.

Nulla.  “Se Moscovici dicesse agli spagnoli solo una delle frasi che dice a noi, la magistratura spagnola emetterebbe un mandato di cattura contro di lui immediatamente”, mi scrive l’amico Raffaele Giovanelli: “ In Grecia nessun funzionario europeo può

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/la-ue-ci-punira-perche-ha-sforato-gentiloni/

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Io, ex Bankitalia, dico: il governo fa benone a non sponsorizzare Enria alla Vigilanza unica europea

di Angelo De Mattia

Il commento dell’editorialista, Angelo De Mattia, già ai vertici della Banca d’Italia con Antonio Fazio

Domani il Consiglio Direttivo della Bce delibererà, con voto segreto, chi dei due candidati rimasti – Andrea Enria e Sharon Donnery, l’uno attualmente presidente dell’Eba, l’altro vicegovernatore della Banca d’Irlanda – è il prescelto per guidare la Vigilanza unica.

IL RUOLO CONTROVERSO DELL’EBA DI ENRIA

La contesa è, in effetti, non tra giganti, bensì tra personaggi di low profile: Enria ha presieduto l’Eba, in un sostanziale conformismo nei riguardi della Commissione Ue, riscuotendo, e a ragione, molte critiche soprattutto per l’impostazione, la gestione e la comunicazione dei risultati degli stress test. Sono stati maggiori i danni dei benefici di queste prove. La visione della Vigilanza in chiave di netto rigorismo ne farebbe un successore pressoché identico, con un di più di grigiore burocratico, dell’attuale presidente, Danièle Nouy.

PERCHE’ LA GERMANIA APPOGGIA DONNERY

Si sa meno della Donnery, ma almeno si conosce che ella è molto gradita alla Germania. Si vuole, comunque, fare apparire la eventuale designazione di Enria come una sorta di contentino per l’Italia che, così, sarebbe esclusa dall’assegnazione di altre cariche comunitarie a motivo di una nomina che, del pari, risulterebbe gradita alla Germania e agli altri Paesi del Nord. Si pensi, con riferimento alla prima, l’assolutamente distratto atteggiamento tenuto dall’Eba nel confezionare le prove da stress nei confronti dei derivati e, in genere, dei titoli illiquidi: una distrazione particolarmente gradita, non certo all’Italia, ma alla Germania e agli altri Paesi le cui banche sono particolarmente esposte in questi titoli. Ne è derivato uno squilibrio nell’immagine concorrenziale tra diversi sistemi bancari.

COME HA VOTATO IL DEPUTATO DELLA LEGA

L’assenza nel voto con il quale si è avviato il procedimento di nomina presso la Commissione economica dell’Europarlamento da parte di un deputato leghista è ben motivata se ci si ferma all’affermazione secondo la quale non basta il passaporto italiano a favorire il voto a Enria; meno condivisibile è la precisazione che comunque nessuno dei candidati garantiva il sistema Italia, dal momento che si tratta, invece, di dare garanzia all’Europa tutta con requisiti alti di professionalità, capacità, esperienza, imparzialità, idoneità a innovare. (qui l’approfondimento di Start Magazine sul voto)

CHE COSA MANCA NELLA DISCUSSIONE SULLA VIGILANZA UNICA EUROPEA

Per l’Italia, si ha bisogno, come la totale sottovalutazione dei titoli anzidetti «docet», della concreta affermazione di una parità nella normativa, nei controlli, nelle metodologie e nei relativi esercizi. In ogni caso, si arriva ora a una decisione pressoché conclusiva dopo che non vi è stata alcuna riflessione e, tanto meno, un dibattito pubblico sui tre anni di esperienza della

Continua qui: https://www.startmag.it/economia/io-ex-bankitalia-dico-il-governo-fa-benone-a-non-sponsorizzare-enria-alla-vigilanza-unica-europea/

 

GIUSTIZIA E NORME

Eccolo lì il fantasma di Andreotti

Le pesanti critiche di Giulia Bongiorno all’emendamento di Bonafede ha scatenato i retroscenisti

Francesco Damato – 6 novembre 2018

Il Fatto Quotidiano – e chi sennò – si è affrettato a scomodare il fantasma di Giulio Andreotti per cercare di mettere in difficoltà, se non tacitare, Giulia Bongiorno. Che nella doppia veste di ministro e di avvocato ha osato criticare, e pure pesantemente, la guerra alla prescrizione dichiarata dal suo collega di governo, e un po’ anche di professione, Alfonso Bonafede: accusato, in particolare, di voler usare ‘ una bomba atomica’ contro la ‘ ragionevole durata’ dei processi introdotta nel 1999 nella Costituzione con la modifica dell’articolo 111.

Il Fatto Quotidiano – e chi sennò – si è affrettato a scomodare il fantasma di Giulio Andreotti per cercare di mettere in difficoltà, se non tacitare, Giulia Bongiorno. Che nella doppia veste di ministro e di avvocato ha osato criticare, e pure pesantemente, la guerra alla prescrizione dichiarata dal suo collega di governo, e un po’ anche di professione, Alfonso Bonafede: accusato, in particolare, di voler usare ‘ una bomba atomica’ contro la ‘ ragionevole durata’ dei processi introdotta nel 1999 nella Costituzione con la modifica dell’articolo 111.

Altro che ‘ ragionevole’ sarebbe, in effetti, la durata dei processi se la prescrizione valesse solo sino alla prima sentenza, come vorrebbe appunto il guardasigilli condividendo l’emendamento alla legge ‘ spazzacorrotti’ predisposto dai due relatori, entrambi colleghi di partito. I processi durerebbero all’infinito, non finendo – come dicono i sostenitori della riforma, o controriforma, secondo i gusti ma semplicemente rovesciandosi, dalla difesa dell’imputato all’accusa, l’interesse presunto o reale a ritardare un giudizio finale, questa volta soltanto perché sgradito, di assoluzione.

‘ Non arretreremo di un millimetro’, ha garantito il guardasigilli replicando proprio ai rilevi della collega di governo, mentre il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio partiva per la Cina escludendo che l’arretramento possa avvenire anche solo sul piano procedurale. Cioè, con la decisione di scendere dalla legge sulla corruzione per montare su un’altra legge, o presentarne una apposta. La legge spazzacorrotti deve quindi potersi chiamare anche spazzaprescritti. Il più famoso ed emblematico dei quali rimane nella memoria di Travaglio, ma anche di Nino Di Matteo, intervistato nell’occasione proprio dal Fatto Quotidiano, la buonanima di Giulio Andreotti.

L’ex presidente del Consiglio fu a suo tempo assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, per la quale era stato mandato a processo, ma prescritto, come si dice in gergo tecnico e dispregiativo, per l’associazione a delinquere configurabile

Continua qui: http://ildubbio.news/ildubbio/2018/11/06/eccolo-li-il-fantasma-di-andreotti/

 

POLITICA

Fascismo, antifascismo, neofascismo e altri miti

Assimilare al fascismo una serie di fenomeni politici che fascismo non sono? Come non far rientrare di tutto nell’arco della definizione e delimitare invece il campo con maggiore precisione.

 

Redazione 4 novembre 2018 kelebeklerblog.com

 

Riproponiamo qui un testo scritto nel 2008 da Miguel Martinez di fronte al dilagare di una pratica che poi si sarebbe diffusa presso i media mainstream e i partiti di sinistra: il tentativo di assimilare al fascismo una serie di fenomeni politici che fascismo non sono. Lo schema di Martinez è molto utile, rispetto ad altri metri che fanno rientrare di tutto nell’arco della definizione, perché cerca invece di delimitare il campo con maggiore precisione.

di Miguel Martinez.

La legge italiana vieta l’abigeato. Per poterlo vietare, innanzitutto lo definisce (in 29 parole).  E in base a quella definizione, i giudici assolvono o condannano.

Allo stesso modo, chi dichiara di opporsi al fascismo ha il dovere prima di tutto di definirlo, anche sapendo che la storia è complessa. Ma solo una definizione permette di capire se siamo di fronte a qualche forma di fascismo oppure no.

Io ci provo, dando, come vedremo, una definizione in undici parole. Chi non è d’accordo, presenti la sua, ma che non sia così generica da indicare tutto e niente.

Bisogna partire dal fascismo reale, quello storico, quello che tutti sono d’accordo fosse fascista insomma. Se quello che chiamiamo “fascismo” non somiglia per niente al fascismo reale, sarà pure una cosa terribile, ma non sarà fascismo.

Il fascismo reale lo guardiamo troppo spesso al contrario, scambiandone la fine per il principio.

Mussolini entrò nella Seconda guerra mondiale facendo lo stesso ragionamento con cui Berlusconi avrebbe partecipato all‘invasione dell’Afghanistan (e Prodi ci sarebbe rimasto e Berlusconi ci sarebbe tornato): saltare sul carro dei vincitori. Possiamo immaginare che se Mussolini avesse avuto idea di come sarebbe andata a finire, si sarebbe schierato dall’altra parte, e da qui possiamo costruire anche divertenti ipotesi di fantapolitica.

Comunque, la parte meno significativa del fascismo fu una guerra in cui Mussolini entrò per sbaglio lasciandoci le penne. Se qualcuno è contrario a ciò che voleva il fascismo, deve partire da ciò che voleva Mussolini, che non era certo finire a Piazzale Loreto.

Il fascismo reale è stato il governo dell’Italia durante un periodo di grandi trasformazioni. L’antifascismo non è ovviamente l’opposizione a tutto ciò che è stato fatto in quegli anni, che comprendeva anche – ad esempio – la bonifica delle paludi pontine. Insomma, per definire il fascismo, si corre il rischio di perdersi in tutti i dettagli e i cambiamenti divent’anni di storia di un paese di diverse decine di milioni di persone.

Per quanto possibile, occorre andare all‘essenziale.

Il fascismo reale riflette un’epoca europea con tre caratteristiche fondamentali: una tremenda trasformazione economica, una violenta guerra di classe e imperialismi concorrenziali armati. Comunque la giriamo, è questione di capitalismo. Quindi, o si parla di capitalismo, di scontro di classe e di imperialismo, o è meglio lasciar perdere ogni discorso sul fascismo.[1]

Oggi va di moda rimuovere ogni riflessione su queste cose, e questo costituisce il peggiore revisionismo: perché non mette in discussione fatti di sessant’anni fa, ma ci nasconde la stessa realtà in cui viviamo.[2]

Diciamo che il 90% della storia dell’Italia tra il 1919 e il 1945 fu il frutto di quel clima, mentre il 10% – a essere generosi – è dipeso dalla volontà di Benito Mussolini o dei dirigenti del suo partito.

Il fascismo è la maniera in cui Benito Mussolini ha cercato di far cavalcare quel momento storico mondiale a un paese operettistico e artificiale, nato dai delitti, gli intrighi e i massacri (rimossi e nascosti) del Risorgimento. Un paese ferocemente diviso per classi, per regioni e dallo scontro tra laici e clericali.

Mussolini si è attorniato di un gruppo di parvenu della politica, sistemati nelle leve dello stato, in difficile coabitazione con gli eterni gestori del pantano italico.

Questi parvenu riflettevano e diffondevano un modello antropologico che li giustificava e riproduceva il loro potere.

Infatti, non è esistita solo un’economia o una politica fascista. E’ esistito anche un “uomo” fascista, che però il fascismo non ha affatto inventato. C’era infatti già il modello: l’uomo-massa forgiato, sincronizzato e anonimizzato dalle fabbriche ottocentesche e poi fordiste, dalla leva di massa e delle trincee della prima guerra mondiale e dall’istruzione obbligatoria giacobina del libro Cuore.

Uno strumento costruito socialmente per la disciplina, l’obbedienza e il sacrificio, legato a un comando unico, militare, partitico o imprenditoriale; e che conviveva, spesso nello stesso corpo, con l’opposta e riottosa umanità di Pulcinella

 

Continua qui: http://kelebeklerblog.com/2008/11/24/fascismo-antifascismo-neofascismo-e-altri-miti-3/

 

 

 

STORIA

Misteri italiani: gli strani accadimenti del 1967 a Sassari.

La strategia della tensione e l’Operazione Sirio’.

4 AGOSTO 2018 – Lara Pavanetto

 

Nel 1967 a Sassari operò una strana banda di malviventi capeggiata da due pregiudicati, pastori. Da qualche tempo deputati, avvocati, commercianti e industriali, ricevevano lettere anonime, ingiunzioni a versare denaro per aver salva la vita. Chi contava qualcosa, a Sassari, riceveva la lettera, anche l’ex presidente della repubblica Antonio Segni. Spesso, i ricattati ricevevano dalla questura l’offerta di una scorta personale prima ancora che la lettera estorsiva arrivasse.

A metà agosto La Nuova Sardegna informò che la pericolosa banda era stata finalmente fermata, o quasi. La Mobile aveva arrestato un autista disoccupato, Mario Pisano, un altro autista, Archelao Demartis, un pastore, un infermiere, Graziano Bitti e suo padre, il vecchio Sisinnio Bitti, di anni 65, noto alle carceri locali, e uno studente in giurisprudenza, incensurato, Antonio Setzi. Fuori della rete però erano rimasti i due “pezzi grossi”, Pasquale Coccone, pastore, e soprattutto Umberto Cossa, anch’egli pastore, entrambi pregiudicati. Fu il vice questore in persona, Giovanni Grappone, a dare la notizia dell’operazione di polizia ai giornalisti convocati in questura, raccontando come si era svolta. All’alba del 14 agosto gli uomini della Mobile sassarese, comandati dallo stesso dottor Grappone, avevano circondato l’ovile dove il pregiudicato Cossa stava radunando le sue pecore. Gli fu intimato l’altolà, ma estratta una pistola, il Cossa incominciò a far fuoco sui poliziotti. Per fortuna la pistola al secondo colpo si inceppò, e il bandito la lasciò cadere a terra.  La polizia la esibì davanti ai giornalisti come prova. Il pastore era però riuscito a fuggire “lanciandosi con una folle corsa giù per un impervio costone”. I cronisti si guardarono tra loro stupiti: perché mai i poliziotti non avevano inseguito l’uomo? “A noi quel Cossa serve vivo!” chiarì il dottor Grappone.

Fu letta la fedina penale del Cossa: nel 1958, ancora giovanissimo, era stato sorpreso dai carabinieri nelle campagne di Urì, mentre spingeva avanti a sé un gregge di nove pecore rubate all’allora ministro dell’Agricoltura, on. Antonio Segni. All’intimazione dell’ Alt il Cossa aveva reagito sparando. Catturato, processato e condannato a sette anni e otto mesi di prigione li aveva scontati interamente. Fu poi mostrata ai giornalisti l’armeria dei banditi: mazze di ferro, martelli di gomma, pistole e fucili, piedi di porco, grimaldelli, chiavi false. Dai primi interrogatori si ebbe la sensazione che la banda fosse ancora allo stadio dei progetti. Iniziarono tuttavia le prime confessioni. Il 22 luglio 1967 la banda aveva rapinato a faccia scoperta, pistole in pugno, la gioielleria del signor Salvatore Spanu in via Sorso. Uno dei banditi aveva colpito con il calcio della pistola il vecchio gioielliere, era partito accidentalmente un colpo che si era conficcato nella parete. A questo punto i banditi erano fuggiti via spaventati. Di lì a pochi giorni, verso le tre del mattino, due banditi si erano presentati all’Hotel Lybissonis, alle porte della città, pistola in pugno. Il portiere li aveva avvertiti che di là nel bar, c’era gente. I rapinatori se l’erano data a gambe saltando su una “Giulia” che li aspettava fuori a motore acceso. Il Lybissonis trascurò di fare la denuncia, ma i banditi confessarono l’episodio in questura, in quell’agosto del 1967. La banda confessò anche di aver spedito lettere di ricatto all’industriale, Francesco Nulli. Dai giornali che riportarono la confessione dei malviventi, Nulli apprese che i banditi avevano in animo di rapirgli il figlio quindicenne. Nel calendario dei delitti progettati, la banda confessò due sequestri di persona e l’assalto ad una banca. Nella sede della banca abitava la sorella di quel Cossa, latitante, che per poco non aveva colpito con la sua pistola il dottor Grappone, il commissario Elio Juliano, capo della Mobile, il vice commissario Giuseppe Balsamo, suo collaboratore, andati il 14 agosto ad arrestarlo nell’ovile. Su questo Cossa emersero altri particolari inquietanti: la polizia lo credeva colpevole di due omicidi commessi a Porto Torres nel 1958 e a Osilo nel 1959, rimasti impuniti. Il fascicolo di questi due casi insoluti sarà riaperto, annunciarono i giornali.
E’ la sera dell’8 settembre 1967, quando nella redazione de’ La Nuova Sardegna si presenta un giovane elegante sventolando una carta d’identità: “Sono Umberto Cossa, il pericoloso fuorilegge…”.

L’uomo desidera costituirsi, e prega di avvertire i carabinieri.  I carabinieri, insiste, non la polizia “perché con quella non voglio avere a che fare”.
Il discorso con i giornalisti cade subito sul conflitto a fuoco nel corso del quale il pastore, secondo la questura, avrebbe cercato di uccidere gli uomini della polizia arrivati per arrestarlo. Il Cossa racconta la sua versione: «Quella mattina stavo radunando le pecore per la mungitura quando in lontananza notai delle persone. Le additai al fratello del mio principale, il signor Solinas, che però mi disse di star tranquillo, così proseguii verso una casa campestre diroccata. Giunto ad una quarantina di metri dalla casupola vedo che all’interno ci sono delle persone, altre due sono all’esterno. Da un buco del muro vedo spuntare la canna di un mitra. Sento un ordine secco: “Fuoco!” e cominciano a spararmi addosso. “Ma siete pazzi?” grido io, agitando la mano e avanzando un passo o due verso di loro. Quelli continuano a sparare. Di fronte alla morte, che si fa? Si fugge. E sono fuggito, mentre le pallottole si conficcavano nel terreno intorno a me, sollevando un polverone che mi accecava! Ho corso una sessantina di metri. Poi mi sono gettato a terra, dietro un muretto a secco. Quelli smettono di sparare. Allora, visto che non mi inseguivano, mi sono allontanato dalla zona». Gli spiegano che la polizia aveva mostrato la sua pistola in conferenza stampa. «Ma che arma? Non avevo addosso nemmeno uno spillo! Sfido la polizia a dimostrarmi che su quella pistola ci sono le mie impronte digitali!» E il progettato colpo alla banca? Il pastore Cossa nega che un’idea simile gli sia mai passata per la testa. E gli omicidi irrisolti del 1958 e del 1959? «Per fortuna a quell’epoca ero in prigione!» Il Cossa dice di avere i suoi testimoni, i suoi alibi. Ma quanto valgono le sue parole? Lui ribadisce di essersi presentato proprio perché innocente di tutto. Ora, se davvero conflitto a fuoco non c’era stato quel 14 agosto del 1967, tutto si rovesciava. Era tutto il contrario: se il Cossa non aveva tentato di uccidere gli uomini della polizia, era la polizia che aveva tentato di uccidere il Cossa. Ai giornalisti corre un brivido lungo la schiena. Domandano all’uomo che ne pensa dei complici che in questura, sembra, abbiano confessato. Lui risponde che, tranne uno o due, non li ha mai visti né conosciuti. Al bar Mokador, indicato come sede della banda, dice di non mettere piede da mesi perché ha litigato con la padrona. In conclusione, il Cossa dice di essere fuggito «perché mi hanno sparato addosso; se mi avessero detto che erano della polizia mi sarei fermato; che cosa avevo da temere? Non ho commesso né furti, né estorsioni, né rapine! Dovevo sposarmi, mettevo in disparte i miei risparmi: che devo fare, il delinquente? Ditemelo un po’ voi!»

Allo scoccare della mezzanotte Umberto Cossa entra nelle carceri di Sassari, scortato da un alto ufficiale dei carabinieri. A questo punto della vicenda succedono cose strane. Uno degli arrestati della “banda di ferragosto”, l’autista Mario Pisano, interrogato dal giudice istruttore, mostra le labbra tumefatte e bruciacchiate. Racconta di essere stato sottoposto ad un interrogatorio in un sotterraneo della questura. Racconta di essere stato legato a pancia in su sopra un pancaccio corto, la testa e le gambe penzoloni. Lo avrebbero costretto a confessare tenendogli le mascelle spalancate e facendogli ingerire acqua salata, cinque o sei litri, versata con un mestolo. Il giudice istruttore Pietro Fiore si consulta con il sostituto procuratore della Repubblica e ordina una perizia medico-legale. Pisano confessa di aver commesso dei furti di automobili in sosta, istigato da due sconosciuti, due strani personaggi mai visti prima d’allora a Sassari, che si facevano chiamare “Gianni” e “Franco” e che parlavano con l’accento partenopeo. Il giudice istruttore ordina ai carabinieri di indagare. E i carabinieri scoprono che i due napoletani esistono e si sono imbarcati dalla Sardegna proprio a Ferragosto, accompagnati al molo dall’automobile della questura. La cabina, per uno dei due, è stata prenotata al nome di Gigliotti, e stranamente Gigliotti è il brigadiere della squadra mobile che ha compiuto l’operazione.
Ma chi è Il vicequestore Giovanni Grappone che ha coordinato tutta l’operazione del 14 agosto 1967? Viene da Milano dove negli anni che seguono la legge Merlin, si distingue alla guida della squadra della buon costume. Anche il commissario Elio Juliano è un valente e ambizioso investigatore; primo della classe nei concorsi, un fuori classe nel lavoro di ricerca dei criminali. Ha iniziato a Napoli, dove s’è costruito un archivio criminale tutto personale, con centinaia di nomi di pregiudicati, ciascuno con la sua scheda sempre aggiornata: le note caratteristiche, il campo di lavoro, le tendenze, gli amici, i nemici, il soprannome e l’indirizzo.

Il giudice istruttore pensa che proprio Juliano oppure il suo diretto superiore Grappone, oppure l’immediato inferiore Balsamo siano gli uomini più indicati per svelare il mistero dei due napoletani giunti in Sardegna a far comunella con i giovanotti della banda di ferragosto, e poi partiti il giorno in cui la banda era stata arrestata. Ma i tre funzionari, e anche il brigadiere Gigliotti oppongono il segreto d’ufficio: non sono tenuti a rivelare il nome degli informatori della polizia. Il giudice osserva che si tratta di malviventi, ma gli uomini della polizia tacciono. Il magistrato allora spicca tre mandati di cattura per il commissario Juliano, per il vicecommissario Balsamo, per il brigadiere Gigliotti. Le accuse sono di lesioni personali, abuso di autorità, violenza privata, falso ideologico in atto pubblico (il verbale di confessione del Pisano), calunnia.

Ai primi d’ottobre il magistrato spicca i mandati di cattura. L’incarico di eseguirli è affidato ad un ufficiale dei carabinieri che però prende tempo, si consulta con i suoi superiori e alla fine gira il malloppo alla questura. Nella notte tra il 4 e il 5 ottobre un deputato monarchico sassarese, l’avvocato Dino MiIlia, indirizza alla presidenza della Camera un’interrogazione urgente per sapere se il governo conosce il motivo per cui i tre uomini della questura che dovrebbero essere già in prigione si trovano invece ancora in libertà. Un’ondata di interpellanze e di interrogazioni investe palazzo Montecitorio e palazzo Madama.

Nel frattempo, Juliano, Balsamo e Gigliotti, si presentano al giudice e passano alle carceri per la registrazione dei nomi. Trascorreranno i pochi giorni di detenzione nell’infermeria dell’ospedale militare di Cagliari.

“Si sfascia lo Stato!” titola il Secolo d’Italia del MSI. In effetti la struttura portante del Potere è sotto accusa. Il mandato di cattura allora è preso in attenta considerazione: è legittimo? Erano stati avvertiti i superiori gerarchici dei presunti imputabili e il capo della polizia? Il prefetto, il procuratore generale, il ministro di Grazia e Giustizia, la Suprema Corte, erano stati informati? E’ possibile che due oscuri magistrati di provincia abbiano potuto spiccare il mandato di cattura per tre servitori dello Stato, senza chiedere il permesso a nessuno? S’invoca il ripristino della vecchia “autorizzazione a procedere” per i funzionari di polizia, oltre che per i deputati e senatori che già ne godono.

La radio e la televisione tacciono, i giornali non informano o informano con mezze notizie. Si sa poi che tutti i delinquenti accusano la polizia di averli maltrattati o picchiati durante gli interrogatori. “Spinte, schiaffi, occhi pesti sono una specie di reato professionale per la polizia” (L’Europeo), e i commissari sono stati incriminati “per qualche cosa che attiene alla lotta contro il banditismo, e non per debolezza o per omissione, si badi, ma per zelo, o per eccesso di zelo?” (Il Tempo). Che cosa sono questi atteggiamenti ultralegalitari dei magistrati? Dovrebbe forse la polizia “prendere per oro colato gli alibi dei ladri di bestiame”? (Il Messaggero).

Forse in Sardegna è scoppiata una specie di rivolta contro i poteri dello Stato?

“La Magistratura ha incriminato alcuni elementi delle forze dell’ordine. Dov’è lo scandalo?”, domanda il vicesegretario della DC Flaminio Piccoli. Ma è una voce isolata. Il 23 gennaio 1970 presso il tribunale di Perugia, in sede d’appello, i “fatti di Sassari” saranno così liquidati:

Pasqualino Coccone: 5 anni e 3 mesi (12 anni nel primo giudizio);
Mario Pisano: 4 anni e 6 mesi (7 anni e 6 mesi nel primo giudizio);
Umberto Cossa: 4 anni (7 anni e 6 mesi nel primo giudizio);
Monne: 4 anni e 10 mesi (7 anni e 6 mesi nel primo giudizio);

ai confidenti della polizia:
Biagio Marullo: 7 anni e 6 mesi (3 anni nel primo giudizio);
Vittorio Rovani: assolto per insufficienza di prove;

ai funzionari di polizia:
vicequestore Grappone: assolto perché il fatto non sussiste;
commissario di p.s. Juliano: 1 anno con la condizionale;
brigadiere di p.s. Gigliotti: 6 mesi con la condizionale;
guardia di p.s. Cinellu: 6 mesi con la condizionale.

Ora, è proprio nel 1967 che nasce l’«ossessione separatista», e quella che il centro di controspionaggio di Cagliari chiamerà in codice ‘Azione Sirio’. Tutto nasce da una confidenza raccolta dall’allora controverso capo sei servizi in Sardegna, il maggiore Massimo Pugliese. L’informazione è riportata in un appunto del 1972, nel quale compare la firma del generale Gian Adelio Maletti, diventato un anno prima responsabile del reparto D del Sid. Nel 1967 una gola profonda informa Pugliese che Feltrinelli è sbarcato in Sardegna e ha incontrato i più pericolosi latitanti dell’isola con il proposito di strumentalizzare il banditismo, con lo scopo di sorreggere l’ideologia separatista. Nei servizi il sospetto diventa una certezza.
Inizia una lunga e torbida stagione nella quale i complotti separatisti si materializzano in inchieste e processi, per poi inabissarsi misteriosamente. Storie opache dietro le quali, più di una volta, si intuisce l’ombra di una regia occulta degli 007. Fu Pugliese, monarchico e massone (era iscritto con la tessera numero alla loggia P2 di Licio Gelli, come il suo capo Gian Adelio Maletti) colui che insufflò nel mondo dei servizi segreti l’ossessione dei complotti separatisti. I rapporti di Pugliese su Feltrinelli e il suo viaggio in Sardegna, redatti dal capocentro del Sid di Cagliari, si erano infatti arenati in un primo momento nello scetticismo. Una nota interna del servizio segreto recita: «Il centro Cs (controspionaggio ndr) di Cagliari, prima tramite il capitano Baita e successivamente tramite lo stesso maggiore Coppola ha manifestato il convincimento che non è il caso di riprendere le indagini sulla vicenda, in quanto i piani dell’editore non erano seri». Una posizione condivisa anche dal Sid a Roma. Anche la polizia e i carabinieri accolgono con molta freddezza le informazioni ‘passate” da Pugliese, inizialmente.

Poi, qualcosa cambia dopo la misteriosa morte di Feltrinelli, avvenuta a Segrate il 15 marzo del 1972. Pugliese, che ormai non è più responsabile della stazione del servizio segreto militare di Cagliari, torna in Sardegna nascondendosi dietro il nome in codice Polluce. Le indagini su Feltrinelli e il suo viaggio in Sardegna registrano un nuovo impulso.

Affiorano informazioni sempre più dettagliate, come il programma militare del gruppo dei separatisti capeggiati da Feltrinelli: lo sbarco nell’isola di Tavolara per «distruggere impianti militari» (la base di intercettazione della Us Navy). L’attacco al poligono interforze del Salto di Quirra, agli impianti della polizia di Stato di Abbasanta, al centro di addestramento per mezzi corazzati di Teulada. Assalti a caserme, boicottaggi a dighe e a impianti industriali..Emergono depositi clandestini di armi e progetti di paracadutare armi di fabbricazione cecoslovacca nel Supramonte

 

 

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